Fossi figa sarei una stronza

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Fossi figa sarei una stronza
Eleonora Gandini
Fossi figa
sarei una stronza
© Barbes s.r.l. 2010
Cult Editore
Via Brunelleschi, 1
50123 Firenze
www.culteditore.it
ISBN 978-88-6392-048-2
Fossi figa
sarei una stronza
Alla più meravigliosa delle nipoti,
Olivia Aileen Gandini
I
Capisci che non stai andando bene
quando non puoi raccontare agli altri
i fatti più semplici della tua vita,
solo perché si immaginerebbero
che gli stai chiedendo pietà.
Nick Hornby
Ho il nome meno armonico che sia mai stato dato
ad un essere umano. Mi chiamo Letizia Zen, ho ventinove anni e sono sempre stata una sfigata. Sin dall’età
di cinque anni, infatti, giocavo coi miei due amici invisibili, due cani chiamati Fulmine e Lampone. A otto
anni ho dovuto mettere gli occhiali perché ero miope;
i due fondi di bottiglia, uniti ai miei capelli riccissimi
e indomabili, ad una forma fisica tendenzialmente rotonda e ad un senso della socialità piuttosto celato, mi
rendevano una delle bambine meno gettonate della
scuola elementare Giovanni Pascoli.
Crescendo ho acquisito un minimo di armonia e
femminilità grazie ai saggi consigli delle giornaliste di
riviste di moda (a quindici anni ho deciso di abbonarmi
a Glamour per tentare, invano, una carriera da ragazza stilosa). Ho cominciato ad usare le lenti a contatto e i capelli hanno acquisito un look finto-selvaggio.
A ventinove anni sono una ragazza carina, non sono
una fotomodella, ma ho trovato, nella mia vita, uomini
che hanno apprezzato la mia pancetta da Teletubbies e
un’ironia propria di una cabarettista brutta. Ovviamente con la garanzia di un buon pompino a fine serata.
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Ciò non toglie che le difficoltà che incontro ad interfacciarmi con il mondo maschile, siano per me un
grande limite. Non sono capace. Punto.
Fin dagli albori della mia vita di femmina, ho avuto
serie carenze nel rapporto con i miei amici maschietti:
a undici anni cercavo di imparare a giocare alle macchinine per poter fare colpo sul mio vicino di casa.
Morale: si è trasferito in un’altra città senza lasciarmi
alcun recapito.
Da quel momento la storia delle mie relazioni sentimentali si è, in qualche modo similarmente, ripetuta.
II
Vivo in un delizioso appartamento da single super
accessoriato vicino al centro di Milano e sono fornita
di tutte le comodità che si possano desiderare. Così
mi disse l’agente in quel pomeriggio di aprile.
La realtà è che vivo in un bilocale minuscolo, caldo d’estate e gelido d’inverno, spendo mezzo del mio
stipendio per l’affitto e la mia maggiore comodità è
quella di riuscire a fare cinque piani di scale con i sacchetti della spesa riuscendo a non morire per un attacco di cuore.
Sono infatti anni che non seguo un regime di attività fisica che si possa propriamente dire tale, fumo
un pacchetto di sigarette al giorno e mi piace terribilmente bere. Sono una bevitrice sociale, non fraintendetemi.
Tutto sommato, comunque, conduco uno stile di
vita pseudosano: compro prodotti da agricoltura biologica che costano il doppio di quelli normali e, per
creare un certo ambiente, ho arredato casa mia seguendo la sopraffine arte del feng-shui. Ho letto su
un giornale dei benefici effetti del feng-shui e mi piacerebbe che funzionasse anche con me. Sono ormai
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tre anni che vivo insieme alla mia fontana Avalon e
alla campana tibetana, appoggiate con criterio sul mio
mobile angolare Leksvik, Ikea.
Anche in ufficio, un’agenzia pubblicitaria dove
sono Account per diversi clienti, ho spostato tutta la
mia postazione per mantenere e creare armonia persino sul posto di lavoro.
Sono single, o meglio, ho un “amico con benefici”, ma non voglio coinvolgimenti. Ho convissuto per
quasi due anni con una persona che credevo sarebbe
stata quella con la quale avrei passato il resto dei miei
giorni. Mi sbagliavo anche in questo caso. Però è una
storia lunga e non voglio annoiarvi troppo.
Fatto sta che, da quel momento, dopo aver apportato cambiamenti alla mobilia della casa di Luca, il
mio ex, ho preso quasi spontaneamente la decisione
di andare a vivere da sola.
Il fatto di aver passato quasi un intero anno a colpevolizzarmi per la fine della nostra storia, non mi ha
aiutata in un veloce recupero. Ma oggi sto meglio, a
distanza di qualche anno non ho più quella sensazione di perdita che provavo durante le mie notti insonni
all’insegna di rum, sigarette e canzoni blues. Anche
se a volte ci ripenso e continuo a dirmi di essere stata
un’ingenua. Ma capita a tutte, no?
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III
Sono in ufficio. Devo assolutamente finire di scrivere un testo per un cliente, ma in realtà avrei solo voglia
di fumare una sigaretta, svaccarmi sul divano di casa
mia e ascoltare la musica per tutto il resto della giornata; invece sono davanti alla mia scrivania che violento
il povero giardino zen in cerca di ispirazione.
La porta dell’ ufficio si apre lentamente, è Sofia.
Mia collega, mia migliore amica, mia confidente. Siamo, vicendevolmente, l’una il centro del mondo dell’altra. Sofia mi ha aiutata a migliorarmi sul lavoro,
mi ha supportata e sopportata nei momenti difficili,
insomma, Sofia per me c’è sempre. La considero più
che una sorella, senza di lei non saprei che cosa fare,
non saprei prendere le decisioni più semplici, forse
non saprei neppure quale detersivo scegliere per fare
il bucato.
«Ciao bella topa, come stai stamattina? Hai di nuovo passato la serata a casa ad ammazzarti delle puntate
di Sex and the city, bevendo e fumando? E scommetto
che ti ha chiamata tua madre e ti ha raccontato dei
buoni sconto». Quanto mi conosce, e quanto conosce
la mia famiglia.
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«Ho una bella proposta alternativa per te, stasera.
Innanzitutto, fin da ora, devi smetterla con ’ste cazzate
zen» dice fissando il mio giardinetto di sabbia e sassi,
«e iniziare ad uscire un po’, ultimamente ci manca che
tu ti metta a lavorare a maglia e poi potrei mandarti
all’ ospizio insieme a mia nonna».
Eppure io, nonostante non ne abbia ancora tratto
i benefici, sono convinta che il mio giardino zen mi
darà, prima o poi, la promessa ispirazione.
«Non ti sembra che avresti dovuto almeno bussare?».
Oltretutto, io non riesco mai ad essere socievole
prima delle tre del pomeriggio; sono le dieci e mezzo,
ho già bevuto quattro caffè e fumato sei sigarette. Ma
il mio umore è esattamente lo stesso di due ore fa.
«Non riesco a farti cambiare umore neppure se ti
dicessi che stasera all’aperitivo ci saranno parecchi
musicisti e che, magari, potrebbe esserci anche qualcuno di tua conoscenza?».
Inizio a scrivere in maniera forsennata sulla tastiera.
Sofia sa dove stuzzicarmi: è da tempo che ho questo
rapporto strano con Federico, musicista. Ogni tanto ci
sentiamo, sembra quasi che lui sia innamorato perso
di me, poi per giorni sparisce, non risponde ai messaggi né alle telefonate, non ci vediamo. Poi magicamente
torna da me, e passiamo dei momenti meravigliosi,
salvo poi tornare ad eclissarsi e svanire di nuovo. Io
sono convinta che lui provi qualcosa per me, ne sono
certa, così come sono convinta che sia solo questione
di tempo e di pazienza.
«Scusa, c’è gente che lavora qui» le dico, «potresti
chiudere la porta, uscendo? E senza fare rumore, grazie», poi, prima di ributtare la testa dentro al laptop, le
faccio l’occhiolino.
Questo sarà uno di quei giorni che non passeranno
più. Di solito, nel tentativo di far scorrere il tempo
più velocemente, gioco a campo minato, ma l’idea di
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rivedere Federico, dopo otto giorni di assenza, mi fa
impazzire. Vorrei tanto sapere quale sarà la sua scusa
questa volta.
Tre settimane fa mi aveva detto di essere stato preso dalle prove con il suo gruppo, mi aveva raccontato
di sua sorella, che aveva avuto bisogno di aiuto per il
trasloco e non so quale altra scusa stupida. Io avevo
abbassato la testa e lo avevo assecondato, dicendogli
che non c’era alcun problema e che non doveva cercare di giustificarsi. Ma nel mio cuore lo odiavo per
non aver risposto praticamente a nessuno dei miei
messaggi, per avermi ignorata e, probabilmente, per
avermi raccontato una montagna di bugie, così come
aveva fatto Luca qualche tempo prima.
La giornata trascorre avvolta nei ricordi dei momenti meravigliosi passati con Luca, nel nostro mondo che sembrava perfetto ma che, in un attimo, mi è
crollato addosso: mentre io, stupidamente, lo avrei voluto perdonare, e lo avrei anche fatto, se non fosse stato
per i miei amici, che mi hanno bloccata, che mi hanno
impedito di richiamarlo dopo tutta quella storia.
Mentre sono in coda in macchina, nel tentativo di
tornare a casa, il mio cellulare trilla dalla borsa. Lo recupero ferma di fronte all’ennesimo semaforo rosso.
“Sei contenta di vedermi stasera? Fede”.
Sorrido come un’ebete, il ragazzo in coda di fianco
a me, dalla sua Ka color cioccolato, mi guarda e mi
sorride a sua volta; accenna un saluto. Io mi ricompongo immediatamente e calo gli occhiali sul naso.
Devo contenermi.
Finalmente arrivo sotto casa, non ho tempo per
cercare un parcheggio, lascio la macchina davanti al
portone, speriamo che la portinaia butti un occhio
ogni tanto. Sebbene non le lasci una mancia ormai
da mesi.
Cassetta delle lettere, “Zen L.”, esattamente di
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fianco a quella vuota, che recita semplicemente “Tommy”. Ad attendermi trovo la pubblicità della palestra,
dove mi appunto mentalmente di iscrivermi da almeno un anno. Una lettera della Visa che mi comunica
l’estratto conto del mese precedente e che, tra le righe,
mi dice che non avrei dovuto comprare quelle scarpe,
ricordandomi inoltre che non avrei neppure dovuto
fare quelle puntate alla Feltrinelli: centotrentaquattro euro; da Succo di Lana: duecentoquarantacinque
euro; all’Esselunga: ottantaquattro euro e cinquanta
centesimi. Una multa dei vigili aumenta il mio passivo
in banca. Anch’essa mi impone di ricordare qualcosa:
il giovedì sera, nella mia via, c’è il lavaggio strade.
Entro in casa e appoggio tutto sul tavolo. Devo impormi di fare le pulizie, più che una casa sembra una
discarica abusiva.
Mi infilo sotto la doccia, passo il rasoio dove capita, per lo meno se dovessi finire la mia serata con
Federico, non vorrei che si pungesse accarezzandomi
le gambe.
Mi trucco con l’accappatoio ancora addosso. Sono
le 19.40, Sofia passa a prendermi tra venti minuti.
Quesito biancheria intima: metto qualcosa di
sexy, così se Federico dovesse capitare a casa mia potrebbe pensare che in qualche modo me lo aspettavo,
o metto le mutande di cotone con le fragole? Ok,
trovo un compromesso: perizoma con il cagnolino
sul davanti. Ridicolo, come tutta la biancheria intima
addosso a me.
Mi infilo il vestito nero, quello che lascia la schiena scoperta, un paio di scarpe col tacco altissimo per
sembrare più slanciata e mi guardo allo specchio. Ho la
pancetta. Drappeggio una sciarpa per camuffare. Sono
i trucchi che ho imparato da Glamour. Peccato che le
modelle pesino tutte quarantasette chili o meno.
Il citofono suona. Corro inciampando ne La Cer16
tosa di Parma lasciata sul pavimento. La raccoglierò
domani.
«Sì?»
«Ciao Leti, sono Tommy, potresti aprirmi che ho
dimenticato le chiavi?».
Tommy, Tommaso, è uno degli esseri viventi più
belli che abbia mai visto. Alto, moro, con gli occhi grigi, sempre abbronzato, fisico muscoloso ma non troppo, carattere gentile e amorevole, la classica persona
che ti apre la portiera della macchina per permetterti
di salire. Ha un solo grosso difetto. Fa l’accompagnatore per donne sole dai quarantacinque in su.
Tempo fa, in preda ad una crisi di fermo totale da
ogni attività sessuale, avevo pensato di mettere i soldi da parte e chiedergli una notte di allegria insieme.
Ma poi ci ho ripensato: sono tre anni che lo conosco,
perdere la nostra amicizia per un semplice sfogo mi
devasterebbe.
Prendo un Bacardi Breeze verde dal frigo, lo apro
e mi abbandono sul divano, lasciando la porta di casa
leggermente socchiusa: Tommy passa sempre a farmi
un saluto prima di entrare in casa sua.
La porta si apre e lui, come sempre, è in gran forma.
«Urca, che gran gnocca, la figa stasera ha qualche
appuntamento galante?»
«Ho un aperitivo con Sofia e i suoi amici musicisti.
Ci sarà anche Federico…», lo guardo di nascosto per
cercare di capire la sua reazione.
«Redivivo, chissà che fine aveva fatto questa volta.
Spero solo tu non ti sia messa uno dei tuoi soliti perizomi ridicoli, potrebbe spaventarsi, non mi sembra
il tipo da mutande buffe, piuttosto da perizomi sexy e
tacchi a spillo…».
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Tommy è un mancato psicologo, forse il lavoro che
fa lo porta a capire le persone con un semplice sguardo. Così capita anche con me.
La prima volta che ci siamo incontrati, io stavo
portando su per i cinque piani di scale gli scatoloni
del mio trasloco. Ero sola, come sempre, nessuno della
mia famiglia aveva avuto la decenza di chiedermi se
avessi bisogno di una mano. Così, con calma e sangue
freddo, avevo trasportato i miei pochi averi da casa di
Luca al mio nuovo appartamento.
Tommy mi aveva aiutata per una settimana, con
una pazienza certosina, perché dopo Luca avevo avuto
un terribile esaurimento nervoso, ero depressa e mi
sentivo uno straccio.
Per qualche tempo avevo pensato, o forse sperato, che Tommy si fosse innamorato di me. In realtà
era stato semplicemente l’unica persona gentile che
avessi vicino in quel momento, mentre Sofia era negli
Stati Uniti per lavoro e io avevo un bisogno immenso
di una spalla sulla quale piangere. Lui c’era stato per
tutto il tempo necessario a farmi scoprire che era una
persona davvero speciale e sensibile, in netto contrasto
con quello che era il suo “lavoro”.
L’appunto di Tommy sulle possibili preferenze di
Federico in fatto di intimo, mi spinge a cambiare la
mia scelta. Quando esco dalla camera da letto, trovo
Tommy che guarda le foto appese alla parete di fianco
al divano.
«Dovresti toglierle, quelle di Luca…» dice con
dolcezza.
«Dovrei togliermi Luca dalla testa».
Facciamo silenzio, io mando giù qualche sorso di Bacardi e Tommy mi sorride accendendosi una sigaretta.
«Allora, questa uscita non è un appuntamento vero
e proprio con Federico?»
«No, ci saranno tutti, come sempre. Devo ubriacar18
mi per riuscire a parlare con lui, perché sono comunque un po’ incazzata. Vuoi della birra?»
Fa cenno di no con la testa. Si avvicina a me e mi
abbraccia forte.
«Sei proprio un po’ sfortunata, piccola Leti».
L’abbraccio di Tommy mi fa sciogliere il cuore, non
perché mi senta davvero sfortunata, in fondo persone
che mi vogliono bene ce ne sono e me lo dimostrano,
ma perché finora non sono riuscita ad ottenere quello
che desidero da Federico. Anche se, in realtà, neppure
io ho ben chiaro in testa quello che vorrei da lui.
Il trillo del citofono mi fa sobbalzare; aspettavo
l’arrivo di Sofia, ma ultimamente ogni rumore forte
e improvviso mi rende nervosa e non riesco a capire
perché.
«È Sofia, corro perché siamo, come sempre, in ritardo» dico a Tommy mentre gli porgo il mazzo di
chiavi di casa sua.
È curioso come, nonostante i tempi che corrono,
sia io che Tommy ci siamo fidati da subito l’uno dell’altra. Ognuno di noi ha un mazzo di chiavi di riserva
a casa dell’altro.
Sofia mi aspetta in piedi davanti al portone, bella
come sempre, coi suoi occhioni verdi, qualche lentiggine e i capelli rossi. Stasera ha un vestito color
smeraldo che fa girare la testa addirittura a me. Vorrei tanto essere come lei e guardandola, mi sento un
ranocchio.
«Quanto sei carina» dice, dandomi un bacio dolce
sulla guancia.
Sorrido mentre saliamo sull’auto, nonostante il complimento mi sento davvero otto scalini sotto di lei.
«Ho bisogno di un Vodka Lemon» le dico mentre
mi allaccio la cintura di sicurezza.
Lei mi fissa, sorride come lo Stregatto di Alice nel
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Paese delle Meraviglie, inforca gli occhiali da sole e
accende la macchina.
IV
Il locale è vicino alla stazione. Sofia è l’unica persona che conosco che trova sempre parcheggio davanti
all’ingresso. Sarà perché è proprio figa, ma si potrebbe permettere di parcheggiare la sua Mercedes anche
sulle scalinate del Duomo di Milano, di fronte ad un
esercito di vigili, senza prendere la multa.
Entriamo senza fare la coda. Trovo carino il buttafuori che, passando butta un occhio prima alle gambe
di Sofia, poi alla mia scollatura. Il suo sguardo riempie
il mio ego di orgoglio, facendomi dimenticare delle
profonde differenze fisiche tra il come sono e il come
vorrei essere.
Il locale è strapieno di businessman in giacca e cravatta accompagnati da pseudoveline con i sorrisi da
foto stampati sulla faccia, che bevono Caipiroska alla
fragola annacquata e sono fasciate in abiti tassativamente rosa shocking e pieni di brillantini. Mi complimento per la mia scelta controcorrente del nero
totale.
Andiamo dirette e con passo deciso verso il tavolo
prenotato da Sofia, tutti i musicisti sono lì. Mi cade
subito l’occhio su Federico, che sta parlando con una
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delle ennesime finte veline e non mi degna di uno
sguardo. Non penso mi abbia vista.
Saluti, baci e abbracci. Ordino subito il mio Vodka
Lemon, per essere sicura di sciogliermi un po’. Non
amo particolarmente le situazioni sociali nelle quali la
concorrenza tra me e altre donne riveli disparità così
palesi.
Vicino a me è seduto Lorenzo, il bassista di Federico. È rasato, porta degli occhiali con una spessa
montatura nera e, se non fosse per il suo atteggiamento perennemente molesto nei miei confronti, sarebbe
anche carino. Per una notte, intendo.
Si avvicina al mio orecchio e mi dice «Bel vestito,
stasera, hai intenzione di fare conquiste?»
Sorrido da idiota e mando giù un sorso del mio
drink. «Nessuna conquista, sono uscita dall’ufficio così
come ero. Sai oggi c’erano le selezioni per il nuovo
spot della Pozzi-Ginori e volevo che mi scegliessero
come protagonista».
Lorenzo scoppia in una risata, altissima. Ha dei bei
denti.
Finalmente Federico si accorge della mia presenza,
proprio mentre mi sto alzando per andare in bagno.
Si avvicina a me, mi cinge la vita con un braccio, e mi
bacia sul collo.
«Allora ci sei… hai visto il mio sms? Non mi hai
risposto».
La prima cosa che mi viene in mente di fare, sarebbe rispondergli: e tu come mai, non hai risposto
ai miei messaggi negli ultimi otto giorni?. Poi mi
trattengo, mi impongo di avere un comportamento
da adulta e rispondo, mentendo: «Ciao, non ho visto
nessun tuo sms...»
Mi guarda perplesso. Non penso se la sia bevuta.
«Leti, Leti, per caso vuoi farmela pagare per qual22
cosa o hai qualcosa da dirmi?» mi guarda negli occhi
e sorride.
Non riesco a sostenere la parte che sto cercando di
costruire. Ricambio lo sguardo.
«No, non ho niente da farti pagare, se non magari
un drink. Ero di corsa, quando mi hai scritto, stavo
andando a casa a prepararmi e non ho avuto proprio
tempo di risponderti. Tanto sapevo che ci saremmo
visti sicuramente, me lo aveva già detto Sofia stamattina in ufficio».
Il punto è che io non riesco ad avere vie di mezzo.
O mento spudoratamente e vengo scoperta, oppure
eccedo in sincerità. A quanto ne so, nonostante non
sia una maga delle relazioni e non abbia mai avuto
modo di implementare i trucchetti consigliati da Cosmopolitan per accalappiarsi un uomo, bisognerebbe
cercare di mantenere un perfetto equilibrio tra le due
cose, facendo, a volte, anche un po’ le misteriose. Ma
caratterialmente, io non sono così.
Federico ha ottenuto esattamente quello che, secondo me, desiderava ottenere. Tenermi in pugno con
assoluta certezza. Quindi mi liquida, come se fossi
una semplice amica.
«Tra poco dovrebbero arrivare due tizi di una grossa casa discografica amici di Sofia, quindi vado a chiederle due dritte». Beve il suo rum liscio come se fosse
acqua, mentre stacca il suo braccio sinistro dai miei
fianchi.
«So che ami essere sempre al centro dell’attenzione…».
Si gira di scatto vedendo passare una biondina che
avrà sì e no diciotto anni e che ora si allontana ad un
passo da me.
«Uh, guarda, c’è Simonetta, devo assolutamente salutarla» e se ne va, lasciandomi in mezzo alla folla, con
il Vodka Lemon in una mano e la Winston nell’altra.
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Come fa spesso quando vede una ventenne.
Sul fronte Federico, per me la serata procede piuttosto piatta. Più di una volta mi fa innervosire perché
lo vedo chiacchierare per un tempo infinito con tale
Simonetta e, raramente, buttare un occhio sulla sottoscritta, ma giusto per sincerarsi che io non sia sfuggita
al suo controllo. Poi arrivano i discografici: due panzoni cinquantenni in giacca e cravatta, la sua attenzione
si focalizza totalmente su di loro e io mi tranquillizzo,
se così si può dire, bevendo il quinto drink.
Sofia si avvicina a me e mi incita all’attacco. Sa
quanto io ami la musica e per questo mi porta a forza
verso il gruppetto di lavoro.
Scambiamo opinioni e mi sento così sicura da sembrare quasi bella agli occhi dei miei interlocutori.
Federico, ogni tanto, mi fissa, o almeno così mi
sembra, estasiato. Forse è davvero innamorato di me.
Dopo l’ennesimo drink, arriva l’ora di congedarsi.
Vado a salutare Lorenzo, il bassista, che in preda ad
un’ubriacatura piuttosto spinta, mi mette la lingua
in bocca senza dirmi una parola. Mi stacco con uno
scatto e uno sguardo feroci, come se mi avesse morsicata. In effetti più che baciarmi, sembra mi volesse
mangiare.
Temo di essere stata vista da Federico, e questo
timore viene confermato quando, ricercandolo tra la
folla, lo vedo a cinque metri da me, che mi fissa con
un sorriso che non riesco a decifrare se sia ironico o
teso.
Guardo Lorenzo e gli dico «Sei ubriaco, forse è
meglio se ti fai accompagnare a casa da qualcuno…»
Lui barcolla per un attimo, si appoggia alle mie
spalle e, biascicando, mi dice: «No, cioè, sì, sono ubriaco, ma era da tempo che volevo farlo. Letizia, sei la
donna più eccezionale che io abbia mai incontrato in
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vita mia. Hai uno sguardo che uccide, i tuoi seni parlano e mi dicono da tempo che vogliono essere accarezzati da me. La tua intelligenza e la tua ironia mi lasciano a bocca aperta ma non ho mai avuto il coraggio
di dirti nulla, perché mi intimorisci da morire».
Deglutisco, forse è tutta una montatura organizzata con Federico per vagliare la mia reazione. Freddamente, cerco di staccare le sue mani dalle mie spalle e
gli rispondo: «Lorenzo, davvero, sei troppo ubriaco, è
meglio se ti fai accompagnare a casa da qualcuno».
Lui si avvicina ancora di più a me e sento il suo
fiato caldo misto ad alcool, violare il mio spazio vitale.
«Sarò ubriaco, ma io voglio scopare con te!» urla, quasi coprendo il rumore delle voci delle persone e della
musica.
Federico è ora ad un metro da noi, è quasi seccato. Guarda me con fare severo, poi fissa Lorenzo.
Lo prende sotto braccio e gli dice: «Lori, andiamo in
bagno».
Io rimango sola, sono una statua di sale. Sento una
mano poggiarsi nuovamente sulla mia spalla e, il primo istinto, è quello di girarmi di scatto e allontanarmi
di un passo sulla difensiva. Mi rilasso subito scoprendo che è Sofia, che ride come una dannata.
«Penso che sia giunto il momento, per Lorenzo, di
tornare a casa. Però, diavolo, che bella dichiarazione
d’amore che ti ha fatto» dice, cercando di trattenere
una risata.
Io trovo tutta la situazione molto poco ironica.
Forse Federico è in bagno e sta cercando di annegare
Lorenzo nella turca.
Sofia si offre di accompagnare a casa “il morto”,
come si diverte a chiamarlo quando è in queste condizioni pietose. E butta lì, come consiglio, di chiedere un
passaggio a Federico che, tornato dalla gita in bagno
con Lorenzo, della quale preferisco non sapere cosa
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sia successo, si ferma a parlare di nuovo con quella
Simonetta ma, come sprima, mi scruta di quando in
quando tra la folla.
Quando finalmente decide di tornare a considerarmi, io sono ormai al settimo drink che prontamente
travaso in un bicchiere di plastica per uscire dal locale.
La sua macchina è lontana, ma non mi fanno male i
tacchi, forse anche grazie all’alcol che, ormai, mi ha
diluito il sangue.
Scambiamo qualche chiacchiera, durante la passeggiata, su alcuni pezzi di Albert King e arriviamo finalmente alla sua auto. È una monovolume verde scuro,
al suo interno ci sono strumenti e pezzi di strumenti
musicali di ogni genere. Deve spostare una chitarra
dal sedile anteriore perché io mi possa sedere.
«Scusa, ma oggi pomeriggio sono andato a provare
e non sono passato da casa per posare l’attrezzatura,
non ne avevo assolutamente voglia, sono pigro».
Lo ringrazio dicendogli che non c’è alcun problema.
Accende la macchina e riconosco subito diffondersi dalle casse Natalie Nordnes, All as one. Romantico! Deve essere un segno, sento che da questa serata
potrà venir fuori qualcosa di interessante per il mio
futuro.
Canticchiando inizio ad immaginarmi la vita insieme ad una star. I concerti, le conferenze stampa, io
che studio l’immagine del nuovo cd. Vengo interrotta
da lui che dice: «Che palle ’sto cd, riprendendo i miei
dischi dalla macchina di Lorenzo mi sono sbagliato e
ho tirato su questa lagna».
Sento come un sussulto allo stomaco che mi riporta alla realtà e rispondo, con voce lieve «A me Natalie Nordnes piace…».
Cambia cd e mette su il nuovo dei Gorillaz. Roteo
gli occhi e mi metto a guardare la strada dal finestrino.
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«Allora, tra te e Lorenzo c’è del tenero!» afferma
sicuro.
Io mi volto verso di lui, con gli occhi sgranati e la
bocca semiaperta. Non riesco a rispondere.
«Sai, Lorenzo alla fine è un bravo ragazzo, bisogna solo dargli un freno ogni tanto, altrimenti diventa
molesto e in alcune situazioni non è piacevole».
Faccio un respiro profondo e finalmente riesco a
proferire parola: «Veramente mi ha baciata a forza, il
che non credo che renda il suo gesto di stasera romantico o piacevole. E poi alla fine mi ha anche chiesto di
scopare». Oddio, l’ho detto. Se anche non l’avesse sentito, in mezzo al brusio della folla, ora gliel’ ho detto
io, e magari potrebbe credere che l’ho fatto per farlo
ingelosire.
Federico mi guarda, sorride malizioso e mi dice
«Ah, bene, allora…».
Sul suo “allora” inizio le mie seghe mentali. Allora
posso andare avanti. Allora sarai tutta mia. Allora ti
amo. Allora cosa?
Arriviamo sotto casa mia e si passa alla fase di imbarazzo della serie “e ora?”.
Lui scioglie ogni gelo e mi dice: «Ho una bottiglia
di rum che mi è stata regalata oggi dai ragazzi, ti va di
berla insieme?»
Settimo cielo. Con voce quasi indifferente: «Ok,
saliamo da me, per strada non sta molto bene, non
credi?». Gli faccio l’occhiolino.
Parcheggia alla bene e meglio due posti prima della
mia macchina, che è sempre in divieto di sosta davanti
al portone. Nessuna multa per ora.
Salendo le scale, mentre cerco di trattenere il fiatone, mi ricordo dello stato terribile in cui ho lasciato
la casa. Sospiro. Speriamo non si impressioni per le
mutande sul tavolo e i vestiti sul pavimento.
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Apro la porta, la luce è rimasta accesa. Federico
mi segue deciso con il suo Pampero Anniversario in
mano. Inizia a frugare con gli occhi il mio appartamento. Io, con indifferenza, cerco di cacciare sotto al
divano il perizoma col cane, ma lui è troppo attento
rispetto a tutto quello che lo circonda, e si accorge del
mio gesto.
«Attenzione, attenzione, allerta intrusi nella tana
del lupo» sorride. «E lì sotto cosa nascondi?» dice abbassandosi per prendere in mano l’oggetto misterioso.
Si tira su in piedi e inizia ad analizzare il perizoma.
Magari è un amante dei cani.
«Questo è un pezzo veramente trash, cara Leti, mi
stupisci molto, ti avevo sempre considerata una brava
ragazza, finora…». Mi fissa negli occhi, malizioso.
Io arrossisco, o forse la mia faccia assume l’espressione di una marmotta sotto anfetamine. Mi giro di
scatto e cerco di trovare qualcosa che possa deviare
la sua attenzione da quell’ oggetto. Funziona sempre
così, ogni volta che passa un po’ di tempo, io mi ritrovo sempre in imbarazzo a rimanere da sola con lui.
«Beviamo!» gli dico mentre sfilo due bicchieri dallo scolapiatti «Eravamo venuti qui per questo, non per
fare un’analisi del mio armadio, o sbaglio?».
Federico fa finta di infilarsi il mio perizoma in
tasca, ma poi lo appoggia sulla mensola, vicino alle
foto di Luca. Le guarda e non riesco a cogliere la sua
espressione, perché è di tre quarti e non vedo il suo
sguardo. Dopo qualche minuto, che a me sembra infinito, si siede sul divano.
Fingo di non aver notato che osserva le foto del
mio ex, rimaste lì da oggettivamente troppo tempo, e
quindi gli verso da bere e gli porgo il bicchiere. Con
un gesto che non mi sarei aspettata, mi tira per il braccio e mi fa sedere sul divano di fianco a lui. Mi bacia,
io sul principio non riesco ad assecondarlo, penso di
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essere ancora seccata con lui, e poi tutta quell’attenzione nei confronti di Simonetta, mi ha innervosita.
Quando ci stacchiamo, il che un po’ mi dispiace, mi
porge il bicchiere e mi dice: «Beviamo dallo stesso,
non lo trovi più intimo?».
Io sorrido, con la mia solita espressione da ebete.
Prendo il bicchiere che mi porge e faccio caso, per
l’ennesima volta, alle sue forti mani lunghe e affusolate. Le immagino già scivolare sulla mia schiena per
il resto delle notti della mia vita. Avvicino il bicchiere
alla labbra, fissandogli le mani e, mentre mando giù
il primo sorso, noto per la prima volta quanto le sue
mani siano perfette per accarezzare. Nel momento in
cui sto per inghiottire, il liquido mi va di traverso, cerco di trattenermi dal tossire, ma divento paonazza, mi
esce il rum dal naso e glielo sputo praticamente su
tutto il corpo.
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