Il Libro Verde e il vino - Rivista di diritto alimentare

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Il Libro Verde e il vino - Rivista di diritto alimentare
Il Libro Verde e il vino
Eugenio Pomarici
Vorrei fare una riflessione sulla base della mia esperienza del settore del vino su due
delle domande poste nel Green Paper: quella sulla opportunità di utilizzare dei marchi
alternativi (5) e quella sulla opportunità di armonizzare i diversi sistemi di protezione
delle indicazioni geografiche (10). Io non sono un esperto dei tecnicismi delle regole
europee sulla qualità e quindi le mie considerazione saranno di carattere generale.
La domanda 10 invita alla riflessione sulla opportunità di armonizzare i diversi sistemi di
protezione delle indicazioni geografiche della UE. La mia esperienza del settore del
vino mi porta a pensare che questa armonizzazione - come peraltro ha sostenuto
l’AIDA - non è opportuna, tranne per quanto riguarda la disciplina dei controlli. Nel vino
c’è una quota dell’offerta coperta da prodotti con una origine geografica manifesta
molto alta, probabilmente la più alta tra tutti quanti i prodotti agricoli europei; questa
offerta di prodotti con origine geografica manifesta ha una stratificazione storica e una
diversificazione nei diversi paesi europei molto complessa. Trasferire tutto questo in
uno schema direttamente riconducibile a quello delle DOP e delle IGP ideato per
tutelare altri prodotti alimentari di particolare pregio mi sembra molto difficile.
Con questa difficoltà, però, la riforma dell’OCM vino impone di confrontarsi. Questa
riforma impone di trasformare il sistema attuale dei vini di qualità prodotti in regioni
determinate v.q.p.r.d. (in Italia DOCG e DOC) e dei vini da tavola con indicazione
geografica (in Italia IGT) in un sistema basato su DOP e IGP ed è interessante quindi
focalizzare queste difficoltà.
In modo molto schematico e con riferimento alle categorie italiane, si può pensare che
la trasformazione dei vini DOCG e DOC in DOP, potrebbe non comportare particolari
difficoltà, anche se è facile immaginare che ci vorrà molta fantasia per integrare alcuni
disciplinari al fine di dimostrare il particolare legame fra la famiglia di prodotti coperta
dalla DOC in questione e il territorio. Queste, comunque, saranno questioni che
potranno essere affrontate, magari decidendo che alcuni vini DOC sarebbe più
opportuno che diventassero vini IGP.
Un punto, però, che mi sembra critico nel momento in cui si vogliono trasformare gli
attuali v.q.p.r.d. in vini DOP è quello delle gerarchie interne al sistema v.q.p.r.d. che
sono fortemente strutturate in molti Paesi.
In Italia siamo abituati a pensare che un vino DOCG è più pregiato di un vino DOC, e in
Francia che un Grand Cru è di maggiore pregio di un vino AOC semplice.
Il mondo del vino riceve il messaggio tranquillizzante, secondo il quale usare le
menzioni tradizionali - DOCG, DOC, Grand Cru, AOC, Vino de Pago – potranno essere
utilizzate anche se i vini saranno inquadrati nel nuovo schema giuridico; non è chiaro
però attraverso quali corrispondenze.
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Per fare un esempio: un vino DOC italiano con base provinciale potrebbe diventare
nella nuova classificazione un vino IGP; in questo caso potrebbe continuare a essere
presentato al pubblico con la menzione tradizionale DOC? Inoltre, immaginando che
tutti i vini italiani DOC e DOCG diventino DOP, così come i vini AOC francesi di tutte le
categorie qualitative (cru); la disciplina dell’uso dei termini qualificanti (la “garanzia” dei
DOCG in Italia e il riferimento a un cru in Francia, per fare solo due esempi) potrà
essere lasciato all’inventiva degli Stati Membri oppure, volendo andare verso un nuovo
regime più armonizzato, le regole delle gerarchie interne dovrebbero basarsi su una
disciplina comune. Peraltro, in futuro questo problema della gerarchia interna potrebbe
diventare rilevante anche per altri prodotti.
Problema delle gerarchie interne a parte, se è possibile pensare che non sarà troppo
difficile trasformare i v.q.p.r.d. - quindi in Italia i vini DOCG e DOC - in vini DOP o
magari IGP, trasformare i vini da tavola con indicazione geografica – quindi in Italia le
IGT - in vini IGP appare, invece, evidentemente molto più difficile. I vecchi vini da
tavola con indicazione geografica, come autorevolmente è stato osservato, non hanno
una corrispondenza logica nella categoria dei vini IGP - evidentemente ispirata ai
prodotti IGP del regolamento 510/200 – e si presentano in modo molto diverso in
termini di esigenze di protezione e di controlli. Peraltro, i vecchi vini da tavola con
indicazione geografica hanno funzionato molto bene nel sostenere la sfida del mercato
grazie alla loro semplicità regolamentare e appare davvero un controsenso perderli in
una OCM che vorrebbe restituire competitività al settore del vino europeo facendo
crescere proprio la sua agilità di manovra rispetto ai concorrenti dei Paesi terzi.
Chi ha interesse per il settore del vino non può, quindi, fare a meno di domandarsi cosa
succederà nei prossimi mesi. Saranno severi a Bruxelles quando dovranno essere
esaminati i dossier per la conversione, per esempio, delle IGT italiane in IGP o non
saranno severi ? Certo, si può immaginare che se ci sarà severità, in assenza di marchi
alternativi, si assisterà presumibilmente in molti casi una fuga verso i vini varietali e
sarà difficile per i consumatori comprendere la differenza tra un vino DOP e uno IGP;
se invece non ci sarà severità, ci sarà una banalizzazione della categoria IGP, che
quando associata al vino finirebbe per evocare qualcosa di diverso da ciò che evoca,
almeno per ora, negli altri prodotti.
Queste considerazioni mi portano quindi alla domanda 5 del Green Paper, dove si fa
un opportuna apertura verso strumenti alternativi per l’utilizzazione di indicazioni
geografiche. Il Green Paper cita a titolo di esempio i marchi intesi in senso privatistico.
Non ho le competenze tecniche per entrare nel merito della forma giuridica degli
strumenti alternativi, penso però di potere riconoscere la utilità di una categoria simile
agli attuali vini da tavola con indicazione geografica, anche in presenza dei vini IGP,
che potrebbe tranquillamente raccogliere tutti quei vini con indicazione geografica che
non hanno la necessità e l’interesse a diventare DOP o IGP.
Il complesso processo di transizione verso un sistema di classificazione dei vini che
sarà nuovo, anche se magari diverso da quello per ora prefigurato dal reg. 479/2008,
mi sembra che richieda, comunque, delle linee guida che aiutino a lavorare nei vari
Stati membri in modo simile e coerente con i criteri che saranno usati a Bruxelles per
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valutare i fascicoli tecnici necessari per la trasformazione degli attuali v.q.p.r.d. e vini da
tavola con indicazione geografica nelle nuove categorie. La grande casa comune dei
v.q.p.r.d. è stata in passato criticata perché, essendo ogni Stato membro autonomo nel
disciplinare come questi vini dovessero essere declinati al proprio interno, si sono
generate grandi differenze che non hanno aiutato i consumatori a comprendere la
fisionomia complessiva dei vini europei e che hanno lasciato, invece, spazio al
diffondersi della sensazione che le differenze normative e di prassi hanno aperto troppo
spesso la strada a casi di concorrenza sleale tra i produttori. Certo, in passato è stato
inevitabile lasciare ampio spazio a forme di autonomia perché al tempo della
formazione del mercato comune si dovevano far confluire in una cornice normativa
comune legislazioni nazionali sui marchi di qualità del vino consolidate e molto diverse
tra loro; però, ora che si vuole avviare un processo di armonizzazione, che si
rispecchia nel riconoscimento comunitario, l’esigenza di fare in modo che alla stessa
categoria europea (DOP o IGP) corrispondano filosofie di prodotto almeno simili
diventa più stringente.
Concludendo, desidero affermare che concordo con il prof. Albisinni quando dice che
questo Green Paper è un libro sulla comunicazione, e certamente per quanto riguarda
il vino ci sarà bisogno di un impegno di comunicazione particolare. In passato, anche
se non era scritto esplicitamente da nessuna parte, ci si era abituati a considerare i
v.q.p.r.d. (DOCG e DOC in Italia) come qualcosa di superiore ai vini da tavola con
indicazione geografica (IGT in Italia). Oggi questo non avrebbe alcun senso con
riferimento al binomio DOP e IGP e sarà quindi necessario far capire ai consumatori in
cosa si differenziano. Non sarà facile, ma è uno sforzo che si dovrà fare per
riposizionare l’offerta europea, in un mercato nel quale è sempre più elevata la quota di
consumatori nuovi, non legati alle tradizioni di consumo del passato e più attenti, quindi,
all’informazione.
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