II intervento Limongelli Gianmelania

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II intervento Limongelli Gianmelania
CIRCE: L’INFERNO INDIVIDUALE
Nello schema Linati si definisce la tecnica dell’episodio quindicesimo come «visione
animata fino allo scoppio» mentre nel successivo schema fatto avere ad Herber Gormann Joyce
ricorre al termine «allucinazione». Infatti alle azioni dei protagonisti si alternano una serie di
fantasmagorie di Bloom e Stephen, prodotto del loro subcosciente. Possiamo notare come, durante
le loro articolatissime fantasie allucinatorie prendono vita oggetti inanimati, i quali giungono quasi
ad un processo di antropomorfizzazione, basti pensare al berretto di Lynch, che diviene vero e
proprio personaggio parlante, con cui Stephen dialoga. Tale meccanismo di personificazione è
permesso dallo stesso ricorso di Joyce alla forma drammatico-teatrale e all’esposizione in forma
dialogica; un secondo esempio è il ventaglio di Bella Cohen o il bassotto che, nella metamorfosi che
il sogno ad occhi aperti di Bloom permette, rivelerà il volto del defunto Paddy Dignam. I veri
protagonisti delle visioni sono però soprattutto i fantasmi dell’inconscio e del passato dei
protagonisti, che si trovano a confrontarsi con le paure e gli incubi della propria esistenza. La
maggior parte delle visioni sono ascrivibili a Bloom (secondo l’analisi di Giorgio Melchiori se ne
contano sei1). Leopold da corpo ai propri demoni e proietta sulla scena del bordello i suoi desideri
reconditi o mancati, le sue oscure perversioni fino alla regressione ad un vero e proprio stato ferino.
Bloom si trova a relazionarsi con i fantasmi del suo inconscio, rappresentati dall’assurdo senso di
colpa sessuale, dalle sue frustrazioni sociali, l’infedeltà della moglie, la morte precoce del figlio
Rudy. Le allucinazioni sono amplificazioni di circostanze reali e mai prodotto della fantasia o frutto
di uno stato di ubriachezza o ebbrezza. Hanno una loro logica e Joyce costruisce l’intero episodio
sovrapponendo alla realtà, i moti psichici dei personaggi e lanciando una sfida al lettore che, come
in un romanzo poliziesco, deve ricostruire le tracce di questo materiale onirico, per individuare la
parola, o la cosa o l’idea da cui l’allucinazione è nata. La lunga serie di visioni occupano un
numero considerevole di pagine («Circe» è infatti l’episodio più lungo del romanzo), ma ciò non
comporta una effettiva progressione nello sviluppo del plot. Si potrebbe riassumere l’episodio
riducendolo ad un numero minimo di azioni che i personaggi compiono: Bloom cerca tra Mabbot
Street e Macklemburg Street il bordello di Bella Cohen in cui è entrato Stephen, vi entra e infine
salva il giovane Dedalus dalle ire dei due soldati offesi per le ingiurie al re.
1
Ulisse, Guida alla lettura, a cura di Giorgio Melchiori e Giulio de Angelis, Oscar Mondadori 2011, p.210.
1 Claudia Corti2, mette in luce la matrice freudiana dell’episodio e l’elemento di comicità che
soggiace al testo. Quest’ultimo è ottenuto da Joyce attraverso il continuo ricorso a calembours e
nonsenses. La dimensione onirica di Circe è strettamente legata al lavoro arguto, al motto di spirito
così come Freud delinea nel suo studio “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio”. Lo
psicolgo viennese illustra come i due procedimenti fondamentali del lavoro onirico, ossia la
“condensazione” e lo “spostamento” coincidono con le due tappe essenziali della produzione
comica. Ellmann3 documenta nella sua biografia l’interesse di Joyce per gli studi freudiani con
lettere private, interviste in cui lo scrittore irlandese si presta a tentativi di interpretazione dei sogni
di Nora e altri a lui vicini, secondo le linee della neonata psicoanalisi freudiana. La prima modalità
che la Corti definisce «trasformazionale» e oserei dire «metamorfica», trattandosi del capitolo
dell’Ulysses che rilegge e parodia l’episodio della maga Circe, è la condensazione: più elementi
latenti convergono in un unico oggetto manifesto o viceversa un unico elemento ritorna più volte in
strutture composte. L’esito di tale processo sono giochi verbali, neoformazioni al limite di veri e
propri rebus, e proprio la manipolazione linguistica derivante dalla condensazione costituisce uno
dei principali strumenti produttivi del Wits o motto di spirito. Freud cita numerose «formazioni di
parole comiche e bizzarre»4 nell’ Interpretazione dei sogni. Due o anche più parole, pensieri o idee
si coagulano in un’unica unità fonica, creando cosiddette “parole miste”, ovvero neologismi
stranianti, in cui solitamente una sequenza fonetica comune ai due termini condensati è l’elemento
in cui vengono a coincidere significati diversi. In «Circe» tale procedimento permette la sintesi di
quell’ambiguità di fondo e della dialettica di sacralità e profanazione che connotano l’atmosfera del
bordello e il rapporto che Bloom e Stephen intrattengono con religione e sesso. Ciò è esemplificato
nel termine «whorusalem», che nasce dalla condensazione delle parole «whore» e «Jerusalem».
Joyce, con una sola parola ci dice che la Gerusalemme terrestre costruita in Mabbot Street non è
altro che la città santa della prostituzione. Il witz non si conclude qui, ma a partire dal neologismo si
susseguono una serie di neoformazioni che giocano sui medesimi elementi fonici. Dall’integrazione
della voce “amen”, deriva il termine «Whorusalamen», ovvero la preghiera blasfema che risuona
dal grammofono per santificare l’incontro tra il padre (Bloom) e il figlio (Stephen). A sua volta il
neologismo ci rimanda alla «Bloomsalem». Stuart Gilbert5 afferma che la religione cattolica mette
2
Claudia Corti, “Circe”: il comico onirico di Joyce, in «Rivista di letterature moderne e contemporanee», XXXIX,
1986.
3
Richard Ellmann, James Joyce, Feltrinelli, Milano 1964. Inoltre mentre Joyce era a Zurigo durante la prima guerra
mondiale, la signora Harold McCormick, sua protettrice, era anche protettice dello psicanalista del luogo. Ella spinse
Joyce a sottomettersi all’analisi di Jung, ma Joyce si rifiutò. Nei cafè, però, si parlava comunemente di Freud e di Jung.
Eugène Jolas dice che Joyce aveva incontrato Jung a Zurigo. Frank Budgen riferisce che in questo periodo egli parlva
spesso a Joyce delle teorie di Freud sul sogno.
4
Cfr. W.Y. Tindall, James Joyce, Bompiani, Milano, 1960, p.73.
5
Cfr. Stuart Gilbert, L’«Ulisse», di James Joyce, in Introduzione a Joyce, Mondadori, Milano 1967. 2 in netto contrasto vizio e virtù, luce bianca del paradiso ed quella rossa dell’inferno dei quartieri
malfamati, Santa Eucarestia e Messa Nera. «Circe» in quanto costruito con «i mattoni della
religione cattolica», oscilla sempre tra queste coppie di poli opposti. Stephen entra nel postribolo
cantando un Introito e al momento culminante dell’episodio, poco prima che il soldato lo colpisca,
abbattendolo, prende parte ad una Messa Nera.
Un pun come «pornosophical philotheology», nasce dal medesimo contrasto tra dimensione
religiosa e perversione, a tratti animalesca, che soggiace all’intero capitolo: da una parte desiderio
di dissacrazione e trasgressione (pornografia), mescolata al senso represso dell’irriducibilità della
categoria del divino, problema che tormenta il personaggio di Stephen per tutto il romanzo e qui lo
spinge alla distruzione della lampada, in quanto simbolo proprio di quella luce divina che egli
rifiuta, senza mai negarla completamente (teologia); attrazione erotica per le sensazioni mistiche
(teosofia), contrastata dal tentativo della ragione di dominare la sfera percettiva (filosofia). Questi
quattro elementi si condensano in un’unica espressione. Nel processo che Bloom subisce in una
delle sue molteplici allucinazioni, una delle colpe che l’inconscio del protagonista reifica in tali
giochi linguistici è detta «hypsospadia». Notiamo un termine deliberatamente scelto dall’autore,
ossia “ipospadia” (termine tecnico della medicina che indica un difetto di formazione dei genitali e
già di per sé significativo delle frustrazioni di Leopold relativamente alla sfera sessuale), anticipato
dal prefisso «hypso», ossia sublime, alto, che rivela il contenuto latente e per l’appunto “sublima” il
suo senso di inadeguatezza, nel passaggio dalla sfera erotico-materiale a quella spirituale. I casi fin
qui illustrati costituiscono veri e propri «motti tendenziosi»6. Accanto ad essi, si possono
individuare
nel
testo
giochi
verbali
inoffensivi
come
il
lungo
sostantivo:
«mangonwheeltracktrolleyglarejuggernaut», che concentra in questa unica sequenza fonica le
differenti percezioni simultaneamente provate da Bloom, quando nel suo sogno ad occhi aperti
rischia di essere travolto da un tram. Qui vediamo come il pun permette la resa linguistica della
simultaneità temporale, che risulta strettamente connessa a quella «tendenza al risparmio»7 che
caratterizza la tecnica arguta.
Il secondo procedimento che accomuna lavoro onirico e lavoro arguto è lo spostamento che,
costituendo una vera e propria tecnica di camuffamento fa sì che un’idea si sposti verso un’altra
idea, che di per sé non ha gran valore, ma prende forma in virtù di un legame linguistico o
semplicemente iconografico che i termini instaurano. La seconda idea si insinua nella linea di
pensiero principale inaspettatamente, tramite un segno linguistico comune. Durante la masochistica
6
7
C. Corti, “Circe”: il comico onirico di Joyce, cit. p. 51.
Cfr. S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, 1975, p.68. 3 scena che vede la maschilizzazione di Bella Cohen e la femminilizzazione e sottomissione di
Bloom, la proprietaria del bordello stila una lista di clienti che potrebbero violentare il protagonista.
Ad un certo punto viene nominato un tale Laci Darem. Il lettore accorto, non può non accorgersi
che Joyce gioca con l’espressione “La ci darem”, già incontrata in Ulysses: si tratta del duetto di
Don Giovanni di Mozart, la cui rievocazione non è casuale, essendo legata alla ricezione da parte di
Molly della lettera dell’amante Boylan. Inconsciamente, in virtù del suo senso di frustrazione
relativamente al tradimento, Bloom manifesta il desiderio di essere violato proprio dal suo rivale
per eccellenza, di cui Don Giovanni è corrispettivo (ricordiamo lo stretto rapporto che lega
l’impresario Blazes Boylan al mondo della musica e dell’opera). Il rimosso, ossia il desiderio
masochista di Bloom, riaffiora nel testo, spostato, traslato.
Bloom subisce, inoltre, in una delle sue visioni, una serie di trasformazioni da assessore
municipale a sindaco, quindi re. Alla fine di questa sorta di “promozione abnorme”, si identifica con
lo stesso Messia. Lo spostamento dal terreno al divino, dal profano al sacro che, come abbiamo
visto, connota l’episodio, è dato dall’immagine cristologica dei «loaves and fishes», che compare
tra la serie di doni che il re Leopold I offre al popolo dublinese. Un elemento, che implica la
dimensione divina, si insinua in una serie di oggetti profani e fa scattare il sorriso del lettore proprio
il contrasto tra il senso di inadeguatezza di Bloom, che lo spinge a tali fantasmagorie, e la volontà di
rivalsa che motiva la paradossale apoteosi divina immaginata da Bloom. Joyce amplifica
l’ambiguità giocando con il signifacato delle parole in lingue diverse. Proprio nell’espressione sopra
citata (relativamente al miracolo dei pani e dei pesci) vediamo che la parola fiches fornisce diversi
significati. In francese, fiche significa “scheda”; ficher, “conficcare una punta affilata in qualche
cosa”; se ficher, “infischiarsi”. Così Joyce ottiene un gioco di parole bilingue che confonde e
affascina il lettore.
Abbiamo constatato come in «Circe», l’inferno segreto dell’anima di Leopold e Stephen,
viene drammaticamente rappresentato. Il processo messo in scena nell’episodio costituisce da parte
di Bloom un processo di reificazione nel proprio sogno ad occhi aperti del processo a cui ha dato
avvio la sua stessa coscienza, e fa si che, numerose figure femminili, che Leopold ha desiderato, lo
accusino davanti a questo tribunale sui generis8. L’episodio è stato, di volta in volta, definito dai
critici come omerico, apocalittico, masochistico, wagneriano, ma è soprattutto dantesco. La
presenza dell’auctoritas dantesca nell’episodio è stata messa in evidenza già da Pound, che in una
8
La sua coscienza colpevole evoca spettri di colpe passate e presenti, sia d’intensione come la dattilografa Martha
Clifford, sia d’opera come la domestica Mary Discroll.
4 lettera scrisse: «magnificient, a new Inferno in full sail»9. Gozzi afferma che Dante fornisce a Joyce
quel «modello di osmosi del naturale e del soprannaturale, di vita quotidiana e visioni cosmiche»10.
Nella Nighttown joyciana interagiscono personaggi della vita reale dei due protagonisti e i demoni
creati dalle loro coscienze per forza psichica. Figure spettrali e forme fantasmatiche si
materializzano dantescamente in Mabbot Street, uscendo dall’ombra. Reynolds, alla quale si deve
lo studio più completo del rapporto tra Dante e Joyce sottolinea come il romanziere «combines
symbolism with a photografic realism wich transports the reader to the tome and the place described
usually with utmost immediacy»11 . Abbiamo accennato a come Bloom e Stephen, così come Dante
e Virgilio nella Commedia, incontrino e si relazionino con conoscenti e amici, ma è utile
sottolineare come il modo in cui vi si rivolgono echeggi spesso noti episodi del poema. La sorpresa
di Mrs Breen, nell’incontrare Bloom ricorda lo stupore di Dante, quando nel XV dell’Inferno
incontra Brunetto Latini. Ancora più forte è il richiamo che la conversazione tra Bloom e la
prostituta Zoe instaura con l’episodio dantesco di Farinata degli Uberti: «I thought you were of
good stock from your accent[…]are you a Dublin girl?» (Ulysses 15); «la tua loquela ti fa
manifesto/di quella nobil patria natio[…]/[…]chi fu li maggior tuoi?» (Inf. X, 25-26-42). Joyce
nell’incipit dell’episodio ha in mente probabilmente i primi canti dell’Inferno, in particolare lo
schema narrativo del I canto. Anche Joyce nelle prime pagine del capitolo sta descrivendo un vero e
proprio Antinferno. I «dangers signals» (U, 15) rimandano all’iscrizione posta da Dante sulla porta
dell’Inferno12 e notiamo come lo spazio del malfamato quartiere in Mabbot Street sia
contrassegnato dalle tenebre, dalla sozzura e da veleni venefici. Quella di Bloom e Stephen è una
vera e propria discesa nell’Ade, più di quanto non lo sia il quinto episodio del romanzo. Quello
descritto è un mondo capovolto, grigio, offuscato da «foul and poisonous air». Basti pensare ad un
passo come: «from dreams, clefts, cesspouls, middens arise on all sides stagnant fumes» (U, 15).
Inoltre, come Dante, anche Bloom ha qui smarrito la strada: entra in scena «flushed,
painting[…]blowing» in quanto ha preso il treno sbagliato, ha perso Stephen e lo sta disperatamente
rincorrendo. Emblematica è l’affermazione sconfortata: «I who lost my way in darkest stepside,
keep, keep, keep, to the right»(U 15, 436). Infine gli «stunted women and men» che si accalcano
intorno alla gondola del gelataio Rabaiotti suggeriscono l’immagine dei dannati che si affollano
intorno alla barca di Caronte. Anche i personaggi joyciani attendono di essere traghettati nel proprio
inferno individuale.
9
Richard Ellmann, James Joyce, Ellmann, cit. p.523.
F. Gozzi, Dante nell’Inferno di Joyce, in «English Miscellany», 23, 1972, p. 213.
11
M. T. Reynolds, Joyce and Dante, the shape imagination, Princeton University Press, 1981, p.465.
12
Cfr. Inf. III, 1-3. 10
5 Kenner afferma «if Bloom is not crusche by his guilt, his apprehensions and his frustrations,
it is because their energies leak off into fantasy and as ‘Circe’ proceeds we may follow him working
out a course of psychic purgation»13. In «Circe» quindi, non è presente solo l’Inferno, ma vi si
snoda una difficile ascesa verso il Purgatorio, un processo di purificazione attraverso la proiezione
nel sogno dei propri demoni. Bloom riprende coscienza, si risveglia da ciascuna allucinazione con
cui sembra esorcizzare i propri fantasmi. Anthony Borgess osserva che «the practical man reasserts
himself, shake off the hallucinations»14. L’Ulisse risponde, secondo ancora Kenner, al progetto
joyciano di rappresentazione di un uomo completo e «Circe», nella maniera in cui da corpo ai
pensieri più intimi, alle fantasie della coscienza dei personaggi, mostra il joyciano «complete man».
Infine inserendo nel mondo apocalittico del bordello la nota familiare di incontri, come abbiamo
visto dantescamente connotati, Joyce realizza la sua moderna e originale «commedia umana».
13
14
6 Cfr. H. Kenner, “Circe”. L’Ulisse di James Joyce: saggi critici, Ed. Clive.
Cfr. A. Borgess, Re-Joyce, Norton, New York, 1965.