Untitled - Rizzoli Libri

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«Parigi è uno strumento che bisogna saper suonare.»
— Honoré de Balzac, A Paris!
A Saveria e Ferdinando
e alle nostre gite dell’infanzia
U N A STO R I A D ’ A M O R E
Eppure io da ragazza preferivo di gran lunga Londra. All’epoca
mi sembrava fosse solo lì la fucina delle novità che avrebbe permesso di cambiare il mondo. E poi, soprattutto, mi piacevano
i Rolling Stones, mentre i cantautori francesi con i maglioncini neri da esistenzialisti mi facevano una profonda tristezza. La
colpa era sicuramente di Mademoiselle Chavet, la mia prof di
francese al ginnasio: un donnone dalla voce roca e le inevitabili
«erre» arrotate che usava una crema per il viso maleodorante –
di sicuro una marca francese – prova ulteriore dell’inferiorità di
quell’inutile Paese. O almeno così pensavo, ripetendo automaticamente i versi della Marsigliese che Mademoiselle ci costringeva a declamare a memoria.
Per il viaggio della maturità la meta era scontata da tempo, anche se Battisti anni prima mi aveva avvertito: «... Che ne sai
tu di un viaggio in Inghilterra?». Infatti non sapevo che dopo
due mesi di Great Britain mi sarei ritrovata per caso a Parigi
e non l’avrei mai più abbandonata. Qui la colpa non è stata
della prof di francese ma di un amico che al ritorno da Londra
mi ha costretto ad accompagnarlo qualche giorno a Parigi per
andare a trovare sua zia; proprio come Alberto Sordi, anche lui
teneva «una zie à Paris». Il disegno del destino si stava com-
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piendo inesorabilmente. Subito a intenerirmi il cuore sono stati i
mercati all’aria aperta con l’esplosione dei pomodori rossi della
Provenza, le ortensie violacee della Normandia, i pesci, i frutti di mare... ma dopo settimane di nebbia e fish and chips era
prevedibile. Il vero colpo basso però è arrivato da una mostra
al Jeu de Paume sul Movimento surrealista. Il nostro programma di storia dell’arte al liceo Giulio Cesare di Roma si fermava
essenzialmente al Canova, come al solito quando si dovevano
affrontare le avanguardie del Novecento si era già fatto giugno e
ce la cavavamo con due quadri di De Chirico o poco più. L’unica cosa sicuramente innovativa su cui si posavano i nostri occhi
di liceali ante-Facebook erano le copertine dei long playing dei
Pink Floyd: un altro punto a favore della perfida Albione. Sarà
per questo che quando mi sono apparsi in tutta la loro follia gli
orologi squagliati di Salvador Dalí ho capito che il mondo poteva essere diverso; e soprattutto non per forza pettinato come la
permanente di mia madre. E io non vedevo l’ora di partecipare
a questa scapigliatura.
Si dice che su Parigi è stato detto tutto, e che con i libri scritti
si potrebbe costruire una nuova tour Eiffel, ma all’amore non
si comanda e prima o poi bisogna esternare i propri sentimenti.
Non c’è niente che faccia soffrire di più due amanti clandestini
che l’impossibilità di raccontare al mondo la loro storia. Ecco
perché vi tocca la mia passione per Parigi, ma spero vi sia anche
utile per scoprire nuove avventure in una città in cui, per quanto
crediate di saperla lunga, c’è sempre qualcosa da avvistare, come
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UNA STORIA D’AMORE
afferma Honoré de Balzac, una delle mie guide preferite: «In
questo mare, si incontrerà sempre un luogo vergine, un antro
sconosciuto, dei fiori, delle perle, dei mostri, qualcosa di inaudito e dimenticato dai palombari letterari».
E del grande scrittore della Comédie humaine possiamo fidarci
visto che ha dedicato alla sua «Babylonia» migliaia di pagine,
perlustrando in lungo e in largo ogni angolo sconosciuto della
Ville Lumière.
E come lui gli autori, gli artisti e i grandi registi che nel tempo
l’hanno immortalata sono stati prima di tutto dei camminatori di
professione, come i flâneur ottocenteschi di cui parleremo spesso: grandi esploratori urbani che traevano il massimo del piacere
e dell’ispirazione lasciandosi andare a lunghe passeggiate senza
meta nel labirinto della città. «L’osservatore è un principe che
gioisce dappertutto del suo rimanere in incognito», ci insegna
Baudelaire a cui non potevo che dedicare un intero capitolo.
In questo disordinato dizionario parigino vi troverete a ricalcare i loro passi, come è successo a me, annusando l’aria alla
ricerca di qualcosa che vi meravigli. E anche se oggi è più facile
imbattersi in una nuova filiale di Zara o nell’ennesimo ristorante cinese, vi assicuro che qualcosa vi stupirà ancora, magari la
formula segreta della joie de vivre, una specialità che va ancora
forte in città.
Perché a Parigi tutto si sovrappone e nulla si distrugge. Nonostante la violenza del terrorismo che sembrava aver mutato per
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sempre i connotati e il carattere dei suoi cittadini, l’esprit del
luogo riemerge sempre dalle tragedie che rimangono incastonate nei marciapiedi e nell’anima delle persone che continueranno
a calpestarli. Nulla scompare, né la gioia né il dolore, e tutto
diventa storia, letteratura e sopravvivenza. Jean Cocteau, parigino doc, ha scritto: «Parigi possiede uno stomaco da struzzo.
Digerisce tutto. Non assimila niente. È questo che le conferisce
quell’aria di debolezza dietro cui si cela una capacità di resistenza senza limiti». Mai come adesso questa resistenza è stata
messa a dura prova dalla storia, eppure la città conserva il suo
orgoglio e cerca di recuperare lo spirito che l’ha resa celebre nei
secoli, quello incarnato dal quadro di Delacroix La libertà che
guida il popolo che oggi purtroppo viene miseramente usato
dalla politica come baluardo contro l’uso del burkini in spiaggia, roba da far rivoltare il pittore nella tomba. E senza dubbio
Victor Hugo non avrebbe mai immaginato questi nostri anni
mentre lanciava un grido d’amore per la città dal suo esilio:
«Cos’ha dunque Parigi? La rivoluzione! [...] Parigi, su tutta la
Terra, è il luogo dove più si possono sentir fremere le immense
vele invisibili della nave del progresso». Il mito della modernità
e delle grandi idee rivoluzionarie che l’hanno animata nei secoli passati si è sicuramente appannato, ma ancora qualcosa di
quel vento che gonfiava le «immense vele invisibili» è rimasto
nell’aria, e veniamo qui anche per respirare le ultime particelle
risparmiate dall’inquinamento. E oggi come non mai ne abbiamo bisogno come l’ossigeno.
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UNA STORIA D’AMORE
Viaggiare, come ci ricorda Marguerite Yourcenar: «È una scuola
di resistenza, di stupefazione, quasi un’ascesi, un mezzo per perdere i propri pregiudizi, mettendoli in contatto con quelli dello
straniero». E anche se le attuali condizioni politiche ed economiche rendono sempre più difficile questo salutare esercizio, consiglio sempre ai ragazzi di viaggiare il più possibile e non solo su
internet; In particolar modo alle ragazze, che hanno cominciato
tardi la loro storia di esploratrici. Purtroppo il genere femminile
con il verbo «passeggiare» ha avuto da sempre serie difficoltà.
Storicamente le «passeggiatrici» sono state signore dedite ad altre attività ricreative, ma vi assicuro che anche alle donne è sempre piaciuto bighellonare alla scoperta di orizzonti sconosciuti.
Ma non era facile trasformarsi in «flâneuse» dal momento che
per uscire di casa una fanciulla doveva essere per forza scortata.
Eppure abbiamo avuto delle pioniere come Virginia Woolf, che
nel suo Street Haunting ci aveva già insegnato l’arte di vagabondare senza scopo nei meandri di una grande metropoli, magari
solo con la scusa di comprarsi una nuova matita. Anni prima, in
pieno Ottocento, la pittrice Rosa Bonheur per passeggiare inosservata tra le strade parigine aveva deciso di vestirsi da uomo,
ma il travestimento era proibito dalla legge e quindi era stata
costretta a chiedere un permesso speciale alla prefettura. Finalmente, con l’autorizzazione in tasca e un sigaro tra le labbra, si è
goduta le sue perlustrazioni cittadine in totale libertà.
Questo libro è dedicato anche a loro, e a tutte le avventuriere
che hanno infranto per prime le regole dell’immobilità casalin-
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AVREMO SEMPRE PARIGI
ga. E naturalmente a tutte le donne a cui ancora oggi è proibito
questo immenso piacere.
Ma è fortemente consigliato anche a chi non vuole alzarsi dalla
poltrona ma non per questo ha rinunciato a nuovi itinerari fantastici; perché come scrive Raymond Queneau, legato alla città
da una lunga storia d’amore, alla fine «Parigi è solo un sogno...»
Serena Dandini,
Roma, ottobre 2016
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A R RO N D I SS E M E N T