1. L`entità e la composizione dell`immigrazione straniera nel

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1. L`entità e la composizione dell`immigrazione straniera nel
L’INTEGRAZIONE DEI MIGRANTI DI ORIGINE MAGHREBINA IN CAMPANIA
Elena de Filippo (Università degli Studi di Napoli – Dipartimento di Sociologia),
Paola Esposito, Maddalena Pinto (Cooperativa Sociale Dedalus)
1. L’entità e la composizione dell’immigrazione straniera nella regione
1.1. Evoluzione del fenomeno
In Campania la presenza degli immigrati ha sempre presentato caratteristiche diverse, legate alle
particolarità dei contesti socio-economici, dei sistemi produttivi, del mercato del lavoro delle
diverse aree territoriali della regione. I più recenti studi sugli aspetti principali che l’immigrazione
assume nella nostra regione, difatti, evidenziano come questo fenomeno negli ultimi vent’anni abbia
conosciuto sostanziali modifiche sia in termini quantitativi sia riguardo la composizione etniconazionale, per classi di età, sesso, titolo di studio, caratteristiche sociali, economiche, relazionali.
Tali cambiamenti, però, sono avvenuti in una situazione di permanenza, anzi di consolidamento,
delle differenze tra immigrazione urbana e quella periferico-rurale, dovute sostanzialmente alle
diverse opportunità di inserimento nel mercato del lavoro. Nelle aree rurali e, più in generale,
periferiche, le opportunità lavorative sono, oggi come vent’anni fa, rappresentate ancora dalle
mansioni tipiche del terziario dequalificato, caratterizzate da forme precarie e temporanee di
rapporto di lavoro che spesso prende le forme del lavoro a giornata o stagionale nel settore agricolo.
In queste mansioni sono maggiormente impiegati lavoratori provenienti dal nord e ovest dell’Africa
e, più recentemente, dall’Europa dell’est. Essi vivono in condizioni materiali e sociali molto difficili
che spesso danno vita a vere e proprie situazioni di emergenza sociale. L’immigrazione urbana,
invece, è rappresentata dalla componente meno problematica e relativamente più regolare, che non
rappresenta una vera e propria emergenza sociale, seppure abbia molteplici problemi di
insediamento. In città si concentrano maggiormente lavoratori occupati nel settore del lavoro
domestico e dell’assistenza alla persona e quelli dediti al commercio (negozi etnici), entrambi
settori che impiegano la componente numericamente più rilevante della popolazione immigrata.
La presenza maghrebina nella storia dell’immigrazione in Campania è da considerasi tra le quelle di
più antico insediamento, tuttavia le tre comunità, oggetto dell’analisi, presentano proprie specificità
nel modello migratorio campano. In riferimento alla evoluzione del fenomeno ad esempio i tunisini
ed i marocchini sono arrivati già nel corso degli anni settanta, e sebbene la loro presenza sia
cresciuta negli anni, essa è stata caratterizzata da continui spostamenti interni e esterni al territorio
regionale e nazionale. Gli algerini, invece, soltanto negli anni Novanta sono arrivati sul territorio
campano. I loro percorsi migratori sono caratterizzati da una minore mobilità territoriale e
soprattutto da un minore pendolarismo. Inoltre, sebbene si tratti in tutti e tre i casi di emigrazioni a
carattere economico, nel caso dell’Algeria, e in misura minore del Marocco, fattori di spinta sono da
ricercare anche nelle dinamiche socio-politiche dei paesi di origine, al contrario nel caso della
Tunisia il fattore economico rimane assolutamente preponderante.
Le motivazioni alla base dell’emigrazione maghrebina, insieme alle possibilità di impiego nelle
diverse aree territoriali del nostro paese e di regolarizzazione avutesi del corso degli anni, spiegano
l’andamento crescente, ma per certi versi irregolare della presenza dei soggiornanti tunisini,
marocchini e algerini. Nei primi anni Ottanta, i cittadini provenienti dai Paesi del Maghreb
regolarmente soggiornanti in Campania erano 264 1 . Nel decennio successivo, soprattutto a seguito
dei diversi provvedimenti di regolarizzazione, questa presenza è cresciuta quantitativamente nelle
statistiche ufficiali oltre che in termini di visibilità sociale. Tuttavia tra il 1991 e il 2002, come si
può leggere dalla tab. 1, essa ha avuto un andamento irregolare, con dei cali significativi nel 1994,
nel 1999 e nel 2002 nel suo insieme e per tutti i singoli paesi considerati.
1
Calvanese F., Morlicchio E., 1991 La presenza straniera in Campania: la dimensione del fenomeno e l’analisi delle
fonti, in Calvanese F., Pugliese E. (a cura di), La presenza straniera in Italia. Il caso della Campania, Franco Angeli,
Milano
1
tab.1 - Cittadini maghebini soggiornanti in Campania
1991*
1994*
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
Marocco
Tunisia
Algeria
3.151
2.455
2.752
1.456
199
5.813
3.548
1.170
6.146
3.229
4.027
6.347
3.349
4.535
6.297
2.869
3.670
6.544
2.847
3.927
6.994
2.938
3.921
5.961
2.472
2.626
Totale
5.606
4.407
10.531
13.402
14.231
12.836
13.318
13.853
11.059
Fonte: Elaborazione Dedalus su dati Caritas/Dossier Statistico 1996-2002
*Fonte Istat su dati del Ministero dell’Interno
Tra il 1991 e il 2001 vi è stata una crescita della comunità maghrebina in questa regione che ha
visto quasi raddoppiare la sua presenza. Tale crescita ha riguardato soprattutto gli algerini che
risultano quasi quadruplicati tra il ‘95 ed il ‘96 e più che decuplicati dal ‘94 al 2001 (+1.219%),
passando da 199 permessi di soggiorno (nel 1994) a 2.626 nel 2001. Anche tra i marocchini si è
visto un aumento significativo dei soggiornanti nel decennio trascorso (pari al 90%): da 3.151 nel
1991 a quasi 6 mila nel 2001. Al contrario il numero dei tunisini soggiornanti è rimasto pressoché
invariato tra il 1991 (2.455 soggiornanti) e il 2001 (2.472 soggiornanti) anche se, nel corso del
periodo considerato, ha visto picchi fino a 3.350 unità (ne1 1997).
Per quel che riguarda la più recente regolarizzazione (quella del 2002), essa ha interessato nel
complesso circa 7.500 maghrebini in Campania, pari all’11% del totale dei regolarizzati nella
regione, e di questi solo un terzo nella provincia di Napoli (mentre nell’insieme quest’ultima ha
assorbito più della metà del totale delle regolarizzazioni). Tra le comunità maghrebine quella
marocchina rappresenta anche nell’ultima regolarizzazione la più numerosa (con circa 4 mila
domande di regolarizzazione), seguita da quella algerina (circa 2.600 domande) e poi da quella
tunisina (con circa 800).
Dall’andamento delle presenze regolari emerge dunque che la Campania registra ancora oggi, agli
inizi degli anni 2000, un alto numero di arrivi ma, di contro, anche un’elevata percentuale di
partenze da parte di stranieri maghrebini che, presumibilmente, dopo aver regolarizzato la propria
posizione, si trasferiscono nel nord Italia in cerca di situazioni lavorative e sociali più stabili e
garantite. Pertanto, se è vero che – come in più occasioni è stato ribadito - questa regione del sud
del paese si connota sempre più - rispetto al passato - come area di insediamento, si tratta in diversi
casi di un insediamento di durata limitata. In altri termini, questa regione offre agli immigrati
appena giunti la possibilità di risolvere in breve tempo, seppur in maniera precaria, il problema del
lavoro e dell’alloggio, soprattutto grazie alla reti comunitarie. Tuttavia, a tali possibilità possono
contrapporsi difficoltà estreme di trovare un reale inserimento lavorativo e sociale per quanti
decidono di prolungare la permanenza.
In riferimento alla distribuzione territoriale dell’immigrazione maghrebina nella regione va riferito
in primo luogo che i principali poli attrattivi sono stati rappresentati dalle tre province costiere, con
una forte prevalenza di Napoli e Caserta. Le due province interne, Avellino e Benevento, hanno
sempre registrato una presenza in generale di immigrati molto poco rilevante, tanto che nei primi
studi sull’immigrazione in Campania venivano considerate come aree “non di immigrazione” 2 .
Tuttavia a partire dalla seconda metà degli anni ’90 tale fenomeno sta subendo un’evoluzione e la
presenza appare ormai molto più distribuita sull’intero territorio regionale.
Secondo i dati del Ministero dell’Interno, i cittadini provenienti dall’Algeria, Marocco e Tunisia,
soggiornanti in Campania al 31 dicembre 2001, risultavano essere 11.059 (tab.2), grandezza
corrispondente circa al 5 per cento della popolazione maghrebina soggiornante in Italia.
2
Pugliese E. (a cura di) 1996, Gli immigrati extra-comunitari in Campania: inserimento lavorativo ed entità della
presenza regolare ed irregolare, Università degli Studi di Napoli, Federico II, p. 171.
2
tab.2-Soggiornanti maghrebini per motivo del permesso di soggiorno - Anno 2001 v.a.
Lavoro Lavoro Ricerca Sponsor Umanit.
dipend. auton. lavoro
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Campania
157 133
12
141
42
4
1.622 579
57
2.665 364 1.195
1.154 514
263
5.739 1.632 1.531
Altri
Asilo Rich.
Resi Reli
Ado Affida Protez. Tempo
TOTALE
lavoro Umanit. politico asilo Famiglia denza gione Studio zione mento collabor. ranei
2
21
11
15
17
66
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
233
125
385
785
502
2.030
0
0
1
3
0
4
0
0
0
1
0
1
1
0
0
3
3
7
0
0
0
0
7
7
3
0
0
4
4
11
0
0
0
0
0
0
1
542
3
336
5 2.660
18 5.053
4 2.468
31 11.059
Fonte: Elab. Caritas/Dossier Statistico su dati del Ministero dell'Interno
Di essi la comunità più numerosa è quella marocchina, con 5.961 cittadini, , pari al 3,8% del totale
della presenza marocchina regolare in Italia. Di essi la quota più elevata si trova nella provincia di
Napoli, con 2.198 presenze che rappresentano il 36,9% del totale dei marocchini soggiornanti nella
regione (tab.3). Consistente è anche la presenza nelle province di Salerno e di Caserta,
rispettivamente con 1.81 e 1.277 marocchini (30,2% e 21,4% i valori percentuali). Nelle province di
Avellino e di Benevento invece, si registra la presenza più ridotta, con 455 e 230 cittadini
soggiornanti, che rappresentano rispettivamente il 7,6 e il 3,8 per cento del totale dei marocchini
regolari in Campania
tab.3 - Soggiornanti marocchini per motivo del permesso di soggiorno - Anno 2001 v.a.
Lavoro Lavoro Ricerca Sponsoriz Umanit. Altri Asilo Rich.
Resi Reli
Ado Affida Protez. Tempo
TOTALE
dipend. auton. Lavoro zazioni lavoro umanit. politico asilo Famiglia denza gione Studio zione mento collabor. ranei
Avellino
105 130
9
1
0
0
0
0
205
Benevento
74
38
2
19
0
0
0
0
97
Caserta
546 500
19
0
0
0
0
0
209
Napoli
1.017 168 636
0
0
0
0
0
363
Salerno
744 497 189
14
0
0
0
0
340
Campania 2.486 1.333 855
34
0
0
0
0 1.214
Fonte: Elab. Caritas/Dossier Statistico su dati del Ministero dell'Interno
0
0
1
3
0
4
0
0
0
0
0
0
1
0
0
0
2
3
0
0
0
0
7
7
3
0
0
3
4
10
0
0
0
0
0
0
1
0
2
8
4
15
455
230
1.277
2.198
1.801
5.961
Disaggregando i totali in base al motivo della presenza vediamo che la ragione più diffusa per la
quale i marocchini hanno richiesto ed ottenuto un permesso di soggiorno riguarda il lavoro (oltre il
77% ha un permesso di soggiorno per motivi di lavoro), infatti 2.486 permessi di soggiorno, pari al
41,7% del totale delle presenze regolari in Campania, sono stati rilasciati per lavoro dipendente,
1.333 per lavoro autonomo, pari al 22,4%, e 855, corrispondente al 14,3%, per la ricerca di un
impiego. Comunque consistente è la quota di permessi di soggiorno rilasciati per motivi familiari.
Essi infatti risultano essere 1.214, pertanto quasi un permesso su cinque è stato rilasciato ad un
cittadino marocchino – o a una cittadina marocchina - per questo particolare motivo.
Nella sola provincia di Napoli i permessi per lavoro subordinato sono 1.017, il 46,3% del totale dei
permessi rilasciati in questa area. Sempre a Napoli si registra una discreta presenza di permessi per
ricerca di lavoro e di permessi per motivi familiari (rispettivamente 636 e 363 titoli di soggiorno
corrispondenti al 28,9% e al 16,5% del totale dei marocchini regolarmente presenti nel napoletano).
Infine, i lavoratori autonomi regolarmente soggiornanti in questo territorio risultano essere in
numero alquanto ridotto, si tratta di soli 168 marocchini, con un’incidenza del 7,6% sui permessi
rilasciati a Napoli e provincia.
In merito alla presenza marocchina nelle province di Salerno e di Caserta, vediamo che anche in
questi due contesti territoriali il lavoro dipendente costituisce il motivo principale di ingresso
regolare per i cittadini provenienti dal Marocco. Nel Salernitano figurano infatti 744 permessi di
3
soggiorno rilasciati a lavoratori dipendenti, che corrispondono al 41,3% del totale dei titoli di
soggiorno concessi in questa provincia. Inferiore è invece il numero di quanti hanno dichiarato di
svolgere lavoro autonomo (497, pari al 27,6% dei soggiornanti in questa provincia) e di quanti sono
in cerca di lavoro (189, pari al 10,5%). Nel Casertano, invece, i lavoratori dipendenti risultano
essere 546 (42,8% di quanti hanno ottenuto un permesso in questa zona); i lavoratori autonomi sono
in numero leggermente inferiore (500 in valori assoluti, 39,2% la percentuale), mentre i marocchini
che hanno un permesso per ricerca di lavoro sono in numero decisamente ridotto, si tratta infatti di
solo 19 soggetti. Riguardo ai titoli di soggiorno concessi in queste due aree territoriali per motivi
familiari, vediamo che nel Salernitano essi risultano essere 340, dunque quasi un permesso su
cinque è di questo genere. Nella provincia di Caserta, invece, i ricongiungimenti familiari risultano
essere 209, con un’incidenza del 16,4% del totale dei permessi in questo territorio.
Per quel che riguarda le province di Avellino e Benevento, la presenza regolare marocchina è di 455
unità per la prima provincia e di 230 unità per la seconda, con un’incidenza del 7,6% e del 3,8% sul
totale dei permessi di soggiorno concessi in Campania a cittadini marocchini. Da notare è il dato
riguardante i permessi per ricongiungimento familiare nelle province di Avellino e Benevento: essi
sono rispettivamente 205 e 97, quantità in assoluto poco consistenti, ma che rappresentano
rispettivamente il 45 e il 42 per cento del totale dei permessi rilasciati in queste due province a
cittadini provenienti dal Marocco.
La seconda nazionalità per presenza in Campania tra quelle provenienti da uno stato del Maghreb è
quella algerina, che conta 2.626 cittadini soggiornanti, il 65 per cento dei quali si trova nel
napoletano (tab.4). Si tratta in netta maggioranza di persone entrate in questa regione per lavoro
dipendente: i permessi di soggiorno rilasciati con questa motivazione risultano essere infatti 1.790
in tutta la Campania, ben il 68,1% del totale. Il 60% di essi si concentra nella provincia di Napoli,
dove sono presenti 1.076 lavoratori dipendenti algerini. Sempre a Napoli i lavoratori autonomi
provenienti dall’Algeria sono 151, circa uno su dieci, mentre coloro che hanno ottenuto un
permesso di soggiorno con l’intento di cercare un’occupazione sono 346, circa uno su cinque. I
ricongiungimenti familiari per questa nazionalità, risultano essere 219 nell’intera Campania (8,3%
del totale), 133 nella sola provincia di Napoli.
tab.4 - Soggiornanti algerini per motivo del permesso di soggiorno - Anno 2001 v.a.
Lavoro Lavoro Ricerca Sponsor Umanit.
dipend. auton. lavoro
Altri
Asilo Rich.
Resi Reli
Ado Affida Protez. Tempo
lavoro umanit. politico asilo Famiglia denza gione Studio zione mento collabor.
Avellino
20
2
2
0
0
0
0
0
Benevento
25
1
0
1
0
0
0
0
Caserta
492
40
21
0
0
0
0
0
Napoli
1.076 151
346
0
0
0
0
0
Salerno
177
4
41
0
0
0
0
0
Campania 1.790 198
410
1
0
0
0
0
Fonte: Elab. Caritas/Dossier Statistico su dati del Ministero dell'Interno
8
7
41
133
30
219
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
TOTALE
ranei
0
2
2
4
0
8
32
36
596
1.710
252
2.626
La seconda provincia per presenza di soggiornanti algerini è Caserta, con 596 unità, quasi
esclusivamente presenti tra i lavoratori dipendenti (82,5%). Sempre nel Casertano, i permessi di
soggiorno per motivi familiari risultano essere in numero alquanto ridotto, si tratta infatti di 41
presenze regolari, che incidono solamente per il 6,9% sul totale dei titoli di soggiorno concessi in
quest’area.
A Salerno e provincia, invece, gli algerini sono 252, anch’essi per il 70 per cento lavoratori
dipendenti. Quasi inesistenti risultano essere i lavoratori autonomi regolarmente soggiornanti,
mentre i permessi di soggiorno per ricongiungimento familiare risultano essere 30, quasi il 12% dei
titoli di soggiorno concessi in questa provincia. Infine, molto scarsa risulta la presenza di algerini
regolarmente soggiornanti nelle province di Avellino e Benevento, dove complessivamente non si
4
superano le 60 unità, quasi esclusivamente impegnate nel lavoro dipendente.
Passiamo ora ad analizzare la presenza tunisina nelle varie province campane (tab.5). Essi risultano
essere 2.472, dei quali poco meno della metà si trova nella sola provincia di Napoli. Nel Casertano,
invece, i soggiornanti tunisini sono 787, entità che rappresenta il 31,8% del totale di dei permessi in
Campania concessi a cittadini provenienti da questa nazione del Maghreb, mentre a Salerno e
provincia essi sono 415, corrispondenti al 16,8% dei tunisini soggiornanti in Campania.
Consideriamo ora la presenza regolare di tunisini nelle province di Avellino e di Benevento. Anche
in queste due aree territoriali la presenza regolare di persone provenienti dalla Tunisia è
relativamente poco consistente. Si tratta di 55 unità nell’Avellinese, corrispondenti a poco più del 2
per cento della presenza complessiva di tunisini soggiornanti in Campania, e di 70 unità nel
Beneventano, grandezza che incide per poco meno del 3% sul totale qui considerato.
tab.5 - Soggiornanti tunisini per motivo del permesso di soggiorno - Anno 2001 v.a.
Lavoro Lavoro Ricerca Sponsor Umanit.
dipend. auton. lavoro
Altri
Asilo Rich.
Resi Reli
Ado Affida Protez. Tempo
Totale
lavoro umanit. politico asilo Famiglia denza gione Studio zione mento collabor. ranei
Avellino
32
1
1
1
0
0
0
0
20
0
0
0
0
0
0
0
55
Benevento
42
3
2
1
0
0
0
0
21
0
0
0
0
0
0
1
70
Caserta
584
39
17
11
0
0
0
0
135
0
0
0
0
0
0
1
787
Napoli
572
45
213
15
0
0
0
0
289
0
1
3
0
1
0
6
1.145
Salerno
233
13
33
3
0
0
0
0
132
0
0
1
0
0
0
0
415
1.463
101
266
31
0
0
0
0
597
0
1
4
0
1
0
8
2.472
Campania
Fonte: Elab. Caritas/Dossier Statistico su dati del Ministero dell'Interno
Vediamo ora quali sono i motivi per i quali i cittadini tunisini che vivono in Campania hanno
ottenuto il permesso di soggiorno. Ancora una volta il motivo prevalente risulta essere quello
lavorativo, con quasi il 60 per cento di permessi per lavoro dipendente e con poco più del 10 per
cento di permessi per ricerca di lavoro in tutta la regione. In particolare, mentre a Napoli e provincia
un ingresso regolare su due è stato motivato con l’occupazione dipendente, a Caserta l’entità dei
tunisini impegnati in lavori subordinati è di poco superiore a quella di quanti sono presenti nella
provincia di Napoli per lo stesso motivo. Si tratta infatti di 584 lavoratori nel Casertano e di 572 nel
napoletano. Non trascurabile è comunque la quota di permessi per ricongiungimento familiare: le
presenze in Campania per questo particolare motivo sono 597 mentre nella sola Napoli esse sono
289. In definitiva, circa un permesso su quattro tra quelli ottenuti da tunisini nella provincia di
Napoli e nell’intera Campania ha avuto questa motivazione.
Sia nella provincia di Caserta che nel Salernitano le presenze regolari dovute ai ricongiungimenti
familiari sono poco più di 130, differente è invece l’incidenza che queste quantità hanno sul totale
delle presenze regolari nelle rispettive province: mentre a Caserta i permessi per motivi familiari
sono il 17,2% del totale dei titoli di soggiorno in questa provincia, a Salerno questa percentuale sale
al 31,8% delle presenze regolari nell’area considerata. I ricongiungimenti familiari nelle province di
Avellino e di Benevento sono comprensibilmente in assoluto poco consistenti, contando ciascuna
provincia circa 20 permessi, tuttavia, la loro incidenza sul totale delle presenze regolari di tunisini
in queste zone è superiore al 30-35%.
Del tutto irrisoria appare la presenza di cittadini libici con 15 unità soggiornanti, di cui 9 nella
provincia di Napoli, 5 nel Salernitano ed uno solo nella provincia di Caserta; il cui motivo
prevalente della presenza è rappresentato dal ricongiungimento familiare, per il quale sono presenti
5 soggiornanti, 3 nella sola provincia di Napoli. Per il resto si tratta di 4 presenze di soggetti dotati
di permessi temporanei, equamente distribuiti tra Napoli e Salerno, e di 5 soggetti presenti per
motivi di carattere lavorativo – sia dipendente, sia autonomo, sia per ricerca di lavoro.
5
1.2. Fattori di contesto e principali caratteristiche
Vediamo ora, al di là delle statistiche e delle fonti ufficiali, alcune specificità della presenza della
popolazione maghrebina così come sono state riferite da alcuni osservatori privilegiati del
fenomeno nelle diverse aree provinciali, a partire dalla composizione e dalle caratteristiche che
questa comunità presenta nel capoluogo di regione.
In riferimento al profilo socio-demografico degli immigrati maghrebini in Campania va sottolineato
che si tratta in prevalenza di un’immigrazione ancora maschile di età compresa prevalentemente tra
i 20 e i 40 anni, con differenze significative all’interno delle tre comunità nazionali considerate. Per
quel che riguarda i marocchini in primo luogo la fascia di età si estende molto di più essendovi sia
una presenza di uomini anche anziani, sia di minori, in parte adolescenti non accompagnati. I
tunisini sono generalmente più giovani, ma comunque maggiorenni, così come gli algerini.
La presenza di donne, in gran parte al seguito degli uomini, è ancora una realtà contenuta nella
regione, quasi del tutto assenti tra gli algerini, e poche sono, quindi, le famiglie come si vedrà nel
paragrafo successivo, anche se negli ultimi tempi sta cominciando ad osservarsi un qualche segnale
in controtendenza.
Se consideriamo i livelli di istruzione degli immigrati maghrebini presenti sul territorio, va
sottolineato che la prima generazione di immigrati era composta, in buona parte, da individui dotati
di livelli di istruzione medio-alti, in genere studenti o persone che, avendo finito il loro corso di
studi non avevano trovato lavori adeguati nel loro paese. In molti casi, tuttavia, l’arrivo in
Campania non è stato seguito dall’occupazione lavorativa in settori adeguati alle competenze
professionali possedute nel proprio paese.
I flussi più recenti sono composti in maggioranza da persone che hanno livelli di istruzione mediobassi. La maggioranza ha conseguito il diploma di scuola media, piccole percentuali sono in
possesso del diploma di scuola superiore e pochissimi la laurea. Alcuni hanno frequentato la scuola
coranica, istruzione non riconosciuta in Europa perché basata essenzialmente sullo studio del
Corano e della lingua araba. Inoltre, nel considerare i livelli di istruzione è importante tener
presente che la maggioranza dei maghrebini presenti in questa zona proviene da regioni agricole. La
bassa scolarizzazione pregressa, secondo l’opinione di alcuni testimoni maghrebini ascoltati, spesso
ma non necessariamente, influenza negativamente la capacità di apprendere la lingua italiana anche
per quanti sono in Italia da molti anni. Ciò comporta grandi difficoltà di inserimento, di
comprensione e di espressione. Questo è un elemento che gioca un ruolo importante rispetto alla
loro più generale integrazione. Alcuni marocchini, di fatti, si limitano ad apprendere un vocabolario
molto ristretto che serve loro essenzialmente per svolgere la propria attività lavorativa. Nonostante
tale scarsa abilità dimostrata, alcuni testimoni, operatori del terzo settore attivi nel campo
dell’immigrazione ritengono che essi abbiano un’alta capacità comunicativa. Da parte loro c’è,
inoltre, una forte richiesta di alfabetizzazione in italiano alla quale cercano di rispondere alcune
associazioni o sindacati. Ciò anche perché i maghrebini, sostiene un testimone privilegiato, sono
generalmente consapevoli che una buona conoscenza della lingua italiana facilita la ricerca di
opportunità lavorative migliori.
In provincia di Napoli ai 5 mila soggiornanti nel 2002 vanno ad aggiungersi circa 2.500 maghrebini
che si sono regolarizzati nel corso del 2003, anche se molti di essi probabilmente hanno già lasciato
la Campania. Sebbene i maghrebini siano la comunità straniera più numerosa in provincia di Napoli
come nel resto della regione, in città essi rappresentano una realtà relativamente più contenuta
rispetto ad altre, nel complesso essa è stata stimata in poche migliaia di unità. I residenti (alla fine
del 2003) nel Comune di Napoli provenienti da paesi maghrebini sono in totale 906. Più nello
specifico 341 sono di nazionalità algerina, 150 di nazionalità marocchina e 415 sono originari della
Tunisia.
Sebbene i maghrebini residenti, o comunque coloro che abitano in città, siano una minoranza
rispetto a coloro che abitano nel resto della provincia (circa il 20%), Napoli è vissuta durante il
giorno da migliaia di marocchini, tunisini e algerini per i motivi più diversi.
6
La comunità di più antico insediamento in città tra quelle nordafricane è quella dei marocchini,
relativamente consistente già nella seconda metà degli anni Settanta, seguita da quella tunisina,
mentre solo negli anni Novanta si è intensificata la presenza algerina per le vicende politicoreligiose che hanno interessato quel paese. Un testimone definisce Napoli come “il quartier
generale di tutta l’Italia, un centro di smistamento, tutti gli immigrati passano prima per Napoli”
riferendosi, evidentemente, al carattere attrattivo che il capoluogo campano esercita su migliaia di
immigrati provenienti dai più svariati contesti geografici.
Piazza Garibaldi - sede della Stazione Centrale di Napoli - ed i suoi estesi dintorni, è divenuta con
gli anni un punto di riferimento per numerose comunità immigrate presenti a Napoli, tra cui quella
maghrebina. Essa rappresenta, per certi versi, il cuore dell’intera città e, in senso più generale,
dell’intero territorio provinciale. A piazza Garibaldi, tra l’altro è presente lo stazionamento delle
linee di autobus intraregionali che permettono di raggiungere luoghi di vita e di lavoro ubicati in
zone periferiche o in altre province della regione; inoltre nei pressi della stazione arrivano e partono
gli autobus che provengono e conducono in diversi paesi dell’Est Europa e del Nord Africa. Piazza
Garibaldi è il luogo dove si incontrano una domanda ed una offerta di lavoro che non vengono
convogliate in canali ufficiali, non solo per le attività lavorative che si svolgono in questa zona ma
anche nell’intero territorio comunale, così come nel resto della provincia. Per di più, quest’area
rappresenta il principale luogo di incontro, e di aggregazione, soprattutto per quelle comunità che
non dispongono di spazi adeguati dove trascorrere il proprio tempo libero. Gli immigrati presenti a
Napoli si recano frequentemente in questa zona dove si concentra la maggioranza degli esercizi
commerciali etnici che forniscono servizi (come ad esempio i Phone center) e prodotti provenienti
dai propri paesi di origine.
Le strade che circondano piazza Garibaldi sono luoghi di attrazione anche per un certo numero di
maghrebini che sono scivolati in percorsi di marginalità sociale. Non è difficile per gli immigrati
incontrare difficoltà nel loro percorso migratorio, legate alla precarietà dell’occupazione o, più in
genere, alla difficoltà nel tollerare le conseguenze dell’indebolirsi dei legami sociali comunitari,
connesse all’esperienza migratoria. Ciò può indurre ad entrare in circuiti illegali (piccolo spaccio o
piccoli furti), a vivere fenomeni di disagio psichico e a sviluppare dipendenza da alcool o sostanze
stupefacenti. Molti di questi maghrebini trascorrono la maggior parte del loro tempo per strada,
all’interno e all’esterno dei bar e dei ristoranti maghrebini, delle moschee dei dintorni di piazza
Garibaldi, delle aree più nascoste della stazione dove spesso trascorrono anche la notte. Un
imprenditore marocchino ascoltato ritiene che la facilità con la quale i maghrebini cadono nelle
maglie della criminalità in questa città sono dovute, in parte, all’assenza di strutture di prima
accoglienza necessarie nei primissimi giorni successivi all’arrivo in città, e di strutture di
orientamento al lavoro che, andando al di là del precario passaparola, contribuirebbero molto a
“togliere la gente dalla strada” e a frenare la delinquenza.
Per quel che riguarda la presenza di maghrebini nei comuni della provincia di Napoli, se ne registra
una consistenza decisamente superiore rispetto alla metropoli. In particolare i nordafricani risiedono
nella grande maggioranza dei casi nell'area vesuviana (Boscoreale, Terzigno, Scafati,
Poggiomarino, S.Giuseppe Vesuviano, Pomigliano, Marigliano, Somma) o nell’area a nord di
Napoli (Giugliano, Qualiano, Melito, Afragola, Acerra, Casoria, Arzano, Caivano, Frattamaggiore).
Una delle condizioni favorevoli all’insediamento in alcuni di questi comuni è la posizione
geografica che li pone al centro di snodi ferroviari che consentono di collegare queste zone sia con
Napoli sia con la zona di Sarno e di Salerno e di Caserta. Ciò consente una buona mobilità
territoriale a basso costo agli immigrati che commerciano o che lavorano nell’agricoltura i quali, nei
primi tempi del loro arrivo, non dispongono di automobili proprie. Riguardo alla composizione
demografica, si tratta anche in questi comuni di una popolazione prevalentemente maschile, anche
se negli ultimi tempi si registra un aumento dei ricongiungimenti familiari. La nazione di
provenienza più frequente è il Marocco, mentre leggermente inferiore è la presenza di tunisini ed
algerini.
La provincia di Caserta, dopo quella di Napoli, è il territorio regionale maggiormente interessato
7
dall’immigrazione straniera. In essa vi sono circa 16.000 stranieri regolarmente soggiornanti mentre
altri 14.900 hanno fatto richiesta di regolarizzazione nell’anno 2002, tra questi i maghrebini
rappresentano una buona percentuale.
Come nelle altre province, sono stati i marocchini i primi protagonisti dell’immigrazione
maghrebina a Caserta già a partire dagli anni Settanta. Un elemento che si riscontra in tutte le
diverse aree della regione - e che rappresenta un aspetto che ancora oggi caratterizza buona parte
del lavoro dei marocchini che vivono in Campania - è il fatto che l’attività cui si dedicano in
prevalenza è il commercio ambulante. Tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta un’altra attività che è
risultata molto redditizia per queste nazionalità è stata la vendita di sigarette di contrabbando, oggi
quasi completamente abbandonata.
Nella seconda metà degli anni Ottanta il numero dei tunisini raggiunge quello dei marocchini già
insediati in questa provincia. Questi ultimi, rispetto ai marocchini, meno una vocazione
commerciale, essi, di fatti, si impiegano in questi anni nelle piantagioni e, più in generale, si
dedicano a lavori concentrati nel settore agricolo. Gli algerini sono gli ultimi a stabilirsi in questa
zona. I primi arrivi si registrano intorno ai primi anni ’90 quando scoppiano i disordini politicoreligiosi nel paese. Gli algerini, come i tunisini, si impiegano in prevalenza nel settore agricolo ed in
quello edile. Per molti di loro l’Italia - ed in modo specifico la Campania ed il Casertano - era
considerata come puramente una tappa intermedia del loro percorso migratorio che prevedeva la
stabilizzazione definitiva in Francia, paese con il quale sono presenti ancora legami sociali e
culturali derivati dall’esperienza coloniale. Tuttavia, le politiche di chiusura delle frontiere attuate
nelle nazioni d’oltralpe hanno reso difficile per molti la realizzazione di questo progetto.
Come nelle altre province campane, l’immigrazione maghrebina si connota per un forte
radicamento nelle frazioni periferiche e nei piccoli comuni piuttosto che in quelle metropolitane. Il
tipo di insediamento dei maghrebini è in parte legato ai lavori che svolgono, e in modo particolare a
quello nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia. I maghrebini risiedono prevalentemente nell’area
dell’agro aversano e del Litorale Domitio: Aversa, S. Marcellino, Succivo, Parete, Orte di Atella,
Maddaloni, Marcianise, Capua, Villa Literno, Mondragone, Licola, Casal di Principe etc. La loro
presenza numerica è più o meno costante nel corso del tempo, ma si tratta di un’immigrazione
ancora caratterizzata da una certa mobilità se si considerano i singoli individui. Chi ha ottenuto il
permesso di soggiorno in molti casi è andato nelle regioni del nord in cerca di sistemazioni
lavorative ed abitative più adeguate.
Nella provincia di Salerno la componente più rilevante della popolazione di origine straniera nel
Salernitano sarebbe composta proprio dai maghrebini, tra i quali i marocchini rappresentano la
nazionalità più folta. Nel centro urbano di Salerno non ci sono grandi concentrazioni di immigrati,
le zone più densamente abitate per le possibilità lavorative offerte nel settore agricolo, sono la Piana
del Sele (ovvero i Comuni a sud di Salerno: Agropoli, Capaccio, Battipaglia, Eboli, Albanella,
Bellizzi) e l’agro nocerino-sarnese che comprende i comuni che si situano nella zona settentrionale
della provincia salernitana: Sarno, Nocera, Pagani, Angri, S. Valentino. In misura minore si registra
un’intensificarsi di flussi migratori stagionali nei mesi estivi diretti verso il Vallo di Diano ed il
Golfo di Policastro quando c’è una forte richiesta di lavoratori negli stabilimenti balneari, nei
servizi alberghieri e di ristorazione.
L’immigrazione proveniente dal Maghreb inizia a farsi più visibile - in questo territorio come nel
resto della regione - nella seconda metà degli anni ’80 quando iniziano a notarsi - soprattutto nei
piccoli centri del Cilento - i primi immigrati, in quegli anni prevalentemente marocchini dediti al
commercio ambulante. Fino all’entrata in vigore della nuova normativa in materia di immigrazione,
e del provvedimento di emersione del lavoro immigrato irregolare, secondo i testimoni ascoltati,
l’80% dei maghrebini risiedeva in questa provincia in condizioni di irregolarità. In tale occasione,
secondo quanto riportato da un testimone privilegiato, sono state presentate dai maghrebini circa 6700 domande di regolarizzazione per lavoro subordinato nel solo settore agricolo, molti sono
comunque coloro che non sono riusciti a presentare domanda di regolarizzazione.
Nella provincia di Avellino, ed in Irpinia in particolare, la presenza di immigrati non ha l’entità
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delle aree metropolitane, ma presenta alcune peculiarità.
Si tratta in prevalenza proprio di comunità di marocchini e tunisini la cui consistenza numerica è
stimata intorno alle 300 unità tra regolari e quanti sono in attesa di regolarizzazione. Questo numero
indica i capifamiglia, pertanto è opportuno moltiplicarlo in ragione della presenza femminile e dei
minori che, per quanto contenuta, non va comunque sottovalutata. Si può dire che circa il 50% della
cifra indicata è costituito da capifamiglia, un ulteriore 50% dei restanti ha chiesto il
ricongiungimento familiare, il resto sono giovani celibi. Inoltre, il possesso del titolo di soggiorno
sembra essere la norma, molti di essi posseggono anche la Carta di soggiorno ed hanno
regolarizzato altri connazionali attraverso il meccanismo della prestazione di garanzia previsto dalla
legge Turco- Napolitano o attraverso le assunzioni.
L’immigrazione maghrebina in provincia di Benevento ha avuto un incremento a partire dalla fine
degli anni Ottanta, anche se presenze alquanto sporadiche sono state osservate già negli anni
Settanta. Si trattava di una popolazione costituita quasi esclusivamente da uomini giovani anche se
non giovanissimi, dotati di titoli di studio medio alti, diploma e frequenza di qualche anno di
università. Alcuni di essi sono entrati in Italia come studenti ma hanno continuato la loro
permanenza come lavoratori dopo aver abbandonato gli studi. A partire da questi primi arrivi ha
preso vita una catena migratoria che ha richiamato dapprima altri lavoratori e in seguito i familiari.
L’effetto spinta che ha stimolato l’emigrazione dai paesi del Maghreb è stato tra l’altro rafforzato
dal successo economico mostrato in patria da quanti si sono stabiliti in questa zona. Negli ultimi
anni, il flusso di maghrebini che giungono in questa provincia si è mantenuto costante nonostante il
rafforzarsi della chiusura delle frontiere, ciò ha alimentato, secondo diversi interlocutori, i guadagni
di organizzazioni che favoriscono l’immigrazione clandestina fornendo documenti falsi ai nuovi
arrivati o a coloro che sono rimasti fuori dal provvedimento di regolarizzazione. Per quanto
concerne la loro distribuzione territoriale, sono presenti maggiormente nelle aree agricole più
ricche, ad esempio la zona di Telese.
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2 .Immigrazione e famiglia
2.1. Ricongiungimenti familiari
Riguardo alla composizione demografica, si tratta anche in questi comuni di una popolazione
prevalentemente maschile, anche se negli ultimi tempi si registra un aumento dei ricongiungimenti
familiari. La nazione di provenienza più frequente è il Marocco, mentre leggermente inferiore è la
presenza di tunisini ed algerini.
Nella maggior parte dei casi, infatti, gli uomini maghrebini, anche se coniugati, giungono in Italia
da soli, lasciando la famiglia nel paese di origine, e ciò probabilmente perché, sostiene un
intervistato, “è più facile accettare le dure condizioni di vita che si provano durante l’esperienza
migratoria senza i propri familiari”. Ma anche perché trattandosi di paesi del bacino mediterraneo,
sono frequenti i ritorni al paese di origine.
Quella maghrebina pare quindi connotarsi nella regione ancora come un’immigrazione individuale,
dunque non familiare, e maschile 3 .
Le donne laddove sono presenti, compaiono solo in uno stadio successivo, di maturazione e di
stabilizzazione delle componenti maschili, secondo gli schemi tradizionali delle emigrazioni
europee, di per sé poco applicabili alle altre comunità di immigrati presenti in Campania.
La componente femminile può essere stimata tra il 15 e il 20% del totale dei maghrebini. Anche
nell’ultima regolarizzazione le donne maghrebine rappresentano circa il 5% del totale dei
maghrebini che si sono regolarizzati, mentre nel complesso della regolarizzazione le donne
rappresentano in Campania più della metà del totale dei regolarizzati.
Laddove sono presenti, le donne sono generalmente poco visibili. Infatti esse vivono con i propri
mariti e tendono ad uscire poco, a vivere molto in casa, e in alcuni casi estremi escono solo se
accompagnate dai coniugi; inoltre non sempre fanno parte della popolazione attiva del mercato del
lavoro, si collocano molto spesso al di fuori di esso, in conseguenza ad una scelta familiare che le
vede soprattutto come madri e mogli.
I ricongiungimenti familiari riguardano, alla fine del 2001, circa il 18% del totale dei maghrebini
soggiornanti nella regione, a fronte di una media nazionale tra i maghrebini del 28% e di una media
regionale dei ricongiungimenti sul totale dei soggiornanti del 32%. Una incidenza maggiore dei
ricongiungimenti vi è tra i tunisini (24%) e in secondo luogo tra i marocchini (20%), mentre è
decisamente minore tra gli algerini (8%).
I maghrebini, a detta dei testimoni, prima di chiedere il ricongiungimento con la propria famiglia,
preferiscono assicurarsi di avere una situazione economica abbastanza stabile, un lavoro non del
tutto precario, una “casa presentabile”, vogliono esseri sicuri di poter mantenere la famiglia
evitando alle propri consorti di lavorare durante l’esperienza migratoria. Nel caso in cui manchino
tali premesse rimandano nel tempo il ricongiungimento con propri familiari.
Nonostante il fatto che ancora oggi la presenza femminile tra i nordafricani sia da considerarsi
esigua, se confrontata con altre comunità in Campania o con il dato dei maghrebini nel contesto
nazionale, va evidenziato che essa appare decisamente più numerosa rispetto agli anni passati per
effetto proprio dei ricongiungimenti familiari, soprattutto tra i tunisini, avvenuti in particolare con la
regolarizzazione del 1998. I tunisini, secondo quanto riportato da un testimone di questa nazionalità,
hanno maggiori difficoltà ad accettare di essere lontani dalla propria famiglia rispetto ai marocchini
o agli algerini. Di fatti, si può parlare di processo di stabilizzazione soprattutto per i primi. I
marocchini tendono ancora oggi ad essere molto mobili sul territorio così come gli algerini.
Il numero esiguo delle donne sembra essere dovuto non solo alle difficoltà da parte degli immigrati
di dimostrare il possesso delle condizioni abitative e di reddito necessarie per poter chiedere il
ricongiungimento familiare, ma anche al fatto che il progetto migratorio di molti, pur essendosi
protratto per numerosi anni in Italia, prevede quasi sempre un ritorno definitivo nel proprio paese, e
3
. A proposito del carattere individuale, più di un testimone ascoltato, ha ritenuto importante sottolineare che,
nonostante le apparenze, pur essendo un’immigrazione prevalentemente individuale, è attivo un sistema di catene di
richiamo che rende le loro comunità molto coese non solo entro i confini del gruppo che vive in questa regione, ma
anche rispetto a quanti sono rimasti nei paesi d’origine.
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durante l’esperienza migratoria l’alternanza di lunghi periodi in Italia con altrettanti nel paese di
origine, soprattutto per coloro che svolgono lavoro autonomo.
Le donne maghrebine, nei pochi casi in cui lavorano o laddove sono giunte da sole in Campania,
sono impiegate solitamente nel settore domestico ad ore. A detta di testimoni ascoltati non risultano
occupate in altre attività, anche se è stato riferito di un’esperienza nell’Aversano, in provincia di
Caserta, dove nella seconda metà degli anni Novanta c’erano diverse donne marocchine che
lavoravano in piccole imprese manifatturiere di scarpe in condizioni di irregolarità. Molte di esse
erano imparentate tra di loro, chi per prima era arrivata aveva richiamato altre parenti o conoscenti
dal paese. Con la sanatoria alla fine degli anni Novanta esse hanno regolarizzato il proprio
soggiorno e, subito dopo, si sono trasferite in regioni del nord Italia.
Esistono infatti, per quanto minoritari, casi di donne marocchine che hanno iniziato il loro percorso
migratorio in perfetta autonomia e non al seguito del marito, del padre o di un qualunque altro
familiare maschio né sono giunte in Europa per ricongiungimento familiare. Esse sono state portate
ad intraprendere la migrazione per la forte disoccupazione che il Marocco sta subendo fin dalla sua
indipendenza. In questi casi l’Italia non è quasi mai il primo paese d’approdo, molte di esse sono
reduci da esperienze migratorie in Tunisia, nelle altre nazioni europee o hanno dapprima vissuto il
trasferimento dalle campagne ai grossi centri urbani in Marocco. Da ciò ci deduce anche il fatto che
le migranti marocchine hanno avviato i loro progetti migratori quando erano ancora molto giovani.
Alcune di esse, infatti, hanno lasciato il Marocco da più di dieci anni e, dopo aver trascorso un
pochi anni in diversi altri paesi, si sono stabilizzate in Italia. Alcune tappe importanti nella vita di
queste donne - come il matrimonio e la maternità - sono dunque avvenute durante l’esperienza
migratoria.
L’inserimento nel mercato del lavoro sembra costituire, per le donne giunte sole, il motivo
principale di questo tipo di migrazione femminile marocchina. Le donne arabe vivono le esperienze
significative della loro vita di donne in forte solidarietà. Da questo punto di vista, quando la
maternità viene vissuta nella migrazione si ha un po’ una rifunzionalizzazione di questa rete
femminile, alla quale partecipano prevalentemente altre marocchine, tuttavia, in questa rete si sono
inserite anche donne tunisine e talvolta anche donne italiane.
2.2 Matrimoni misti e cittadinanza
In tutta la regione, ma in misura più spiccata nelle province di Caserta e Napoli, si registra un
aumento del numero sia di coppie di fatto che di matrimoni tra immigrati maghrebini e dell’est
Europa, provenienti in modo particolare dalla Polonia, dall’Ucraina, dalla Russia. Si parla
essenzialmente di uomini provenienti dai paesi del Maghreb e di donne provenienti dai paesi
dell’Europa orientale essendo le comunità nordafricane composte in misura preponderante di
uomini, viceversa l’immigrazione dall’est ha un volto ancora prevalentemente femminile. In un
numero molto più limitato di casi si riscontrano unioni con donne italiane. In generale dalle
interviste risulta che la maggioranza di queste coppie, soprattutto in presenza di bambini, incontrano
molte difficoltà che derivano dalla diffidenza da parte delle rispettive famiglie ad accettare tale tipo
di unione, dalla differenza culturale ed ancor più religiosa, dalle diverse concezioni dell’educazione
dei figli. Tali contrasti si rivelano più acuti all’interno di coppie formate da uomini maghrebini con
donne italiane. Un testimone tunisino ha riscontrato più somiglianze nella concezione dei rapporti
uomo-donna tra i paesi dell’est e quelli arabi rispetto a quella condivisa in Italia. C’è anche un altro
aspetto alla base di tali unioni: in una coppia composta da persone di diversa nazionalità, entrambe
immigrate in Italia, prevarrebbe un sentimento di solidarietà e di complicità con il coniuge che dà
una forte motivazione a rimanere uniti per riuscire a superare tutte le difficoltà che derivano dal
vivere in un paese straniero.
La seconda generazione nata da queste coppie miste è ancora giovanissima, si tratta di bambini che
hanno pochissimi anni di vita. Per tale motivo nessun testimone ha saputo valutare il loro tipo di
11
integrazione in Italia soprattutto rispetto al mantenimento delle identità culturali di entrambi i
genitori.
2.3 I minori stranieri e l’inserimento nelle scuole
I ricongiungimenti familiari, seppur contenuti, hanno consentito una leggera modifica del volto
dell’immigrazione maghrebina all’interno della quale la componente femminile e quella minorile
hanno iniziato ad essere più rilevanti. Nonostante tale evoluzione, il numero dei nuclei familiari
composti da genitori entrambi provenienti dai tre paesi del Maghreb è rimasto molto esiguo in tutte
le province della regione Campania. A tal proposito si deve ancora una volta far riferimento agli
elementi che continuano a caratterizzare quest’area del sud Italia come una zona in cui si registrano
molti “primi arrivi” ma anche molte partenze. Coloro che sono riusciti a regolarizzare la propria
posizione in Italia, in alcuni casi, si sono trasferiti al nord prima ancora di richiedere il
ricongiungimento familiare. Nei centri del nord Italia una diversa struttura del sistema produttivo,
economico ed occupazionale consente agli immigrati più possibilità di trovare lavori con contratti
regolari e situazioni abitative, sia pure molto più costose di quelle offerte dal mercato delle
abitazioni campano, che hanno tutti i requisiti necessari per ottenere il certificato di idoneità
igenico-sanitaria funzionale all’espletamento della procedura di ricongiungimento.
In merito alla consistenza della presenza di minori, disponiamo di dati più precisi solo per quanto
concerne il Comune di Napoli.
I minori provenienti dal Maghreb residenti nel Comune di Napoli nel 2003 sono 122, di cui 37
provenienti dall’Algeria, 25 dal Marocco e 60 dalla Tunisia. Dei 37 algerini, 25 hanno meno di 6
anni, 9 hanno un’età compresa tra i 6 ed i 14 anni e 3 hanno 15 anni o più. I minori marocchini
hanno meno di 6 anni in 6 casi, meno di 14 in 15 casi e 4 hanno tra i 15 ed i 18 anni. Diciannove
minori tunisini hanno fino a 5 anni, 33 hanno tra i 6 ed i 14 anni, 8 hanno 15 anni o più. I bambini
algerini costituiscono il l’11 % dell’intera comunità presente a Napoli e l’1,8 % dei minori stranieri
residenti. I minori di origine marocchina rappresentano il 17% del totale dei marocchini residenti a
Napoli e l’1,2 % dei minori stranieri che risiedono nel territorio comunale. Quelli di nazionalità
tunisina sono il 14,5% dell’intera comunità e il 3% del totale dei minori stranieri residenti. Uno
degli interlocutori segnala 5 casi di bambini dati in affidamento a famiglie italiane, figli di donne
che lavorano come prostitute, dietro pagamento di rette mensili che non si è riusciti a quantificare.
In un caso si tratta di circa 400 euro oltre le spese per alcuni prodotti alimentari come il latte.
I minori maghrebini presenti sul territorio della regione con la propria famiglia nella maggioranza
dei casi frequentano regolarmente la scuola. Alcune eccezioni possono verificarsi nei casi di minori
i cui genitori siano entrambi irregolari. Alcuni testimoni ascoltati sostengono che in tali situazioni i
genitori possono temere che l’iscrizione dei propri figli a scuola possa rappresentare una sorta di
autodenuncia, un modo per essere rintracciati dalle Forze dell’ordine che potrebbero predisporre
delle misure punitive nei loro confronti. Alcuni operatori di un’associazione che ha sede in
provincia di Caserta denunciano casi di istituti scolastici che creano delle difficoltà ad accettare
l’iscrizione di minori figli di immigrati senza permesso di soggiorno, nonostante il diritto allo studio
in Italia sia garantito anche ai figli di stranieri non in regola.
È possibile definire un quadro della presenza nordafricana nelle scuole campane a partire da una
ricerca curata dall’Irrsae Campania sulla consistenza della presenza straniera nelle scuole materne,
elementari e medie della regione per l’anno scolastico 1998-99. 4 In base a questa ricerca, basata su
un campione non probabilistico di 131 scuole statali pari a circa il 60% delle scuole campane ed
ottenuto attraverso l’invio e la restituzione di questionari autocompilati, su 1.457 alunni stranieri
segnalati 210 sono di origine magrebina. Questi risultano concentrati prevalentemente in provincia
di Caserta dove sono il 40% del totale degli alunni nordafricani nelle scuole campane che hanno
risposto al questionario ed il 20% del totale degli alunni immigrati in questo territorio. A Napoli e
provincia, invece, se gli alunni maghrebini risultano essere circa il 30% del totale degli alunni della
4
I.R.R.S.A.E. Campania, 2000, Quaderno 2000. Conoscere per accogliere.
12
stessa provenienza, essi sono solo il 7% del totale degli alunni immigrati in questa sola provincia.
Diverso è ancora il caso di Salerno sul cui territorio risulta esservi il 20% del totale degli alunni
nordafricani segnalati ed il 35% del totale degli stranieri iscritti nelle scuole di questa provincia che
hanno collaborato alla ricerca. In provincia di Benevento gli iscritti sono risultati essere solo 19 su
un totale di 63 alunni stranieri, mentre nessun dato si è reso disponibile per la provincia di Avellino,
per la mancata risposta delle scuole di questo territorio alla sollecitazione del questionario.
Da una più recente indagine condotta dal Ministero dell’Istruzione emerge che i Marocchini
rappresentano la comunità nazionale più numerosa nelle scuole della provincia di Salerno e di
Benevento dove i minori maghrebini rappresentano rispettivamente il 21% e il 34% del totale degli
alunni non italiani frequentanti 5 .
Un elemento che gioca un ruolo fondamentale nella frequenza scolastica dei bambini di origine
straniera, secondo un testimone ascoltato, è il livello di istruzione dei genitori e la valutazione
positiva che questi ultimi esprimono nei confronti del sistema scolastico; in altri termini, la
frequenza sarà regolare e l’atteggiamento dei genitori sarà collaborativo se essi ritengono che
questo possa rappresentare un elemento di integrazione importante per i propri figli e un mezzo per
garantire un futuro diverso fatto di opportunità lavorative migliori rispetto a quelle che essi hanno
avuto.
Più in generale, in tutte le interviste viene espressa una valutazione alquanto positiva
dell’inserimento dei minori maghrebini nelle scuole del territorio campano. Essi non sembrano
incontrare particolari disagi nel loro rapporto con gli istituti, con gli insegnanti e con i compagni
italiani. Ciò che emerge è che, come si verifica in altre comunità immigrate, alcuni bambini
maghrebini, soprattutto se nati in Italia o arrivati in questo paese molto piccoli, tendono a
dimenticare l’arabo o, in ogni caso, a non parlarlo più spesso neanche con i propri familiari. Questo
si verifica in modo particolare nelle famiglie in cui solo un genitore è maghrebino mentre l’altro ha
origini diverse. Per ovviare a tali situazioni alcune associazioni comunitarie o moschee hanno dato
vita a corsi di lingua araba che i minori possono frequentare in orari pomeridiani quando sono liberi
dagli impegni scolastici.
2.4. Minori non accompagnati
Non sempre la presenza dei minori maghrebini è legata alla presenza dell’intero nucleo familiare. Si
tratta, in tal caso, dei cosiddetti “minori non accompagnati” ragazzi di età spesso inferiore ai 15 anni
presenti soprattutto nelle tre province costiere: Caserta, Napoli e Salerno.
Inizialmente essi erano presenti soprattutto nella provincia di Napoli e, in particolare, nell’area
vesuviana. Negli anni novanta tale presenza è aumentata anche nella città di Napoli interessando, in
primo luogo, le zone limitrofe alla stazione centrale di piazza Garibaldi (dalla zona del porto fino a
Poggioreale), in seguito tutti i quartieri di Napoli. La loro presenza è stata stimata in poche decine
di unità nel comune di Napoli e in ogni caso inferiore alle cinquanta presenze.
Negli anni più recenti i principali anelli della catena migratoria per tali adolescenti sono stati
rappresentati da parenti o conoscenti della famiglia di origine o ancora da giovani connazionali che
hanno già sperimentato l’esperienza migratoria in Italia e che, ritornando periodicamente nel paese
di origine, suggeriscono la possibilità di elevati guadagni, censurando le difficoltà della esperienza
migratoria. Dunque, tali minori al momento dell’arrivo sanno già come muoversi, dove andare e a
chi rivolgersi grazie ai racconti dei giovani già immigrati.
L’espressione “minori non accompagnati” tuttavia semplifica estremamente una realtà che è invece
molto articolata. Si tratta, infatti, in alcuni casi di minori arrivati in Italia effettivamente senza i
genitori, in altri di minori che hanno con sé solo uno dei due genitori (solitamente il padre). In ogni
caso nella maggioranza dei casi questi ragazzi hanno un adulto (un parente più o meno stretto: uno
zio diretto, un cugino, uno zio acquisito, un nonno, ecc.) di riferimento che ha facilitato il loro
5
. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Servizio per l’Automazione Informatica e l’Innovazione
tecnologia, Alunni con Cittadinanza Non Italiana, Dicembre 2003.
13
arrivo nella regione Campania. Non sempre, però, l’adulto convive con il minore, né rappresenta
necessariamente un punto di riferimento per l’educazione del ragazzo. La figura dell’adulto
costituisce un sostegno in caso di necessità, un canale di comunicazione iniziale con il territorio, un
legame costante con la propria cultura e il proprio paese.
I minori non accompagnati utilizzano diverse modalità di ingresso clandestino. Una prima
modalità è l'ingresso mediante documenti regolari appartenenti ad un familiare (ad esempio un
fratello) già residente in Italia, in questo caso il minore è accompagnato dal padre o da un altro
parente, spesso lo zio paterno. Una seconda modalità è simile alla precedente, ma i documenti
vengono forniti in cambio di denaro (fino a cinque milioni di dirhami, pari a circa 5.000 euro) da un
conoscente che fa passare il minore per un figlio. Una terza modalità è l'ingresso solitario del
minore che attraversa la frontiera clandestinamente a bordo di una nave mercantile o di piccole
imbarcazioni che assicurano loro solo la traversata, dovendo poi proseguire il loro viaggio a piedi.
Secondo diverse testimonianze, in quest'ultimo caso l’ingresso in Italia ha un costo elevato che
viene pagato dalla famiglia, ad esempio vendendo un terreno o chiedendo un prestito. Con il
pagamento del passage il rapporto tra il minore e chi lo ha favorito nell'espatrio si estingue. Il
minore, a sua volta, ripagherà la famiglia, verso la quale egli avverte un obbligo morale, inviando il
denaro guadagnato con il suo lavoro in Italia e garantendo anche il suo mantenimento. A quanto
risulta ai testimoni ascoltati, non si registrano in Campania vere e proprie cessioni di bambini da
parte delle famiglie in cambio di denaro. Una volta giunti in Italia, l’arrivo fino alla casa del parenti
o del conoscente che li attende è spesso compreso nell’accordo in partenza, soprattutto per quanto
riguarda i più piccoli che vengono accompagnati con l’automobile fino a destinazione.
Subito dopo l’arrivo vengono avviati al lavoro dal parente che li istruisce su come fare e cosa fare,
solitamente vengono accompagnati ad un semaforo dove c’è già uno o più conoscenti. Infatti il
lavoro si svolge in un gruppo che può essere formato anche da 5/6 persone. I più giovani non
lavorano mai senza la presenza di almeno un maggiorenne che garantisca loro un minimo di
sicurezza. L’attività principale svolta da questi ragazzi è il lavaggio dei vetri e la vendita di
fazzoletti, e solo in pochi casi c’è vendita di altri oggettini per la macchina. Il guadagno medio di
lavoro al semaforo di tutta la giornata è di circa 20 euro, ma non tutti i giorni è possibile lavorare a
causa del tempo atmosferico o ad altre condizioni ambientali.
Un testimone intervistato nella città di Poggiomarino ritiene che tale occupazione svolta dai giovani
risulta spesso più remunerativa del lavoro degli adulti a causa dell’atteggiamento “pietistico” della
popolazione locale che dimostra di dare più volentieri denaro ai “bambini” piuttosto che ai loro
parenti.
In sostanza ciò che caratterizza questi ragazzi è il fatto di essere entrati illegalmente in Italia, con un
progetto migratorio molto simile a quello degli adulti per mantenere la famiglia (genitori e fratelli)
rimasti nel paese di origine e nella speranza di migliorare la propria condizione socio-economica.
Le motivazioni all’origine delle migrazioni di questi giovani sono, non diversamente da quelle degli
adulti, di natura strettamente economica. L’emigrazione viene considerata come un investimento in
sé: è un progetto economico del minore, ma anche della famiglia. In primo luogo si punta ad aiutare
la propria famiglia ed, in seguito, a costituirne una propria.
I minori non accompagnati presenti in Campania provengono prevalentemente dal centro del
Marocco, un’area di tradizioni agricole compresa tra le città di Settat, Beni Mellal e Khouribga, che
successivamente è stata sede dell'industria di estrazione dei fosfati, industria entrata
successivamente in crisi spingendo i giovani marocchini ad emigrare. Da questa regione
l’emigrazione verso la Campania risale agli anni Settanta, quando padri di famiglia venivano per
brevi periodi a svolgere lavori in settori, come l’agricoltura, che richiedevano mano d’opera
stagionale.
L’emigrazione dei minorenni è resa possibile anche dal fatto che la scolarizzazione dei bambini
nelle zone rurali è ostacolata dalla larga diffusione del lavoro minorile, dunque, per essi – a causa
delle condizioni economiche delle aree da cui provengono - diventa sempre più frequente lasciare la
scuola per progettare un’eventuale partenza in Europa. In definitiva, lavoro minorile, numero chiuso
14
all’ingresso delle scuole superiori, ma soprattutto un’istruzione poco rispondente alla realtà sociale
e ai bisogni della gioventù fanno sì che il sogno dell’Europa si faccia sempre più vivo tra i giovani.
L’Europa diventa il sogno di tutti, anche dei più piccoli. Spesso, infatti, il progetto migratorio lo si
inizia a costruire già dall’infanzia, diventando un’ossessione in età adolescenziale. Tutti vogliono
imitare gli emigrati che tornano ogni anno al paese dotati di beni di consumo, ed in particolare di
belle automobili e di beni che consentano alle famiglie di vivere in condizioni di minore povertà.
15
3. Immigrazione e mercato del lavoro
I primi immigrati provenienti dal Maghreb nel corso degli anni Settanta erano di nazionalità
marocchina. L’attività lavorativa cui si sono dedicati in modo specifico è stata il commercio
ambulante al quale hanno fatto seguito, nel corso degli anni Ottanta, altre attività lavorative in
agricoltura, in edilizia e nel terziario dequalificato. Il commercio rappresenta tuttavia il settore cui i
marocchini sembrano dedicarsi più volentieri anche in tempi più recenti.
Nella seconda metà degli anni Ottanta ai marocchini si sono aggiunti i tunisini. Questi ultimi, come
in seguito gli algerini, si sono caratterizzati meno per una vocazione commerciale e più per la
ricerca di lavori nel settore agricolo ed in quello edile. Molti nordafricani che si dedicano ad attività
commerciali tuttavia alternano tale lavoro ad impegni saltuari in edilizia ma soprattutto in
agricoltura, nei periodi di grandi raccolte, non solo nelle province dove risiedono. Talvolta si
spostano presso altre province ed altre regioni del sud Italia che in determinati periodi dell’anno
presentano maggiore richiesta di manodopera (ad esempio nel foggiano durante la raccolta del
pomodoro o delle olive, nell’area di Rossano Calabro nei mesi di raccolta delle arance, nelle
campagne del basso Lazio, nei frutteti nel Trentino-Alto Adige).
3.1 Il lavoro autonomo
I maghrebini dediti al lavoro autonomo in Campania sono in prevalenza commercianti, tra essi sono
i marocchini ad essere maggiormente impegnati in quest’attività nelle sue varie forme.
I marocchini che si dedicano al commercio ambulante sono quasi sempre adulti e presenti in questa
regione da numerosi anni. A differenza del commercio praticato da immigrati di altra nazionalità (i
cinesi, i senegalesi, i pakistani, i bengalesi) quello dei marocchini, oltre ad essere ambulante
(ovvero svolto in strada), è anche itinerante: le merci (piccoli giocattoli, capi di abbigliamento,
ombrelli, orologi, sveglie, etc.) vengono venduti su un carrellino mentre si cammina. In estate
partecipano alle fiere che vengono organizzate in tutto il territorio regionale. Difficilmente affittano
un posto, accontentandosi più spesso di posizionare la loro bancarella al di fuori dell’area adibita al
mercato. I commercianti acquistano i loro prodotti nei rivenditori all’ingrosso che si trovano per lo
più nei comuni vesuviani (a S. Giuseppe Vesuviano) e nei pressi della Stazione Centrale di Napoli.
In base a quanto detto da un testimone ascoltato, il settore del commercio ambulante è
adeguatamente redditizio, anche se negli ultimi tempi la concorrenza con i cinesi ha preoccupato sia
i venditori italiani che quelli maghrebini.
La vocazione commerciale dei marocchini diviene evidente se osserviamo i dati forniti dalla
Camera di Commercio in merito al numero di cittadini stranieri ricoprenti cariche in imprese a
Napoli e provincia. Dall’analisi di queste informazioni (tab.6) si osserva che nella sola provincia di
Napoli i cittadini maghrebini che ricoprono una carica in un’impresa commerciale sono 346, dei
quali la maggior parte è di nazionalità marocchina, impegnati in particolare nel commercio al
dettaglio.
tab.6 - Imprese maghrebine in provincia di Napoli per nazionalità e tipo di attività
Algeria
Agricoltura ed allevamento
Artigianato
Commercio al dettaglio
Commercio all'ingrosso
Commercio ingrosso e dettaglio
Edilizia
Industria manifatturiera
Ristorazione e servizi alberghieri
Servizi
Altro
Non specificato
Totale
Marocco
0
0
12
15
4
4
1
5
10
0
0
51
Tunisia
2
1
249
17
5
3
7
0
6
0
6
296
Totale
2
2
22
16
3
11
3
6
18
1
5
89
4
3
283
48
12
18
11
11
34
1
11
436
Fonte: Elaborazione Dedalus su dati CCIAA Napoli
16
Tale attività sembra particolarmente sviluppata nel capoluogo dove le imprese commerciali nelle
quali una carica è ricoperta da un maghrebino sono in tutto 73, pertanto si può affermare che una di
queste imprese su cinque si trova nel capoluogo campano; in questo caso, tuttavia, a prevalere sono
i commercianti all’ingrosso (tab.7).
tab.7 - Imprese commerciali maghrebine a Napoli
Algeria
Commercio al dettaglio
Commercio all'ingrosso
Comm. ingrosso e dettaglio
Totale
7
13
4
24
Marocco
10
14
2
26
Tunisia
Totale
8
11
4
23
25
38
10
73
Fonte: Elaborazione Dedalus su dati CCIAA Napoli
Dunque Napoli costituisce una rotta fondamentale nei circuiti commerciali in cui molti maghrebini,
in prevalenza marocchini, sono coinvolti. I commercianti maghrebini acquistano a Napoli,
soprattutto abbigliamento e scarpe, e rivendono al nord Italia, in altri paesi europei (Francia,
Germania) ed in Maghreb. In alcuni giorni della settimana - ad esempio il venerdì - alcune zone di
piazza Garibaldi si animano di numerosi marocchini che caricano le loro auto o i pullman che
giungeranno in Maghreb con merci varie acquistate a Napoli. In taluni casi sono gli stessi
maghrebini ad essere fornitori dei propri connazionali. Alcuni testimoni raccontano di tunisini che
hanno depositi-negozi senza licenza, nei dintorni della Stazione Centrale non facilmente
identificabili dall’esterno, dove si possono acquistare abiti e scarpe all’ingrosso da vendere
all’estero. Alcuni di essi sono proprietari di negozi anche in Tunisia.
Chi si dedica al commercio ambulante nella provincia di Napoli o sulle spiagge nei mesi estivi
acquista maggiormente dai grossisti cinesi. I maghrebini che si muovono tra Italia, Nord Europa e
Maghreb per commerciare, in alcuni casi hanno il permesso di soggiorno italiano, talvolta la
residenza nella città di Napoli ma non vi abitano più in maniera stabile. I commercianti che hanno
meno dimestichezza con “la piazza commerciale” napoletana trovano sempre altri arabi disposti ad
accompagnarli presso i vari fornitori in cambio di denaro. Del resto questo rappresenta un vero e
proprio impegno lavorativo per alcuni immigrati, non solo provenienti dai paesi del Maghreb.
A Napoli appare più sviluppato che in altre province campane “l’ethnic business” di matrice
maghrebina. Nella zona circostante la Stazione Centrale è stata segnalata la presenza di una
quindicina di luoghi dove si preparano e si consumano piatti tipici arabi e si vendono prodotti
alimentari (4-5 di recentissima apertura), 5-6 negozi di abbigliamento e prodotti artigianali e 4
macellerie che vendono carne macellata secondo le regole della religione islamica. Tali esercizi
commerciali sono tutti gestiti da privati appartenenti alla comunità e nel 90% dei casi sono attività
con regolare licenza. In altri casi, limitati come numero, i maghrebini organizzano informalmente la
vendita di cibi cucinati in domicili privati e bassi adibiti a negozi. Del tutto insufficiente viene
considerata dai testimoni maghrebini invece la vendita e la distribuzione di prodotti quali giornali e
riviste nel mercato napoletano. Gli arabi, come privati, si rivolgono talvolta direttamente a
connazionali che tornano dal paese di origine per poter reperire alcuni prodotti tipici del proprio
paese; i commercianti più spesso li importano a pagamento sempre dai paesi di origine o dalla
Francia. Alle dipendenze di tali negozi vi sono frequentemente lavoratori maghrebini, essi trovano
lavoro nei negozi e nei ristoranti arabi tramite il passaparola, parlando con amici ed in generale altri
maghrebini o anche attivandosi in prima persona. Gli imprenditori maghrebini hanno dipendenti
provenienti dalla stessa area geografica, spesso parenti (fratelli, cugini) o amici e conoscenti.
Tendono ad assumere maghrebini per questioni di affinità culturale, linguistica e religiosa essendo
questi esercizi commerciali rivolti in modo particolare ad arabi e musulmani.
17
3.2 Il lavoro dipendente
Come abbiamo visto, i marocchini, rispetto ai tunisini e agli algerini, sono coloro che hanno una
maggiore tendenza a dedicarsi ad attività commerciali in proprio piuttosto che a lavori subordinati I
tunisini e gli algerini, viceversa, trovano lavoro anche come lavapiatti o addetti alla vendita
all’interno di ristoranti e pub e presso i fornai. Coloro che abitano in provincia si impiegano
prevalentemente in agricoltura ed in edilizia.
Sebbene i dati Inps forniscano un quadro parziale della presenza maghrebina nel mondo del lavoro
campano, privo di informazioni essenziali riguardanti il lavoro sommerso, la loro analisi permette di
delineare le caratteristiche di una presenza non irrilevante in alcune categorie lavorative. Infatti,
dalle informazioni tratte dall’archivio Inps – anno 2001 - si osserva che i lavoratori maghrebini
presenti in Campania ed iscritti ad un fondo previdenziale risultano essere in totale 2.992, pari al
15% del totale dei lavoratori immigrati iscritti al l’Istituto Nazionale di Previdenza in questa
Regione. Di essi la grande maggioranza, quasi il 89%, è composta da maschi, si registrano infatti
2.667 lavoratori di sesso maschile a fronte di sole 325 donne (tab.8).
Disaggregando i dati in base al fondo previdenziale al quale i lavoratori maghrebini sono iscritti si
nota che il maggior numero di essi risulta dipendente da aziende. In particolare, in Campania sono
iscritti a questo fondo 1.882 cittadini maghrebini, pari al1’1,5% del totale dei lavoratori maghrebini
iscritti alla stessa categoria previdenziale in Italia. Se si considera la composizione per genere si
nota un forte disequilibrio a favore della componente maschile, infatti gli uomini sono 1.742 mentre
le donne sono solo 140 (tab.9).
tab.8 - Maghrebini aventi contribuzione in Campania
Maschi
Dipendenti da aziende
1.742
Artigiani
4
Commercianti
12
Coltivatori diretti, mezzadri, coloni
0
Operai agricoli
816
Lavoratori domestici
92
Fondi speciali di previdenza
1
Totale
2.667
Fonte: elaborazione Dedalus su dati Archivio INPS - Anno 2001
Femmine
140
0
0
0
55
130
0
325
Totale
1.882
4
12
0
871
222
1
2.992
% Maschi
92,6
100,0
100,0
0,0
93,7
41,4
100,0
89,1
Se si considera la distribuzione della presenza dei lavoratori maghrebini, distinguendo sia le singole
nazioni dalle quali provengono, sia la provincia campana nella quale lavorano, si nota che la
provenienza della componente maschile dei dipendenti d’azienda (tab. 8) si distribuisce più o meno
equamente tra le nazioni che compongono la regione del Maghreb. Differenze sostanziali invece si
osservano in relazione alla presenza femminile, dove le marocchine sono 108 su 140, impiegate in
prevalenza nel settore del lavoro domestico.
In merito alla provincia di lavoro, i maghrebini risultano presenti soprattutto nel napoletano, dove
sono stati registrati 948 lavoratori in tutto, dei quali solo 67 sono donne. Le altre province di
maggiore inserimento lavorativo per i dipendenti maghrebini sono Caserta e Salerno, dove sono
presenti rispettivamente 425 e 323 lavoratori. Decisamente più esiguo è il numero di iscritti a questo
fondo in Irpinia (in provincia di Avellino) e nel Sannio (in provincia di Benevento): in entrambe le
province essi risultano essere poco meno di un centinaio di unità.
18
Tab.9 - Maghrebini dipendenti da aziende in Campania
Avellino
Maschi
Algeria
Marocco
Tunisia
Tot. Maschi
Femmine
Algeria
Marocco
Tunisia
Tot. Femmine
Totale
Provincia di lavoro
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale
13
49
23
85
22
42
17
81
125
134
146
405
310
300
271
881
44
166
80
290
514
691
537
1.742
0
9
1
10
95
0
10
0
10
91
2
15
3
20
425
5
46
16
67
948
1
28
4
33
323
8
108
24
140
1.882
Fonte: elaborazione Dedalus su dati Archivio INPS – Anno 2001
3.2.1. Il lavoro in agricoltura
Tra i lavori subordinati, in cui sono impiegati gli immigrati maghrebini, l’agricoltura riveste un
ruolo importante nelle province di Napoli, Salerno e Caserta. Tuttavia, si tratta di un settore dove il
lavoro al nero è molto diffuso, soprattutto per i lavoratori stagionali che caratterizzano molta
economia agricola del mezzogiorno.
Gli operai agricoli originari del Maghreb, aventi contribuzione Inps, sono nel 2001 circa 870, pari al
5,7% del totale degli operai agricoli magrebini dichiarati all’Inps in Italia. Di essi ancora una volta
la grande maggioranza è composta da maschi (tab. 11). In merito alle nazioni di provenienza, essi
giungono prevalentemente dal Marocco, da cui sono pervenuti 445 lavoratori e 40 lavoratrici. In
questo caso la quota più consistente si è osservata nella provincia di Salerno, che conta 397
lavoratori regolarmente iscritti ai fondi previdenziali. La rimanente presenza è distribuita
prevalentemente nelle province di Caserta e di Napoli, con rispettivamente 283 e 168 operai agricoli
registrati, mentre il loro numero in provincia di Avellino e Benevento è di poco superiore alle dieci
unità.
Da questi dati, tuttavia, si evince che il lavoro agricolo rappresenta una possibilità per i cittadini
immigrati soprattutto se è svolto in forma di bracciantato, poiché tra gli iscritti ai fondi previdenziali
previsti per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni non è presente alcun lavoratore proveniente da
questa regione del Nord Africa.
Il lavoro nei campi è la prima opportunità che un immigrato appena giunto in Campania cerca ed ha
possibilità di trovare. Soprattutto nei periodi di raccolta c’è una forte richiesta di lavoratori, gli
imprenditori agricoli, dunque, cercano di soddisfare il loro fabbisogno di manodopera impiegando,
se necessario, anche lavoratori non in possesso del permesso di soggiorno. Inoltre la maggioranza
delle mansioni svolte in agricoltura non richiede una conoscenza molto avanzata della lingua
italiana. Un altro elemento da considerare è che buona parte dei maghrebini che giungono in questa
regione provengono da zone con una sviluppata tradizione agricola, dimostrando, così,
un’esperienza già sviluppata nel settore.
19
Tab.11 - Operai agricoli maghrebini aventi contribuzione in Campania
Maschi
Algeria
Marocco
Tunisia
Tot. Maschi
Femmine
Algeria
Marocco
Tunisia
Tot. Femmine
Totale
Avellino
Benevento
2
3
4
9
1
4
4
9
1
2
0
3
12
0
1
1
2
11
Provincia di lavoro
Caserta
Napoli
Salerno
Totale
72
57
147
276
31
104
26
161
48
277
36
361
154
445
217
816
0
3
4
7
283
0
6
1
7
168
2
28
6
36
397
3
40
12
55
871
Fonte: elaborazione Dedalus su dati Archivio INPS – Anno 2001
A partire dalla fine degli anni novanta i maghrebini hanno subito la concorrenza di lavoratori
immigrati di più recente arrivo provenienti dai paesi dell’Europa dell’est, anch’essi, in molte
occasioni, già esperti di lavoro in agricoltura: albanesi, migranti provenienti dalla ex Jugoslavia,
rumeni, più di recente polacchi e uomini della ex Unione Sovietica. Arrivando per ultimi hanno
offerto il loro lavoro a prezzi più bassi. In alcuni settori si è creata una forte specializzazione da
parte di queste nazionalità di più recente arrivo: la raccolta del tabacco, ad esempio, negli ultimi
anni è affidata in modo specifico agli albanesi.
Il passaggio dai lavori agricoli a quelli nel settore delle costruzioni, secondo quanto dichiarato da un
testimone tunisino ascoltato, potrebbe essere considerato come sintomo di un processo di mobilità
professionale verso l’alto.
Nel Casertano, negli ultimi anni si è assistito ad una ristrutturazione del sistema agroindustriale che,
a sua volta, ha portato ad una diversa richiesta di manodopera e di tipologia di mansioni da
esercitare da parte degli operai agricoli. Ad esempio, accanto alle colture più tradizionali
rappresentate dal tabacco e dagli ortaggi, si sono sviluppati altri settori, anche nella zootecnia, che
rendono necessario l’impiego di manodopera qualificata anche per periodi molto lunghi. Tale
richiesta è molto spesso evasa da parte della popolazione locale e ciò ha condotto ad un aumento del
numero di immigrati impiegati in tali attività produttive. Ad esempio, buona parte dei lavoratori
impiegati nella zootecnia bufalina sono di nazionalità pakistana, indiana e più in generale sono
originari dei paesi asiatici grazie all’esperienza sviluppata nei propri paesi di provenienza in questo
settore produttivo. Anche i maghrebini non si dedicano solo alla raccolta, ma anche ad attività
secondarie, generiche bracciantili e di manovalanza. Lavorano ad esempio negli insediamenti
agricoli per la manutenzione dei capannoni, puliscono gli animali.
Nel settore agricolo buona parte della manodopera maghrebina, sia pure in possesso di permesso di
soggiorno, lavora in condizioni di irregolarità. Tale elemento è da valutare considerando che una
parte rilevante dell’economia campana è irregolare. Più testimoni sostengono che nelle zone
agricole del Casertano molti imprenditori agricoli assumono formalmente nella propria ditta parenti
ed amici ma nella realtà sono immigrati a lavorarci tra cui quelli di origine maghrebina. In altri casi
il rapporto di lavoro è regolato da un contratto, ma le norme, soprattutto quelle relative al salario
non vengono rispettate nella realtà. Gli imprenditori stabiliscono un accordo ufficioso per cui il
livello retribuito è inferiore a quello dichiarato. Gli immigrati sono costretti ad accettare tali
compromessi in quanto, soprattutto in base alla nuova normativa in materia di immigrazione, la
regolarità della loro presenza è strettamente dipendente dall’ottenimento di un contratto di lavoro.
Dalle interviste effettuate risulta che nei primi tempi essi non sono molto interessati a comprendere
alcuni meccanismi che riguardano la possibilità di modificare il proprio percorso lavorativo o di
20
raggiungere delle specializzazioni: all’inizio ciò che interessa veramente è guadagnare per poter
sopravvivere.
L’orario di lavoro nel settore agricolo va da un minimo di 8 ore ad un massimo di 12 comprendenti
anche le pause per il pranzo. E’ stato riferito che in passato questi orari erano ancor più prolungati,
tuttavia, in tempi recenti gli stessi lavoratori immigrati hanno aumentato il loro potere contrattuale
nei confronti dei datori di lavoro.
Le paghe vengono generalmente concesse a giornata e a lordo. La paga minima corrisponde a circa
30 euro - anche se ci sono state riferite anche paghe di 25 euro - nella migliore delle ipotesi si
possono guadagnare anche 50 euro al giorno. Frequentemente i lavoratori percepiscono una paga
settimanale, mentre più rara è la concessione di un salario mensile. Dove questo si verifica, è
sintomo di una maggiore stabilizzazione del rapporto di lavoro instaurato tra operaio e
imprenditore.
I casi di differenziazioni salariali tra maghrebini ed immigrati di nazionalità diverse non sembrano
la regola anche se non sono del tutto inesistenti. Uno degli interlocutori ritiene che in alcuni casi gli
albanesi possono essere pagati 10 euro di più rispetto ai maghrebini.
I canali attraverso i quali gli immigrati trovano lavoro nella zona sono prevalentemente di tipo
informale, in quanto sembra molto forte l’azione delle catene di richiamo dei connazionali da parte
di quanti già lavorano in Italia.Talvolta lo stesso datore di lavoro si reca presso i luoghi di ritrovo o
nelle “piazze” o “mercati delle braccia”, dove gli immigrati si raccolgono in attesa di qualcuno che
proponga loro un lavoro. Il persistere dei mezzi di collocamento informali è dovuto, secondo
l’opinione di un imprenditore agricolo dell’agro aversano, alla lentezza del sistema formale di
assunzione di manodopera straniera stagionale attualmente in vigore, che non tiene conto della
rapidità della fluttuazione della domanda di lavoro nei campi per la raccolta. E’ un esempio
quanto è accaduto ai tabacchicultori casertani, i quali hanno ottenuto per quest’anno l’ingresso di
1.100 operai stranieri da impiegare nella raccolta del tabacco, tuttavia, tali lavoratori sono giunti
ben dopo la fine della stagione della raccolta. Trascurabile, dunque, il ruolo dei canali formali,
come l’ufficio di collocamento al quale si iscrivono quegli immigrati già presenti in Italia, rimasti
senza lavoro.
Il “caporale” è una figura che assume ancora un ruolo importante nelle relazioni tra immigrati in
cerca di lavoro e datori di lavoro. In alcuni casi è lo stesso caporale a reclutare nelle “piazze” dove
gli immigrati si recano in cerca di lavoro e, in alcuni casi, ad accompagnare questi ultimi presso il
datore di lavoro. Questo si verifica soprattutto quando gli immigrati sono sprovvisti di mezzi propri
per cui il caporale accompagna con l’auto i lavoratori nei campi irraggiungibili con mezzi pubblici.
Egli ha una funzione molto importante non solo nella ricerca del lavoro ma anche nella definizione
degli orari, del salario, dell’organizzazione del lavoro, del controllo della raccolta, dell’eventuale
gestione delle relazioni tra lavoratori che evita i conflitti La quota che va al caporale corrisponde
all’incirca al 10% della cifra concessa a giornata. Se si tratta della raccolta dei pomodori la
questione si articola in modo diverso. I lavoratori vengono pagati in questo caso circa 6 euro a
cassone (formato da 12 cassette), su tale cifra il caporale “ha diritto” a circa 2 euro. Nei casi in cui
la paga venga data a giornata il caporale può prendere una percentuale di circa 2-3 euro. Per
sfuggire alle fitte maglie del caporalato alcuni immigrati cercano di raggiungere l’autonomia
rispetto ai mezzi di locomozione, a dotarsi di auto in gruppo o, eventualmente, singolarmente di
biciclette per raggiungere direttamente i luoghi di lavoro.
Non manca anche una piccola percentuale di coloro che legati al sindacato o al mondo
dell’associazionismo, sono più consapevoli dei propri diritti e riescono a trovare lavoro secondo i
canali meno informali, aderendo a richieste di imprese e di altri datori di lavoro. I maghrebini
frequentano i sindacati da tempi recenti: la pratica del lavoro nero, ancora più diffusa in passato,
rendeva piuttosto fugaci i rapporti con le organizzazioni formali di difesa dei lavoratori, ciò
fondamentalmente per la scarsa fiducia nelle reali possibilità di tutela da parte di enti appartenenti
alla stessa nazionalità dei datori di lavoro. Attualmente la situazione è migliorata, anche se i contatti
con le organizzazioni locali sembrano finalizzate prevalentemente alla consulenza per il disbrigo
21
pratiche. Secondo l’opinione di un esponente della Confederazione Italiana Agricoltori di Caserta,
ora dovrebbero essere le stesse organizzazioni di tutela dei lavoratori agricoli a mettere in atto
iniziative d’inserimento dei cittadini stranieri nel loro organico così come è avvenuto per le
maggiori confederazioni sindacali nelle grandi città, ciò potrebbe avere come ulteriore ricaduta
positiva il miglioramento della relazione di fiducia degli stranieri verso questo tipo di
organizzazioni.
Nella Piana del Sele, in provincia di Salerno, il fenomeno migratorio comincia ad essere rilevante
alla fine degli anni Ottanta quando in buona parte i lavoratori maghrebini si insediano nelle zone di
Battipaglia ed Eboli dedicandosi prevalentemente ad attività agricole precarie e stagionali e ad
attività che contemplavano rapporti di lavori più stabili nelle aziende zootecniche locali (stalle
bufaline). A partire da questi primi arrivi si è creata una catena migratoria che ha condotto altra
forza lavoro maghrebina richiamata dalle grandi raccolte di prodotti agricoli della Piana del Sele
(carciofi, frutta, fragole, ortaggi). Si trattava di un’immigrazione stagionale e di passaggio. Nella
seconda metà degli anni Novanta le caratteristiche di questi flussi cominciano a subire
un’evoluzione in quanto tale area ha iniziato a rappresentare la meta non più di immigrati che
avevano lo scopo di rimanere solo il tempo delle grandi raccolte ma di persone in cerca di
opportunità lavorative più stabili, quantunque nel settore agricolo.
Alcuni testimoni fanno notare che si dovrebbe investire molto sulla maggiore professionalizzazione
e formazione di tali lavoratori. Esistono delle professionalità classiche che hanno determinato lo
sviluppo di tale settore produttivo (potatori, innestatori, addetti agli impianti delle serre, allevatori)
che oggi sono svolti da lavoratori italiani in età avanzata, dunque prossimi alla fine del loro ciclo
lavorativo. Si corre il rischio che tali tradizioni vadano perdute in quanto le nuove generazioni di
italiani sono restii a prendere il loro posto e farsi eredi di tale patrimonio di cultura ed esperienza.
Percorsi formativi organizzati sono stati completamente ignorati. Del resto il lavoro dei campi non
sempre si configura come sola raccolta, pertanto gli imprenditori agricoli campani esprimono un
bisogno di manodopera dotata di competenze specifiche non sempre possedute dagli operai agricoli
stranieri o, se possedute, apprese in maniera informale. Pertanto, risulta necessaria l’istituzione o
l’intensificazione di corsi di formazione di figure professionali specializzate. Tra l’altro, ciò può
rappresentare una seria e concreta opportunità di miglioramento lavorativo per gli immigrati stessi.
3.2.2. Il lavoro in edilizia
Il settore edile, come quello agricolo, è caratterizzato da un elevato livello di irregolarità ed
informalità di rapporti di lavoro, trattandosi in moti casi di piccole imprese talvolta esse stesse non
registrate. Solo le imprese di maggiori dimensioni e le cooperative sono in una situazione di
maggiore regolarità. Ciò significa che la maggioranza dei maghrebini lavora, indipendentemente
dalla regolarità del soggiorno, senza contratto. Si sono verificati casi di maghrebini vittime di
incidenti sul lavoro mortali o nei quali hanno riportato danni permanenti senza possibilità di
denunciare. A questo proposito è opportuno ricordare che nel 2002 il numero degli infortuni sul
lavoro che hanno coinvolto cittadini nati in una nazione del Maghreb è stato pari a 75 in tutta la
regione, mentre l’anno precedente gli incidenti denunciati erano 93. In questo caso sono risultati più
frequenti gli incidenti che hanno coinvolto lavoratori nati in Marocco ed impiegati nelle province di
Napoli e Salerno (tab.12)
Tab.12 - Infortuni sul lavoro denunciati all'INAIL per Paese di nascita e provincia
Paese di nascita
Avellino
Benevento
Marocco
Tunisia
Algeria
5
0
2
5
0
0
Totale
7
5
Province
Caserta
Napoli
4
12
3
5
6
3
13
20
Salerno
Campania
16
11
3
42
19
14
30
75
Fonte: archivio INAIL - Anno 2002
22
C’è da dire che nel corso della regolarizzazione, alcune ditte più sensibili, su richiesta di alcune
organizzazioni sindacali, hanno accettato di fare assunzioni solidali di maghrebini, ma questi ultimi
non vi lavorano in realtà.
Nel settore dell’edilizia una giornata lavorativa ha una durata media di nove ore. Il guadagno medio
mensile si aggira intorno ai 750 euro e nel migliore dei casi, quando cioè la paga corrisponde alle
norme contrattuali, si arriva ai 900 euro.
Secondo l’opinione di un imprenditore edile della provincia di Caserta, il flusso degli stranieri che
si collocano nelle imprese edili campane non è alimentato da un’effettiva convenienza in termini di
riduzione del costo del lavoro da parte degli imprenditori - almeno nei casi di lavoro regolare - ma è
favorito dalla scarsa disponibilità della manodopera locale ad impegnarsi in lavori manuali o
particolarmente stigmatizzanti. I lavoratori stranieri, invece sembrano più disponibili ad accettare
condizioni di flessibilità nell’orario di lavoro, nella modalità di svolgimento dell’attività, nelle
mansioni e nei ruoli da ricoprire, almeno nel periodo iniziale della loro permanenza in Italia,
periodo che può protrarsi anche per anni. Per questo motivo, essi vengono collocati
prevalentemente nella custodia notturna dei magazzini e dei depositi di materiali. Questa
disponibilità decade nel momento in cui gli immigrati creano un nucleo familiare o richiamano i
familiari dalla nazione d’origine.
Uno dei motivi per cui molti italiani tendono a rifiutare l’impiego in tale settore è che chi vi lavora è
sempre costretto ad un’alta mobilità, può essere necessario trascorrere anche molti mesi lontano da
casa, soprattutto se si lavora per imprese di grandi dimensioni. Per contro, l’essere impiegati in
imprese di questo tipo non necessariamente garantisce una maggiore stabilità e regolarità delle
condizioni di lavoro. Un altro aspetto negativo che caratterizza il lavoro in edilizia è l’elevata
frammentazione e lottizzazione. Le grandi ditte spesso ricorrono a sub-appalti; spesso la prima
funge solo da coordinamento, ma il lavoro reale è svolto da una serie di micro-imprese. Buona parte
di questi micro-affidamenti sono al limite della legalità.
Nonostante il lavoro in edilizia si connoti, da certi punti di vista, per una estrema precarietà, è anche
vero, come fa notare il segretario della Fillea di Caserta, che si tratta pur sempre di un settore che,
anche in periodi di recessione, va sempre avanti. Talvolta in condizioni di criticità e recessione il
settore edilizio è quello che crea le condizioni per rialzare l’economia di un’area. Inoltre è proprio
la forte informalità che lo rende un settore appetibile o, se non altro, meglio accessibile da parte di
molti immigrati, anche coloro che non sono ancora in possesso del permesso di soggiorno.
I lavoratori maghrebini che lavorano in Campania generalmente non mostrano di avere competenze
ed esperienza di lavoro in questo settore. Anche chi ha già lavorato incontra delle difficoltà a causa
della differenza tra le tecniche di costruzione e i materiali impiegati in Italia e nei Paesi del
Maghreb. Purtroppo neanche coloro che lavorano da diversi anni nei cantieri edili sono riusciti a
raggiungere delle vere e proprie specializzazioni. Solitamente vengono impiegati per svolgere le
mansioni meno qualificate. Chi riesce ad acquisire una professionalità (carpentiere ad esempio, o
piastrellista, o stuccatore, o ferraiolo) rappresenta davvero una quota minoritaria. I datori di lavoro
non investono abbastanza nella formazione e specializzazione dei propri lavoratori. Su questo
alcuni intervistati ritengono ci sia la necessità di intervenire più incisivamente. Si può fare un
esempio a questo proposito: nel 2001 la Fillea di Caserta è stata costretta a rinunciare all’istituzione
di una serie di corsi di formazione per l’apprendistato per mancanza di imprese disponibili a far
svolgere presso di loro stages e tirocini. Negli ultimissimi anni si sta delineando un certo processo
evolutivo, sia pure molto lento. Le imprese stanno cominciando a rivedere un po’ questa posizione e
a costruire un dialogo anche con le organizzazioni sindacali per avviare un nuovo percorso.
L’edilizia è il settore prevalente in cui i maghrebini sono impiegati, soprattutto a partire dalla crisi
della coltura del pomodoro. Basta pensare che su 110-120 registrazioni di regolarizzazioni in Cassa
Edile, si contano per lo meno 400-500 di questi lavoratori impiegati a vario titolo in piccole
imprese, piccoli cantieri che lavorano a nero. Le maggiori concentrazioni si riscontrano soprattutto
in provincia.
23
Chi non ha ancora trovato una certa stabilità ritiene questo un settore di passaggio in attesa di
trovare qualche collocazione più stabile in seguito, magari nei centri urbani del nord Italia.
Quanto già denunciato per l’agricoltura è valido anche per il settore edile: ci sono alcune zone della
regione Campania in cui c’è un’antica tradizione ed un’alta concentrazione di figure professionali
che però col tempo si stanno perdendo in quanto non esistono nuove generazioni pronte a
sostituirle.
Inoltre è difficile riuscire a scardinare i fenomeni malavitosi fortemente radicati nel settore edile in
questa regione e ad innescare un processo virtuoso di incontro tra imprese e lavoratori regolata da
meccanismi legali.
In questo settore non sono stati riscontrati livelli salariali differenti tra lavoratori maghrebini e di
altre nazionalità. Ci sono tre livelli di retribuzione. Un livello concerne i lavoratori che svolgono la
propria attività lavorativa senza nessuna forma contrattuale. In situazioni di totale irregolarità la
paga media si aggira intorno alle 30 euro giornaliere per una giornata lavorativa che si protrae per
circa 8-10 ore. Ci sono poi altre due forme di retribuzione per coloro che hanno firmato un
contratto. In un caso la paga è concessa in modo regolare secondo quanto sancito dalle norme
contrattuali; in altri i datori di lavoro concedono una busta paga ufficiale, rigorosa, rispettosa delle
norme contrattuali ma nella realtà l’ammontare dato è più esiguo. È un sistema molto diffuso che gli
imprenditori utilizzano anche con i lavoratori italiani.
Il salario mensile di un lavoratore di media qualifica è di circa mille euro. Ci sono piccole
differenze con gli italiani in quanto i maghrebini vengono inquadrati sempre nei livelli più bassi,
non sempre vengono loro riconosciute le ore di straordinario, alcune trasferte non vengono
retribuite. Considerando tali riduzioni in alcuni casi il loro stipendio si aggira intorno agli 800 euro.
I maghrebini tendono anche in questi casi a tollerare tale situazione in quanto un contratto così
“elastico” è sempre meglio della condizione di totale disoccupazione. Consideriamo che la nuova
normativa in materia di immigrazione detta norme particolarmente severe e restrittive sia per
ottenere la regolarità del soggiorno sia per mantenerla legando in modo automatico la presenza in
Italia al possesso di un contratto di lavoro. Un altro elemento che spinge i lavoratori stranieri a
conservare rapporti di lavoro “semi-regolari” è che il settore edilizio conosce anche dei momenti di
stasi in cui non si lavora durante i quali spesso i primi ad essere licenziati sono i lavoratori extracomunitari. Chi riesce ad ottenere il contratto è consapevole di essere particolarmente fortunato in
un periodo in cui tutto il mondo del lavoro si sta connotando per una maggiore precarizzazione.
I canali attraverso cui i maghrebini riescono a trovare lavoro in edilizia sono rappresentati in primo
luogo da connazionali che già vi lavorano o che possono fornire informazioni, in altri casi si recano
direttamente presso le aziende. Anche in questo settore esistono organizzazioni o singoli che
fungono da intermediari in cambio di soldi, in alcuni casi si tratta di maghrebini. Secondo la
testimonianza di un imprenditore edile di Capua, in provincia di Caserta, il servizio di
“intermediazione di manodopera” prevede la cessione di due stipendi. Talvolta è un lavoratore a
cedere il proprio impiego dietro pagamento di una certa somma. Molte volte i nuovi giunti vengono
presentati ai datori di lavoro come propri familiari.
24
3.2.3. Terziario dequalificato
Una percentuale ridotta di maghrebini lavora anche in altre attività del terziario dequalificato:
presso le pompe di benzina, nei ristoranti come lavapiatti, in altri casi sono addetti allo scarico e
carico merci nei magazzini o ai mercati ortofrutticoli. Anche in questi settori i maghrebini
subiscono gli effetti della concorrenza da parte di immigrati provenienti dai paesi dell’est di più
recente arrivo. La loro paga settimanale si aggira intorno ai 100 euro. La nazionalità maggiormente
dedita a queste attività è quella algerina.
Gli stereotipi negativi associati ai maghrebini (criminali, spacciatori, terroristi) pesano molto anche
sul loro inserimento lavorativo. Tuttavia, una volta assunti, la migliore conoscenza da parte dei
datori di lavoro induce in essi un cambiamento d’opinione.
3.2.4. Il lavoro domestico
Il lavoro presso le famiglie è certamente un settore poco rilevante tra gli immigrati nord africani.
Come già detto, il lavoro domestico impiega soprattutto donne, tuttavia, è da notare che la
distribuzione dei lavoratori di questo settore in base alla nazione d’origine varia a seconda del
genere (tab. 10). Infatti, mentre tra le donne prevalgono le marocchine, tra i maschi a prevalere sono
gli algerini e i tunisini. Essi lavorano prevalentemente nella provincia di Napoli, dove sono stati
dichiarati 68 maschi e 65 femmine. Un simile equilibrio di genere si registra tuttavia solo in
corrispondenza di questa provincia, infatti, nelle altre province osserviamo una diminuzione sia del
loro numero, sia un aumento della quota femminile rispetto a quella maschile
Tab.10 - Lavoratori domestici maghrebini aventi contribuzione in Campania
Maschi
Algeria
Marocco
Tunisia
Tot. Maschi
Femmine
Algeria
Marocco
Tunisia
Tot. Femmine
Totale
Avellino
Benevento
0
0
1
1
0
1
2
3
1
8
2
11
12
0
9
2
11
14
Provincia di lavoro
Caserta
Napoli
Salerno
Totale
3
7
2
12
35
22
11
68
0
6
2
8
38
36
18
92
0
22
2
24
36
10
24
31
65
133
0
14
5
19
27
11
77
42
130
222
Fonte: elaborazione Dedalus su dati Archivio INPS – Anno 2001
25
4. Inserimento nella società
4.1. Condizioni abitative
I maghrebini che abitano nella regione Campania tendono a concentrarsi maggiormente in aree
della periferia e nei comuni della provincia piuttosto che in città. Ciò vale soprattutto per i
marocchini, infatti, solo una minima parte dei maghrebini, costituita prevalentemente da algerini,
abita nell’area metropolitana .
In una ricerca condotta nel corso dell’anno 2003 6 sono state approfondite in modo particolare le
condizione abitative degli immigrati presenti nel comune di Napoli. Nel caso particolare dei
maghrebini, da questo lavoro è emerso che a Napoli i cittadini giunti dalla regione del Maghreb
risiedono principalmente nei quartieri che gravitano intorno alla Stazione centrale.
Come nel caso di altre comunità di immigrati, anche i nordafricani che giungono a Napoli non
hanno grandi difficoltà a trovare una prima accoglienza al momento del loro arrivo, potendo sempre
usufruire dell’appoggio di amici e conoscenti. Le difficoltà subentrano nel momento in cui essi
decidono di prendere in locazione un appartamento autonomo, a causa del livello elevato degli
affitti e delle condizioni igienico-sanitarie degli appartamenti disponibili. Ciò porta gli immigrati a
dover impiegare fino a 5-6 mesi per trovare una propria sistemazione indipendente.
I problemi sopra indicati si riflettono sulla tendenza degli immigrati maghrebini a cambiare
spesso sistemazione abitativa o a condividere l’appartamento tra più connazionali per dividere le
spese. Questa pratica permette, così, di ammortizzare i costi dell’affitto come anche quelli derivanti
dalla spesa di generi alimentari e di manutenzione dell’alloggio.
A Napoli, la tipologia abitativa più utilizzata dagli immigrati provenienti dal nord Africa è
l’appartamento privato ma si registra una presenza, sia pure minima, che abita nei cosiddetti “bassi”
e negli alberghi–pensione della zona circostante piazza Garibaldi.
Gli appartamenti sono in media composti da 3 stanze più accessori e distribuiti su una superficie
di circa 70 mq. Il numero degli occupanti varia in proporzione all’ampiezza e oscilla tra le 5 e le 10
persone, con punte di 15 negli appartamenti più ampi.
La quantità di persone che occupa un alloggio può variare a seconda dei periodi in quanto gli
occupanti più stabili possono ospitare per alcuni periodi amici, parenti e conoscenti, comunque
connazionali, di passaggio in città o appena giunti. Nella maggioranza dei casi si tratta di
convivenze tra persone legate da rapporti amicali o tra semplici conoscenti. Quando tra conviventi
esiste un legame di parentela, esso va inteso comunque in senso molto lato in quanto riguarda
persone legate tra loro da gradi di parentela molto lontani.
Nelle stanze d’albergo sono presenti dalle due alle tre persone. I maghrebini che vi alloggiano
sono essenzialmente immigrati che risiedono a Napoli per periodi di tempo brevi o transitori (i
commercianti, ad esempio) o che, appena giunti, scelgono l’albergo come soluzione alloggiativa
iniziale in attesa di conoscere meglio il territorio.
In merito alle strategie di reperimento di un alloggio stabile messe in atto dai maghrebini
presenti a Napoli si rileva che la maggior parte di essi ottiene un’abitazione ricorrendo alla rete
comunitaria ed ai connazionali, in misura minore a stranieri di altre nazionalità o a conoscenti
italiani. Alcuni ricorrono a servizi informali di intermediazione per i quali si paga una somma pari a
150 euro. Alcuni si rivolgono anche alle ordinarie agenzie pagando, per il servizio, circa 80 euro.
In tutti i casi pare venga sottoscritto un contratto che, non di rado, viene anche registrato,
tuttavia, i contratti stipulati in forma scritta spesso dichiarano importi inferiori rispetto all’affitto
effettivamente versato al proprietario.
I prezzi dei bassi si aggirano intorno ai 250 euro mensili, con punte di 400 euro, per gli
appartamenti il prezzo varia molto a seconda dell’ampiezza ma, generalmente, esso è contenuto tra i
400 euro e gli 800 euro per alloggi composti da almeno tre stanze. Chi risiede in alberghi/pensione
paga una cifra giornaliera pari a circa otto euro per posto letto.
6
. Centro di Cittadinanza Sociale per Immigrati del Comune di Napoli – Cooperativa Sociale Dedalus, Analisi dei
bisogni degli immigrati nella città di Napoli, Napoli, 2003.
26
Riguardo la tipologia abitativa dell’appartamento e del basso, i testimoni affermano che le
abitazioni, nel momento in cui vengono affittate, dispongono sempre di acqua e corrente elettrica.
La cucina (intesa come elettrodomestico e arredo) è presente solo se si tratta di veri e propri
appartamenti, i bassi ne sono molto spesso sforniti. Lo stesso vale per il bagno e lo scaldabagno. In
nessun caso i bassi sono provvisti dell’impianto di riscaldamento che, del resto, è presente negli
appartamenti solo in un numero limitato di casi, trattandosi, probabilmente, di abitazioni molto
antiche. Nel caso in cui gli alloggi non presentino impianti di riscaldamento, gli immigrati che vi
risiedono provvedono personalmente all’acquisto di stufe.
In senso più generale, le abitazioni sono descritte dagli occupanti in termini molto negativi: si
tratta quasi sempre di abitazioni molto antiche e poco ristrutturate, dunque umide e fredde durante i
mesi invernali, molto calde in quelli estivi. In molti casi sono buie perché site in strade molto
strette. Gli impianti idraulici e gli infissi sono quasi sempre in pessime condizioni.
L’elevato costo degli affitti, non in accordo con la qualità degli alloggi a disposizione, è uno dei
motivi che spinge i maghrebini a preferire sistemazioni in provincia, questo non solo a Napoli ma in
tutte le città della Campania. Un altro motivo che spiega la concentrazione dei maghrebini nelle
aree più lontane dal centro è vicinanza rispetto alla sede dove essi svolgono l’attività lavorativa.
Nei comuni vesuviani esistono condizioni abitative non particolarmente difficili né per i locali,
né per gli immigrati (la stima fornita del rapporto tra vani ed abitanti è uno a uno). Tuttavia sono
presenti casi in cui gli immigrati, in special modo i maghrebini, hanno utilizzato a scopo abitativo
alloggi rurali non censiti o dimessi dalla popolazione locale. In merito ai rapporti tra locatari ed
inquilini stranieri, si registra una certa varietà di situazioni, in quanto pur essendo il mercato degli
affitti immobiliari in questa zona non particolarmente proibitivo in termini di canoni di affitto
elevati, si sono osservati casi nei quali i proprietari degli alloggi hanno in un primo tempo accolto
senza pregiudizi gli inquilini stranieri, revocando in seguito il contratto d’affitto, presumibilmente a
seguito di pressioni da parte del vicinato. Diverso è il caso dei maghrebini che abitano nei comuni a
nord di Napoli dove vivono in alcuni casi in masserie abbandonate, talvolta occupate abusivamente,
prese in affitto nonostante la non abitabilità. Le condizioni di questi alloggi sono piuttosto
problematiche in quanto essi sono generalmente sprovvisti di servizi, di acqua e di corrente
elettrica. Questi “ghetti”, come negli anni Novanta gli stessi immigrati chiamavano questi luoghi,
rappresentano una sorta di centri di accoglienza autogestiti dove i nuovi arrivati sprovvisti di punti
di riferimento possono essere momentaneamente accolti dai connazionali.
Anche nella zona di Salerno, i maghrebini abitano in prevalenza in provincia, nelle zone agricole
della Piana del Sele e dell’agro nocerino-sarnese. Anche in tali aree le condizioni abitative appaiono
di estremo degrado. In alcuni casi i maghrebini abitano in strutture non nate come abitazioni (ex
depositi, ex supermercati, ex fabbriche, aree dove una volta sorgevano mercati ortofrutticoli,
capannoni dimessi, anche ex spogliatoi di impianti sportivi). Anche qui in alcuni casi le strutture
sono state occupate in modo abusivo, per cui del tutto sprovviste di servizi igienici, di corrente
elettrica, di impianti di riscaldamento, di acqua. In altri sono date in affitto da proprietari che hanno
ritenuto più remunerativo cambiarne destinazione d’uso. Secondo l’opinione di un testimone
ascoltato, in un’area dall’economia prevalentemente agricola, priva di una netta segmentazione
sociale, il vero discrimine tra condizioni di vita degli italiani e dei maghrebini è dato proprio dalle
situazioni in cui questi ultimi sono costretti a vivere.
Anche nel Beneventano la presenza maghrebina si concentra soprattutto nei comuni della
provincia, piuttosto che nel capoluogo. La causa della scarsa presenza di immigrati maghrebini è
stata riconosciuta nel fatto che i canoni di locazione degli appartamenti in città sono proibitivi.
Tuttavia, in alcuni paesi della provincia come Cerreto Sannita, San Salvatore Telesino o Apice
Vecchia si sta osservando un incremento notevole della presenza di famiglie di origine
nordafricana. Ciò che è interessante notare è che in questi paesi si sta assistendo ad un effetto di
sostituzione che ha la propria origine in fattori di carattere demografico: il progressivo
invecchiamento degli abitanti, accompagnato dall’emigrazione delle componenti più giovani della
popolazione di questi comuni ha lasciato dei “vuoti” demografici che le famiglie maghrebine stanno
27
provvedendo a colmare. Ciò sta dando a questi paesi un aspetto molto particolare di quartieri del
Marocco. Ancora più particolare è il caso di Apice Vecchia: questo comune è stato completamente
abbandonato dalla popolazione locale a seguito del terremoto del 1980 ed è stato interamente
ricostruito a due chilometri dal vecchio centro abitato, pertanto gli immigrati che lavorano nelle
aree circostanti hanno potuto occupare numerosi alloggi nel centro storico che però presentano dei
deficit sul piano dell’abitabilità e della disponibilità di infrastrutture.
In provincia di Caserta i maghrebini che lavorano in edilizia ed in agricoltura quasi sempre
abitano in alloggi collocati nelle vicinanze del luogo di lavoro, spesso affittati o forniti
gratuitamente dallo stesso datore di lavoro. In tal modo quest’ultimo si garantisce una disponibilità
continua ed immediata della propria manodopera. A fronte della facilità con cui si può raggiungere
il luogo di lavoro, le condizioni abitative in queste zone della provincia sono drammatiche. Tali
alloggi molto spesso sono costituiti da vecchi casolari di campagna, abbandonati dai datori di
lavoro, privi di servizi, talvolta di corrente elettrica, riscaldamento, acqua.
Anche i pochi che abitano in città vivono in appartamenti di grandi dimensioni che dividono con
altri connazionali. Pur essendo case vere e proprie, esse sono solitamente molto antiche, poco
ristrutturate, molto fredde ed umide. Il costo medio per un appartamento di 50 mq è 200 euro.
Nella provincia di Avellino i maghrebini vivono prevalentemente in appartamenti in affitto. Si
tratta di case dei centri storici o, nelle zone dell’Alta Irpinia, di prefabbricati del terremoto dell’ 80
dove vivono ancora molti italiani. Gli affitti in quelle zone, tra l’altro, non sono molto elevati. Se ci
si sposta in zone di confine con la provincia di Napoli – dove la presenza dei maghrebini è molto
ridotta – i canoni di affitto aumentano. In questo caso, a determinare l’aumento dei canoni di
locazione è stato l’obbligo della certificazione sanitaria per il ricongiungimento familiare. Nelle
zone di antico insediamento dei maghrebini, invece questa situazione non si è creata: hanno affittato
senza grossi problemi degli alloggi, spesso antichi, in sintonia con la loro disponibilità economica,
ma comunque dotati dei requisiti di abitabilità. Non si registrano in queste aree situazioni di garage
adibiti ad abitazioni.
La situazione di estrema precarietà delle condizioni abitative più drammatiche si riflette sulla
consistenza della presenza femminile in questa comunità, infatti è stato osservato che nei casi di
maggiore disagio non si registra mai la presenza di donne.
4.2. Accesso ai servizi
L’accesso ai servizi di welfare da parte degli immigrati, in un contesto problematico come quello
campano anche per la popolazione locale, appare molto complesso e facilmente eludibile: abitazioni
dignitose, accesso agli alloggi popolari, lavori regolari.
In ogni modo, la principale difficoltà che i maghrebini immigrati incontrano nel loro rapporto
con le istituzioni dello Stato sociale riguarda la difficoltà a districarsi nella burocrazia italiana. In
particolare riesce difficile comprendere sia le norme sull’immigrazione sia il sistema
amministrativo italiano e, di conseguenza, le modalità di fruizione dei servizi sociali pubblici. È
stato segnalato a questo proposito che paradossalmente, le difficoltà maggiori sono riscontrate
proprio da coloro che hanno ottenuto il permesso di soggiorno, in quanto la precedente condizione
di irregolarità metteva loro in una situazione di invisibilità dal punto di vista amministrativo che
coniugava una relativa difficoltà ad accedere ai servizi pubblici alla mancanza di doveri riguardanti
adempimenti burocratici, con notevole risparmio di tempo e di conseguenza con maggior tempo
lavorativo a disposizione.
Oltre alle difficoltà a comprendere i meccanismi della burocrazia italiana, interviene in alcuni
casi un atteggiamento di ostilità, indisponibilità, talvolta di vera e propria discriminazione da parte
di alcuni elementi del personale dei servizi socio-sanitari. Spesso i maghrebini lamentano mancanza
di comprensione ed educazione, inoltre, dall’atteggiamento tenuto dal personale pubblico emerge
una buona dose di pregiudizi e stereotipi negativi sul loro conto. D’altro canto, gli operatori degli
sportelli non sempre si dimostrano in grado di rispondere alle istanze poste dagli immigrati. Per tali
28
motivi i nord africani evitano di ricorrere direttamente ai servizi se non in casi strettamente
indispensabili, preferendo avere come punti di riferimento le associazioni di maghrebini quando
esistono (le moschee ad esempio), gli enti del terzo settore, del volontariato cattolico, i sindacati ed
i centri sociali. Ci sono anche coloro che per rendere più celeri le procedure burocratiche o
l’ottenimento di alcuni documenti non disdegnano il ricorso alle “amicizie” o a personaggi che si
rendono disponibili dietro il pagamento di una somma di denaro. Un ulteriore motivo di difficoltà
nel rapporto dei maghrebini con gli enti pubblici è la scarsa fiducia nella loro abilità nel parlare la
lingua italiana che li porta a ricorre spesso a mediazioni da parte di italiani o di operatori del terzo
settore.
Nonostante il rapporto tra immigrati maghrebini e servizi in questa regione sia prevalentemente
negativo o inesistente, non mancano casi di buona disponibilità da parte del personale di alcuni
distretti sanitari ad assistere gli immigrati anche se non in regola con il titolo di soggiorno.
4.3. Associazionismo e centri di aggregazione
Il quadro della presenza sul territorio campano di associazioni di immigrati maghrebini o di
luoghi di aggregazione più o meno formali si presenta come molto variabile da provincia a
provincia o, talvolta, nell’ambito dello stesso territorio provinciale. Infatti, nella città di Napoli la
comunità maghrebina ha dato vita a forme diverse di associazionismo. Tra queste, la Comunità
socio-culturale araba in Campania, un’associazione interetnica nata nel 1997 che si rivolge
prevalentemente agli arabi. Attualmente l’organizzazione conta 54 iscritti. Tale organizzazione non
ha sedi operative proprie ma si appoggia a sedi concesse da altri soggetti del terzo settore.
L’associazione interviene nel settore della cultura, dell’accompagnamento ed orientamento ai
servizi, svolge attività in ambito scolastico realizzando interventi di sostegno nelle ore di
doposcuola e, più in generale, si impegna a sostenere a vario titolo i propri membri, occupandosi, ad
esempio, del sostegno economico, della ricerca di alloggio e lavoro, del rimpatrio delle salme.
L’ente collabora spesso con altre associazioni del terzo settore e comunità di immigrati, in
particolare con quelle che raggruppano maggiormente membri della comunità araba o islamica: le
associazioni religiose (moschee) Zaid Ibn Thabit e Comunità islamica di Napoli e partecipa ai tavoli
istituzionali del Comune, della Provincia e della Regione.
L’associazione Zaid Ibn Thabit, per l’appunto, ha sede presso la moschea sita nei pressi della
stazione centrale e conta attualmente 12 iscritti. L’associazione utilizza locali del Comune di Napoli
dati ad essa in gestione. Questa organizza corsi di doposcuola e di lingua e cultura araba per
bambini immigrati ed italiani figli di genitori convertiti all’islam. Il primo livello, quello
preparatorio, rappresenterebbe una sorta di asilo-nido ed è indirizzato ai bambini dai 3 ai 5 anni; il
secondo è quello corrispondente alla scuola elementare ed è frequentato da minori compresi tra i 5
ed i 10 anni. La moschea è composta da più sale, alcune adibite alla preghiera, all’organizzazione
dei corsi di lingua e cultura araba per i minori, altre ai momenti di socializzazione, in una è presente
anche una biblioteca.
Vi è a Napoli un’altra moschea, di più antica presenza, gestita dalla Comunità Islamica.
Attualmente anch’essa sita nelle vicinanze della Stazione centrale. Fondata da un gruppo di studenti
palestinesi nel 1980 nella zona flegrea, nel 1989 fu costituita in associazione. Nel corso degli anni
ha conosciuto sedi molto diverse: i dintorni di piazza Garibaldi, piazza Dante, una traversa di via
Roma. Dal 1994 si è stabilita nell’attuale sede. È la stessa associazione a sostenere le spese
dell’affitto dei locali grazie anche al contributo dei fedeli che la frequentano: maghrebini,
senegalesi, ivoriani, burkinabè. La comunità attiva ogni anno corsi di lingua araba e cultura islamica
rivolti a donne italiane o di altra nazionalità convertite all’islam e corsi di memorizzazione del
Corano per minori dai 5 ai 12 anni. Questi corsi sono completamente autofinanziati
dall’associazione che ricorre, non disponendo di altri fondi, ad “insegnanti” interni. Il numero dei
frequentanti è in media di 10-15 persone.
29
Nella provincia, a Poggiomarino in particolare, è presente dal 1990 l’associazione denominata
La Quercia. Si tratta di un’organizzazione italo-extracomunitaria il cui vicepresidente è un tunisino
il quale è in procinto di fondare un circolo di tunisini aperto anche agli immigrati maghrebini
provenienti da altri paesi. Anche nel passato, in questa zona,vi sono stati vari tentativi di dare corpo
ad un associazionismo immigrato che andasse al di là delle singole provenienze nazionali che però
non ha avuto seguito anche per ostacoli nel contesto e per il pregiudizio della popolazione locale.
Una ulteriore difficoltà è data dal forte ripiegamento su se stesse delle singole comunità. Un
tentativo di creare delle figure di rappresentati delle diverse nazionalità di immigrati presenti nella
zona è stato avanzato da un marocchino collaboratore de La Quercia, ma l’iniziativa è stata accolta
in maniera negativa dai suoi connazionali che non hanno apprezzato il suo impegno per stranieri di
diversa provenienza. Inoltre, il Comune di Poggiomarino ha deliberato la nomina del rappresentante
degli immigrati in Consiglio Comunale, ma questa delibera è rimasta non attuata a causa della
mancanza della sensibilità necessaria.
La comunità maghrebina a Nocera Inferiore sembra essere molto poco strutturata e poco incline
alla vita sociale, infatti sembra assente qualunque forma di associazione su base etnica o di un luogo
di ritrovo o di culto per gli immigrati nordafricani presenti. Nelle parole della persona intervistata:
“siamo gente che lavora e dopo ognuno se ne va a casa sua”. Anche la frequentazione
dell’associazionismo locale sembra alquanto scarsa. Se si eccettua la persona intervistata, che
conosce e frequenta una cooperativa sociale locale, gli altri immigrati maghrebini di Nocera non si
rivolgono alle associazioni italiane per assistenza o accompagnamento ai servizi in quanto il lungo
tempo di permanenza ha permesso loro di esprimere in autonomia una domanda sociale non molto
diversa da quella dei cittadini italiani, senza il ricorso a canali di facilitazione dell’accesso
In provincia di Caserta la comunità maghrebina è distribuita sull’intero territorio e molto
frammentata, pertanto, nel Casertano non esiste una vera e propria associazione maghrebina. I
tentativi di creare un’organizzazione che raccolga il maggior numero di immigrati maghrebini sono
falliti, tuttavia, un punto di riferimento e di aggregazione fondamentale per una parte
dell’immigrazione araba presente in provincia di Caserta è la moschea di S. Marcellino. Questa fu
creata nel maggio 1992 da un gruppo di maghrebini che avevano avuto la possibilità di utilizzare un
garage in disuso. Questo spazio un po’ alla volta è stato trasformato, attraverso lavori di
ristrutturazione che hanno apportato degli elementi estetici tipici dell’architettura araba. Ogni
venerdì, in occasione della preghiera comunitaria, viene chiesto ai presenti un contributo di 1 euro
da destinare alle spese dei lavori e dell’affitto dei locali. Questo spazio non rappresenta solo un
luogo di preghiera ma anche un centro aggregativo, di socializzazione, uno sportello dove recarsi
per ottenere informazioni. I soci, inoltre, organizzano attività di vario tipo: corsi di italiano, vendita
di prodotti tipici dei loro paesi, visita ai maghrebini ricoverati negli ospedali. La creazione di questo
luogo ha molto infastidito la popolazione locale che ha cercato di ostacolarne in modi diversi le
attività. Di contro è stato molto forte l’appoggio e la solidarietà che i suoi frequentatori hanno
ottenuto da alcuni enti del terzo settore quali l’associazione Nero e non solo e il Cidis.
A Benevento e provincia non sono presenti luoghi di culto. La religione non sembra essere
particolarmente praticata o almeno quanti osservano il precetto della preghiera lo fanno nelle
proprie abitazioni. In merito all’associazionismo maghrebino in questa provincia, nel 1994 uno dei
testimoni di nazionalità marocchina ascoltati, insieme a un cittadino algerino, ha cercato di dare vita
ad un’associazione di maghrebini che però non ha avuto un seguito per la carenza dei membri. Per
questo motivo si sta cercando di organizzare delle attività anche con la partecipazione di cittadini
italiani. La maggiore adesione, per ora, si è avuta da parte dei giovani del centro sociale
Depistaggio di Benevento. Ulteriori difficoltà si sono presentate nel rapporto con i poteri locali e
con il Comune in particolare, che non sembra assolutamente collaborativo nei confronti di queste
iniziative. La mancata adesione dei maghrebini sembra dovuta non soltanto all’esiguità del loro
numero, quanto alla tendenza dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie a condurre una vita
sociale molto ritirata e a dedicarsi prevalentemente alle attività lavorative. A questo proposito, è
stato osservato dal testimone ascoltato un cambiamento nella coesione della comunità maghrebina
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la quale nei decenni scorsi dimostrava una forte propensione al mutuo aiuto che si concretizzava
anche con l’ospitalità verso connazionali senza casa o lavoro. Nell’ultimo decennio, invece, coloro
che sono giunti in tempi più recenti mostrano un individualismo molto più marcato. È da osservare
inoltre che la frequentazione dei luoghi di ritrovo degli immigrati maghrebini da parte di quanti
abitano in provincia è ostacolato anche dal fatto che i paesi con maggiore presenza di immigrati
sono male collegati con il capoluogo.
In provincia di Avellino i gruppi di maghrebini esistenti sembrano non avere alcuna
organizzazione di tipo formale, anche se negli ultimi tempi i maghrebini della zona stanno
cominciando ad aprirsi ad una qualche forma di organizzazione o a rapportarsi ad associazioni
locali, prevalentemente con le organizzazioni sindacali, presso le quali ottengono servizi e
consulenze.
In generale dalla ricerca emerge, in tutto il territorio regionale, un senso abbastanza spiccato di
solidarietà e coesione interna alla “comunità maghrebina”. Gli immigrati provenienti dai paesi della
Tunisia, dell’Algeria e del Marocco solitamente cercano lavoro insieme, dividono le abitazioni, si
frequentano nel tempo libero. Qualche giudizio negativo sembra essere espresso dagli algerini e dai
tunisini nei confronti dei marocchini, soprattutto coloro che vendono ai semafori. Di questi ultimi
non viene apprezzata la scelta lavorativa, vengono accusati di contribuire all’immagine negativa che
gli italiani hanno di tutti i maghrebini. Al di là di questo particolare, in nessuna delle province
campane sono stati segnalati casi di conflitto tra individui di diversa nazionalità ma pur sempre
provenienti dall’area del Maghreb. Se si sono verificati, si è trattato di liti derivanti da motivi
puramente personali e non dalla diversa provenienza, piuttosto è stata rilevata una certa solidarietà
soprattutto quando si tratta di organizzarsi per chiedere diritti.
4.4 Integrazione e politiche locali
Nonostante l’immigrazione maghrebina in Campania sia una realtà che risale già a più di venti
anni fa, sembra che quasi dovunque non si sia ancora verificata una vera e propria integrazione tra
immigrati maghrebini e popolazione locale, infatti, alcuni testimoni intervistati ritengono che non si
sia sviluppata “una sinergia, un intreccio” tra le comunità maghrebine e quelle locali a causa della
mancanza da parte delle istituzioni locali di una seria politica di inserimento, intesa come possibilità
per gli immigrati di accedere su un piano di parità rispetto agli italiani a risorse quali la casa, il
lavoro, l’inserimento scolastico dei giovani, i servizi socio-sanitari e la possibilità di mantenere vive
le proprie tradizioni religiose e culturali. Ciò è stato riscontrato soprattutto a proposito degli
immigrati che vivono e lavorano nella provincia di Caserta. Le ragioni per cui alcuni nostri
interlocutori ritengono che qui non si sia raggiunto un buon livello di integrazione socio-culturale
non dipendono solo da atteggiamenti xenofobi e discriminatori da parte della popolazione locale: un
fattore determinante che causa condizioni di vita ancora marginali e precarie è la struttura
economica della città che ricade sulle condizioni di vita degli stessi italiani.
A Caserta, inoltre, non è stata fornita ai maghrebini presenti in zona alcuna possibilità di spazi
autogestiti di socializzazione. Coloro che abitano in provincia si recano nelle moschee di Napoli o
di S. Marcellino. A questo riguardo, sembrano molto sentite le esigenze di creare un cimitero e
degli spazi per il rito funerario islamico, di migliorare le moschee, di ottenere più servizi di
macelleria musulmana ed una maggiore facilitazione nell’ottenimento delle licenze commerciali
connesse, la costituzione di luoghi di ritrovo diversi dalla moschea. Tali bisogni sembrano meno
avvertiti a Caserta città per l’esiguità del numero dei maghrebini che abitano.
Nell’intera provincia i rapporti tra stranieri e popolazione casertana sembrano essere piuttosto
problematici: il marocchino è lo straniero per eccellenza, capita ancora oggi che gli immigrati di
qualunque nazionalità vengano denominati come marocchini. Ci è stato riferito che nello schedario
dell’anagrafe di un comune in provincia di Caserta, le pratiche relative agli immigrati vengono
conservate in una cartellina sul cui frontespizio c’è scritto “marocchino” .
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Nel caso particolare dei rapporti con i nordafricani, alcuni testimoni ritengono che vi sia una
percezione molto negativa da parte della popolazione italiana e gli stessi maghrebini avvertono
molto i pregiudizi, la diffidenza, i luoghi comuni che li circondano. Inoltre la popolazione locale è
spesso portata a catalogare alcuni episodi di piccola criminalità commessi da singoli individui come
esempio della “natura” di un popolo, “gli arabi”, fondamentalmente portato a compiere atti illeciti e
violenti, o dalla religione da essi praticata. Le istituzioni, a detta dei testimoni, non sembrano molto
impegnate per smantellare questi pregiudizi. L’unico anello di collegamento tra la società e queste
comunità è il mondo dell’associazionismo che promuove iniziative contro-informative anche nelle
scuole. Solo nei casi nei quali i maghrebini hanno aperto degli esercizi commerciali è stato possibile
creare migliori relazioni con gli italiani grazie alla possibilità di ampliare e generalizzare il contatto
con il pubblico.
Da quanto detto si può nel ritenere che si è ben lontani dall’aver realizzato una vera e propria
“società interculturale” in cui ci sia confronto, scambio su un piano di parità, qualcuno afferma che
la provincia di Caserta ha raggiunto un “livello di non belligeranza”. Il basso livello di integrazione
dipende molto anche dalle difficoltà che le diverse normative che si succedono in materia di
immigrazione - e l’ultima in modo particolare - creano per l’ottenimento e il rinnovo del permesso
di soggiorno, per i ricongiungimenti familiari e per altre questioni di natura burocratica. Un
elemento che potrebbe migliorare le loro condizioni di vita potrebbe essere dunque un incremento
dell’offerta informativa sui diritti e sulle procedure per l’accesso ai servizi a disposizione degli
immigrati.
Anche per quanto riguarda la città di Napoli i testimoni ascoltati ritengono che i pregiudizi e gli
stereotipi negativi associati agli immigrati ed in particolar modo ai maghrebini siano molto diffusi
tra la popolazione. Episodi d’intolleranza più o meno manifesti hanno riguardato in particolar modo
le usanze rispettate dalle donne arabe come l’uso del hijab. Le difficoltà di relazione tra gli
immigrati maghrebini e la popolazione locale sono aggravate dal fatto che la conoscenza
dell’italiano da parte loro non è sufficiente a consentire la costruzione di un dialogo con la
popolazione locale, ciò ovviamente si riflette sulla qualità dell’inserimento sociale e lavorativo. È
da notare che le maggiori difficoltà di integrazione, così come la presenza più grave di pregiudizi si
registra nelle città di grandi dimensioni, mentre nei centri più piccoli della regione, dove tuttavia la
presenza di maghrebini non è irrisoria, la popolazione locale accetta senza particolari difficoltà la
presenza degli stranieri. In linea generale, se gli immigrati hanno eletto città come Poggiomarino o
Nocera quale luogo d’insediamento è anche perché la stragrande maggioranza di essi non ha subito
particolari episodi di intolleranza. Quei rari ma non rarissimi momenti di tensione sono in genere il
frutto del condizionamento dovuto alla diffusione di notizie su casi di cronaca che coinvolgono
immigrati o stranieri in genere. Si tratta tuttavia di fenomeni che si esauriscono naturalmente con il
tempo.
Se nella regione Campania non sono stati segnalati rapporti problematici tra maghrebini di
nazionalità diversa, alcuni disaccordi pare esistano tra immigrati provenienti dai paesi dell’est
Europa (esclusi gli albanesi) e gli africani, siano essi nordafricani o sub-sahariani in quanto i primi,
in alcuni casi, hanno atteggianti discriminatori nei confronti dei secondi. Ciò si riflette anche
nell’atteggiamento della popolazione, in genere più benevolo, nei confronti degli immigrati
provenienti dalla Polonia o dall’ex Unione Sovietica rispetto ai maghrebini e degli africani subsahariani. Una parte dei testimoni crede che in parte sia dovuto agli aspetti somatici e culturali,
rispetto ai quali gli italiani si sentono più vicini ai popoli provenienti dall’est Europa piuttosto che a
quelli provenienti dal continente africano.
Solo una minoranza è coinvolta in attività illegali, quali il commercio della droga. Difficile,
inoltre, registrare casi di sfruttamento della prostituzione. Viceversa un numero non indifferente di
maghrebini fa un uso eccessivo di alcool o di sostanze stupefacenti. Inoltre, nell’ottica di un
operatore di strada tunisino, si nota un lieve aumento del numero dei senza fissa dimora che
popolano l’area della Stazione Centrale.
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In conclusione, un po’ in tutta la regione si sono osservati momenti di diffidenza tra popolazione
locale e cittadini maghrebini, soprattutto a seguito degli eventi dell’11 settembre del 2001, tuttavia
ciò non ha incrinato seriamente i rapporti tra i locali e gli immigrati, soprattutto in quei casi nei
quali le notizie diffuse dalla stampa sono mediate da rapporti di conoscenza personale tra stranieri e
locali. È ovvio che per tutti gli immigrati la capacità di integrarsi dipende anche dal carattere e dalle
aspirazioni della singola persona. Indubbiamente la lingua favorisce l’integrazione, tuttavia, la
stessa intenzione di ritornare nel paese di origine può indurre gli immigrati a mettere in secondo
piano l’obiettivo dell’integrazione rispetto ad obiettivi considerati prioritari quali l’aumento del
reddito per aumentare le rimesse o per formare un capitale con il quale aprire un’attività nel paese
d’origine.
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