Dispensa Insegnamento Formazione e Sistemi Educativi

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Dispensa Insegnamento Formazione e Sistemi Educativi
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Dispensa Insegnamento
Formazione e Sistemi Educativi
Introduzione
Il problema dell’educazione interessa un numero sempre crescente di persone. Ci
si accorge che non riguarda più soltanto i pedagoghi di professione o i genitori
che abbiano figli da crescere, ma, in fondo, tutti: perché tutti sono a qualche
titolo educatori, non fosse altro per l’influenza che si può esercitare.
Spesso si abbozzano grandi piani di riforma, si prendono posizioni in merito, si
discute pro e contro un’educazione più conforme alle moderne condizioni della
tecnologia e della realtà ambientale.
È facile capire questo rinnovato interesse per un problema che corrisponde ad un
bisogno sentito come necessario oltre che importante civilmente.
Ma l’educazione non ha dovuto adattarsi passo passo all’evoluzione della vita e
del suo progredire? Il mondo continua a cambiare, non diventa forse dopo ogni
cambiamento qualcosa di statico, che ancora una volta va rinnovato?
Certamente il passato non ha interesse che per coloro che lo interrogano e che
sanno utilizzare le informazioni. Ma se c’è un campo il quale può istruire sul
presente e anche sull’avvenire questo è proprio quello dell’educazione perché,
nella storia dei suoi cambiamenti, offre mille esperienze che può evitare di ripetersi. Ovvero, il modo migliore di capire ciò che è, ed anche di afferrare il senso
della sua evoluzione, sta nel sapere come siano nati gli usi in questo campo, le
tradizioni, le istituzioni, le pratiche: sta nel conoscere le necessità e gli intenti ai
quali gli uni e le altre hanno risposto alla loro origine, le trasformazioni che
hanno subito nel corso dei secoli.
La storia dell’educazione può essere rivelatrice e utile in un senso ancora più
largo, perché essendo l’analisi dei diversi modi in cui, attraverso le età e le
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civilizzazioni, si è formato l’individuo al suo ruolo di uomo nelle società in cui
doveva vivere, essa costituisce in fondo una vera filogenesi dell’uomo o,
piuttosto, dell’idea che di lui ci si è fatti attraverso l’evoluzione. Ogni sistema
educativo corrisponde ad un regime economico, sociale, politico, religioso, ad
una situazione umana, è costruito per rispondere ai bisogni, alle idee, agli usi
dell’epoca. Di conseguenza, la storia dell’educazione riguarda tutto: l’economia e
la tecnica, l’evoluzione delle idee e dei costumi, parte essenziale della storia
dell’umanità.
Spesso ci si sofferma solo sull’aspetto più banale della funzione educativa nella
società, l’educazione dello spirito, un certo tipo di preparazione. In realtà,
l’educazione comprende tutte le influenze che possono esercitarsi su un individuo
nella sua vita, abbraccia tanto la formazione professionale o sociale che la
formazione intellettuale o morale. La parola educazione comprende educazione
intellettuale, educazione secondaria che occupano tutta la trattazione in libri
scritti e letteratura, e ancora educazione primaria, educazione professionale o
tecnica, i principali sistemi educativi e altro ancora. Si ricordi che il XX secolo è
stato, come detto, il secolo del fanciullo, senza dimenticare le grandi tradizioni
che lo sostenevano e lo spingevano avanti.
Lo spazio dedicato alla formazione dell’uomo è continuamente cresciuto di
importanza. Tutti i progetti prevedono di estendere la scolarità obbligatoria. Ma
nello stesso tempo si avverte che l’educazione deve essere opera di tutta la vita.
Infatti si percepisce la necessità di permettere anche all’uomo adulto di
continuare a sviluppare le sue attitudini professionali o intellettuali, di
aggiornarsi: è un problema centrale del mondo moderno che accresce il tempo
libero e quindi si devono fornire gli strumenti per farne un uso sano e
vantaggioso.
Si è organizzato più o meno razionalmente un insegnamento post-scolare sempre
più vario, con patronati, club, gruppi teatrali o musicali, circoli di studio. Le visite
ai musei, le escursioni, le feste sono state impiegate a questo scopo, affianco a
movimenti sportivi o culturali. Ma si sono visti i corsi serali consentire di
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perfezionarsi nelle professioni, di accedere a traguardi più elevati, o anche di
cambiare
mestiere.
Questo
insegnamento
dell’adulto
ha
ricevuto
un
incoraggiamento sempre maggiore, infatti è nata prima l’educazione popolare,
che poi si è tramutata in educazione dell’adulto. Una nuova forma di
realizzazione educativa meglio motivata, più agile, un’animazione culturale, che
indirizza sempre più la pedagogia ai metodi di educazione attiva.
Questa estensione dell’azione educativa è un fenomeno costante dell’epoca
moderna.
Tutti i bambini hanno bisogno di un sostegno didattico perché possano entrare a
fare parte di un gruppo di una determinata cultura e per trovarsi di fronte a un
compito che comporta apprendimento. Che cosa si può fare per dare un
adeguato sostegno in modo che possano svolgere in modo efficiente il proprio
percorso educativo e di acculturazione? Come si può aiutarli a conservare un
buon contatto con la realtà e a mantenersi in buone condizioni di efficienza in
quest’area dell’apprendimento, che devono comunque affrontare? O ancora, in
quale aree occorre predisporre misure protettive e in che modo aiutarli per avere
adeguati
contatti
sociali
ora
che
hanno
la
possibilità
di
svilupparsi
adeguatamente in settori sociali? Questi interrogativi non possono fare a meno di
interessare l’educatore. In tutti i casi ci si aspetta che gli stimoli ambientali
svolgano il lavoro parallelamente all’educatore. Si tratti di un’esperienza completa
o parziale, ha a che fare con il bambino nella sua globalità e in una situazione di
vita totale e questo vuol dire agire, non soltanto parlare o fare delle fantasie.
Insomma, sono sempre implicati sia il problema del contatto con la realtà che
quello delle funzioni di controllo. Com’è possibile, per esempio, stabilire fino a
che punto si deve incoraggiare un bambino ad ammettere con sé stesso la
propria ostilità nei confronti degli altri, prima di sapere se può contenere entro
limiti accettabili quell’ostilità?
Come si fa a comprendere fino a che punto si può lasciare che si manifesti
apertamente il suo bisogno di esprimere prepotenza se non si conosce quali tipi
di giochi competitivi possono aiutare a mantenere i suoi impulsi a un livello di
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sublimazione mediamente sopportabile? Come si fa a decidere quando mettere il
bambino di fronte alla consapevolezza del proprio senso di colpa, se non si sa in
che modo reagirà al senso di vergogna e di colpa, e fino a che punto sarà in
grado di sopportare questa vergogna e colpa senza andare completamente in
pezzi?
Osservare un bambino mentre lavora o gioca è uno spettacolo straordinario.
Persino chi è affetto da qualche piccolo disturbo ma che si trova sostanzialmente
in buone condizioni, è in grado di superare con grande facilità la maggior parte
delle inevitabili contrarietà della vita quotidiana. Si prenda il caso, per esempio,
di un bambino che ritorna a casa da scuola dopo una giornata faticosa e non del
tutto priva di conflitti e che, si vede scombinare i suoi piani di una partita di
pallone. Sì, certo, sulle prime si mostrerà un po’ irritabile o farà il noioso dando
fastidio a tutti. Ben presto però, superata l’irritazione iniziale nel vedere frustrati
tutti i suoi piani, passerà in rassegna altri giochi. Comincerà a sceglierne alcuni,
quelli che in quel momento sembrano divertirlo di più. In ogni caso si renderà
conto che è stata una circostanza a guastargli il divertimento e non ne attribuirà
la colpa a chicchessia. Sarà più forte per lui il pensiero del potenziale piacere
riservatogli dai suoi giocattoli, che non la tentazione di sfogare su di essi la sua
ansia per doversene stare chiuso in casa. Il broncio non durerà a lungo: ben
presto sarà assorto in qualcos’altro, con la serietà e l’intensità che i bambini
sereni manifestano sempre quando sono impegnati a fare qualcosa. Gli educatori
devono conoscere la complessità del processo in atto per rendere possibile la
risoluzione di una situazione così semplice. Importante sapere quante cose
sarebbero potute andare di traverso lungo il cammino, fiduciosi invece sulla
risoluzione di quei piccoli disagi che il comportamento infantile inevitabilmente
procura. Naturalmente a volte non sono in grado di superare facilmente le
situazioni di crisi: di tanto in tanto hanno più bisogno di sostegno, e se questo gli
viene dato tutto va bene. Perciò ogni educatore sarà ansioso di imparare a dare
sostegno nei momenti in cui si trova ad affrontare un compito che trascende le
sue possibilità. Il modo migliore per scoprirlo è quello di osservare da vicino che
cosa accade se il bambino non è in grado di svolgere da solo la propria funzione.
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Osservandolo si può trarre suggerimenti su come affrontare il compito di dare
aiuto. Vale a dire che, quando si trova esposto a una situazione che potrebbe
risultare frustrante, non vuole subire la frustrazione, ma pretende la totale
gratificazione di tutti gli impulsi che aspettano di essere liberati. Per chi si occupa
di bambini questo costituisce un grosso problema e rappresenta una delle ragioni
per cui alcuni risultano così difficili da trattare quando vengono inseriti insieme a
bambini senza gli stessi problemi, in un programma di attività. La seconda
situazione a cui si riferisce l’espressione bassa soglia di frustrazione è altrettanto
complicata per l’educatore, ma comporta un problema psicologico d’altro genere.
In questo caso il bambino accetta di essere esposto a una lieve frustrazione ma è
totalmente incapace di far fronte ai sentimenti che essa provoca. L’irritabilità che
ben presto si manifesta non è tanto il risultato del prorompere dell’impulsività
iniziale, quanto l’effetto della reattività, dell’angoscia o del panico provocati dalla
situazione stessa. Pur essendo in grado di entrare, per breve tempo, in una
situazione potenzialmente frustrante, questi bambini cadono in uno stato di
disorganizzazione totale non appena si fanno sentire i primi effetti della
frustrazione. In situazioni che un bambino più in equilibrio finirebbe per superare
senza problemi, essi sviluppano panico da delusione. Nel primo caso, sembra
impotente di fronte all’improvviso aumento di intensità degli impulsi e non è in
grado di impedire che avvenga un’apertura quale che sia il prezzo da pagare. Nel
secondo caso sembra impotente di fronte all’entità dell’ansia, della paura, del
disagio provocati da situazioni sia pur lievemente frustranti, crolla in uno stato di
disorganizzata confusione persino di fronte a piccole quantità di insoddisfazioni.
Queste due situazioni mostrano quanto sia complesso in realtà il compito che un
educatore deve svolgere, come si tende a dare per scontato o quasi a non notare
quello che in realtà è il risultato di finalità molto specifiche.
Lo scopo di questo insegnamento è fornire all’educatore una visione d’insieme
sul rapporto che intercorre tra espressione comportamentale e sistema
neurologico nell’ambito dell’apprendimento. Sono illustrati esempi pratici su come
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agire rimanendo nella sfera di competenze e rispettando l’autonomia altrui per
aiutare un’altra persona a superare le proprie difficoltà di apprendimento.
Quando un bambino nasce ha un organismo eccezionalmente capace dotato di
sistemi senso-motori ben funzionanti. Fin dai primi giorni di vita è capace di
apprendere associazioni tra stimoli e risposte e il ruolo del significato e della
familiarità degli eventi diventa subito importante. Presta attenzione in maniera
preferenziale a quei fattori che abbiano caratteristiche nette del tipo accesospento, luci in movimento, suoni intermittenti. Nel momento in cui comincia ad
acquisire rappresentazioni interiori o schemi dei fenomeni, si concentra verso
situazioni che assomigliano a quelle familiari o moderatamente diverse perché il
nostro cervello è diviso in due emisferi, ciascuno dei quali riceve informazioni ed
invia segnali anche alla parte opposta del corpo. Funziona come un centro di
controllo e di smistamento capace di attivare questa o quella via diretta ad
eseguire un compito in maniera efficiente: ogni componente ha un ruolo in
relazione alle altre. Sono dinamiche di sviluppo che il bambino attraversa durante
alcuni periodi e per cui acquista familiarità con persone, oggetti ed eventi che a
loro volta gli consentono di comprenderne altri di maggiore complessità o
difficoltà. La persona che si prende cura di lui, di solito la mamma, gli fornisce
generalmente esperienze piacevoli e riduce, quando c’è, il suo dolore e la sua
disperazione. Il piccolo risponde a sua volta con vocalizzi, con sorrisi, e si rivolge
con esclusività e diventa estremamente recettivo. Sviluppa schemi relativi al suo
ambiente e si turba quando non ha una risposta da opporre allo stimolo
inconsueto. Questi incontri sono tra le più importanti fonti di vigilanza e
prontezza: se riesce a interpretare o a risolvere la sorpresa cresce dal punto di
vista psicologico, mentre se non vi riesce si ritira o in qualche caso manifesta
panico. Quando vive in un ambiente monotono e impersonale tende ad essere
carente dal punto di vista cognitivo ed emotivo e non reagisce alle persone in
maniera socializzata. Il bambino di un anno che è stato trascurato in tal modo
sembra possedere una notevole capacità di recupero se il suo ambiente cambia e
gli consente la libertà di esplorare la varietà del suo mondo e gli dà la possibilità
di
stabilire
rapporti
di
interazione
con
adulti
e
con
altri
bambini.
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Successivamente, man mano che cresce, il piccolo riesce a dedicare
un’attenzione prolungata agli eventi discrepanti che lo inducono ad attivare
ipotesi che aiutano la comprensione. Anche le sue azioni motorie, come i suoi
schemi mentali, si sviluppano rapidamente e presto manifesta la capacità di
programmare una buona coordinazione motoria. Entra nel mondo del significato
applicando etichette linguistiche a fenomeni familiari. Ormai è una creatura
complessa, capace di conoscenza e raziocinante, che ha acquisito alcune nozioni
e idee sul mondo circostante e sui modi per affrontarlo. La percezione visiva, per
esempio, è il canale principale di accesso sensoriale al sistema nervoso. Quindi il
suo apporto è continuamente chiamato in causa nel processo di apprendimento e
la sua funzione, ottimale o alterata che sia, è richiesta in molteplici contesti.
Come qualsiasi recettore specializzato nel raccogliere un certo stimolo
dall’ambiente o dall’interno del corpo, la retina fa partire un’informazione che
viaggia lungo il binario del sistema nervoso, il cui capolinea ultimo è la corteccia
cerebrale. Le stazioni intermedie comprendono circuiti preposti all’attività riflessa,
che spesso rimangono sotto il livello di coscienza. Lungo il tragitto la percezione
iniziale si arricchisce di significati e si plasma secondo i modelli di organizzazione
dell’esperienza propri dei centri di elaborazione di volta in volta raggiunti. La
vista, infatti, predomina sulle altre modalità sensoriali specifiche e l’estensione
d’area dedicata nel cervello è molto ampia. Le aree corticali visive associative
collaborano nel creare la memoria delle situazioni. I centri oculomotori sono
disseminati lungo l’encefalo e collegati con i sistemi spinali motori. L’apparato
visivo è quindi l’organo di senso per elezione più frequentemente coinvolto nelle
fusioni, ma per gli stessi motivi è quello che ci permette un più facile accesso per
attuare le correzioni opportune. Gli occhi scoprono uno scenario in cui è possibile
svolgere azioni. Un occhio che guarda diritto davanti a sé percepisce un insieme
di punti detto campo visivo. D’altra parte l’ambiente entro cui compaiono gli
stimoli che ci inducono a decidere una modalità di comportamento piuttosto che
un’altra è definito campo di acquisizione comportamentale. Questi due campi
sono tridimensionali, largamente sovrapponibili e dipendenti dalla posizione del
capo. Quando le informazioni si affollano a causa dello stress o della malattia,
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lungo le vie di connessione si crea un ingorgo che limita o rende molto difficoltosa la comunicazione interemisferica e la persona non opera più in forma
integrata, ma tende ad utilizzare primariamente le informazioni provenienti da
uno solo dei due lati. Si determina quindi una sorta di dominanza o di prevalenza
funzionale di un emisfero cerebrale sull’altro a seconda del compito specifico che
la persona deve svolgere.
Sistemi educativi e rinnovamento
Franco Cambi così motiva il Novecento come secolo di grandi rivolgimenti, specie
in campo educativo: “Il XX secolo è stato, quindi, un secolo di grandi rotture, pur
all’interno della sua tragica storia, un secolo-capolinea e un secolo-svolta, nel
medesimo tempo. Un secolo carico di fascino e, insieme, d’angoscia […] Il
Novecento, proprio per le sue luci e le sue ombre, è stato un grande secolo, che
impone alla storia stessa di ripensarci ab imis e anche di cambiare rotta. Il XXI
secolo dovrà misurarsi con questa eredità difficile e non perderne di vista né le
luci e neppure i compiti lasciati in sospeso”.1
In questo complesso periodo si è visto per la prima volta un vero e concreto
rinnovamento educativo, la pedagogia è stata messa al centro di noti pensieri,
senza astrazioni o utopie, senza teorizzazioni che mancavano di pratica. È logico
considerare come il Novecento non manifesta i suoi pensieri educativi dal nulla,
ma ha alla sue spalle un’eredità teorica che poggia le sue basi sulle riflessioni che
iniziarono a trapelare sul bambino fin nell’Ottocento. Un importante contributo si
è avuto anche dal pensiero, se pur contraddittorio, di Jean-Jacques Rousseau nel
Settecento, con il suo Emilio, che è un manifesto della pedagogia filosofica
moderna e che parla per la prima volta di un bambino che dovrà svilupparsi
1
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 8-9.
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secondo natura. Ma altrettanto importanti sono stati i pensieri di illustri
pedagogisti quali Pestalozzi, Froëbel, Hebart, Kolping e molti altri.
Ci sono quindi delle eredità che vengono considerate ma al tempo stesso
superate e perfezionate. Eredità che spianano la strada a quelle visioni
pedagogiche che si completano nel Novecento e saranno sempre in evoluzione.
Un rilevante contributo a questo rinnovamento educativo è avvenuto grazie alla
trasformazione della società di massa e grazie alla scienza che si è fatta
paradigma centrale della conoscenza e guida per rendere i saperi ben
organizzati, produttivi da un punto di vista sociale.
Si trovano tra i temi centrali: il puerocentrismo ossia la centralità del bambino
con tutte le sue specifiche caratteristiche nel processo educativo; l’interesse per il
suo sviluppo cognitivo, affettivo e motivazionale; la valorizzazione per la pratica,
per l’azione nell’apprendimento e quindi il lavoro manuale, come per il gioco. Non
esiste solo la teoria, non esistono solo concetti da inculcare nella testa dei
bambini e pretendere che essi li imparino mnemonicamente, ma anche
l’influenza che comporta l’ambiente circostante, un ambiente che dovrà essere
ricco di stimoli per la mente e l’attività del bambino, e che a sua volta si riverserà
sulla sua socializzazione: ambiente idoneo, sviluppo idoneo, socializzazione
corretta. Si affievolisce il concetto di autoritarismo, ora l’insegnante deve essere
colui che accompagna il percorso di crescita, è quella guida che mostra senza
troppe ingerenze la strada giusta da compiere, senza ricorrere al forte
intellettualismo dei secoli passati, lasciando più liberi i bambini nell’acquisizione
delle conoscenze.2
Rilevante sarà il passaggio dalla pedagogia alle scienze dell’educazione, perché si
è andato costituendosi non più un sapere unico, filosofico come lo era la
pedagogia passata. Essa, infatti, come molte altre scienze si è sviluppata
legandosi in modo stretto alla filosofia, ha avuto carattere ideologico, metafisico
e possedeva come antecedente storico il mondo dei Sofisti. Da Platone a Socrate
2
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008.
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emerge il concetto di comunità, del filosofare insieme, dell’essere educato dalla
comunità e nella comunità, e fulcro di tutto ciò è rappresentato dall’ idea, che si
legherà a leggi etiche, estetiche e logiche.3 Nei secoli passati si era ancorati al
concetto dell’e-ducere, quel trarre fuori con intenti predisposti, impositivi.
Nel novecento invece vi è l’emergere di un sapere interdisciplinare, sperimentale,
varia il piano metodologico ed epistemologico; coscienza filosofica, scienze
umane e scienze biologiche si intersecano tra di loro. Vi è l’assunzione di un
modello empiristico, dove più scienze collaborano per formulare quel sapere che
va al passo con i tempi, concreto e reale. Si parla di una formazione che
presenta dunque un ambito individuale da una parte, che investe ricerche
biologiche e psicologiche, e un ambito sociologico e antropologico dall’altra.
E ancora, lo sviluppo di quella che è stata denominata pedagogia sociale, la cui
culla risiede in Germania, ha per oggetto l’educazione sociale. Una pedagogia
che si interessa di fenomeni sociali, della comunità, che comporta conoscenza
legata alla pratica. Ma è una pedagogia che si applica principalmente alle
situazioni di necessità, di bisogno, di aiuto, operante nel mondo dell’extra-scuola.
L’alfabetizzazione delle masse, connessa al lungo ed estenuante percorso di
trasformazione della scuola, si è protratto per tutto il XX secolo. Una scuola che
ha combattuto per potersi avocare allo Stato, slegandosi così dal potere
egemonico della Chiesa. Scuola che è stata soggetta a due importanti ma
conservatori disegni di legge: la Casati del 1859, e la Gentile del 1923, entrambe
forte retaggio cui la scuola è rimasta a lungo legata, ma che ha combattuto per
divenire una scuola di massa e non più d’elite, aperta a tutti e con innovative e
sperimentali metodologie.
Ci si trova di fronte a un periodo storico che vede l’individuo o meglio il bambino
come un soggetto attivo, al centro del processo di insegnamento-apprendimento.
3
Pérez Serrano G., Pedagogia sociale educazione sociale. Costruzione scientifica e intervento
pratico, Armando Editore, Roma, 2010, p.17.
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Un’impresa educativa che considera nuovi metodi ma soprattutto i bisogni reali,
le sue motivazioni, interessi, sviluppo cognitivo, emotivo e sociale.
Un sapere pedagogico che viene influenzato quindi dalle scienze sperimentali e in
particolare modo dalla psicologia e dallo studio della mente infantile, che entra in
ambiti d’indagine relativi al funzionamento cognitivo del bambino, alla sua
capacità di apprendimento, di comunicazione interpersonale, al rilevamento di
possibili deficit cognitivi. Si è quindi per un’educazione a misura di bambino, a lui
funzionale.
È un periodo di scienze sperimentali e ciò che si è affermato fin qui si riassume
nel movimento novecentesco dell’Attivismo, che fa da base alla pedagogia
attuale.
L’Attivismo è un movimento internazionale soprattutto europeo e nordamericano
che, come detto, pone al centro e dà importanza al bambino, alla pratica,
all’ambiente, alla riforma della scuola, ad interessi sociali. All’interno di questa
trasformazione educativa prendono avvio diverse esperienze educative di
avanguardia: le Scuole Nuove, che prevedevano per la prima volta l’utilizzo di
metodologie contrastanti all’educazione tradizionale e che furono avviate in
Inghilterra ad opera di Cecil Reddie.
Queste scuole sperimentali furono lanciate da diversi pedagogisti ed educatori e,
pur se si svilupparono in modo isolato, ebbero un impatto e una risonanza
educativa senza eguali. Si tentò concretamente di riformare l’educazione e le
istituzioni scolastiche. L’infanzia, secondo questi educatori, va vista come un’età
pre-intellettuale e pre-morale, nella quale i processi cognitivi si intrecciano
strettamente all’operare e al dinamismo, anche motorio oltre che psichico, del
fanciullo. Il fanciullo è spontaneamente attivo e necessita quindi di esser liberato
dai vincoli dell’educazione familiare e scolastica, permettendogli una libera
manifestazione delle sue inclinazioni primarie […] rispettando in tal modo la
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natura globale del fanciullo, che non tende mai a separare conoscenza e azione,
attività intellettuale e attività pratica.4
Anche l’Italia fu investita dal movimento di Educazione Nuova, per un’educazione
che potesse creare e valorizzare una crescita armoniosa e spontanea del
bambino, la relazione mente-mano e il contatto con l’ambiente e la natura,
soprattutto in riferimento al pensiero elaborato da Froëbel. Questi furono
presupposti che piccoli e grandi educatori italiani tentarono di applicare nelle loro
scuole.
Un ideale di scuola di impronta attivistica fu la scuola serena così come le definì
Giuseppe Lombardo Radice, che insieme a Ferrière si impegnarono in una
divulgazione dell’Educazione Nuova.
Lombardo Radice fu inizialmente collaboratore di Gentile nella riforma della
scuola elementare, a cui era legato ad una concezione dello spirito pensato in
termini filosofici e caratterizzato come un processo auto-educativo. Ma ben
presto si distaccò dalla concezione gentiliana.
In Lezioni di didattica infatti
Lombardo Radice porta avanti riflessioni su un’educazione attivistica, con
esperienza concreta, spontaneità del bambino, scuola che non viene intesa come
preparazione alla vita, bensì vita essa stessa, critica alla scuola di ripetizioni e di
non osservazioni. Vede il maestro come collaboratore del fanciullo; la lezione
come un ciclo di atti creativi e comunicativi; un fanciullo poeta dove forte è
l’importanza data alla fantasia, alla creatività, espressa tramite l’espressione
artistica.5
Il processo di rinnovamento educativo italiano, però, è presente fino al primo
ventennio del novecento con episodi legati all’iniziativa di singoli educatori.
L’ideale di scuola serena fu ben presto sottomesso e distrutto dal regime fascista.
Ci sarà infatti una marginalizzazione di tanta sperimentazione educativa a causa
4
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, p.15.
Cives G., Giuseppe Lombardo Radice. Didattica pedagogia della collaborazione, La Nuova Italia,
Firenze, 1970.
5
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dell’insediamento a ministro dell’educazione di Gentile e la promulgazione
dell’omonima legge.
La pedagogia di Giovanni Gentile, di impostazione fascista, non dà importanza
alla metodologia didattica; privilegia l’aspetto asimmetrico e autoritario maestroalunno, c’è infatti tra i due soggetti una consonanza spirituale senza mediazioni
didattiche; si ripropone la centralità dell’autorità, del dogmatismo. 6
Gentile criticherà fortemente il positivismo, le pedagogie scientifiche, per esaltare
l’identità esclusivamente filosofica della pedagogia, la scienza dello spirito, e
concepire quindi l’infanzia in termini spiritualistici.
Tutto ciò è però lontano dalla concezione attivistica e di Educazione Nuova che si
sta progressivamente dilagando, e anche l’Italia diede un contributo. Tra i tanti
esperimenti italiani si possono ricordare gli asili delle sorelle Agazzi, a Brescia; la
scuola Rinnovata della Pizzigoni, a Milano; le scuole di Maria Boschetti Alberti, nel
Canton Ticino; le sorelle Nigrisoli a Portomaggiore, e la postuma al regime
fascista Scuola-città di Pestalozzi sorta nel 1945 ad opera dei Codignola. Altro
esperimento educativo da menzionare che viene incrementato dall’attivismo è
quello dello scautismo: i Boyscout di Robert Baden Powell che sorsero nel 1908.
Pur
avendo
caratteristiche
militaresche,
quest’esperienza
prese
spunto
dall’Attivismo in relazione al legame con l’ambiente naturale; allo sviluppo dello
spirito di iniziativa e alla relazione mente-corpo.
Il percorso delle scuole nuove è stato sostenuto da celebri e geniali menti che
hanno teorizzato e sperimentato questo rinnovamento pedagogico, che si è
scagliato contro il tradizionale e arretrato modo di vedere l’infanzia, di
interpretare la mente infantile, di intendere la scuola. Vi è ora una pedagogia che
entra in relazione con le scienze umane, che crea un perfetto connubio con
aspetti biologici, psicologici, antropologici, politici e sociali.
6
Nigrisoli R., (a cura di F. Borruso), La mia scuola, Edizioni Unicopli, Milano 2011.
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Uno dei massimi esponenti dell’attivismo è stato John Dewey, uno dei più illustri
pedagogisti del Novecento, colui che ha parlato concretamente di un’educazione
nuova, il teorico per eccellenza di una nuova pedagogia, la quale ha aperto la
strada al secolo del bambino. Con Dewey la sperimentazione educativa trova il
suo avvio e come lo è stato per Maria Montessori, il suo pensiero si è dilagato in
tutto il mondo facendo da base e da stimolo a molti altri pedagogisti.
Egli oltre ad essere un pedagogista è stato anche un illustre filosofo, ha creato
un armonico connubio tra l’ambito politico-sociale e l’educazione. Si è formato
secondo il pensiero pragmatista americano. La definizione di pragmatismo e le
sue prime enunciazioni sono dovute al Peirce e a lui si deve anche il termine
pragmatismo, con il quale fin da principio si voleva intendere un metodo,
piuttosto che una dottrina strutturata su principi definitivi: tale metodo consiste
nel valutare un’idea dalle conseguenze derivate dalla sua applicazione.7
John Dewey nasce nel 1859 a Burlington, nel Vermont, USA. Dopo i suoi studi
filosofici si dedicò all’insegnamento in diverse università americane, ma quella
che diede una svolta al suo operato fu a Chicago. In essa infatti fondò la ScuolaLaboratorio, Laboratory School, uno dei primi e riusciti esperimenti di scuola
nuova che racchiude il suo pensiero educativo in vista di una diffusione della
pedagogia nuova di impronta attivistica. Viaggiò molto e i suoi itinerari furono
spunti di riflessione sulla necessità di profonde riforme politiche, sociali,
educative, nella democrazia americana. Furono però anche viaggi che gli
permisero di raggiungere una fama mondiale.
Tra le tematiche e i principi che lo rendono oggi quello che è diventato, spicca la
riflessione filosofica sul tema dell’esperienza, intesa come il rapporto tra l’uomo e
l’ambiente, come uno scambio non passivo ma attivo tra l’uomo e la natura. Un
individuo che quindi interagisce con la natura, con quell’ambiente su cui vi opera
e vi reagisce. Uno scambio che trasforma entrambi i fattori e che resta
costantemente aperto, poiché caratterizzato da una crisi, da uno squilibrio sul
7
Scheffler I., Four Pragmatist: a critical Introduction to Peirce, James, Mead and Dewey,
Humanities Press, New York, 1974.
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quale interviene il pensiero come mezzo di ricostruzione di un equilibrio (nuovo e
più organico), ma soprattutto a sua volta a nuove crisi e a nuove ricerche di
ulteriore equilibrio. Se la natura è data nella esperienza, questa introduce nella
natura il principio della integrazione razionale, che proprio nella scienza moderna
trova la sua più articolata espressione. Così è all’uomo e alla sua «intelligenza
creativa» che è affidato lo sviluppo e il controllo dell’esperienza, attraverso l’uso
della logica, definita come la «teoria dell’indagine» e caratterizzata dal metodo
scientifico e dai suoi principi della sperimentazione, della generalizzazione e
dell’ipotesi, della verifica; metodo che deve divenire il criterio di comportamento
intellettuale in ogni ambito dell’esperienza.8
È inoltre un’esperienza che deve partire dalla quotidianità e poi dovrà essere
organizzata e strutturata, così che potrà divenire esperienza educativa e quindi
dovrà permettere l’arricchimento dell’individuo, il suo perfezionamento e anche
quello dell’ambiente.
Altra chiave di lettura per interpretare il pensiero di Dewey è la Democrazia.
Concetto che investe la sua riflessione politica e che si riconnette al concetto di
esperienza, che come si è affermato, porta il soggetto a contatto con un
ambiente sociale, il quale conduce allo sviluppo delle energie individuali e il quale
è rappresentato dalla società democratica.
Nella concezione che sviluppa intorno al tema della democrazia, ha ampia
influenza il pensiero di Emerson ma Dewey tende a dargli una propria rilettura: la
democrazia è qualcosa di più di una pura e semplice forma di governo, essa è
soprattutto, un modo di concepire la vita associata, di unire e comunicare
l’esperienza.9
Solo una società democratica può veramente assicurare sviluppo e formazione,
che permetta partecipazione attiva, vita collettiva.
8
9
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, p.53.
Dewey J., Democrazia e Educazione cit., p. 100.
15
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Egli afferma che la democrazia è prima di tutto vita associata e grande ruolo
riveste in essa la scuola.
La scuola deve preparare il bambino ad essere un bravo cittadino che sappia
vivere e svolgere bene il suo ruolo in una società democratica, deve potere
ricevere un’educazione idonea, la quale ha un posto rilevante ed è partecipe alla
creazione della società democratica. Scuola e società sono quindi legate tra loro
e Scuola e Società è una delle sue prime opere di produzione pedagogica.
La scuola che Dewey intende non si può estraniare dalla società e soprattutto
dalla sua trasformazione e dal suo progresso. Una scuola che rappresenta una
società embrionale e che entri in contatto con il mondo del lavoro, ecco perché si
parla di laboratory school, le attività scolastiche si collegano a quelle lavorative,
produttive e manuali. Tessitura, cucina, falegnameria, sono solo alcune che
vengono compiute a scuola e che oltre a ridurre la passività dei ragazzi, li porta a
renderli preparati ai doveri adulti.10
Si parla però di una scuola che nonostante abbia una connotazione pratica non
tende ad escludere la personalità dei bambini, anzi sa bene rispondere ai bisogni
e agli interessi. Al centro delle attività c’è quindi il fanciullo ma, essendo esso
stesso membro di una società, i suoi interessi, bisogni, valori sono legati
all’ambiente sociale circostante. La scuola dovrà aprirsi alla comunità, dovrà
essere l’embrione della società. E se cambia la scuola cambia anche la figura
dell’insegnante che per Dewey non è più l’impositore che dispensa saperi
assoluti, ma si fa ora guida, sostegno, organizzatore, regolatore e animatore
della vita scolastica.
Infine, di eguale importanza per il pensiero deweyano è il ruolo che dà alla
scienza. Un metodo scientifico, sperimentale, di indagine, utile nell’affrontare dei
specifici valori, dalla comunicazione alla democrazia, fino all’intersoggettività.
Valori che devono essere potenziati e attraverso l’educazione applicarsi
10
Dewey J., Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze, 1980.
16
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Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
all’esperienza in ogni suo aspetto e che la scuola stessa, nuova e progressiva,
deve poterne elaborare sempre di nuovi.
Il progetto di riforma educativa di Dewey è stato sorprendente per il tempo, ha
collegato sviluppo sociale ed educazione, ma non sono mancate certo le critiche
provenienti dal mondo tradizionalista. È stato accusato di impoverire il mondo dei
valori, di impoverire i processi formativi con un’eccessiva attività manuale. Chi
come i progressisti più radicali lo hanno accusato di assegnare all’educazione, in
ambito sociale e politico, un ruolo utopico. Ma nonostante le diverse critiche che
ha ricevuto, egli rimane sempre uno dei pedagogisti più influenti e suggestivi del
XX secolo.
Se in America John Dewey è nato e ha portato in tutto il mondo la sua pedagogia
nuova, Maria Montessori rappresenta l’eccezione alla regola italiana, una rarità
per il tempo, poche sono state le donne che nel Novecento si sono fatte
promotrici di un vero e concreto rinnovamento educativo. La sua pedagogia, il
suo pensiero sono stati ascoltati in tutto il mondo. La Montessori è una donna di
scienza sull’onda dell’ideologia positivista, fortemente contrastata dall’idealismo e
dall’antidemocraticità che si stava sviluppando in Italia nel XX secolo. Ma la
Pedagogista, anche se subito non giustamente riconosciuta in Italia, va oltre,
attraversa gli Oceani, sfida il tempo, si fa promotrice di idee scientifiche,
sperimentali, inneggia alla pace, alla ribalta del mondo femminile ancora
fortemente sottomesso. Parla di un’educazione che definisce cosmica, dove tutti
gli esseri umani sono interdipendenti tra loro, quell’interrelazione tra tutto ciò che
vive e un’interdipendenza tra tutto ciò che esiste; un uomo che è in armonia con
il mondo e dove il bambino è l’agente cosmico più potente, dotato di un’energia
vitale che rischiara e fa comprendere l’infanzia.11
Il mondo del bambino, la sua scoperta sono state una chiave di svolta sul
pensiero
infantile.
La
sua
è
una
pedagogia
innovativa
che
parte
dall’osservazione, dallo studio dello sviluppo fisico e soprattutto cognitivo del
11
Centro Studi Montessoriani (a cura di), Linee di ricerca sulla pedagogia di Maria Montessori,
Franco Angeli, Milano, 2005.
17
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
bambino; una pedagogia della non interferenza, che culminerà nella stesura de Il
Metodo della Pedagogia Scientifica, di altre opere letterarie ugualmente rilevanti,
e opere
pratiche: dall’apertura delle Case dei Bambini all’Opera Nazionale
Montessori, dai Corsi Nazionali Montessori; alla Scuola di Metodo.
Maria Montessori è una delle prime donne in Italia che varca le soglie della
Facoltà di Medicina e si laurea. Inizialmente si accosta allo studio e alla
sperimentazione su bambini frenastenici, e qui rilevante è l’influsso del pensiero
di illustri psichiatri come Itard e Séguin. La sua ipotesi mira al pensiero che
bambini deficienti potessero essere trattati con adeguati interventi pedagogici,
escludendo trattamenti medici. Parte da un’iniziale osservazione che si trasforma
in un’educazione che riesce a trasformare e migliorare il bambino anormale. Ella
formerà una classe sperimentale che gestirà per due anni e che così sostiene
“Questi due anni di pratica sono il mio primo e vero titolo in fatto di
pedagogia.”12 Si fa largo l’idea che le procedure adottate, o parte di esse, per
aiutare i bambini idioti contenessero principi di educazione più razionale di quelli
in uso, tanto che perfino una mentalità inferiore poteva divenire suscettibile di
sviluppo e che proprio sulla base di questa intuizione si sarebbero potute
applicare con successo all’interno dei normali contesti scolastici, in quanto metodi
simili avrebbero sviluppato la personalità dei fanciulli normali in modo
sorprendente. Metodi applicabili a bambini di classi elementari analfabeti e
indisciplinati, ma anche applicabili a bambini in età prescolare all’interno degli
asili infantili. La Pedagogista aveva potuto rilevare che i soggetti con ritardo
mentale presentassero alcuni caratteri in comune con i normodotati di età
inferiore, che non hanno raggiunto ancora una definitiva coordinazione dei
movimenti muscolari, uno sviluppo completo degli organi di senso, e un
linguaggio ancora grossolano. La Montessori ritenne efficace applicare il suo
metodo anche ai bambini normodotati.
12
Montessori M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000.
18
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Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Occasioni per sperimentale le sue idee avvennero grazie alla riforma per
combattere il degrado del quartiere di San Lorenzo a Roma, in cui nel 1907 fu
aperta la prima Casa dei Bambini.
Maria Montessori si accorge che le scuole tradizionali soffocavano le espressioni
spontanee della personalità del bambino, vi era bisogno di libertà, che era ancora
sconosciuta ai pedagogisti del tempo, una liberazione a quei infiniti ostacoli che
bloccano lo sviluppo armonico, organico e spirituale dei fanciulli. Ella stessa
affermava “È una conquista di libertà quella che occorre; non il meccanismo di
un banco.” Non serve rigore, autorità, imposizione dell’adulto per educare bene
un bambino, nella scuola tradizionale vi erano troppe false concezioni sulla
natura del fanciullo e la sua educazione: non si comprendeva il mondo infantile.13
Ecco che viene quindi riconsiderata anche la figura del maestro. La maestra
montessoriana non dovrà interferire nel lavoro del bambino, dovrà osservarlo
senza imporgli il proprio potere, dovrà conoscere il materiale, saperlo presentare
e poi porsi in un angolo e non interferire, a meno che il bambino non crei danno
a sé o agli altri. Lasciarlo libero di correggersi autonomamente perché è lo stesso
materiale montessoriano che viene creato, avendo in esso il controllo dell’errore.
La Pedagogista si trova di fronte ad un bambino che possiede una mente
assorbente e che, se lasciato libero da oppressioni, svilupperà quella
straordinaria
e
sbalorditiva
disciplina
e
ordine
presenti
nelle
scuole
montessoriane.
Attraverso metodologie idonee, materiali di sviluppo sensoriale che portano i
sensi a svilupparsi nel migliore dei modi, esercizi che educano a movimenti
equilibrati e di vita pratica, un ambiente idoneamente strutturato, si arriverà a
quella giusta considerazione del mondo infantile. Si realizzerà così quella che la
Montessori definisce normalizzazione, quel processo che permette al bambino di
svilupparsi normalmente secondo la norma della sua natura, che grazie alla sua
mente sarà libero di crescere e sviluppare le sue potenzialità.
13
Montessori M., La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 2000.
19
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Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Ma la Montessori non fu l’unica a partire dallo studio della mente affetta da
deficit. Colui che, come lei, partì dalla medicina e si specializzò in malattie
mentali fu il pedagogista belga Ovide Decroly. Altro esponente di spicco e teorico
dell’attivismo, che come la Pedagogista italiana si occupò di problemi educativi
partendo dalla pedagogia applicata ai deficienti per poi estenderla ai
normodotati. Egli a Bruxelles, nel 1907, aprì le porte dell’Ècole dell’Ermitage,
scuola di ispirazione attivistica, una scuola nuova, di sperimentazione che
utilizzava un particolare tipo di materiale didattico.
Anche in lui vi era il desiderio di studiare la mente infantile, riuscendo a trovare
delle metodologie educative di recupero per i deficienti ma contemporaneamente
conoscere il mondo interiore dei bambini normodotati, per creare le basi di
quell’idoneo e libero sviluppo cognitivo, affettivo e motivazionale di cui
necessitano.
Il suo pensiero è fortemente influenzato anche dalla tipologia di educazione
ricevuta. Decroly fu infatti un bambino cresciuto in libertà; il padre, suo primo e
vero educatore, gli permise di giocare, di sperimentare, di lavorare in un ampio
giardino, senza costrizioni, esprimendo se stesso, i propri interessi e bisogni.
Ricevette quindi un’educazione anomala per allora, tanto che lo portò a
riscontrare non poche difficoltà con la rigidità delle scuole che frequentò.
Il Pedagogista belga vive nel travagliato periodo dove la tradizione si scontra con
la scienza e la sperimentazione, come altri pionieri dell’attivismo va verso nuove
frontiere, verso nuove speranze. Constata come la scuola non era quella
preparazione alla vita che essa stessa declamava, per questo era necessario
rinnovarla. Si sentiva l’esigenza che l’ambiente scolastico utilizzasse strumenti atti
a soddisfare i bisogni personali che invece tendeva ad ostacolare ed opprimere.
Era necessario considerare la psiche infantile perché essa si manifesta in ogni
attività, e che per Decroly ha come aspetto dominante la globalizzazione: la
conoscenza e la stessa sensazione non sono dirette verso elementi differenziati e
divisi che poi vengono associati, ma si rivolgono verso un tutto, un insieme di
dati che si aggregano sotto l’impulso di un interesse vitale. Di conseguenza ogni
20
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
attività di apprendimento muove nel fanciullo da un approccio globale rispetto
all’ambiente, che deve essere rispettato nell’insegnamento.14
Purtroppo, però, le scuole di inizio novecento non tenevano conto di queste
riflessioni, imponevano rigore, logica, autorità e il maestro applicava tutte queste
peculiarità. Anzi non rifletteva sui reali bisogni infantili, i quali Decroly li individuò
in quei bisogni primordiali, fondamentali dell’uomo: nutrizione, lotta per la
sopravvivenza,
difesa,
azione
e
lavoro.
Bisogni
utili
per
attivare
un
apprendimento motivato. È importante che i fanciulli vengano stimolati, siano
attivi, partecipi, spronati da interessi nell’apprendimento.
Il Pedagogista belga inoltre ripartisce l’attività scolastica in tre processi dati
attraverso l’osservazione, l’associazione e l’espressione. Sono tre momenti inseriti
in un processo circolare che non si susseguono quindi con un ordine prestabilito
e
imposto:
un’osservazione
che
permette
l’esplorazione
dell’ambiente;
un’associazione che organizza l’ambiente osservato in tempo e spazio;
un’espressione che può essere tangibile, come il disegno, i lavori manuali,
oppure astratta, come il linguaggio, la scrittura, la lettura.
La globalità del metodo di Decroly porta a vedere il bambino non più come un
animaletto da addomesticare, come una mente passiva che necessita di soli
contenuti. Non vi è una conoscenza che si applica per associazioni di elementi
differenti, non si va dal semplice al complesso, bensì il bambino ha delle
percezioni che si riferiscono non a parti ma ad un tutto, ad una globalità, totalità.
Un’applicazione chiara e concreta della globalità la utilizza nell’insegnamento
della lettura, facendo compiere un processo inverso rispetto all’usuale metodo: si
parte dalla frase, si passa alle parole, poi alle sillabe e infine alle lettere.15
Nonostante il pensiero di Decroly rientri in quell’aria di novità e rinnovamento
attivistico dell’educazione e della scuola, questo è andato lievemente scemando.
Oggi infatti nelle scuole non si parte dalle considerazioni dei bisogni primordiali,
14
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 28-29.
Decroly O., (a cura di A. Russo Agrusti), La funzione di globalizzazione e l’insegnamento,
Ferraro, Napoli, 1984.
15
21
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
si tendono invece a considerare gli interessi spontanei, sviluppare la curiosità,
sollecitare le motivazioni. Lo stesso principio di globalità ha perso di innovazione,
la mente umana, le funzioni psichiche sono molto più complesse di quanto si
pensi.
Sebbene i limiti di Decroly ci sono, il suo pensiero, la sua pedagogia, le sue
sperimentazioni lo fanno entrare nel parterre di coloro che hanno dato una svolta
radicale all’educazione.
Nella platea di pedagogia nuova e rinnovata, un altro teorico dell’attivismo è lo
psicologo e pedagogista svizzero Eduard Claparéde, il quale ha influenzato il
rinnovamento scolastico di ispirazione attivistica. Egli nel 1912, intorno all’ Istituto
J.J Rousseau, creò la Scuola di Ginevra, con la collaborazione di altri illustri
psicopedagogisti Bovet, Ferrière Piaget.
In Claparéde spicca il costante richiamo alla ricerca psicologica e didattica
proprio per contrastare la didattica operata nelle scuole tradizionali che non si
basano su esperienze e su insegnamenti individualizzati. Egli punta su quello che
è un principio della scuola attiva: i bisogni. Ogni attività umana è infatti sempre
motivata, suscitata da un bisogno; per essere educativa l’attività del bambino
deve fondarsi su bisogni intellettuali e biologici.
Il suo pensiero pedagogico si snoda secondo due concetti l’educazione funzionale
e la scuola su misura.
L’educazione funzionale, è ciò a cui la scuola deve mirare, un educazione che
pone al centro il bambino: programmi e metodi devono incentrarsi su di lui,
effettuare quindi un approccio individualistico che considera interessi e bisogni.
Anche in questo studioso dell’attivismo si riflette la concezione che il bambino
non è una tabula rasa su cui inscrivere concetti da fare apprendere
mnemonicamente.
Ecco, che vanno riformati insegnanti ma soprattutto la scuola. Essa deve essere
a misura di bambino, rispettandolo, appagando le sue esigenze con processi di
apprendimento individualizzati.
22
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Si trova con Claparéde un ambiente educativo simile a quello montessoriano, in
cui non si devono rispettare programmi rigorosi e pesanti, orari e lezioni che
appesantiscono la mente. Ma è un ambiente in cui il fanciullo è libero di scegliere
una serie di attività, predisposte precedentemente dall’insegnante, le quali
sviluppino e stimolino il suo sviluppo globale, rispettando il principio di libertà.
Dei limiti però sussistono dietro questi sani e rinnovati principi educativi. Vi è
innanzitutto una mancanza di rapporto tra scuola e società, e anche una
discriminazione intellettiva: Claparéde proponeva anche l’uso di classi omogenee
che classificavano e ghettizzavano i bambini in base al loro livello intellettivo e
culturale. 16
Si sono fino a qui analizzati i teorici dell’attivismo, il loro pensiero, le loro attività.
Si è passati dall’America, all’Italia, fino alla Francia. Ma è da considerare anche il
ruolo investito sulla pedagogia dai Paesi Sovietici e dall’ampio influsso che su di
essa ha avuto il marxismo.
Dopo il rivoluzionario 1917 russo, vigevano sia la pedagogia ufficiale borghese
dell’educazione sia la pedagogia nuova elaborata alla luce del marxismo.
Quest’ultima ha delle precise specificità: 1) un collegamento «dialettico» tra
educazione e società, secondo il quale ogni tipo di ideale formativo e di pratica
educativa risente di valori e interessi ideologici, connessi alla struttura
economico-politica della società che li esprime e agli obiettivi pratici delle classi
che la governano; 2) un legame, assai stretto, tra educazione e politica, sia a
livello di interpretazione delle varie dottrine pedagogiche, sia riguardo alle
strategie educative rivolte al futuro, che si richiamano (devono richiamarsi)
esplicitamente ed organicamente all’azione politica, alla praxis rivoluzionaria; 3)
la centralità del lavoro nella formazione dell’uomo ed il ruolo prioritario che esso
viene ad assumere all’interno di una scuola caratterizzata da finalità socialiste; 4)
il valore di una formazione integralmente umana di ogni uomo, che si richiama
esplicitamente alla teorizzazione marxiana dell’uomo «onnilaterale», emancipato
16
Claparède E., La scuola su misura; intr.di Louis Meylan, La Nuova Italia, Firenze, 1982.
23
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
da condizioni, anche culturali, di subalternità e di alienazione; 5) l’opposizione,
spesso decisamente frontale, ad ogni forma di spostamento e di naturalismo
ingenuo, mettendo invece l’accento sulla disciplina e lo sforzo, sul ruolo di
«conformazione» che è proprio di ogni educazione efficace.17
Nell’interesse marxista spiccano diversi studiosi che si sono occupati di
pedagogia, da Lenin a Adler, da Gramsci a Kerschensteiner. Colui che però
nell’epoca pre-staliniana, secondo l’opinione diffusa, rappresenta il creatore della
pedagogia marxista, grazie anche alla sua stessa complicità indiretta, è Anton S.
Makarenko. Egli è un maestro ucraino che dopo essersi diplomato in pedagogia e
dopo aver diretto un istituto di orfani di guerra, si interessò completamente alla
stesura delle sue celebri opere letterarie tra cui Poema Pedagogico.
Il pensiero di Makarenko ha una base empirica, lo elabora infatti grazie alle
numerose esperienze educative a contatto con i fanciulli abbandonati e destinati
ad una loro rieducazione. Vige per il Pedagogista il principio del lavoro collettivo
e quello del lavoro produttivo legato però anche al grande ruolo che riveste
l’ambito familiare, in quanto la famiglia rappresenta il luogo per eccellenza della
prima educazione. Collettivo perché si basa sulla collaborazione, sulla
partecipazione, sulla responsabilizzazione per un lavoro comune. Da questo
lavoro collettivo, in cui la disciplina vige forte, scaturisce la produttività, lo
sviluppo della società.18
Con l’avvento di Stalin, in URSS, la speranza di un rinnovamento educativo va
scemando poiché emerge un sistema educativo totalitario. Con Stalin l’attività
lavorativa collegata all’educazione, declina ed emerge l’esaltazione per la cultura
e la scuola che forma le menti.
Sistemi educativi totalitari si verificheranno in tutti gli Stati autoritari, rigidi, in cui
la democrazia era abolita e dove il dispotismo imponeva la sua forza, negava i
17
Cambi F., Le pedagogie del Novecento, Editori Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 28-29.
Makarenko A.S., (a cura di N. Siciliani De Cumis et alii), Poema pedagogico, L’Albratos, Roma,
2009.
18
24
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Dispensa
diritti umani. Nazismo, fascismo, comunismo sovietico vanno contro quello
spiraglio di luce e aspettative educative che stavano trapelando a inizio secolo.
Tutto è nelle mani dello Stato compresa l’educazione che ora si veste di
razzismo, di militarismo, di rigore e ferrea disciplina, che ledono la dignità umana
e i diritti umani.
Il pensiero filosofico, pedagogico, teorico e pratico di inizio XX secolo, di Rudolf
Steiner fondatore delle scuole Steiner-Waldorf, emerse come voce rinnovatrice.
“Immagina di poter prendere l’uomo e di rovesciarlo come un guanto. Non
rimarrebbe così come lo vediamo ora; si espanderebbe fino a diventare
Universo”. Così disse e fece Steiner, portò ad una concezione antropologica,
filosofica ed educativa mai sentita, totalmente nuova. Trasformò l’educazione, la
figura dell’uomo, del bambino e li fece vedere sotto una luce diversa. Fu colui
che sviluppò una nuova arte dell’educazione.
La sua figura e così il suo pensiero pedagogico sono associati, anzi scaturiscono
dall’antroposofia, da quella che viene definita scienza dello spirito. C’è
l’inserimento dell’educazione nell’esperienza umana in tutta la sua molteplicità.
Non si può comprendere totalmente la pedagogia steineriana se non si conosce
quella base su cui essa si fonda e soprattutto nasce. Addentrandosi nella sua
biografia si può comprendere cosa c’è di veramente nuovo, cosa lo spinge ad
andare oltre il comune pensare e intendere la vita.
Nasce a Kraljevec, Croazia, nel 1861, figlio di un impiegato delle Ferrovie
Meridionali Austriache, non eccessivamente benestante, cresce a contatto con
l’ambiente lavorativo paterno, aiuta al mantenimento della famiglia, partecipa
attivamente alla vita della stazione e così si stimola in lui prontezza e abilità alla
vita pratica. Il vivere fin dall’infanzia in questo modo contribuì a risvegliare una
forte anima e una forte attività ricettiva.
È
stato un bambino diverso, non rispettò i canonici tempi di sviluppo della
mente infantile, del ragionamento, ma era avanti per la sua età. Un bambino che
anziché giocare e scegliere quale attività ludica poter sperimentare, era attratto
25
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
da interessi intellettuali peculiari. Le sue domande erano fuori dal comune
pensare infantile.
Steiner aveva circa sette anni, quando, come lui stesso racconterà, ebbe
un’esperienza decisiva. Gli si avvicinarono le prime sottili impressioni di un
mondo che non è quello terreno, che però si può udire e vedere anche se con
occhi ed orecchi diversi da quelli fisici. Da questo momento in poi fu a contatto
non soltanto con gli alberi e le pietre, ma anche con gli esseri spirituali celati
dietro ad essi, che a lui si rivelavano, non su un piano fisico, ma in uno spazio
animico interiore. Sentiva che simili cose non sarebbero state comprese dal suo
ambiente e seppe non farne parola ad alcuno.19
Nelle scuole non trovava ampio spunto per le sue riflessioni e, nonostante
continuava a studiare ciò che la scuola imponeva, approfondì letture e incontri al
di fuori del contesto scolastico. La sua vita era scandita dalla quotidianità,
continuava a mantenersi facendo l’educatore, a frequentare studi tecnici e
scientifici, avvicinandosi così allo studio della fisica, ma a tutto ciò affiancò
l’interesse e la contemplazione di una vita interiore, spirituale. Steiner era alla
ricerca di un ponte che riuscisse a collegare scienze naturali e visione spirituale,
natura e spirito.
Trascorsa la sua giovinezza tra povertà materiale e ricchezza intellettiva e
spirituale, il riscatto lo ebbe quando collaborò alla grande edizione delle opere di
Goëthe. Trasferitosi a Weimer entrò a contatto con profondi pensatori, artisti,
poeti, filologi, e qui trovò la conferma della peculiarità della propria natura
animica.
Per Steiner solo un mondo gli era familiare, quello spirituale. Non a caso l’attività
di pensiero gli era facile, ma quella fisica gli era più ardua del previsto. “…Senza
il minimo sforzo, ero in grado di afferrare spiritualmente grandi connessioni
scientifiche […] posso dire che il mondo dei sensi aveva per me carattere
19
Carlgren F., Rudolf Steiner e l'Antroposofia, trad. It. Betti M., Ed. del Goetheanum, Libera
Università di Scienza dello spirito, Dornach/Svizzera, 1982.
26
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Dispensa
d’ombra, di mere immagini che vedevo scorrere davanti alla mia anima, mentre il
mio rapporto con lo spirito aveva assolutamente carattere di realtà”.20
Così affermò, ma una personalità del genere e soprattutto in un periodo storico
come la fine del XIX secolo, difficilmente venne compresa subito. Incontrò molti
contrasti, molta passività, meschineria. Nonostante ciò andò avanti, andò verso
quel mondo spirituale, alle idee pure. Iniziarono così a fiorire sue opere a
carattere filosofico: La filosofia della libertà; Verità e Scienza; La concezione
goethiana del mondo.
Steiner era ormai adulto e si destò in lui l’impressione che il mondo sensibile
avesse qualcosa da svelargli, entrò in un dominio fino allora sconosciuto. Disse
che un uomo spirituale autonomo entrò nella sua esperienza, un uomo che può
svilupparsi nella natura umana e che, liberato totalmente dall’organismo fisico,
può vivere, percepire, muoversi nel mondo spirituale. Rudolf Steiner acquistò il
diritto di dirsi cittadino di due mondi: il fisico e lo spirituale.21
Nonostante le difficoltà che il suo pensiero incontrò, andò comunque avanti per
la sua strada, tanto che rivalutò persino lo stesso pensiero cristiano. Il
cristianesimo per lui non doveva provenire da confessioni esistenti, esteriori, ma
lo rivalutò e lo rivisitò collocandolo solo in un mondo soprasensibile.
Steiner aveva compiuto la sua iniziazione verso un mondo sconosciuto al
materialismo, all’esteriorità. Alla fine dell’Ottocento iniziò la sua opera di scrittore
e soprattutto di abile conferenziere. Le conferenze che tenne infatti fino agli
ultimi anni della sua vita furono il suo nutrimento spirituale. Attraverso di esse
portava il suo pensiero all’uditorio esterno proveniente principalmente dalla
20
Carlgren F., Rudolf Steiner e l'Antroposofia, trad. It. Betti M., Ed. del Goetheanum, Libera
Università di Scienza dello spirito, Dornach/Svizzera, 1982.
21
Steiner R., Il compito della scienza dello spirito e il suo edificio di Dornach, Antroposofica,
Milano, 2000.
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Società Teosofica, che inizialmente contestò, e solo successivamente ne divenne
segretario generale, ma a condizione che la sua azione potesse svilupparsi
indipendentemente.
La sua teosofia si tramutò ben presto in qualcosa di diverso. Fu l’8 ottobre 1902
che Steiner dichiarò apertamente il suo pensiero e ciò segnò l’inizio
dell’antroposofia.
L’antroposofia o scienza dello spirito è stata vista da Steiner non solo come
desiderio di conoscere l’uomo ma anche come un aiuto alla risoluzione dei
problemi quotidiani, per i compiti dell’umanità e lo sviluppo del suo benessere. In
quest’ottica tende a considerare l’uomo come un intero indivisibile, si deve
riuscire ad avere una conoscenza dell’uomo che lo consideri in tutta la sua
integrità, nel suo corpo, nella sua anima e nel suo spirito. Questi tre elementi
costituiscono l’uomo in tutto il suo essere.
Il concetto di antroposofia era già trapelato nel Settecento, ma si definiva solo
secondo una concezione di sapienza dell’uomo, scienza dell’uomo. Steiner invece
vi si addentra e lo applica in modo nuovo, inedito: intende l’uomo come un
essere spirituale e animico che si immerge nella corporeità. Attraverso il corpo
l’uomo si mette in relazione con gli oggetti, attraverso l’anima conserva le
impressioni originate dalla relazione suddetta, attraverso lo spirito può penetrare
il più intimo contenuto degli oggetti medesimi.22 L’uomo va quindi compreso per
intero, possiede un corpo e quindi ciò che ha ereditato; un’anima che si
congiunge con il corpo ma che proviene dall’esistenza prenatale; uno spirito che
non si manifesta e sarà definibile in futuro ma che comunque è insito,
embrionale nell’uomo.23
Steiner porta avanti una visione spirituale del mondo, è il massimo esperto in
questo tema. C’è in lui comunque una base teosofica, ma distingue comunque la
teosofia
dall’antroposofia,
la
prima
infatti
rappresenta
solo
un’area
di
22
Chistolini S., Scuola Rudolf Steiner. Teoria Prassi Sviluppo, Editrice Universitaria di Roma-La
Goliardica, Roma, 1998, p.25.
23
Steiner R., Arte dell’educazione.1°- Antropologia, op.cit., p. 62.
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approfondimento che servirà a fare sviluppare ulteriormente le sue concezioni.
L’antroposofia non è esclusivamente una somma di idee: essa è una forza
vivente che concerne tutto l’essere umano, non soltanto il pensiero.
Sistemi educativi e trasformazione
Così scriveva Domenico Parisi in [email protected] come il computer cambierà il modo di
studiare dei nostri figli. Nel testo, infatti, si prospetta una rivoluzione ma ciò su
cui si sofferma inizialmente è proprio la natura che il cambiamento ha assunto
nei confronti della scuola.
I due compiti principali della scuola venivano in tempi passati ben armonizzati e
anche se c’erano disuguaglianze geografiche, classiste, sessiste, ciò su cui non si
discuteva è che la scuola i suoi compiti li svolgeva in modo armonico, perché i
cambiamenti nella società e nella cultura erano abbastanza lenti.
È normale, il progresso c’è stato, i comportamenti, i valori, la cultura sono mutati
e la scuola può trasmettere, istruire e formare le generazioni con la cultura del
passato e inserire il nuovo che sopraggiunge, in modo da rendere il giovane
pronto alla società che lo accoglie.
Il tutto però inizia ad incrinarsi nel momento in cui il cambiamento sociale e
culturale incrementa la sua velocità facendo scontrare i compiti istituzionali della
scuola stessa. Perché, va bene trasmettere la cultura del passato ma, non
rispettando i ritmi del mutamento, si finisce per non riuscire a preparare
adeguatamente i giovani alla società che li aspetta, che sarà diversa da quella in
cui si trovano in età scolare. L’accelerazione è continua, il mutamento è così
rapido che la scuola fatica a seguirlo. Dietro questa trasformazione culturale e
sociale si inserisce, in particolar modo, la tecnologia. Il cambiamento non si
misura più in millenni o in secoli, ma in anni o addirittura in mesi. È sceso sotto
la soglia di una generazione, per cui quello che c’era quando si era bambini o
29
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
ragazzi non c’è più quando si diventa adulti. La spinta viene dalla ricerca
scientifica e dall’innovazione tecnologica ma soprattutto dal mercato che
prospera proprio sulla creazione di sempre nuovi bisogni e di nuovi modi di
soddisfarli.24
La contraddizione dei compiti scolastici non può implicare di prediligerne uno a
discapito dell’altro, generando così un disagio avvertito da tutti coloro che fanno
o entrano a contatto con il mondo scuola. La tecnologia, ma anche la stessa
globalizzazione, se per un verso portano positività all’istituzione scolastica con
innovazione e l’emergere di un nuovo tipo di comunità umana non più solo
ideale, per l’altro spesso tende ad arrecare disagio al modo di istruire e formare.
Come risolvere dunque il malessere in cui la scuola incorre? Sarebbe bene
riuscire a mantenere la tradizione, le radici, al passo con i tempi, e modificare ciò
che non è più ordinario per la società. Una scuola che non dimentichi la
tradizione, i valori, i comportamenti che continuano a dare senso all’esistenza
umana, ma che non ignori l’innovazione tecnologica.
La tecnologia, infatti, domina la realtà odierna, anche nei rapporti tra gli individui
essa è presente, la macchina tecnologica in ogni suo aspetto si frappone fra gli
uomini e le loro relazioni sociali. Si è passati dall’oralità alla scrittura, dal click del
mouse, allo sfioramento del dito su un touchscreen.
La rivoluzione digitale ha superato di gran lunga quella industriale, con risvolti
sociali, economici, psicologici, politici ma anche antropologici. Infatti, l’uomo ha
cambiato il modo di vivere, se prima l’operaio che durante la rivoluzione
industriale usava le macchine in fabbrica e poi tornava a casa e riprendeva la sua
vita sociale e relazionale di sempre, ora l’uomo che lavora al computer e con ogni
altro tipo di dispositivo elettronico, torna a casa e continua ad utilizzare altri
supporti digitali.
Oltre alle classiche relazioni face to face, l’individuo per comunicare con gli altri
tocca un tasto e invia un messaggio: accende la webcam e vede il parente
24
Ibidem, p.11.
30
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
lontano migliaia di chilometri, sbriga pratiche amministrative e lo può fare
comodamente da casa accedendo ai portali degli enti e delle istituzioni che gli
interessano oppure guarda il suo programma preferito in televisione e riesce a
metterlo in pausa per chattare con il tablet.
La rivoluzione digitale ha raggiunto con le sue onde, con i suoi led o con le sue
antenne ogni angolo del globo o quasi. Certamente la quasi totalità dei luoghi
abitati; magari anche solo con qualche telefonino ma lo ha fatto.25 Tuttavia la
rivoluzione digitale non è uniforme nella sua diffusione geografica, c’è ancora il
digital divide tra Paesi ricchi e poveri. E c’è anche un altro fattore che va
considerato: la rivoluzione digitale è venuta incontro all’uomo permettendo a tutti
di prenderne parte, non solo ai pochi esperti del settore, ma facendo in modo
che anche i più riluttanti e meno inclini possano accedervi,
grazie alla
banalizzazione e semplificazione delle operazioni effettuabili con gli strumenti
tecnologici che ha portato.26
Cina, Stati Uniti, Giappone, Nord Europa sono tra i Paesi più digitalizzati, l’Italia
invece non rientra nei primati ma anch’essa sta seguendo l’onda di questo
cambiamento. Smart tv, smartphone, tablet, ADSL, Wi-Fi, motori di ricerca,
investono la vita di giovani e meno giovani. Infatti, l’11° Rapporto sulla
Comunicazione del Censis, 11 ottobre 2013, analizza dettagliatamente, con il
suffragio dei dati derivanti dalle indagini campionarie effettuate, lo sviluppo
endemico dei nuovi strumenti di comunicazione ed il loro utilizzo da parte degli
italiani.27
In linea con quanto affermato si analizzeranno gli effetti che il big bang digitale
ha sulle istituzioni scolastiche, sulla didattica e sul modo di fare scuola. Perché se
è vero che in alcune scuole, come quelle di Steiner-Waldorf, la tecnologia per i
bambini è bandita, bisogna pur prendere coscienza che ci si trova a contatto con
25
Meazzini G., La famiglia e i nuovi media. Manuale di sopravvivenza. Famiglia oggi. Spazio
famiglia, Città Nuova, Roma, 2009, p. 6-7.
26
Ibidem.
27
Censis, U.C.S.I (a cura di), Undicesimo Rapporto sulla comunicazione. L'evoluzione digitale
della specie, Franco Angeli, Roma, 2013.
31
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
un mondo digitalizzato ma soprattutto con una scuola che si sta digitalizzando
totalmente, tramutandosi in 2.0.28
Si è nell’era della formazione continua, del life long learning, dell’e-learning, la
scuola entra a contatto con altre agenzie educative e di formazione creando una
rete educativa che coinvolge il bambino in ogni aspetto della propria vita. La
scuola non comunica più solo con circolari e comunicazioni scritte a famiglie e
allievi, non c’è più solo la semplice relazione docente-discente fatta di
comunicazione verbale e non verbale, ma ora la comunicazione è interattiva, le
singole scuole aprono le porte non solo attraverso i cancelli al suono della
campanella, ma anche con i loro portali on line.
Le nuove tecnologie necessitano di competenze, conoscenze e abilità specifiche,
diversificate, una multimedialità che rende fluidi e coinvolge tutti i sensi, che non
fa scomparire la scrittura e l’oralità ma le fa non essere più totalizzanti. Ogni
scuola crea i propri siti internet, è collegata quotidianamente con la sua utenza.
L’INDIRE, l’Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca
Educativa, che si è fin da subito occupato di promuovere l’innovazione
tecnologica e didattica nella scuola, tutt’oggi svolge una rilevante attività di
ricerca che mira, in base all’attuale contesto sociale e tecnologico, a
comprendere
i cambiamenti di apprendimento e comunicazione delle nuove
generazioni. La scuola deve essere pronta a preparare i giovani alle sfide del
nuovo millennio. All’Europa spetta oggi il compito di far sì che ogni suo singolo
Stato
promuova
l’impiego
delle
ICT,
Information
and
Communication
Technology, o l’acronimo italiano TIC, in campo didattico, amministrativo e
organizzativo. È necessario che si innovino le metodiche di insegnamento e
apprendimento. Oggi non basta più una semplice e basica alfabetizzazione alle
nuove tecnologie perchè la scuola si è trovata sommersa da nuovi approcci
La mutazione in 2.0 rappresenta l’evoluzione della scuola rispetto alla sua condizione precedente.
Tale sigla classifica la scuola del XXI secolo, la quale sfrutta ora una serie di applicazioni e
tecnologie che attraverso connessioni al web, fanno divenire la scuola interattiva sfruttando nuovi
canali di comunicazione.
28
32
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
sociali. Lo stesso bambino che nasce sarà un nativo digitale. È importante non
sottovalutare lo sviluppo di nuovi approcci formativi e lo studio di nuovi linguaggi
comunicativi nelle istituzioni scolastiche.29
Esigue ma graduali sono state le iniziative che l’Italia ha proposto in materia di
digitalizzazione scolastica, anche se le risorse non sono molte, passi avanti nella
scuola si stanno compiendo:
-
2002 nasce Piano Nazionale di Formazione Insegnanti sulle Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione (FOR TIC) in collegamento con il Piano
d’azione e-learning presentato al consiglio e al Parlamento europeo nel 2001;
-
triennio 2005-2007 è stato realizzato il Progetto DIGI Scuola
-
2008 nasce Piano Scuola Digitale
L’Italia ha iniziato a seguire il percorso promulgato dalla Commissione Europea,
la quale nel marzo del 2010 ha dato avvio alla Strategia Europa 2020 – Una
strategia per una crescita intelligente, sostenibile, solidale. Tale iniziativa ha lo
scopo di combattere il periodo di crisi e preparare l’economia dell’Europa per le
sfide che avverranno nel decennio 2010-2020. Una strategia dove istruzione,
economia e occupazione compiono un trittico determinante per raggiungere i fini
prefissati. Ma l’economia e l’occupazione devono sempre partire dall’istruzione,
ecco perché bisogna investire in essa modificandola e innovandola alla luce della
società futura.30
Le linee di intervento in ambito scolastico iniziano a consolidarsi con la Direzione
Generale per gli Studi, la Statistica e i Sistemi Informativi che promuove il Piano
Scuola Digitale per modificare gli ambienti di apprendimento attraverso
29
Parmigiani D. (a cura di), Tecnologie per la didattica: dai fondamenti dell'antropologia
multimediale all'azione educativa, Franco Angeli, Roma, 2004.
30
Malfer L., Cittadino C., Franch M., Prandini R. (a cura di), Family audit: la certificazione
familiare aziendale. Analisi di impatto, Franco Angeli, Roma, 2014.
33
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
l'integrazione delle tecnologie nella didattica. Gli ambienti in cui la scuola ed i
nostri studenti sono immersi sono ricchi di stimoli culturali molteplici ma anche
contraddittori. Occorre un'organizzazione didattica che aiuti a superare la
frammentazione della conoscenza e ad integrare le discipline in nuovi quadri
d'insieme. Per questo occorre trasformare gli ambienti di apprendimento, i
linguaggi della scuola, gli strumenti di lavoro ed i contenuti.
L'innovazione digitale rappresenta per la scuola l'opportunità di superare il
concetto tradizionale di classe, per creare uno spazio di apprendimento aperto
sul mondo nel quale costruire il senso di cittadinanza e realizzare “una crescita
intelligente, sostenibile e inclusiva”, le tre priorità di Europa 2020. I programmi
del MIUR di prima generazione, attraverso i quali il mondo della scuola si è
avvicinata all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione
evolvono oggi in una dimensione nella quale la tecnologia si integra nella
didattica di classe. Non più la classe in laboratorio ma il laboratorio in classe: una
strategia tante azioni.31
Le premesse della trasformazione della scuola in 2.0 sono chiare: la tecnologia
può cambiare i processi di insegnamento, apprendimento e la stessa
organizzazione del lavoro scolastico è importante così come sostiene il MIUR,
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, per arrivare ad
identificare metodologie efficaci per la loro progettazione e il loro uso (rif.
Normativo: DPR 275/99 e, in particolare, art. 6); per confrontare le esperienze
che saranno messe in atto dalle diverse scuole; per testarne la replicabilità e la
sostenibilità attraverso azioni di diffusione; per valutare le competenze acquisite
dagli allievi, anche rispetto ad altre metodologie e percorsi educativi.
Chi sono in realtà i nativi digitali? E i bambini digitali? Come cambia la loro realtà
ludica e la loro relazione educativa? E le loro figure di riferimento?
Aree d’intervento-Piano Scuola Digitale – MIUR:
hubmiur.pubblica.istruzione.it
31
34
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Come già si è affermato in precedenza il mondo digitale ha investito ogni aspetto
e azione delle persone ma, se già l’individuo adulto di oggi sa cosa vuol dire
vivere senza le tecnologie, per i nativi digitali non è così. La rivoluzione
tecnologica che avanza a ritmo incalzante non può che influenzare l’ambito
educativo, relazionale e sociale del bambino del nuovo millennio.
Il bambino tech di oggi è diverso da quello analogico di ieri, la sua relazione
educativa, il rapporto con le figure genitoriali, con quelle scolastiche, la relazione
ludica e sociale sono oggi influenzate dal mondo virtuale che la tecnologia ha
portato. Bambini che appena svegli accendono l’iPad per vedere i cartoni animati,
che per fare in modo che mangino sono ipnotizzati dai giochi degli smartphone,
ma anche bambini che imparano a scrivere le lettere del proprio nome o a
contare grazie alle app educative installate sui tablet.
Si possono prendere in considerazione tre macrogruppi rappresentativi di tre
generazioni, che nonostante tendano a vedersi in modo distaccato tra loro,
sarebbe meglio che potessero armoniosamente collegarsi e richiamarsi l’una
all’altra. Queste sono: gli immigrati digitali; i nativi digitali; i bambini digitali.
I primi sono coloro che hanno vissuto in un mondo in cui la tecnologia iniziava a
intravedersi da lontano, la cui mancanza non comportava nessun tipo di
problema o disagio, quando però hanno dovuto confrontarsi con il mondo
digitalizzato gli atteggiamenti sono stati differenti perché se inizialmente
manifestavano inadeguatezza nell’utilizzo, in un secondo tempo hanno assunto e
stanno assumendo gli stessi atteggiamenti dei nativi digitali, venendo conquistati
dal mondo tecnologico in ogni suo aspetto.
I secondi, i nativi digitali, sono stati denominati così dal sociologo ed esperto di
educazione americano Mark Prensky che coniò il termine per indicare la prima
generazione di bambini cresciuta quotidianamente con le tecnologie, con
l’informatica di massa, con una tecnologia considerata quasi come un elemento
naturale. Nascono dopo gli anni Ottanta, a cavallo con gli anni Novanta,
ovviamente diversi in base al contesto sociale, culturale e geografico di
provenienza. Non tutti però sono concordi con le considerazioni di Prensky, molti
35
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
sociologi affermano che seppur nati e cresciuti in un’era del digitale, questo non
equivale a dire che tutti siano portati a conoscere, utilizzare e strafare con la
nuova tecnologia. Ne costituiscono un esempio le parole di Giovanni Boccia
Artieri, docente di Sociologia all’Università Carlo Urbino di Bologna, «Essere nativi
digitali non significa essere “early adopter” ovvero entusiasti delle possibilità di
certa democratizzazione ed assoluta parità partecipativa ma possono essere
nativi consapevoli o inconsapevoli idioti (abbastanza preparati) o solo figli del
loro tempo…». Quindi, non tutti i sociologi concordano sul fatto che i bambini ed
i giovani (che sono per la loro età nativi digitali) abbiano una maggior
dimestichezza con la tecnologia a differenza degli adulti che sarebbero più
maldestri. In quanto si deve giustamente ricordare che l’universo digitale è stato
creato dagli immigrati digitali.32
Terza categoria sono invece i bambini digitali che si evidenziano circa dieci anni
dopo i nativi digitali, con l’arrivo sul mercato di iPod, iPhone, smartphone
e
soprattutto tablet e iPad. Proprio quest’ultimo sembra aver spopolato sul mercato
e ha maggiormente attratto un numero elevato di persone. È dotato di uno
schermo più grande rispetto a uno smartphone, coglie maggiormente
l’attenzione, è semplice, intuitivo, e già un bambino di due anni può capirne il
funzionamento e iniziare ad utilizzarlo. Si potrebbe pensare che due anni è un’età
molto precoce per un apprendimento così diverso e nuovo, ma non è così, ci si
trova di fronte alla realtà per cui un bambino riesce a utilizzare un’app prima
ancora di aver imparato ad allacciarsi le scarpe. Infatti su un forum genitoriale
specializzato appare la discussione: “Aiutatemi. Mio figlio sa usare smartphone e
tablet ma ancora non impara ad allacciarsi le scarpe!! Come posso fare?”
32
Algieri A., Chi sono i nativi digitali, gli immigrati digitali e tardivi digitali? I diversi punti di
vista degli esperti, Il Sileno ONLUS, 2 Gennaio 2014.
36
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Il bambino digitale di oggi già a due anni ha fra le mani dispositivi digitali. Il 50%
dei bambini fra due e cinque anni, sa già come giocare con un gioco per tablet di
livello base. 33
Le istituzioni europee parlano di e-generation, di una generazione polimediale
che interagisce e fruisce con i nuovi media, che ne sono parte integrante. Sarà
l’immigrato digitale ad essere conquistato non il bambino di oggi che li ha trovati
già al suo arrivo. È una generazione che funziona in multitasking portando avanti
compiti sensoriali e cognitivi in parallelo, navigando nel mare delle informazioni
con entusiasmo e disinvoltura.34
Ciò che di fatto sorprende è la sconcertante disinvoltura con cui questi bambini
utilizzano tali strumenti. Dal bambino degli anni Cinquanta che giocava con
costruzioni di legno e bambole di plastica, si è arrivati al sapientino degli anni
Novanta che rappresenta uno dei primi giochi elettronici con intenti educativi e di
apprendimento, e oggi si sta continuano in questa direzione. Oltre a videogiochi
con puri intenti ricreativi si hanno anche tablet altamente intuitivi e di facile
comprensione su cui poter installare app educative. Queste ultime infatti sono
veramente molte, si pensi che digitando la semplice parola chiave education la
rosa delle app disponibili che si genererà per l’acquisto sarà veramente vasta.
La disinvoltura nell’utilizzo infantile è enorme, sembra che il sistema touchscrenn
venga appreso grazie a una sorta di facoltà innata che richiede solo di essere
osservata un paio di volte per poterla sfruttare, come se fosse un sesto senso
posseduto e mai prima scoperto.
Per lo psicologo Jerome Bruner è tutto merito della cosiddetta capacità di
rappresentazione enattiva. Nei primi anni di vita, quando il linguaggio non ha
assunto il ruolo pervasivo che ha a partire dai 5-6 anni di età, i bambini
classificano gli oggetti del mondo con parole o simboli, ma con le funzioni per cui
vengono utilizzati e i gesti compiuti solitamente nel corso del loro utilizzo. Le loro
Ricerca effettuata dall’AVG Software House.
Cangià C., Generazione tech. Crescere con i nuovi media, Giunti Universale Scuola, Firenze,
2014.
33
34
37
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Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
mani sono il prolungamento dei loro pensieri – le mani sono gli strumenti
dell'intelligenza umana, avrebbe detto Maria Montessori – e ciò gli permette di
utilizzare con assoluta naturalezza il touchscreen di questi dispositivi.35
Sembra che ci sia un qualcosa di magico e di intuitivo perché legato a quello che
gli psicologi classificano, in assenza della capacità di ricorrere a simboli e parole,
come modalità di rappresentare la realtà attraverso la gestualità, ma questa
capacità quasi innata inizia a sollevare qualche timore soprattutto perché
potrebbe incidere sulla creatività.
Boom digitale e assoluta naturalezza non può che invadere e mostrarsi anche
nell’attività ludica del bambino. Infatti, va premesso che qualsiasi sia la
generazione a cui si faccia riferimento, la considerazione della propria infanzia è
stata sempre segnata da cambiamenti nei giochi e nel modo di giocare.
È significativo pertanto porre una riflessione sul gioco prima di vedere come è
stato intaccato dal mondo tecnologico.
Quando si parla di gioco si pensa subito alla spensieratezza, alla libertà, alla
creatività, alla plasticità e soprattutto alla fantasia che fa scaturire, ma l’attività
ludica non esclude la regola del gioco che ha in sé la sua norma e il suo fine. Una
finalità che apparentemente sembra inesistente ma sussiste, il bambino che
gioca per un fine e compie funzioni preparatorie ad uno sviluppo equilibrato.
La tendenza al gioco dura per sempre ma è durante l’infanzia che si sperimenta il
picco dell’attività ludica, dove immaginazione e fantasia vengono sfruttate
appieno. Si ha una prima relazione oggettuale con la propria madre con cui
compie i primi approcci, spostandosi gradualmente verso la realtà esterna. Da un
gioco solitario a uno più socializzato, da un gioco principalmente di imitazione a
quello altamente creativo.
35
Ferretti S., La rappresentazione enattiva: rende più facile utilizzare sistemi digitali che
allacciarsi le scarpe!, Tecnology, Ottobre 2013.
38
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Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
Ciò che bisogna considerare è però il giusto rapporto che il bambino dovrà
cercare di mantenere tra l’immaginazione e la realtà, che altrimenti potrebbe con
la crescita portare a forme di disadattamento e problematiche psicologiche. Il
fanciullo attuerà il suo gioco quasi esclusivamente composto da pura
immaginazione con pochi riferimenti alla realtà, ma man mano che crescerà
acquisirà dati esterni e introdurrà la sua realtà nella dimensione ludica,
divenendo personaggio attivo e non passivo. Ecco che quindi immaginazione e
realtà si armonizzeranno tra loro interagendo costruttivamente. Il gioco permette
di socializzare, facendo acquisire modelli fondamentali di comportamento, così da
un gioco egocentrico si passerà a quello di gruppo o collettivo, che permetterà al
bambino di esprimere e accrescere la propria personalità confrontandosi
e
venendo a contatto con ambienti e relazioni diverse. Un rapporto sociale che
arricchisce, fa risaltare e rafforza l’individualità del singolo attraverso un continuo
scambio e confronto, ma se il fanciullo sarà privato di tutto ciò correrà il rischio
di rimanere solo, isolato perché fuori dal gruppo, soprattutto nel mondo scuola.36
Ma il gioco fa anche parte di una dimensione sociale, è un fenomeno culturale,
con caratteristiche tipiche di ogni comunità, con le rispettive differenze in base a
epoche, usi, costumi, religione, cioè tutti quei fattori che costituiscono la cultura
di una determinata società. Il gioco è anche apprendimento come sosteneva lo
stesso Locke già nel ’600, per lui il bambino può e deve apprendere giocando:
“l’unico vantaggio che essi trovano in quel che si chiama giuoco o divertimento, è
che vi si applicano di propria volontà e v’impegnano spontaneamente la loro
operosità, la quale, come si può osservare, in nulla risparmiano; mentre ad
imparare quello che debbono, vengono condotti e costretti per forza, e ciò li
disgusta fin da principio e toglie in essi quel piacere e quel fervore che
potrebbero avervi se vi fossero condotti altrimenti”.37 Anche Basendow, così
come Froebel, era per il gioco che fa apprendere e soprattutto per quest’ultimo,
doveva trovare un uso e una valorizzazione non casuale. Infatti, questo
costituisce un’attività che non solo ha la capacità di stimolare fantasia e
36
37
Vacchino R., Dimensione ludica e sviluppo della personalità, Editrice La Scuola, Brescia, 1974.
Staccioli G., Il gioco e il giocare. Elementi di didattica ludica, Carocci Editore, Roma, 2008.
39
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Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
immaginazione, ma rappresenta lo strumento fondamentale per entrare in
rapporto con se stessi e con il mondo, ecco che quindi si da importanza al gioco
di gruppo non solitario ma condiviso.38
Dalla fine degli anni Settanta qualcosa cambia, si inseriscono elementi elettronici
nei giochi infantili, come le bambole che parlano e si muovono, le penne e
schede interattive, l’allegro chirurgo che simula mestieri da grandi, ecc. Dagli
anni Novanta invece inizia un’esorbitante escalation di giochi sempre più
tecnologici, altamente polifunzionali e collegati ai media moderni. Sono giochi
che si sono diffusi e commercializzati man mano che le tecnologie hanno
caratterizzato le nuove generazioni tramutandole in digital.
Gli esperti che si occupano di analizzare la funzione ludica nella vita infantile
hanno messo in luce rischi e vantaggi che l’utilizzo dei dispositivi elettronici nel
gioco potrebbe comportare.
Da una parte ci sono coloro che vedono anziché il gioco, solo un uso tecnologico
delle diverse tipologie che caratterizzano il gioco, forme che vengono sviluppate
in situazioni nelle quali appaiono scarse o assenti sia l’uso della corporeità sia le
relazioni motorie, i giochi postmoderni hanno raggiunto una larga diffusione e
rispondo ad alcune esigenze che nel nostro tempo sono percepite come pressanti
e non soddisfatte: l’esigenza di essere riconosciute come persona e quella di
sentirsi in relazione con altri. Sono esigenze che difficilmente queste nuove
strade possono compensare perché esse si basano sulla separatezza
dell’individuo dal suo contesto familiare e sul suo isolamento sociale. Sono giochi
più effimeri, frammentati di esperienza, sono giochi che riescono a cogliere le
nuove disponibilità di tempo che l’individuo ha a disposizione, giochi liofilizzati
che sfruttano gli avvenimenti e le mode del momento, che lasciano insoddisfatti
chi gioca così da farli rigiocare. Certo non bisogna demonizzare dei giochi
prodotti su scala commerciale, ma bisogna avere la consapevolezza che in essi ci
sono spinte diverse, messaggi specifici, comportamenti indotti. Consapevolezza
che essi esprimono anche i modelli del nostro tempo, valori nascosti con tutte le
38
Staccioli G., Il gioco e il giocare. Elementi di didattica ludica, Carocci Editore, Roma, 2008.
40
Maura Camerucci
Formazione e Sistemi educativi
Dispensa
ombre e luci che ne conseguono. Ecco che educatori e genitori devono sapere
leggere il gioco, guardarlo al di là della sua veste apparente e allettante,
scegliere consapevolmente cosa e come far giocare, come valutare il gioco, come
imparare a distinguere i suoi messaggi culturali latenti.39
Non c’è dubbio che la tecnologia possa aver cambiato e accumunato il modo di
giocare, il progresso, l’innovazione, la modernizzazione possono alterare la libertà
interiore immergendo l’individuo nel progresso della meccanizzazione, della
omologazione e del conformismo.40
Ma se la fantasia, la creatività non è indipendente, se ci si lascia sommergere
dalla meccanizzazione, se non si riesce a dirigere e controllare il progresso, la
colpa è anche in parte dell’individuo e non solo nel carattere allettante e
attraente della tecnologia. L’uomo può creare falsificazione del gioco stesso, non
volendo rinunciare al mutamento, ai privilegi che questo arreca, non utilizzando
quello che si è avuto con il giusto approccio. Spazi liberi potrebbero e dovrebbero
essere impiegati per lo sviluppo e per l’arricchimento interiore, intellettuale,
creativo, per una partecipazione attiva che allontani la frantumazione e
l’isolamento dell’identità.
Se ciò non avviene ecco che il gioco si consumerà sempre più in situazioni di
solitudine, verranno sempre meno utilizzati quelli naturali e occasionali col
conseguente tramonto di esperienze di larga trasfigurazione simbolica ed
operativa dei materiali utilizzati. Mondi fantastici e personaggi virtuali portano ad
un paese dei balocchi vasto ma uniformato e stereotipato, dove domina un
sistema monopolistico del gioco più trendy del momento. Ci sarà allora solo
un’ottica
di
consumo
che
creerà
un
appiattimento
ludico,
un
gioco
commercializzato soprattutto nel mondo occidentale dove iniziano a scarseggiare
le forme culturali dei giochi.41
39
Staccioli G., Il gioco e il giocare. Elementi di didattica ludica, Carocci Editore, Roma, 2008.
Mumford L., Arte e tecnica, Edizioni di Comunità, Milano, 1961.
41
Staccioli G., Il gioco e il giocare. Elementi di didattica ludica, Carocci Editore, Roma, 2008.
40
41