Volume degli atti 2010 - Società Italiana di Diagnostica di

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Volume degli atti 2010 - Società Italiana di Diagnostica di
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova 27 - 29 Ottobre 2010
SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA
DI LABORATORIO VETERINARIA
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.
Genova
Magazzini
del Cotone
27 - 29 Ottobre 2010
VOLUME
degli ATTI
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SOCIETÀ ITALIANA
DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA
XII Congresso Nazionale
S.I.Di.L.V.
Genova
Magazzini del Cotone
27 - 29 Ottobre 2010
VOLUME DEGLI ATTI
1
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CONSIGLIO DIRETTIVO S.I.DI.L.V.
Gian Luca Autorino, Presidente
Maria Caramelli, Vice Presidente
Alfredo Caprioli, Segretario
Antonio Fasanella, Tesoriere
Monica Cagiola, Membro
Gabriella Conedera, Membro
Sergio Rosati, Membro
Alessandra Stancanelli, Membro
Santo Caracappa, Past President
Guido Leori, Revisore dei conti
Mario Luini, Revisore dei conti
Stefano Reale, Revisore dei conti
COMITATO SCIENTIFICO
Enrico Bollo, Torino
Tiziana Civera, Torino
Alessandro Dondo, Torino
Walter Mignone, Imperia
Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V.
COMITATO ORGANIZZATIVO
Fernando Arnolfo, Torino
Carlo Ercolini, La Spezia
Angelo Ferrari, Genova
Bruno Osella, Torino
Giuseppe Peirano, Genova
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma
Tel. 0521 038007 - Fax 0521 945334
e-mail: [email protected]
www.sidilv.org
www.mvcongressi.it/SIDILV2010
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Prefazione
Il XII° Congresso nazionale, un nuovo, atteso, appuntamento, un’altra opportunità di aggiornamento e confronto
fra colleghi che si scambiano idee, realizzano sinergie nel campo della ricerca e affrontano problematiche connesse allo
svolgimento dell’attività corrente; quale migliore occasione alla vigilia delle scadenze di presentazione dei differenti
“frames” della ricerca nazionale ed europea?
Fra gli obiettivi che la SIDiLV si è posta negli ultimi anni vi era anche quello di realizzare una piattaforma di
performance per la crescita e l’espressione dei nostri giovani ricercatori. Il numero dei lavori presentati (oltre 180) ed la
qualità scientifica ne sono, di certo, una prova concreta. Inoltre, l’aumento dei contributi che vedono la partecipazione
di più affiliazioni testimonia la maggiore collaborazione instaurata. Forse, l’approccio integrato fra ricerca in sanità
e ambiente, nel nuovo concetto di “One Health”, risulta fondamentale per superare le difficoltà della ricerca di base,
fortemente penalizzata anche dalla cronica mancanza di risorse.
Da quest’anno abbiamo stabilito il collegamento con la European Association of Veterinary Laboratory
Diagnosticians (EAVLD), la nuova società scientifica cui la SIDiLV si è affiliata, assieme alle analoghe associazioni
di altri sei Paesi europei. La nascita della società europea costituisce un’altra opportunità per favorire l’aggregazione di
gruppi di lavoro e di ricerca più ampi e, pertanto, deve essere favorita la partecipazione agli eventi dalla stessa organizzati.
Devo rappresentare con soddisfazione che i ricercatori degli Istituti Zooprofilattici hanno ottenuto riconoscimento
e apprezzamento nell’ambito del primo congresso europeo, tenutosi dal 15 al 17 settembre a Lelystad (NL). Come
SIDiLV, per stimolare la crescita di livello della produzione scientifica, riteniamo importante continuare a promuovere la
presentazione in quella sede dei migliori contributi selezionati in ambito nazionale.
A corollario delle letture ad invito che, come di consueto, sono state individuate in considerazione della loro
attualità e che precederanno le comunicazioni orali sulle differenti tematiche, quest’anno, a Genova, collauderemo
l’inserimento nel programma congressuale di due sessioni parallele di Sanità Animale e Sicurezza degli Alimenti, per dare
maggiore spazio alle due specifiche macro aree d’interesse. Cogliamo l’occasione per ringraziare il Comitato scientifico
che, ancora una volta, ha svolto un ruolo importante ed impegnativo contribuendo alla valutazione critica dei lavori inviati
e selezionando quelli ritenuti più originali e, o, attuali.
Come programmato nel corso dell’assemblea di Parma, è stata realizzata la pagina Web della SIDiLV, aggiornata
nel corso dell’anno con informazioni relative alle iniziative della Società e contenente collegamenti ad altri siti di specifico
interesse. Per dare maggiore diffusione ai contenuti del XII Congresso nazionale, nonché possibilità di accesso a coloro
che non abbiano partecipato, sarà pubblicato sul sito anche il volume degli atti 2010.
Invitiamo tutti i Soci iscritti al congresso a votare per le elezioni del nuovo Consiglio Direttivo. La SIDiLV,
nascendo come espressione prevalente della rete degli Istituti, necessita, per quanto possibile, di membri che rappresentino
la distribuzione territoriale e partecipino propositivamente all’organizzazione delle iniziative scientifiche e societarie.
Considerata la vitalità dimostrata dalla Società ed il suo costante e progressivo trend di crescita, ci auguriamo vengano
valutate le esperienze maturate, mantenendo continuità tra obiettivi dei vecchi e dei nuovi Consigli.
Rivolgiamo un apprezzamento a tutti i Direttori Generali degli Istituti Zooprofilattici che, sia consentendo la
partecipazione allargata ai numerosi operatori, sia contribuendo di anno in anno alla realizzazione degli eventi congressuali,
rendono possibile la crescita della SIDiLV. Quest’anno, in particolare, il nostro ringraziamento è rivolto alla Direzione
dell’Istituto di Torino che ci ha permesso di essere presenti in una prestigiosa sede congressuale, nella cornice di una delle
più belle città italiane.
Infine, nell’auspicare ai convenuti l’augurio di buon lavoro e permanenza, cogliamo l’occasione per ringraziare
anche gli sponsor che contribuiscono ogni anno alla migliore riuscita del nostro congresso.
Genova 27 ottobre 2010
Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V.
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Il Comitato Organizzatore del XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.
è grato ai seguenti Enti ed Aziende
per il fattivo contributo alla realizzazione dell’evento:
Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
BIO-RAD LABORATORIES
BIOTEST ITALIA
EUROCLONE
FOSS ITALIA
IDEXX
ID-VET
MEDICAL SERVICE 2000
PROMEVET
QIAGEN
TECAN ITALIA
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INDICE
LETTURE PLENARIE, COMUNICAZIONI ORALI
LE ATTIVITÀ DI BIOMONITORAGGIO: CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE
AREE E RILEVANZA PER LA SANITÀ PUBBLICA VETERINARIA.
Ru G., Desiato R.
27
MONITORAGGIO DELLA PRESENZA DI PCDD/Fs, DL PCBs, NDL PCBs E METALLI
PESANTI NEL PESCE DEI LAGHI DI MANTOVA
Menotta S., D’Antonio M., Arvati M., Gallio A., Zaghini L., Puzzi C., Ippoliti A. , Salis E.,
Nigrelli A., Fedrizzi G.
28
RICERCA DI SAPOVIRUS E NOROVIRUS IN CAMPIONI AMBIENTALI NELLE CITTÀ
DI PALERMO E NAPOLI
Di Bartolo I., Battistone A., Ponterio E., Fiore L., Ruggeri F.M.
30
L’ESAME ISTOLOGICO PER IL CONTROLLO DELL’USO ILLEGALE DEL 17b
ESTRADIOLO NELLA SPECIE OVINA
Puleio R., Giambruno P., Giardina G., Tamburello A., Usticano A., Pezzolato M., Bozzetta E., Loria G.R.
32
DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE DEL RUOLO VETTORIALE DI MUSCA DOMESTICA
NEL PROCESSO DI DISPERSIONE DI Bacillus anthracis NELL’AMBIENTE
Scasciamacchia S., Garofolo G., Raele D.A., Adone R., Fasanella A.
34
TULAREMIA IN LEPRI DI IMPORTAZIONE: NUOVI ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI
Fabbi M.,Prati P.,Vicari N.
36
CASI di YERSINIOSI da Yersinia pseudotuberculosis IN ANIMALI SELVATICI E DOMESTICI
IN ITALIA CENTRALE
Magistrali C.F., Carfora V., Farneti S., Mangili P., Neri C., Dionisi A.M.
38
Q FEVER IN THE NETHERLANDS
Roest HJ
40
IMPLICAZIONI ZOONOSICHE CORRELATE ALLA CIRCOLAZIONE DI Coxiella burnetii
NEGLI ALLEVAMENTI DI BOVINE DA LATTE IN ALCUNE AREE DEL NORD ITALIA
Prati P., Vicari N., Boldini M., Decastelli L., Magnino S., Faccini S., Andreoli G., Nativi D.,
Fabbi M.
42
CONFRONTO FRA KIT ELISA PER LA DIAGNOSI DI FEBBRE Q BOVINA
Natale A., Bucci G., Capello K., Del Sesto M., Mion M., Nardelli S.
43
CONTEGGIO DI UNITA’ FORMANTI COLONIA DI STAPHILOCOCCUS AUREUS NEL
LATTE DI MASSA COME DATO PREDITTIVO DEL LIVELLO D’INFEZIONE INTRAALLEVAMENTO
Bertocchi L., Bolzoni G., Zanardi G., Nassuato C., Bonometti G. Benicchio S., Varisco G.
45
RESISTENZA ALLA SCRAPIE CLASSICA IN CAPRE PORTATRICI DELLA
MUTAZIONE K222 DEL GENE DELLA PROTEINA PRIONICA (PRNP) INOCULATE
SPERIMENTALMENTE
Acutis P.L., D’Angelo A., Peletto S., Colussi S., Zuccon F., Martucci F., Mazza M., Dell’Atti L.,
Corona C., Iulini B., Porcario C. , Martinelli N., Casalone C. , Maurella C., Lombardi G.
47
ISOLAMENTO DI STAPHYLOCOCCUS PSEUDINTERMEDIUS
RESISTENTE IN CAGNE FATTRICI DI ALLEVAMENTO
Corrò M., Milani C., Drigo I., Sturaro A., Rota A.
49
9
METICILLINO-
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PRESTAZIONI DEL SISTEMA AUTOMATICO VERSATREK NELLA RICERCA DI
MYCOBATTERI IN CAMPIONI DI ORGANI ANIMALI IN RAPPORTO AL METODO
CONVENZIONALE
Manunta D., Ziccheddu M., Patta C., Lollai S.
51
LENTIVIRUS DEI PICCOLI RUMINANTI: VARIABILITA’ ANTIGENICA E BIOLOGICA E POTENZIALITA’ PROFILATTICHE
Rosati S.
53
PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS
IN NATURALLY INFECTED MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 1
Autorino G.L., Caprioli A., Rosone F., Mastromattei A., Lai O., Grifoni G., Saralli G., Alfieri L.,
Ciccia F. Giordani F., Scicluna M.T.
54
PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS
IN NATURALLY INFECTED MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 2
Autorino G.L., Rosone F., Caprioli A., Canelli. E., Mastromattei A., Scicluna M.T.
56
EPIDEMIA DI CIMURRO NEGLI ANIMALI SELVATICI DEL PARCO NAZIONALE
DELLO STELVIO.
Catella A., Martella V., Bianchi A., Bertoletti I., Lavazza A., Zanoni M.G., Alborali L., Cordioli
P., Buonavoglia C.
59
SIEROCONVERSIONE MAGGIORE gB+/gE- IN UN ALLEVAMENTO UFFICIALMENTE
INDENNE DA BHV1 DOPO INTRODUZIONE DI SOGGETTI VACCINATI CON MARKER
ATTENUATO
Pitti M., Masoero L., Grego E., Geninatti G., Macario Ban M., Rosati S.
61
UTILIZZO DELLA DGGE (DENATURING GRADIENT GEL ELECTROPHORESIS)
PER IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE DI MICOPLASMI IN CAMPO
AVICOLO
Battanolli G., Brustolin M., Bilato D., Gobbo F., Qualtieri K., McAuliffe L., Catania S.
63
COMPARAZIONE DELLE PERFORMANCE DIAGNOSTICHE DI TRE SAGGI DI
AMPLIFICAZIONE GENOMICA PER IL RILEVAMENTO DEL VIRUS DELLA MALATTIA
VESCICOLARE SUINA
Benedetti D., Pezzoni G., Grazioli S., Barbieri I., Brocchi E.
65
VALUTAZIONE DEGLI ANTIGENI RICOMBINANTI ORF2 E ORF3 IN UN TEST ELISA
PER LA RICERCA DI ANTICORPI ANTI-HEV IN SUINI
Stercoli L., Pezzoni G., Brocchi E.
67
GARANZIE SANITARIE DEI MOLLUSCHI TRASFORMATI CON TECNOLOGIE
INNOVATIVE
Arcangeli G., Terregino C., De Benedictis P., Rosteghin M., Zecchin B., Manfrin A., Rossetti E.,
Rovere P., Brutti A.
70
RICERCA DI E. COLI, SALMONELLA spp., VIRUS DELL’EPATITE A e NOROVIRUS NEI
MOLLUSCHI BIVALVI: DAI PRELIMINARI
Salzano C., Saggiomo F.,Toscano V.,Grimaldi P.,Guarino A.,Fusco G.
72
PREVALENZA DI VIBRIO SPP ISOLATI DA PRODOTTI ITTICI
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS
Costa A., Alio V., Canonico C. ,Potenziani S., Russo Alesi E.M., Di Noto A.M.
74
LA SHELF-LIFE DI VONGOLE VERACI (RUDITAPES PHILIPPINARUM) ALLEVATE E
DEPURATE, DA DESTINARE AL CONSUMO UMANO
Favretti M., Pezzuto A., Furlan F., Zentilin A., Arcangeli G., Cereser A.
76
10
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SVILUPPO DI UN METODO MOLECOLARE A SINGOLO TARGET PER
L’IDENTIFICAZIONE
DI
ESCHERICHIA
COLI
O157
PRODUTTORI
DI
VEROCITOTOSSINA IN MATRICI ALIMENTARI E ANIMALI
Michelacci V., Tozzoli R., Grande L., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S.
79
EPISODI DI COLORAZIONI ANOMALE IN PRODOTTI LATTIERO-CASEARI
Oliverio E., De Nadai V., Finazzi G., Ruggiero V., Daminelli P.
81
INDAGINE SULLA PRESENZA DI ANISAKIS SPP IN ALICI E SARDE
FRESCHE E PREPARATE
Costa A., Sciortino S., Martorana C., Palumbo P.
83
RIEMERGENZA DELLA RABBIA SILVESTRE NEL NORD-EST DELL’ITALIA:
SITUAZIONE EPIDEMIOLOGICA E STRATEGIE DI INTERVENTO
Mutinelli F.
85
CARATTERIZZAZIONE DI CEPPI DI EQUINE HERPESVIRUS TIPO 1 CIRCOLANTI
ITALIA FRA IL 1990 ED IL 2010
Canelli E., Manna G., Catella A., Lelli D., Fontana R., Cardeti G., Autorino L., Cordioli P.
87
FOCOLAIO DI FORMA NERVOSA DA EQUINE HERPESVIRUS TIPO 1
Canelli E., Catella A., Mazzolari L., Schiaffino F., Begni E., Gelmetti D., Salogni C., Moreno A.,
Lelli D., Sozzi E., Cordioli P.
89
CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI (CSM) ANIMALI: ISOLAMENTO,
CARATTERIZZAZIONE E CONTROLLI DI QUALITÀ
Di Marco P., Ferrari M., Sesso L., Purpari G., Russotto L., Cannella V., Dara S., Di Bella S.
Guercio A.
91
STUDIO CLINICO RETROSPETTIVO PER LA VERIFICA DELL’EFFICACIA DEL
TRATTAMENTO DELLE TENDINOPATIE DEL CAVALLO MEDIANTE IMPIANTO
DI CELLULE STAMINALI OMOLOGHE DERIVATE DAL GRASSO
Sala M., Canonici F., Barbaro K., Bonini P., Caminiti A., Spalluci V., Aquilini E., Amaddeo D.,
Autorino G.L.,
94
VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ASSOCIATO A MALATTIA
RESPIRATORIA
Decaro N., Mari V., Lucente M.S., Colaianni M.L., Cirone F. , Losurdo M., Cordioli P.,
Buonavoglia C.
96
SVILUPPO DI UNA ONE-STEP MULTIPLEX REAL TIME PCR PER L’IDENTIFICAZIONE
E LA DIFFERENZIAZIONE DEI PESTIVIRUS DEI RUMINANTI
Rossi E., Giammarioli M., Torresi C., Pellegrini C., De Mia G.M.
98
IDENTIFICAZIONE DI UNA NUOVA VARIANTE MORFO-GENETICA DI SARCOCYSTIS
HOMINIS
Peletto S., Acutis P.L., Sacchi L., Genchi M., Clementi E., Guidetti C., Felisari L., Mo P.,
Modesto P., Zuccon F., Campanella C., Domenis L.
100
INFEZIONI DA MICOBATTERI: SITUAZIONI EPIDEMIOLOGICHE EMERGENTI E
AGGIORNAMENTO SU METODI DIAGNOSTICI E DI TYPING
Dondo A.
102
UTILIZZO DI UN TEST ELISA MULTI-ANTIGENE PER LA DIAGNOSI SIEROLOGICA DI
TUBERCOLOSI BOVINA (TB)
Casto B., Pacciarini M., Donati C., Nassuato. C, Zoppi S., Moresco A., Dondo A., Rossi F.,
Bergagna S., Boniotti M.B.
104
11
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VALUTAZIONE DELL’ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DEL g-INTERFERON TEST PER
LA TUBERCOLOSI BOVINA IN ASSENZA DI GOLD STANDARD
Vitale N., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Bergagna S., Ippolito C., Petruccelli G., Goria M.,
Garrone A., Ferraro G., Chiavacci L.
106
SUB-TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP
PARATUBERCULOSIS MEDIANTE HIGH-RESOLUTION MELTING DNA ANALYSIS E
SONDE NON MARCATE
Ricchi M., Barbieri G., Belletti GL, Pongolini S., Carra E., Garbarino CA, Cammi G.,
Arrigoni N.
108
RUOLO DEL SUINO NERO DEI NEBRODI NELL’EPIDEMIOLOGIA DELLA
TUBERCOLOSI BOVINA IN SICILIA
Mazzone P., Corneli S., Cagiola M., Biagetti M., Ciullo M., Sebastiani C., Boniotti M.B.,
Pacciarini M.L., Di Marco V., Russo M., Aronica V., Fiasconaro M., Marianelli C.,
Pesciaroli M., Pasquali P.
110
IDENTIFICAZIONE DI UN MODELLO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO
SEMI-QUANTITATIVO PER CLASSIFICARE LE AZIENDE CHE PRODUCONO
LATTE CRUDO E DEFINIRE STRATEGIE DI CONTROLLO
Cibin V., Barrucci F., Ricci A., Ferronato A., Pozza G., Ferrè N., Capello K., Dalla Pozza M.C.,
Ramon E., Longo A., Mioni R., Conedera G., Pittui S., Marangon S.
113
DESCRIZIONE DI DUE EPISODI DI INTOSSICAZIONE DA CLOSTRIDIUM BOTULINUM
IN ALIMENTI VEGETALI DI PRODUZIONE INDUSTRIALE
De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Losio M.N., Bertasi B., Fenicia L., Anniballi
F., Daminelli P., Boni P.
115
PSEUDOMONAS spp IN FIORDILATTE AL DETTAGLIO
Bilei S., Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., De Angelis V., Di Domenico I., Palmieri
P., Zottola T.
117
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ISOLATI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS
DA PRODOTTI LATTIERO-CASEARI: OTTIMIZZAZIONE DI UN PROTOCOLLO PFGE
Nogarol C., Bianchi D.M.,Vencia W., Losio M.N., Zuccon F., Decastelli L.
119
POSTERS
MANGANESE NEI MANGIMI: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO A
MICROONDE IN FAAS
Abete M.C., Pellegrino M., Tarasco R., Gavinelli S., Palmegiano P, Leogrande M., Fioravanti F.,
Fasano F., Squadrone S.
124
SIEROPREVALENZA DI BRUCELLA SPP IN CINGHIALI CATTURATI DURANTE
L’ANNATA VENATORIA 2009/10 NEL SUD DELLA SARDEGNA
Addis G., Cannata P., Liggia S., Deidda M., Cogoni M., Crobeddu S., Trincas M., Pilo C., Liciardi
M., Aloi D., Rolesu S.
126
CONTAMINAZIONE DA PALITOSSINE (PLTXS) IN POPOLAZIONI NATURALI DI MITILI
DELLA RIVIERA DEL CONERO DURANTE L’ESTATE 2009
Bacchiocchi S., Graziosi T., Mengarelli C., De Grandis G., Moroni M., Principi F., Rocchegiani
E., Orletti R.
128
CAMPYLOBACTER TERMOFILI IN ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE: 2 ANNI DI
MONITORAGGIO IN REGIONE PIEMONTE (2008 - 2009)
Barbaro A., Vitale N., Bianchi D.M., Decastelli L., Chiavacci L.
130
12
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DIAGNOSI PRE-CLINICA DI PESTE AMERICANA MEDIANTE L’ESAME DEI DETRITI
INVERNALI
Bassi S., Carpana E., Carra E. , Pongolini S.
132
RICERCA DELLE SPORE DI Paenibacillus larvae NEL MIELE: VALUTAZIONE DEI
RISULTATI OTTENUTI CON DIVERSI PROTOCOLLI DI LAVORO
Bassi S., Carra E., Carpana E., Rugna G., Pongolini S.
135
ETEROGENEITÀ GENETICA DEGLI SMALL RUMINANT LENTIVIRUSES IN ITALIA
Bazzucchi M., Puggioni G., Brajon G., Casciari C., Dei Giudici S., Taccori S., Giammarioli M.,
Feliziani F.
137
PANCITOPENIA NEONATALE DEL BOVINO (BLEEDING CALF SINDROME) E
DIARREA VIRALE BOVINA IN FORMA TROMBOCITOPENICA IN VITELLI DI RAZZA
PIEMONTESE
Bergagna S., Varello K., Grattarola C., Rossi F., Saragaglia C., Bozzetta E., Dondo A., Zoppi S.
139
VALUTAZIONE COMPARATIVA DI REAL-TIME PCR E PCR END-POINT PER LA
RICERCA DI VTEC (VEROTOXIN ESCHERICHIA COLI) IN MATRICI ALIMENTARI
Berta V., Bertasi B., Botrugno R., Ferrari M., Coffinardi F., Daminelli P., Losio M.N.
141
CONTAMINAZIONE DA DIOSSINE NEL LATTE CRUDO: MODELLO DI STUDIO BASATO
SULL’UTILIZZO DEL SISTEMA DI SCREENING DR-CALUX
Bertasi B., E. Moro, Gasparini M., Ferretti E., Maccabiani G., Nolli V., Fusini F., Boni P.
143
NUMERAZIONE DI CAMPYLOBACTER SU CARCASSE DI BROILER CON METODO
UNI EN ISO 10272-2:2006 A CONFRONTO CON METODO SIMPLATE® (BIOCONTROL
SYSTEMS)
Bilei S, Bogdanova T., Flores Rodas E.M., Greco S., De Santis P., Cesarano D., Di Domenico I.,
Mussino M.
145
INDAGINE MICROBIOLOGICA SU CAMPIONI DI MOZZARELLA IN OCCASIONE
DELL’ALLERTA “MOZZARELLA BLU”
Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., Tolli R., Bilei S.
148
STUDIO DEI DATI DI MORTALITÀ DEI PICCOLI RUMINANTI PER VERIFICARE
L’EFFICACIA DEL SISTEMA DI SORVEGLIANZA DELLE TSE OVICAPRINE IN ITALIA
Bona M. C., Bertolini S., Ru G.
150
PROPOSTA DI UN METODO DI CAMPIONAMENTO STANDARDIZZATO PER LA
VALUTAZIONE DELLA CONTAMINAZIONE FUNGINA DELL’ARIA IN ALLEVAMENTI
DI CONIGLI
Bonci M., Mazzolini E., Bano L., Drigo I., Agnoletti F.
152
SVILUPPO DI UN PROTOCOLLO PER LA VALUTAZIONE DELLA QUALITA’
DELL’AMBIENTE NELL’ALLEVAMENTO INTENSIVO DEL CONIGLIO: FASI
PRELIMINARI
Bonci M., da Borso F. , Mezzadri M., Teri F., Bano L., Drigo I., Mazzolini E., Agnoletti F.
154
ANALISI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN PECORE INFETTATE PER VIA
INTRAMAMMARIA CON STREPTOCOCCUS UBERIS
Bonelli P., Marogna G., Re R., Pilo GA., Pais L., Fresi S., Schianchi G., Nicolussi P.
156
INTERSCAMBIO DATI TRA PIATTAFORME INFORMATICHE PER LA GESTIONE DEI
CAMPIONI NELL’AMBITO DEL PIANO NAZIONALE BSE E SCRAPIE
Bortolotti L., Breda T., Lanari M., Favero L., Benvegnù F., Bozza M.A., Granato A., Zampieri
A., Mutinelli F.
158
SALMONELLA SPP. IN FAUNA SELVATICA E ANTIBIOTICO-RESISTENZA
Botti V,, Navillod F.V., Spedicato R., Pepe E., Domenis L., Orusa R., Guidetti C.
160
13
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SVILUPPO DI UN METODO IN LC-MS/MS PER LA DETERMINAZIONE DELLA
MELAMINA NEL MUSCOLO
Brizio P., Marchis D., Prearo M., Squadrone S., Ciccotelli V., Leporati M., Capra P., Elia A.C.,
Abete M. C.
162
CARATTERIZZAZIONE IMMUNOISTOCHIMICA DI CELLULE STAMINALI IN TUMORI
MAMMARI FELINI
Campanella C., Barbieri F., Cimadomo V., Tiso M., Panno R., Vito G., Ratto A., Florio T.,
Ferrari A.
164
IL LABORATORIO NAZIONALE DI RIFERIMENTO PER Escherichia coli DELL’ISTITUTO
SUPERIORE DI SANITA’
Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Graziani C., Ferreri C., Minelli F., Marziano
M.L., Babsa S.
166
ISOLAMENTO E TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI Mycobacterium bovis DA
BOVINI SICILIANI NEL TRIENNIO 2007-2009
Caracappa S., Piraino C., Vicari D., Boniotti M. B., Galuppo L., Pacciarini M.
168
INDAGINE SULLA PREVALENZA DI SALMONELLA NEGLI ALLEVAMENTI DI SUINI
DA RIPRODUZIONE DELLA PROVINCIA DI CUNEO
Careddu M.E., Olivetto L., Ribero A., Fontanarosa S. , Bianchi C., Decastelli L., Rubinetti F.,
Vitale N.
170
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PRESENZA DI LISTERIA MONOCYTOGENES IN
IMPIANTI DI MACELLAZIONE.
Carfora V., Farneti S., Renzi F., Bazzucchi V., Scorpioni V., Pezzotti G., Scuota S.
172
STUDIO BIOMOLECOLARE SULLA PRESENZA DI HELICOBACTER SPP. IN CAMPIONI
GASTRICI, DI FECI E SALIVA PRELEVATI DA SUINI AFFETTI DA ULCERA GASTRICA
Casagrande Proietti P, Bietta A, Brachelente C, Lepri E, Franciosini MP.
174
ANALISI DELL’ATTIVITA’ PROTEASOMALE COME MARKER PER LO STUDIO DELLE
NEOPLASIE
Cerruti F., Martano M., Morello E., Buracco P., Massa M., Rambozzi L., Cascio P.
176
APPLICAZIONE DI RT-PCR E TEM PER LA DIAGNOSI DELLE VIROSI DELLE API
Cersini A., Cardeti G., Marchesi U., Lorenzetti R., Ciabatti I.M., Antognetti V., Cittadini M., Del
Bove M., Zini M., Formato G., Amaddeo D.
178
ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP. DA VOLPI (VULPES VULPES) E TASSI (MELES
MELES) IN REGIONE LOMBARDIA (NORTH ITALY)
Chiari M., Zanoni M., D’Incau M., Salogni C., Giovannini S., Alborali L., Lavazza A.
180
TRICHINELLA BRITOVI IN UNA VOLPE (VULPES VULPES) IN PROVINCIA DI
BRESCIA (ITALY)
Chiari M., Zanoni M., Salogni C., Giovannini S., Alborali L., Lavazza A.
182
DEFINIZIONE DELLA BIODIVERSITA’ MICROBICA NEI “CIAUSCOLI” DELLA REGIONE MARCHE
Ciarrocchi F., Nardi S., Lanciotti M., Palombo B., Striano G., Venditti G., Blasi G.
183
DETERMINAZIONE MEDIANTE GC-MS E LC-MS/MS DI PESTICIDI IN MATERIALE
AUTOPTICO E IN REPERTI PRELEVATI NEI CASI DI PRESUNTA INTOSSICAZIONE
ACUTA DI ANIMALI
Ciccotelli V., Brizio P., Leporati M., Capra P., Abete M. C.
185
PRELIMINARY EVALUATION OF BIOCHEMICAL AND HAEMATOLOGICAL INDICES
IN THE CIRNECO DELL’ETNA CANINE BREED
Cicero A., Vazzana I., Agnello S., Randazzo V., Vicari D., Galuppo L., Percipalle M.
187
14
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA ZOPFII IN LATTE
MASTITICO IN PROVINCIA DI UDINE
Cocchi M., Di Giusto T., De Stefano P., Deotto S., Di Sopra G., Clapiz L., Genero N., Bregoli
M., Cammi G.
189
PRESENZA DEI GENI ICAA E ICAD E FORMAZIONE DEL BIOFILM IN CEPPI DI
STAPHYLOCOCCUS AUREUS DI ORIGINE ANIMALE
Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Di Sopra G., Bacchin C., Clapiz L., Genero N., Passera A.,
Bregoli M., Drigo I.
191
SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI E PRESENZA DELLA METICILLINO RESISTENZA IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA MASTITE BOVINA
Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Bacchin C., Clapiz L., Di Sopra G., Genero N., Bregoli M.,
Drigo I.
193
STUDIO SULLA VARIABILITÀ DEL GENE CAPRINO CCR5 E RUOLO SVOLTO NELLA
MODULAZIONE DELLA RESISTENZA ALLE LENTIVIROSI (CAEV)
Colussi S., Maniaci M.G., Bertolotti L., Profiti M., Bertuzzi S., Giovannini T., Modesto P.,
Quasso A., Sacchi P., Peletto S., Rosati S., Acutis P.L.
195
RIBOTIPIZZAZIONE DI CEPPI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS ISOLATI DA
MOZZARELLA
Consoli M., Losio M.N., Bertasi B., Panteghini C., Ferrari M., Mioni R., Decastelli L., Varisco G.
197
CARATTERISTICHE GENOTIPICHE DIFFERENTI IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS
AUREUS ISOLATI DA LATTE BOVINO PROVENIENTE DA DIVERSI ALLEVAMENTI
NEL CENTRO ITALIA
Coppola G., Casagrande Proietti P., Bietta A., Passamonti F., Marenzoni M.L, Coletti M.
199
ALLEVAMENTI SUINICOLI DELLA PROVINCIA DI CUNEO: INDAGINI DIAGNOSTICHE
IN ANIMALI CON SINTOMATOLOGIA NERVOSA
Corbellini D., Careddu M.E., Pautasso A., Sona B., Corona C., Varello K., Pintore M.D., Trisorio
S., Acutis P.L., Casalone C., Caramelli M., Iulini B.
201
NOSEMIASI DELLE API MELLIFERE IN TOSCANA E LAZIO: IMPORTANZA DELLA
CONSERVAZIONE DEI CAMPIONI AI FINI DI UNA CORRETTA DIAGNOSI
Corrias F., Tellini I., Ragona G., Lombardo A., Dal Prà A., Taccori F., Formato G., Brajon G.
203
MONITORAGGIO DELLA FAUNA SELVATICA NELLA PROVINCIA DI GENOVA
Cosma V., Scaffardi E., Migone L., Ferretti I., Aristarchi C., Tiso M., Schiavetti I.
205
RICERCA DI VTEC (E. COLI 0157 ED E. COLI O26) NELLA FILIERA LATTIERO CASEARIA
PUGLIESE: DATI PRELIMINARI
Crisetti E.,Cataleta A., Azzarito L., Chiocco D., La Salandra G.
206
VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULARE DI TOPI VACCINATI
CON BRUCELLA MELITENSIS REV1
Curina G., Paternesi B., Montagnoli C., Severi G., D’Avino N., Tentellini M., Nardini R. Forletta
R., Cagiola M.
208
ANTIBIOTICO RESISTENZA DI SPECIE BATTERICHE ISOLATE DA LATTE MASTITICO
IN SICILIA NELL’ANNO 2009
Currò V., Sutera A., Marineo S., Lipari L., Pisano P., Calato R., Altomare A., Martorana C.,
Vicari D.
211
DIAGNOSI
DI
ECHINOCOCCOSI
CISTICA
NEGLI
OVINI
MEDIANTE
IMMUNOBLOTTING
Dalmasso S., Rambozzi L., Molinar Min A.R., Martinez-Carrasco Pleite C., Rossi L.
213
15
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CHLAMYDIACEAE MEDIANTE TECNICHE
BIOMOLECOLARI IN ALLEVAMENTI SUINI DA RIPRODUZIONE DEL VENETO
de Mateo Aznar M., Belfanti I., Capello K., Natale A., Ceglie L.
215
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA
SHELF-LIFE DI INSALATA DI MARE
De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Daminelli P., Boni P.
217
INDAGINE SIEROEPIDEMIOLOGICA SULLA DIFFUSIONE DI ALCUNE PATOLOGIE
VIRALI NEI CINGHIALI IN SARDEGNA
Dei Giudici S., Demartis L., Chironi P., Sulas A., Ladu A., Sanna M.L., Rolesu S., Patta C.,
Oggiano A.
219
PROVE DI LISOGENIA CON VIRUS BATTERIOFAGI VETTORI DEL GENE STX2 IN CEPPI
ENTEROPATOGENI DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA ALIMENTI
Delle Donne G., Mancusi R., Trevisani M.
221
INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE DELLE PIROPLASMOSI EQUINE IN
LIGURIA
Dellepiane M., Arossa C.
223
PRESENZA DI CRYPTOCOCCUS SPP. NEI PICCIONI (COLUMBA LIVIA) DELLA CITTA’ DI
SAVONA
Dellepiane M., Arossa C., Lovesio M.
225
VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI DEL METODO DI IMMUNOFLUORESCENZA
INDIRETTA PER LA RICERCA DEGLI ANTICORPI ANTI-RICKETTSIA CONORII
NEI LABORATORI DELL’ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DEL
PIEMONTE, LIGURIA E VALLE D’AOSTA
Dellepiane M., Arossa C., Mignone W., Mandola M.L.
227
LA COLIBACILLOSI NEGLI ALLEVAMENTI CUNICOLI INTENSIVI DEL CENTRO
ITALIA: STUDIO SUL RILIEVO DI CEPPI ENTEROPATOGENI E PRESENZA DI
EVENTUALI FATTORI DI RISCHIO
Dettori A., Maresca C., Mangili P., Scoccia E., Sebastiani C., Magistrali C.
229
APPROCCIO DIAGNOSTICO AD UNA NEOPLASIA DIAFRAMMATICA DI CINGHIALE
(Sus scrofa)
Domenis L., Pepe E., Cimadomo V., Ratto A.
231
DISTRIBUZIONE DI SARCOCYSTIS SPP. NEGLI ORGANI BERSAGLIO (CUORE,
ESOFAGO E DIAFRAMMA) DI BOVINO
Domenis L., Guidetti C., Peletto S., Sacchi L., Genchi M., Clementi E., Felisari L., Felisari
C.,Mo P., Modesto P., Zuccon F.,Campanella C.,Acutis P.L.
233
TESTS ELISA DISPONIBILI PER LA DIAGNOSI SIEROLOGICA DELLA LEUCOSI
BOVINA ENZOOTICA: VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCES E DELLA USERFRIENDLINESS
Feliziani F., Bani A., Cavaliere N., Gamberale F., Gennero M.S., Marchi S., Natale A., Pezzoni G.,
Ruiu A., Vesco G., Vitelli F.
235
EPIDEMIOLOGIA MOLECOLARE DI SALMONELLA ENTERICA SIEROTIPO
DERBY ISOLATA NELLA REGIONE MARCHE DA FONTI UMANE, ALIMENTARI ED
AMBIENTALI.
Fisichella S., Staffolani M., Medici L., Dionisi A.M., Luzzi I.
237
FOCOLAI DI MALATTIE DELLE API DIAGNOSTICATI NELLE REGIONI LAZIO E
TOSCANA DAL 2004 AL PRIMO SEMESTRE 2010
Formato G., Cardeti G., Corrias F., Terracciano G., Ermenegildi A., Milito M.,
Cersini A., Antognetti V., Lavazza A., Piazza A., Zottola T., Brocherel G., Ragona G.,
Stefanelli S., Amaddeo D., Brajon G., Forletta R., Scholl F.
239
16
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CONFRONTO TRA LE PERFORMANCE DI TRE METODICHE ANALITICHE IN CLINICA
VETERINARIA
Fusari A., Quintavalla F., Ubaldi A.
241
ESECUZIONE DEL PROFILO MINERALE IN BOVINE DA LATTE CON UNA NUOVA
METODICA DRY CHEMISTRY
Fusari A., Quintavalla F., Ubaldi A.
243
L’AUTOMAZIONE DELLA PROVA DI SIERO AGGLUTINAZIONE RAPIDA (SAR-AG:RB)
NELLA DIAGNOSI DI BRUCELLOSI NEI PIANI DI RISANAMENTO IN REGIONE
CAMPANIA
Fusco G., Tamburro A., Sarnelli P., Napoletano M., Ferraro A., Guarino A.
245
SVILUPPO DI METODICHE BIOMOLECOLARI PER LA RICERCA DI PARASSITI IN
MATRICI VEGETALI
Fusini F., Maccabiani G., Bonometti E., Bertasi B., Losio M.N., Boni P.
247
VALUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ PROBIOTICA DEL FORMAGGIO SILTER DOP
Galuppini E., Peroni S., Giuradei F., D’Amico S., Panteghini C., Finazzi G., Losio M.N.
249
RESIDUI DI NITROFURANI NEGLI ALIMENTI: CONFRONTO TRA DUE TECNICHE
DI IONIZZAZIONE NELL’ANALISI LC-MS/MS E MONITORAGGIO NEL CONTROLLO
UFFICIALE
Giorgi A., Gennuso E., Marini F., Necci F., Barchi D., Spinaci L., Giannetti L.
251
ANALISI MICROBIOLOGICHE SU PRODOTTI ITTICI DISTRIBUITI DA MINIMARKET
“ETNICI”
Giorgi I., Serracca L., Pavoletti E., Terarolli A., Corsi M., Arsieni P., Saragaglia C.,
Ercolini C., Prearo M.
253
PRESENZA DI METALLI PESANTI IN PRODOTTI ITTICI DISTRIBUITI DA MINIMARKET
“ETNICI”
Giorgi I., Prearo M., Tarasco R., Palmegiano P., Pellegrino M., Gavinelli S., Pavoletti E.,
Fioravanti F., Abete M.C.
255
UTILIZZO DELL’ ESAME BATTERIOLOGICO QUALI-QUANTITATIVO QUALE
APPROFONDIMENTO DIAGNOSTICO DELLE INFEZIONI URINARIE DELLA SCROFA
Grattarola C., Bergagna S., Zoppi S., Dondo A., Pinto L., Bossotto T., Mei D., Tursi M.,
Bellino C., Cagnasso A.
257
PERFORMANCE DEL TEST ELISA PER ANTICORPI ANTI-MVS VALUTATE ATTRAVERSO
RING TEST
Grazioli S., Nassuato C., Brocchi E.
259
CONTROLLO CON METODO DI SCREENING ELISA COMPETITIVO DEL TENORE DI
MICOTOSSINE IN ALIMENTI PER USO ZOOTECNICO NELLA REGIONE SICILIA
Grippi F., Macaluso A., Olibrio F., Giangrosso I.E., Miceli A., Ruggeri F., Giangrosso G.,
Cicero A., Ferrantelli V.
261
IDENTIFICAZIONE DI LIEVITI RESPONSABILI DI ALTERAZIONI ROSA/ROSSO IN
FORMAGGI FRESCHI
Gualdi V., Benedetti V., Vezzoli F., Fiorentini L., Foni E., Rubini S., Luini M.
263
5 ANNI DI CONTROLLI ANTIDOPING SU EQUIDI NELLE MANIFESTAZIONI
STORICHE
Guaraldo P., Rosso A., Mogliotti P., Brusa F.
265
LA VALIDAZIONE SECONDARIA IN MICROBIOLOGIA DEGLI ALIMENTI
Guzzo S., Palleschi G., Sibilia L., Bugattella S., Spallucci V.
266
17
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ANALISI MULTIRESIDUALE DI RODENTICIDI ANTICOAGULANTI NELLE ESCHE
E NEL FEGATO
MEDIANTE CROMATOGRAFIA LIQUIDA E RIVELAZIONE
FLUORIMETRICA
Iammarino M., Haouet N., Lo Magro S., Nardiello D., Muscarella M.
268
RILIEVI CLINICI ANATOMOPATOLOGICI E DIAGNOSTICI IN CORSO DI INFEZIONE
SPERIMENTALE CON LO STIPITE DI PESTE SUINA AFRICANA KENYA/05
Iscaro C., Severi G., Marini C., Giammarioli M., De Mia G.M.
270
INCIDENZA DELL’AVVELENAMENTO DA METHOMYL NEI GATTI IN SICILIA NEL
TRIENNIO 2007-2009
Macaluso A., Grippi F., Vella A., Ruggeri R.F., Billone E., Cicero A., Giangrosso G.,
Ferrantelli V.
272
SICUREZZA ALIMENTARE E CONTROLLI SU MATRICI ALIMENTARI:
DETERMINAZIONE DI SULFAMIDICI E TRIMETHOPRIM NEL LATTE MEDIANTE
UHPLC-MS/MS CON ESI
Macaluso A., Fazzino S., Giaccone V., Spagnolo D., La Scala L., Cicero A., Giambona G.,
Giangrosso G., Ferrantelli V.
274
MONITORAGGIO ATTIVO PER FEBBRE Q IN OVI-CAPRINI TRANSUMANTI
Mandola ML., Bardelli M., Rizzo F., Potenza MP., Viganò R., Besozzi M., Luzzago C.
276
RUOLO DEL GENE SPRN (SHADOW OF THE PRION PROTEIN) NELLA SUSCETTIBILITA’/
RESISTENZA ALLA BSE BOVINA
Maniaci M.G, Colussi S., Leone P., Riina M.V., Stewart P., Goldmann W., Acutis P.L., Peletto S.
278
GLI ANTIBIOTICI NEI SOTTOPRODOTTI DELL’INDUSTRIA DELL’ETANOLO E DELLA
BORLANDA UTILIZZATI NEI MANGIMI: MONITORAGGIO PRESSO L’ASL CN 1
Marchis D., Amato G., Brizio G., Millone A., Abete M.C.
280
CONTAMINANTI AMBIENTALI IN PESCI DI ACQUA DOLCE: INDAGINE AMBIENTALE
NEL LAGO DI CORBARA 2007-2008
Maresca C., Agnetti F., Alunni S., Bibi R., Latini M., Scoccia E., Pecorelli I.
282
ANALISI DELLA RELAZIONE TRA PRODUZIONE DI LATTE E RILIEVO DI MASTITI
CAUSATE DALL’INFEZIONE DI ALCUNE SPECIE DI STAFILOCOCCHI COAGULASI
NEGATIVI IN OVINI SARDI
Marogna G., Pilo C., Barbato A., Fiori A., Schianchi G.
283
INFEZIONE MAMMARIA SPERIMENTALE CON STREPTOCOCCUS UBERIS IN PECORE
DI RAZZA SARDA:QUADRI CLINICI E CONSEGUENZE NELLA PRODUZIONE DI
LATTE
Marogna G., Pilo C., Fiori A., Schianchi G.
285
PIODERMITE MAMMARIA E MASTITE GANGRENOSA DA STAPHYLOCOCCUS AUREUS
IN UN GREGGE DI RAZZA SARDA: CORRELAZIONI E PROPAGAZIONE DI INFEZIONE
CLONALE
Marogna G., Piras M.G., Deidda S., Tola S., Schianchi G.
287
PREVALENZA DI ANTICORPI ANTI-HEV IN CINGHIALI
Martinelli N., Luppi A., Chiari M., Fontana R., Lombardi G.
289
VALUTAZIONE DELL’ANDAMENTO DEI VALORI EMATICI DI TESTOSTERONE NEL
SUINO DURANTE IL TRATTAMENTO CON IMPROVAC®
Martinelli N., Archetti I., Fois G., Scivoli R., Lombardi G.
291
LA PRESENZA DI LISINA AL CODONE 222 DELLA PROTEINA PRIONICA (PrP) CAPRINA
INTERFERISCE CON IL LEGAME DELL’ANTICORPO MONOCLONALE F99/97.6.1
Mazza M., Guglielmetti C., Colussi S., Martucci F., Peletto S., Lo Faro M., Pagano M.,
Ingravalle F., Acutis P. L.
293
18
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
TECNICHE PER LA RIMOZIONE DEL MATERIALE SPECIFICO A RISCHIO: RIDUZIONE
DEL RISCHIO BSE PER L’UOMO
Meloni D., Pitardi D., Maurella C., Ingravalle F., Di Vietro D., Nocilla L., Maldera O.,
Piscopo A., Pavoletti E., Negro M., Caramelli M., Bozzetta E.
296
TEST RAPIDI POST MORTEM PER LA SORVEGLIANZA ATTIVA DELLE TSE NELLE
CAPRE: PRESTAZIONI A CONFRONTO
Meloni D., Manzardo E., Loprevite D., Cavarretta M. C., Peletto S., Agrimi U., Colussi S.,
Acutis P.L., Ingravalle F., Bozzetta E.
298
TRACCIABILITÀ GENETICA DI QUATTRO RAZZE OVINE PIEMONTESI TRAMITE UN
PANNELLO DI 14 MICROSATELLITI
Modesto P., Fontanella E., Peletto S., Colussi S., Piatti P., Acutis P. L.
300
VARIABILITA’ GENETICA E GRADO DI INBREEDING IN DUE POPOLAZIONI DI LEPRE
EUROPEA (LEPUS EUROPAEUS) PRESENTI IN DUE AREE DI RIPOPOLAMENTO E
CATTURA DEL NORD ITALIA.
Modesto P., Colussi S., Cava P. L., Vidus Rosin A., Carolfi S., Meriggi A., Peletto S., Acutis P. L.
302
PCR PER PCV2 IN LINFONODI DI CINGHIALI (SUS SCROFA ssp. SCROFA) FISSATI IN
FORMALINA ED INCLUSI IN PARAFFINA (FFPE): VALUTAZIONE COMPARATIVA CON
I RISULTATI IMMUNOISTOCHIMICI
Morandi F., Panarese S., Verin R., Poli A., Ostanello F., Sarli G.
305
UN ATLANTE SULLA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI CULICIDI IN ITALIA COME
STRUMENTO PER LA SORVEGLIANZA DELLE ARBOVIROSI
Mughini Gras L., Busani L., Boccolini D., Severini F., Bongiorno G., Khoury C., Bianchi R.,
Romi R., Capelli G., Rezza G.
308
CASO DI SIEROPOSITIVITÀ DA BTV 8 IN UN LAMA ALLEVATO IN VALLE D’AOSTA
Navillod F.V., D’Ottavio M., Domenis L., Botti V., Robetto S.,Mancini M.,Mignone W.,Bertolla
A.,Ragionieri M.,Savini G.,Orusa R.,Guidetti C.
310
REAL TIME PCR PER LA RICERCA DI SALMONELLA SPP. IN CEPPI OTTENUTI DA
FAUNA SELVATICA
Navillod F.V., Botti V., Spedicato R., Pepe E., Domenis L.,Orusa R., Guidetti C.
312
SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO DI CONFERMA PER DIECI SULFAMIDICI
IN LATTE MEDIANTE HPLC – DAD
Olivo F., Dosio D., Franzoni M., Quattrocchio A., Gili M.
314
VANTAGGIO DEL RIVELATORE A TRIPLO QUADRUPOLO NELLA RICERCA DI
METABOLITI DEI NITROFURANI IN MUSCOLO E UOVA MEDIANTE LC-MS/MS
Olivo F., Gili M., Franzoni M., Quattrocchio A., Abete M.C.
316
VARIABILITÀ DEL GENE M IN STIPITI DI CORONAVIRUS DEL CANE CIRCOLANTI IN
PUGLIA E BASILICATA
Padalino I., Catanzariti R., Garramone L., Palazzo L., Cavaliere N., Parisi A., Decaro N.
318
CEPPI DI BRUCELLA CIRCOLANTI IN PROVINCIA DI POTENZA
Palazzo L., Quaranta V.
320
GENOTIPIZZAZIONE DI LISTERIA MONOCYTOGENES DI ISOLAMENTO UMANO,
ALIMENTARE ED AMBIENTALE MEDIANTE MULTI-LOCUS SEQUENCE TYPING
Parisi A, Miccolupo A., Latorre L., Mammina C., Cogoni M. P., Bilei S., Santagada G.
322
VALUTAZIONE CITOFLUORIMETRICA DELL’ESPRESSIONE DEL MARCATORE
CD90 DURANTE COLTURA ESTENSIVA DI CELLULE MESENCHIMALI STROMALI
MULTIPOTENTI DA TESSUTO ADIPOSO DI CAVALLO
Pascucci L., Ceccarelli P., Mercati F., Curina G., Dall’Aglio C., Paternesi B., Severi G., Marini C.
324
19
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DETERMINAZIONE DI PESTICIDI ORGANOCLORURATI IN PESCI SILURO (Silurus
glanis) PROVENIENTI DAL FIUME PO
Pavino D., Ottonello G., Tarchino F., Ferrari A.
326
IDENTIFICAZIONE E ANALISI FILOGENETICA DI UN PESTIVIRUS ATIPICO,
IZSPLV_To
Peletto S., Zuccon F., Pitti M., Gobbi E., De Marco L., Caramelli M., Masoero L., Acutis P. L.
327
PROVE DI REPLICAZIONE E TRASMISSIONE VIRALE RIFERITE AL CIRCOVIRUS
SUINO TIPO 2 (PCV2) IN COLTURE CELLULARI DI ORIGINE MURINA
Petrini S., Paniccià M., Fortunati M., Villa R., Gavaudan S., Silenzi V., Barchiesi F.,
Mancini P., Ferrari M.
329
APPLICAZIONE DI UN METODO IN MULTIPLEX REAL-TIME PCR PER
L’IDENTIFICAZIONE MOLECOLARE DI E. COLI O157: RISULTATI PRELIMINARI
Petruzzelli A., Amagliani G., Foglini M., Bartolini C., Omiccioli E., Agnetti F., Sola D.,
Brandi G., Tonucci F.
331
EVOLUZIONE DEL CONTROLLO ANALITICO DEGLI OGM:MESSA A PUNTO E
VALIDAZIONE DI METODI IN FAST PCR REAL-TIME
Pierboni E., Zampa S., Madeo L., Rondini C.
333
STUDIO DELLA MULTIRESISTENZA IN SALMONELLA ENTERICA ISOLATA DA MATRICI
ALIMENTARI
Proroga Y.T.R, Carullo M.R., Bove D., Guarino A., Capuano F.
335
DESCRIZIONE DI UN CASO DI SCHWANNOMA MALIGNO IN UN BOVINO
Puleio R., Monteverde V., Ratto A., Tamburello A., Loria G.R., Costa G., Sammarco A.,
Musicò M.
337
BLUETONGUE SIEROTIPO 8 NEI CERVI DEL PARCO REGIONALE DELLA MANDRIA
(PIEMONTE)
Radaelli M.C., Vitale N., Chiavacci L., Masoero L., Goria M., Ariello D., Pignata L, Savini G.
339
DIAGNOSI MOLECOLARE DI CHLAMYDOPHILA SPP, CARATTERIZZAZIONE DI
SPECIE PER PCR REAL TIME E SEQUENZIAMENTO IN CAMPIONI ANIMALI
Reale S., Vitale F., Villari S.,Gargano V.,Vesco G.
340
SVILUPPO DI UNA BANCA DI STIPITI MICROBICI DI ORIGINE ANIMALE
Rebechesu L., Fidalis M., Patta C., Pittau G., Manai R., Lollai S.
342
PARAMETRI IMMUNOLOGICI IN CAPRE SPERIMENTALMENTE INFETTATE CON
LENTIVIRUS DEI PICCOLI RUMINANTI, GENOTIPO E, STIPITE ROCCAVERANO
Reina R., Juganaru M.M., Profiti M., Cascio P., Cerruti F., Bertolotti L., De Meneghi D.,
Rosati S.
344
APPLICAZIONE DI UN METODO BIOMOLECOLARE PER LA RICERCA RAPIDA DI
YERSINIA ENTEROCOLITICA PATOGENA IN CARCASSE DI SUINI REGOLARMENTE
MACELLATI
Renzi F., Farneti S., Carfora V., Zicavo A., Bonanno S., Loschi A.R., Scuota S.
346
PRESENZA DI METALLI PESANTI IN SPIGOLE (Dicentrarchus labrax)
D’ALLEVAMENTO
Righetti M., Prearo M., Squadrone S., Tarasco R., Giorgi I., Leogrande M., Gavinelli S.,
Arsieni P., Abete M.C.
348
SVILUPPO DI UN METODO ANALITICO BASATO SULL’ANALISI DEL DNA PER IL
CONTROLLO DEL COMMERCIO ILLEGALE DI PELLICCE DI CANE E GATTO
Riina M.V., Maniaci M.G., Trisorio S., Colussi S., Modesto P., Giovannini T., Zuccon F.,
Peletto S., Acutis P.L.
350
20
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PRIMA SEGNALAZIONE IN PIEMONTE (ITALIA) DI INFEZIONE DA AVIAN POXVIRUS
IN CORNACCHIA GRIGIA (CORVUS CORONE CORNIX)
Robetto S., Domenis L., Marucci F., Rizzo F., Botticella G., Mandola M.L., Orusa R.
352
STUDIO RETROSPETTIVO SU CASI DI SINDROME EMORRAGICA NEL VITELLO
RIFERIBILI A “BOVINE NEONATAL PANCYTOPENIA”
Rosignoli C., Gelmetti D., Gibelli L., Lavazza A., Canelli E., Faccini S., Archetti I.,
Salogni C., Zanoni M.G., Boldini M., Vezzoli F., Arrigoni N., Fontana M.C., Merenda M.,
Nigrelli A.
354
INFEZIONE DA MYCOPLASMA HYOPNEUMONIAE: VALUTAZIONE DI UN METODO
IN REAL TIME PCR A PARTIRE DA CAMPIONI CLINICI
Rossi F., Goria M., Vitale N., Varello K., Angelillo M., Soncin A., Bozzetta E., Chiavacci L.,
Dondo A., Nappi R.
356
ANALISI GENOMICA E PROTEOMICA SU CEPPI DI S. AUREUS ISOLATI DA MASTITI
BOVINE
Rossini S., Cremonesi P., Benedetti V., Capra E., Castiglioni B., Pisoni G., Graber H., Luini M.
358
DATI PRELIMINARI SUL COMPORTAMENTO DI Bacillus cereus IN PRODOTTI DI
GASTRONOMIA
Ruggiero V., Oliverio E., De Nadai V., Finazzi G., Daminelli P., Boni P.
360
ASPETTI DI SICUREZZA ALIMENTARE RELATIVI ALLA CUCINA ETNICA:LA
RISTORAZIONE CINESE E “IL SUSHI”
Saccares S., Morena V., Condoleo R., Saccares Se., Marozzi S.
362
PROTEINE DI FASE ACUTA COME POSSIBILI MARKER DI STRESS CORRELATI
ALL’ESERCIZIO NEL CAVALLO ATLETA
Salamano G., Tarantola M., Badino P., Mellia E., Valle E., Bergero D., Fraccaro E.,
Gennero M.S., Doglione L., Odore R.
364
PREVALENZA DI CAMPIONI SIEROPOSITIVI PER LEISHMANIOSI CANINA
LAZIO (2005-2008),
Scarpulla M., Macrì G., Salvato L., Spallucci V., Aquilini E., Rombolà P.
366
NEL
PROTOTHECA SPP: INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE NELLA SICILIA
OCCIDENTALE E RELAZIONE FRA CELLULE SOMATICHE ED ISOLAMENTI IN
CAMPIONI DI LATTE BOVINO
Scatassa M.L., Miraglia V., Giosuè C., Briganò S., Randazzo V.,Carrozzo A., Ducato B., Fiorenza
G.,Mancuso I.,Caracappa S.
368
CONTAMINAZIONE DI POMODORI SECCHI DA VIRUS ENTERICI
Serracca L., Rossini I., Battistini R., Goria M., Sant S., De Montis G., Ercolini C.
370
ISOLAMENTO E CARATTERIZZAZIONE DI VIBRIO PATOGENI IN MUGILIDI
SELVATICI,
Serracca L., Prearo M., Ottaviani D., Battistini R., Rossini I., Imberciadori M., Giorgi I.,
Ercolini C.
372
UTILIZZO DI UNA METODICA ELISA, CON ANTICORPI MONOCLONALI, NELLA
DIAGNOSI SIEROLOGICA DELLA PESTE SUINA AFRICANA
Severi G., Pellegrini C., Iscaro C., Cesarini F., Marini C.
374
VALUTAZIONE DELL’EFFICACIA DI UN SISTEMA DI DECONTAMINAZIONE
AMBIENTALE CON PEROSSIDO DI IDROGENO STABILIZZATO: RISULTATI
PRELIMINARI
Severi G., Longo M., Ortenzi R., Canonico G., Casciari C., De Mia G.M., Cenci T.
376
21
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DIAGNOSI BIOMOLECOLARE DI PRRS E CARATTERIZZAZIONE DEL VIRUS:
APPLICAZIONI PRATICHE
Soncin A.R., Goria M., Monnier M., Rossi F., Barbieri I., Petruccelli G., Di Gregorio V.,
Perruchon M., Zoppi S., Dondo A.
378
IDENTIFICAZIONE E CARATTERIZZAZIONE BIOMOLECOLARE DI NEMATODI
ANISAKIDI IN SPECIE ITTICHE MARINE pescate nel NORD SARDEGNA
Tedde T., Piras M.C., Pinna C., Virgilio S., Terrosu G., Garippa G., Merella P.
380
INDAGINI ANATOMO-ISTOPATOLOGICHE, MICROBIOLOGICHE, PARASSITOLOGICHE
E SIERO-EPIDEMIOLOGICHE IN CETACEI SPIAGGIATI IN LIGURIA (2007-2010)
Tittarelli C., Casalone C., Pautasso A., Iulini B., Bozzetta E., Varello K., Pezzolato M., Grattarola
C.,Garibaldi F., Di Francesco C.E., Di Guardo G., Gustinelli A., Fioravanti M.L., Mignone W.
382
PRESENZA DI RETROVIRUS ENDOGENI (ERV) IN ALCUNE TIPOLOGIE DI LATTE
BOVINO DESTINATO AL CONSUMO UMANO
Torresi C., Bazzucchi M., Casciari C., Rossi E., Feliziani F.
384
SOPRAVVIVENZA DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS IN FORMAGGI INOCULATI CON
CEPPI DI LACTOCOCCUS LACTIS PRODUTTORI DI BATTERIOCINE: CASEIFICAZIONI
SPERIMENTALI
Traversa A., Bianchi DM., Dal Bello B., Cocolin L., Zeppa G., Decastelli L.
386
STAPHYLOCOCCUS AUREUS METICILLINORESISTENTE (MRSA) IN LATTE BOVINO
DI MASSA
Traversa A., Doglione L., Gennero M.S., Gramaglia M., Della Mutta M., Cavallerio P.,
Parlato C., Fossati L., Serra R., Decastelli L.
388
DIAGNOSI DIFFERENZIALE DI LESIONI GRANULOMATOSE IN UNA POPOLAZIONE
DI CEFALI (MUGIL CEPHALUS E LIZA AURATA) NEL MAR LIGURE
Varello K., Prearo M., Giorgi I., Serracca L., Audino V., Pezzolato M., Bozzetta E.
390
SCHEMA DI ACCREDITAMENTO FLESSIBILE APPLICATO ALLE ANALISI
BIOMOLECOLARI: ESPERIENZA DEL LABORATORIO OGM
Verginelli D., Quarchioni C., Bonini P., Fusco C., Peddis S., Misto M., Marchesi U., Gatto F.,
Paternò A., Ciabatti I., Amaddeo D.
392
BOVINE CLOSTRIDIOSIS: HYPERACUTE CLINICAL SYNDROME IN A SEMI-FREE
ROAMING SICILIAN HERD
Vicari D., Piraino C., Currò V., Martorana C., Palumbo P., D’Anna M., Chetta M.,Sparacino L.,
Caracappa S.
395
VALUTAZIONE DEI 5 ANNI DI ATTIVITA’ DEL PIANO DI CONTROLLO IBR IN VALLE
D’AOSTA
Vitale N., Massa M., Orusa R., Guidetti C., Russo A., Mancano A., Frosini F., Chiavacci L.
397
INTRODUZIONE ALLA SICUREZZA
Vitelli B.R., Severini S.
399
IL DNA COMET ASSAY NELLO SCREENING DI ALIMENTI IRRADIATI:DEFINIZIONE
DEI PARAMETRI UTILIZZABILI PER LA VALIDAZIONE DEL METODO
Zampa S., Haouet M.N., Curcio L., Pierboni E., Rondini C.
400
ANTIBIOTICO-RESISTENZA DI PATOGENI MASTITICI: STUDIO DELLE M.I.C.E
DELLA CORRELAZIONE TRA IL FENOTIPO RILEVATO ED IL PATTERN GENICO
Ziccheddu M. ,Manunta D. ,D’Ascenzo, V.,Patta C., Lollai S.
402
ANALISI MVLST DI ISOLATI DI LISTERIA MONOCYTOGENES PROVENIENTI DA
ALIMENTI A BASE DI CARNE
Zuccon F.,Suman E.,Modesto P.,Riina V.,Peletto S.,Decastelli L.,Fornasiero M.,Acutis P.L.
404
INDICE DEGLI AUTORI
407
22
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
24
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Letture plenarie,
comunicazioni orali
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
26
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
LE ATTIVITÀ DI BIOMONITORAGGIO: CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE AREE E RILEVANZA PER LA
SANITÀ PUBBLICA VETERINARIA.
Ru G., Desiato R.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte Liguria e Valle d’Aosta
Keywords: Biomonitoraggio, epidemiologia ambientale, sanità pubblica
A seguito del loro rilascio nell’ambiente i contaminanti
possono entrare nella catena alimentare attraverso piante e
animali ed essere trasferiti all’uomo con l’alimento. Uno degli
strumenti a disposizione per la valutazione dell’esposizione è il
biomonitoraggio, ovvero la misura sistematica e standardizzata
delle sostanze chimiche o dei loro metaboliti nei fluidi corporei
delle persone potenzialmente esposte (1). Tale misurazione
della dose interna può essere di difficile attuazione e implicare
problematiche etiche complesse. Misurazioni analoghe
possono essere rivolte alle popolazioni animali. In realtà nella
pratica quotidiana le analisi (previste nell’ambito delle attività
di controllo ufficiale derivanti dalla normativa comunitaria
o nazionale) sono eseguite prevalentemente sulle matrici
destinate ad essere consumate come alimenti: l’obiettivo
principale consiste nella verifica del rispetto dei limiti di
legge esistenti. Tali controlli, se opportunamente progettati
e indirizzati, potrebbero servire a caratterizzare, seppur
indirettamente, i rischi e a verificare l’efficacia delle misure
messe in atto. A questo scopo le competenze epidemiologiche
e biostatistiche possono essere utilizzate per impostare le
attività di sorveglianza epidemiologica e per interpretare
correttamente i dati raccolti.
Nella relazione si intende descrivere un’esperienza concreta
condotta in Piemonte (Bassa Val di Susa in provincia di Torino)
a seguito di alcuni episodi di contaminazione ambientale da
microinquinanti (diossine e policlorobifenili diossino-simili). Nel
caso dei microinquinanti, l’esposizione del bestiame avviene
per via alimentare e può derivare da sorgenti puntiformi di
inquinamento che coinvolgono i terreni circostanti e quindi i
foraggi da essi ottenuti (2). Il bersaglio appropriato dei controlli
è dato dagli animali che consumeranno tali foraggi e che a loro
volta serviranno alla produzione di alimenti potenzialmente
pericolosi per l’uomo.
I risultati analitici accumulati lungo alcune campagne successive
di controllo (tra il 2004 e il 2009) e relativi ad alimenti di origine
animale (latte e carne) sono serviti a integrare informazioni di
tipo ambientale e quelle sullo stato di salute della popolazione
residente.
Ai classici metodi dell’epidemiologia descrittiva sono state
associate tecniche più raffinate con l’obiettivo di descrivere
natura ed estensione dell’episodio di contaminazione: i dati
analitici dei contaminanti riscontrati sono stati utilizzati per la
caratterizzazione dei profili biochimici mentre l’integrazione
delle basi dati catastali e agrozootecniche e le tecniche di
analisi spaziale sono servite a simulare la distribuzione della
contaminazione sul territorio.
Il risultato più rilevante ottenuto per l’area di studio avvalora
l’ipotesi di un’unica sorgente comune e puntiforme di
inquinamento e di livelli di contaminazione di diossine e
policlorobifenili diossino-simili che tendono a ridursi con la
distanza. Una volta definite le caratteristiche del fenomeno,
la disponibilità dei dati relativi alle località di produzione del
foraggio ci sono servite per identificare le aziende zootecniche
sulle quali indirizzare in base al rischio l’ulteriore attività di
controllo.
L’applicabilità della nostra esperienza in Val di Susa ad altri
contesti territoriali deve comunque essere valutata caso per
caso: le vie di esposizione ai contaminanti possono essere
diverse da quella alimentare, l’approvvigionamento degli
alimenti zootecnici non sempre si basa sulla produzione diretta
e l’autoconsumo ma prevede scambi commerciali più o meno
complicati, l’accesso alle banche dati, quando disponibili,
spesso si scontra con rigidità burocratiche non semplici
da superare. Ciononostante l’approccio proposto e più in
generale la riflessione teorica in tema di sistemi di sentinelle
animali e di epidemiologia ambientale veterinaria ci sembrano
particolarmente promettenti sia per la valutazione del rischio
sia per gli interventi di prevenzione.
SUMMARY
As a tool of exposure assessment, biomonitoring may be used to
describe risks and verify the effectiveness of control measures.
Its application to animal population and animal products may
help handling complex situations of environmental pollution. A
case study of dioxins and dioxin-like compounds contamination
in a small Piedmont area is used to show the potential for the
application of local databases linking animal production with
polluted soils and pastures. Pros and cons of animal sentinels
analysis supports the value of environmental epidemiology in
veterinary medicine.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Budnik LT, Baur X. (2009) The assessment of environmental
and occupational exposure to hazardous substances by
biomonitoring. Dtsch Arztebl Int. 106(6):91-7
2. Committee on the Implications of Dioxin in the Food Supply.
(2003) Dioxins and Dioxin-like Compounds in the Food
Supply: Strategies to Decrease Exposure. The National
Academies Press.
27
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
MONITORAGGIO DELLA PRESENZA DI PCDD/Fs, DL PCBs, NDL PCBs E METALLI PESANTI
NEL PESCE DEI LAGHI DI MANTOVA.
Menotta S.1,D’Antonio M 1, Arvati M.3, Gallio A.3,Zaghini L.4, Puzzi C.5, Ippoliti A. 5, Salis E. 1,Nigrelli A 2, Fedrizzi G. 1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Chimico degli alimenti – Bologna, Bologna
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna - Sezione di Mantova, Mantova
3
Dipartimento Prevenzione Medica - ASL della Provincia di Mantova, Mantova
4
Dipartimento di Prevenzione Veterinaria - ASL della Provincia di Mantova, Mantova
5
Studio GRAIA – Gestione e Ricerca Ambientale Ittica Acque – Varano Borghi, Varese.
Keywords: Dioxins, Polychlorinated Biphenyls, Freshwater fish.
SUMMARY
During 2009 was carried out a monitoring plan about levels of
contaminations in fishes caught on two lakes of Mantova Region
(Lago Superiore and Lago Inferiore/Vallazza). 81 samples
of fish were analyzed for Dioxins (PCDD), Furans (PCDF),
Polychlorinated biphenyls (DL PCBs and NDL PCBs) and heavy
metals. Levels of PCDD/Fs, sum of PCDD/Fs + DL PCBs and
heavy metals was under the EU limits (Reg. (CE) n. 1881/2006)
in all samples, but in four samples levels of DL PCBs were up to
the limit imposed by Rec. 2006/88/CE. Silurus glanis and Abramis
brama were species most contaminated.
Le determinazioni analitiche sono state effettuate sul muscolo
privo di pelle come previsto dal Regolamento 1883/2006.
Predatori/Ittiofagi
Aspio
(Aspius aspius)
Luccio
(Esox lucius)
Lucioperca
(Sander lucioperca)
Persico reale
(Perca fluviatilis)
Persico trota
(Micropterus salmoides)
INTRODUZIONE
Le Diossine (PCDD), i Furani (PCDF) i Policlorobifenili Diossina
Like (DL PCB) ed i Policlorobifenili Non Diossina Like (NDL
PCB) sono contaminanti ambientali ubiquitari. A causa della loro
persistenza nell’ambiente sono soggetti a fenomeni di bioaccumulo
e biomagnificazione lungo la catena trofica. L’esposizione umana
a questi contaminanti è possibile attraverso varie vie, ma la via
di esposizione principale è la via alimentare. Il consumo da parte
dell’uomo di pesci e di prodotti della pesca provenienti da aree
contaminate può sicuramente rappresentare un grosso fattore di
rischio (4). Scopo del lavoro è stato quello di monitorare i livelli
di contaminazione dei pesci pescati nei Laghi di Mantova per la
tutela della sicurezza alimentare del consumatore di prodotti della
pesca provenienti dal Lago Superiore e dal Lago Inferiore al limite
con la Vallazza.
N°
6
2
10
4
8
Onnivori/Erbivori
Abramide
(Abramis brama)
Blicca
(Blicca bjoerkna)
Carassio
(Carassius
carassius)
Carpa
(Cyprinus carpio)
Gardon
(Rutilus rutilus)
N°
5
4
9
11
9
Siluro
(Silurus glanis)
11
Persico sole
(Lepomis gibbosus)
2
TOTALE
41
TOTALE
40
Tabella 1: specie ittiche catturate.
La preparazione del campione è stata effettuata secondo le
metodiche previste dal Regolamento 1883/2006: “il tessuto
muscolare deve essere prelevato avendo cura di eliminare la
pelle; occorre inoltre raschiare accuratamente e completamente
tutti i resti di muscolo e grasso attaccati alla parte interna della
pelle e aggiungerli al campione da analizzare”.
Dopo omogeneizzazione, il campione è stato sottoposto a
liofilizzazione mediante Freeze Dryer Delta 2-24 LSC (Christ,
Germany). Prima dell’estrazione, ai campioni sono stati
aggiunti gli standard interni di estrazione costituiti da 15 PCDD/
Fs 2,3,7,8-sostituiti marcati con il 13C12 (Cambridge Isotope
Laboratories USA) e 12 DL PCBs marcati con 13C12 (Cambridge
IsotopeLaboratories USA). La frazione lipidica è stata estratta
mediante l’estrattore ASE (Accelerated Solvent Extraction). Il
solvente di estrazione era il toluene e la frazione lipidica è stata
estratta mediante due cicli di estrazione a 135°C. Il volume
dell’estratto è stato poi ridotto mediante Rotavapor. La frazione
lipidica è stata soggetta in seguito a purificazione acida mediante
colonne antropogeniche costituite da una colonna in vetro per
separazione cromatografica (300 mmx25 mm) impaccate dalla
base verso l’alto con uno strato di sodio solfato anidro, gel di
silica, polvere Extrelut bagnato con acido solforico, gel di silica
e sodio solfato anidro. Le colonne sono state eluite con n-esano.
L’eluato è stato poi concentrato in corrente d’azoto e sottoposto
a purificazione automatica mediante Power-Prep system (FMS
USA) su colonna multistrato (allumina, silica e carbone). I composti
target vengono adsorbiti dalla colonna di allumina ed in seguito
eluiti da questa e fissati nella colonna di carbone mediante una
soluzione di n-esano: diclorometano (1:1). La colonna di carbone
è stata in seguito retro lavata con toluene per eluire PCDD/Fs e
DL-PCBs che sono stati successivamente raccolti in due diversi
tubi da evaporazione. Gli eluati sono stati poi portati e secco in
MATERIALI E METODI
Il prelievo dei campioni dai Laghi è stato effettuato nel mese
di ottobre 2009 mediante l’uso di reti e di elettropesca da
imbarcazione. Queste due tipologie di pesca hanno permesso la
cattura di pesci di taglia, specie ed età differenti, in modo tale che il
campione fosse rappresentativo dell’ittiofauna presente nei Laghi.
Sugli esemplari campionati sono stati eseguiti il riconoscimento di
specie, la misurazione della lunghezza totale e la misurazione
del peso. In seguito, mediantela stima della velocità di crescita
lineare delle specie catturate è stata stimata la classe d’età di
appartenenza dei soggetti pescati.
Inoltre le specie pescate sono state suddivise in categorie in base
alle abitudini alimentari (erbivori, onnivori, predatori, bentofagi
o fitofagi). In totale sono stati prelevati 81 campioni di pesci
appartenenti a diverse specie ittiche (Vedi Tabella 1).
I campioni sono stati sottoposti ad analisi per la determinazione di
PCDD/Fs, DL PCBs e NDL PCBs e di metalli pesanti. Le analisi di
PCDD/Fs, DL PCBs e NDL PCBs, in conformità al Regolamento
1883/2006 che stabilisce i metodi di campionamento e di analisi
per il controllo ufficiale dei livelli di PCDD/Fs e DL PCBs in
alcuni prodotti alimentari, sono state effettuate mediante HRGC/
HRMS con il metodo EPA 1613 Rev. B October 1994 per la
determinazione di 17 congeneri di 2,3,7,8-sostituiti di PCDD/Fs (1)
e con il metodo EPA 1668 B November 2008 per la determinazione
di 12 congeneri di DL PCBs e di 6 congeneri di NDL-PCBs (PCBs
indicatori: PCB 28, 52, 101, 153, 138, 180) (2).
28
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
corrente d’azoto. Le frazioni contenenti PCDD/Fs e PCBs (DL
e NDL) sono state poi riprese mediante l’uso di una soluzione
contenente specifici standard di iniezione. La determinazione di
PCDD/Fs e PCBs è stata eseguita mediante gascromatografia
ad alta risoluzione (HRGC Hewlett Packard 6890 Plus - Agilent
Technologies USA) accoppiata a spettrometria di massa ad alta
risoluzione (Micromass Autospec Ultima Waters USA) mediante
tracing M+, (M+2)+. PCDD/Fs e DL-PCBs sono stati analizzati
utilizzando una colonna DB5MS (J&W Agilent Technologies,
USA), 60m×0.25mm. Il gas di trasporto era l’Elio. Lo spettrometro
di massa operava sopra 10000 di risoluzione e l’acquisizione dei
dati è stata ottenuta mediante selected ion monitoring (SIM).
L’analisi dei metalli pesanti (Piombo, Cadmio, Cromo e Mercurio)
prevede una fase di mineralizzazione per via umida mediante
acido nitrico concentrato 70% mediante sistema a bagnomaria a
secco. I campioni mineralizzati sono stati opportunamente diluiti ed
analizzati mediante spettroscopia di assorbimento atomico (AAS).
RISULTATI
Tutti i campioni analizzati sono risultati inferiori ai livelli massimi
di PCDD/Fs e somma di PCDD/Fs + DL PCBs imposti dal
Regolamento (CE) n.1881/2006 per “Muscolo di pesce e prodotti
della pesca, nonché loro derivati, ad eccezione dell’anguilla” (4,0
pg WHO TEQ/gr di peso fresco per i PCDD/Fs, e 8,0 pg WHO
TEQ/gr di peso fresco la somma di PCDD/Fs + DL PCBs). Le
concentrazioni maggiori sono state riscontrate in due esemplari di
siluro di grosse dimensioni pescati uno nel Lago Superiore ed uno
nel Lago Inferiore/Vallazza (rispettivamente 7,98 pg WHO TEQ/
gr di peso fresco per somma di PCDD/Fs + DL PCBs e 7,58 pg
WHO TEQ/gr di peso fresco per somma di PCDD/Fs + DL PCBs).
La concentrazione media per la somma di PCDD/Fs + DL PCBs
era di 1,45 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco (range 0,54-7,98 pg
WHO TEQ/ gr di peso fresco). Per quanto riguarda i PCDD/Fs
la concentrazione media era di 0,17 pg WHO TEQ/ gr di peso
fresco (range 0,05-1,24 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco). In tutti
i casi i valori sono risultati inferiori sia ai limiti massimi previsti dal
Regolamento (CE) n. 1881/2006 che ai livelli di azione previsti
dalla Raccomandazione 2006/88/CE. Per i DL PCBs, invece,
la concentrazione media era di 1,28 pg WHO TEQ/ gr di peso
fresco (range 0,49 – 6,97 pg WHO TEQ/ gr di peso fresco). In
quattro casi (un Siluro del Lago Superiore, un Siluro, un Abramide
ed una Carpa del Lago Inferiore/Vallazza) le concentrazioni
riscontrate risultavano superiori ai livelli di attenzione imposti dalla
Raccomandazione 2006/88/CE per i DL PCBs (3,0 pg WHO TEQ/
gr di peso fresco). Le concentrazioni di NDL PCBs (sei congeneri)
presentavano una media di 21,9 ng/gr di peso fresco (range <786,9 ng/gr. di peso fresco). La concentrazione maggiore è stata
registrata in una carpa pescata nel Lago Superiore. Per quanto
riguarda invece i metalli pesanti, tutti i campioni sono risultati
inferiori ai limiti imposti dal Regolamento (CE) n° 1881/2006
come modificato dal Regolamento (CE) n. 629/2008. Il Piombo
è risultato inferiore al limite di quantificazione previsto dal metodo
analitico (LOQ=0,010 mg/Kg) in tutti i casi tranne che in un Gardon
pescato nel Lago Superiore (0,48 mg/Kg); il Cadmio invece è
risultato inferiore al limite di quantificazione previsto dal metodo di
analisi (LOQ= 0,005 mg/Kg) in tutti i campioni analizzati. Il livello
medio di Cromo era di 0,07 mg/Kg (range <LOQ- 0.32 mg/Kg); il
valore più elevato è stato riscontrato in un Siluro pescato nel Lago
Superiore. Il livello medio di Mercurio era di 0,08 mg/Kg (range
<LOQ-0,4 mg/Kg); il valore più elevato è stato riscontrato in un
persico trota pescato nel Lago Inferiore/Vallazza.
DISCUSSIONE
I risultati di questo monitoraggio indicano come tutti i campioni
analizzati presentino valori di microcontaminanti ambientali
(PCDD/Fs, DL PCBs, NDL PCBs e metalli pesanti) inferiori ai limiti
previsti dalla Normativa vigente (Regolamento (CE) n. 1881/2206
e successive modifiche).
Dal monitoraggio emerge come il Siluro e l’Abramide siano le
specie maggiormente contaminate. Per quanto riguarda il Siluro,
il livello medio di contaminazione da PCDD/Fs era pari a 0,25 pg
WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,05-1,24 pg WHO-TEQ/gr di
peso fresco); il livello medio di DL PCBs era 1,72 pg WHO-TEQ/gr
di peso fresco (range 0,49-6,73 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco)
ed il livello medio per la somma di PCDD/Fs + DL PCBs era 1,98
pg WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,54-7,98 pg WHO-TEQ/
gr di peso fresco). Nel caso del siluro sono stati riscontrati i valori
più alti per DL PCBs e per somma PCDD/Fs + DL PCBs rispetto
a tutti i campioni analizzati. Questi risultati sembrano correlabili
sia alle abitudini alimentari di questa specie ittica che all’habitat.
Infatti la dieta del siluro è molto varia, comprende sia elementi
vegetali, sia animali e detrito organico. Nell’alimentazione dei
giovani prevalgono gli invertebrati alghe e macrofite acquatiche.
Gli adulti invece si nutrono di pesci di ogni genere e dimensione,
anfibi, uccelli acquatici, mammiferi roditori, crostacei decapodi,
anellidi e larve d’insetti. Inoltre questa specie predilige la zona del
fondo dei laghi e dei fiumi, dove durante il giorno rimane nascosto
nel fango. Per quanto riguarda invece l’Abramide, il livello medio
di contaminazione da PCDD/Fs era pari a 0,25 pg WHO-TEQ/
gr di peso fresco (range 0,05-0,56 pg WHO-TEQ/gr di peso
fresco); il livello medio di DL PCBs era 2,1 pg WHO-TEQ/gr di
peso fresco (range 0,58-4,53 pg WHO-TEQ/gr di peso fresco) ed
il livello medio per la somma di PCDD/Fs + DL PCBs era 2,36 pg
WHO-TEQ/gr di peso fresco (range 0,67-3,13 pg WHO-TEQ/gr
di peso fresco). Anche in questo caso i valori riscontrati appaiono
correlabili all’alimentazione e all’habitat di questa specie. Infatti
l’Abramide si ciba principalmente di larve di insetti (soprattutto
chironomidi), anellidi, crostacei e piccoli molluschi e anch’esso
predilige le zone di fondo di laghi e fiumi. Numerosi studi indicano
come i pesci onnivori o predatori ed i pesci che si alimentano
sui fondali siano esposti ad un maggior rischio di accumulo per i
microinquinanti ambientali (3). Per quanto riguarda invece le aree
di pesca, non sembrano esserci differenze significative tra i due
Laghi (Lago Superiore e Lago Inferiore/Vallazza), nonostante il
Lago Inferiore sia interessato dal Polo Chimico.
CONCLUSIONI
Il monitoraggio ha evidenziato come, nonostante tutti i campioni
analizzati non presentino valori superiori ai limiti previsti dalla
normativa vigente, in 4 casi è stato evidenziato il superamento dei
livelli di attenzione previsti dalla Raccomandazione 2006/88/CE
e quindi una presenza di PCBs non riconducibile ai normali livelli
basali di contaminazione. Alla luce di questo si ritiene cautelativo
mantenere l’attuale divieto di consumo del pesce pescati nei
Laghi di Mantova. Si ritiene inoltre auspicabile ripetere l’indagine
con cadenza triennale valutando anche la stagionalità. Infatti
numerosi studi indicano come la percentuale corporea di grassi
vari nel pesce durante il periodo riproduttivo e peri-riproduttivo,
influenzando quindi l’accumulo di contaminanti liposolubili come i
PCBs: sarebbe quindi interessante valutare anche l’aspetto della
stagionalità.
BIBLIOGRAFIA
1)EPA 1613 US Environmental Protection Agency Office of
Water Engineering and Analysis Division “Tetra-through OctaChlorinated Dioxins and Furans by Isotope Diluition HRGC/
HRMS”: Method 1613 Rev B October 1994
2) EPA 1668“Chlorinated biphenyl congeners in water, soil,
sediment biosolids and tissue by HRGC/HRMS” Method 1668
Rev B November 2008 US Environmental Protection Agency
Office of Water Engineering and Analysis Division
3) Roeder R.A., Garber M.J., Schelling G.T. (1998): “
Assessment of dioxins in foods from animal origins”. Journal of
Animal Science 76 (2006) 142-151.
4) US Environmental Protection Agency: “Great Lake Monitoring:
contaminants in top predator fish”. www.epa.gov
29
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RICERCA DI SAPOVIRUS E NOROVIRUS IN CAMPIONI AMBIENTALI
NELLE CITTÀ DI PALERMO E NAPOLI
Di Bartolo I. 1, Battistone A.2, Ponterio E. 1, Fiore L. 2, Ruggeri F.M.1
1
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare, Istituto Superiore di Sanità, Roma.
2
Centro Nazionale per la Ricerca e il Controllo dei Prodotti Immunobiologici, Istituto Superiore di Sanità, Roma
SaV). Le infezioni causate dai NoV sono spesso associate
a focolai epidemici che coinvolgono un ampio numero
di persone. Dall’analisi filogenetica delle sequenze della
ORF2, i NoV vengono suddivisi in 5 genogruppi (GG): i
virus appartenenti al GGI, GGII e GIV (quest’ultimo poco
frequente) sono stati individuati nell’uomo, il GGIII è stato
riscontrato solo nei bovini e il GV nel topo (1). Per i SaV
la classificazione è altrettanto complessa, includendo 5
genogruppi, di cui GI, II, IV e V infettano l’uomo e il GIII il
suino (2). Non sono stati ancora sviluppati sistemi di coltura
in vitro per questi virus, ad eccezione di un ceppo suino di
Sapovirus (PEC-Cowden). Conseguentemente, la diagnosi
di infezione virale si basa sull’identificazione dell’RNA virale
mediante metodi di biologia molecolare.
Durante il 2009, 61 campioni di liquami raccolti prima
dell’ingresso ai depuratori nelle città di Napoli e Palermo
nell’ambito della sorveglianza ambientale dei Poliovirus e
altri Enterovirus, sono stati analizzati anche per la ricerca
di SaV e NoV.
SUMMARY
In the last years, an increasing role of RNA viruses as cause
of gastroenteritis has been established, mainly due to novel
molecular detection approaches that counteract the lack
of cell culture systems for in vitro replication of some of
these viruses. In particular, Norovirus (NoV) and Sapovirus
(SaV) are now universally considered as emerging enteric
pathogens involved in a majority of acute gastroenteritis
(AGE) cases worldwide. These Caliviruses cause sporadic
AGE in adults (NoV) and children (NoV and SaV), and large
international outbreaks (mostly caused by NoV). NoV and
SaV are ubiquitous, highly contagious, highly persistent
in the environment, and resistant to decontamination
treatments. Food- and water-borne transmission plays an
important role in viral spreading, in addition to shedding with
stools by individuals with acute or chronic infections and by
apparently healthy subjects. In Italy, a clear picture of the
prevalence of these viruses is missing.
In this work, we investigated the occurrence and seasonal
frequency of Norovirus and Sapovirus in sewage samples
from wastewater treatment plants (61 samples) of Naples
and Palermo, collected from January to November 2009.
Detection of NoVs and SaVs was carried out by molecular
methods harmonized at European level (FBVE). The
reverse-transcription PCR results were further confirmed
by sequencing, and comparative phylogenetic analysis was
also performed. RNA of human Norovirus was identified
in 37/61 samples analyzed. In addition, 39 out of 61
samples were also analyzed for Sapovirus. Twelve samples
resulted positive for both viruses and 3 positive only for
SaV. Sequence analysis confirmed detection of Norovirus
belonging to genogroups I, II and IV, some of which are not
usually detected among clinical strains. All Sapovirus strains
detected in this study belonged to GI.2, which is the strain
most commonly detected in Europe, and is also associated
with occurrence of outbreaks. To date, no previous data
were available on Sapovirus in Italy.
Frequent detection of viral RNA, whether infectious or not,
in the exit effluent of sewage treatment plants indicates
wide dispersion of enteric viruses in the environment.
Consequently, viral contamination resulting from the use of
these treated waters is a risk that needs to be considered.
MATERIALI E METODI
Il piano di campionamento di liquami presso i depuratori
di Napoli e Palermo, basato sulle linee guida dell’OMS,
prevede il prelievo di 4 campioni mensili prima dell’ingresso
nell’impianto.
I campioni di liquami raccolti (50 ml) sono stati concentrati
mediante ultracentrifugazione (100X) e l’RNA totale è
stato estratto utilizzando il kit RNeasy Mini Kit (Qiagen) e
analizzato mediante trascrizione inversa e PCR (RT-PCR)
utilizzando il SuperScript® One-Step RT-PCR System with
Platinum® Taq DNA (Invitrogen). L’RT-PCR è stata condotta
utilizzando primer degenerati che appaiano nel gene
codificante per la proteina del capside virale. In particolare
per Sapovirus la coppia di primer SV5317-SV5749 che
amplifica un frammento di 500bp (3). Per Norovirus sono
state utilizzate due coppie di primer G1SKF/G1SKR e
G2SKF/G2SKR (4), che amplificano un frammento di 310bp
della regione capsidica di ceppi appartenenti al GI e al GII,
rispettivamente. Per valutare la presenza di eventuali inibitori
di PCR negli RNA estratti, tutti i campioni negativi sono stati
analizzati in un secondo test previa contaminazione con un
RNA positivo di controllo.
Quando la quantità di DNA ottenuta era sufficiente, gli
amplificati ottenuti sono stati sequenziati
utilizzando
ABI PRISM BigDye Terminator kit version 2.0 (Applied
Biosystems); le sequenze sono state analizzate con il
software DNASIS Max 2.0 (Hitachi) e il dendogramma
è stato costruito con il software Bionumerics software
packages (v 6.6, Applied Maths, Kortrijk, Belgium) con il
metodo UPGMA.
INTRODUZIONE
I Norovirus (NoV) e i Sapovirus (SaV) sono virus enterici
appartenenti alla famiglia dei Caliciviridae, virus privi di
envelope con genoma a RNA a polarità positiva (7.2-7.7 kb)
composto da due o tre open reading frame (ORF). La ORF1
codifica per le proteine non strutturali; la VP1 (codificata
dalla ORF2 nei NoV e dalla ORF1 nei SaV) è la proteina
strutturale principale, che sotto forma di 90 dimeri costituisce
il capside virale, e la ORF3 produce una proteina a cui non
è stata ancora attribuita una chiara funzione. Nell’uomo, i
NoV e i SaV causano sintomatologia gastroenterica (GE)
nell’adulto (NoV) e nei bambini al di sotto dei 5 anni (NoV e
RISULTATI
Tra gennaio e novembre del 2009, sono stati prelevati 61
campioni di liquami, provenienti dai depuratori di Napoli
30
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
e Palermo. I campioni sono stati prelevati prima di essere
trattati nei depuratori. Dall’analisi dei campioni condotta
mediante RT-PCR, 37 campioni sono risultati positivi
per la presenza di RNA virale di Norovirus (30.6%), sia
appartenente al genogruppo GI (17 campioni) che al GII (34
campioni), evidenziando la co-circolazione di più genogruppi.
L’analisi della distribuzione annuale di NoV GI e GII ha
mostrato una presenza piuttosto costante del virus, con un
incremento di prevalenza legato ad una maggiore presenza
di ceppi appartenenti al gruppo GII nei primi mesi dell’anno
(fig. 1). I campioni positivi sono stati sottoposti ad analisi
di sequenza, che ha rilevato la presenza di: 5 genotipi GII
specificamente GII.406b (n°3 campioni), GII.Karachi (n°2),
GII.6 (n°1), GII.7 (n°1) e GII.1W (n°1); un unico genotipo GI,
GI.4 (n°9); 5 ceppi GIV.1 (fig. 2).
Figura 2. Dendogramma dei ceppi di Sapovirus sequenziati
in questo studio (indicati da *).
DISCUSSIONE
In questo lavoro campioni di liquami raccolti prima della
depurazione, durante il 2009, sono stati analizzati per
la ricerca di Norovirus e Sapovirus. I risultati hanno
evidenziato l’ampia circolazione di questi virus e la loro
elevata variabilità genetica. Molti ceppi di NoV identificati
sono stati associati anche all’insorgenza di epidemie di GE
sempre su territorio italiano. Fanno eccezione i ceppi GIV.1
che, sebbene identificati in diversi campioni, non sono mai
stati accertati in pazienti e sono in genere poco frequenti
nell’uomo. Questa diversa distribuzione ambiente-uomo
può far pensare che alcuni ceppi, per quanto poco infettivi,
abbiano una più elevata resistenza nell’ambiente, nel quale
vengono facilmente rilevati. Va considerato che, in aggiunta
a virus associati a GE, nei liquami si riversano anche virus
rilasciati da soggetti asintomatici.
In questo lavoro vengono identificati per la prima volta ceppi
di Sapovirus umani, ad oggi mai descritti in bambini affetti
da GE in Italia. L’unico ceppo identificato, di genotipo GI.2, è
stato recentemente associato all’insorgenza di epidemie di
GE in adulti in diversi paesi Europei. Questo suggerisce che
il SaV GI.2 possa rappresentare un ceppo emergente dotato
di maggiore virulenza.
Figura 1 Distribuzione mensile di Norovirus nei liquami,
durante l’anno 2009 (sinistra,) e dei genogruppi GI e GII.
REFERENZE
1. Patel MM, Hall AJ, Vinjé J, Parashar UD. (2009).
Noroviruses: a comprehensive review. J Clin Virol. 2009
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2. Hansman, G.S., H. Saito, C. Shibata, S. Ishizuka,
M. Oseto, T. Oka, and N. Takeda. (2007). Outbreak of
gastroenteritis due to sapovirus. J. Clin. Microbio. 45:13471349.
Figura 2. Dendogramma dei ceppi di Norovirus sequenziati
in questo studio (indicati da ♦) e dei ceppi umani presenti in
GenBank (Numero di Accesso).
Trentanove campioni di liquami sono stati analizzati
mediante RT-PCR per la ricerca di Sapovirus, e 15 sono
risultati positivi per la presenza di genoma virale (15/39,
38.5%). La distribuzione annuale ha evidenziato che i ceppi
circolano in maniera omogenea durante tutto l’anno, con
una lieve flessione nei mesi di ottobre e novembre 2009.
Per 10 campioni è stato possibile effettuare la sequenza
nucleotidica, che è stata confrontata con altri ceppi disponibili
nella banca dati NCBI. I risultati hanno confermato la
presenza del solo genotipo di Sapovirus umano GI.2. Tutti i
ceppi identificati presentavano un’omologia di sequenza del
99-100% (fig. 3).
3. Hansman GS, Katayama K, Maneekarn N, Peerakome
S, Khamrin P, Tonusin S, Okitsu S,Nishio O, Takeda
N, Ushijima H. (2004). Genetic diversity of norovirus and
sapovirus in hospitalized infants with sporadic cases of acute
gastroenteritis in Chiang Mai, Thailand. J Clin Microbiol.
42(3):1305-7.
4. Kojima S, Kageyama T, Fukushi S, Hoshino FB,
ShinoharaM, Uchida K, Natori K, Takeda N, KatayamaK.
(2002). Genogroup-specific PCR primers for detection of
Norwalk-like viruses. J Virol Methods, 100:107–114.
31
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
L’ESAME ISTOLOGICO PER IL CONTROLLO DELL’USO ILLEGALE DEL
17β ESTRADIOLO NELLA SPECIE OVINA.
Puleio R.¹, Giambruno P.², Giardina G.², Tamburello A.¹, Usticano A.¹, Pezzolato M.³, Bozzetta E.³, Loria G.R.¹
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, ² AUSL 6 Palermo-Dipartimento di prevenzione Veterinaria, ³ Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta
Key words: 17β estradiol, immunohistochemistry, sheep
SUMMARY
Aim of the study was to establish a new integrated diagnostic
approach in order to develop screening tools against illegal
hormonal treatments in small ruminants livestock production.
We carried out an histological study, reliable in terms of
accuracy and efficacy, in order to set up a screening test to
detect oestrogen related lesions. In our study we characterized
the histological modification induced in target organs by 17β
estradiol in 4 months aged lambs and compared them with that
described in cattle.
degli animali impiegati per fini sperimentali o altri scopi scientifici,
recepita in Italia nel D.Lgs n° 116 del 27 gennaio 1992. 54
agnelli sono stati allevati insieme per 60 giorni, sino all’età di
110 giorni, quindi sono stati divisi in due gruppi omogenei per
sesso (maschi), peso vivo e accrescimento medio giornaliero
relativamente all’ultimo mese. Ciascun gruppo, costituito da
27 animali, è stato stabulato in un box munito di mangiatoie,
rastrelliere per il fieno ed abbeveratoio. E’ stato adottato il
fotoperiodo naturale. Dopo 60 giorni di stabulazione, gli agnelli
del gruppo sperimentale (T), sono stati trattati con 17β estradiolovalerato per via intramuscolare, somministrando, con cadenza
settimanale, n. 4 dosi di 0,5 ml di soluzione oleosa di Estradiol
depot® in ragione di 5mg/settimana; agli agnelli del gruppo
controllo(C) è stata inoculata una soluzione placebo. A fine
prova, gli agnelli sono stati pesati, tenuti a digiuno e trasportati
al macello, dove sono stati prelevati gli organi bersaglio:
porzione disseminata della prostata e ghiandole bulbo-uretrali.
Tutti gli organi sono stati fissati in formalina tamponata al 10%.
Dopo processazione (passaggi in serie crescenti e decrescenti
di alcool), veniva effettuata l’inclusione in paraffina, taglio e
colorazione in Ematossilina-Eosina.
Immunoistochimica(IHC).
L’Immunoistochimica ha previsto l’allestimento di vetrini
polilisinati, sottoposti a reidratazione, attraverso passaggi in
scala alcolica decrescente, blocco delle perossidasi endogene,
eseguita ricoprendo le sezioni con una soluzione di perossido
d’idrogeno al 3% in metanolo, smascheramento antigenico
effettuato con forno a microonde (due cicli a 750W per 5 minuti),
in tampone citrato pH 6. Gli anticorpi (AB) primari utilizzati, sono
stati: citocheratina 5/6 (Dako®, clone D5/16 B4, monoclonale di
topo, cod. M7237), recettore del progesterone (PR) (Sigma®,
monoclonale di topo, cod. P 3367). La diluizione utilizzata è
stata di 1:100 per la citocheratina 5 e di 1:250 per PR. L’AB
primario è stato incubato a temperatura di 4°C per l’intera
notte. Come controllo negativo è stato utilizzata una sezione in
cui l’uso dell’AB primario veniva sostituito con PBS. Le prove
immunoistochimiche sono state eseguite mediante il metodo
avidina-biotina-perossidasi (LSAB Dako®), utilizzando come
cromogeno la DAB (diaminobenzidina tetraidrocloruro) (De
Maria 2009, Groot 2007).
INTRODUZIONE
L’attuale quadro normativo comunitario e nazionale vieta l’utilizzo
di sostanze anabolizzanti nel settore zootecnico (D.lgs 336/99 recepimento direttiva 96/22/CE del 26 aprile 1996) demandando
ai Servizi di Sanità Pubblica Veterinaria il controllo ufficiale sulla
presenza di residui indesiderati negli animali allevati e nelle loro
produzioni.
In particolare, relativamente al 17β estradiolo, la Direttiva
2008/97 CE ribadisce il divieto totale dell’utilizzo della molecola
negli animali in produzione.
Il controllo ufficiale per l’individuazione dei residui di sostanze
utilizzate a scopo anabolizzante si basa su indagini chimiche
quali - quantitative. Tale approccio non risulta però in grado
di individuare sostanze a rapida metabolizzazione o sostanze
utilizzate a bassa concentrazione, rendendo poco efficace
il sistema attuale dei controlli di laboratorio. Si rende quindi
necessario lo sviluppo di nuove metodiche atte ad individuare
gli effetti di tali molecole. In quest’ambito, si pone il metodo
istologico in grado di rilevare le alterazioni tissutali indotte
dalle molecole a livello degli organi target. (ghiandole sessuali
accessorie, timo). Dal 2008 l’esame istopatologico è stato
inserito nel PNR nazionale, al fine di individuare gli stabilimenti
bovini sospetti per trattamenti illeciti e indirizzare in quest’ambito
il controllo ufficiale.
Nessun controllo è, invece, previsto dal PNR per quanto riguarda
gli ovini destinati al consumo, anche se in Italia la richiesta
supera l’offerta interna e si assiste all’importazione di agnelli ed
agnelloni da paesi terzi, soprattutto dell’Est Europa (Romania,
Ungheria, Slovenia), che vengono importati vivi per subire un
processo di finissaggio prima della macellazione. A salvaguardia
del consumatore, sarebbe opportuno controllare queste carni,
per escludere la presenza di residui di sostanze nocive; ma ad
oggi mancano i dati di riferimento necessari per dare validità ad
un test di screening basato sul metodo istologico, in analogia
con quanto si effettua per i bovini.
Il presente lavoro, riporta i risultati ottenuti tramite uno studio
“in vivo”, utile ad individuare e caratterizzare le modificazioni
istologiche indotte in organi bersaglio (prostata, ghiandole
bulbo-uretrali) dopo trattamento con estrogeni nella specie
ovina. Lo studio fornirà gli standard di controllo per futuri piani di
sorveglianza da applicare in questa specie.
RISULTATI e DISCUSSIONE
Negli animali di controllo, trattati con il placebo, non si sono
osservate modificazioni istologiche della prostata (Tab. 1), anche
se in alcuni casi si evidenziava una modica iperplasia dell’uretra
(fig. 2). A carico delle ghiandole bulbo-uretrali non si sono
osservati evidenti scostamenti dalla normale organizzazione
istologica.
Nel caso dei soggetti trattati con 17β estradiolo, si evidenziava
una evidente metaplasia squamosa dell’uretra, con aumento
marcato del numero degli strati dell’epitelio di rivestimento(fig.1).
La prostata mostrava anch’essa segni di metaplasia sia a carico
dei dotti che della porzione ghiandolare, associata a fenomeni di
ipersecrezione che culminavano con la formazione di dilatazioni
cistiche(fig.7). Le ghiandole bulbo-uretrali mostravano segni
evidenti di ipersecrezione, con numerose dilatazioni cistiche e
metaplasia squamosa soprattutto a carico dei dotti (fig. 5-6).
MATERIALI E METODI
La sperimentazione è stata condotta presso un’azienda nel
Comune di Giardinello (PA). Gli animali sono stati impiegati in
accordo con la Direttiva 86/609/CEE riguardante la protezione
32
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tab. 1
specificità rispetto ad un altro anticorpo denominato RCK 103
(che identifica le citocheratine 5/14), precedentemente utilizzato
a questo scopo.
Questi risultati preliminari, indicano che il trattamento con
estrogeni induce lesioni patognomoniche e permanenti, anche
nella razza ovina. Pertanto, il metodo istologico, già adottato nel
PNR per la specie bovina, può essere proposto quale strumento
di sorveglianza nella specie ovina, previa valutazione in termini
di accuratezza, al fine di certificare l’assenza di trattamenti
illegali con estrogeni, in un tipo di allevamento che ancora oggi
può essere considerato, per vocazione storicamente pastorale,
tradizionalmente “biologico”.
L’immunoistochimica per citocheratine 5/6 (specifico per
identificare gli strati basali degli epiteli) ha messo in risalto che
la metaplasia degli epiteli dell’uretra e dei dotti, sia della prostata
che delle ghiandole bulbo-uretrali, negli animali trattati, è dovuta
alla proliferazione delle cellule basali. Nei controlli, la positività
per citocheratine 5-6 era localizzata soltanto allo strato basale
dell’epitelio di rivestimento (fig.3-4-8). L’IHC per il recettore del
progesterone dimostra una iperespressione rispetto ai controlli,
sia a carico del citoplasma che del nucleo, delle cellule epiteliali
dell’uretra e della prostata.
Fig. 5 Ghiandola bulbo-uretrale Fig. 6 Ghiandola bulbo-uretrale
(T) E-E 10x
(T) E-E 5x
Fig.7 Prostata (T) E-E 2.5x
Fig. 1 Uretra trattati E-E 5x
Fig. 2 Uretra controlli E-E 5x
Fig. 8 IHC Cito 5-6
Prostata (T) E-E 20x
RINGRAZIAMENTI
Ricerca effettuata con contributo della Ricerca finalizzata
Ministeriale (RF-IZP-2006-364645)
Fig.3 IHC Cito 5-6 trattati
E-E 10x
BIBLIOGRAFIA
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M. et al. - Lo screening istologico nella prevenzione dell’uso di
anabolizzanti nel bovino. Large Animal Review (2003); 2: 9-15.
2)De Maria R, Divari S, Goria M, Bollo E, Cannizzo FT,
Olivero M, Barbarino G, Biolatti B. 17beta-oestradiolinduced gene expression in cattle prostate: biomarkers to
detect illegal use of growth promoters. Vet Rec. 2009 Apr
11;164(15):459-64.
3)Groot MJ, Ossenkoppele JS, Bakker R, Pfaffl MW, Meyer
HH, Nielen MW. Reference histology of veal calf genital and
endocrine tissues - an update for screening on hormonal
growth promoters. J Vet Med A (2007) 54:238-46.
4)Groot MJ. Effects of phyto-oestrogens on veal calf prostate
histology. Vet Res Commun. 2006 Aug;30(6):587-98.
5)Groot MJ, Biolatti B. Histopathological effects of
boldenone in cattle. J Vet Med A Physiol Pathol Clin Med.
2004 Mar;51(2):58-63.
Fig. 4 IHC Cito 5-6 controlli
E-E 4x
Il trattamento con 17β estradiolo ha chiaramente dimostrato
di indurre una proliferazione delle cellule basali negli organi
bersaglio, causando una metaplasia squamosa degli epiteli;
mentre le indagini istologiche della prostata e delle ghiandole
bulbo-uretrali dei soggetti non trattati, hanno confermato quanto
già descritto in letteratura (Groot 2004). In particolare nelle
ghiandole bulbo-uretrali, l’aspetto mucinoso della ghiandola
viene modificato dalla presenza di un maggior numero di
dotti, che si evidenziano ancor di più per l’ispessimento della
parete duttale e per la metaplasia cui vanno incontro. L’IHC per
ricerca di citocheratine 5-6 ha evidenziato la proliferazione delle
cellule basali sia nell’uretra che nei dotti della prostata e delle
ghiandole bulbo-uretrali. Di recente alcuni autori (Groot 2007)
hanno evidenziato come la citocheratina 5/6 abbia una maggior
33
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DIMOSTRAZIONE SPERIMENTALE DEL RUOLO VETTORIALE DI Musca domestica NEL PROCESSO DI
DISPERSIONE DI Bacillus anthracis NELL’AMBIENTE
Scasciamacchia S.(1), Garofolo G.(1), Raele D.A. (1) , Adone R.(2), Fasanella A. (1)
(1)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata, S.C. Biotecnologie e Vaccini - Via Manfredonia, 20 – 71100 Foggia;
(2)
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare – Roma
Key words: Bacillus anthracis, Musca domestica, insetto-vettore
Introduzione
Il carbonchio ematico o antrace è una malattia infettiva diffusa
in tutto il mondo, conosciuta fin dall’antichità e ancora oggi
presente, con carattere di sporadicità, in vaste aree del nostro
pianeta. L’agente eziologico, il Bacillus anthracis, è un batterio
Gram positivo, capsulato, aerobio-micoraerofilo, immobile e
sporigeno. Il ciclo riproduttivo di B. anthracis e lo sviluppo di
nuove forme vegetative è strettamente ospite-dipendente, mentre
la sopravvivenza ambientale è garantita dalla forma di resistenza
del microrganismo, la spora (1). In Italia la malattia è presente
in forma endemica, generalmente di origine tellurica, colpisce
prevalentemente gli animali erbivori al pascolo, che si infettano
ingerendo foraggio contaminato da spore (4).
La scelta di monitorare il ruolo di Musca domestica nel processo
di dispersione ambientale di B. anthracis è scaturita dall’ analisi
epidemiologica retrospettiva e dalle osservazioni empiriche
rilevate durante l’epidemia di carbonchio ematico del 2004 nel
Parco Naturale del Pollino, in Basilicata (1,2). In tale episodio,
furono coinvolti un elevato numero animali sia domestici che
selvatici, in un’area geografica circoscritta, e fu coinvolto un
elevato numero di animali (2). L’inusuale evoluzione del focolaio
in forma epidemica, ha indotto a considerare fra i fattori di rischio,
il ruolo cruciale espletato dagli insetti necrofagi ed ematofagi
(2). Le carcasse infette furono rinvenute diversi giorni dopo la
morte; ciò significa che per un imprecisato periodo di tempo,
la popolazione di mosche ebbe la possibilità di permanere a
contatto con la fonte d’infezione. L’obiettivo del presente lavoro è
quello di valutare il ruolo di M. domestica quale potenziale vettore
meccanico dell’antrace e verificare la possibile correlazione fra la
densità di popolazione di mosche e l’andamento epidemiologico
di un focolaio di antrace.
rappresentata da un medium liquido composto da 8 ml di
sangue di coniglio defibrinato contente circa 8×108 spore di B.
anthracis A0843.
Analisi microbiologiche sugli spots di mosca
Ad intervalli di 2 ore si è proceduto al trasferimento degli insetti in
una nuova piastra di Petri. Tutti gli spot eliminati sono stati raccolti
con 10 ml di soluzione fisiologica sterile, sono state allestite
diluizioni seriali in base 10 e seminate su terreno semiselettivo
agar TSMP (Triomethoprim, Sulfamethoxazole, Polymixine),
con 5% di globuli rossi di montone. Dopo 48 ore d’incubazione
in aerobiosi a 37°C, sono state identificate morfologicamente
le colonie di B. anthracis, e per la conferma eziologica è stato
realizzato il saggio di PCR(4).
Saggio di immunofluorescenza per la ricerca delle forme
vegetative di Bacillus anthracis
Al fine di verificare l’ipotesi che B. anthracis possa replicare nel
contenuto intestinale di ditteri che si siano alimentati su una
fonte infetta, 20 esemplari di M. domestica sono stati infettati con
sangue di coniglio defibrinato, contaminato da una sospensione
di spore antrace (1.2 ×106/ml) per due ore. Il sangue preriscaldato
a 56°C per 30 minuti è stato sostituito ogni 30 minuti per evitare la
germinazione delle spore. Al termine dell’esperimento le mosche
sono state sacrificate ed il contenuto intestinale è stato rimosso
asetticamente e sottoposto al saggio di immunofluorescenza
diretta con anticorpo monoclonale F26G3 (diretto contro la
capsula del B. anthracis), che ne rileva pertanto esclusivamente
le forme vegetative (7).
Replicazione delle spore di antrace nel contenuto enterico di
mosche alimentate su differenti substrata
Quattro gruppi di 30 mosche ciascuno, sono stati alimentati
per sei ore su differenti substrati: sangue defibrinato di coniglio
(gruppo A), soluzione glucosata al 10% (gruppo B), latte (gruppo
C), mangime (gruppo D). Al termine dell’alimentazione tutti i ditteri
di ciascun gruppo, sono stati sacrificati e i contenuti enterici sono
stati prelevati asetticamente, disciolti in soluzione fisiologica, filtrati
e seminati, come medium colturale, con 50 spore. Ad intervalli di 2
ore, 100 µl di ciascun medium è stato seminato su terreno TSMP
agar ed la crescita di B.anthracis è stata monitorata per 12 ore.
Analisi Statistiche
I dati ottenuti sono stati elaborati mediante il test Kruskal-Wallis,
con cut off pari a 0.05.
Materiali e Metodi
Allevamento delle mosche
L’allevamento di insetti di specie M. domestica è stato allestito
in una gabbia, in condizioni monitorate di temperatura (25ºC) e
umidità relativa (65%) con fotoperiodo costante ed alimentazione
ad libitum.
Infezione alimentare delle mosche su carcassa di coniglio infetta
da antrace
Una gabbia con circa 3000 individui adulti di terza generazione
è stata trasferita in un laboratorio BL3. Le mosche sono state
mantenute a digiuno per 12h prima dell’infezione. Un coniglio
White New Zealand, specific pathogen free, è stato infettato
per via sottocutanea con ceppo virulento di B. anthracis A0843
(Cluster A1.a, genotipo 3)(3). Il soggetto è deceduto nell’arco di
72 ore e la carcassa, dopo l’asportazione del pacchetto intestinale
e del fegato, è stata lasciata a temperatura ambiente per 36 ore, e
poi introdotta nella gabbia per l’infezione alimentare delle mosche.
Infine ad intervalli di due ore, si è proceduto alla cattura di 4 gruppi
di insetti di circa 200 individui ciascuno, chiamati A, B, C e D:
gruppo A dopo 2 ore, gruppo B, C e D rispettivamente dopo 4, 6 e
8 ore. I gruppi sono stati trasferiti in piastre di Petri.
Infezione alimentare delle mosche su sangue contaminato da
antrace
In questo esperimento la fonte di infezione alimentare era
Risultati
Ricerca di B.anthracis negli spots di mosche infette
La dinamica di eliminazione di B. anthracis da parte di M.
domestica in tutti i gruppi esaminati e nei due esperimenti
condotti con differenti fonti di infezione, evidenzia un andamento
simile senza differenze statisticamente significative (Figura 1). È
possibile rilevare la presenza di cellule di antrace negli spots, a
partire da 2 h dopo il contatto con la fonte d’infezione. La maggiore
eliminazione avviene fra le 8 e le 12 h, con un picco massimo
alla 10a ora (in cui in media vengono eliminate 35.000 spore/
mosca). Successivamente, si assiste ad un graduale decremento
numerico di spore negli spots (termine dell’eliminazione a 24h). In
media una singola mosca può eliminare 74.000-133.000 spore,
nell’arco delle 24 ore successive al pasto infetto.
34
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
contribuiscono ad aumentarne la potenzialità vettoriale. I risultati
di questo studio dimostrano che la quantità di spore eliminata
dalle mosche non è influenzata dal tempo di permanenza con
la fonte di infezione. Risulta invece cruciale nelle epidemie
di antrace, il tempo di esposizione, ovvero il periodo in cui la
carcassa permane nell’ambiente e la popolazione di insetti è
esposta alla contaminazione. Inoltre il test di immunofluorescenza
diretta ha dimostrato che le spore di antrace, all’interno del tratto
digerente di M. domestica possono germinare e replicare. Infine i
risultati del presente studio suggeriscono che il sangue presente
nell’alimento delle mosche, rende il contenuto enterico dei ditteri
un pabulum ottimale per la crescita di B.anthracis. Questo lavoro
dimostra che gli insetti, ed in particolare M. domestica sono in
grado di disperdere il B. anthracis nell’ambiente. Sebbene il ruolo
epidemiologico degli insetti nell’epidemia del 2004 in Basilicata
risulti ancora incerto, i dati ottenuti suggeriscono che nei focolai
di carbonchio ematico è necessario mettere in atto misure di
lotta agli insetti vettori. Il controllo delle mosche deve essere
considerato una parte integrante nei programmi di contenimento
delle epidemie di antrace, in concomitanza alla tempestiva
rimozione delle carcasse degli animali infetti.
Figura 1: numero di UFC/ml di B.anthracis negli
spots di mosca
Presenza delle forme vegetative di B.anthracis nel contenuto
enterico di mosca
Al test di immunofluorescenza diretta, in 7 campioni su 20 è stata
evidenziata la presenza di forme vegetative.
Replicazione delle spore di antrace nell’intestino di mosca
Il contenuto enterico di mosche alimentatesi su sangue defibrinato
influenza positivamente la replicazione delle spore di antrace, se
paragonato agli altri substrati alimentari (Figura 2). I batteri sono
stati rilevati dopo 8 h di incubazione, e si registra un picco di
crescita esponenziale tra la 10° e 12° ora (1.2-1.8 × 105 UFC/ml).
Al contrario il contenuto enterico di mosche alimentatesi sugli altri
substrati, presenta un grado di replicazione batterica decisamente
più limitato.
Bibliografia
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tough but not invincible. Can Vet J 36: 295–301.
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SUMMARY
In this study, specimens of Musca domestica were infected
by feeding on anthrax-infected rabbit carcass or anthrax
contaminated blood, and the presence of anthrax spores in their
spots was microbiologically monitored. It was also evaluated if
the anthrax spores were able to germinate and replicate in the
gut content of insects. The results confirmed the role of insects
in spreading anthrax infection, that cannot be neglected, given
the huge size of fly populations often associated with anthrax
epidemics. Fly control should be considered as part of anthrax
control programs.
Figura 2: numero di UFC/ml di B.anthracis
coltivato in 4 differenti media
Discussione
Durante un focolaio epidemico di antrace molti fattori sono
implicati nella propagazione dell’infezione. La principale fonte di
immissione delle spore di antrace nell’ambiente è rappresentata
dalle carcasse degli animali infetti, mentre della dispersione
sono responsabili vettori inanimati (come l’acqua di dilavamento
pluviale) ed animati (carnivori saprofagi, animali selvatici, uccelli,
insetti) (6). Infatti i processi putrefattivi nella carcassa neutralizzano
le forme vegetative di B. anthracis in 48-72h, pertanto carnivori
saprofagi e predatori (sia mammiferi che uccelli), smembrando
le carcasse infette, contribuiscono al processo di sporulazione
e alla contaminazione ambientale (1). Il ruolo epidemiologico
degli insetti nel processo di dispersione delle spore di antrace
nell’ambiente, durante le epidemie di carbonchio ematico, è
stato dimostrato in numerosi studi scientifici (8,9). Molte specie
di ditteri sono stati valutati come potenziali agenti di trasmissione
meccanica della patologia. In particolare M. domestica, per le
sue caratteristiche biologiche ed abitudini alimentari, è in grado
di trasmettere microrganismi patogeni quali colera, shigellosi e
salmonellosi e risulta il candidato vettore ideale nella trasmissione
di antrace (5). Le strutture anatomiche dell’esoscheletro,
rendono particolarmente facile ed efficiente il trasporto di spore
e microorganismi e, una digestione caratterizzata da frequenti
rigurgiti nonché la deposizione di feci sui siti di alimentazione,
Finanziamento: Fondi ricerca corrente 2008
Collaborazione tecnica: Angela Aceti, Massimiliano Francia,
Nicola Nigro
35
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
TULAREMIA IN LEPRI DI IMPORTAZIONE: NUOVI ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI
Fabbi M., Prati P., Vicari N.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardie dell’ Emilia Romagna,
Sezione Diagnostica di Pavia, Centro di Referenza Nazionale per la Tularemia
Parole chiave: Tularemia, lepre, zoonosi
interessi economici che sottostanno al suo allevamento ed
alla importazione.
Summary
Tularemia is a zoonosis caused by Francisella tularensis. It
mainly occurs naturally in lagomorphs and rodents. In the
autoctonous hares the disease is characterized by fever,
depression, septicaemia and quickly death. On post-mortem
examination spleen is usually enlarged and multiple greyshwhite foci of necrosis on liver, kidney, spleen and lung are
present. On the contrary, in tularemic hares imported from
Est-Europe chronic lesions like abscesses in kidney and
in the lung we have observed. Titer in agglutination test of
these animals ranged from 1:80 to 1:640.
Normativa
Secondo il Decreto MinSan 7/12/2000 e succ. mod. le
lepri importate devono essere sottoposte alla visita clinica
veterinaria a destino: le carcasse delle lepri rinvenute
morte o gli animali con sintomi sospetti di Tularemia o
EBHS vengono inoltrati agli IIZZSS di competenza. In caso
di positività microbiologica per Tularemia tutta la partita
viene distrutta e le 5 partite provenienti dallo stesso Paese
successive alla positività vengono testate sierologicamente
e sottoposte ad accertamenti microbiologici di conferma.
Introduzione
La Tularemia è una zoonosi insidiosa, talora non a tutti nota;
è stata descritta per la prima volta nel 1911 da McCoy, nella
contea di Tulare (California) nel corso di una epidemia similpestosa nello scoiattolo californiano (Citellus beecheyi). La
prima segnalazione in Italia della malattia risale al 1964 a
Pavia ad opera di Rinaldi e coll. (5) che la segnalarono in
una lepre trovata morta nell’Oltrepò pavese.
L’agente responsabile, Francisella tularensis, è un piccolo
coccobacillo gram negativo, intracellulare facoltativo,
immobile, non sporigeno, provvisto di capsula e classificabile
tra i cosiddetti microrganismi ”fastidious”. E’ tra i più piccoli
batteri conosciuti (0,2 x 0,2 - 0,7 µm) e probabilmente tra i
più altamente infettanti sia per gli animali che per l’uomo. In
natura è piuttosto resistente e persiste per diverse settimane
nel fango, acqua e carcasse animali in decomposizione. Del
microrganismo sono noti diversi biotipi ma quelli di maggior
interesse sono due: F. tularensis subsp. tularensis (tipo A),
altamente virulento e presente in Nord America e F. tularensis
subsp. holarctica o palaearctica (tipo B), raramente fatale
per l’uomo, altamente virulento per roditori e lagomorfi e
presente in Usa, Asia ed Europa, Italia compresa (2).
Materiali e metodi
Tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010 nell’ambito delle
importazioni di lepri vive da ripopolamento alcune partite
di animali sono state oggetto di accertamenti diagnostici
per Tularemia sia come controllo ufficiale sierologico o
batteriologico sia come controllo diagnostico in autocontrollo
a carico dell’importatore. Sono state testate due partite di
lepri provenienti dalla Romania, una dalla Slovacchia e
una dall’Ungheria. Nella prima partita Romena e da quella
Ungherese sono stati analizzati due soggetti trovati morti
sull’automezzo di trasporto. Nel secondo conferimento
dalla Romania, essendo successivo ad una partita positiva
è stato eseguito prima lo screening sierologico seguito
l’indagine microbiologica e biomolecolare; Nella partita
Slovacca l’esame sierologico richiesto dall’importatore in
autocontrollo ha preceduto ulteriori approfondimenti per
Tularemia dai positivi.
Risultati
All’esame autoptico, tutti i soggetti, sia quelli morti
naturalmente che quelli soppressi a seguito di positività
sierologica non hanno evidenziato le lesioni tipiche della
malattia in forma acuta setticemica, ma lesioni a carattere
cronico con ascessi cutanei, polmonari, epatici e renali e in
un caso pielonefrite. La splenomegalia e la cachessia erano
sempre presenti
Dallo esame sierologico effettuato sulle 169 lepri appartenenti
alla seconda importazione dalla Romania si è riscontrato l’
11.83% di positività mentre sulla partita slovacca il 3.12%
L’esame microbiologico e le prove di PCR eseguite dagli
organi con lesioni hanno confermato la presenza di
Francisella tularensis subsp. holarctica (tipo B).
Epidemiologia
La Tularemia è presente nell’emisfero Nord del mondo.
La si ritrova in Nord-America, Asia ed Europa (soprattutto
centro orientale ma è presente anche in Francia, Spagna
e Scandinavia). In Italia è presente in forma sporadica
o enzootica limitata nel tempo e nello spazio (EmiliaRomagna, Lombardia, Toscana, Liguria, Umbria). Tre
importanti epidemie nell’uomo si sono succedute a partire
dagli anni ottanta: due in Toscana e una in Liguria con circa
600 casi complessivi di malattia generati dalla ingestione
di acqua contaminata(1, 3, 4). La malattia nel mondo
animale non è sempre facilmente rilevabile manifestandosi
quasi esclusivamente in roditori e lagomorfi nell’ambiente
selvatico.
Negli animali l’infezione è nota in almeno 145 specie di
vertebrati e 111 di invertebrati ma in natura, la tularemia è
tipicamente una malattia di roditori e lagomorfi nei quali si
manifesta con quadri di setticemia letale a rapido decorso.
La lepre, oltre ad essere tra le specie più sensibili
all’infezione, è anche quella che, in caso di mortalità, viene
più frequentemente conferita ai laboratori diagnostici per gli
Conclusioni e discussione
La libera circolazione delle merci nell’ambito della Comunità
Europea, la grande diffusione della Tularemia nell’ambiente
selvatico dei Paesi dell’Est Europa, la progressiva resistenza
acquisita dei lagomorfi e l’adattamento del batterio all’ospite,
pongono oggi il grosso problema dell’individuazione dei
soggetti cronicamente infetti. Alla luce dell’evoluzione clinica
della malattia nell’Est Europa, i controlli che vengono eseguiti
potrebbero non essere più sufficienti ad individuare le lepri
36
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
infette e eliminatrici di Francisella tularensis nell’ambiente.
In base a queste osservazioni la normativa attuale non pare
in grado di garantire completamente l’importazione di lepri
indenni da Tularemia.
Bibliografia
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CASI di YERSINIOSI da Yersinia pseudotuberculosis IN ANIMALI SELVATICI E
DOMESTICI IN ITALIA CENTRALE
Magistrali C.F., Carfora V., Farneti S., Mangili, P., Neri, C., Dionisi A.M.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia
Istituto, Superiore di Sanità, Roma
Key words: Y. pseudotuberculosis, animal, yersiniosis
Introduzione Yersinia pseudotuberculosis è principalmente
un patogeno per gli animali, ma è riconosciuto anche come
raro agente di yersiniosi nell’uomo, dove causa infezioni
sporadiche che si manifestano con dolori addominali, febbre
e diarrea. Infatti, in base ad un recente report dell’EFSA, nel
2008 si sono registrati 1,8/100.000 casi di yersiniosi nell’uomo,
dei quali l’1,8% attribuibili a Y. pseudotuberculosis (4). Quasi
tutte le specie animali domestiche e selvatiche sono recettive
all’infezione fungendo da reservoir, ed in molte di esse Y.
pseudotuberculosis può causare malattia. Le caratteristiche
epidemiologiche di questa infezione sono tuttavia ancora
in larga parte sconosciute. Scopo di questo lavoro è stato
caratterizzare da un punto di vista molecolare i ceppi di Y.
pseudotuberculosis isolati da diverse specie animali affette da
yersiniosi verificatesi in Italia centrale nel corso degli ultimi 3
anni, per evidenziare eventuali correlazioni genetiche tra stipiti
provenienti da specie e contesti territoriali differenti.
La caratterizzazione biochimica degli isolati è avvenuta mediante
sistema Api (Biomerieux), tramite gallerie RAPID ID32 E e
APIRAPID 20E.
Tutti gli isolati sono stati processati con una multiplex PCR per l’
identificazione di specie e per evidenziare l’eventuale presenza del
fattore di patogenicità inv. La prima finalità si realizza attraverso
l’uso di primers specifici per una regione del gene ompF,
codificante per una proteina transmembrana chiamata “porina”; al
fine di valutare l’eventuale patogenicità dei ceppi isolati si ricerca
una sequenza specifica del gene a localizzazione cromosomica
inv, che codifica per una proteina di 92 kDa denominata “invasina”.
Tale metodica è stata eseguita utilizzando i primers riportati in
bibliografia (1;2), secondo il protocollo descritto in tabella 2.
Tab. 2- Miscela di reazione e condizioni di amplificazione
Mix di reazione (50 µl)
Amplificazione
Buffer
1x
1 ciclo
1,5 mM
MgCl2
95°C x 5’
200 µM
dNTPs
F227Mod
0,2 µM
95°C x 30”
YPS2R
0,2 µM
30 cicli
55°C x 1’
INV F
0,2 µM
65°Cx 30”
INV R
0,2 µM
1 ciclo
Taq
1U
68°C x 15’
DNA
2 µl (20-100 ng)
Materiali e metodi Diciassette isolati di Y. pseudotuberculosis
sono stati impiegati nel corso di questo lavoro. Gli isolati, relativi
al triennio 2007-2010, e provenienti dal centro Italia (Umbria,
Marche e Lazio) appartenevano a casi di pseudotubercolosi
nella lepre, da casi di yersiniosi nel gatto, nel canarino, nella
minilepre (Sylvilagus floridanus), da casi di aborto nella
specie ovina, e infine da feci di cinghiali nell’ambito di un
piano di monitoraggio regionale (Tab.1). Per quanto ci è stato
possibile osservare, le lesioni erano diffuse sul parenchima
epatico, splenico, polmonare, renale e sull’appendice ciecale
nei leporidi (lepre e minilepre), mentre risultavano confinate
esclusivamente a livello epatico nel gatto e sul piccolo intestino
nel canarino. Medesime lesioni macroscopiche sono state
riscontrate sui polmoni di due feti ovini abortiti. Nei cinghiali
non è stato possibile apprezzare lesioni antomo-patologiche,
nonostante il germe sia stato isolato dalle feci.
Gli amplificati sono stati analizzati su gel di agarosio al 2%,
contenente bromuro di etidio alla concentrazione finale di 0,5 µg/
ml in TBE 1.0X (Biorad) e visualizzati con sotto luce UV.
PFGE: i batteri cresciuti in TSA sono stati risospesi in TE portati
ad una D.O. di 1,6 (λ 600 nm) quindi sono stati aggiunti 2,5 mg/
ml.di lisozima (20.000U/mg, USB Corporation) i blocchetti sono
stati preparati miscelando la sospensione batterica con un ugual
volume di una soluzione contenente agarosio SeaKem Gold
1,2% (Lonza), SDS 1% (Applichem), 0,2 mg/ml di proteinasi K
(Invitrogen). ed incubati a 54°C per un’ora nel buffer di lisi (50mM
Tris-HCl pH 8.0, 50mM EDTA pH 8.0, 1% Sarkosyl) contenente
0,1 mg/ml di proteinasi,K, lavati 2 volte con acqua MilliQ e 2
volte con TE per 10 minuti. Un terzo di ciascun blocchetto è
stato digerito con 10U di NotI (Biolabs) a 37°C o.n.; l’elettroforesi
è stata eseguita utilizzando un sistema CHEF-DRIII (BIO-RAD
Hercules,CA) alle seguenti condizioni: 6V/cm, angolo di 120°,
switch time di 8-23 secondi a 14°C per 20 ore Come riferimento
per l’analisi dei profili di restrizione è stato utilizzato un marker con
frammenti nel range 50-1000Kb ProMega Lambda (Promega).
Il gel è stato colorato con bromuro di etidio e fotografato sotto
luce UV. La cluster analysis è stata eseguita con il software
BioNumerics (v. 4.61, Applied Math, Sint-Martens-Latem, Belgio).
I valori di similarità sono stati calcolati con il coefficiente di Dice
mentre l’algoritmo UPMGA (unweighted pair group method
with arithmetic means), con 1.00% di tolleranza e 1.00% di
ottimizzazione, è stato impiegato per ottenere il dendrogramma.
I profili di DNA che differivano per una o più bande sono stati
considerati profili distinti, tuttavia ceppi con un coefficiente di
similarità >90% sono stati considerati strettamente correlati dal
punto di vista genetico.
Tabella 1: anno di isolamento, specie e i provenienza degli isolati
ID
R2533
R2532
R1852
R1621
R2163
R1926
A2536
R1598
R1599
R2550
R2534
R2590
R2070
R1848
R2535
61934/B
51163
Anno
2009
2009
2007
2007
2008
2007
2009
2007
2007
2009
2009
2010
2008
2007
2009
2009
2009
Specie
ovino
ovino
minilepre
lepre
lepre
lepre
lepre
lepre
lepre
canarino
lepre
lepre
lepre
gatto
lepre
cinghiale
cinghiale
Provenienza
Latina
Latina
Perugia
Perugia
Bastia Umbra
Bevagna
Perugia
Castiglione del lago
Todi
Ancona
Todi
Todi
Todi
Perugia
Todi
Perugia
Orvieto
38
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Risultati L’analisi in PCR ha confermato l’appartenenza alla
specie Y.pseudotuberculosis e la presenza del fattore inv.
Questa proteina di membrana, presente solo negli stipiti patogeni
di Y. pseudotuberculosis, si lega alle β1 integrine, espresse sulla
superficie delle cellule M che rivestono le placche del Peyer . Il
legame tra la proteina ed il recettore cellulare promuove l’ingresso
e la colonizzazione del germe il quale, per via linfo -ematogena,
può raggiungere i vari distretti dell’organismo. L’analisi mediante
PFGE ha evidenziato la presenza di due coppie di stipiti con
percentuali di omologia ≥95%: di questi, due erano stati isolati
nell’ambito di uno stesso focolaio di pseudotubercolosi nella
lepre (R2534 e R2535), mentre i ceppi R1599 e R2532 erano
stati isolati in specie (lepre e ovino) e contesti territoriali diversi
(Umbria e Lazio). Analizzando invece gli isolati con percentuali
di omologia superiori al 85%, è possibile descrivere un gruppo
formato da tre isolati da lepri nella zona tuderte e un isolato da
minilepre di Montepetriolo (R2534, R2535, R2070 e R1852); un
gruppo formato da due isolati da tonsille di cinghiale (58163 e
61394/B), e infine, un terzo raggruppamento con stipiti isolati
da aborto ovino, da canarino e da lepre (R1599, 2532, 2550),
provenienti rispettivamente da Umbria, Lazio e Marche.
nell’ambiente selvatico appare di particolare interesse in una
situazione epidemiologica caratterizzata da aumentati contatti
tra popolazioni selvatiche e domestiche, grazie sia all’aumento
della fauna selvatica, sia all’aumentata diffusione di allevamenti
outdoor. Per quanto riguarda Y. pseudotuberculosis, inoltre,
questa esigenza è rafforzata dalle potenzialità zoonotiche di
questo batterio.
Abstract Seventeen isolates of Y. pseudotuberculosis, from
cases of yersiniosis in wild and domestic animals and from faeces
of asymptomatic wild boars, were used in this study. The cases
occurred in a three year time (2007-2010), in hare, sheep, eastern
cottontail, canary, cat in Central Italy (Umbria, Marche and Lazio
regions). PFGE was carried out on the isolates, confirmed as inv
- positive by PCR, and a dendrogram was constructed. Isolates
with high genetic similarity were shown in cases occurred in
different areas, species and years.
Riferimenti Bibilografici
1) Isberg R.R., Voorhis D.L., Falkow S. 1987. Identification of
invasion: a protein that allows enteric bacteria to penetrate
cultured mammalian cells. Cell. 50, 769-778
Discussione Il lavoro descrive casi di yersiniosi da
Y.pseudotuberculosis nel corso dell’ultimo triennio: nonostante
questa patologia sia considerata un evento poco frequente, è stato
possibile osservare casi anche in specie in cui è scarsamente
segnalata, come il gatto, la pecora e il canarino.
Inoltre, nel corso di questa indagine alcuni isolati provenienti da
specie e da contesti territoriali diversi hanno mostrato elevate
percentuali di omologia. Questo riscontro trova ragione nelle
caratteristiche epidemiologiche di Y. pseudotuberculosis. Infatti,
alcune delle specie animali da cui sono stati effettuati gli isolamenti
oggetto del presente lavoro sono caratterizzate da notevole
mobilità sul territorio. Inoltre, le popolazioni di animali selvatiche
sono considerate un importante reservoir di questo batterio: ad
esempio, i suini allevati outdoor mostrano percentuali d’infezione
superiori a quelli allevati intensivamente (5). In effetti, molti dei
casi descritti si riferivano ad animali allevati all’aperto, quali
lepre od ovino, o ad animali selvatici, quali cinghiali o minilepre.
Anche il caso di yersiniosi nel gatto si è verificato in una colonia
ubicata in un contesto extra-urbano. Questo può giustificare la
presenza di stipiti con elevate percentuali di omologia in specie
differenti.Il monitoraggio e lo studio dei patogeni con reservoir
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39
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Q FEVER IN THE NETHERLANDS
HJ Roest, DVM
Project leader ‘Q fever in goats’
Central Veterinary Institute of Wageningen UR
Lelystad, The Netherlands
[email protected]
INTRODUCTION
Q fever is a zoonosis caused by Coxiella burnetii. This
is a Gram negative intracellular bacterium which is prevalent
throughout the world, with the exception of New Zealand.
Domestic animals are considered to be the main reservoir
for Q fever in humans, although many other animal species
can be infected with C. burnetii. Transmission from the animal
source to humans is mainly accomplished through inhalation
of contaminated aerosols. The main symptom of Q fever in
goats and sheep is abortion. The main symptoms in cattle are
reduced fertility and metritis, but abortion can also occur. Other
animal species show no symptoms when infected. In humans,
infection with C. burnetii remains asymptomatic in up to 60%
of infected persons. After infection acute Q fever causes flulike symptoms with fever, atypical pneumonia or hepatitis.
In approximately 1 to 5% of the Q fever cases infection may
progress into a chronic infection, often leading to endocarditis.
Due to its zoonotic nature and low infectious dose, C. burnetii
is a Bio Safety Level 3 organism and should be handled under
appropriate laboratory conditions (2000/54/EU).
RESPONSE TO THE Q FEVER OUTBREAK IN THE
NETHERLANDS
The first response to the continued Q fever outbreak
was mandatory notification of abortion rates over 5% in dairy
goat and dairy sheep farms. This passive surveillance showed
the hot spots of massive excretion of C. burnetii. In 2008,
seven dairy goat farms and one dairy sheep farm were notified,
and in 2009 six dairy goat farms. Additional measures were
executed, such as how to handle manure, visitor bans, vermin
control and the active removal of placentas from the stables, to
prevent the transmission of C. burnetii from the animal source
to humans. To prevent shedding of C. burnetii in dairy goats
and dairy sheep, a voluntary vaccination program was started
in a specified area in 2008. The vaccine of choice was the
commercially available phase I vaccine. Because this vaccine
was not registered in the Netherlands, the Dutch Ministry of
Agriculture granted exemption. In 2009, the vaccination area
was extended and the vaccination was made mandatory, but
due to a lack of vaccine not all dairy goats and dairy sheep
could be vaccinated in time, before breeding. In 2009, an active
surveillance system was introduced via bulk tank milk testing
to find all possible risk farms for human Q fever. As a result, the
number of positive farms increased to about 90.
In 2009, the total number of human cases rose to
2355 and the government wanted to take all possible measures
to stop the increase of human cases in 2010, resulting in the
culling of all pregnant goats and sheep on Q fever-positive
farms and a breeding ban for non-pregnant goats.
HISTORY OF Q FEVER IN THE NETHERLANDS
The first three cases of human Q fever in the
Netherlands were reported in 1956, although it is not clear if
these cases were indigenous. Q fever became notifiable in
1975 and in the succeeding years it became clear that Q fever
was present in the Netherlands mainly as an occupational
disease. Between 1975 and 2006 on average 16 human cases
were reported each year. Studies in domestic animals in the
eighties showed Q fever was also present in cattle, sheep and
goats, as well as in dogs and cats.
CURRENT Q FEVER SITUATION IN THE NETHERLANDS
To date, 357 human Q fever cases were registered
in 2010 and no peak could be observed like in the previous
years. This is a significant decrease compared to 2009. Ninetythree dairy goat and dairy sheep farms are positive in the bulk
tank milk sample.
ONSET OF THE OUTBREAK OF Q FEVER IN THE
NETHERLANDS
Abortions due to Q fever were reported in dairy goats
for the first time in 2005. In this year, two abortion storms were
reported. In 2006, six abortion storms in dairy goat herds and
one in a dairy sheep herd were reported. All the dairy goat
herds with abortions were located in the southern part of the
Netherlands. In 2007, another seven dairy goat herds suffered
abortions due to Q fever. In this year, the first human outbreak
of Q fever in the Netherlands was reported, too, with in total
168 human cases. This outbreak was situated in the area
with abortion storms due to Q fever in dairy goat herds. The
abortion problems in dairy goats were considered to be the
cause of the human Q fever due to the geographical overlap
of cases, succession in time of the Q fever symptoms and the
lack of other epidemiological sources.
The 2007 outbreak of human Q fever was at that
time considered to be a single event, like outbreaks in other
countries, but in 2008 the outbreak continued with in total 1000
human cases. The start of the increase of human cases in
2008 triggered measures to prevent shedding of C. burnetii in
dairy goats and dairy sheep and to prevent transmission to
humans.
WHAT COULD BE THE CAUSE OF THE DUTCH Q FEVER
OUTBREAK?
Dairy goats and dairy sheep are considered to be the
source of the human outbreak on the basis of epidemiological
investigations. This is confirmed by a small study on the
genotypes of C. burnetii present in dairy goats and humans.
Transmission from dairy goats and dairy sheep to humans
could have been facilitated by the warm weather in the springs
of 2007, 2008 and 2009. In addition, no other sources could
be identified to date. But why did C. burnetii cause abortion
storms in the dairy goat population? Till 2005, Q fever in dairy
goats was not diagnosed nor were abortion storms seen. So
what happened? One of the explanations is the strong increase
of the dairy goat population. After the introduction of the milk
quotation system for dairy cattle, the dairy goat industry in the
Netherlands expanded. After the outbreaks of Classical Swine
Fever in 1997 and Foot and Mouth Disease in 2001, the dairy
goat population has doubled in the past ten years from nearly
100.000 in 2000 to over 230.000 in 2009. Most of these goats
40
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
were held in the southern part of the Netherlands and in this
population C. burnetii could be spread. Another additional
explanation could be the emergence of a more virulent strain of
C. burnetii that could easily spread in the dairy goat population,
but also infect humans. Research on the virulence of the strain
is ongoing. Hopefully, future research will give the answer to
why the Dutch Q fever outbreak started.
4.
5.
SOME RESULTS OF ONGOING RESEARCH
A lot of research has been initiated in the human field,
the veterinary field and in collaboration. For example Q fever
strains were isolated for the first time in the Netherlands. Till
2009 there were no culture facilities nor experience available.
In collaboration with the Bundeswehr Institute for Microbiology,
a culture method of C. burnetii was implemented at the Central
Veterinary Institute of Wageningen UR. Culture is performed in
a BSL 3 facility on Buffalo Green Monkey cells. Isolation from
placenta material is relatively easy to perform. Strains are now
used for goat experiments on the pathogenesis of C. burnetii in
goats and sequence and resistance studies are planned.
Epidemiological investigations showed that living
within two kilometres from a goat farm was associated with a
higher risk of Q fever compared to living more than five kilometres
from a farm. Genotyping of C. burnetii in clinical samples from
goats revealed that one genotype is predominantly present in
all dairy goats farms in the south of the country. The C. burnetii
with this genotype is expected to be transmitted to humans,
but no robust data from humans are available yet.
6.
7.
8.
9.
CONCLUSION
Q fever problems surprised the Netherlands despite its
presence in the years before. A close collaboration between the
human field and the veterinary field on the level of researchers
as well as on the level of policy makers was needed to battle
the disease. To date, it is not clear why Q fever became a
problem and hopefully, future research will give that answer.
1.
2.
3.
10.
11.
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en/scdocs/doc/48e.pdf
Simon More, Jan Arend Stegeman, Joerg Hartung,
Annie Rodolakis, Hendrik-Jan Roest, Piet Vellema
Richard Thiery, Heinrich Neubauer, Wim van der Hoek,
Howard Needham, Katharina Staerk, Bart Goossens,
Jane Richardson, Ana Afonso,Milen Georgiev. Scientific
opinion on Q fever, EFSA panel on Animal Health and
Welfare, European Food Safety Authority (EFSA) http://
www.efsa.europa.eu/en/scdocs/doc/1595.pdf
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
IMPLICAZIONI ZOONOSICHE CORRELATE ALLA CIRCOLAZIONE DI Coxiella burnetii NEGLI ALLEVAMENTI
DI BOVINE DA LATTE IN ALCUNE AREE DEL NORD ITALIA
Prati P, Vicari N1, Boldini M1, Decastelli3L, Magnino S1, Faccini S1, Andreoli G1, Nativi D2. Fabbi M.1
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna,
Dipartimento di Patologia Animale. Igiene e Sanità pubblica,Università di Milano
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Parole chiave: Coxiella burnetii, bovino da latte, zoonosi
Summary
Q fever, a zoonosis caused by Coxiella burnetii, is endemic
throughout the world and its primary reservoir are cattle, sheep,
goats and ticks. Infection is usually subclinical in these animals even
if the bacteria is excreted mainly by milk, fetuses and placenta of
infected animals, feces and urine. Humans are infected mainly by
inhalation of contaminated aerosols or by ingestion of milk or fresh
dairy products. The resuts of an investigation in reproductive disorder
and the prevalence of Coxxiella burnetii in row milk are reported.
Risultati
Coxiella burnetii è stata dimostrata nel 5% dei casi in fenomeni
di aborto ed infertilità nel bovino, nel 9,5% negli ovicaprini.
L’11% dei campioni legati a forme respiratorie atipiche del
bovino è risultato positivodato da valutare con cautela in
quanto il numero dei campioni non appare sufficientemente
significativo trattandosi di una casistica limitata a 35 campioni.
Per quanto attiene ai risultati sul latte questi mostrano valori di
prevalenza di Coxiella burnetii intorno al 40% a seconda delle
province considerate (1,6). Lo stesso dato emerge dalla regione
Piemonte per il latte crudo campionato in fase di distribuzione
(4).
Introduzione
Coxiella burnetii è l’agente eziologico della Febbre Q, una zoonosi
batterica descritta per la prima volta come causa di infezione nel
personale dei macelli in Australia negli anni ’30 (5) e in seguito
riconosciuta in molti Paesi, tra cui l’Italia, dove le prime segnalazioni
risalgono al 1944-45 (2). La Febbre Q è salita prepotentemente alla
ribalta internazionale a seguito della recentissima epidemia occorsa
in Olanda tra il 2007 e il 2009, anni in cui si sono registrati migliaia
di casi di malattia nell’uomo e parallelamente una grande diffusione
dell’infezione tra diversi allevamenti caprini di quel Paese.
Anche in Italia sono stati segnalati, anche abbastanza recentemente,
alcuni casi di malattia nell’uomo sia a carattere epidemico che
sporadico verificatisi in seguito a contatto sia diretto sia indiretto
con ruminanti infetti (pecore e bovini) o loro prodotti (7,10).
Diversi Autori hanno dimostrato nel nostro Paese la presenza e
l’importanza dell’infezione in diverse specie di ruminanti (3,8). Di
rilievo altresì l’associazione di questa infezione anche all’aborto nel
bufalo in Campania (9).
E’ noto che gli animali infetti possono eliminare C. burnetii
nell’ambiente tramite diversi escreti quali feci, urine, secreto
vaginale, liquido amniotico e secreti quali latte e colostro e
recentemente è stata riportata anche l’escrezione di Coxiella
burnetii in corso di mastite bovina in forma subclinica. Anche se la
via alimentare attraverso il latte e i suoi derivati è ritenuta di scarso
rilievo epidemiologico, alcuni dati di prevalenza sulla presenza di
Coxiella burnetii nel latte crudo pone interrogativi di sanità pubblica
alla luce anche del diffondersi sia del consumo diretto di latte crudo
non trattato termicamente sia della produzione di formaggi pure
con latte crudo non pasteurizzato.
Conclusioni e Discussione
Alla luce di questi risultati, oltre al ruolo patogeno noto per gli
ovi–caprini, rimane da indagare meglio il ruolo patogeno del
batterio nei bovini ed in particolare nei riguardi dell’uomo; a fronte
infatti di una prevalenza così elevata nei nostri allevamenti non
sembra corrispondere una altrettanta patogenicità nell’uomo o
per lo meno con sintomatologia clinica rilevabile. Anche se sono
segnalati casi di Febbre Q nell’uomo collegati alla frequentazione
e al contatto con allevamenti bovini, e noi stessi abbiamo potuto
seguirne alcuni, ulteriori studi sulla possibile differente virulenza
tra ceppi di Coxiella burnetii provenienti da diverse specie
di ruminanti, così come ipotizzato per la recente epidemia in
Olanda, potrebbero fornire ulteriori chiarimenti in merito.
Bibliografia
1.
Bertasi, et.al. (2008). Presenza di coxiella burnetii
e mycobacterium paratuberculosis nel latte crudo:
monitoraggio mediante tecniche di biologia molecolare. Atti
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zoonosi. Atti Soc Ital Sci Vet, 7: 13-96.
3. Capuano et. al., (2004). Coxiella burnetii:quale realtà?
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Comunicazione Personale. Dati non pubblicati
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di Coxiella burnetii nel latte di massa di alcune aziende
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buffaloes aborted fetuses by IS111 DNA amplification: a
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10. Starnini, et.al.. (2005). An outbreak of Q fever in a prison in
Italy. Epidemiol. Infect. 113. 377-380
Materiali e metodi
Negli ultimi anni presso alcuni laboratori dell’ Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna è stata
intensificata la sorveglianza verso l’infezione da Coxiella burnetii
nei ruminanti ed in particolare nel bovino anche per la maggior
vocazione territoriale all’allevamento di questa specie rispetto ad
altre aree del centro-sud Italia nelle quali è maggiormente diffuso
l’allevamento ovi-caprino.
In particolare è stata condotta una indagine sul latte di massa con
tecnica PCR per valutare la diffusione di Coxiella burnetii negli
allevamenti di alcune province della Lombardia (Pavia, Cremona,
Mantova, Lodi) Inoltre l’esame diretto ed indiretto verso Coxiella
burnetii è stato inserito di routine nelle indagini legate a problemi
riproduttivi dei ruminanti (bovini,ovini e caprini) quali aborto ed
infertilità.Una anologa indagine è stata condotta condotta in
Piemonte sul latte crudo alla distribuzione e campionato presso i
distributori automatici a disposizione dei cittadini (4).
42
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CONFRONTO FRA KIT ELISA PER LA DIAGNOSI DI FEBBRE Q BOVINA
Natale A.1, Bucci G.1, Capello K.2, Del Sesto M.1, Mion M.1, Nardelli S.1
1
Struttura complessa 5 Sanità e Benessere Animale, Laboratorio di Diagnostica Virologica e sierologica, 2 Staff Direzione
Sanitaria; Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD)
Key words: Febbre Q, ELISA, bovino
SUMMARY
In order to verify the performances of three ELISA kits for Q fever
serological diagnosis, 210 bovine sera with known value were
tested. Furthermore, 258 samples coming from an epidemic
outbreak were analysed in order to check the concordance in field
conditions among the three ELISA kits and between each ELISA kit
and the complement fixation test.
Performances of ELISA kits were summarised in terms of Sensitivity,
Specificity and ROC analysis. All kits show good performances,
even if in field conditions a cut-off revision may be needed for the
kit 1.
fase I e II, proveniente da ceppo Nine Mile; la prova prevede
l’esito dubbio.
- ID-VET (kit 2) basato su antigene adsorbito in fase I e II, isolato
da placenta di bovino. La prova prevede l’esito dubbio e la
suddivisione dei positivi in due classi (positivo/ infezione acuta).
- LSI (kit 3) basato su antigene adsorbito in fase I e II, isolato da
ovino. Il kit prevede la classificazione dei positivi in 4 classi (da +
a ++++) e non prevede l’esito dubbio.
I kit ELISA, tutti di tipo indiretto, sono stati utilizzati secondo le soglie
e le istruzioni previste dai produttori. I campioni dubbi, quando
previsti dal kit, sono stati considerati insieme ai positivi.
Fissazione del complemento (FDC)
E’ stata utilizzata la tecnica manuale prevista dal Manuale OIE
(2) basata su un antigene commerciale (Siemens Healthcare
Diagnostics), composto da una miscela dei ceppi Nine Mile ed
Henzerling in fase II. Il valore di cut-off è stato fissato al titolo di
1:10.
Analisi statistica
Le performance dei test ELISA sono state valutate in termini di Se,
Sp, e di area sottesa alla curva ROC (AUC).
L’analisi ROC (Receiver-Operating Characteristic) è stata inoltre
utilizzata per valutare il cut-off migliore dei test ELISA e le variazioni
di Se e Sp in funzione del cut-off.
La concordanza tra i kit presi a coppie e tra ogni kit e la FDC
(quest’ultima comparazione è stata fatta solo per i sieri di campo)
è stata quantificata attraverso il kappa di Cohen. L’analisi delle
discordanze fra i kit nell’attribuzione dell’esito è stata fatta tramite
il test di McNemar. Il test Q di Cochran è stato utilizzato per la
valutazione simultanea dei tre kit.
La significatività statistica è stata valutata considerando come
soglia un p-value pari a 0.05.
INTRODUZIONE
I test sierologici ELISA rappresentano un utile strumento di
supporto alla diagnosi di Febbre Q, ed il loro utilizzo è stato
di recente raccomandato anche a livello internazionale (1),
in particolare per quanto riguarda i kit con antigeni isolati da
ruminanti. Pur non essendo definita come Gold standard, la
Fissazione del Complemento (FDC) è citata dal Manuale OIE (2),
è considerata storicamente il test di referenza (3) e da alcuni paesi
viene considerata il test sierologico ufficiale per il controllo dei tori
riproduttori (es. Argentina, Nuova Zelanda); tuttavia i tempi e le
difficoltà di esecuzione la rendono uno strumento poco adatto a
screening di massa. Storicamente la tecnica di FDC è considerata
una prova ad alta specificità (Se) ma bassa sensibilità (Sp) (2, 4, 5,
6, 7). Di recente è stata criticata per avere Se e Sp molto variabili,
in particolare nella specie caprina (8, 9).
Il presente lavoro ha lo scopo di valutare, per la specie bovina, le
prestazioni di 3 kit commerciali ELISA. Sono stati utilizzati 210 sieri
bovini in precedenza classificati come positivi e negativi, e 258 sieri
provenienti da un focolaio di malattia.
RISULTATI
La valutazione delle performance dei 3 kit su campioni noti è
espressa nella tab 1:
MATERIALI E METODI
Selezione dei campioni
Tutti i sieri sono stati stoccati a -20°C fino al momento dell’utilizzo.
- Selezione dei sieri ad esito noto:
Al fine di poter validare i kit ELISA, sono stati collezionati 210
sieri, classificati come positivi (n=61, 29%) e negativi (n=149)
secondo i criteri di seguito riportati.
Positivo: siero proveniente da bovina con sierologia positiva in
FDC e che inoltre soddisfa una delle seguenti condizioni: diagnosi
di aborto da febbre Q su feto o placenta mediante Real time
PCR (rtPCR) (n=1); positività su campione di latte individuale in
rtPCR (n=5); positività su campione di latte di massa in rtPCR
(n=12); almeno due positività in FDC nel gruppo (n=43).
Negativo: siero di bovina proveniente da un gruppo di animali
risultato completamente negativo alla FDC e con latte di massa
negativo in rtPCR.
- Selezione sieri di campo:
Al fine di verificare le prestazioni dei kit in una situazione di
campo, sono stati stoccati 258 campioni di siero provenienti da
un focolaio di malattia, precedentemente analizzati con FDC, e
sono stati confrontati i risultati dei 3 kit ELISA. Alla FDC erano
state registrate 19 positività a titoli variabili da 1:10 a 1:640. Tra i
positivi, 16 campioni avevano titoli inferiori a 1:80.
Kit ELISA:
Sono stati testati i seguenti kit ELISA commerciali:
- IDEXX Chekit Q Fever (kit 1) basato su antigene adsorbito in
Tab. 1 – performance dei 3 kit ELISA testati su campioni ad esito
noto (cut-off indicati dal fornitore)
L’applicazione del test di McNemar e del test di Cochran non ha
evidenziato alcuna differenza significativa fra i kit; gli stessi risultati
sono confermati anche da soddisfacenti livelli di concordanza,
riportati in tab. 2.
Tab. 2 – concordanza tra kit ELISA, a coppie, su campioni ad
esito noto (cut-off indicati dal fornitore)
43
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Per quanto riguarda l’analisi delle curve ROC, per il kit 1 il cut-off
di 0,34 (valore attualmente collocato nella fascia dei dubbi) invece
dell’attuale valore 0,3 permetterebbe di discriminare perfettamente
le popolazioni di positivi/negativi; per il kit 2 il cut-off di 0,27
(attualmente 0,4) permetterebbe di classificare correttamente il
99% dei campioni; per il kit 3 il cut-off ideale corrisponde a quello
assegnato dal produttore, cioè 0,4, permettendo di classificare
correttamente il 99% dei campioni.
Ne caso di campioni di campo provenienti da un focolaio di malattia,
è stata valutata la concordanza tra kit ELISA presi a coppie ed
inoltre si è valutato anche il confronto con la FDC (Tab. 3),.
si rivelano molto inferiori. Tutti i campioni positivi in FDC sono
confermati dai tre kit ELISA, indicando una buona specificità della
FDC anche a titoli bassi. La nota carenza di sensibilità della prova
(2), tuttavia, non permette di utilizzarla come test discriminatorio in
caso di negatività.
Analizzando nel dettaglio i casi discordanti tra i vari kit ELISA, si
evidenzia che buona parte di essi sono da attribuirsi al solo kit 1 con
valori S/P ≤ 0,51, cioè di poco al di sopra della soglia del dubbio.
Eliminando dall’analisi i casi con valori di S/P del kit 1 compresi fra
0,30 e 0,51, tutti i valori di concordanza (k) aumentano in modo
sensibile.
Questi risultati per la specie bovina sono in disaccordo con
quanto rilevato da altri autori in studi sui piccoli ruminanti (1), dove
si segnala un deficit di sensibilità del kit 1 a causa dell’antigene
utilizzato, derivato dal ceppo Nine Mile, anziché da ceppi isolati da
ruminante. Il kit 1 risulta anzi il più sensibile, probabilmente a scapito
della specificità. Quest’ultima supposizione sembra confermata dal
considerevole numero di campioni discordanti per il kit 1, con valori
di S/P vicini alla classificazione di dubbio, rispetto agli altri due kit,
così come osservato anche per due dei campioni discordanti tra
quelli ad esito noto.
A seguito dei risultati ottenuti e al fine di verificare più precisamente
le prestazioni dei kit in condizioni di campo e soprattutto in assenza
di Gold Standard, lo studio verrà ulteriormente approfondito anche
avvalendosi dell’approccio bayesiano come metodologia di analisi.
Inoltre verrà posta particolare attenzione al kit 1 in modo tale
individuare i cut-off ottimali di utilizzo nella routine diagnostica.
Tab. 3 – concordanza tra prove, prese a coppie, su campioni
prelevati in un focolaio di malattia
Rispetto ai dati precedentemente elaborati su campioni ad esito
noto, aumentano le discordanze fra i kit. Pur potendo osservare
valori di kappa ancora buoni, il test di McNemar rileva differenze
significative in tutti i confronti. Complessivamente i 3 test non
risultano sovrapponibili (test di Cochran per confronti multipli p <
0,0001).
Tutti i campioni positivi alla FDC sono stati confermati dai 3 kit
ELISA, ma a causa della scarsa sensibilità della FDC i valori di
kappa risultano scarsi.
Analizzando nel dettaglio i casi discordanti fra i 3 kit ELISA (21/258),
si evidenzia che buona parte di essi (11/21) sono da attribuirsi al
solo kit 1 con valori di S/P entro 0,51, cioè di poco al di sopra della
soglia del dubbio. Eliminando i campioni classificati come dubbi dal
kit 1, la concordanza tra kit 1 e 3 passa da 0,74 a 0,83.
Eliminando dall’analisi i casi con valori di S/P del kit 1 compresi fra
0,30 e 0,51, le concordanze aumentano ulteriormente: kit 1 vs 3:
0,91; kit 1 vs 2: 0,94; kit 2 vs 3: 0,86.
BIBLIOGRAFIA
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Microbiology, 75:428-433.
DISCUSSIONE
I risultati della prova di validazione basata su campioni ad esito
noto ha dato ottimi risultati per tutti e tre i kit, non ha rilevato tra loro
differenze statisticamente significative e concorda (o differisce in
modo lieve) con i cut-off fissati dalle ditte produttrici. L’analisi della
concordanza tra i kit presi a coppie è ottima in tutti i casi.
Valutando i singoli campioni discordi, il kit 1 risulta il più sensibile
ma con un lieve deficit di specificità (un falso reattivo, classificato
come dubbio con S/P=0,32); l’analisi della curva ROC corregge,
alzandola, la soglia di reattività del kit (S/P=0,34), arrivando alla
perfetta discriminazione tra positivi e negativi.
Al cut-off indicato dal fornitore, il kit 2 perde quattro positivi, di cui
uno concordemente al kit 3. Anche dopo correzione della soglia
tramite analisi ROC, il kit 2 permangono due false negatività.
Il kit 3 classifica erroneamente un solo campione (falso negativo),
pre-classificato come positivo in quanto risultato positivo alla FDC
con titolo 1:20 e compreso in un gruppo di animali con numerose
positività in FDC a vario titolo. Tale campione è stato classificato
erroneamente sia dal kit 3 che dal kit 2, ed è risultato dubbio (S/
P=0,34) per il kit 1. Il basso valore S/P del kit 1 e la totale assenza
di reattività dei kit 2 e 3 fa supporre che si possa trattare di un
campione in fase di sieroconversione, rilevabile solo con la FDC a
causa di differenze strutturali tra i test.
Nella seconda parte dello studio, in cui sono stati analizzati
campioni di un focolaio di malattia per una verifica in condizioni
di campo, le concordanze tra kit ELISA, pur restando accettabili,
44
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CONTEGGIO DI UNITA’ FORMANTI COLONIA DI STAPHILOCOCCUS AUREUS NEL LATTE DI MASSA COME
DATO PREDITTIVO DEL LIVELLO D’INFEZIONE INTRA-ALLEVAMENTO
Bertocchi L. 1, Bolzoni G. 1, Zanardi G. 1, Nassuato C. 1, Bonometti G.2, Benicchio S. 3, Varisco G.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Produzione Primaria, Brescia
2
Centro Miglioramento Qualità Latte e Carni Bovine – Brescia
3
Veterinario Libero Professionista
Key words: latte di massa, Staphilococcus aureus, modello predittivo
sono entrati in mungitura, l’utilizzo della medesima macchina
mungitrice amplifica la diffusione dell’infezione. L’obiettivo del
lavoro è stato quello di verificare un sistema di monitoraggio
di S. aureus sul latte di massa, semplice ed economico, in un
campione di allevamenti di bovine da latte in provincia di Brescia,
che fosse in grado di identificare tempestivamente l’infezione e
stimare la sua prevalenza intra-allevamento. In particolare, lo
studio epidemiologico è stato condotto per valutare la capacità
predittiva del conteggio di colonie di S. aureus su terreno
selettivo a partire da campioni di latte di massa, al fine di
classificare gli allevamenti infetti secondo differenti intervalli di
prevalenza intra-allevamento.Questo approccio diagnostico è
in grado di discriminare in maniera sufficientemente affidabile
e rapida le aziende problema e di quantificarne la prevalenza
ai fini della realizzazione di un piano di controllo ad hoc. E’
altresì importante come strumento di monitoraggio continuo per
addivenire ad una diagnosi precoce dell’infezione in allevamenti
indenni.
Il latte di massa rappresenta una matrice poco costosa e
facilmente fruibile dal laboratorio (almeno due prelievi al mese
per il pagamento del latte secondo qualità), sulla quale si è
deciso di modellare la sperimentazione per offrire un servizio
sanitario e zootecnico agli allevatori e per impostare programmi
di intervento in azienda e per il miglioramento quali- quantitativo
delle produzioni.
SUMMARY
Aim of this work is to review the predictive model developed
in 2005 regarding bulk milk tank (BMT) analysis as a tool for
epidemiological surveillance system on herd’s Staphylococcus
aureus infection level.
The comparison between BMT analysis results and single
cow milk (SCM) analysis results was investigated to verify
the relationship between BMT S. aureus UFC value and dairy
herds infection rate.
Statistical analysis shows that within herds the prevalence is
1.98 greater (exp 0.68) every one UFC log unit (p<0.001).
Results obtained confirm the significative statistical relationship
between UFC, in log, and cows’ infection rate;
BMT analysis is a valid tool to evaluate dairy herds infection
prevalence.
INTRODUZIONE
La mastite da Staphilococcus aureus è oggi la principale
infezione della ghiandola mammaria. Infatti, essa riduce
sensibilmente la produzione di latte e causa un aumento del
conteggio delle cellule somatiche, con possibili ricadute sulla
salute pubblica dovute alla presenza di ceppi produttori di
enterotossine.
Nella letteratura scientifica sono pubblicati diversi report che
evidenziano una prevalenza d’infezione dal 15 al 40 % tra gli
allevamenti e dal 10 al 70% intra-allevamento.
Oltre alla intrinseca elevata contagiosità della malattia, un
ulteriore fattore che ne favorisce la rapida diffusione è il suo
carattere sub-clinico. Per questa ragione, il controllo della
diffusione richiede il rispetto di rigorosi parametri igienicosanitari e il costante monitoraggio batteriologico del latte. La
rilevazione dell’infezione nelle bovine è effettuata tramite
il campionamento sterile dei quartieri mammari mastitici.
Questo approccio presenta 2 criticità: la scelta delle bovine
da campionare e le metodiche di campionamento. Infatti, il
decorso sub-clinico rende difficile l’individuazione corretta
dei capi infetti con S. aureus ed è possibile che la presenza
contestuale di batteri ambientali ne possa occultare la crescita
in piastra, fino ad arrivare ad una falsa negatività nel 2030% dei casi. E’ consigliabile, perciò, monitorare l’eventuale
presenza di infezione stafilococcica eseguendo prelievi
sterili, mirati su bovine senza patologia clinica rilevabile e con
conteggi in cellule somatiche di poco superiori ai limiti di legge
tra 300 e 400.000 cellule per ml, rispettivamente previsti per
la produzione di latte crudo destinato alla produzione di latte
fresco pastorizzato di alta qualità e per le altre trasformazioni.
In questi casi, è necessario tenere presente che il campione
può risultare falsamente negativo e non utile per una diagnosi
precoce (2, 3).
D’altronde, considerata l’ubiquità di S. aureus e i fattori
predisponenti la sua diffusione in fase di mungitura, non è affatto
trascurabile il rischio di introdurre l’infezione in un allevamento
indenne. Le cause più frequenti sono l’acquisto di soggetti infetti
e il momento del parto di primipare o pluripare infettatesi come
manze o in asciutta. Una volta che uno o più soggetti infetti
MATERIALI E METODI
Nel 2005 è stato effettuato uno studio preliminare per realizzare
un modello predittivo basato sull’analisi statistica del conteggio
delle UFC di S. aureus isolato con l’esame batteriologico su 31
campioni di latte di massa aziendale correlato con i risultati ottenuti
in circa 4.000 campioni di latte di singola bovina (3). L’obiettivo
era di verificare la capacità del modello di prevedere in modo
affidabile il livello di prevalenza intra-allevamento dell’infezione,
utilizzando la matrice latte di massa, idonea per il monitoraggio
su larga scala dei piani di controllo/eradicazione.
Tuttavia, lo studio preliminare presentava dei limiti relativi
alla numerosità dei campioni e alla procedura di prelievo,
cronologicamente sfasata tra latte di massa e latte di singole
bovine dello stesso allevamento.
A questo riguardo, nel corso del 2009 e del primo semestre 2010
si è incrementata la numerosità dei campioni di latte di massa
e di singola bovina prelevati contestualmente in aziende della
provincia di Brescia.
Nel 2009 sono state reclutate 99 aziende di bovine da latte,
controllate anche più di una volta, per un totale di 120 prelievi.
Considerata la sfasatura temporale tra più prelievi eseguiti nella
stessa azienda, il numero totale di prelievi è stato considerato
come fosse rappresentativo di differenti aziende e quindi
indipendente ai fini dell’analisi statistica.
La validazione è stata eseguita nel primo semestre 2010
utilizzando i dati derivanti dal prelievo contestuale di campioni
di latte di massa e di singola bovina di altri 53 allevamenti da
latte. In totale, tra 2009 e 2010 sono state effettuate 3.462 esami
batteriologici per la ricerca di S. aureus e 1.177 determinazioni
45
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
per il conteggio delle cellule somatiche.
L’analisi batteriologica è stata eseguita utilizzando terreni di coltura
selettivo/differenziali specifici per S. aureus, seminando 0,1 ml
di latte su terreno Baird Parker, addizionato di supplemento (50
ml/L) così composto: 47 ml di emulsione sterile al 50% di tuorlo
d’uovo e soluzione fisiologica e 3 ml di soluzione acquosa al 3,5%
(p/v) di tellurito di potassio, sterile per filtrazione con supplemento
liofilizzato di plasma di coniglio e fibrinogeno bovino (RPF).
Le colonie non chiaramente identificabili come S. aureus in piastra
sono state sottoposte a verifica della reazione positiva alla prova
della coagulasi in provetta.
Per il conteggio delle cellule somatiche dei campioni è stato
utilizzato il metodo indiretto a citometria di flusso mediante
apparecchiatura automatica Fossomatic 5000.
Ai dati è stato adattato un modello di regressione logistica con
variabile dipendente il numero di capi infetti sul totale di soggetti in
lattazione e variabili indipendenti le UFC di S. aureus e il conteggio
delle cellule somatiche. Le covariate sono state sottoposte a
trasformazione logaritmica.
Ai fini della validazione esterna del modello si è proceduto a:
1- confrontare i valori stimati con il modello selezionato
con i valori di infezione osservati nel set di validazione
di dati raccolti nel 2010. Grazie all’esperienza pluritrentennale del Centro Miglioramento Qualità Latte
(CMQL) nell’assistenza alle aziende nella lotta contro le
mastiti, è stato possibile individuare tre classi di infezione
intra-allevamento, 0-9.99%, 10-25%, oltre 25%, utili
alla programmazione e gestione degli interventi in
azienda entro le quali verificare la capacità predittiva del
modello;
2- confrontare i coefficienti stimati con il modello selezionato
con i coefficienti stimati tramite un nuovo modello
adattato al solo set di validazione (53 aziende).
Figura 1. Distribuzione dei valori stimati dal modello e dei valori
osservati nel set di validazione
Pur rilevando una bontà di adattamento ai dati migliorabile,
da valutarsi alla luce dell’acquisizione di nuove informazioni,
considerata la semplicità di applicazione e la flessibilità del
modello oltre alla economicità e facilità di acquisizione della
matrice, si ritiene che il modello selezionato abbia mostrato delle
performance che lo rendono utile a livello operativo come sistema
di screening su latte di massa per la valutazione del grado
d’infezione da S. aureus. La sua applicazione presenterebbe i
seguenti vantaggi:
RISULTATI E DISCUSSIONE
Con la regressione logistica abbiamo evidenziato che le UFC
predicono con significatività statistica il livello di infezione
aziendale (LR test p<0.01). Il modello ha permesso di calcolare il
log odds per allevamento infetto: -4.674 + 0.68 * ln (UFC).
Per ottenere il valore di prevalenza è stata utilizzata la seguente
formula: Prevalenza = Odds/(1+Odds).
Ad esempio, in caso di 20 UFC, il valore stimato di prevalenza,
calcolato come exp (-4.674 + 0.68 * 3)/1+( exp (-4.674 + 0.68 * 3),
è pari a 0.1435 (14.3%).
La prevalenza intra-allevamento è risultata 1.98 più grande (CI
95%:1.90 -2.06) per incremento unitario di UFC espresse in unità
logaritmiche.
Aggiungendo la variabile cellule somatiche al modello, sebbene
si apporti un miglioramento della bontà di adattamento, non
si ottengono miglioramenti ai fini della discriminazione degli
allevamenti rispetto ai range di infezione individuati.
La validazione esterna del modello ha evidenziato una capacità
predittiva della prevalenza intra-aziendale accettabile, con una
classificazione globale corretta nel range di infezione in circa
l’81% dei casi (43/53). La percentuale di errore entro ciascuna
classe è risultata la seguente:
% Errore 1classe (0 -9,99) = 21,7%
% Errore 2classe(10,0 – 25,0) = 20,0%
% Errore 3classe(>25)= 15,0%
Come si può notare il modello presenta minor precisione nelle
prime due classi di infezione (figura 1).
I coefficienti stimati attraverso un modello adattato al set di
validazione sono risultati pari a: -4.42 (intercetta) e 0.64 a fronte
di -4.67(intercetta) e 0.68. Dal confronto si ha conferma della
discreta capacità predittiva del modello selezionato.
÷
offrire all’utenza (allevatori, caseifici, etc.) un nuovo servizio
diagnostico;
÷
svolgere indagini conoscitive estese con acquisizione di
dati a livello di allevamento da latte riguardo alla situazione
sanitaria nei confronti dell’infezione da S. aureus e in tempi
relativamente rapidi;
÷
programmare gli interventi prioritari a livello territoriale e
di allevamento all’interno di un piano di contenimento e/o
eradicazione dell’infezione;
÷
monitorare l’andamento dei piani di controllo o di
mantenimento dell’eradicazione;
÷
studiare il comportamento predittivo del nuovo modello
relativamente ad altri patogeni mammari.
BIBLIOGRAFIA
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Brescia Congreso Mundial de Buiatria, 28 Jornadas Uruguayas
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Vet. J. – Vol. 130 Suppl 2 (2008) – p 62
46
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RESISTENZA ALLA SCRAPIE CLASSICA IN CAPRE PORTATRICI DELLA MUTAZIONE K222 DEL GENE
DELLA PROTEINA PRIONICA (PRNP) INOCULATE SPERIMENTALMENTE
Acutis P.L..1, D’Angelo A. 2, Peletto S. 1, Colussi S.1, Zuccon F. 1, Martucci F. 1, Mazza M. 1, Dell’Atti L. 1,Corona C. 1, Iulini B.
1
, Porcario C. 1, Martinelli N. 3, Casalone C. 1, Maurella C. 1, Lombardi G. 3
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino
2
Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco, Torino
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia
Keywords: scrapie, capra, resistenza genetica
SUMMARY
Aim of this work was to investigate the genetic resistance in
K222 goats after experimental transmission of classical scrapie.
Five goats carrying the genotype Q/Q at codon 222 and five
222Q/K goats were intra-cerebrally inoculated with classical
scrapie. All the 222Q/Q goats died of scrapie, while four out of
the five 222Q/K goats are still alive. Statistical analysis showed
that 222Q/K goats present a probability of surviving significantly
higher than 222Q/Q animals. The results confirm that the K222
mutation gives protection against classical scrapie in goats.
organi e tessuti: sistema nervoso centrale (SNC) e periferico,
sistema linforeticolare (SLR), milza, apparato gastro-enterico,
apparato respiratorio, muscoli, apparato urinario, mammella,
cuore. La diagnosi di scrapie è stata effettuata mediante esame
istologico, immunoistochimico e Western blot. Con il Western
blot è stato inoltre effettuato un confronto tra l’inoculo di partenza
e la PrPsc degli animali deceduti, in termini di caratteristiche
biochimiche e distribuzione nell’encefalo. La differenza del
tempo di sopravvivenza tra i due gruppi è stata confrontata con
le stime di sopravvivenza di Kaplan-Meier.
INTRODUZIONE
La possibilità di controllare la scrapie nei caprini attraverso piani
di selezione e abbattimenti selettivi su base genetica, come
ormai consolidato nel caso degli ovini, è fortemente auspicabile,
soprattutto nei Paesi del bacino mediterraneo, caratterizzati
da consistenti popolazioni caprine. Diversi studi condotti in
Europa hanno suggerito che alcuni polimorfismi del gene
PRNP possono modulare la suscettibilità alla scrapie classica e
atipica nella capra. In particolare, in Italia e Francia, studi casocontrollo hanno mostrato un ruolo protettivo dato dalla mutazione
presentante lisina al codone 222 (K222) (1,2,3). Il limite di
queste indagini è legato al numero esiguo di animali studiati e al
fatto che i limiti dei mezzi diagnostici impediscono di valutare se
la resistenza genetica consista in un allungamento del periodo
di incubazione oppure in una resistenza alla manifestazione
clinica della malattia oppure ancora ad una vera resistenza
all’infezione. Questo aspetto è meglio valutabile con studi di
trasmissione sperimentale, che sono complementari agli studi
di campo e forniscono dati indispensabili per prendere decisioni
su eventuali nuove strategie di controllo su base genetica.
Scopo del presente lavoro è stato quindi valutare la resistenza
alla scrapie classica di capre portatrici della mutazione K222,
in seguito ad infezione intracerebrale. Obiettivi secondari sono
stati la valutazione della manifestazione clinica della malattia
nei caprini e la distribuzione della proteina prionica patologica
(PrPsc) nei diversi organi e tessuti.
RISULTATI
Al momento della stesura della presente comunicazione, tutti
gli animali con genotipo 222Q/Q sono deceduti per scrapie, con
un tempo medio di sopravvivenza di 18.6 mesi (±1.4) mentre
quattro delle cinque capre 222Q/K sono ancora vive e senza
segni clinici manifesti (periodo di sopravvivenza: 46.7 mesi).
Un animale 222Q/K è deceduto dopo 24 mesi dall’inoculo ma
è risultato negativo per scrapie all’esame del sistema nervoso
centrale e di tutti gli organi e tessuti periferici. L’analisi statistica
ha mostrato che gli animali 222Q/K presentano una probabilità
di sopravvivenza significativamente più alta degli animali wild
type (p<0.001).
Le visite cliniche neurologiche hanno evidenziato atassia,
tremori, ampliamento della base d’appoggio, prurito e lesioni
cutanee, perdita di pelo su collo e dorso. In due animali si sono
rilevati sintomi neurologici monolaterali: testa ruotata, strabismo
ventro-laterale monolaterale, atassia vestibolare e maneggio
(circling). I risultati delle analisi diagnostiche sui diversi organi e
tessuti campionati sono riportati nella tabella 1.
Tabella 1. Organi e tessuti delle cinque capre wild type
decedute per scrapie in cui è stata rilevata la presenza di
PrPsc. In parentesi sono riportati il numero di animali sul
totale in cui è stata riscontrata positività.
MATERIALI E METODI
Cinque capre di genotipo Q/Q al codone 222 (wild type)
e cinque capre con genotipo 222Q/K sono state inoculate
intracerebralmente a cinque mesi di età. L’inoculo è stato
preparato mediante omogeneizzazione in soluzione fisiologica
sterile di tessuto cerebrale (10% w/v) proveniente da un caprino
naturalmente affetto da scrapie classica, di genotipo wild type.
Una soluzione antibiotata costituita da penicillina e streptomicina
è stata aggiunta all’inoculo e ne è stata testata la sterilità
prima dell’utilizzo. Tutti gli animali sono stati stabulati in uno
stabulario di classe III e sono stati osservati quotidianamente
per la rilevazione della comparsa di segni clinici. Mensilmente è
stato condotto un esame clinico neurologico con registrazione
della eventuale sintomatologia. Sugli animali deceduti è stato
effettuato un esame autoptico e il prelievo di campioni di diversi
47
SNC (5/5)
Mucosa
rettale (3/5)
Sistema
olfattorio (3/5)
Diaframma
(2/5)
Tonsilla
(5/5)
Placche del
Peyer (5/5)
Lingua (2/5)
Cuore
(2/5)
SLR (5/5)
Esofago
(2/5)
Milza (5/5)
Reticolo
(3/5)
3^ palpebra
(2/5)
Omaso (3/5)
Muscolo
bicipite
brachiale (2/5)
Ghiandole
salivari
(1/5)
Intestino
(4/5)
Muscolo
tricipite
femorale (3/5)
Massetere
(2/5)
Muscoli
intercostali
(2/5)
Nervo
ottico (4/5)
Rene (1/5)
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
La PrPsc riscontrata negli animali positivi presentava le stesse
caratteristiche immunobiochimiche (peso molecolare, glicotipo)
dell’inoculo di partenza e simile distribuzione nell’encefalo,
con maggiore presenza di PrPsc nel tronco encefalico, nel
cervelletto e nei nuclei della base, come illustrato nel grafico 1.
In generale la quantità di PrPsc presente negli animali inoculati
è risultata superiore a quella presente nell’encefalo della capra
con scrapie naturale da cui è stato ricavato l’inoculo.
RINGRAZIAMENTI
La ricerca è stata svolta grazie ai finanziamenti del Ministero
della Salute nell’ambito della Ricerca Corrente 2005: progetto
codice IZSPLV 14/05, dal titolo: “Scrapie nella capra: studio
della suscettibilità genetica tramite infezione sperimentale e
valutazione dei test diagnostici rapidi”.
BIBLIOGRAFIA
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(2009) Identification of seven haplotypes of the caprine PrP gene
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of General Virology 90: 769-776.
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F., Grassi J., Schelcher F. (2004) PrPSc accumulation in myocytes
from sheep incubating natural scrapie. Nature Medicine 10: 591 –
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L., Maestrale C., Basagni M., Saba M., Heikenwalder M. (2007)
Intraepithelial and interstitial deposition of pathological prion protein
in kidneys of scrapie-affected sheep. PLoS One 12: e859.
Grafico 1. Distribuzione della PrPsc in diverse aree
encefaliche degli animali infettati sperimentalmente e della
capra da cui è stato ricavato l’inoculo. In ordinata i valori di
densità ottica relativi, ricavati dal confronto con un campione
di tronco encefalico di ovino positivo, utilizzato come
riferimento e non riportato sul grafico.
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti confermano il ruolo protettivo esercitato dalla
mutazione K222 nei confronti della scrapie classica caprina.
Sarà necessario attendere la fine dello studio, quando tutti
gli animali saranno stati sottoposti a diagnosi post-mortem,
per chiarire se questa mutazione conferisca vera resistenza
all’infezione oppure uno stato di portatore sano. A tal fine si
prevede inoltre di procedere all’inoculo di tessuti delle capre
Q/K, se negative, in animali da laboratorio, per escludere la
presenza di infettività.
Lo studio ha permesso di raccogliere dati interessanti sulla
clinica e sulla distribuzione della PrPsc nell’organismo.
Degno di attenzione è il riscontro di lateralizzazione di alcuni
segni clinici, in quanto trattasi di un pattern che spesso viene
preso in considerazione per orientare il sospetto diagnostico
su patologie neurologiche diverse dalla scrapie.
Altrettanto interessante è il riscontro dell’ampia diffusione della
PrPsc negli organi e tessuti, comprendente distretti extraneurali
finora mai riscontrati positivi nelle capre, oppure segnalati
in casi singoli, ma evidenziati negli ovini (ghiandole salivari,
prestomaci, muscoli, volute etmoidali, rene) (4,5,6,7,8,9). La
non costante positività della 3^ palpebra e della mucosa rettale
presenta implicazioni nell’ottica dell’utilizzo di questi distretti
per la diagnosi in vita tramite biopsia.
La sovrapponibilità dei profili di distribuzione della PrPsc
nell’encefalo dei diversi animali e nella capra utilizzata per
ottenere l’inoculo è indicativa di un neurotropismo proprio
del ceppo di prione, indipendente dalla via di penetrazione
nell’organismo.
In conclusione, lo studio rafforza ulteriormente l’ipotesi che la
mutazione K222 conferisca resistenza alla scrapie classica
nella capra e che possa costituire quindi il target di un piano
di selezione genetica da utilizzare per il controllo della scrapie
caprina.
48
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ISOLAMENTO DI STAPHYLOCOCCUS PSEUDINTERMEDIUS METICILLINO-RESISTENTE IN CAGNE
FATTRICI DI ALLEVAMENTO
Corrò M.1 *, Milani C.2, Drigo I.3, Sturaro A.1, Rota A.3
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Diagnostica Clinica Legnaro (PD).
Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie, Legnaro (PD).
3
Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Patologia Animale, Grugliasco (TO).
Key words: Staphylococcus pseudintermedius, meticillino-resistenza, cane
ABSTRACT Methicillin-resistant coagulase-positive
Staphylococci represent an emerging problem in human and
veterinary medicine because of both patient factors and public
health issues. Many scientific works warn about the risk that
excessive and uncontrolled use of antimicrobials in livestock
leads to the selection of resistant bacteria strains. In this work
we 1) investigated the occurrence of methicillin-resistance
and multidrug resistance in Staphylococcus pseudintermedius
strains isolated from breeding dogs and 2) compared the
frequency of isolation among kennels differing in the use
of antimicrobials. Our data confirm the negative effect of
antimicrobials overuse.
MATERIALI E METODI. Sono stati presi in considerazione 13
allevamenti di cani di razze diverse del nord Italia. Sulla base
dei dati anamnestici raccolti, riguardanti l’uso di antibiotici
nel peripartum, gli allevamenti sono stati raggruppati in tre
categorie: 1) uso sporadico di beta-lattamici: 5 allevamenti; 2)
utilizzo di routine di beta-lattamici nel peripartum: 5 allevamenti;
3) elevato e non controllato uso di diversi principi attivi (betalattamici; cefalosporine di II e III generazione; macrolidi) in varie
fasi del ciclo riproduttivo: 3 allevamenti. I campioni prelevati
dalle femmine gravide comprendevano: tamponi vaginali e/o
secreto mammario, entrambi prelevati 7-10 giorni prima del
parto; latte prelevato circa una settimana dopo il parto.
In totale sono state esaminate 85 cagne, con un decorso
gravidico nella norma e in assenza di sintomatologia clinica a
carico dell’apparato genitale e tegumentario.
I campioni sono stati sottoposti ad esame batteriologico per
evidenziare la flora microbica presente nel tratto vaginale
e nel latte con particolare attenzione all’evidenziazione di
stafilococchi coagulasi positivi.
I ceppi di stafilococco coagulasi positivi sono stati identificati
mediante prove biochimiche e biomolecolari (test della
coagulasi; identificazione fenotipica mediante API Staph 32ID
Biomerieux, PCR per l’identificazione di specie mediante
biologia molecolare (1)) e saggiati per valutare le caratteristiche
di antibiotico-resistenza (test della diffusione in agar con il
metodo Kirby-Bauer secondo le linee guida del CLSI (3); prova
di crescita su terreno selettivo (ORSAB, Oxoid, Basingstoke,
United Kingdom); ricerca del gene mecA mediante PCR (8).
Per l’antibiogramma è stato utilizzato un pannello di 16 principi
attivi impiegati nella pratica diagnostica di routine (tabella 1),
che ha permesso di effettuare un primo screening relativo al
comportamento nei confronti dell’oxacillina (OX 1 µg/ml), usato
come marker per la valutazione della meticillino-resistenza e
di evidenziare la contemporanea presenza di resistenza nei
confronti di altre classi di antibiotici.
INTRODUZIONE. L’isolamento di stafilococchi coagulasi
positivi è frequente negli animali e nell’uomo: per lo più si tratta
di microrganismi che colonizzano cute e mucose dell’ospite,
ma talvolta possono essere responsabili di infezioni acute e
croniche e di forme setticemiche. Tra le specie più importanti
vi sono Staphylococcus aureus, isolato prevalentemente
da uomo, coniglio, bovino, suino e Staphylococcus
pseudintermedius, isolato frequentemente da cane e gatto,
sia da soggetti sani, sia da animali con infezioni cutanee (otiti,
piodermiti) o da infezioni post-operatorie (4, 9, 10). Questi
microrganismi hanno assunto negli ultimi anni un’importanza
crescente per la comparsa di ceppi resistenti agli antibiotici, in
particolare alla meticillina, con serie conseguenze per la salute
umana e animale. Nell’uomo le prime segnalazioni di ceppi
di Staphylococcus aures meticillino-resistenti risalgono agli
anni ’60, in casi di forme setticemiche, insensibili a trattamenti
farmacologici, in pazienti ospedalizzati (4). Più di recente,
ceppi con caratteristiche analoghe sono stati evidenziati in
individui mai ospedalizzati e negli animali domestici (2, 4). La
presenza di stafilococchi meticillino-resistenti è stata riportata
nel cavallo e nel suino, in quest’ultimo caso con isolamento
degli stessi ceppi anche dalle vie aeree superiori degli
addetti all’allevamento (2). Rare sono invece le segnalazioni
in ruminanti, conigli ed avicoli, tuttavia una recente indagine
condotta su campioni di latte bovino dai colleghi dell’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia
Romagna ha messo in evidenza percentuali particolarmente
elevate di ceppi di Staphylococcus aureus meticillino-resistenti
nei campioni analizzati (13%) (2). La meticillino-resistenza
è codificata a livello genetico dal gene mecA situato in un
cromosoma mobile denominato ‘Staphylococcal cassette
chromosome mec’ (SCCmec). Questo cromosoma, oltre
a contenere il gene mecA, può presentare altre sequenze
geniche che si esprimono con resistenze nei confronti di altri
principi attivi (4, 9). Per tale motivo i ceppi meticillino-resistenti
sono spesso caratterizzati anche da multi-resistenza (3, 9).
La nostra indagine si è proposta di mettere in evidenza la
presenza di stafilococchi coagulasi positivi meticillino-resistenti
in una popolazione di cani sani allevati a scopo riproduttivo,
valutando eventuali relazioni tra la loro presenza e il livello di
impiego degli antibiotici nei diversi allevamenti.
RISULTATI. In totale sono stati isolati 87 ceppi di stafilococco
coagulasi positivi da 60 fattrici: 34 dalla vagina, 11 dal secreto
mammario, 42 dal latte postpartum. Tutti sono stati identificati
come Staphylococcus pseudintermedius. Gli isolati hanno
evidenziato un’elevata percentuale di resistenza a penicillina
(93.1%), ampicillina (90.8%), spiramicina (89.6%) e in misura
minore a tetracicline (48.3%) e streptomicina (41.4%). Otto
ceppi isolati dal latte sono risultati resistenti all’oxacillina (9%),
di quest’ultimi, sette sono risultati positivi per la presenza del
gene mecA, con una percentuale di ceppi meticillino-resistenti
mecA positivi tra gli stafilococchi isolati dell’8%.
I ceppi meticillino-resistenti sono stati isolati tutti da due
allevamenti facenti parte del raggruppamento 3, quello
caratterizzato da un uso elevato e non controllato di antibiotici
in diverse fasi dell’allevamento delle fattrici.
Circa il 40% dei ceppi di Staphylococcus pseudintermedus
isolati, compresi i ceppi meticillino-resistenti, sono inoltre
risultati multi-resistenti (fig.1).
49
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Figura 1. Percentuali di resistenza a penicillina, ampicillina, spiramicina,
tetraciclina, streptomicina, oxacillina tra i ceppi di Staphylococcus
pseudointermedius isolati.
DISCUSSIONE. I dati ottenuti da questa indagine confermano
quanto riportato in letteratura e cioè che un uso eccessivo
o senza controllo di antibiotici negli allevamenti animali,
possa determinare nel tempo la selezione di ceppi batterici
multi-resistenti e meticillino-resistenti (9). Non è ancora
completamente chiarito, se questi ceppi possano trasmettersi
all’uomo provocando direttamente patologie. Infatti, se in
alcune situazioni è stato dimostrato che gli animali hanno
rappresentato una fonte di contagio per l’uomo in caso di
infezioni da Staphylococcus aureus (4), rare ed occasionali sono
le infezioni umane dovute a Staphylococcus pseudintermedius
trasmesso dagli animali da compagnia (5, 6, 7).
Il rischio per la salute umana sembrerebbe legato soprattutto,
con l’eccezione probabilmente di Staphylococcus aureus, alla
possibilità che la resistenza alla meticillina possa essere trasferita
da una specie batterica all’altra, attraverso meccanismi già
noti tra i batteri: coniugazione, trasduzione, trasformazione (4).
Pertanto l’allarme per l’isolamento di ceppi di Staphylococccus
pseudintermedius meticillino-resistenti dagli animali domestici
non è dovuto principalmente a una maggiore patogenicità o
a un loro ruolo come agenti di zoonosi, bensì alla possibilità
che questi ceppi costituiscano una fonte di resistenza agli
antibiotici trasmissibile ad altre specie batteriche, tra cui anche
specie patogene per l’uomo, un’evenienza favorita, nel caso
particolare, dallo stretto contatto che si realizza tra uomo e
animale da compagnia.
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Tabella 1. Profili di resistenza dei ceppi di Staphylococcus
pseudintermedius meticillino-resistenti isolati dalle fattrici
Ceppo
1
2
3
4
5
6
7
8
allevamento
(gruppo)
A
(3)
A
(3)
A
(3)
A
(3)
B
(3)
B
(3)
B
(3)
B
(3)
Penicillina
R
R
R
R
R
R
R
R
Ampicillina
R
R
R
R
R
R
R
R
Amoxicillinaacido clavulanico
R
R
R
R
R
R
R
R
Oxacillina
R
R
R
R
R
R
R
R
Cefalexina
R
I
R
S
R
R
R
R
Cefuroxime
R
R
R
S
R
R
R
R
Spiramicina
R
R
R
R
R
R
R
R
Rifampicina
S
S
S
S
S
S
S
S
Tilmicosina
R
R
R
R
R
R
R
R
Tilosina
R
R
R
R
R
R
R
R
Tetraciclina
R
R
S
I
R
R
R
R
Streptomicina
R
R
R
R
R
R
R
R
Gentamicina
R
I
R
I
R
I
R
R
Enrofloxacina
R
R
R
R
R
R
R
R
Trimethoprimsulfamethoxazolo
Tiamulina
R
R
R
R
R
R
R
R
S
S
S
S
S
S
S
S
Gene MecA
+
+
+
+
+
-
+
+
R: resistente; S: sensibile; I:intermedio
50
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PRESTAZIONI DEL SISTEMA AUTOMATICO VERSATREK NELLA RICERCA DI MYCOBATTERI IN CAMPIONI
DI ORGANI ANIMALI IN RAPPORTO AL METODO CONVENZIONALE
Manunta D., Ziccheddu M., Patta C., Lollai S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”
Key words: automazione, Mycobatteri, confronto metodi
ABSTRACT
Our objective was to compare the performance of the
automated VersaTREK system and the conventional culture
method for the detection of Mycobacteria in animal samples.
Clinical specimens were processed using standard procedures
and then inoculated onto VersaTREK vials and Stonebrink
slants. Twenty-two mycobacterial isolates were recovered
from 72 samples. Ten isolates not detected by conventional
method were revealed by the VersaTREK System. Mean time
of detection resulted 16 d for VersaTREK (range = 8-46 d) and
39 d (range = 22-65 d) for traditional method. The VersaTREK
system improved detection rate and reduced the detection
time of Mycobacteria.
inoculati nei terreni Stonebrink TB Medium+PACT (polimixina
B, anfotericina, carbenicillina e trimethoprim) (BD-BBL, USA) e
Lowenstein-Jensen (BioMerieux, F) ed incubati a 37 °C fino a
12 settimane. I campioni risultati positivi sono stati confermati
per la presenza di batteri acido-alcol-resistenti con esame
microscopico e gli isolati identificati tramite PCR (1, 4, 6, 7),
nel caso del VersaTREK direttamente dalla brodocoltura.
L’estrazione del DNA è stata eseguita con il kit DNeasy Tissue
kit (QIAGEN). Il confronto tra il metodo tradizionale ed il
VersaTREK è stato fatto valutando la Positive Deviaton (PD;
numero dei risultati positivi rispetto al metodo scelto come
confronto), la Negative Deviation (ND; numero dei risultati
negativi rispetto al metodo di confronto), la Relative Accuracy
(RA; grado di corrispondenza tra i risultati dei 2 metodi sugli
stessi campioni), la Relative Sensitivity (RSe; abilità del
metodo testato di evidenziare l’analita quando questo è trovato
dal metodo di confronto) e la Relative Specificity (RSp; abilità
del metodo testato di non trovare l’analita quando questo
non è trovato dal metodo di confronto) (5). Per stabilire la
significatività delle diverse prestazioni dei metodi, l’analisi
delle discordanze è stata fatta con il test di McNemar (9). Il trial
comprende alcuni campioni dallo stesso capo.
INTRODUZIONE
La microbiologia è tra le scienze di laboratorio quella che
si è meno avvantaggiata dell’automazione (3). Tuttavia
tentativi coronati da successo sono entrati nella diagnostica
microbiologica umana già da oltre 30 anni, riguardando, tra gli
altri aspetti, la standardizzazione e dispensazione dell’inoculo
microbico per l’identificazione e l’antibiogramma (es. Sistema
Phoenix e Sceptor, BD, USA), l’automazione dell’urinocoltura
(es. sistema MS2 Abbott, USA), l’identificazione batterica
(sistema Vitek, bioMerieux, F) e la rilevazione sensibile e
rapida dello sviluppo microbico (sistemi Bactec, BD, USA;
BacT/ALERT, bioMerieux, F). Quest’ultima tecnica è risultata
particolarmente adatta per la rilevazione di batteri a lenta
crescita eventualmente presenti in campioni clinici, quali i
Mycobatteri, riducendo notevolmente i tempi di risposta (2).
Il sistema VersaTREK (Trek Diagnostics, USA), è un sistema
automatizzato di recente introduzione (inizio 2005) impiegato
per la rilevazione rapida dello sviluppo microbico, ed in grado
di evidenziare la crescita dei microrganismi dalle variazioni di
pressione dovute al consumo/produzione di gas da parte del
metabolismo batterico all’interno del flacone della brodocoltura.
Il presente lavoro riporta i risultati al momento ottenuti nel
confronto tra il VersaTREK 240 Model ed il metodo colturale
convenzionale per la ricerca di Mycobatteri in campioni di
organi animali. Nonostante l’introduzione dell’automazione
della ricerca dei Mycobatteri sia già stata segnalata in ambito
veterinario (8), sono ancora scarse, in quest’ambito, le
informazioni sulle prestazioni del sistema VersaTREK.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Sono risultati positivi 22 campioni (2 Mycobacterium avium
complex, 6 Mycobacterium spp., 8 Mycobacterium bovis e 6
Mycobacterium caprae), tutti rilevati dal sistema automatico.
Il VersaTREK ha identificato come positivi 10 campioni in più
rispetto al metodo colturale tradizionale (6 Mycobacterium spp.
e 4 Mycobacterium caprae). Il sistema convenzionale ha quindi
mostrato, nel confronto una ND pari a 10. Le RA, RSe, RSp
del metodo tradizionale rispetto alle migliori prestazioni del
VersaTREK sono state rispettivamente 0,86 (IC=0,78÷0,94;
P=95%), 0,55 (IC=0,33÷0,76; P=95%) e 1,0. Il tempo medio di
rilevazione è stato di 16 gg (range = 8-46 gg) per il VersaTREK
e di 39 gg per il metodo convenzionale (range = 22-65).
Fig. 1 – Confronto tra il recupero di Mycobatteri con sistema
VersaTREK e metodo convenzionale
MATERIALI E METODI
Settantadue campioni di organi bovini (70 linfonodi e 2
campioni di polmone) sono stati omogenati in soluzione
fisiologica tramite Stomacher (Seward, UK). Gli omogenati,
decontaminati con NaOH al 4%, sono stati inoculati in flaconi
VersaTREK Myco, contenenti brodo
Middlebrook 7H9 addizionato con Myco GS supplement (acido
oleico, albumina bovina, destrosio, catalasi, cloruro di sodio)
e Myco AS Supplement (polimixina B, azlocillina, fosfomicina,
acido nalidixico, amfotericina B) (Trek Diagnostics, USA). Le
colture sono state incubate nello strumento, in grado effettuare
un monitoraggio delle pressioni dei flaconi ogni 24 minuti, e
segnalare con allarme visivo ed acustico i flaconi positivi. Per
la coltura convenzionale, 0.2-0.3 ml di omogenato sono stati
51
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Il limite inferiore del range (8 e 22 gg per il metodo VersaTREK
e convenzionale rispettivamente) corrisponde al tempo di
rilevazione di un Mycobacterium avium complex; il limite
superiore (46 gg per il VersaTREK) ad un Mycobacterium
caprae, non rilevato col metodo convenzionale (Fig. 1).
Il confronto delle prestazioni tramite il test di McNemar (d2 corr.
Edwards=8,1) ha mostrato una differenza molto significativa
tra i due metodi (alfa<0,01). Nonostante il numero di risultati
sia ancora insufficiente per conclusioni sicure, lo strumento
VersaTREK ha indicato, anche nel campo oggetto dello
studio, le possibilità di miglioramento offerte alla diagnostica
microbiologica dall’approccio strumentale e automatizzato, sia
nella maggiore capacità di rilevazione sia nella riduzione dei
tempi di risposta rispetto al metodo convenzionale.
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52
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
LENTIVIRUS DEI PICCOLI RUMINANTI: VARIABILITA’ ANTIGENICA E BIOLOGICA E POTENZIALITA’
PROFILATTICHE
Sergio Rosati
Università degli Studi di Torino
La diagnostica sierologica basata su un singolo stipite
virale risulta adeguata solo per ceppi di campo omologhi
al genotipo dell’ antigene diagnostico. Di importanza non
secondaria vi è la trasmissione interspecifica. Sempre
più frequentemente vengono infatti identificati ceppi
MVV-like nelle capre (es.: Svizzera) e ceppi CAEVlike nelle pecore (es.: Francia, Italia, Spagna). Sia la
variabilità antigenica che la trasmissione interspecifica
dei lentivirus dei piccoli ruminanti devono essere tenute
in considerazione per affrontare in modo razionale i
futuri piani di eradicazione. Diverse strategie vaccinali
sono state intraprese in prove sperimentali con risultati
altalenanti, spesso contraddittori e senza che fosse mai
dimostrata refrattarietà alla superinfezione con stipiti
virulenti.
Attualmente i lentivirus dei piccoli ruminanti sono classificati
in 5 genotipi. Il genotipo A comprendente gli stipiti Maedi
Visna ed il genotipo B comprendente gli stipiti CAEV.
Entrambi questi genotipi sono diffusi su scala mondiale
e le loro infezioni associate a quadri clinici ben definiti. In
Italia è stato recentemente identificato l’ ultimo genotipo
in ordine cronologico: il genotipo E, comprendente stipiti
caratterizzati da delezioni nel genoma che riducono
notevolmente la attività patogena. Dal punto di vista
antigenico, le infezioni da lentivirus possono essere
classificate in almeno 3 varianti sierologiche ( sierotipi
A, B ed E) sulla base della reattività verso l’ epitopo
immunodominante dell’antigene capsidico e del dominio
di transmembrana.
53
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS IN NATURALLY INFECTED
MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 1
Autorino G.L. ,Caprioli A., Rosone F., Mastromattei A., Lai O., Grifoni G., Saralli G., Alfieri L.,
Ciccia F. Giordani F., Scicluna M.T.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana,
Centro di referenza nazionale per le malattie degli equini, Via Appia Nuova 1411, Roma.
Key Words: Equine infectious anaemia, mules, pharmacological reactivation
SUMMARY
Equine Infectious Anaemia (EIA) is a viral vector borne disease
of equids, including mules. In Italy, a high seroprelavence of
this infection was observed in the mule population. In view of
this situation and because of the scare information in literature
relative to the infection in these animals, a study was conducted
to evaluate the clinical, haematological and serological response
of immune suppressed EIA infection in eleven naturally infected
mules. The pharmacological immune suppression resulted in
fever and/ or thrombocytopenia of eight mules. Of these, four
mules also registered an increase of the serological response
to the EIA virus. No direct correlation was observed between
the clinical and haematological response and the serological
reactivity. This study is the first report of the pharmacological
reactivation of the EIA infection carried out to investigate the
epidemiological role of these animals in the persistence and
spread of EIA.
the same conditions for the whole experiment. Procedures of
animal handling and experimentation were performed under
veterinary supervision, according to the present European
Regulations on Animal Experimentation.
Prior to the pharmacological reactivation of the EIA infection, the
mules were treated for infections which could have interfered
with the outcome of the EIA reactivation. The animals were
vaccinated against EHV 1 and 4, treated for piroplasmosis and
dewormed for intestinal parasites.
The animals were also reconfirmed as seropositive for the EIA
virus (EIAV) before the start of the experiment in at least the
following serological methods in C - Elisa and immunoblot (IB)
described further on.
Procedures for immune suppression were based on protocols
described by Craigo J.K. et al., (2). Briefly, dexamethasone was
administered intramuscularly for 8 days at a dose of 0.11mg/kg
body weight/day for all except for 2 mules for which administration
was extended to day 12. The mules were monitored daily for
adverse reactions to treatment.
Skin tests for delayed-type hypersensitivity (DTH) reactions
were performed during the pre-immune suppression and post
immune suppression (P.IS.) periods and consisted in shaving
and cleaning small areas on the neck and inoculating at different
sites on the necks both 50μg of phytohemagglutinin (PHA) in
1ml of saline and 1ml of saline alone. The net increase in skin
thickness was determined from measurements made with
constant tension callipers 24 hours post-injection of antigen.
DTH ratios were calculated as the ratio of antigen (PHA) reaction
to control (saline) reaction.
The clinical signs for which the animals were controlled during
the whole observation period, starting from 7 days prior to
the 1st day of cortisone treatment (day 0) to 28 days later,
were those described by Leroux C. J. et. al. (2004) as those
typically occurring during an EIA infection in horses: rise in body
temperature, thromocytopenia. Other clinical signs for which the
mules were monitored were alteration of their general condition,
oedema, anaemia and congestion of the ocular and buccal
mucosa, petechiae and jaundice. To avoid bias of registration of
clinical signs by having the same operator for the P.IS. period.
Rectal temperatures were constantly measured at the same
hour of the day and for these animals, a rectal above 39°C was
considered as fever.
Biological samples for haematological and serological analyses,
represented by blood, with and without anticoagulant, were
collected daily for the whole experimental observation period.
Blood samples, collected throughout the whole experimental
period, from the jugular vein in tubes with and without K3-EDTA,
were refrigerated at 4°C and immediately sent to the laboratory.
An automated counter Cell-Dyn 3700 (ABBOTT) was used to
determine the platelet (PLT) counts. Baseline value for PLT was
fixed at 100 x 103/µl.
Serum was obtained from blood samples after centrifugation for
10 minutes at 179 g, the supernatant was then collected and
stored at –20°C.
The serological methods used in the study were the following:
INTRODUCTION
EIA is a viral vector borne disease of equids even if epidemics
have been traced to the multiple use of hypodermic needles and
to the injection of substances contaminated with blood.
In Italy, since 2007 an extraordinary surveillance programme for
the control of EIA was implemented due to a series of important
outbreaks which had occurred over a short period in the spring
of 2006. The programme imposes the serological control of
all horses, donkeys and mules apart those reared for human
consumption. During each of the three annual campaigns till
now held, a marked higher seroprevalence was observed in
mules, even if the numeric consistency of this population was
conspicuously inferior when compared to that of the donkey
and horse population. The numerous cases of EIA registered in
these animals have until now never been reported in surveillance
programmes held even in other countries. In view of this and also
due to the limited literature available regarding EIA in mules,
epidemiological, etiological and clinical studies of the infection in
these animals have been undertaken to better understand their
role in the persistence and spread of this infection.
In particular, this study reports the clinical, haematological and
serological evolution of EIA in naturally infected mules following
pharmacological reactivation.
MATERIALS AND METHODS
Experimental Animals: 11 EIA seropositive mules were recruited
for the study coming from the provinces of Rieti, Rome,
Frosinone, Latina and Aquila. Although the animals apparently
came from independent outbreaks, the geographic localisation
of these animals was in a relatively restricted area, represented
by the dorsal area of the pre-Apennines of Central Italy.
The mules were identified with consecutive numbers from 1 to
11. The age of the animals ranged widely, with mules 2 and 11,
between the age of 1 and 2 years, mules 1, 5, 6, 7, 9 and 10
between the age of 8 and 13 years, mule 8, of the age of 17
years and the mules 4 and 3, 22 and 30 years respectively.
All the animals were housed together and kept and feed under
54
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
an in-house C-Elisa, the Agar Gel Immunodiffusion Test (Agid)
and the Immunoblotting (IB). The reason for employing these
tests was that they are the serological methods contemplated in
the EIA surveillance programme and therefore used to evaluate
possible difference in reactivity for each method through the
course of the trial.
The methods are briefly described as following.
The in-house C-Elisa used was developed in collaboration with
the Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lombardia
ed Emilia Romagna. The method consists in sensitising Nunc
Maxisorp ® plates overnight at 4° C, using as catcher an anti-p26
monoclonal antibody (Mab) diluted in phosphate buffer solution.
In time for the end of the sensitisation, the serum samples are
prepared by diluting them from 1/3 to 1/192 on inert microplates
in PBS pH 7,2 –7,4, containing yeast extract (0.05%) and
mouse serum (1%) together with the following internal controls:
an antigen control, a positive and negative control and a blank
reaction control. The recombinant p26 antigen is added to the
samples and controls, all of which are examined in double
replicates, so that the final dilutions obtained are the double
those mentioned earlier (from 1/6 to 1/384). At the end of a 75’
incubation at 37°C, the samples and controls are transferred
onto the previously washed sensitised plate. On terminating the
distribution of the samples, the horseradish conjugated tracer
Mab is added, so as to then proceed with another incubation
under the same conditions as before. The reaction is developed
by the addition of OPD substrate and stopped after 10’, using
1M sulphuric acid. The samples reactivity is read at 492 nm
using a spectrophotometer.
The results are interpreted using the following algorithm:
Percentage Inhibition (PI) = 100 - (OD mean of sample/OD
mean of negative control X 100). The end–point titre of a serum
was the reciprocal of the dilution which was still below 50%
inhibition.
The Agid was carried out using the method described by the
Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals
2010 as well as that described by Coggins (5). The antigen
used for both methods is the recombinant p26, produced by our
Institute (1). After 24 – 48 hours the plates are examined for the
precipitation line between the sample the antigen well, typical of
a positive serological reaction in Agid.
The IB was conducted as described by Issel C. J. et. al., (4),
diluting 1/50 the negative and positive controls and the samples,
or 1/80 if the reactivity of the serum was still too strong. The
reagents, as well as the internal controls, were supplied by the
same authors. The samples were examined for their reactivity
for the capsid protein p26 and for the transmembrane (gp45)
and the surface (gp 90) glycoproteins.
For all the serological methods, the samples of each mule were
examined all together on the same day, as also on the same
plate for the C- Elisa and on the same membrane for the IB to
avoid possible variability arising from examining the samples at
different times.
An EHV 1 and 4 duplex Real Time PCR as decribed by Damiani
A. et. al., (4) was carried out on the nasal swabs collected during
the P.IS. period to verify the reactivation of these possible latent
Herpesvirus infections.
Remaining results and discussion are presented in Part- 2.
Acknowledgments
This study was conducted within the National Research Project
IZSLT 07/08 RC with the financial support of the Italian Ministry
of Health
We would like to thank Dr. Charles Issel and Dr. Frank Cook,
from Gluck Equine Research Institute - Kentucky, USA, for their
precious adivice in the set-up of the experiment.
We would like to thank Dr. R. Cavallina and Dr. R. Condoleo for
their precious collaboration.
We would like to thank the following technical staff for their
precious assistance: A. Altigeri, D. Caciolo, F. Della Verità,
A. Denisi, E. Letizia, G. Manna, F. Piovesan, S. Polenta, S.
Sabatini, M Simula, M.Zini.
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should the agar immunodiffusion test still be used for screening
and as unique confirmatory test? X Congresso Nazionale S:I.
Di.L.V. – Alghero pag.78.
8) Howe H. et. al., 2005 Specificity of serum neutralizing
antibodies induced by transient immune suppression of
inapparent carrier ponies infected with a neutralization-resistant
equine infectious anemia virus envelope strain. J. Gen. Virol.
86, 139–149
Results - Part 1
Verification of immune suppression (Figure 1): prior to immune
suppression, DTH tests were performed to establish baseline
levels of immune reactivity. The DTH assays indicated as also
observed by other authors (2) .an effective suppression of host
immunity by day 8 for all mules except for mule 1 and 11 which
was reached by day 12 of the drug treatment.
55
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PHARMACOLOGICAL REACTIVATION OF EQUINE INFECTIOUS ANAEMIA VIRUS IN NATURALLY INFECTED
MULES: CLINICAL, HAEMATOLOGICAL AND SEROLOGICAL RESPONSES - Part 2
Autorino G.L. , Rosone F., Caprioli A., Canelli. E., Mastromettei A., Scicluna M.T.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana,
Centro di referenza nazionale per le malattie degli equini, Via Appia Nuova 1411, Roma.
Key Words: Equine infectious anaemia, mules, pharmacological reactivation
Part 1 of this study reports the introduction, materials and
methods and the first part of the results
Results
Platelet count (Figure 2): thrombocytopenia was not
observed for mules 6, 7 and 8. For mules 1 to 5 and 9 to
11, thrombocytopenia occurred between day 8 and 28 P.IS..
The duration of thrombocytopenia was variable, lasting for
one day in mules 2, 9 and 11, two days for mule 10, three
days for mule 3 and 4, five days for mule 5 and seven days
for mule 1. Values inferior to the baseline were generally
very low even when short-lived.
Highest temperature of 41°C was observed in mules 1, 10
and 11, while the duration of the fever varied, just one day
for mule 2, three days for mules 1 to 4 and 11, four days
for mule 10 and five days for mule 5. Hyperthermia was
discontinuous
The other clinical signs for which the mules were monitored,
apart from fever and thrombocytopenia, were present only
in a mild to an unapparent and were observed in all mules.
These were concomitant to fever and thrombocytopenia or
following these two events.
Serological results are presented are relative to the samples
at weekly intervals from day -7 to 28 P.IS.
C-Elisa (Figure 4): all animals, except for mule 6, reacted in
the Elisa using p26 as antigen. Mules with generally low titres
were 3, 5 and 7 , while mule 11 was positive only on day 28 P.
IS.. The remaining mules (1, 2, 4, 8, 9 and 10) had medium to
high titres. Rise in titres were registered on day 14 for mule 7
and on day 21 for mules 3, 8, 9 and 10, with a sharp increase
for the last two mules, as for also mules 5 and 11 but on
day 28, especially for the latter, which from negative become
positive. Decrease for mule 4 was observed on day 14 P.IS..
Although when recruited mule 6 had also been positive in
the C-Elisa, the animal remained constantly negative for this
method throughout the whole observation period.
Temperature (Figure 3): increase in rectal temperature >
39°C was registered for mules 1 to 5 and 10, between day
9 and 17 P.IS, while for mule 11, between 21 and 24 days
P.IS.. for mules 3, 4 and 11.
Agid (Figure 5): reactivity for the two methods was nearly
equivalent for all mules at all time intervals. In particular,
when reactivity was weak, positivity was more evident in
OIE, on the contrary when reactivity was strong positivity
was more evident in Coggins (data not shown).
Temperature remained below 39°C for mules 6, 7, 8 and 9.
56
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
For ease of interpretation of the readings in Agid, the
reactivity was transformed in scoring as follows:
0 – absence of the precipitation line, 1 - precipitation line
bends in well, 2 - precipitation line touching sample well,
3 - precipitation line close to sample well 4 - precipitation
line equidistant between sample and antigen wells 5 precipitation line touching antigen well.
Mules 3 and 6 were totally negative during all the P. IS. period,
while mules 7, 9 and 10 showed an increase in reactivity on
day 21 while mule 5 and 11, registered an increase on day
28, as observed in Elisa, especially for the latter mule, which
from negative become positive.
IB (Figure 6): the reactivity of the mules to p 26 and gp 45
and 90 is described in Figure 6.
mules registered an increase in reactivity in all the three
methods employed. Although the three methods had as
common denominator the p26, the increase for this protein
was mostly registered in Elisa and Agid, than in IB, which
is reported as more sensitive than the other two (lssel,
C.J. et. al., 1988). This could be due to the fact that not all
animals are capable during the reactivation of the infection
of immediately producing antibodies against linear epitopes
of the protein, which in the IB is presented in its denatured
state.
Other point is that the method which is least sensible for
the detection of the serological reactivity to EIAV is the
Agid followed by the C-Elisa as can be seen in Figure 4,
5, and 6. as also observed by other authors, lssel, C.J. et.
al., (4), Leroux C. et. al., (6) and Scicluna et.al. (7) This
result of relevant importance in the appropriate use of the
three methods in a surveillance and control programme.
In fact in the choice of a screening test to be employed in
a control programme, among other characteristics to be
considered sensibility is fundamental for the success of the
control programme. This places the choice of the C-Elisa in
advantage of the Agid as a screening test in monitoring the
EIA infection.
In comparing the clinical response to the results of the
serological reactivity of the eight animals which had
registered fever and/or thrombocytopenia, only four of the
animals registered an increase of the serological reactivity.
These results do not reveal any evident correlation between
the two responses. In fact, in literature, in similar experiments
conducted in EIV infected horses for the study of the humoral
response following immune suppresion, an increase in the
production of gp 90 was observed but using other serological
methods as the virus-neutralization described by Howe H.
et. al., (8). Therefore, in our study other serological methods
are being undertaken to investigate deeper the humoral
response obtained in these mules during the P.IS.
Virological investigations will also be carried out on
biological samples collected during the P.IS. to study among
other points the viral load which occurred during the P.IS.
period as well as the characteristics of the viral strain of
each animal in view of the fact that they came form different
outbreaks even if correlated geographically. Other factors
which will also be considered in the analyses of this study is
the breeds from the mules descended.
This study has been conducted to information on the potential
epidemiological role of these animals in the diffusion of the
virus both during the chronic/inapparent and the acute/
viremic phases of the EIA infection. The study characteristics
of the viral strain of each animal in consideration of the
different serological and clinical pattern observed for each
mule and also in view of the fact that they came form
different outbreaks, even if correlated geographically, might
better explain some aspects till now unclear.
This study is the first report of the pharmacological
reactivation of the EIA infection in naturally infected mules
which apparently induces a mild to unapparent clinical form
characterised by fever, thrombocytopenaia and an increase
in serological reactivity only for some of the experimental
animals.
An effective increase in the reactivity of the mules in IB
was noted for p26 for mule 10 and 11 on day 21 and 28
respectively, for gp 45 for mule 8 and 9 on day 14 and 21
respectively and for gp 90 for mule for 7 and 11 on day 21
and 28 respectively.
The only positivity detected in the duplex EHV 1 and 4 Real
Time PCR was for the nasal swab of mule 6 on day 14. For
this mule neither fever nor thrombocytopenia was observed
Furthermore no increase in reactivity was registered in IB,
the only method for which the animal was positive.
Discussion
The pharmacological immune suppression of the naturally
EIAV naturally infected mules was effectively efficient
as verified by the response to the DHT following the
administration of PHA with the PHA/SS ratio resulting below
one for all mules by the end of the drug administration.
Following, immune suppression seven of the experimental
animals presented both fever and thrombocytopenia in, while
thrombocytopenia for one mule. As can be observed in figure
2 and 3, fever and thrombocytopenia were concomitant for
most mules presenting these alterations. Other clinical signs
for which the mules were monitored were practically mild to
unapparent.
Following the end of the pharmacological immune
suppression an increase in serological reactivity for EIAV
occurred in only six of the experimental animals. While for
two mules the increase in the serological response was
observed at least in one of the serological methods, four
57
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Bibliography
1) Amaddeo D. et. al., 1998. Final Report of Current
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1 and type 4 5th National Congress of the Italian Society of
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4) lssel, C.J. et. al., 1988. Evolution of equine infectious
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of anti-EIAV glycoprotein antibodies. In D.G. Powell (Editor),
Proc. 5th Int. Conf. Eq. Inf. Dis. Univ. Press of Kentucky,
Lexington, KY, pp. 196-200.
Issel C.J. et. al., 1993. A review of techniques for the
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screening and as unique confirmatory test? X Congresso
Nazionale S:I.Di.L.V. – Alghero pag.78.
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inapparent carrier ponies infected with a neutralizationresistant equine infectious anemia virus envelope strain. J.
Gen. Virol. 86, 139–149
5)
58
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
EPIDEMIA DI CIMURRO NEGLI ANIMALI SELVATICI DEL PARCO NAZIONALE DELLO STELVIO.
Catella A1., Martella V2, Bianchi A.1, Bertoletti I.1, Lavazza A.1, Zanoni M.G.1 , Alborali L.1, Cordioli P.1, Buonavoglia C.2
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna (IZSLER), Brescia, Italy;
Università degli Studi di Bari – Facoltà di Medicina Veterinaria – Dipartimento di malattie Infettive, Bari, Italy;
Key words: Canine distemper disease, vulpes vulpes, Stelvio Nazional Park
bilaterale con panoftalmite e scolo oculo-nasale muco
purulento. Tutti i soggetti, di età giovane, mostravano, inoltre,
uno scadente stato di nutrizione, alterazione della muta e lesioni
da rogna. L’ esame necroscopico eseguito presso la sezione
di Sondrio dell’IZSLER ha evidenziato una congestione degli
organi e polmonite dei lobi basali con focolai necrotici diffusi.
All’inizio del 2010, sempre nella stessa zona, una chiara
sintomatologia nervosa è stata riscontrata nei tassi (Meles
meles) e nella faina (Marte foina) e nei mesi successivi,
sono stati catturati altri 16 esemplari di volpe rossa, le quali
mostravano segni clinici del tutto simile a quelli descritti
nel precedente anno. Tutti i soggetti sono stati conferiti alla
sezione di Sondrio, mentre un solo esemplare di volpe rossa
è stato catturato nella Provincia di Brescia, dimostrando una
diffusione dell’infezione in una zona più a sud est del primo
focolaio.
I campioni biologici, in totale 33 di cui 29 volpi, 3 tassi e una
faina, risultati negativi al test per la rabbia eseguito presso il
Centro della Rabbia dell’IZSLER sono stati inviati al reparto
di Virologia Specializzata per la ricerca diretta dell’agente
eziologico mediante isolamento e microscopia elettronica.
Inoltre una aliquota del pool di visceri e di urine è stata inviata
alla Sezione di Malattie Infettive della Facoltà di Medicina
Veterinaria di Bari per le prove biomolecolari.
SUMMARY
Canine distemper virus( CDV) is an RNA virus belonging to
genus Morbillivirus in the Paramyxoviridae family.CDV has
a broad host range and evidence for the infection has been
obtained in several mammalian species. In August 2009
there was an outbreak of distemper in red foxes and in badgers
in the Stelvio Nazional Park. Strains of distemper analyzed
by RT-PCR genotyping of the H gene were characterized as
European genotype.
INTRODUZIONE
Canine distemper virus è un agente virale altamente patogeno
che causa una malattia sistemica e spesso letale nei cani e in
numerose altre specie di mammiferi appartenenti alle famiglie
Canidae, Mustelidae, Procionidae, Viverridae, Ursidae e
Maphitidae. In considerazione dell’ ampio spettro d’ospite del
CDV, la circolazione del virus non dipende solo dall’entità della
popolazione canina, ma anche dal numero totale delle specie
suscettibili all’infezione in una determinata zona.
Il virus, a singolo filamento di RNA non segmentato a
polarità negativa, appartiene al genere Morbillivirus,
famiglia Paramyxoviridae. L’RNA codifica per la proteina M
dell’envelope, per due glicoproteine, l’emoagglutinina H e
la proteina di fusione F, per due proteine non strutturali (la
fosfoproteina P e la polimerasi L) e, infine, per la proteina N
del nucleocapside. Quest’ultimo ha simmetria elicoidale, ed
incapsula il genoma stesso (1)
In base all’analisi della sequenza dell’emoagglutinina (proteina
H) di CDV sono distinti dei pattern di evoluzione di tipo
geografico, non specie-specifici (2). Tale peculiarità deriva dalla
capacità del virus di circolare liberamente tra diverse specie
animali e dal suo ampio spettro d’ospite. La presenza del virus
in specie domestiche come il cane può rappresentare una
minaccia per alcune specie protette o a rischio di infezione.
Nell’agosto 2009 è stato descritto un focolaio epidemico di
cimurro nelle volpi rosse (Vulpes vulpes) nel Parco nazionale
dello Stelvio, un’area boschiva protetta di 1333 km2 che si
estende a cavallo tra due regioni (la Lombardia e Il Trentino
Alto Adige). Il Parco, a sua volta, fa parte di una più vasta
zona protetta (circa 2500 km2) nel cuore delle Alpi, essendo
circondato da altri parchi italiani (il Parco dell’Adamello, che si
trova al centro della catena alpina, nelle Alpi Retiche; il Parco
trentino dell’Adamello – Brenta nelle Dolomiti).
Questo lavoro descrive il focolaio epidemico di CDV nelle volpi
e nei tassi, cercando di comprendere la dinamica di diffusione
del virus tra gli animali selvatici e le potenziali intersezioni tra
ciclo urbano e ciclo silvestre che ne potrebbero derivare.
Isolamento virale
Sono stati preparati omogenati di tessuto ( visceri e cervello)
al 10% (w/v) in terreno DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle’s
Medium) contenente antibiotici. La sospensione è stata
chiarificata mediante centrifugazione a 4000 rpm per 15 min
a +4°C ed inoculata su cellule MDCK (Madin Darby canine
kidney) e su cellule VERO SLAM, una linea di cellule VERO
che esprime in modo stabile il recettore SLAM (Signalling
Lymphocyte Activation Molecule) del cane (3). La replicazione
del virus è stata seguita mediante osservazione del monostrato
per valutare la comparsa di effetto citopatico (ECP).
Immunoelettromicroscopia (IEM)
Una aliquota dell’omogenato di ciascun campione è stato
messo a contatto per 1 h in termostato a 37°C in agitazione,
con una pari quantità di una diluizione ottimale predefinita di
un siero iperimmune per CDV prodotto in cani, gentilmente
fornito dalla prof. Cardeti dell’IZSLT.
Identificazione virale
Per l’estrazione del RNA è stato utilizzato il kit RNeasy (Qiagen,
Gmbh, Germania) seguendo le indicazioni dell’azienda
produttrice.
Per l’amplificazione del gene N (281 bp) mediante RT-PCR
è stata usato il kit GeneAmp RNA PCR (Applied Biosystem,
Applera, Italia)(4)
La retrotrascrizione e l’amplificazione PCR del gene H sono
state ottenute seguendo protocolli descritti in letteratura(5).
I primer interni RH-3 ed RH-4 sono stati utilizzati per amplificare
in nested PCR l’intero gene H (6).
Per il sequenziamento, i prodotti PCR RH3-RH4 sono stati
MATERIALI E METODI
Campioni di campo
Nell’ agosto del 2009 e nei mesi successivi sono state
catturate 12 esemplari di volpi rosse in Valtellina, sul versante
lombardo del Parco, in prossimità di centri abitati. Alcuni
animali presentavano alterazioni comportamentali con chiari
sintomi neurologici, salivazione profusa, atassia, prostrazione.
Altri, invece, mostravano sintomi più blandi, quale congiuntivite
59
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DISCUSSIONE
A partire dal 2006, è stato osservato una diffusione del virus sia
nelle volpi rosse che nei tassi su diversi versanti dell’arco alpino,
con molti casi di infezioni descritti in Trentino Alto Adige, Veneto
e Lombardia, confermati mediante analisi di laboratorio (8).
L’infezione sembra essersi propagata in direzione nord-sud ed
est-ovest, arrivando ad interessare il Parco Nazionale dello Stelvio
nella seconda metà del 2009. Una vasta epidemia di cimurro,
inoltre, è stata descritta nelle volpi del sud della Baviera nel 2008
(9), suggerendo così una diffusione del virus attraverso l’intero
arco delle Alpi. Il virus responsabile delle epidemie di cimurro nelle
volpi è stato caratterizzato come ceppo Europeo, ed è analogo ai
virus identificati nelle volpi in Bavaria e virus identificati in cani
in Ungheria (10). Il coinvolgimento nell’infezione di più specie
della stessa area avvalora l’ipotesi di una diffusione epizootica
multi-ospite. In tale situazione le volpi rosse sembrano giocare
un ruolo predominante nella amplificazione e diffusione del virus
grazie al loro comportamento sociale durante la riproduzione e
alla migrazione in vaste zone di territorio nella fase giovanile.
Diverse segnalazioni di infezione da CDV sono state riportate
anche in cani presenti nelle aree infette all’interno e ai bordi
del Parco, tra cui un cane da caccia che aveva svolto attività
nel Parco, probabilmente come risultato di una esposizione
occasionale al virus che circola nei selvatici, in virtù della forte
pressione dell’infezione nei territori del parco.
purificati in Ultrafree-DA Columns (Amicon, Millipore). Il DNA è
stato quindi usato come templato per il sequenziamento diretto,
usando i primer conservati RH3 e RH4 e dei primer specifici
disegnati secondo una strategia per sovrapposizione.
Le sequenze sono state assemblate usando il software Bioedit
2.1(7) e comparate con sequenze analoghe nei database
usando i programmi BLAST (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/
BLAST) e FASTA (http://www.ebi.ac.uk/fasta33).
Per l’analisi filogenetica, le sequenze nucleotidiche sono state
allineate con sequenze note del gene H usando il software
Mega 3.029. Il morbillivirus della foca, PDV-1, è stato usato
come outgroup. La filogenesi è stata elaborata usando il
modello di correzione della distanza di Kimura ed il metodo
neighbor-joining.
RISULTATI
Isolamento virale
Dieci campioni hanno dato un effetto citopatico riferibile ad
infezione da CDV (arrotondamento delle cellule e formazione
di sincizi) a 48 h post-infezione già al primo passaggio su
VERO SLAM. Nessuno effetto citopatico è stato riscontrato su
MDCK. L’antigene di CDV è stato identificato mediante IFA nel
citoplasma delle cellule infette, utilizzando Mabs ATCC HB216™.
Immunoelettromicroscopia (IEM)
La IEM ha identificato particelle virali riferibili a paramyxovirus
con il siero iperimmune anti-cimurro nella mucosa gastrica
e vescicale in sei dei campioni analizzati e nel polmone di
altri quattro campioni. Inoltre sono state evidenziate catene
nucleocapsidiche negli stessi organi. Gli altri campioni sono
risultati negativi.
BIBLIOGRAFIA
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Diagnosi mediante identificazione virale
Tutti i campioni pervenuti nel 2009 sono risultati positivi in RTPCR. Ventuno dei soggetti del 2010 hanno dato esito positivo
in RT-PCR.
L’analisi genetica di tutto il gene H (Genbank accession
HM120874) di tre dei ceppi isolati ha dimostrato che il ceppo
CDV delle volpi è altamente correlato geneticamente (identità
> 99.7% nt e 100% aa) a ceppi di cimurro identificati nelle volpi
della Bavaria del sud nel 2008 e al ceppo canino identificato in
Ungheria nel 2005/2006.
L’albero filogenetico illustra le correlazioni tra i vari ceppi CDV
sulla base dell’allineamento nucleotidico del gene H. Per mezzo
della rt-PCR genotipizzativa del gene dell’H, tutti i ceppi Cdv
analizzati sono stati caratterizzati come genotipo Europeo.
60
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SIEROCONVERSIONE MAGGIORE gB+/gE- IN UN ALLEVAMENTO UFFICIALMENTE INDENNE DA BHV1
DOPO INTRODUZIONE DI SOGGETTI VACCINATI CON MARKER ATTENUATO
Pitti M. 1, Masoero L. 1, Grego E. 2, Geninatti G. 3, Macario Ban M. 3, Rosati S. 2
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle D’Aosta, Torino
Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Grugliasco, Torino;
3
Libero professionista, Torino
Parole chiave: Bovine herpevirus 1, vaccino marker, riattivazione
Abstract
We describe a major seroconversion in a BHV1 free bovine herd
following the introduction of 12 animals which were previously
vaccinated with attenuated marker vaccine. Although after
dexametazone treatment of two cattle we were not able to identify
the source of infection by virological and serological point of view,
the most probable source of the seroconversion remains the
reactivation of latent vaccine strain from one of the vaccinated
animal and its rapid spread into negative population through nasal
route. This note highlight the risk of persistence of gE negative
strains in cattle population in course of eradication program.
macellazione di urgenza e sui gangli del nervo trigemino (dx e
sx), prelevati in sede di macellazione è stato eseguito un test
di amplificazione genica utilizzando primers universali per gli
alphaherpesvirinae dei ruminanti disegnati sulla seguenza del
gene codificante la glicoproteina B.
Esami sierologici: I campioni di siero di entrambi gli animali
sottoposti a trattamento con desametazone sono stati esaminati
in SN con virus BHV1 e CaHV1 ed ELISA gB. In aggiunta anche
i sieri delle e capre sono state sottoposte ai medesimi esami
sierologici.
Risultati
Nel periodo successivo all’inizio del trattamento con corticosteroidi,
nessuno dei tamponi nasali ha dato esito positivo agli esami
virologici e di amplificazione genica. Uno dei sue soggetti ha
presentato un lieve incremento del tasso anticorpale, senza
tuttavia soddisfare i criteri per considerare una sieroconversione
positiva ( fig. 1 e 2).
Introduzione
In Piemonte è in corso un piano di controllo ed eradicazione su
base volontaria per l’ infezione da BHV1. La situazione sanitaria
degli alevamenti piemontesi è a macchia di leopardo, con
allevamenti ufficialmente indenni (senza uso di vaccini marker)
che risultano negativi alla sieroneutralizzazione (SN), ELISA gB
(gB) ed ELISA gE (gE); allevamenti indenni ( in cui si utilizzano
vaccini marker attenuati od inattivati) che risultano SN e gB
positivi e gE negativi ed infine allevamenti infetti (da virus wild
type o vaccinazioni pregresse non marker) che risultano positivi e
tutti i test sierologici. Il rischio quindi di sieroconversioni maggiori
negli allevamenti ufficialmente indenni è legato principalmente alla
elevata presenza di allevamenti infetti nel territorio piemontese.
Più limitata risulta invece la percezione del rischio che i vaccini
marker attenuati possano circolare nella popolazione negativa.
Nella presente nota riferiamo di un allevamento di frisone (N=140)
ufficialmente indenne da IBR da diversi anni (ultimo controllo:
12/2008). Nel periodo compreso tra il 2/2009 ed il 5/2009, sono stati
introdotti in azienda 12 capi provenienti da un allevamento in cui si
praticava routinariamente la vaccinazione con marker attenuato
(animali vaccinati fra il 10/2008 ed il 4/2009). Ad un successivo
controllo sierologico (12/2009), l’88% dei capi autoctoni è risultato
positivo alla SN ed ELISA gB e negativo all’ELISA gE, mimando il
quadro sierologico tipico della vaccinazione DIVA. In azienda non
veniva riferito di nessun trattamento immunizzante e di nessuna
altra introduzione, salvo 3 capre presenti in azienda ma separate
dal capannone dei bovini. Nel tentativo di confermare l’origine
vaccinale della sieroconversione sono stati effettuati gli esami di
laboratorio di seguito riportati.
Fig 1.: Titolo SN dei due soggetti trattati con corticosteroidi dal
tempo 0 al tempo T23 dopo trattamento
Materiali e metodi
Riattivazione dell’infezione latente. Due soggetti autoctoni gB+
e gE- sono stati sottoposti a trattamento con desametazone
(0,1mg/Kg p.v.) per 9 giorni consecutivi. Prelievi di sangue sono
stati effettuati nei giorni 0, 1, 7, 9, 12, 16 e 23 post trattamento
(p.t.), mentre tamponi nasali sono stati eseguiti nei giorni 0, 2, 4,
6, 8, 12 e 16 p.t.
Esami virologici e PCR: I tamponi nasali sono stati sottoposti
in parte ad esame virologico utilizzando i substrati cellulari
AUBEK ed MDBK ed in parte a test di PCR per l’ amplificazione
di un frammento del gene codificante la glicoproteina C e di
un frammento del gene Timidino Chinasi (TK). Nel periodo
di osservazione, due bovini autoctoni sono stati sottoposti a
Fig 2.: Percentuale di inibizione (ELISA gB) nei due soggetti trattati
con corticosteroidi dal tempo 0 al tempo T23 dopo trattamento
61
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Le tre capre co-abitanti nella azienda sono risultate negative a
tutti i testi sierologici. Anche la reazione di PCR eseguita sui gangli
del trigemino nei soggetti macellati ha dato esito negativo. I titoli
SN nei confronti di CaHV1 nei soggetti trattati con corticosteroidi
sono risultati sempre inferiori a quelli ottenuti con BHV1 (dati non
mostrati).
gE-, la via di contagio più probabile sia stata quella nasale. E’
noto infatti che l’ inoculazione del vaccino marker vivo per via
endonasale produce un eccessivo shedding virale, sufficiente per
il contagio di un elevato numero di soggetti negativi. Concludendo,
pur in assenza di una prova certa, l’ ipotesi più probabile della
sieroconversione gB+/gE- rimane quella di una riattivazione di un
ceppo vaccinale marker in un soggetto di recente introduzione
e la rapida diffusione nella popolazione negativa per via
respiratoria. Tale evento, del tutto asintomatico, tende comunque
a compromettere lo stato di allevamento ufficialmente indenne,
ritardando il conseguimento della completa eradicazione. Ulteriori
indagini saranno effettuate in futuro nel tentativo di meglio
comprendere ciò che si è verificato in questa azienda, anche allo
scopo di quantificare in modo appropriato il rischio di circolazione
di ceppi marker nella popolazione bovina.
Discussione
E’ noto che fra gli alphaherpesvirinae dei ruminanti esistono
cross-reattività che possono simulare un quadro sierologico tipico
della vaccinazione DIVA. Infatti la glicoproteina B è maggiormente
conservata rispetto alla glicoproteina E. Quindi soggetti che si
infettano con virus correlati (es. herpesvirus caprino) possono
risultare positivi sia alla SN, eseguita con BHV1, sia all’ELISA gB.
La presenza di capre nell’allevamento bovino in cui si è registrata
la sieroconversione ci ha indotto a considerare questa ipotesi.
Tuttavia considerando che tutte le capre sono risultate negative a
tutti i test e nei bovini sottoposti a trattamento con corticosteroidi
i titoli SN verso CaHV1 sono sempre risultati inferiori ai titoli
ottenuti con ceppo BHV1, la probabilità che si sia verificata una
infezione da CaHV1 appare poco probabile. La seconda ipotesi
che abbiamo considerato è una riattivazione dell’infezione latente
da parte di uno o più soggetti vaccinati ed una rapida diffusione
del ceppo vaccinale nei soggetti negativi presenti in azienda.
La prima condizione è stata difficilmente riprodotta in condizioni
sperimentali e noi stessi non siamo stati in grado di ottenere
l’eventuale riattivazione del virus gE negativo in due soggetti
sottoposti a trattamento con corticosteroidi, nè di evidenziare
movimento anticorpale, indice indiretto di stimolazione antigenica.
I due soggetti, sottoposti a macellazione di urgenza non hanno
evidenziato presenza del genoma virale nel ganglio del trigemino.
E’ pur vero che esistono altri siti di latenza ma abbiamo ritenuto
che a fronte di una cosi elevata prevalenza di soggetti gB+ e
Bibliografia
1) THIRYJ., KEUSER V., MUYLKENS B., MEURENS F., GOGEV
S., VANDERPLASSCHEN A., THIRY E. 2006. Ruminant
alphaherpesviruses related to bovine herpesvirus 1. Vet Res,
37, 169-190.
2) MARS M.H., M. H. MARS, F. A. M. RIJSEWIJK, M. A. MARISVELDHUIS, J. J. HAGE, J. T. VAN OIRSCHOT. 2000, Presence
of bovine herpesvirus 1gB-seropositive but gE-seronegative
Dutch cattle with no apparent virus exposure. Vet Rec 147,
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3) Lyaku J.R.S., Vilcek S., Nettleton P.F., Marsden H.S. 1996. The
distinction of serologically related ruminant alphaherpesviruses
by the polymerase chain reaction (PCR) and restriction
endonuclease analysis. Vet. Microbiol. 48, 135-142.
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populations. Vaccine 18, 2120-2124.
62
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
UTILIZZO DELLA DGGE (DENATURING GRADIENT GEL ELECTROPHORESIS) PER
IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE DI MICOPLASMI IN CAMPO AVICOLO
1
Battanolli G., 1Brustolin M., 1Bilato D., 1Gobbo F., 1Qualtieri K., 2McAuliffe L.,1Catania S.,
1
Istituto Zooprofilattico delle Venezie, Laboratorio Diagnostica Clinica, Legnaro, Padova
2
Veterinary Laboratory Agency, Weybridge, UK
Key words: DGGE, Identificazione di specie, Mycoplasma
Summary
In this short paper we show the application of a DGGE method
to detect and identify mycoplasma species in samples taken
from birds in the field. The method correctly identified a range
of avian reference strains, before being applied in the field
where it showed good diagnostic specificity for mycoplasmas
in different clinical samples. The combination of microbiological
and DGGE methods permits the rapid identification of a wide
range of mycoplasma strains including those in mixed culture
as well as enabling the detection of potentially new avian
mycoplasma species.
denaturazione correlate alla sequenza dei nucleotidi. L’utilizzo
di primer specifici per la regione semiconservata del gene
del 16S rDNA, il cui prodotto di amplificazione è differente a
seconda della specie di micoplasma coinvolta, permettono
l’utilizzo di tale tecnica per l’identificazione di specie, che viene
raggiunta mediante comparazione del pattern ottenuto con
quello di ceppi di controllo analizzati nella medesima corsa.
Tale metodica è già stata applicata per identificare diverse
specie di micoplasmi (3). Tali Autori riportano risultati molto
incoraggianti ottenuti con i ceppi di referenza testati. Sulla
base di tali considerazioni ci siamo proposti di applicare tale
metodica durante il processo diagnostico delle micoplasmosi
nel settore aviare.
Introduzione
I micoplasmi sono microrganismi unicellulari privi di parete
cellulare e vengono considerati a causa delle loro esigenze
metaboliche tra i microrganismi di difficile coltivazione. Alcune
specie possono essere considerate quali saprofiti mentre altre
presentano spiccate caratteristiche di patogenicità, infatti i
micoplasmi possono provocare patologie sia su specie vegetali
che animali, uomo compreso. In ambito aviare sono oltre venti le
specie di micoplasma ad oggi conosciute, anche se tra queste
rivestono un ruolo particolarmente importante solamente il
Mycoplasma gallisepticum (MG), il Mycoplasma synoviae (MS),
il Mycoplasma iowae ed il Mycoplasma meleagridis. Il loro ruolo
nel settore zootecnico industriale è ampiamente dimostrato
con perdite economiche piuttosto importanti. L’avvento delle
metodiche biomolecolari ha permesso un netto miglioramento
dell’attività diagnostica nei confronti di tali patogeni, anche se
rispetto alle tecniche convenzionali, quali l’isolamento colturale,
presenta alcuni svantaggi tra cui la non disponibilità del ceppo
con conseguente impossibilità di approfondimento diagnostico
e l’impossibilità nella diagnosi di coinfezioni con altre specie
di micoplasmi aviari presenti nel campione. Le metodiche
biomolecolari quali la PCR sono infatti solitamente specifiche
e mirate su una particolare specie patogena, e pertanto è
importante indirizzare la ricerca in base al sospetto diagnostico.
Anche se l’isolamento colturale può by-passare tale problema,
in quanto i terreni colturali potenzialmente possono supportare
la crescita di tutte le specie di micoplasmi di origine aviaria,
tale tecnica presenta diversi svantaggi tra cui i tempi di risposta
che possono raggiungere le 4 settimane secondo il manuale
OIE (1) ed inoltre la necessità di identificare le colonie coltivate
con metodiche quali l’immunofluorescenza e l’inibizione della
crescita su piastra poiché i micoplasmi, a differenza dei batteri,
non permettono l’identificazione biochimica. Sulla base di tali
considerazioni ci siamo proposti di applicare una metodica
di tipo biomolecolare DGGE (Denaturing Gradient Gel
Electrophoresis) al fine di identificare le specie di micoplasmi
isolate da campioni clinici. La DGGE è una tecnica ampiamente
utilizzata nello screening di prodotti di amplificazione con il
fine di evidenziare in linea teorica anche singole mutazioni
puntiformi (2). Tale tecnica si basa sulla capacità denaturante di
diversi fattori (alta temperatura, urea, formamide) nei confronti
della sequenza amplificata; questa tenderà a migrare nel
gel in maniera differente a causa della formazione di bolle di
Materiali e metodi
Differenti specie di micoplasmi di origine aviaria e di
provenienza certificata sono stati coltivati e processati
secondo il protocollo di seguito descritto al fine di costituire
un panel comparativo per l’identificazione delle specie di
micoplasmi isolate dai campioni di campo.
Oltre mille campioni di campo provenienti da allevamenti
sospetti appartenenti a specie avicole differenti quali pollo,
tacchino, fagiano, starna, colombo ed altre specie minori sono
stati prelevati mediante tampone. Il prelievo veniva effettuato
o a livello della fessura palatina o direttamente in trachea.
Tale tampone è stato rapidamente stemperato in provette
contenenti circa 3 mL di terreno Frey modificato o Experience
avian medium. Tali media inoculati venivano successivamente
filtrati (0.45µm) ed incubati a 37°C al 5% CO2, e quindi osservati
giornalmente per la valutazione di eventuali acidificazioni o
intorbidimenti. Al termine dei 7 giorni di incubazione, o prima
nel caso in cui vi fosse acidificazione o intorbidimento, il brodo
colturale veniva sottoposto ad estrazione con Kit commerciale
(GenElute Bacterial genomic DNA Kit, Sigma-Aldrich),
Contemporaneamente il brodo veniva inoculato in un identico
medium agarizzato, al fine di valutare la presenza di colonie
ed ottenere l’isolamento del ceppo. Per l’amplificazione è stato
utilizzato un reverse primer specifico per l’ordine Mollicutes
R543 (5’- ACCTATGTATTACCGCG ) e come forward una
modifica del primer universale batterico GC-341(5’-CGCCC
GCCGCGCGCGGCGGGCGGGGCGGGGGCACGGGGGG
CCTACGGGAGGCAGCAG ). Tre microlitri di templato sono
stati aggiunti a 47 µL di una mix contenente 1X reaction buffer,
1.5 mM MgCl2, 0.4 mM dNTPs 2.5 U Thermo Start-Taq DNA
polimerasi (ThermoScientific). Il profilo termico utilizzato è
quello descritto da McAuliffe et al.(3).
Il prodotto di amplificazione veniva visualizzato mediante
DGGE con gradiente di urea dal 30% al 60%.
I ceppi isolati ed identificati mediante DGGE venivano
confermati attraverso PCR specifiche (MG ed MS) od in
alternativa mediante immunofluorescenza (IF) per le altre
specie di micoplasmi.
Infine ceppi ATCC o NCTC di Mycoplasma gallisepticum
e Mycoplasma synoviae sono stati coltivati nei medium
sopraccitati e quindi titolati secondo il metodo delle UCC (Unit
63
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Sicuramente l’abbinamento tra metodica microbiologica
e metodica biomolecolare, permette di ottenere numerosi
vantaggi tra cui possiamo ricordare: mantenimento in
laboratorio del ceppo vitale per ulteriori approfondimenti
diagnostici quali la MIC (Minimum Inhibitory Concentration),
diagnosi di differenti specie di micoplasmi con un’unica
metodica, possibilità di diagnosi delle infezioni miste, tempi
di risposta ridotti (circa 8-10 giorni) rispetto ai metodi classici
(4 settimane) ed infine la possibilità, grazie all’utilizzo di
primer di genere, di sospettare la presenza di specie di
micoplasmi ad oggi non ancora dimostrate. Naturalmente
rimane da ricordare che tale metodica, a differenza delle
metodiche biomolecolare classiche, come tutte le metodiche
microbiologiche, dimostrerà solamente microrganismi vitali.
Changing Colour); tali brodi sono stati analizzati in doppio,
mediante DGGE e PCR classica, utilizzando gli stessi primer
per testare il limite di sensibilità della prova.
Risultati
L’allestimento di un panel comparativo costituito da differenti
specie di micoplasmi aviari conosciuti ha rappresentato la
prima parte del lavoro (Fig.1). Questo ci ha permesso inoltre
di confermare i dati riguardanti l’identificazione di specie
mediante DGGE dei micoplasmi aviari.
I campioni di campo analizzati hanno permesso di isolare ed
identificare, mediante comparazione con i ceppi di riferimento,
la quasi totalità dei campioni esaminati evidenziando
una netta prevalenza del Mycoplasma gallisepticum e
Mycoplasma synoviae nel settore avicolo industriale. Per
quanto riguarda i campioni provenienti da allevamenti avicoli
rurali, così come da allevamenti avicoli di specie differente,
abbiamo isolato ed identificato ulteriori specie quali per
esempio il Mycoplasma iners e il Mycoplasma columborale.
Da evidenziare inoltre che tale metodica ha permesso anche
l’identificazione di infezioni miste (Fig. 2).
I ceppi isolati ed identificati mediante DGGE sono stati
inoltre confermati mediante metodiche differenti quali
PCR specifiche per MG e MS o identificazione mediante
immunofluorescenza o sequenziamento per le altre specie.
Solamente un ceppo da noi isolato non è stato identificato
con metodica DGGE, poiché il pattern di migrazione del
prodotto di amplificazione non era comparabile con nessuno
dei controlli inseriti nel pannello da noi posseduto. Tale
ceppo di micoplasma è stato isolato da campioni provenienti
da starna, su tale ceppo è stata condotta una PCR di genere
che ha confermato l’appartenenza al genere Mycoplasma ed
in seguito mediante sequenziamento non si è ottenuta una
identificazione di specie risolutiva.
Infine la prova di sensibilità effettuata mediante l’utilizzo di
brodi di Mycoplasma gallisepticum e Mycoplasma synoviae
a titolazione conosciuta ci ha permesso di dimostrare una
sensibilità della DGGE di 105 UCC/mL, mentre per la PCR
classica è risultata di 10 UCC/mL.
Bibliografia
1)Manual OIE Terrestrial, 2008, chapter 2.3.5:482-96
2)Leslie A. Knapp, 2009, Single Nucleotide Polymorphism,
Screening with Denaturing Gradient Gel Electrophoresis, Methods
Mol Biol; 578: 137-51
3)McAuliffe et al; Aug 2005; 16S rDNA PCR and denaturing
gradient gel electrophoresis a single generic test for detecting
and differentiating Mycoplasma species; J Med Microbiol, 54(Pt
8):731-9
Fig.1 Corsa DGGE di alcuni ceppi ATCC relativi alle specie
aviarie utilizzati come controlli
Fig.2 M. gallisepticum, M. synoviae, M. iners (lane 1, 2, 3);campione di campo dopo colturale con presenza di un pattern non
sovrapponibile ai controlli (lane 4), campione di campo dopo
colturale con presenza di coinfezione di M. gallisepticum e
M.iners (lane 5)
Discussione
Dai risultati da noi ottenuti possiamo affermare che la metodica
DGGE può essere utilizzata quale metodo di identificazione
di specie per il genere Mycoplasma in campioni di campo
provenienti da allevamenti avicoli. Tale metodica permette
inoltre, anche con estrema facilità l’identificazione di infezioni
miste che potrebbero rimanere occulte in quanto i test
biomolecolari attualmente a nostra disposizione sono mirati
solamente per alcune specie patogene. Tale dato aggiuntivo
potrebbe permettere un potenziale approfondimento
nello studio dello sviluppo e patogenesi di alcuni episodi
particolarmente gravi di micoplasmosi aviare.
La concordanza tra identificazione mediante DGGE ed altre
metodiche consigliate dal manuale OIE (1) quali la PCR
specifica per MG ed MS e l’immunofluorescenza su colonia
ha manifestato una alta specificità della prova. Di contro
c’è da evidenziare che la sensibilità della amplificazione
utilizzata in questa metodica risulta essere piuttosto bassa
(105 UCC\mL) ma che tale titolo è raggiungibile tramite lo
step colturale in funzione della vitalità del ceppo e della sua
concentrazione iniziale nel tampone. La bassa sensibilità è
sicuramente da attribuire alla necessità di addizionare ad
uno dei primer alcune basi aggiuntive (“clamp”), infatti i dati
di sensibilità della prova con gli stessi primer non modificati
hanno dato esiti nettamente migliori.
64
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
COMPARAZIONE DELLE PERFORMANCE DIAGNOSTICHE DI TRE SAGGI DI AMPLIFICAZIONE GENOMICA PER IL
RILEVAMENTO DEL VIRUS DELLA MALATTIA VESCICOLARE SUINA
Benedetti D., Pezzoni G., Grazioli S., Barbieri I., Brocchi E.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia
Key words: MVS, test molecolari, validazione
SUMMARY
Swine Vesicular Disease (SVD) is controlled in Italy by a
surveillance and eradication program. Virological surveillance in
faecal samples is based on molecular tests. In the present study
diagnostic performances of a classic one-step RT-PCR, routinely
applied in the national plan, were compared with those of Realtime RT-PCR and of a simple and rapid RT-LAMP using a wide
panel of positive field and experimental samples. The assays
showed a significant difference in capability to detect isolates of
the two SVDV sub-lineages currently circulating, with LAMP and
Real-Time PCR unable to amplify genomes of the Portuguese sublineage. The one-step RT-PCR remains the best test, while RealTime PCR may achieve the same diagnostic performance only if
each sample is run in duplicate with two primers/probe sets.
mediante elettroforesi in gel di agarosio.
One step Real-time RT-PCR (Real-time PCR). I campioni sono stati
esaminati con due diverse coppie di primers/sonda (2B-IR e 3-IR),
descritte in letteratura (4), ciascuno specifico per zone diverse
della regione non tradotta presente in 5’ (5’UTR) del genoma di
MVS. La reazione è stata eseguita utilizzando il kit SuperScrpit
III Platimun® One-step Quantitative RT-PCR System (Invitrogen),
con chimica di tipo Taqman (FAM-TAMRA). Le analisi in PCR
Real-time sono state condotte con lo strumento Step One Plus
PCR system (Applied Biosystems) e le curve di amplificazione
sono state elaborate con l’apposito software (Step One Software
v 2.0 Applied Biosystems), normalizzando con ROX.
One step RT Loop-mediated isothermal amplification (LAMP).
La LAMP è un’amplificazione di tipo isotermico, esecutivamente
molto semplice e veloce, in quanto la retro-trascrizione (nel caso
di virus a RNA) e l’amplificazione genica avvengono in 1 ora a
60°C; per queste caratteristiche la LAMP è utilizzabile in laboratori
poco attrezzati o addirittura sul campo. Inoltre questa metodica è
caratterizzata da un’elevata specificità conferita dall’utilizzo di 4-6
primers. Il protocollo per MVS, recentemente descritto (1), utilizza
sei diversi primers, disegnati per riconoscere otto regioni sulla
sequenza target rappresentata da un frammento di 163 paia di basi
del gene 3D. I prodotti amplificati sono stati visualizzati mediante
elettroforesi in gel di agarosio, dove si evidenziano con un pattern
di bande multiple (Fig.1); la specificità può essere confermata
tramite digestione con un appropriato enzima di restrizione.
Molto semplicemente, la visualizzazione dell’amplificato può
anche essere ottenuta aggiungendo al termine della rezione
Syber-green, che sviluppa una fluorescenza visibile nei campioni
positivi.
Sequenziamento. L’RNA estratto da feci risultate positive è
stato successivamente amplificato con primers aventi come
regione target una porzione di 487 paia di basi del gene che
codifica per la 3D; il prodotto di amplificazione è stato purificato
e sottoposto a reazione di sequenziamento utilizzando il Bid Dye
terminator Kit (Applied Biosystems); le sequenze ottenute dallo
strumento Genetic Analyzer 3130 (Applied Biosystems) sono
state analizzate mediante software Lasergene, DNAstar. L’albero
filogenetico era ottenuto mediante metodo Neighbor-Joining a
seguito di allineamento multiplo di sequenze (ClustalW) usando il
programma MEGA4 (2).
INTRODUZIONE
La Malattia Vescicolare del Suino (MVS), soggetta a denuncia
obbligatoria, è regolarmente diagnosticata solo in Italia, dove
è in vigore un Piano di sorveglianza ed eradicazione. Poiché
nei focolai individuati nell’ambito dei controlli previsti dal Piano il
decorso della malattia è divenuto quasi esclusivamente subclinico
e la maggiore sorgente di infezione è rappresentata da feci
infette, le indagini virologiche in campioni fecali associate alla
sierosorveglianza sono strategiche per monitorare la circolazione
del virus e per l’eradicazione della malattia. Il Centro Nazionale
di Referenza per le Malattie Vescicolari (CERVES) dispone di
un’ampia collezione di ceppi di virus MVS e di campioni fecali
positivi; in questo studio le performance diagnostiche della onestep RT-PCR classica, sviluppata dal CERVES e applicata come
test di screening nel Piano di sorveglianza, sono state confrontate
con quelle della Real-time RT-PCR (4) e di una semplice e veloce
RT-LAMP (1), descritte in letteratura ma non sufficientemente
validate in campo, per accertarne eventuali vantaggi in termini di
sensibilità e velocità.
MATERIALI E METODI
Virus utilizzati. Isolati italiani di virus MVS; ceppi di referenza
rappresentativi di 7 sierotipi di teschovirus e di 3 enterovirus suini.
Campioni. Feci prelevate sequenzialmente da 4 scrofe di razza
Landrace sperimentalmente infettate con un ceppo di MVS isolato
durante l’ondata epidemica del 2006 in Lombardia, appartenente
al sotto-gruppo filogenetico Italiano; 73 campioni di feci di campo
negativi; 73 campioni di feci positivi per MVS, originati da 73 diversi
focolai individuati in Italia nel periodo 1997-2010.
Estrazione dell’RNA. E’ stato seguito il protocollo sviluppato dal
CERVES e raccomandato nel Manuale OIE (3): il virus presente
nel campione è catturato dall’Anticorpo Monoclonale 5B7 adsorbito
su piastre ELISA (3 pozzetti, 200µL di campione/pozzetto); dopo
incubazione per 1 ora a 37°C, l’RNA è estratto mediante l’aggiunta
di isotiocianato di guanidina, precipitato e risospeso in 20µL di
acqua DEPC. Lo stesso RNA è stato utilizzato in tutte le metodiche
valutate.
One step RT-PCR (PCR classica). E’ la tecnica diagnostica
validata ed utilizzata in routine presso il CERVES.
Retrotrascrizione e PCR sono eseguite nello stesso tubo usando
il kit One-step RT-PCR (Qiagen). Il prodotto di amplificazione
ottenuto con i primers raccomandati nel Manuale OIE (3) è
un frammento di 156 paia di basi del gene 3D, visualizzato
RISULTATI
Specificità. La specificità analitica, valutata in parallelo con tutti i
saggi in esame su teschovirus ed enterovirus suini, è risultata del
100% così come la specificità diagnostica rilevata dall’analisi di 73
campioni di feci di campo negativi.
Sensibilità. La sensibilità analitica è stata valutata analizzando
diluizioni seriali di due isolati italiani (R1394/2002 e R1516/2006)
cresciuti in coltura cellulare a titolo noto; le diluizioni sono state
eseguite in sospensioni di feci negative per mimare le condizioni
di applicazione diagnostica (effetto matrice). L’RNA estratto da
ciascuna diluizione è stato analizzato in parallelo con le metodiche
in esame. I test hanno mostrato una differenza nella diluizione limite
rilevabile di 1-2 log10. In particolare le PCR classica e Real-time
sono risultate più sensibili e con un limite di rilevamento nel range
1-10 TCID50, rispetto al test LAMP il cui limite si è classificato nel
range 10-100 TCID50 (Fig.1, Tab1). La sensibilità diagnostica è
65
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
stata valutata su 73 campioni fecali positivi originati da altrettanti
focolai diagnosticati in Italia nell’arco degli ultimi 14 anni. L’analisi
filogenetica basata sulla sequenza della 3D dei 73 ceppi di virus
MVS ha evidenziato la presenza contemporanea in Italia di due
sotto-gruppi virali: uno comprendente virus tipicamente evoluti
in Italia dal 1992 (lineaggio italiano) e l’altro comprendente
virus identificati per la prima volta in Portogallo nel 2003 e dal
2004 anche in Italia (lineaggio portoghese). In tabella 2 sono
riportati i risultati comparativi dei vari metodi, con il dettaglio della
concordanza/discordanza tra test. La PCR classica ha dimostrato
la migliore performance rilevando tutti i 73 (100%) campioni,
mentre la LAMP non ha amplificato sei ceppi del lineaggio italiano
e nessuno dei 26 appartenenti al lineaggio portoghese. Questi
potevano essere individuati solo quando la carica virale era molto
elevata, ad esempio dopo replicazione in coltura cellulare.
Mediante Real-time PCR, dei 47 campioni fecali contenenti virus
MVS del lineaggio italiano, 39 (82%) erano amplificati con il set
primers/sonda 2B-IR, mentre salivano a 45 (95%) quelli positivi
con il set primers/sonda 3-IR. Tutti i 47 campioni erano tuttavia
identificati come positivi associando i risultati di entrambe le
prove. I campioni di campo del lineaggio portoghese erano tutti
amplificati con il set primers/probe 2B-IR, mentre sono risultati
tutti negativi con l’altro. L’amplificazione non è stata osservata
neppure a partire da virus replicato in colture cellulari.
La sensibilità diagnostica è stata ulteriormente valutata su
campioni di feci di quattro scrofe prelevati periodicamente fino
a 49 giorni post-infezione (gpi) sperimentale. Da 3 a 21 gpi i
test hanno presentato la massima concordanza: tutti i campioni
hanno fornito esito positivo con ogni metodica; nelle fasi più
avanzate dell’infezione le PCR classica e Real-time hanno
presentato performance simili e una sensibilità superiore alla
LAMP, confermando le precedenti osservazioni. Nella Real-time
PCR inoltre si è confermata la migliore sensibilità del set 3-IR
rispetto a 2B-IR.
2. Kumar S. et al., 2008, MEGA: A biologist-centric software for
evolutionary analysis of DNA and protein sequences, Brief. in
Bioinformatics 9 p.299-306.
3. OIE Manual of Diagnostic Test and Vaccines for Terrestrial
Animals, 2008, Chapter 2.8.9: Swine Vesicular Disease,
p.1139-1145.
4. Reid S.M., et al., 2004, Evaluation of Real-time transcription
polymerase chain reaction assays for the detection of swine
vesicular disease virus, J. Virol. Methods, 116 p. 169-176.
Tabella1
Sensibilità analitica dei test PCR classica, LAMP e Real- time
PCR
Limite di rilevamento (log 10 TCID50)
PCR classica
LAMP
1-10
10-100
Real-time PCR
2B-IR
3-IR
1-10
1
Figura 1. Prodotti di amplificazione ottenuti con PCR classica e
LAMP da diluizioni di virus MVS preparate in una sospensione di
feci negative
PCR CLASSICA
LAMP
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati dello studio di sensibilità analitica e delle prove su
campioni sperimentali hanno concordemente dimostrato che
le PCR classica e Real-time hanno nel complesso sensibilità
analitica simile e superiore di circa 1 Log a quella del test LAMP.
Tuttavia i risultati sui campioni diagnostici hanno evidenziato una
significativa differenza dei vari test nella capacità di rilevare ceppi
di virus MVS dei due lineaggi genomici (italiano e portoghese)
attualmente presenti. Infatti, LAMP e Real-time PCR eseguita
con il primers/probe set 3-IR non sono in grado di amplificare
genomi del lineaggio portoghese, pertanto nonostante i rispettivi
potenziali vantaggi, entrambi i test non hanno i requisiti sufficienti
per essere utilizzati come test diagnostici. Inoltre, sia il test LAMP
che entrambe le combinazioni di primers/probe nella Realtime PCR non hanno identificano alcuni campioni positivi per il
lineaggio italiano. Oltre che ad una minore sensibilità analitica
limitatamente alla LAMP, queste gravi assenze di reattività sono
probabilmente imputabili a mismatching nella regione target delle
rispettive sonde. Studi di sequenza mirata sono in corso per
accertare le mutazioni e rispettive posizioni più critiche per l’esito
delle reazioni.
In conclusione la PCR classica validata ed utilizzata presso il
CERVES si conferma il test migliore, mentre la Real-time PCR
potrebbe raggiungere le stesse performance diagnostiche
solamente se ogni campione è analizzato in doppio con due set
di primers/sonda.
Tabella 2. Numero e percentuale di campioni fecali di campo,
rappresentativi dei due sotto-gruppi virali circolanti, identificati con
i diversi metodi di amplificazione genomica
lineaggio
genom.
N.
47
Italiano
Portog.
32
7
2
5
1
26
PCR
classica
47
100%
+
+
+
+
+
26
100%
LAMP
Real-time PCR
2B-IR
3-IR
both
41
87%
+
+
+
0
0%
39
82%
+
+
+
26
100%
47
100%
+
+
+
+
+
26
100%
45
95%
+
+
+
+
0
0%
Tabella 3. Performance diagnostica dei tre metodi in esame su
campioni di feci da 4 scrofe infettate sperimentalmente
Giorni p.i.
0
3-21
28
35
42
49
BIBLIOGRAFIA
1. Blömstrom A. L., et al., 2008, A one-step reverse transcriptase
loop-mediated isothermal amplification assay for simple and
rapid detection of swine vesicular disease virus, J. Virol.
Methods 116 p.169-176.
N° di campioni (= N. suini) positivi su 4
Real-time PCR
LAMP
2B-IR
3-IR
0
0
0
0
4
4
4
4
4
3
4
4
4
0
2
4
1
0
1
1
1
0
1
1
PCR classica
RINGRAZIAMENTI
Dott. M. Bugnetti, Sig.ra D. Tironi. Lavoro finanziato dal Ministero
della Salute, PRC 2006/001, PRC 2008/002.
66
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VALUTAZIONE DEGLI ANTIGENI RICOMBINANTI ORF2 E ORF3 IN UN TEST ELISA PER LA RICERCA DI
ANTICORPI ANTI-HEV IN SUINI
Stercoli L., Pezzoni G., Brocchi E.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia
Key words: HEV, Reagenti biotecnologici, ELISA suini
Summary
Hepatitis E virus (HEV) is the aetiological agent of
enterically transmitted non-HAV and non-HBV hepatitis.
Swine HEV isolates show close genetic relatedness to
the human genotype 3 and may have a role as zoonotic
agents. In this study the ORF2 and ORF3 capsid proteins
were expressed in both E.coli and Baculovirus systems and
specific monoclonal antibodies (MAbs) were produced for
the development of ELISA assays for antibody detection
in swine sera. The ORF2 protein was shown to be highly
immunogenic, in contrast to ORF3, and the ELISA based on
Baculovirus-expressed antigen, captured by a MAb, showed
the best performances, detecting an overall seroprevalence
of 50%.
generare “virus like particles” nel sistema baculovirus (3) è
stata clonata nel vettore pFASTBac1 (Invitrogen) per essere
prodotta con il sistema d’espressione SF9/Baculovirus. La
sequenza codificante la proteina ORF3 è stata clonata solo
nel vettore pQE30. Per ogni clonaggio sono stati sequenziati
e selezionati alcuni dei cloni ottenuti.
Antigeni ricombinanti. Le proteine ORF2 e ORF3 ottenute
mediante l’espressione in E.Coli sono state purificate per
mezzo di una coda di Istidine all’N-terminale utilizzando la
resina Ni-NTA (Qiagen), mentre la proteina ORF2 tronca
(112-608 aa) ottenuta mediante il protocollo Bac to Bac
System (Invitrogen) è stata raccolta nel sovranatante
delle cellule Sf9 (Spodoptera frugiperda 9) infettate con il
baculovrus ricombinante specifico.
Anticorpi monoclonali (AcM). Gli splenociti di due topi Balb/C
immunizzati, attraverso 2 o 3 inoculazioni sequenziali
rispettivamente, con la proteina purificata ORF2 espressa in
E.Coli sono stati sottoposti a processo di fusione con cellule
di mieloma NS0 secondo un protocollo standardizzato nel
laboratorio. Lo screening del sovranatante degli ibridomi
ottenuti, effettuato attraverso ELISA indiretta verso
l’antigene omologo, ha portato alla selezione di 45 AcM.
Per una preliminare caratterizzazione, è stata valutata la
reattività degli AcM anche verso la proteina ORF2 tronca
(112-608 aa) espressa da baculovirus, mediante un test di
immunofluorescenza su cellule Sf9 infettate, e la reattività
nei confronti di antigeni peptidici in una ELISA commerciale.
Al momento, solo una parte degli AcM sono stati esaminati
in Western blotting. Saggi competitivi tra i sovranatanti
di coltura degli ibridomi e i sieri suini sono stati inoltre
approntati per valutare la capacità dei sieri suini positivi
HEV di inibire il legame di ogni AcM all’antigene omologo
ORF2.
ELISA indiretta. Per la sierologia nei suini è stato disegnato
un test ELISA per ciascuno dei tre antigeni ricombinanti
prodotti. Entrambe le proteine ORF2 (E.Coli e Baculovirus)
sono state catturate e purificate su fase solida mediante uno
specifico AcM (4E12) adsorbito, mentre l’antigene purificato
ORF3 espresso in E.Coli è stato fissato direttamente su
piastra.
I sieri sono stati esaminati alla diluizione 1:100 e la presenza
di specifici anticorpi legati all’antigene è stata evidenziata
con un AcM anti-IgG suine prodotto in laboratorio e
coniugato alla perossidasi. I risultati ottenuti sono stati
normalizzati calcolando la percentuale di positività (%P)
di ogni siero rispetto alla reattività di un siero di controllo
positivo, esaminato in ogni piastra; solo per il test ELISAORF3 i risultati non normalizzati sono espressi in Densità
Ottica.
ELISA commerciale. Il kit commerciale HEV Ab ELISA (Dia.
Pro Diagnostic Bioprobe) per la ricerca di anticorpi umani
è stato utilizzato come test comparativo dopo essere stato
adattato per i sieri suini: poiché il metodo è una ELISA
indiretta il rilevatore è stato sostituito con l’AcM anti-IgG
suine coniugato utilizzato nei test home-made. L’antigene
è rappresentato da una coppia di peptidi ORF2 e ORF3
(30-40 aa di lunghezza) per ciascuno dei due ceppi di virus
Introduzione
L’epatite virale E è un’infezione acuta del fegato a
trasmissione oro-fecale, il cui agente eziologico è un virus
a RNA, appartenente alla famiglia Haepeviridae, genere
Hepevirus. Il virus HEV (Hepatitis E Virus) è costituito
da una particella capsidica icosaedrica che racchiude un
genoma a singolo filamento positivo di RNA lungo circa
7,5 kilobasi. Il virus è un agente zoonosico e recenti studi
hanno confermato la presenza endemica dell’infezione in
molti allevamenti suini italiani (2). E’ stata riscontrata una
stretta relazione genetica tra ceppi virali identificati nei
suini e genotipo umano. La possibilità che questa specie
rappresenti un serbatoio naturale della malattia ed un
veicolo della trasmissione zoonosica (1) consiglia maggior
attenzione verso gli strumenti utilizzati per individuare
questa infezione nei suini.
Obiettivo del presente studio è quindi lo sviluppo di metodiche
ELISA per la ricerca di anticorpi anti-HEV nei sieri suini,
mediante la produzione delle proteine ricombinanti ORF2 e
ORF3, considerate i principali antigeni immunogeni durante
l’infezione da HEV, e di specifici anticorpi monoclonali.
Materiali e Metodi
Clonaggio. L’RNA virale è stato estratto da feci di suini infettati
sperimentalmente con un ceppo di campo italiano (genotipo
3) utilizzando il kit QiAamp Viral RNA-Minikit (Qiagen). La
regione corrispondente ai geni codificanti ORF2/ORF3 è
stata retro-trascritta ed amplificata attraverso una nestedPCR. La retro-trascrizione e la prima amplificazione sono
state eseguite utilizzando il kit onestep Titan One Tube RTPCR System (Roche), mentre la seconda amplificazione
è stata eseguita utilizzando il sistema PfuTurbo Hotstart
DNA Polymerase (Stratagene). Il costrutto ottenuto è stato
quindi inserito in un vettore pCR-Blunt II-TOPO (Invitrogen)
e sequenziato.
Le regioni codificanti per le proteine ORF2 e ORF3
sono state successivamente amplificate separatamente
utilizzando primers specifici con siti di restrizione per il subclonaggio delle stesse in vettori d’espressione.
La regione nucleotidica codificante l’intera proteina ORF2 (1660 aa) è stata clonata nel vettore di espressione batterico
pQE30 (Qiagen); una sua porzione (112-608 aa) in grado di
67
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
umano, Birmano e Messicano.
Sieri. Sono stati esaminati 609 sieri suini, di cui 390
provenienti da 16 allevamenti del nord Italia di varia
tipologia (ingrasso, svezzamento, ciclo aperto e centri
genetici) e 219 provenienti dal centro-sud Italia. Inoltre
sieri di 22 suini Specific Pathogen Free (SPF) e sieri di due
suini infettati sperimentalmente e prelevati a vari intervalli
sono stati utilizzati come controlli per verificare e calibrare
le reazioni.
disegnato con antigene di origine suina, ma negativi al test
commerciale umano: quest’ultimo ha identificato il 35% di
campioni positivi rispetto al 51% evidenziato dal test homemade.
L’esame dei sieri sperimentali ha confermato la tendenza
osservata con i sieri di campo. Il test ELISA con ORF2Baculovirus ha chiaramente evidenziato sieroconversione
a 21g post infezione; con i test ELISA ORF2-E.coli e
commerciale la sieroconverisone è rilevata con leggero
ritardo e minore intensità, mentre non è stata rilevata
risposta immune verso ORF3 nei due suini infettati (Fig. 2).
La siero conversione misurata si riferisce esclusivamente
alla classe IgG, essendo l’Ac rivelatore specifico per questo
isotipo.
Risultati
Antigeni ricombinanti e AcM. I tre antigeni ricombinanti
sono stati prodotti con alte rese; per ognuno di loro il peso
molecolare e la reattività con sieri suini positivi è stata
confermata mediante western blotting.
Dei 45 AcM risultati reattivi nei confronti della proteina
intera ORF2 espressa in E.Coli, 41 hanno reagito anche
con la proteina ORF2 tronca (112-608aa) prodotta nel
sistema baculovirus. Nessuno degli AcM ottenuti ha
dimostrato capacità di inibire il legame di sieri suini positivi
all’antigene e solamente 1 su 45 è risultato debolmente
reattivo nei confronti del cocktail peptidico utilizzato nel test
ELISA commerciale. I 12 AcM valutati in western blotting
hanno riconosciuto la proteina ORF2 denaturata prodotta
in E.Coli.
Per lo sviluppo di saggi ELISA è stata valutata la capacità
di due AcM (4E12 e 1D4) di fungere da Ac di cattura per
legare e purificare l’antigene in un complesso immune su
fase solida. L’AcM 4E12 è stato selezionato per la migliore
efficienza di cattura e di presentazione della ORF2 alla
reazione con i sieri suini.
ELISA. Tutti i sieri sono stati esaminati con i tre saggi
ELISA home-made basati sui tre antigeni ricombinanti e
col kit commerciale. Una chiara separazione tra campioni
reattivi e non reattivi nella popolazione è stata osservata
soprattutto nel saggio home-made con la ORF2 prodotta
in Baculovirus. Data l’assenza di un “gold standard”, il cutoff per ciascun saggio è stato selezionato considerando il
profilo di reazione dei sieri SPF e la correlazione tra i test.
In particolare, le soglie definite sono rispettivamente 10 e
25 %P per i test ELISA ORF2-Baculovirus e ORF2-E.coli,
20 %P per il test commerciale e il valore di Densità Ottica
0.4 per l’ELISA-ORF3.
Nell’esame dei 609 sieri di campo, i saggi ELISA sviluppati
con le proteine ORF2 prodotte in E.Coli e in baculovirus
hanno mostrato la miglior correlazione (Fig.1), con una
concordanza del 93,5% (Tab.1). Mentre la maggior parte
dei 22 campioni discordanti, positivi solo al test con ORF2
espressa in baculovirus, presentavano una reattività elevata,
i 14 sieri positivi solo al test con ORF2 da E.coli reagivano
con valori border-line, attribuibili a probabili falsi-positivi.
Questa minore specificità del test ELISA con antigene
da E.Coli è corroborata anche dal profilo di reattività dei
sieri SPF (non mostrato). La risposta immune verso ORF2
evidenziata con i due test ELSA sviluppati ha rilevato una
sieroprevalenza generale nella popolazione suina italiana
del 50%. Campioni positivi sono stati riscontrati in 14
allevamenti su 16, con un range di prevalenza tra 17 e
100%.
Solo 29 (5%) sieri su 609 sono risultati reattivi verso la
proteina ORF3 nel rispettivo test (non mostrato).
Tra il test ELISA basato su ORF2-Baculovirus, che ha
presentato le migliori performance, e il test commerciale la
concordanza rilevata è solo del 77%, con un significativo
sbilanciamento di sieri positivi nel test home-made,
Discussione
Le proteine ORF2 e ORF3 sono state espresse con
successo nei sistemi baculovirus/Sf9 ed E.Coli ed un
ampio pannello di AcM specifici nei confronti della proteina
ORF2 è stato prodotto. Questi reagenti sono risultati
particolarmente utili per sviluppare saggi ELISA homemade per la ricerca di anticorpi anti-HEV. I risultati hanno
dimostrato che l’antigene ORF2 è altamente immunogeno
nei suini, a differenza dell’antigene ORF3, e che il sistema
d’espressione della proteina ricombinante ORF2 mediante
baculovirus fornisce le migliori performance. La minore
sensibilità mostrata dall’ELISA commerciale rispetto ai test
ELISA-ORF2 sviluppati è probabilmente imputabile oltre
che alle differenze antigeniche tra ceppi suini ed umani di
HEV, anche ad una miglior antigenicità delle proteine fulllenght.
Figura 1. Correlazione tra i risultati ottenuti in ELISAtrapping con antigene ORF2 espresso in Baculovirus ed in
E.coli (Scatter plot di 609 sieri suini di campo)
Tabella 1. Risultati dei test ELISA-trapping con antigene
ORF2 espresso in Baculovirus e in E.coli
applicati a 609 sieri di campo
ELISA trapping ORF2-Baculovirus
ELISA
trapping
ORF2-E.coli
68
sieri
+
-
totale
+
288
14
302
-
22
285
297
totale
310
299
609
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Figura 2. Reattività dei sieri prelevati dopo infezione
sperimentale di due suini: confronto tra i differenti test
ELISA
Bibliografia
1. Alini D., 2008. Epatite virale E (HEV): il rischio zoonotico.
Webzine Sanità Pubblica Veterinaria, Numero 46,
Febbraio 2008. ISSN p.1592-1581
2. Di Bartolo I., Martelli F., Inglese N., Pourshaban M.,
Caprioli A., Ostanello F., Ruggeri F.M., 2008, Widespread
diffusion of genotype 3 hepatitis E virus among farming
swine in Northern Italy, Veterinary Microbiology, 132
p.47-55
3. Tian-Cheng Li, Naokazu Takeda, Tatsuo Miyamura,
Yoshiharu Matsuura, Joseph C. Y. Wang, Helena
Engvall, Lena Hammar, Li Xing, and R. Holland Cheng,
2005, Essential Elements of the Capsid Protein for SelfAssembly into Empty Virus-Like Particles of Hepatitis E
Virus, Journal of virology, 79 p.12999–13006
Ringraziamenti
Progetto finanziato dal
PRC2006/001.
69
Ministero Italiano della Salute
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
GARANZIE SANITARIE DEI MOLLUSCHI TRASFORMATI CON TECNOLOGIE INNOVATIVE
Arcangeli G. a, , Terregino C. a, De Benedictis P. a , Rosteghin M.a , Zecchin B. a, Manfrin A. a , Rossetti E. b, Rovere P. c e Brutti A. c
a
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie- Legnaro (Pd);
b
Consorzio Pescatori del Polesine – Scardovari – Rovigo;
c
Stazione Sperimentale per l’Industria delle Conserve Alimentari – Parma;
Keywords: vongole veraci, norovirus, alte pressioni idrostatiche.
Introduzione: Tra i prodotti ittici, i molluschi bivalvi (MB),
data la loro caratteristica di essere animali filtratori, sono
senza dubbio l’alimento più a rischio per il potenziale
accumulo di sostanze nocive per l’uomo. Numerosi sono i
microrganismi, le tossine e gli inquinanti chimici segnalati:
virus enterici, vibrio, salmonelle, biotossine da fitoplancton
tossico, metalli pesanti, diossine, solo per ricordare i
principali (4). Nonostante la normativa europea consideri con
molta severità il controllo dei MB, sono comunque numerose
le segnalazioni di infezione/intossicazione nell’uomo. In
questi ultimi anni gli “allerta” per infezioni da virus enterici
sono aumentate in tutta Europa, soprattutto sostenute da
Norovirus (NV) (fam. Caliciviridae), a seguito di consumo di
MB crudi (6). Il trattamento dei MB con alte pressioni (HHPHigh Hydrostatic Pressure) può essere una garanzia per il
consumatore in quanto in grado di inattivare eventuali NV
presenti garantendo al tempo stesso la conservazione delle
proprietà nutrizionali dei MB che con la cottura andrebbero
perse. In questo studio è stato verificata l’efficacia delle
HHP nei confronti di un ceppo di norovirus murino (MNV-1),
un surrogato del NV in grado però di replicare su coltura
cellulare. Pool di vongole veraci (R. philippinarum) infettate
sperimentalmente con MNV-1 sono stati sottoposti a HHP
con valori tra 3000 e 5000 Bar (pari a 300 e 500 Megapascal
- MPa) a differenti intervalli di tempo, da 1 fino a 6 minuti.
Il valore di applicato pari a 500 MPa per 1 minuto si è
dimostrato efficace per inattivare il MNV-1.
Summary : Bivalve molluscs, due to their filtering activity, are
the seafood more dangerous for the possibility to accumulate
toxic substances, i.e. enteric viruses, salmonella, biotoxins,
toxic phytoplankton, eavy metals, dioxins, ect. In particular,
during these last years the allerta related to NVs presence in
bivalve molluscs are increased. In this study we investigated
the ability of HHP to inactivate murine norovirus (MNV-1),
a recognised surrogate for NoV, in experimentally infected
Manila clams. Pools of infected live clams were subjected
to hydrostatic pressure ranging from 300 to 5000 MPa for
different time intervals between 1 and 6 minutes. Virus
vitality post-treatment was assessed and the data obtained
indicates that the use of HHP of at least 500 MPa for 1 minute
were effective in inactivating MNV-1.
Materiali e metodi: La ricerca è stata condotta sulla
ghiandola digestiva del MB indicata come organo d’elezione
per la concentrazione del NV nei molluschi (2). Il ceppo di
MNV-1 è stato gentilmente fornito dal Prof. H. W. Virgin, della
Washington University School of Medicine, MO, USA. Le linee
cellulari: RAW 264.7. Il numero di unità formanti placca (PFU)/
ml, è stato determinato con il metodo proposto da Wobus et
al. 2004 (7). Contaminazione delle vongole: 200 vongole
veraci raccolte in aprile 2010 in laguna di Scardovari (Ro), nel
Delta del Po, sono state messe in una vasca con 100 lt di
acqua con salinità del 3,5% a 15 °C e con il 90% di ossigeno
disciolto. Le vongole non sono state depurate per ridurre
al minimo lo stress di adattamento all’ambiente artificiale e
non comprometterne le capacità filtratorie. Dopo 24 ore di
acclimatamento l’acqua della vasca è stata contaminata con
MNV-1 in modo da ottenere un titolo finale in acqua pari a 4 log
TCID50 ml -1. Le vongole, del peso medio di 10 g ciascuna,
sono state lasciate 24 in acqua contaminata. Trattamento
con HHP: a) preparazione dei campioni: 7 sacchetti di
polypropylene sono stati prepararti con 10 soggetti ognuno.
6 di questi sono stati sottoposti a trattamento con HHP ed il
rimanente utilizzato come controllo. I singoli sacchetti sono
stati conservati a 4°C fino al momento del trattamento, 24 ore
più tardi. b) è stato utilizzato un compressore Avure QFP 35®
della capacità di 35 lt in grado di sviluppare fino a 600 MPa. La
temperatura durante l’esperimento è stata di 20°C. Estrazione
virale: eseguita secondo la procedura proposta da Baert et
al., 2008 (1). La prova è stata ripetuta 3 volte a distanza di 8
giorni ciascuna.
Risultati e discussione: I risultati sono riassunti in tabella
1. Da notare la graduale diminuzione del titolo virale
all’aumentare del valore di pressione applicato. Con 500
MPa per 10 minuti è stata ottenuta la completa inattivazione
virale. In altri lavori, le alte pressioni sono state applicate
con successo nelle ostriche, notoriamente consumate crude,
per verificarne l’efficacia nei confronti di calicivirus felino e
murino. Non ci sono lavori di valutazione di HHP verso le
vongole veraci che più di altri molluschi possono veicolare
virus enterici perché vivono in lagune, ambienti con acqua
salmastra e chiusi, solitamente contaminati da questi virus e
che parimenti ad altri molluschi possono essere consumati
crudi o poco cotti (5). Paragonando l’intensità di pressione
con la durata dell’applicazione, i due profili mostrano che
non esiste correlazione lineare nel decremento di vitalità del
virus murino sia all’aumentare del tempo sia dell’intensità
di pressione. Il valore di 500 MPa trovato come efficace, è
leggermente superiore a quello impiegato da Kingsley, 2007,
in ostriche infettate con MNV-1 , dove un trattamento con
400 MPa per 5 minuti a 5°C si è dimostrato efficace (3) ,
impiegando però temperature e strumenti per HHP diversi.
Ringraziamenti: Il presente lavoro è stato condotto grazie al
finanziamento del Ministero della Salute agli IIZZSS (Ricerca
corrente IZSVe 02/2007). Un doveroso ringraziamento Fabio
Borghesan e Marco Penzo per i preziosi consigli tecnici.
Bibliografia
1. Baert, L., Uyttendaele, M., Vermeersch, M., Van Coillie, E.,
Debevere, J., (2008), Survival and transfer of murine norovirus
1, a surrogate for human noroviruses, during the production
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87–94.
2. Le Guyader F.S., Bon F., DeMedici D., Parnaudeau S.,
Bertone A., Crudeli S., et al. ,(2006), Detection of multiple
noroviruses associated with an international gastroenteritis
outbreak linked to oyster consumption. J Clin Microbiol. ; 44
(11): 3878-82;
3. Kingsley D.H., Holliman D.R., Calci K.R., Chen H., and Flick
G.J., (2007), Inactivation of a Norovirus by High-Pressure
Processing. Appl. Envir. Microbiol. 73,581-585.
4. Lees D. ,(2000) Viruses and bivalve shellfish. Int J Food
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5. Suffredini E., Corrain C., Arcangeli G., Fasolato L., Manfrin
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Letters in Appl. Microbiol., 20, 462-468.
6. Westrell T, Dusch V, Ethelberg S, Harris J, Hjertqvist M,
Jourdan-da Silva N et al., (2010), Norovirus outbreaks linked
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Sweden and Denmark, Euro Surveill. 2010;15(12):pii=19524.
Available online: http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle.
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7. Wobus, C. E., Karst, S. M., Thackray, L. B., Chang, K.O., Sosnovtsev, S. V., Belliot, G., et al. (2004), Replication of
norovirus in cell culture reveals a tropism for dendritic cells and
macrophages. PLoS Biology, 2, 2076–2084.
Tabella 1
Condizioni sperimentali
Prova I
Prova II
Prova III
Valore medio
Pressione
Tempo applicazione(min)
Non trattato
-
4.2 x104
3.75x104
2.73x104
3.56 x 104
300MPa
1
3.7x104
1.5x104
1.3x104
2.16x104
300MPa
3
1.9x104
1.9x104
0.8x104
1.53x104
300MPa
5
1.2x104
1.8x104
1.5x104
1.50x104
400MPa
1
1.0x104
1.4x104
1.2x104
1.20x104
400MPa
5
0.8x104
1.2x104
1x104
1.00x104
400MPa
10
3.6x103
3.5x103
3.5x103
3.53x103
500MPa
1
-
-
-
-
500MPa
5
-
-
-
-
500MPa
10
-
-
-
-
600MPa
1
-
-
-
-
600MPa
3
-
-
-
-
-
-
-
-
Controllo negativo
Titolo virale
71
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RICERCA DI E. COLI, SALMONELLA SPP., VIRUS DELL’EPATITE A E NOROVIRUS NEI MOLLUSCHI
BIVALVI: DATI PRELIMINARI
Salzano C., Saggiomo F., Toscano V., Grimaldi P., Guarino A., Fusco G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Caserta
Keywords: Norovirus, Hepatitis A virus, Real-time PCR
ABSTRACT
European Legislation fixed microbiological, chemical and bio
toxicological limits for shellfish but no virological limits.
In the present study the results of Hepatitis A virus (HAV)
evaluation and Norovirus contamination in 35 bivalve shellfish are
reported. All the samples were negative for HAV whereas three
samples were positive for the Norovirus GI and six samples for
Norovirus GII.
cozze (Mytilus galloprovincialis), provenienti da zone classificate
come classe B della provincia di Caserta (Castelvolturno) e 4
cannolicchi (Solen marginatus), provenienti da banchi naturali
della provincia di Salerno.
2.2 Controlli microbiologici
Le metodiche utilizzate, per la ricerca di Salmonella spp e il
conteggio di E.coli mediante MPN, sono state rispettivamente
UNI EN ISO 6579: 2004 e ISO TS 16649-3:2005.
2.3 Controlli virologici
Per la ricerca del virus dell’epatite A, NoVGI e NoV GII è stato
utilizzato un protocollo fornitoci dal Laboratorio Nazionale di
Riferimento per il controllo delle contaminazioni virali dei molluschi
bivalvi (Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza
Alimentare - Reparto Adempimenti Comunitari e Sanità Pubblica
dell’Istituto Superiore di Sanità).
Tale protocollo prevede l’utilizzo di 2 ml di una soluzione di
proteinasi K (0.1mg/ml) (Sigma–Aldrich, Milano, Italia) alla
quale è stato aggiunto 2 g di epatopancreas sminuzzato; tale
preparato è stato incubato prima a 37° C in agitazione per 60 min
e successivamente in bagnomaria a 65°C per 15 min. I campioni
sono stati centrifugati a 3000 x g per 5 min e il surnatante è
stato prelevato e conservato a -20°C. L’estrazione dell’RNA è
stata eseguita con il Kit Nucleospin RNA II (Macherey- Nagel
GmbH & Co., Dϋren, Germany) seguendo le istruzioni della ditta
produttrice. L’estrazione è stata condotta su 500 µl di campione
e l’RNA è stato eluito con 100 µl di buffer di eluizione. La mix di
retrotrascrizione e la PCR (one step) è stata preparata utilizzando
i materiali presenti nel kit Platinum qRT PCR Thermoscript one
step system (Invitrogen). I primers e le sonde utilizzate per il virus
dell’Epatite A sono: (FW) HAV68 5’-TCA CCG CCG TTT GCC
TAG-3’, (REV) HAV240 5’- GGA GAG CCC TGG AAG AAA G-3’,
probe HAV 150 FAM- CCT GAA CCT GCA GGA ATT AA-MGB
(2), per i Norovirus GI: (FW) QNIF4 5’CGC TGG ATG CGN TTC
CAT-3’ (3), (REV) NV1LCR 5’-CCT TAG ACG CCA TCA TCA
TTT AC-3’, probe NGI FAM-TGG ACA GGA GAY CGC RAT CTTAMRA (4), per i Norovirus GII: QNIF2 (FW) 5-‘ATG TTC AGR
TGG ATG AGR TTC TCW GA-3’ (5), (REV) COG2R 5’- TCG
ACG CCA TCT TCA TTC ACA-3’ (6), probe NGII FAM-AGC ACG
TGG GAG GGC GAT CG-TAMRA (5).
La retrotrascrizione e l’amplificazione è stata effettuata con il
seguente profilo termico: 55°C per 60 min, 95° C per 5 min, e 45
cicli a 95° C per 15 sec , 60° per 1 min e 65° per 1 min.
Il campione è stato considerato positivo qualora presentava un
Ct ≤ 44.
1. INTRODUZIONE
Ad oggi, se escludiamo l’art. 11 comma 5, lett. B del Reg. CE
853/2004 che lascia la possibilità di stabilire i “requisiti igienico
sanitari supplementari in collaborazione con il laboratorio di
riferimento comunitario per i molluschi bivalvi vivi compreso
analisi virologiche e le relative norme virologiche”, non esiste
una specifica normativa che stabilisce la ricerca di virus enterici
nel sopra citato alimento. A ciò si aggiunge il Decreto Legislativo
n°191 del 2006 che obbliga le regioni del territorio nazionale e
le province autonome ad applicare un piano di sorveglianza in
funzione della situazione epidemiologica di ciascun territorio
verso gli agenti zoonotici previsti nell’allegato I parte B del
regolamento, tra i quali risultano annoverati anche Calicivirus e
il virus dell’Epatite A (HAV). In Italia i casi registrati di insorgenza
di gastroenterite da epatite A sono ancora numerosi e molti di
questi, registrati in regione Campania, sono stati attribuiti proprio
al consumo di molluschi bivalvi. Entrambi i virus, Norovirus (NoV)
ed HAV, si diffondono per via oro-fecale, pertanto i MEL (Molluschi
Eduli Lamellibranchi) si contaminano indirettamente con acqua
contaminata da feci di individui infetti. Inoltre HAV e NoV, per
la loro capacità di dare infezione a dosi basse (1-10/UFP) e di
sopravvivere a lungo nell’ambiente esterno, sono considerati
una delle principali cause di gastroenterite nell’uomo. in Italia i
casi segnalati di malattia alimentare da Norovirus, sono ancora
pochi, ma in ambito internazionale si è registrato un numero
considerevole di episodi. Difatti, nel 2006 nel sistema di allerta
comunitario per alimenti e mangimi (RASFF) sono pervenute
nove segnalazioni di episodi di malattia da alimenti contaminati
tra cui ostriche crude (1). Il ruolo di potenziale vettore di patologie
virali riconosciuto ai MEL, è legato alla loro peculiarità di essere
organismi filtratori, per cui possono concentrare nei loro tessuti
non solo contaminanti chimici ma anche batteri e virus quando
allevati o raccolti in acque contaminate da scarichi fognari.
In conclusione, alla luce di quanto sopra riferito, poiché il
possesso dei corretti requisiti igienico sanitari per la produzione
e successiva immissione sul mercato dei molluschi viene stabilito
sulla base dei criteri microbiologici e biotossicologici indicati
dal Reg. (CE) n° 2073/2005, riteniamo interessante valutare in
questa tipologia di alimento, a nostro avviso a rischio riguardo
alla presenza di contaminanti virali enterici, oltre alla presenza
di E.coli e Salmonella spp., anche la presenza di HAV e NoV
genogruppi GI e GII, patogeni ritenuti a livello internazionale tra le
principali cause di gastroenterite nell’uomo.
4. Risultati e Discussione
I risultati ottenuti nel presente studio, sebbene riferiti ad un
numero non elevato di campioni, risultano interessanti e per
questo richiedono doverose considerazioni. Salmonella spp. è
risultata assente in tutti i campioni così come il virus dell’Epatite
A. Diversamente, 8 campioni di MEL sono risultati positivi per E.
coli al metodo convenzionale.
Riguardo quest’ultimo dato, è utile precisare che la presenza di E.
coli, è stata ritrovata in 8 campioni di cui 4 rappresentati da cozze
e 4 da cannolicchi. In tutti i campioni il conteggio batterico risultava
inferiore a 230 MPN/100g e solo un campione di cozze presentava
2. Materiali e Metodi
2.1 Campionamento
L’indagine è stata effettuata su 35 campioni di cui 31 erano
72
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
un valore di poco superiore al limite di legge. La presenza di
RNA virale appartenente al genere Norovirus, genogruppo GII
è stata rilevata in 6 campioni, mentre il genogruppo GI in 3 dei
35 esaminati. I dettagli delle positività sono riportate in tabella
1. In merito alla co-presenza Norovirus ed E. coli i dati ottenuti
risultano i seguenti: dei 3 campioni positivi per Norovirus GI, solo
in un campione di cannolicchi è stata riscontrata presenza di E.
coli con valore di 78 MPN /100g, mentre nei 6 campioni positivi
per Norovirus GII, è stata riscontrata la presenza di E coli solo in 2
campioni di cannolicchi con valori, rispettivamente, di 230 MPN/g
e 78 MPN/100g (Tab. 2).
Infine riguardo alla co-presenza di entrambi i genogruppi di
Norovirus, solo un campione di cannolicchi, risultato positivo
anche ad E. coli con conteggio di 78 MPN /100g, è risultato
positivo ad entrambi i genogruppi. La quasi totalità dei campioni
esaminati, eccetto 4 campioni di cannolicchi, sono stati raccolti
dai servizi veterinari da una zona classificata come categoria
B, secondo quanto stabilito dal Reg. 854/2004 CE. I risultati
ottenuti relativamente all’indice di contaminazione fecale sono
abbondantemente al di sotto dei limiti previsti dalla normativa per
i mitili vivi raccolti dalla zona classificata B. L’attuale normativa
ritiene E. coli, a nostro avviso giustamente, un ottimo marker
biologico per la valutazione indiretta di fecalizzazione dell’acqua.
A tale proposito anche il Comitato Scientifico per le Misure
Veterinarie in relazione con la Salute Pubblica (CSMVSP)
raccomanda il 19-20 settembre 2001 l’uso di E. coli quale
indicatore biologico della qualità dell’acqua di raccolta dei mitili. Alla
luce dei risultati ottenuti che indicano un’assenza di correlazione
tra E.coli e Norovirus, riteniamo che l’utilizzo del solo patogeno
E. coli come indicatore biologico indiretto della qualità dell’acqua
e dell’alimento è insufficiente e che si debba necessariamente
integrare l’attuale normativa con una norma che preveda anche
l’impiego di un marker virale adeguato, sia per sensibilità e
facilità d’ impiego della tecnica in uso per il suo ritrovamento e
sia per capacità di sopravvivenza nell’ambiente. Si ricorda che
un indicatore per essere definito tale e adatto allo scopo, deve
presentare caratteristiche biologiche e biochimiche simili ai
patogeni e le metodiche utilizzate per il suo ritrovamento devono
essere sensibili, possibilmente rapide, validate e standardizzate.
Tanto premesso, si comprende facilmente che nel caso dei virus,
essendo questi incapaci di replicarsi nell’alimento e, possedendo
caratteristiche biologiche e biochimiche totalmente diverse dai
batteri, possono essere, con buona probabilità, rilevati in un
alimento solo utilizzando marker biologici simili.
Nel nostro studio la quasi totalità dei campioni risultati positivi
per Norovirus, risultavano negativi alla presenza di E. coli , se
consideriamo i limiti di legge stabiliti per i mitili raccolti nelle zone
classificate sia B che A. Riteniamo interessante evidenziare che la
presenza di E. coli, sebbene al di sotto dei limiti di legge, risultava
presente in tutti i campioni di cannolicchio esaminati. E’ nostra
opinione che questa specie di mollusco merita una particolare
attenzione poichè vive insabbiata presso aree naturali, e non
essendo stata sottoposta ad alcuna attività di depurazione, può
presentare requisiti igienico sanitari differenti rispetto a specie
che si allevano in filari in aree controllate. Inoltre, è anche utile
evidenziare che indicatori batterici, rispetto ai virus quali il virus
dell’Epatite A ed i Norovirus, presentano una maggiore sensibilità
ai fattori ambientali ostili e ai processi di depurazione delle acque e
pertanto nei loro confronti il processo di depurazione risulta molto
più efficace (7,8); effetto che non sussiste quando i contaminanti
risultano essere virus. Alla luce di ciò, considerando che l’attuali
normative non prevedono limiti per la presenza di contaminanti
virali nei molluschi vivi, proponiamo alle Autorità competenti di
valutare misure aggiuntive all’attuale norma al fine di sorvegliare
e quindi garantire l’assenza di Norovirus in molluschi vivi dopo
permanenza nelle varie zone con particolare riguardo a quelle di
classe A. L’impiego routinario della metodica biomolecolare può
risultare una soluzione utile ed efficace alla problematica segnalata
anche in funzione del fatto che la metodica è considerata la più
sensibile anche dal Ministero della Salute che ne raccomanda
l’applicazione (1) per il rilievo di contaminanti virali negli alimenti.
Tab. 1: Presenza di NoV, virus dell’Epatite A, E. coli e Salmonella
spp. in campioni di molluschi bivalvi.
campioni
N°
NoV
GI
NoV
GII
HAV
E.
coli
Salmonella
spp.
Cozze
cannolicchi
31
4
2
1
4
2
0
0
4
4
0
0
Tab. 2: Correlazione tra i campioni positivi per NoV ed il numero
di E. coli (MPN/100g).
Campioni
positivi per
Norovirus
cozze
cannolicchi
NoVGI
NoVGII
E. coli
+
+
+
-
+
+
+
+
+
+
78 MPN/100g
230MPN/100g
4. Bibliografia
1) Raccomandazione del Ministero della Salute - Direzione
Generale per la sicurezza degli alimenti e della nutrizione Ufficio
VIII- ex VI Prot. DGSAN/VII (ex VI) 3734 del 20/04/2007.
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3) Da Silva AK., Le Saux JC., Parnaudeau S., Pommepuy M.,
Elimelech M., Le Guyader FS. 2007 Evaluation of removal
of noroviruses during wastewater treatment, using Real-time
Reverse Transcription-PCR: different behaviors of genogroups I
and II. Appl. Environ Microbiol 73(24):7891-7897
4) Svraka S., Duizer E.,Vennema H., de Bruin E., van der Veer
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through 2005. J. Clin Microbiol. 45 (5): 1389-1394.
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Guyader FS. 2005 Real time RT-PCR for noroviruses screening
in shellfish. J. Virol Methods. 123(1): 1-7.
6) Kageyama t., Koiјma S., Shinohara M., Uchida K., FuKushi S.,
Hoshino FB., Takeda N., Katayama K. 2003 Broadly reactive and
highly sensitive assay for Norwalk- like viruses based on real-time
quantitative reverse transcription-PCR. J Clin Microbiol. 41(4):
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Environmental Microbiology 77,(17) , 5618-5701.
73
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PREVALENZA DI VIBRIO SPP ISOLATI DA PRODOTTI ITTICI
CON PARTICOLARE RIFERIMENTO A VIBRIO PARAHAEMOLYTICUS
Costa A.1, Alio V. 1, Canonico C. 2 ,Potenziani S. 2, Russo Alesi E.M. 1, Di Noto A.M. 1
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” Palermo
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’ Umbria e delle Marche, Ancona
Key words: V. parahaemolyticus, serotyping, seafood, antimicrobial resistance
SUMMARY
The aim of this study was to value the prevalence and the
antimicrobial resistance of Vibrio spp., particularly Vibrio
parahaemolyticus, in samples of fishing products collected in the
years 2006-2009 in the Sicilian region. A total of 250 samples
(110 shellfish, 120 fish and 20 cephalopods) were analysed.
Vibrio spp was isolated in 80 samples (32%) and in 66.3%
of shellfish. V. alginolyticus was the most frequently isolated
(81.3%), followed by V. parahaemolyticus (13.8%). The isolates
of V. parahaemolyticus were tested by PCR for the presence of
species- specific genes (toxR and tlh) and to detect the tdh and
trh genes and serotypes: of all 11 strains analysed, 1 had the trh
gene and 1 had tdh gene, both isolated in mussels, belonged to
serotype O8 K36 e OUT K30. The isolates were also examined
to check their susceptibilities to different antimicrobial agents.
di biologia molecolare. Inoltre su diversi ceppi di Vibrio spp.
isolati è stata valutata la suscettibilità antibiotica mediante
metodo di diffusione in agar.
MATERIALI E METODI
Nel periodo 2006-2009 sono stati analizzati, per ricerca di
Vibrio spp, un totale di 250 campioni di alimenti ittici tra cui: 110
molluschi bivalvi vivi (93 campioni di mitili, 11 di vongole e 6
di ostriche), 20 molluschi cefalopodi (5 campioni di calamari, 4
di totani e 11 di polpi) e 120 teleostei freschi di varie specie
provenienti da pescherie della Sicilia occidentale. Le specie
esaminate sono riportate in Tab 1. L’indagine è stata effettuata
in particolare su campioni di molluschi bivalvi vivi, pervenuti in
laboratorio a seguito di campionamenti presso gli impianti di
produzione e di stabulazione della regione Sicilia, da parte dei
servizi veterinari delle AUSL, per i controlli sanitari previsti in
normativa (2).
Per la ricerca di Vibrio spp. potenzialmente patogeni (ISO/
TS21872-1:2007) sono stati utilizzati un terreno cromogeno
(CHROMagar) ed il TCBS (Thiosulphate Citrate Bile Sucrose)
agar; le colonie sospette sono state identificate mediante prove
biochimiche di conferma (TSI-S agar, test di alotolleranza, prova
dell’indolo, test dell’arginina, lisina e ornitina) e/o mediante
sistemi biochimici miniaturizzati (API 20 E e API 20 NEbioMerieux). I ceppi identificati come V. parahaemolyticus sono
stati ulteriormente caratterizzati per la presenza dei geni speciespecifici (toxR e tlh) e per i geni tossigeni (tdh e trh) codificanti
per i fattori di virulenza del patogeno mediante metodo PCR
(6).
Tali isolati negli ultimi due anni sono stati sottoposti
a sierotipizzazione nei confronti degli antigeni O
(lipopolisaccaridico) e K (capsulare) mediante antisieri del
commercio (7). Le metodiche biomolecolari e sierologiche sono
state eseguite dall’IZS di Ancona, LNR per le contaminazioni
batteriologiche dei molluschi bivalvi. L’antibioticoresistenza è
stata da noi determinata, sui ceppi di Vibrio spp isolati, con il
metodo di diffusione in agar (Kirby Bauer) testando i seguenti
antibiotici: amoxicillina + ac. clavulanico, ampicillina, cefotaxime,
cefalotina, ciprofloxacina, cloramfenicolo, colistina, gentamicina,
kanamicina,
tetraciclina,
trimethoprim-sulfametoxazolo,
vancomicina.
INTRODUZIONE
Il genere Vibrio comprende microrganismi molto diffusi nelle
acque marine e facilmente isolabili da diverse specie ittiche
come pesci, molluschi bivalvi e cefalopodi, crostacei. Diverse
specie appartenenti alla famiglia Vibrionaceae sono associate
ad infezioni nell’uomo e negli animali, trasmesse per contatto
diretto con l’ambiente acquatico o attraverso ingestione di
alimenti o acqua contaminata (3,4). La patogenicità dei ceppi
batterici di Vibrio è dovuta alla produzione di tossine. Il ruolo
svolto da ceppi patogeni tossigeni di V. parahaemolyticus, V.
cholerae e V. vulnificus nelle patologie gastroenteriche, dovute
in particolare al consumo di molluschi bivalvi e prodotti ittici
crudi, è documentato da tempo. Altre specie hanno manifestato
occasionalmente patogenicità, tra le quali V. alginolyticus (1,9).
Attualmente il parametro Vibrio patogeni non è inserito nel Reg
(CE) n. 2073/2005 e successive modifiche (Reg. CE 1441/2007)
sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari: viene
comunque evidenziata dalla Comunità Europea la necessità di
raccogliere dati sulla diffusione dei ceppi di Vibrio potenzialmente
patogeni nei prodotti della pesca, con particolare riguardo a V.
parahaemolyticus e V. vulnificus.
L’importanza di verificare le proprietà tossigene dei ceppi di
V. parahaemolyticus isolati nei prodotti della pesca, effettuata
mediante PCR (ricerca geni tdh e/o trh), è stata evidenziata
negli ultimi anni da una nota del Ministero della Salute, su
parere dell’Istituto Superiore di Sanità, allo scopo di stabilirne
l’eventuale non conformità (5). E’ recente inoltre l’isolamento
di ceppi pandemici di V. parahaemolyticus in Italia, in casi di
gastroenterite associati al consumo di mitili locali (7,8).
Nella regione Sicilia sono attualmente attivi impianti di
molluschicoltura presso Siracusa (mitili) e Licata (ostriche) e siti
di stabulazione e centri di depurazione/spedizione (CDM/CSM)
nella provincia di Messina. In questo caso i mitili a loro volta
provengono dall’alto e medio Adriatico ma possono anche avere
provenienza estera, soprattutto dalla Spagna.
Scopo del presente lavoro è stato quello di valutare la prevalenza
di Vibrio spp. in prodotti ittici freschi, in particolare molluschi
bivalvi vivi, con particolare riferimento a V. parahaemolyticus.
I ceppi isolati di V. parahaemolyticus sono stati sottoposti a
caratterizzazione biochimica e tossicologica mediante tecniche
Tab 1 Tipologia e n. campioni esaminati 2006- 2009
Tipologia campioni
Molluschi bivalvi
93 Mytilus galloprovincialis
11 Tapes philippinarum
6 Ostrea edulis
Orate d’allevamento
Teleostei
20 Spaurus aurata
100
Molluschi cefalopodi
11 Eledone moscata
5 Loligo vulgaris
4 Todarodes sagittatus
TOTALE
74
n. campioni
esaminati
250
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RISULTATI
Su 250 campioni analizzati, 80 (32%) sono risultati contaminati
da Vibrio, di cui 53 (66.3%) campioni di molluschi bivalvi, 23
di teleostei (28.7%) e 4 di molluschi cefalopodi (5.0%). Tra le
specie di Vibrio spp isolate, la specie prevalente è stata V.
alginolyticus (81.3%) isolata in particolare nei molluschi bivalvi.
Tra i vibrioni minori, identificati: V. litoralis (3) e V. metschnikovii
(1). Riguardo a ceppi di Vibrio spp potenzialmente patogeni,
nella nostra indagine sono stati isolati 11 ceppi (13,8%) di
V. parahaemolyticus, di cui 10 nei mitili e 1 in un campione
di teleostei (sarde). I ceppi di Vibrio spp. sono stati isolati in
qualunque periodo dell’anno: in alcuni campioni di mitili sono
stati isolati due specie di Vibrio. Nei campioni da noi esaminati
non sono state identificate altre specie di interesse sanitario
quali V. vulnificus e V. cholerae (Tab 2).
Tra gli 11 isolati di V. parahaemolyticus, 1 ceppo è risultato
tdh+ e 1 ceppo trh+ , entrambi isolati da mitili, rispettivamente
sierotipizzati come O8 K36 e OUT K30, sierotipi non rientranti
tra i cloni pandemici. Il ceppo tdh+ è stato isolato da un
campione di mitili, a sua volta proveniente dal medio Adriatico
(Tab 3). Alcuni ceppi risultati non tossigeni, sono in corso di
sierotipizzazione. I ceppi di V. parahaemolyticus, riguardo
l’antibioticoresistenza, sono risultati sensibili agli antibiotici
testati, tranne 4 resistenti all’ampicillina, 3 alla tetraciclina e
1 resistente ad amoxicillina + ac. clavulanico, ampicillina e
colistina. La resistenza agli antibiotici è stata testata anche nei
ceppi di V. alginolyticus, la maggior parte dei quali ha mostrato
resistenza ad ampicillina ed amoxicillina. In entrambe le specie,
diversi i ceppi resistenti alla vancomicina.
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti dall’indagine evidenziano come la contaminazione
da Vibrio spp sia una problematica di notevole interesse. Riguardo
V. parahaemolyticus è stata osservata una maggiore incidenza
nei mitili rispetto ad altri prodotti ittici, come più spesso riportato
in letteratura. Studi recenti hanno confermato la diffusione di
V. parahaemolyticus nei mari italiani (3,4): dati di letteratura
mostrano che la frequenza di ceppi tossigeni isolati dai prodotti
ittici risulta essere piuttosto bassa (dall’1% al 3%) (5). Lo sviluppo
delle metodiche biomolecolari ha permesso negli ultimi anni la
verifica delle proprietà tossigene dei ceppi di V. parahaemolyticus
isolati, effettuata mediante PCR (ricerca geni tdh e/o trh). In
tempi recenti inoltre, il riscontro di alcuni sierotipi responsabili
di pandemie in Asia, Africa ed America ha portato l’attenzione
su questa problematica anche in Europa ed in Italia (7). Studi
recenti mostrano infatti l’associazione di casi clinici di infezione
da V. parahaemolyticus pandemico e consumo di molluschi
bivalvi locali (8). Da qui l’importanza della sierotipizzazione dei
ceppi isolati, estendendo l’indagine ai possibili isolamenti in tutti
i prodotti ittici. Nel contempo riteniamo utile studiare l’antibiotico
resistenza di ceppi di Vibrio sia patogeni che potenzialmente tali,
per valutare la eventuale diffusione di resistenze in ceppi diffusi
nella flora autoctona marina.
Come già sottolineato da diversi autori, è auspicabile includere la
ricerca di V. parahaemolyticus patogeni nei sistemi di sorveglianza
per le infezioni gastroenteriche nonché nei programmi di
monitoraggio delle aree di raccolta dei molluschi bivalvi.
Tab 2
Tipologia
campioni
Mitili
vongole
ostriche
Orate
allevam
Teleostei
Molluschi
cefalopodi
(1) Austin B. (2010) Vibrios as causal agents of zoonoses Vet §
Microbiol 140; 310-317
TOTALE
V.
parahaemol
10
V.
alginolyt
33
7
3
V. spp
totale
1
43
7
3
1
2
2
1
11 (13.8%)
20
BIBLIOGRAFIA
(2) Costa A.,Cardamone C., Alio V.,Grippi F., Napoli C.,Vella
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associato al consumo di prodotti ittici Ann Ist Sup Sanità;
39 (1); 35-45
21
4
2
4
65
(81.3%)
4
(4.9%)
80
(32%)
(4) Masini L.,Bacchiocchi S.,Marangoni V.,Santarelli S.,
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(5) Ministero della Salute comunicazione Prot. DGVA III del
15/09/2005 –Parere dell’ISS a seguito conclusione del
gruppo di lavoro sul V.parahaemolyticus nei prodotti della
pesca
Tab 3
Tipologia
campioni
Mitili
Mitili
Mitili
mitili
Mitili
Mitili
mitili
Mitili
Mitili
Mitili
Sarde
Prelievo
presso
Allevamento SR
Allevamento SR
Allevamento SR
Stabulazione
ME
Allevamento SR
Stabulazione
ME
Allevamento SR
Stabulazione
ME
Allevamento SR
Stabulazione
ME
Pescheria PA
Tdh
Trh
Sierotipo
-
-
-
-
-
-
-
-
O10:K70
-
+
OUT K30
+
-
O8:K36
-
-
O3:K48
-
-
O11:K40
-
-
O4:K34
(6) Ottaviani D, Santarelli S.,Bacchiocchi S., Masini L.
Ghittino C., Bacchiocchi I. (2005) Presence of pathogenic
V. parahaemolyticus .strains in mussels from the Adriatic
Sea, Italy Food Microbiology 22; 585-590
(7) Ottaviani D, Leoni F, Rocchegiani E, Santarelli S, Canonico
C, Masini L, Ditrani V, Carraturo A. (2008). First clinical
report of pandemic Vibrio parahaemolyticus O3:K6
infection in Italy. J Clin Microbiol. 46:2144-2145.
(8) Ottaviani D, Leoni F, Rocchegiani E, Canonico C,
Potenziani S, Santarelli S, Masini L, Scuota S, Carraturo
A.
(2010)
Vibrio
parahaemolyticus-associated
gastroenteritis in Italy: persistent occurrence of O3:K6
pandemic clone and emergence of O1:KUT serotype.
Diagn Microbiol Infect Dis. 66:452-455.
(9) Ripabelli G., Luzzi I. (2001) Infezioni da batteri del genere
Vibrio Microbiologia Medica 1:43-51
75
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
LA SHELF-LIFE DI VONGOLE VERACI (RUDITAPES PHILIPPINARUM) ALLEVATE E DEPURATE, DA DESTINARE AL
CONSUMO UMANO.
Favretti M.(1), Pezzuto A.(1), Furlan F.(1), Zentilin A.(2), Arcangeli G.(1) e Cereser A.(1)
.(1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – Legnaro (Pd); (2) Almar - Acquacoltura Lagunare Marinetta - Soc. Coop.
Agricola a.r.l. – Marano Lagunare (UD)
Key word: shelf life, vongole veraci,
SUMMARY
According to European and national laws on bivalve shellfish,
the alive bivalve shellfish must stay alive during their shelf life
in conformity with microbiological, chemical, physical and biotoxicological parameters. The aim of this research is to define
ideal parameters of time and temperature in order to preserve
depurated Ruditapes philippinarum during shelf life.
I campioni sono stati trasportati al Laboratorio in contenitori
coibentati entro 4 ore dal termine della depurazione; al
momento della consegna è stata effettuata la valutazione
ispettiva e quindi si è proceduto all’esecuzione delle analisi.
Le analisi, eseguite in laboratorio accreditato ACCREDIA,
sono state le seguenti:
- Numerazione di enterobatteri totali (ISO 21528-2:2004)
- Numerazione di Escherichia coli β-glucuronidasi positivi
(MPN) (ISO/TS 16649.3:2005)
- Ricerca di Salmonella spp. (ISO 6579:2002/Cor1:2004 (E))
- Esame ispettivo (aspetto, odore, colore, resistenza
all’apertura, vitalità, peso totale dei soggetti vivi, peso medio
dei soggetti vivi, numero di soggetti rotti e non vitali).
Le analisi sono state effettuate al tempo zero e dopo 1, 2, 3,
4, 6, 8 giorni dal confezionamento a tre diverse condizioni di
temperatura: 6±1°C, 10±1°C e 20±1°C.
I campioni sono stati conservati, dal momento della consegna
al Laboratorio al momento dell’analisi, a diverse temperature
in refrigeratori e camere termostatiche con controllo della
temperatura in continuo (sistema Labguard II®). I campioni
sono stati mantenuti nelle loro confezioni originali fino al
momento dell’esecuzione dell’analisi.
Le analisi dei campioni a 20°C sono state interrotte al quarto
giorno di vita commerciale in quanto non aveva più senso
proseguire, visto lo scadimento delle caratteristiche
organolettiche del prodotto.
PREMESSA
In base all’attuale normativa sull’igiene dei prodotti alimentari
(Reg.ti UE relativi al c.d. Pacchetto igiene) ed alle linee guida
nazionali sui molluschi bivalvi del 25 gennaio 2007, i molluschi
bivalvi vivi (MBV) in fase di commercializzazione devono
rimanere vivi e vitali per l’intera durata della vita commerciale
(shelf-life). Inoltre i MBV devono essere conformi ai parametri
microbiologici, chimici, fisici (radionuclidi) e biotossicologici
stabiliti da specifiche normative.
Mentre la presenza di contaminanti chimici, fisici e
biotossicologici è legata allo stato di contaminazione delle aree
di allevamento/raccolta dei MBV, la presenza di contaminanti
batterici, e segnatamente E. coli e Salmonella spp. che
rappresentano i due parametri scelti dalla normativa come
markers di contaminazione fecale, potrebbe essere legata
anche ad una non corretta gestione del prodotto una volta
immesso sul mercato.
La normativa relativa ai MBV già prevede una attenzione
particolare nella fase di commercializzazione al fine di garantire
la massima igiene. Sono infatti vietate operazioni come la
reimmersione in acqua o l’aspersione del prodotto finito,
fatto salvo i Centri di Depurazione (CDM) che dispongano
di impianti idonei, lo stoccaggio promiscuo con altri prodotti
ittici, i quali devono essere accuratamente separati onde
evitare rischi di contaminazioni crociate. I MBV devono essere
obbligatoriamente confezionati in contenitori/sacchi di rete/
vaschette chiuse e con etichetta inamovibile.
Scopo di questa indagine è quello di definire valori guida per
quanto riguarda temperatura e tempo di conservazione di
vongole veraci depurate e la relativa influenza sulla carica
microbica fecale iniziale, considerata l’assenza di una specifica
bibliografia di riferimento.
RISULTATI
-Ricerca di Salmonella spp. in 25 g:
L’analisi è stata effettuata al tempo zero su 5 unità campionarie
e non è stata rilevata la presenza di Salmonella spp.
-Numerazione di enterobatteri: valori espressi in ufc/g
TEMPERATURA
GIORNO
0
6°C
< 40
< 40
10°C
20°C
< 10
1
2
< 10
< 40
< 40
< 40
280
< 10
< 10
3
MATERIALI E METODI
I molluschi facevano parte di un lotto di produzione raccolto in
un area di allevamento lagunare ubicata in Laguna di Marano
e Grado (Nord Adriatico), classificata Zona B e quindi da
destinare al CDM. Le condizioni di depurazione sono state
mantenute del tutto simili a quelle utilizzate dalle normali
procedure adottate dal CDM.
Il Centro di Depurazione adotta un sistema a ciclo chiuso con
acqua trattata e condizionata termicamente che alimenta un
impianto a flusso verticale in Bins.
Il campione sottoposto a prova era costituito da 25 unità
campionarie di vongola verace (Ruditapes philippinarum)
confezionate in sacchetti in rete da 1 kg cadauno ciascuno
con la propria etichetta.
4
< 10
< 10
< 10
150
< 40
< 10
6
< 10
< 10
< 10
< 10
< 10
< 10
8
< 40
< 40
< 10
< 10
36
45
< 10
< 10
< 10
210
140
< 10
< 10
< 10
< 10
< 10
< 10
Non sono presenti valori di riferimento normativi.
Il Reg. CE 2073/2005, considera quasi unicamente
Escherichia coli quale indicatore di contaminazione fecale
Gli enterobatteri sono, in genere, batteri poco esigenti
e vanno visti come microrganismi indesiderabili negli
alimenti, non solo perché fra essi si annoverano specie
potenzialmente patogene (Salmonella, Shigella, ceppi
verocitossici o enteropatogeni di E. coli), ma anche perché
76
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
nei primi giorni ed ha evidenziato una brusca diminuzione
soprattutto nei campioni conservati a 10°C.
con il loro metabolismo possono degradare sensibilmente
le caratteristiche sensoriali del prodotto.
I valori riscontrati nei vari momenti di analisi nei campioni
conservati alle diverse temperature sono sempre risultati
inferiori al limite di rilevabilità del metodo o comunque
bassi.
-Numerazione di
Escherichia coli
β glucuronidasi
positivi
(MPN): valori espressi in MPN/100g
Esame ispettivo conservazione a 6°C:
DATA
TEMPERATURA
TEMPERATURA
GIORNO
0
6°C
< 20
80
10°C
20°C
130
1
2
< 20
80
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
3
4
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
6
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
8
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
< 20
12/05/2009
GG DI VITA
14/05/2009
16/05/2009
18/05/2009
20/05/2009
0
2
4
6
8
6°C
6°C
6°C
6°C
6°C
PESO TOTALE VIVI
(g)
1016,0
959,0
987,0
1009,6
888,4
891,2
933,0
858,9
833,1
N.ESEMPLARI VIVI
114
108
112
111
98
106
108
103
102
PESO MEDIO VIVI
(g)
N. ESEMPLARI
ROTTI
8,9
8,9
8,8
9,1
9,1
8,4
8,6
8,3
8,2
1
5
1
0
4
4
0
2
0
ODORE ESTERNO
3
3
3
2
1
2
2
1
2
COLORE ESTERNO
3
3
3
3
3
3
2
2
2
RESISTENZA
ALL’APERTURA
ODORE INTERNO,
DOPO APERTURA
3
3
3
3
3
2
2
2
2
3
3
3
3
3
3
3
3
3
VITALITA’
3
3
3
3
3
3
2
1
1
Legenda:
VALORE
< 20
Escherichia coli è un microrganismo appartenente alla
famiglia delle enterobatteriaceae, normalmente presente
nell’ intestino umano e animale; la sua presenza al di fuori del
tratto intestinale è indicazione di contaminazione fecale.
CARATTERISTICHE
3
2
ODORE ESTERNO
nullo
alghe/mare
COLORE ESTERNO
lucente
RESISTENZA
1
0
acre/stanco
pungente/marcio
opaco
marrone
vivo
resistente
mediamente
poco
aperte
nullo
alghe/mare
acre/stanco
pungente/marcio
morti<1%
2%<morti<4%
5%<morti<7%
morti>8%
ALL’APERTURA
ODORE INTERNO,
Il Reg. CE 2073/2005 prevede un limite di 230 MPN/100g
per molluschi provenienti da area A o depurati; pur essendo
presente una bassa carica di E. coli dopo la depurazione
(fatto peraltro possibile ed, entro certi limiti, tollerato) (4,5),
il limite di legge non è mai stato superato durante l’intera
valutazione della shelf life.
DOPO APERTURA
VITALITA’
Esame ispettivo conservazione a 10°C:
DATA
GG DI VITA
TEMPERATURA
-Esame ispettivo:
L’esame ispettivo fornisce molte informazioni in merito allo
stato di conservazione del prodotto e di eventuali alterazioni.
Sono stati valutati diversi parametri come l’odore esterno e
interno, il colore, e la resistenza all’apertura. Inizialmente
questi parametri sono risultati tutti soddisfacenti, col tempo
si è poi verificato un naturale e progressivo scadimento delle
caratteristiche organolettiche. Il peso totale dei soggetti
vivi ha rilevato un calo progressivo, più spinto nel caso dei
campioni conservati a 10°C rispetto a quelli conservati a
6°C. Il calo del peso dei campioni conservati a 20°C è stato
ancora più evidente dei precedenti.
Il peso medio dei singoli soggetti è stato abbastanza
costante nei primi giorni e ha dimostrato un progressivo calo,
più repentino nel caso di incubazione a 20°C. I campioni
conservati a 6°C hanno mantenuto discrete caratteristiche
organolettiche e buona vitalità sino al termine della
sperimentazione, raggiungendo a 8 giorni di vita commerciale
il 92% di soggetti vivi. I campioni conservati a 10°C, in una
condizione cioè simile a quella in fase di distribuzione (così
come ribadito nella nota Ministeriale DGSAN 0030773-P del
29 ottobre 2008 con oggetto: Regolamento CE 2073/2005:
problematica relativa a L. monocytogenes) hanno mantenuto
discrete caratteristiche organolettiche e buona vitalità sino
al quarto giorno di vita commerciale.
I campioni conservati a 20°C hanno mantenuto discrete
caratteristiche organolettiche e buona vitalità sino al secondo
giorno di vita commerciale, in quanto le condizioni di abuso
termico hanno accelerato notevolmente lo scadimento dei
caratteri sensoriali del prodotto. Il numero di soggetti vivi
all’interno delle retine si è mantenuto abbastanza elevato
12/05/2009
14/05/2009
0
2
6°C
10°C
18/05/2009
4
20/05/2009
6
10°C
8
10°C
10°C
993,8
996,0
952,6
952,2
866,0
875,0
537,0
N.ESEMPLARI VIVI
114
113
109
105
105
102
103
70
73
PESO MEDIO VIVI (g)
8,9
8,8
9,1
9,1
8,8
8,5
8,5
7,7
7,3
N. ESEMPLARI ROTTI
1
0
2
2
2
1
4
1
2
ODORE ESTERNO
3
3
3
1
1
1
1
0
0
COLORE ESTERNO
3
2
2
3
3
0
0
1
0
RESISTENZA
ALL’APERTURA
ODORE INTERNO,
DOPO APERTURA
3
3
3
3
3
1
1
1
1
3
3
3
3
3
1
1
1
1
VITALITA’
3
3
3
2
3
1
2
0
0
PESO TOTALE VIVI (g)
1016,0
16/05/2009
534,7
Esame ispettivo conservazione a 20°C:
DATA
GG DI VITA
TEMPERATURA
PESO TOTALE VIVI (g)
12/05/2009
13/05/2009
0
1
14/05/2009
2
15/05/2009
3
16/05/2009
4
6°C
20°C
20°C
20°C
20°C
775,8
1016,0
998,0
960,4
922,0
906,9
N.ESEMPLARI VIVI
114
114
105
105
115
96
PESO MEDIO VIVI (g)
8,9
8,8
9,1
8,8
7,9
8,1
N. ESEMPLARI ROTTI
1
0
4
4
3
2
ODORE ESTERNO
3
3
2
1
1
0
COLORE ESTERNO
3
3
1
1
1
0
RESISTENZA
ALL’APERTURA
3
3
2
2
1
1
ODORE INTERNO,
DOPO APERTURA
3
3
3
3
1
1
VITALITA’
3
3
1
1
0
0
CONCLUSIONI
In base ai risultati delle prove eseguite, pur essendo presente
nel prodotto depurato una carica di E. coli inferiore al valore
limite di legge, non ne è stata osservata moltiplicazione nel
tempo anche in caso di mantenimento in abuso termico. E’
noto che E. coli inizia a moltiplicare oltre 7 °C (1) Il fatto
che nella vongola viva sia presente una flora microbica
autoctona, potrebbe spiegare la mancata crescita di E.
coli, dovuta alla competizione microbica ed alla mancanza
di un substrato trofico ideale, normalmente rappresentato
77
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
dall’ambiente enterico di vertebrati omeotermi terrestri. La
durata della shelf-life potrebbe spingersi fino a 8 giorni di vita
commerciale, mantenendo però la catena del freddo senza
interruzioni e conservando il prodotto a temperature non
superiori a +6°C; si osserverebbe, tuttavia, un decadimento
delle caratteristiche di lucentezza del guscio ed un leggero
calo di peso dovuto alla perdita di liquido intervalvare.
1.
2.
3.
4.
ICMSF, Microrganisms in foods, Characteristics
of microbial pathogens, 1996, Blakie Academic e
Professional.
Lees D. , Viruses and bivalve shellfish. , 2000, Int J
Food Microbiol 59:81-116;
5.
78
Lucy E. F., Connolly M., Graczyk K. T., Tamang L.,
Sullivan R. M. and Mastitsky E. S., Zebra mussels
(Dreissena polymorpha) are effective sentinels of
water quality irrespective of their size, 2010, Aquatic
Invasions Volume 5,
Issue 1: 49-57.
Perkins F.O., Haven D.S., Morales-Alamo R. And
Rhodes M.W., Uptake and elimination of bacteria in
shellfish, 1980, J Food Prot., 43:124-126;
Richards G.P., Microbial purification of shellfish: a
review of depuration and relaying, 1988, J. Food Prot.,
51:218-25
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SVILUPPO DI UN METODO MOLECOLARE A SINGOLO TARGET PER L’IDENTIFICAZIONE DI ESCHERICHIA
COLI O157 PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA IN MATRICI ALIMENTARI E ANIMALI
Michelacci V., Tozzoli R., Grande L., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S.
Laboratorio Comunitario e Nazionale di Referenza per Escherichia coli, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare,
Istituto Superiore di Sanità, Roma, Italia;
Keywords: Escherichia coli, detection, PCR-RealTime
ABSTRACT
Identification of VTEC O157 in food is performed by the ISO
16654:2001 standard. It is a cultural method, requiring an immunomagnetic concentration step. The procedure is expensive and time
consuming and requires further confirmation of the isolated strain
as VTEC. The aim of this study was to develop a single-target
method for the molecular detection of VTEC O157 from biological
samples, which do not require the isolation of the strain.
We focused on toxB gene as the target of such a method. It
encodes a virulence factor strongly associated with VTEC O157.
We identified two isoforms of this gene and developed a Real TmePCR strategy for the specific identification of the O157-specific
isoform. Such a strategy could be applied to RNA samples from
enrichment cultures preventing the need of the isolation step.
Such a method would represent an innovative tool for the fast
and specific detection of viable VTEC O157 in food and animal
sources, suitable for large routine applications.
VTEC, chiamato pO157 (1). Il prodotto di questo gene, toxB, è
coinvolto nell’adesione di ceppi VTEC O157 promuovendo la
produzione e la secrezione delle proteine attraverso il sistema
di secrezione di tipo III codificato dalla LEE (4). La presenza di
pO157 è associata con il 100% dei ceppi VTEC O157 e con
il 90% di tutti gli altri ceppi VTEC che causano malattia grave
nell’uomo (3). Il gene toxB rappresenta il candidato ideale per
lo sviluppo di un metodo specifico per VTEC O157 in quanto
presente in tutti i ceppi analizzati finora. Tra gli altri marcatori
di questo plasmide di potenziale interesse, i geni katP ed espP
sono presenti in proporzioni variabili dei ceppi VTEC (40-60%)
mentre Il gene ehxA, che codifica l’enteroemolisina, non sembra
essere associato unicamente con ceppi VTEC (2).
MATERIALI E METODI
Ceppi Batterici
I ceppi VTEC utilizzati in questo studio sono parte della
collezione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e sono stati
isolati in Italia tra il 1988 e il 2008. In particolare abbiamo
analizzato un totale di 65 ceppi così suddivisi: 8 ceppi VTEC
O157, 12 ceppi O26, 5 ceppi O103, 12 ceppi O111, 2 ceppi
O121, 7 ceppi O145, 9 ceppi O113, 4 ceppi O91 e 6 ceppi di
origine animale appartenenti ai sierogruppi O8, O23, O25, O45,
O73 e O109. Nello studio sono stati inoltre inclusi i ceppi O157
di riferimento EDL 933 e RIMD0509952/VT2 Sakai e 27 ceppi
aessate mediante lo strumento Rotorgene (Corbett) attraverso
40 cicli di amplificazione (95°C per 10 secondi, 60°C per 45
secondi) seguiti da uno step di lenta denaturazione (aumento
graduale della temperatura da 50°C a 95°C, con un incremento
di 0,5°C/s).
INTRODUZIONE
La ricerca di Escherichia coli O157 produttori di verocitotossina
(VTEC) negli alimenti si effettua applicando lo standard
internazionale ISO16654:2001. Questo è un metodo colturale
che comporta un notevole dispendio di tempo e risorse e
richiede la conferma del ceppo isolato come VTEC. Quest’ultima
prevede la dimostrazione della presenza dei geni codificanti le
verocitotossine (VT) o delle tossine stesse o, in ultima analisi,
l’invio del ceppo ad un laboratorio di riferimento. Per tali motivi,
questa strategia è poco adattabile alle esigenze di rapidità,
economicità ed utilizzabilità su grandi numeri di campioni, proprie
dell’industria alimentare e dei laboratori che effettuano il controllo
degli alimenti.
Fino ad oggi sono stati prodotti diversi reagenti destinati
all’identificazione di E. coli O157, inclusi quelli destinati a metodi
molecolari per la ricerca dei geni di virulenza o dei geni associati
al sierogruppo in matrici biologiche. La sola identificazione dei
geni associati al sierogruppo O157, non rappresenta un metodo
sufficiente, data l’esistenza di ceppi E. coli O157 non patogeni
per l’uomo. Inoltre, anche i geni codificanti i fattori di virulenza
(l’adesina intimina e le VT), possono essere presenti, in varie
combinazioni, in stipiti di E. coli non necessariamente in grado di
causare malattia nell’uomo. Inoltre, l’identificazione nelle colture
di arricchimento delle caratteristiche associate a questi patogeni
(sierogruppo O157 e presenza dei geni di virulenza) con metodi
molecolari non ne garantisce la contemporanea presenza nello
stesso ceppo, richiedendone l’isolamento e la conferma.
Lo scopo di questo lavoro è stato la messa a punto di un metodo
molecolare a singolo target per la ricerca di ceppi VTEC O157
da matrici alimentari o animali mediante PCR-RealTime. La
ricerca di un unico target fa sì che non sia necessario procedere
alla verifica della presenza di più marcatori in un’unica cellula
batterica. Inoltre, l’applicazione di questo strumento a preparazioni
di RNA consentirebbe di non dover procedere all’isolamento per
la dimostrazione della vitalità della cellula batterica.
Il target molecolare selezionato per lo sviluppo del nostro
metodo è rappresentato da una porzione di un gene di virulenza
accessorio presente sul plasmide caratteristico dei ceppi O157
RISULTATI
Analisi dei geni toxB localizzati sui plasmidi pO157 e pO26-Vir
Alla luce dei dati indicanti la presenza del gene toxB anche
in ceppi VTEC O26 (5), e della determinazione della completa
sequenza del genoma del ceppo VTEC O26:H11, H30 (Acc.
No. NC_012487) abbiamo investigato sulla possibile presenza
di isoforme diverse di questo gene associate al sierogruppo.
L’analisi in silico delle sequenze dei geni toxB dei ceppi VTEC
O157:H7 (Sakai) e O26:H11 (H30) ha mostrato, tra i due geni,
il 91% di identità di sequenza nucleotidica e l’89% di identità di
sequenza aminoacidica (95% di sostituzioni positive). Gli stessi
valori di identità sono stati ottenuti mediante l’allineamento di
toxB localizzato sul plasmide del ceppo O157:H7 Sakai con
quello presente sugli altri tre plasmidi pO26 sequenziati (Acc.
No. AP01095, AB456530 e GQ259888), i quali hanno un’identità
di sequenza del 99% a livello nucleotidico tra loro e con la
sequenza del pO26-Vir. Sulla base di queste informazioni è stato
possibile identificare due isoforme del gene toxB, associate ai
sierogruppi VTEC O157 (toxBO157) e O26 (toxBO26).
Al fine di discriminare tra le due isoforme del gene, abbiamo
disegnato la coppia di primers toxB_F/toxB_R su regioni
conservate della sequenza genica, in modo da permettere
l’amplificazione di entrambe le isoforme di toxB, e la loro
differenziazione tramite l’analisi della temperatura di melting (77°C
nell’isoforma dell’O157 e 79°C in quella dell’O26) (Figura 1).
79
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
a patologia grave nell’uomo, mentre l’isoforma toxBO157 risulta
associata specificamente ai VTEC O157. Alla luce dei risultati
ottenuti in questo studio, il saggio sviluppato nel nostro laboratorio
per l’identificazione delle isoforme del gene toxB costituisce un
ottimo candidato per lo sviluppo di un metodo molecolare a singolo
target in grado di identificare la presenza di VTEC O157 in matrici
di origine alimentare o animale. Sono attualmente allo studio
sonde basate sulla tecnologia Taqman® disegnate sulla sequenza
di toxBO157 con lo scopo di mettere a punto un kit specifico per la
rilevazione di questa isoforma del gene. Stiamo inoltre, valutando
l’applicabilità del kit su preparazioni di RNA da ceppi isolati e
matrici alimentari contaminate in modo da evitare il passaggio
di isolamento del ceppo. L’utilizzo dell’RNA come stampo per le
reazioni di PCR garantisce infatti la presenza nel campione del
ceppo batterico vitale. Questo saggio, una volta messo a punto,
potrebbe rappresentare uno strumento di screening di un grande
numero di campioni, anche in automazione, di facile applicabilità
nei piani di autocontrollo dell’industria alimentare.
Figura 1. Curve di melting relative agli ampliconi toxB ottenuti
rispettivamente da VTEC O157 e O26.
Associazione della presenza dell’isoforma toxBO157 con VTEC
O157
Sessantacinque ceppi VTEC appartenenti a diversi sierogruppi e
27 ceppi di E. coli non patogeni, sono stati sottoposti ad analisi
mediante PCR-RealTime per la ricerca e la caratterizzazione del
gene toxB. I risultati sono riportati in tabella 1.
Bibliografia
1. Caprioli A, Morabito S, Brugère H, Oswald E.
Enterohemorrhagic Escherichia coli. Vet Res. 2005 MayJun;36(3):289-311. Review
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3. Schmidt, H., M. Bitzan, and H. Karch. 2001. Pathogenic
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p. 241–262. In G. Duffy, P. Garvey, and D. McDowell (ed.),
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S. Nagai, K. Makino, H. Shinagawa, M. Yoshida, K. Sato,
J. Nakamoto, T. Tobe, and C. Sasakawa. 2000. Isolation
and characterization of mini-Tn5Km2 insertion mutants of
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adherence to Caco-2 cells. Infect. Immun. 68:5943–5952.
5. Tozzoli R, Morabito S, Caprioli S. 2005. Detection of toxB,
a plasmid virulence gene of Escherichia coli O157, in
enterohemorrhagic and enteropathogenic E. coli. J Clin
Microbiol. 2005 Aug;43(8):4052-6.
Tabella 1. Risultati dello screening per PCR-RealTime e delle
analisi di melting
Sierogruppo
O157
O26
O145
O121
O103
O111
O113
altri VTEC
ECOR
N.ceppi
10
12
7
2
5
12
9
10
27
toxB positivi
10
9
3
2
0
0
0
0
0
Isoforma
toxBO157
toxBO26
toxBO26
toxBO26
I prodotti di amplificazione sono stati sottoposti ad analisi delle
curve di melting allo scopo di distinguere le due isoforme del gene.
Tutti i ceppi toxB-positivi hanno mostrato picchi di denaturazione
in corrispondenza delle due temperature previste (Figura 1).
In particolare tutti i ceppi O157 hanno mostrato un picco di
denaturazione alla temperatura di 77°C±0,15°C (toxBO157), mentre
tutti i ceppi non-O157 toxB-positivi hanno mostrato picchi di
denaturazione alla stessa temperatura di 79°C±0,15°C (toxBO26).
I ceppi di E. coli non patogeni sottoposti all’analisi sono risultati
tutti negativi per la presenza di toxB (tabella 1).
DISCUSSIONE
Il prodotto del gene toxB è un fattore di virulenza in grado di
aumentare la capacità di ceppi VTEC O157 di aderire a monostrati
di cellule in coltura (4). Questo gene è stato identificato anche
in ceppi VTEC di sierogruppo O26 (5). Il completamento della
sequenza dei plasmidi di virulenza dei ceppi VTEC O157 (Acc.
No. NC_002128) e O26 (Acc.No. NC_012487), ha consentito
l’identificazione di due isoforme del gene toxB. In questo studio
abbiamo elaborato un saggio basato sulla real time PCR che
consente di distinguere tra le due isoforme del gene toxB. I
risultati di uno screening su un pannello di 94 ceppi di E. coli,
comprendenti ceppi VTEC appartenenti a diversi sierogruppi
e ceppi non patogeni, hanno mostrato che l’isoforma toxBO26 è
presente e conservata in molti dei sierogruppi non-O157 associati
80
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
EPISODI DI COLORAZIONI ANOMALE IN PRODOTTI LATTIERO-CASEARI
Oliverio E., De Nadai V.,Finazzi G., Ruggiero V.,Daminelli P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Dipartimento Alimenti e Sicurezza Alimentare
Reparto di Microbiologia Brescia
Key words: Bacillus cereus, shelf-life, Reg CE 1441/2007
SUMMARY
In August 2010, after episodes of abnormal colorations in dairy
products, some samples of ricotta cheese from two companies
were analyzed (Case 1 e Case 2).The tests were carried out
to assess the Bacillus cereus ability to cause macroscopically
visible changes in products and its potential ability to produce
toxin.
The results show the Bacillus cereus presence only at 15° and
20°C with an increase in direct proportion with temperature
rise (Case 1).There was presence of Bacillus cereus in four of
nine samples analyzed after incubation at 20°C (Case 2).
Tabella 1: schema campionamento durante la shelf-life di
ricotta vaccina oggetto di ritiro
06/08
09/08
10/08
11/08
13/08
INTRODUZIONE
Nel mese di agosto 2010, in seguito ad episodi di colorazioni
anomale in prodotti lattieri -caseari, sono state effettuate prove
di shelf-life su ricotte vaccine appartenenti ad un lotto oggetto
di ritiro da parte della Ditta per sospetta contaminazione con
Bacillus cereus in seguito a segnalazione da parte di un
consumatore e successiva allerta comunitaria (Caso 1).
Le prove sono state effettuate per valutare la capacità
del microrganismo di provocare eventuali alterazioni
macroscopicamente visibili nel prodotto (es. alterazioni di
colorazione) e/o eventuale capacità di produzione di tossina.
La valutazione è stata condotta in 4 diverse situazioni di
conservazione, sino al raggiungimento del termine minimo di
conservazione dichiarato in etichetta.
I risultati mostrano la presenza del Bacillus cereus solo a
15°C e 20°C con una crescita direttamente proporzionale
all’aumento della temperatura.
Inoltre sono stati analizzati 18 campioni di ricotta vaccina,
provenienti da lotti differenti, in regime di autocontrollo, per la
ricerca di Pseudomonas e Bacillus cereus. in seguito a ritiro di
tutti i prodotti da parte di un altro caseificio per il riscontro di
colorazioni anomale (caso 2) I campioni sono stati analizzati a
tempo zero e dopo incubazione a 20°C.
Si è osservata la presenza del Bacillus cereus in quattro dei
nove campioni analizzati dopo incubazione, mentre la ricerca
di Pseudomonas è risultata sempre negativa.
4°C
X
X
X
10°C
X
X
X
15°C
X
X
X
20°C
X
X
X
Ad ogni campionamento, oltre a verificare lo sviluppo di
colorazioni anomale nel prodotto, si è proceduto alle seguenti
analisi:
Numerazione dei lattobacilli mesofili (MP interno
•
IZSLER - MRS agar incubato a 30°C per 48
ore);
•
Numerazione di Bacillus cereus (MP UNI EN
ISO 7932:2005 - BCA agar incubato a 30°C per
48 ore);
Eventuale valutazione della produzione di tossina
•
di Bacillus cereus in caso di crescita del
microrganismo oltre valori di 105 ufc/g
Numerazione di Clostridium perfringens (MP UNI
•
EN ISO 7937:2005 - SC agar incubato a 37°C
per 20 ore);
Numerazione delle Enterobacteriaceae (MP
•
interno IZSLER - VRBG agar incubato a 37°C
per 24 ore);
Numerazione di Escherichia coli (MP interno
•
IZSLER - TBX agar incubato a 44°C per 24
ore);
•
Numerazione dei Miceti (Lieviti e Muffe) (MP
interno IZSLER - OGYEA agar incubato a 20°C
per 5 giorni);
Determinazione del pH mediante strumento
•
con
compensazione
automatica
della
temperatura (Hanna Instruments HI 223);
•
Determinazione dell’acqua libera.
Per ogni campionamento è stata effettuata l’analisi in triplo dei
campioni (su 3 distinte confezioni sigillate).
Le ricotte del Caso 2 sono state così suddivise: 9 sono state
analizzate a tempo zero e 9 sono state incubate a 20°C ed
analizzate dopo 4 giorni.
Ad ogni campionamento, oltre a verificare lo sviluppo di
colorazioni anomale nel prodotto, si è proceduto alle seguenti
analisi:
•
Numerazione di Bacillus cereus (MP UNI EN
ISO 7932:2005 - BCA agar incubato a 30°C per
48 ore);
Eventuale valutazione della produzione di tossina
•
di Bacillus cereus in caso di crescita del
microrganismo oltre valori di 105 ufc/g;
•
Determinazione del pH mediante strumento
MATERIALI E METODI
Per le prove del Caso 1 è stata utilizzata ricotta vaccina
confezionata in vaschette da 250 g da consumarsi
preferibilmente entro il 15/08/2010. La A.S.L. del territorio di
competenza ha fatto pervenire al Reparto di Microbiologia
Laboratorio di Microbiologia dell’IZSLER 40 confezioni di
ricotta così suddivise:
•
6 confezioni sono state poste a +4°C (temperatura
ottimale di conservazione);
•
9 confezioni sono state poste a +10°C (temperatura
di presumibile conservazione durante il circuito di
distribuzione ed a livello domestico);
•
9 confezioni sono state poste a +15°C (moderato
abuso termico);
•
9 confezioni sono state poste a +20°C (franco abuso
termico).
ìI campionamenti sono stati eseguiti in accordo allo schema
seguente:
81
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
•
Poiché è stato dimostrato che Bacillus cereus è in grado di
produrre tossina a partire da una concentrazione di 1 x 105
ufc/g, sarebbe opportuno valutare la concentrazione del
patogeno nell’alimento prima di procedere alla ricerca della
tossina. Al contrario, in alimenti contaminati, ad esempio,
con Staphylococcus aureus, si può effettuare direttamente
la ricerca della tossina, in quanto la presenza della tossina
stessa nell’alimento è indipendente dalla concentrazione del
patogeno.
Alla luce della tecnica di produzione e degli ingredienti utilizzati
(panna pastorizzata), la shelf life dichiarata dal produttore non
appare adeguata per la tipologia di prodotto del Caso1
Le analisi microbiologiche svolte su un campione di ricotta
prelevato presso la Ditta e conservato a +4°C, non hanno
rilevato parametri non conformi.
Dalle analisi effettuate sulle ricotte del Caso 2 risulta la
presenza del Bacillus cereus solo nei campioni sottoposti ad
incubazione alla temperatura di 20°C.
Sulla base dei risultati raccolti in queste prove, è necessario
sottolineare l’importanza della valutazione della shelf-life
sul prodotto conservato a temperature a rischio (15°C e
20°C), considerando anche l’utilizzo nel processo produttivo
di panne pastorizzate che possono contenere spore del
microrganismo.
E’ auspicabile una maggiore educazione del consumatore
nella conservazione di questi prodotti, considerando il fatto
che episodi di colorazioni anomale si sono verificati soprattutto
verso la fine della shelf-life e alle temperature di conservazione
domestica.
con compensazione automatica della temperatura
(Hanna Instruments HI 223);
Numerazione di Pseudomonas spp., su piastre
di PPA agar incubate in aerobiosi a 25°C per 48
ore (ISO-TS 11059/2009).
RISULTATI
Nel grafico 1 sono riportati i risultati della ricerca di Bacillus
cereus nelle ricotte del Caso 1 a 10°C, 15°C e 20°C.
Grafico 1
I risultati mostrano che solo la conservazione a 15°C e 20°C
ha consentito lo sviluppo del microrganismo: a 15°C lo sviluppo
inizia dal 3° giorno e si raggiunge la concentrazione necessaria
per la produzione della tossina al 5°giorno; a 20°C la crescita
e il raggiungimento della concentrazione necessaria per la
produzione della tossina si osservano già al 3°giorno.
In nessun caso sono comparse alterazioni organolettiche
di prodotto ed il ceppo di Bacillus cereus presente non ha
prodotto tossina.
I risultati delle analisi del Caso 2 riportano la presenza di
Bacillus cereus solo in 4 campioni dopo incubazione a 20°C,
ma il ceppo presente non ha prodotto tossina. Non risulta la
presenza di Pseudomonas.
BIBLIOGRAFIA
1. Regolamento CE 2073/2005 della Commissione del 15
Novembre 2005 sui criteri microbiologici applicabili ai
prodotti alimentari
2. Regolamento CE 1441/2007 della Commissione del 5
Dicembre 2007 che modifica il Regolamento (CE)
2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti
alimentari
3. Parere del gruppo di esperti scientifici sui pericoli
biologici concernente il microrganismo “Bacillus cereus e
altri microrganismi della specie Bacillus nei prodotti
alimentari”
(Richiesta EFSA-Q-2004-010) adottato
il 26-27 gennaio 2005
DISCUSSIONE
Un precedente challenge test, è stato svolto dal Reparto di
Microbiologia, su ricotte contaminate con Bacillus cereus.
La prova, con contaminazione, effettuata sia a freddo che
a caldo, ha dimostrato che la temperatura a cui il prodotto
viene normalmente confezionato in azienda, in caso di
una contaminazione accidentale da Bacillus cereus ha un
effetto assimilabile ad un trattamento di pastorizzazione ed
è sicuramente efficace nei confronti delle forme vegetative
del microrganismo determinandone rapidamente la morte,
mentre le spore sono in grado di sopravvivere. Tuttavia non
si apprezza una successiva germinazione delle stesse, con
conseguente incremento della popolazione, né durante la
fase di raffreddamento né durante la fase di shelf-life del
prodotto pur in situazioni di lieve incremento della temperatura
di conservazione (da 5 a 8°C) rispetto a quella considerata
ottimale.
In aggiunta ai dati raccolti con questa sperimentazione, la prova
di shelf life del Caso 1 ha evidenziato presenza di Bacillus
cereus nel prodotto posto in condizioni di abuso termico, sino
ad un livello considerato a rischio per il consumatore (superiore
a 1 x 105 ufc/g), anche se il ceppo isolato non si è dimostrato
capace di produrre tossina emetica.
Bacillus cereus è comunque in grado di produrre anche una
tossina ad attività diarroica (temolabile) per la quale non sono
disponibili metodi di isolamento ed identificazione.
82
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INDAGINE SULLA PRESENZA DI ANISAKIS SPP IN ALICI E SARDE
FRESCHE E PREPARATE
Costa A., Sciortino S., Martorana C., Palumbo P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A.Mirri” Palermo
Key words: Engraulis encrasicolus, Sardina pilchardus, Anisakis spp.
SUMMARY
The authors report preliminary data on the occurrence of larval
stages of Anisakis spp in fresh and prepared fish products,
especially Engraulis encrasicolus, sampled in fish market in
the western area of Sicily from January 2009 to July 2010.
We examined 290 fish and 210 salted, oil and marinated fish
products, ready to eat. No larva was found in the marinated
fish. 9 samples of salted and oil fish examined were positive
for Anisakis larvae: the larval stages were found in the visceral
cavity. Out of 290 fish examined 2 Sardina pilchardus were
positive for Anisakis. Morphological analysis classified all
larvae as L3 stages of Anisakis belonging Type I (sensu Berland
1961). In the molecular analysis digestion profiles allowed the
identification of the larva of Anisakis pegreffii, based on the
combination of RFLP patterns.
studio per verificare l’eventuale presenza di larve del genere
Anisakis su campioni di alici e sarde provenienti dai mari della
Sicilia e nel contempo estendere l’indagine sulle semiconserve
ittiche sottoposte a salagione o a marinatura, campionate
presso Industrie Ittico Conserviere della Sicilia (IIC) o presso
esercizi di commercializzazione.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra gennaio 2009 e luglio 2010 sono
stati esaminati, per ricerca di larve di Anisakis, un totale
di 500 campioni di cui 290 di alici e sarde fresche e 210
di semiconserve, confezionate o sfuse, con prevalenza
di acciughe salate (74) e sott’olio (66), 60 di sardine salate
e 10 di alici marinate (Tab 1). Le alici e le sarde fresche
provenivano da mercati ittici, pescherie e ambulanti della Sicilia
Occidentale (Palermo, Trapani, Sciacca), trasportate entro 24
ore e conservate a temperatura di refrigerazione. I campioni
di semiconserve ittiche esaminati erano stati prelevati presso
esercizi di commercializzazione o direttamente presso IIC alla
fine del processo di produzione (Sciacca, Bagheria). Alcuni
campioni di acciughe e sarde salate sono state prelevate
presso mercati all’ingrosso di Palermo venduti in forma
sconfezionata.
Sui campioni di pesce fresco si è proceduto all’esame visivo
e/o mediante stereomicroscopio per la ricerca di larve di
nematodi Anisakidae sia in cavità celomatica che a livello
muscolare. I campioni di alici marinate e di acciughe sott’olio
e sotto sale sono stati sottoposti a digestione enzimatica
(Reg 2075/2005). Nei campioni di sarde salate di maggiori
dimensioni la ricerca delle larve è stata effettuata mediante
stereomicroscopio sia nel tessuto muscolare che nei visceri.
Le larve di Anisakis identificate morfologicamente sono state
poste in etanolo 70% per essere sottoposte successivamente
all’analisi biomolecolare mediante PCR-RFLP secondo la
metodica descritta in precedenti lavori (3,9).
INTRODUZIONE
L’anisakiasi umana è stata descritta per la prima volta in Olanda
da Van Thiel, intorno agli anni 60, in correlazione all’abitudine
di consumare aringhe crude poco salate (“green herring”) o
marinate. Da allora molti casi sono stati descritti nel mondo.
L’uomo può infestarsi accidentalmente in seguito al consumo
di prodotti ittici crudi o poco cotti, infestati da larve vive di
nematodi anisakidi, appartenenti al genere Anisakis al 3° stadio,
o prodotti ittici sottoposti a trattamenti (salagione, marinatura,
affumicatura) che non siano stati idonei a devitalizzare le larve: la
zoonosi conseguente (anisakiasi) è ben documentata da diversi
autori (6,8). Accanto alle manifestazioni gastroenteriche, più o
meno gravi a seconda della localizzazione (forma gastriche,
intestinali o extraintestinali), le forme larvali di Anisakis,
anche devitalizzate, negli ultimi anni sono state riconosciute
responsabili di ipersensibilità IgE- dipendente (1,5): sono
state infatti osservate reazioni allergiche conseguenti sia ad
ingestione sia a manipolazione di pesce infestato. Di recente
anche la Commissione Europea ha evidenziato la reazione
allergica ad Anisakis a seguito di contatto o di ingestione ed il
possibile rischio per la salute umana.
Le attuali normative, quali la Circ 11 marzo 1992 n.10,
impongono di attenzionare, tra le specie ittiche marine presenti
nei mari italiani, le alici o acciughe (Engraulis encrasicolus) e
le sardine (Sardina pilchardus). In particolare E. encrasicolus
è una specie pelagica di piccola taglia, largamente pescata nei
nostri mari, non soggetta alla pronta eviscerazione e spesso
consumata cruda, in preparazioni culinarie che prevedono la
marinatura e/o la salagione.
Studi effettuati negli ultimi anni sulla diffusione di larve di
Anisakis in pesci del Mar Adriatico Centrale (4), riportano
una prevalenza del 4.1% per le alici e del 3.1% per le sardine.
Maggiori le percentuali riportate in alici campionate nel Tirreno
(Napoli) (7.14%) (7) e in sardine campionate in Sardegna
(13.3%) (10).
Dati bibliografici mostrano nel contempo in Italia l’associazione
tra casi clinici documentati di anisakiasi umana, provocate da
larve di Anisakis e consumo di alici crude o praticamente crude
quali le alici marinate (6,8) la cui preparazione è molto diffusa
soprattutto lungo le coste dell’Adriatico e del Sud Italia.
Scopo del nostro lavoro è stato quindi quello di effettuare uno
RISULTATI
Riguardo ai campioni di semiconserve ittiche sono state
evidenziate larve di Anisakis in 7 campioni di alici (3 sotto
sale e 4 sott’olio): i campioni di alici marinate, prelevati presso
esercizi di commercializzazione, sono risultati tutte negativi.
Negativi anche i campioni di alici fresche esaminati, tutte
provenienti dal pescato della zona. La presenza di larve di
Anisakis è stata riscontrata in 2 campioni di sarde fresche e in
2 di sarde sotto sale.
Tab 1
Tipologia campione
Alici
sarde
Alici sotto sale
Alici sott’olio
Sarde sotto sale
Alici marinate
Totale
83
Totale
esaminati
160
130
74
66
60
10
500
positivi
0
2
3
4
2
0
11
%
1.5
4.1
6.1
3.3
2.2
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Nelle preparazioni ittiche esaminate sono state reperite uno
scarso numero di larve (1-2 per campione), non vitali per l’alta
concentrazione di sale: i campioni di alici e sarde sotto sale
erano costituiti da grosse latte da 1 Kg, le alici sott’olio da
barattoli di vetro. La provenienza delle alici è probabilmente
estera: le Industrie Ittiche lavorano grandi quantità di prodotto
semilavorato proveniente in particolare da Tunisia, Marocco o
Croazia, essendo tra l’altro insufficiente il prodotto locale.
I parassiti isolati dalle preparazioni ittiche salate/sott’olio,
devitalizzati, apparivano all’esame microscopico alterati dal
trattamento di salagione ma morfologicamente identificabili
come appartenenti al genere Anisakis Tipo I (sensu Berland)
Alcune larve ancora ben conservate sono state sottosposte ad
analisi biomolecolare (PCR-RFLP) per il genere Anisakis: i dati
di RFLP sono stati analizzati mediante elettroforesi su gel che
ha rivelato i modelli di restrizione tipici per le specie, in base
alle chiavi di lettura indicate in bibliografia: i profili di digestione
ottenuti hanno permesso di identificare le larve isolate come A.
pegreffii (3,9).
responsabili degli esercizi di ristorazione e somministrazione
ma anche del consumatore finale.
Alla luce di quanto sopra esposto si ritiene interessante
continuare a svolgere questo studio per avere dati scientifici
sempre più aggiornati circa la contaminazione da parassiti
Anisakis in prodotti ittici di largo consumo.
Nell’ambito della sicurezza alimentare inoltre i dati
epidemiologici sulla prevalenza di questa parassitosi rivestono
sicuramente grande importanza per un approccio sulla
valutazione del rischio.
BIBLIOGRAFIA
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larvae in anchovy Engraulis encrasicolus caught off Naples
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and histological identification of two new cases
Parassitologia 49, 2008:226 ISFP VII
9) Sciortino S., Palumbo P., Reale S., Macrì D., Costa A.
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specie di larve di Anisakis isolate da prodotti della pesca”
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Anisakis spp in commercial fish caught off northern
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risk to human healh -27 April 1998 European Commission
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12) Scientific Opinion on risk assessment of parasites in fishery
products EFSA Journal 2010; 8(4):1543
CONCLUSIONI
La Direttiva 2003/99/CE del 17 novembre 2003 (Allegato
I) include l’anisiakiasi nell’elenco delle zoonosi e degli
agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza in funzione
della situazione epidemiologica nelle varie fasi della catena
alimentare. In Italia pochi sono i dati epidemiologici sulla
prevalenza di questa parassitosi per formulare una stima del
rischio per il consumatore. L’anisakiasi nella forma invasiva
costituisce un pericolo per l’uomo solo nel caso di consumo
di pesci in cui il parassita sia conservato vivo al momento
dell’ingestione ma non si deve sottovalutare il rischio
allergologico che nei casi più gravi, peraltro rari, può portare
allo shock anafilattico.
Un recente documento dell’EFSA sulla sicurezza alimentare
attenziona il rischio da presenza di parassiti nei prodotti ittici:
viene evidenziato che l’unico parassita dei prodotti ittici che
può provocare reazioni allergiche è l’Anisakis. All’EFSA è stato
chiesto tra l’altro di: valutare i rischi per i consumatori derivanti
da possibili reazioni allergiche dovuti a parassiti potenzialmente
presenti nei prodotti ittici e di definire criteri per garantire che il
consumo di prodotti ittici crudi, poco cotti o affumicati a freddo
provenienti da zone di pesca e da acquacoltura, non presenti
rischi per la salute riferiti alla presenza di parassiti.
A ciò si deve aggiungere la subentrata libera circolazione dei
vari alimenti, pesci compresi, in ambito di Comunità europea.
A tutt’oggi sono già numerose le segnalazioni di partite di pesci
parassitati di evidente provenienza extranazionale: diverse le
notifiche EFSA, puntualmente riportate dal portale RASFF del
Ministero della Salute, su infestazioni parassitarie da nematodi
Anisakis in prodotti ittici, comprese le alici, provenienti in
particolare dalla Croazia.
I risultati preliminari ottenuti dalla nostra indagine suggeriscono
di attenzionare, come indicato dalle attuali normative (Circ 11
marzo 1992 n.10; Reg CE 853/2004), alcune specie ittiche già
note per la presenza di questi parassiti. Il consumo di pesce
crudo o praticamente crudo (marinato, salato, affumicato)
somministrato dai ristoranti, venduto da esercizi di gastronomia
o semplicemente preparato in casa, sta conoscendo un
crescente successo negli ultimi anni: le classiche “alici
marinate”, sono sempre più apprezzate dai consumatori.
E’ da ricordare che la normativa europea impone ai ristoratori
che il pesce da consumare crudo, affumicato o marinato
sia sottoposto a congelamento a -18°C per almeno 24 ore,
obbligo non sempre rispettato o conosciuto dagli esercenti.
Da qui l’importanza di una corretta informazione non solo dei
“Ricerca Corrente IZS SI 11/07 Ministero della Salute”
84
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RIEMERGENZA DELLA RABBIA SILVESTRE NEL NORD-EST DELL’ITALIA:
SITUAZIONE EPIDEMIOLOGICA E STRATEGIE DI INTERVENTO
Mutinelli F.
IZS delle Venezie, CRN per la rabbia, Legnaro (PD)
Key words: rabbia, vaccinazione orale, volpe
Riassunto – Dopo quasi 13 anni di assenza dal territorio italiano,
indenne dal 1997, la rabbia silvestre ha fatto la sua ricomparso
nell’ottobre del 2008 in provincia di Udine a ridosso del confine
con la Slovenia. Nel 2009, l’epidemia si è estesa alle province
di Pordenone e successivamente di Belluno, interessando
poi nel 2010 anche le province autonome di Trento e Bolzano.
Oltre alle misure di prevenzione adottate al fine di tutelare gli
animali domestici e l’uomo, sono state programmate e realizzate
campagne di vaccinazione orale delle volpi di emergenza mediante
distribuzione aerea delle esche nell’inverno 2009-2010 e nella
primavera-estate 2010. Il 77% delle volpi testate dopo la prima
campagna hanno evidenziato un titolo anticorpale ≥0.5 IU/ml.
Riemergenza della rabbia
Nell’ottobre del 2008, a distanza di quasi 13 anni dall’ultimo
caso di rabbia diagnosticato in provincia di Trieste nel dicembre
del 1995, la rabbia silvestre ha fatto la sua ricomparsa in alcuni
comuni del nord-est della regione Friuli Venezia Giulia [3]. Nel
2008, sono stati diagnosticati un totale di 9 casi di rabbia nella
provincia di Udine. L’epidemia di rabbia silvestre si è poi estesa
nel 2009 alla provincia di Pordenone e alla regione Veneto.
Infatti, un cane di proprietà non vaccinato nei confronti della
rabbia è risultato positivo il 17 novembre 2009 nel comune di
Lozzo di Cadore (BL). In precedenza la rabbia silvestre aveva
interessato la provincia di Belluno, unica provincia nella regione
del Veneto, dal 1978 al 1983, in relazione all’epidemia presente
nell’arco alpino. Nel 2009 sono stati diagnosticati 68 casi di rabbia
nelle province di Udine, Trieste e Pordenone (35) e Belluno (33)
(Tabella 1). Nel 2010 l’epidemia di rabbia silvestre ha continuato
ad interessare principalmente la provincia di Belluno con 180
casi, facendo tuttavia registrare anche 14 casi nelle province di
Udine e Pordenone, 8 nella provincia autonoma di Trento e 5 in
quella di Bolzano. Dal 2008 ad oggi i casi di rabbia sono stati 284
(Tab.1) [6].
Fra le specie animali interessate, i selvatici sono quelli
maggiormente rappresentati con 269 casi su 284 (94,7%); in
particolare la volpe con 240 casi (84,5%); i domestici positivi sono
stati 15 (5,3%) (Tabella 2).
L’analisi filogenetica delle sequenze eseguita presso l’ISZ delle
Venezie ha rivelato che tutti i virus italiani analizzati appartengono
al genotipo 1 (rabbia classica) ed al gruppo dei virus dell’Europa
Occidentale (clade WE). Come atteso, i virus responsabili
dell’attuale e della trascorsa epidemia in Friuli Venezia Giulia
si sono raggruppati con i virus circolanti nei Paesi limitrofi, in
particolare Slovenia, Bosnia Erzegovina ed ex-Jugoslavia [2,3].
Analoghe caratteristiche hanno presentato gli isolati virali della
Slovenia (2008/09).
Summary - Italy has been classified as rabies-free since 1997.
Fox rabies re-emerged in north-eastern Italy in October 2008,
in an area bordering Slovenia. In 2009, the infection spread
westward to Veneto region and in 2010 to the provinces of Trento
and Bolzano. Further to the preventative measures applied to
limit the spread of the infection to domestic animals and humans,
aerial emergency oral fox vaccination was implemented in the
winter 2009-2010 and the spring-summer 2010. Of the foxes
sampled following the first vaccination campaign, 77% showed a
rabies antibody titre of ≥0.5 IU/ml.
Introduzione
La rabbia silvestre ed urbana ha interessato l’Italia centromeridionale fino al marzo 1973, con rari casi di rabbia nei selvatici
segnalati nelle province di Trento, Bolzano e Belluno nel 1967 e
1968. Successivamente, la rabbia silvestre ha fatto la sua comparsa
nell’arco alpino, da Aosta a Trieste, con una prima epidemia nel
periodo 1977-1986, legata alla situazione epidemiologica della
malattia in Francia, Svizzera, Austria e Yugoslavia. La seconda
epidemia ha interessato la sola regione Friuli Venezia Giulia
nel periodo 1988-1989 e la terza ha interessato nuovamente la
regione Friuli Venezia Giulia nel periodo 1991-1995 e la provincia
di Bolzano nel 1993 e 1994 [5]. Anche in questi casi la presenza
della rabbia negli stati confinanti ha condizionato la sua comparsa
in Italia.
Campagne di vaccinazione orale delle volpi sono state realizzate
dal 1984 al 2004 quasi ininterrottamente nei territori infetti come
strategia fondamentale nella lotta alla rabbia silvestre.
L’ultimo caso di rabbia è stato diagnosticato in una volpe in provincia
di Trieste nel dicembre del 1995 e dal 1997 l’Italia ha ottenuto il
riconoscimento di stato indenne da rabbia. Nel periodo 1977-1995
sono stati diagnosticati 3.333 casi di rabbia: il 98,2% ha interessato
animali selvatici e solo l’1,8% domestici. Tra i selvatici, le volpi hanno
rappresentato l’87,5%, i mustelidi il 9,4% e gli erbivori selvatici il
2,9%. Circa novecento pipistrelli sono stati esaminati nel tempo
nel territorio italiano e sono risultati negativi per rabbia.
Tre casi di rabbia di importazione sono stati diagnosticati nel
cane: dalla Yugoslavia nel 1984 (Roma), dalla Costa d’Avorio
nel 1989 (Milano) e dalla regione del lago Balaton (Ungheria)
nel 1992 (Brescia). Casi di rabbia autoctoni sono stati segnalati
nell’uomo dal 1946 al 1968. Da allora sono stati diagnosticati
tre casi di importazione, due dall’India nel 1970 e 1977, ad uno
dal Nepal nel 1996.
Strategie di intervento
A fronte della ricomparsa della rabbia silvestre sono state
programmate e realizzate campagne di vaccinazione orale delle
volpi nella regione Friuli Venezia Giulia fra gennaio e dicembre
2009; campagne di vaccinazione di emergenza sono state
realizzate nel dicembre 2009-gennaio 2010 in Veneto e nelle
province autonome di Trento e Bolzano (circa 10.000 km2); e tra
aprile e giugno 2010 negli stessi territori estendendo l’intervento
a tutto il Friuli Venezia Giulia, fino a 2.300 m di altitudine (circa
30.000 km2 (Figura 1). In linea con le raccomandazioni comunitarie
[4], si è operato con l’ausilio di elicotteri equipaggiati con un
dispositivo automatico per la distribuzione delle esche supportato
da navigatore satellitare e registrazione computerizzata,
raggiungendo una densità di distribuzione di 25-30 esche/
km2. Il monitoraggio della vaccinazione realizzata a dicembre
2009-gennaio 2010 ha fornito risultati decisamente incoraggianti
considerato che il 77% delle volpi testate presentava un titolo
anticorpale ≥0.5 IU/ml [1].
Una nuova campagna di vaccinazione orale di emergenza è
stata iniziata nella seconda metà di agosto e si protrarrà fino a
metà settembre coprendo un territorio di circa 30.000 km2, dalle
85
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
vaccination of foxes in northeastern Italy, 28 december
2009-20 january 2010: preliminary evaluation. Euro Surveill.
2010;15(28):pii=19617. Available online: http://www.
eurosurveillance.org/ViewArticle.aspx?ArticleId=19617
2. De Benedictis P., Capua I., Mutinelli F., Wernig J.M., Arič
T., Hostnik P. (2009): Update on fox rabies in Italy and
Slovenia. Rabies Bulletin Europe 33, 5-7.
3. De Benedictis P., Gallo T., Iob A., Coassin R., Squecco
G., Ferri G., D’Ancona F., Marangon S., Capua I., Mutinelli
F. (2008): Emergence of fox rabies in north-eastern
Italy. Euro Surveill. 2008;13(45):pii=19033. Available
online:
http://www.eurosurveillance.org/ViewArticle.
aspx?ArticleId=19033.
4. European Commission. (2002): The oral vaccination of
foxes against rabies. Report of the Scientific Committee on
Animal Health and Animal Welfare. 23 October 2002.
5. Mutinelli F., Stankov S., Hristovski M., Seimenis A.,
Theoharakou H., Vodopija I. (2004): Rabies in Italy,
Yugoslavia, Croatia, Bosnia, Slovenia, Macedonia, Albania
and Greece. Chapter 8. p. 93. In: Historical perspective of
rabies in Europe and the Mediterranean basin. (A.A. King,
A.R. Fooks, M. Aubert, A.I. Wandeler eds.), OIE, Paris.
6. www.izsvenezie.it (aggiornato al 31 agosto 2010)
province di Trento e Bolzano fino al confine con la Slovenia. Un
analogo intervento è già stato programmato anche per novembredicembre 2010. Ulteriori campagne di vaccinazione orale delle
volpi sono state inoltre programmate fino al 2012 con cadenza
biennale (primavera e autunno), secondo le raccomandazioni
comunitarie [4]. Contestualmente sono state adottate misure
dirette a tutelare gli animali domestici e l’uomo, limitando la
movimentazione dei cani in funzione dell’evoluzione della
situazione epidemiologica, rendendo obbligatoria la vaccinazione
antirabbica dei cani e degli erbivori a rischio di esposizione ed
ancora è stata realizzata una campagna di formazione per gli
addetti al settore e di informazione per la popolazione. E’ stata
inoltre costituita l’Unità di crisi centrale per il coordinamento degli
interventi diretti al controllo della rabbia silvestre nelle regioni e
province autonome interessate e sono stati rafforzati i rapporti di
collaborazione con le rispettive autorità di Austria e Slovenia per il
coordinamento degli interventi di vaccinazione orale delle volpi.
Bibliografia
1. Capello K., Mulatti P., Comin A., Gagliazzo L., Guberti
V., Citterio C., De Benedictis P., Lorenzetto M., Costanzi
C., Vio P., Zambotto P., Ferri G., Mutinelli F., Bonfanti L.,
Marangon S. (2010): Impact of emergency oral rabies
Tabella 1. Casi di rabbia diagnosticati nel 2008-2010 ripartiti per regione/provincia autonoma (Aggiornati al 31.08.10)
ANNO
2008
2009
2010
Totale
REGIONE
N°
testati
N°
positivi
%
positivi
N°
N°
testati positivi
%
positivi
N°
testati
N°
positivi
%
positivi
N°
testati
N°
positivi
%
positivi
FRIULI
192
9
4,69%
856
35
4,09%
1155
14
1,21%
2203
58
2,63%
VENETO
494
0
0,00%
720
33
4,58%
2124
180
8,47%
3338
213
6,38%
PROVINCIA
AUTONOMA
DI TRENTO
203
0
0,00%
117
0
0,00%
840
8
0,95%
1160
8
0,69%
PROVINCIA
AUTONOMA
DI BOLZANO
807
0
0,00%
1270
0
0,00%
1103
5
0,45%
3180
5
0,16%
Totale
1696
9
0,53%
2963
68
2,29%
5222
207
3,96%
9881
284
2,87%
Tabella 2. Specie animali positive per rabbia
Figura 2. Distribuzione dei casi di rabbia diagnosticati
nel 2008-2010 ed aree interessate dalle campagne di
vaccinazione orale delle volpi (Aggiornata al 31.08.10)
Specie
animale
asino
bovino
cane
capriolo
cavallo
cervo
faina
gatto
marmotta
martora
tasso
volpe
Totale
86
N° positivi
2008
N° positivi
2009
N° positivi
2010
1
1
3
1
1
8
9
3
60
68
8
1
1
3
9
1
1
10
172
207
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CARATTERIZZAZIONE DI CEPPI DI EQUINE HERPEVIRUS TIPO 1 CIRCOLANTI IN ITALIA FRA IL 1990 ED IL 2010
1,2
Canelli E., 2Manna G., 1Catella A., 1Lelli D.,1Fontana R., 2Cardeti G., 2Autorino L., 1Cordioli P.
2
1
IZSLER, Dipartimento di Sanità animale, Laboratorio di Virologia, Brescia
IZSLT, Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli Equini (CERME), Roma
Keywords: Equine Herpesvirus type 1, Single Nucleotide Polymorphism, Mutant strains
SUMMARY
Equine herpesvirus 1 (EHV-1) is an important horse pathogen,
which is mainly responsible for respiratory diseases, abortion,
perinatal death, but also for a neurological syndrome, defined
as Equine Herpesvirus Myeloencephalopathy (EHM). Only
certain strains, classified as mutant, are believed to cause
this neurological form. A single nucleotide polymorphism
(SNP) within the gene encoding for the DNA polymerase
was reported in these strains and is considered the marker
for neuropathogenicity. The aim of this study was to analyse
a panel of 87 Italian strains, collected from 1990, using a realtime allelic discrimination PCR assay. The results reveal the
presence of both mutant as well as classical variant throughout
the whole study period, with an increase of the latter during
the last five years. All neurological cases were correlated to
mutant strains. However, these were also detected in a high
percentage of abortion cases, confirming that the mutation led
to an higher viral aggressiveness and pathogenicity. Foetal
and placental tissues are proved as an optimal material for
typing both EHV-1 variants. A continuous monitoring of the
circulating strains would be useful in order to clarify some
evolutionary and epidemiological hypotheses which are still
not well understood.
MATERIALI E METODI
Campioni
In totale lo studio ha riguardato 87 ceppi di EHV-1, dei quali
69 (80%) isolati da campioni originari principalmente da
Lombardia ed Emilia Romagna e 18 (20%) da regioni centromeridionali. La maggior parte dei ceppi (93%) proveniva
da casi di aborto o mortalità perinatale, mentre 6 sono stati
ottenuti da differenti matrici prelevate in corso di sindromi
neurologiche diagnosticate prevalentemente fra il 2009 ed il
2010. Un campione è stato isolato da un mulo in seguito ad
immunosoppressione farmacologia.
Real-time allelic discrimination Taq-Man® PCR
Il DNA è stato ottenuto da omogenati d’organo, tamponi nasali,
sangue intero o da surnatanti di tessuto-colture mediante
QIAamp Viral RNA Mini Kit (Qiagen). I primer e le sonde
utilizzati sono gli stessi descritti da Allen, 2007 [1] e il protocollo
di discriminazione allelica è stato leggermente modificato e
adattato alla routine di laboratorio. In breve è stata utilizzata
una duplex real-time Taq-Man® PCR per la discriminazione
allelica dei ceppi classici (A2254) e mutanti (G2254). Le sonde TaqMan-MGB® sono state marcate rispettivamente VIC® per i ceppi
mutanti e FAM® per i ceppi classici. Per ogni reazione, sono
stati utilizzati 2.5 μl del DNA estratto e 22.5 μl di mix (12.5 μl
of Taq-Man® Universal PCR Master Mix (Applied Biosystems),
1.5 μl di primer (1.5 μM) e 1.5 μl di ogni sonda (2 μM) e 2 μl di
acqua nuclease-free). Le condizioni termiche utilizzate sono le
seguenti: denaturazione iniziale a 95° C per 10 min, seguita da
55 cicli a 95°C per 15 s e 65°C per 1 min. La successiva analisi
per l’identificazione della variante rispetto alla SNP è stata
fatta utilizzando il software per la discriminazione allelica dello
strumento One Step Plus (Applied Biosystem) o comparando
le curve di amplificazione dei ceppi con entrambe le sonde
(positivo <=40, negativo >40 o =0).
INTRODUZIONE
Equid Herpesvirus 1 (EHV-1) appartiene alla sottofamiglia
delle Alphaherpesvirinae, genere Varicellovirus. EHV1 è un virus a DNA lineare a doppio filamento di 150 Kbp,
il cui genoma comprende 80 open reading frame (ORF).
Nonostante l’ampio utilizzo di vaccini, il virus risulta endemico
nelle popolazioni equine. Alle infezioni da EHV-1, primarie o
da riattivazione di virus latenti, sono associati aborti, mortalità
neonatale e forme respiratorie. Inoltre, negli ultimi anni sono
stati segnalati in tutto il mondo e con maggiore frequenza
focolai di sindrome neurologica o EHM (Equine Herpesvirus
Myeloencephalopathy), anche ad andamento epizootico. Per
questo motivo la EHM è stata classificata come una forma
patogenetica potenzialmente emergente [6]. Si ritiene che
solo alcuni ceppi di EHV-1 (definiti ceppi neuropatogeni o
mutanti, per distinguerli dai ceppi considerati classici) siano
responsabili di tale sindrome [4]. È stato osservato che mentre
i ceppi mutanti vengono isolati nel corso di tutte le patologie
sopra riportate, solo in un modestissimo numero di casi con
sintomatologia neurologica sono stati rilevati ceppi classici.
Studi genomici hanno identificato la presenza di una singola
sostituzione nucleotidica (SNP) a livello di ORF30 (gene che
codifica per la DNA polimerasi), significativamente associata
all’evoluzione neurologica dell’infezione [3, 4, 7]. In particolare
alla sostituzione nucleotidica di adenina (A) con guanidina (G)
in posizione 2254 corrisponde la sostituzione di asparagina
(N) con acido aspartico (D) alla posizione aminoacidica 752.
Gli obiettivi di questo studio sono stati: caratterizzare i ceppi di
EHV-1 circolanti in Italia a partire dal 1976, valutare le eventuali
correlazioni tra varianti e forme cliniche e verificare possibili
variazioni di distribuzione della frequenza sia in termini di
localizzazione territoriale, sia nel corso degli anni.
Sequenziamento
Per verificare il metodo sono stati sequenziali dieci ceppi (3
ceppi mutanti e 7 ceppi classici secondo la discriminazione
allelica) per un frammento della regione codificante per la
ORF30. Il protocollo e i primer impiegati sono quelli descritti
da Nugent et al. (2006) [4]. I prodotti amplificati sono stati
sequenziati direttamente dopo purificazione utilizzando il kit
Big Die Terminator e analizzati con analizzatore genetico 3.130
(Applied Biosystems). È stata effettuata l’analisi in BLAST e
l’allineamento multiplo delle sequenze ottenute con quelle di
ceppi di riferimento rappresentativi (Mutant. AB4: AY665713;
Classic V592: AY464052) è stato effettuato con CLUSTAL-W
(Lasergene, DNASTAR).
RISULTATI
Di 87 ceppi analizzati 53 (61%) hanno mostrato la mutazione
D/752. In particolare, il 56% dei virus originari delle regioni
centro-meridionali è risultato N/752, mentre i ceppi delle regioni
settentrionali hanno mostrato una prevalenza del 63% di stipiti
mutanti (Tab.1). Inoltre, si nota una presenza costante di ceppi
87
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
mutanti fin dagli anni 90, con un aumento nella prevalenza dei
ceppi classici soprattutto nell’ultimo quinquennio (Tab.2). La
variante D/752 è risultata associata a tutti i casi con conclamata
sintomatologia neurologica, ma anche a molteplici casi ad esito
abortigeno o di mortalità perinatale (92%). L’analisi genetica
dei ceppi analizzati, confermando la disposizione già ottenuta
con la discriminazione allelica, ha dimostrato l’attendibilità del
metodo impiegato.
all’aumento della virulenza corrisponde un aumento del titolo
di virus circolante, soprattutto associato ai leucociti; ciò sempre
significativamente dipendente dalla singola mutazione. Le
ipotesi patogenetiche formulate attribuirebbero proprio agli
elevati titoli viremici la maggiore probabilità di infettare e indurre
danni alle cellule epiteliali non solo delle arterie del SNC,
ma anche di quelle a livello placentare. Di conseguenza, la
variante D/752 risulterebbe anche maggiormente abortigena.
I dati ottenuti confermano infatti che i ceppi mutanti vengono
rilevati con alta frequenza anche negli aborti e, pertanto, feti
ed invogli fetali possono essere utilmente impiegati anche ai
fini della caratterizzazione molecolare dei ceppi circolanti. Lo
studio condotto indica inoltre che, nella popolazione equina
nazionale, coesistono costantemente negli anni entrambe le
varianti del virus, facendo ipotizzare l’assenza di un vero e
proprio svantaggio selettivo. Per confermare questa ipotesi,
è necessario continuare ad effettuare sistematicamente
la sorveglianza e l’analisi dei ceppi di EHV-1 circolanti.
L’isolamento dei ceppi associati a forme neurologiche risulta
più frequente negli ultimi anni, probabilmente per la maggiore
attenzione posta a tali sindromi a seguito delle recenti epidemie
sostenute dal virus West Nile. Per evitare di sottostimare il
fenomeno, al contrario di quanto avviene in campo, l’infezione
da EHV-1 dovrebbe sempre essere sempre considerata nella
diagnosi differenziale di forme nervose. Sono in corso ulteriori
studi per approfondire le analisi epidemiologiche e ampliare
l’analisi genetica anche ad altre regioni del genoma di EHV-1,
per evidenziare ulteriori marker e profili genetici associati alla
manifestazione della EHM in campo.
Tab.1: disposizione dei ceppi analizzati per area geografica e
per variante (mutante o classica).
Tab.2: prevalenza dei ceppi mutanti o classici nel periodo di
studio, suddiviso in gruppi di quattro anni.
Ringraziamenti
Gli autori ringraziano Annamaria Tirelli per il preziosissimo
supporto tecnico.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Allen G.P. Development of a real-time polymerase chain
reaction assay for rapid diagnosis of neuropathogenic
strains of equine herpesvirus-1. (2006)J Vet Diagn Invest
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our understanding of equine herpesvirus-1 (EHV-1)
myeloencephalopathy, 107th Annual Meeting of the United
States Animal Health Association (2007), pp. 373–380.
3. Goodman B.L., Loregian A., Perkins A.G., Nugent J.,
Buckles L.E., Mercorelli B., Kydd H.J., Palu G., Smith C.K.,
Osterrieder N., Davis-Poynter N.(2007) A point mutation
in a herpesvirus polymerase determines neuropathogenicity,
PLos Pathog 3,1583–1592
4. Nugent J., Birch-Machin I., Smith K.C. Analysis of
equine herpesvirus type 1 strain variation reveals a point
mutation of the DNA polymerase gene strongly associated
with neuropathogenic versus non-neuropathogenic
disease outbreaks. (2006) J Virol 80,4047–4060.
5. Smith K.L, Allen GP., Branscum A.J., Cook R.F., Vickers
M.L., Timoney P.J., Balasuriya U.B.R., The increased
prevalence of neuropathogenic starins of EHV-1 in equine
abortions, vet microbio, 141 (2010) 5-11
6. Anonymous, Equine herpesvirus myeloencephalopathy: a
potentially emerging disease. In: USDA-APHIS (Eds.),
APHIS Veterinary Services Center for Epidemiology and
Animal Health, Washington, DC, USDA, 2007 pp. 40–43.
7. Van de Walle G.R., Goupil R., Wishon C., Damiani A.,
G.A. Perkins G.A. and Osterrieder N., A single-nucleotide
polymorphism in a herpesvirus DNA polymerase is
sufficient to cause lethal neurological disease, J. Infect.
Dis. 200 (2009), pp. 20–25.
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti in questo studio dimostrano che entrambe
le varianti di EHV-1 circolano in Italia a partire dagli anni ’90.
Mentre per i ceppi centro-meridionali si nota una prevalenza di
ceppi classici, per quelli delle regioni settentrionali si osserva
un maggior numero totale di ceppi mutanti. Tale differente
distribuzione potrebbe essere riconducibile ai fattori di rischio
più comuni a livello locale e regionale (circuiti ippico-sportivi
e stazioni di monta). I risultati indicano che a fronte della
persistente circolazione di ceppi mutanti, si assiste ad un
aumento della prevalenza dei ceppi classici. Ciò, risulterebbe in
controtendenza rispetto ad altri studi [2, 3, 5]. Tuttavia tali risultati
concorderebbero con l’ipotesi evoluzionistica che individua la
variante D/752 come progenitore della N/752 [4]. Infatti, in tutti
gli altri herpesvirus la sequenza del gene della polimerasi virale
presenta un residuo acidico, solitamente l’acido aspartico, alla
posizione equivalente a Pol752 di EHV-1. Un altro risultato da
richiamare all’attenzione è quello relativo alla presenza del solo
tipo D/752 nei focolai di forma neurologica conclamata. Questo
supporta le ipotesi di altri studi che indicano la mutazione a
livello di ORF 30 come fattore sufficiente e probabilmente
necessario all’evoluzione neurologica dell’infezione [3, 4, 7].
L’utilizzo di cloni infettanti, che esprimono o meno la mutazione,
in sperimentazioni su equini [3, 7] ha già convincentemente
dimostrato che la variante D/752 è più patogena e aggressiva
rispetto alla N/752, soprattutto se si fa riferimento alla fatalità
elevata della forma neurologica. Inoltre è stato verificato che
88
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
FOCOLAIO DI FORMA NERVOSA DA EQUINE HERPESVIRUS TIPO 1
1
Canelli E., 1Catella A., 2Mazzolari L., 3Schiaffino F., 2Begni E., 1Gelmetti D., 1Salogni C.,1Moreno A., 1Lelli D., 1Sozzi E.,
1
Cordioli P.
1
IZSLER, Dipartimento di Sanità animale, Laboratorio di Virologia, Brescia
2
veterinario ufficiale ASL di Brescia, Brescia
3
veterinario libero professionista, San Giorgio Horse Club, Rudiano, Brescia
Keywords: Equine Herpesvirus -1, forma neurologica
SUMMARY
Between December 2009 and January 2010, a dramatic
outbreak of the neurological form due to Equine Herpes Virus
type1 (EHV-1) occurred in three neighbouring horse-farms
and involved 15 out of 23 horses. Within ten days the affected
horses showed high temperature; 12 of them also manifested
neurological signs: ataxia, legs paralysis with a caudal to cranial
progression, often exited in recumbency. Clinical suspect of
a viral neurological disease was supported by macro and
microscopic findings, and confirmed by virological analyses.
The EHV-1 was detected by real-time PCR, isolated from the
nervous central system on RK13 cells and identified by using
specific monoclonal antibodies. The phylogenetic analysis on the
ORF30 amplified fragment of the isolated strains revealed the
genetic mutation on the polymerase gene, previously described
for the EHV-1 neuropathogenic or mutant type.
sono stati conferiti ai laboratori IZSLER per la necroscopia e le
analisi. Nel frattempo nell’arco di venti giorni, altri dieci cavalli si
sono ammalati. Tre di questi, che mostravano solo inappetenza
e febbre, hanno recuperato dopo terapia, in 7-10 giorni. Gli
altri sette cavalli presentavano febbre (39,4-41°C) associata a
debolezza, atassia e paresi progressiva degli arti posteriori. Un
cavallo presentava anche anemia, linfoadenopatia mandibolare e
edema dello scroto e degli arti posteriori, precedenti alla comparsa
dei segni neurologici. Tre dei sette cavalli, sono stati sottoposti
ad eutanasia in seguito a un decubito laterale irreversibile. Gli
altri quattro cavalli sono guariti in seguito a terapia. A questo
riguardo, dato che non esiste una terapia specifica e poiché non
si conosceva ancora la causa della patologia, è stato applicato
un protocollo terapeutico di idratazione endovenosa con una
soluzione elettrolitica bilanciata, e di somministrazione di DMSOdesametasone e di complessi vitaminici. Una settimana dopo
questo primo allevamento, tre fattrici di cinque presenti in due
piccoli allevamenti confinanti con il Circolo San Giorgio, hanno
presentato aborto e gli stessi sintomi descritti prima. Solo una
è sopravvissuta all’infezione. Nelle vicinanze dei paddok delle
fattrici erano presenti anche tre puledri di nove mesi di età, che
non hanno sviluppato segni riferibili a infezioni da EHV-1. In
entrambi i focolai, tutti i cavalli presenti erano vaccinati con un
vaccino inattivato bivalente (nei confronti di EHV-1 e EHV-4).
INTRODUZIONE
Equid Herpesvirus 1 (EHV-1) è un Varicellovirus della famiglia
Alphaherpesvirinae. Il genoma di EHV-1 è costituito da un DNA
lineare a doppio filamento, che comprende 80 open reading
frame (ORF). Le forme cliniche più frequenti dell’infezione
da EHV-1 sono di tipo respiratorio e abortigeno, ma il virus è
anche responsabile di una sindrome nervosa definita EHM
(Equine Herpesvirus Myeloencephalopathy). Molti studi,
anche retrospettivi, sui ceppi isolati nel corso di EHM hanno
rivelato la presenza di una mutazione puntiforme alla posizione
nucleotidica 2254 del gene codificante per la polimerasi virale
(ORF30), con sostituzione amminoacidica di N (asparagina)
con D (acido aspartico) alla posizione 752. Tale mutazione
sembra essere associata in modo significativo ad un’aumentata
patogenicità virale, che si esprime in una maggiore viremia
e una maggiore aggressività a livello di cellule epiteliali delle
arterie del SNC [2, 10]. I recenti focolai italiani da West Nile virus
(WNV), hanno portato ad una maggiore attenzione da parte dei
veterinari di campo nei confronti delle sintomatologie nervose
nella specie equina. La diagnosi differenziale viene quindi ad
essere uno strumento fondamentale, soprattutto durante i
periodi epidemici per WNV. Lo scopo di questo lavoro è quello
di fornire le informazioni cliniche e diagnostiche riguardanti la
forma neurologica da EHV-1, ripercorrendo un recente focolaio
verificatosi in provincia di Brescia.
Esami virologici
Dopo la necroscopia, gli omogenati di encefalo, cervelletto e
midollo allungato di alcuni dei cavalli sottoposti ad eutanasia
sono stati esaminati con tre differenti real time-PCR per la ricerca
di WNV, Borna Virus ed EHV-1 [7]. Gli stessi campioni sono
stati anche inoculati su colture cellulari Vero, RK13 e su colture
primarie di derma equino per l’isolamento virale. La crescita
virale è stata valutata mediante osservazione giornaliera dei
monostrati. Sono state infine eseguite anche le analisi istologiche
e immunoistochimiche classiche su sezioni cerebrali e di midollo
spinale.
Analisi genetiche
In seguito alla positività per EHV-1, un frammento della ORF 30 è
stato analizzato mediante sequenziamento genetico. Il protocollo
e i primer impiegati sono quelli descritti da Nugent et al. (2006)
[4]. I prodotti amplificati sono stati sequenziati direttamente dopo
purificazione. La specificità delle sequenze è stata verificata in
BLAST. L’allineamento multiplo delle sequenze con quelle dei
ceppi di riferimento è stato eseguito con Clustal W (Lasergene).
MATERIALI E METODI
Il focolaio: descrizione clinica
Il primo sospetto di una patologia neurologica è stato effettuato
dai veterinari del Circolo Ippico San Giorgio, Brescia, quando un
cavallo (Ginger, 18/12/09 – index case) è apparso inappetente,
con una parziale paresi degli arti posteriori, seguita da una
paralisi completa con decubito laterale. Il cavallo è stato poi
sottoposto ad eutanasia. Dopo pochi giorni un altro cavallo
(Temeraro) ha mostrato gli stessi sintomi. Sono state quindi
misurate le temperature di tutti i cavalli presenti nel circolo e
la carcassa e i campioni di sangue di quest’ultimo cavallo
Esami sierologici
I sieri sono stati prelevati inizialmente da due cavalli, divenuti
sintomatici appena dopo la morte di Temeraro (28/12/09), poi
altre due volte da tutti i cavalli sopravvissuti. Il primo prelievo è
stato effettuato subito dopo la conferma della diagnosi (27/01/09),
i cavalli sono stati poi di nuovo campionati il 10/02/09. I sieri sono
stati testati in sieroneutralizzazione (SN), seguendo il protocollo
OIE [5], e in fissazione del complemento (CF).
89
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RISULTATI
In totale il focolaio ha coinvolto 13 di 23 animali presenti. Poiché
i tre allevamenti erano confinanti sono stati considerati come
un’unica unità epidemiologica e l’infezione come un unico
focolaio. Tutti gli animali avevano un’età superiore ai 7 anni.
La morbilità totale è stata di circa il 65% e il tasso di mortalità
del 30%. Il quadro anatomo-patologico dei cavalli sottoposti a
necroscopia era sovrapponibile a quello descritto in corso di
EHM. Le real-time PCR diagnostiche sono risultate: negative
per Borna virus e per West Nile virus e positiva per EHV-1. Già
al primo passaggio, era evidente sulle colture di cellule RK13
un effetto citopatico riferibile a herpesvirus e confermato come
da EHV-1 mediante immunofluorescenza (EHV-1/324102/
BS/2009). Anche l’istologia e l’immunoistochimica hanno
confermato la diagnosi. In particolare, all’esame istologico era
evidente un lieve infiltrato linfocitario multifocale, a prevalente
distribuzione perivascolare; edema diffuso, presenza di trombi
ialini e microemorragie a livello di tutto il sistema nervoso
centrale dalla corteccia al midollo spinale. La colorazione
immunoistochimica con antisiero EHV-1 specifico è risultata
positiva a livello del citoplasma di alcune cellule endoteliali
cerebrali. Le lesioni macroscopiche e microscopiche postmortem delle fattrici successivamente coinvolte nel focolaio,
sono state le stesse descritte per il primo caso, e l’esame
virologico ha confermato la diagnosi (EHV-1/16656/BS/2010).
L’analisi genetica degli isolati ha evidenziato la presenza della
già descritta sostituzione di A in posizione 2254 (D/752 aa) con G
(N/752 bis), ma anche la presenza di un’altra sostituzione silente
in 2874 di G con A, non rilevabile in entrambi i ceppi di riferimento
(Tab. 1). Per quanto riguarda le analisi sierologiche i primi due
cavalli prelevati, hanno avuto una sieroconversione rilevata
mediante sieroneutralizzazione, mentre gli anticorpi fissanti il
complemento, inizialmente negativi, hanno subito un notevole
aumento. Tutti gli altri sieri presentavano titoli anticorpali elevati
in entrambe le date di prelievo, senza incrementi significativi in
entrambe le metodiche.
Le sequenze dei due isolati sono disponibili in GenBank con
i seguenti numeri d’accesso: HM125711 (16656/BS/2010);
HM125712 (324102/BS/2009).
è stato causa di una forma grave. I dati sierologici sui prelievi
fatti in fase acuta e convalescente dai primi due cavalli analizzati
erano indicativi di un’infezione recente. La sierologia appare
quindi come un metodo molto utile quando il primo prelievo
viene effettuato vicino all’inizio della sintomatologia febbrile e/o
degli altri sintomi clinici e la sieroconversione viene valutata
su un secondo campione prelevato 5-7 giorni dopo il primo.
Al contrario, non dà risultati significativi se i prelievi vengono
effettuati in corso di focolaio o successivamente, poiché gli alti
titoli anticorpali non sono valutabili per stabilire la temporalità
dell’infezione. La fissazione del complemento è stata confermata
come un metodo sierologico valido, soprattutto per diagnosticare
infezioni recenti. Ulteriori studi genomici sono in corso su questi
ceppi e su altri isolati da focolai neurologici per l’analisi della
inter region tra ORF62- ORF63. Questa particolare regione
sembra interessante in quanto appare associata alla crescita
virale e alla virulenza di EHV-1.
La prevalenza delle infezioni nervose da EHV-1 è spesso
sottostimata, dato che la sintomatologia clinica non è sempre
evidente o patognomonica. Il focolaio descritto rappresenta
invece un caso grave, vista la morbilità e la letalità particolarmente
elevate.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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characteristics. Equine Vet J 33,191–196.
Tab.1 Schema della analisi genetica delle sequenze della
ORF30 dei due ceppi isolati in corso di focolaio, confrontate con
i ceppi di riferimento Ab4 (mutante) e V592 (classico).
Ab4 AY665713
2225* 742** 2254 752
V
D
T
G
2874
G
958
L
2968
G
990
E
V592
AY464052
T
V
A
N
G
L
A
K
324102/09
16656/10
T
T
V
V
G
G
D
D
A
A
L
L
G
G
E
E
* posizione nucleotidica, relativa all’inizio della sequenza della
ORF 30 del ceppo di riferimento Ab4; ** posizione amminoacidica
corrispondente. in base alla sequenza del ceppo V592 .
DISCUSSIONE
Nonostante l’utilizzo della profilassi indiretta su larga scala,
l’infezione da EHV-1 è ancora frequente e può verificarsi anche
in forma di sindrome neurologica. L’isolamento di un virus
che presenta la mutazione puntiforme a livello di ORF 30 in
da questo focolaio, conferma la forte associazione tra questa
mutazione e l’evoluzione neurologica dell’infezione. Il ceppo
correlato a questo focolaio ha mostrato un’elevata virulenza ed
90
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI (CSM) ANIMALI: ISOLAMENTO, CARATTERIZZAZIONE E
CONTROLLI DI QUALITÀ
Di Marco P.1, Ferrari M.2, Sesso L.1, Purpari G.1, Russotto L.1, Cannella V.1, Dara S.1, Di Bella S.1, Guercio A.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia; 2Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna
Key words: Cellule Staminali Mesenchimali (CSM), caratterizzazione, controlli di qualità
ABSTRACT
Among research activities of Istituto Zooprofilattico Sperimentale
(IZS), working according UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 norms,
there are Mesenchymal Stem Cells (MSCs) isolation, amplification,
characterization and banking. In this survey equine and canine
MSCs are collected from bone marrow and adipose tissue. Safety
testing methods are applied to assure cells biosafety. MSCs could
be used in order to study tissue remodelling both autologus and
allogeneic implantation.
di tipo I) antibiotata. Il pacchetto cellulare ottenuto dalla digestione
viene lavato e centrifugato con PBS antibiotato. Infine, il pellet
ottenuto è risospeso in terreno colturale completo (D-MEM low
glucose, 20% SFB e 10% antibiotici-antimicotici). La vitalità
cellulare è valutata mediante il Trypan blu test.
Figura 1. Prelievo di tessuto adiposo (a) e midollo osseo (b)
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni lo studio delle CSM ha permesso di verificare
la loro capacità di auto-rinnovarsi e differenziarsi in numerosi tipi
cellulari, rappresentando così una sorta di sistema di sicurezza
dell’organismo. Esse, infatti, svolgono una funzione di riserva per
le cellule mature, provvedendo alla loro sostituzione allorquando
esse raggiungono il limite fisiologico di sopravvivenza o eventi
negativi ne determinano la morte precoce.
Ogni cellula staminale ha la potenzialità di evolvere sia in un’altra
cellula staminale (auto-rinnovamento) che in un tipo cellulare
(muscolare, ematico, neuronale, cartilagineo, osseo, ecc.) con
funzioni specializzate.
Queste caratteristiche hanno fatto riflettere sulla possibilità di
utilizzare le CSM nell’ambito della rigenerazione dei tessuti. In
questo lavoro viene descritta l’attività di isolamento, amplificazione,
caratterizzazione e conservazione delle CSM da midollo osseo e
da tessuto adiposo di cane e cavallo. Inoltre, è stata valutata la
possibilità di utilizzare le CSM nella terapia cellulare rigenerativa
in cani e cavalli, rispettivamente con lesioni ossee e tendinee. Le
CSM sono state isolate e propagate in laboratorio, al fine di potere
ottenere una concentrazione cellulare ritenuta idonea per l’impianto
autologo e allogenico in animali con problemi ortopedici.
Le cellule sono state sottoposte a controlli microbiologici e a
test di tumorigenicità, al fine di limitare i rischi conseguenti alla
manipolazione cellulare ed alla comparsa di mutazioni, con
acquisizione di caratteristiche oncogene.
Caratterizzazione delle CSM
Per la tipizzazione cellulare si eseguono due tests in vitro.
Il primo di essi consiste nella determinazione delle “Unità Formanti
Colonie” (CFU), che permette di verificare l’abilità delle cellule isolate
di dare origine a colonie (Figura 2). A tale scopo, le cellule vengono
inoculate in piastre da 6 pozzetti alla concentrazione di 300, 150,
60, 30, 15, 8 cellule/cm2 in terreno di coltura completo ed incubate
a +37°C al 5% di CO2. Dopo 13-15 giorni le colonie ottenute sono
fissate con metanolo, colorate con Giemsa e contate (2).
Figura 2. Unità Formanti Colonie “CFU”
Il secondo metodo si basa sull’accertamento della pluripotenza
delle CSM. Per tale indagine le cellule sono coltivate in specifici
terreni (Miltenyi Biotec) e sottoposte a differenziamento verso tre
diverse linee cellulari: condrocitica, adipocitica ed osteocitica (7).
Le CSM destinate al differenziamento verso la linea condrocitica
sono coltivate in provette a fondo conico per almeno 40 giorni a
+37°C al 5% di CO2.
L’avvenuto differenziamento è confermato dalla formazione del
nodulo di condrociti (Figura 3) sul quale vengono eseguiti esami
istochimici.
Figura 3. Nodulo di condrociti
MATERIALI E METODI
Controllo dei donatori
Per ogni animale viene realizzata una cartella clinica anamnestica,
nella quale vengono riportate informazioni utili ad identificare il
donatore ed il suo stato di salute.
Isolamento e amplificazione delle CSM
Le CSM sono isolate da tessuto adiposo e midollo osseo di cani e
cavalli in buono stato di salute.
Il midollo osseo è prelevato dalla cresta iliaca o dallo sterno
(Figura 1b), mediante siringa contenente eparina, e trasferito in
provette eparinizzate (3). Successivamente è diluito con PBS
sterile e centrifugato. Il buffy coat viene prelevato, stratificato su
un gradiente di densità (Histopaque 1077) e centrifugato. L’anello
di cellule formatosi nell’interfaccia midollo-Histopaque 1077
viene raccolto e risospeso in terreno di coltura completo (50%
D-MEM low glucose, 50% Ham’s F12, 20% SFB e 10% antibioticiantimicotici).
Il tessuto adiposo sottocutaneo (Figura 1a) o viscerale (7, 8), viene
sminuzzato e lavato con soluzione salina (HBSS) antibiotata. I
frammenti sono digeriti in una soluzione enzimatica (Collagenasi
91
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Gli animali vengono controllati per evidenziare l’eventuale
comparsa di noduli. In presenza di noduli viene eseguito
l’esame istologico.
Congelamento
Le CSM sono sottoposte a congelamento, eseguito secondo
modalità standard in terreno colturale addizionato con
il 10% di DMSO e l’80% di siero bovino fetale (1). Dopo
scongelamento, le cellule sono sottoposte a prove di vitalità.
Le CSM destinate al differenziamento verso la linea adipocitica
ed osteocitica sono coltivate in pozzetti da 35 mm ed incubate
a +37°C al 5% di CO2. Dopo 20 giorni vengono effettuate le
colorazioni “Oil Red O” e di “Von Kossa”
(Figura 4) che
permettono di rilevare rispettivamente la presenza di cellule
adipocitiche ed osteocitiche.
Figura 4. Colorazioni di Von Kossa (a) e Oil Red O (b)
RISULTATI
Il nostro lavoro ha consentito di isolare, dal midollo osseo e
dal tessuto adiposo animale, una popolazione di CSM che
è stata caratterizzata sia morfologicamente che sulla base
delle capacità differenziative.
Le CSM già dopo 48 ore dall’isolamento aderiscono alla
superficie della fiasca ed assumono una morfologia di tipo
fibroblastico (Figura 6). Le stesse raggiungono la subconfluenza in circa 7-10 giorni. Il numero dei passaggi seriali
eseguiti non sono superiori a sei e le cellule sono congelate
al primo e secondo passaggio.
Controlli di sterilità
Tutte le colture destinate all’impianto sono sottoposte a
controlli atti a confermare l’assenza di agenti contaminanti,
rappresentati da micoplasmi, batteri, miceti e virus (4).
L’eventuale presenza di micoplasmi viene valutata attraverso
la coltura in specifici terreni liquidi e solidi, la colorazione di
Hoeshst e la Real Time PCR.
Per l’accertamento della contaminazione da batteri e miceti
vengono impiegati terreni selettivi, liquidi e solidi.
Un panel di tests diretti ed indiretti è stato messo a punto
per la valutazione della presenza di agenti virali (isolamento
in monostrati di cellule permissive, PCR, Real Time PCR,
emoagglutinazione, ELISA, virus neutralizzazione, tests
immunoenzimatici, microscopia elettronica).
Cross-contaminazione interspecie
La tecnica di PCR-RFLP richiede l’amplificazione di una
porzione del gene del citocromo b (348 bp) e consente
l’autenticazione di colture di cellule appartenenti a 23 diverse
specie animali (6).
Prove di tumorigenicità ed oncogenicità (5)
Prove in vitro: la linea cellulare da testare, le cellule VERO
(controllo negativo) e le cellule Hep-2 (controllo positivo)
vengono inoculate in piastre a 6 pozzetti contenenti terreno
solido ed incubate a +37°C al 5% di CO2. Le piastre vengono
osservate per almeno tre settimane. Le cellule tumorali, dopo
7-10 giorni, cominciano a replicare e a formare agglomerati
multicellulari. Le cellule negative mostrano atrofia.
Prove in vivo: la linea cellulare da testare, le cellule VERO e
le Hep-2 vengono inoculate mediante iniezione sottocutanea
(Figura 5), ognuna in gruppi di 10 topi atimici (genotipo Nu/
Nu).
Figura 6. CSM in coltura
Il test delle CFU dimostra che queste cellule sono in grado di
dare origine a cloni di tipo fibroblastoide.
La pluripotenza delle CSM isolate viene confermata dalla
capacità di evolvere verso le tre linee cellulari esaminate. Il
differenziamento in adipociti è evidenziato dalla formazione
di granuli lipidici di colore rosso nel citoplasma cellulare
(Figura 4b). L’evoluzione verso il tessuto osseo è confermata
dalla presenza del substrato cellulare di aggregati di calcio
di colore nero (Figura 4a). La capacità di differenziare in
condrociti è testimoniata dalla formazione di agglomerati di
tipo cartilagineo (Figura 3). Inoltre le prove di tumorigenicità
in vivo e in vitro delle CSM non evidenziano alcun potere
oncogeno.
Le cellule congelate mostrano un’elevata vitalità anche dopo
scongelamento.
CONCLUSIONI
I risultati, seppur preliminari, hanno evidenziato come le CSM
isolate da midollo osseo e tessuto adiposo di cane e cavallo
siano in grado di replicare in vitro, consentendo di ottenere
una concentrazione cellulare ideale per l’impianto in vivo. Le
CSM isolate sono contraddistinte da caratteristiche biologiche
tipiche di staminalità, quali la pluripotenza. La possibilità
di congelarle consente di disporre di stocks di cellule già
amplificate, controllate e prontamente disponibili, riducendo i
tempi di attesa per l’impianto cellulare (impianto allogenico).
Nell’uso della terapia rigenerativa risulta importate il followup clinico di cani e cavalli trapiantati. Questi ultimi, per le
caratteristiche funzionali del loro apparato scheletrico, simili a
quelle umane, consentono di verificare gli esiti di una terapia
innovativa sia in campo veterinario che umano.
Figura 5. Iniezione sottocutanea in un topo genotipo Nu/Nu
92
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
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93
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
STUDIO CLINICO RETROSPETTIVO PER LA VERIFICA DELL’EFFICACIA DEL TRATTAMENTO DELLE
TENDINOPATIE DEL CAVALLO MEDIANTE IMPIANTO
DI CELLULE STAMINALI OMOLOGHE DERIVATE DAL GRASSO
Sala M.1, Canonici F.2, Barbaro K. 1, Bonini P. 1, Caminiti A. 1 ,Spalluci V. 1, Aquilini E. 1, Amaddeo D. 1, Autorino G.L. 1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma
2
Clinica Veterinaria Equine Practice, Campagnano di Roma ( Roma)
Key words: Adipose mesenchymal stem cells, Equine tendon-desmopathy, multirater agreement beyond chance
ABSTRACT
Myo-tendinopathies are common pathological conditions affecting
the musculoskeletal system of the horse. The competitive career
of performance horses may be shortened as a consequence of
tendon injuries, especially because the full recovery is extremely
difficult or impossible . In addition, they can be cause of chronic
pain. The aim of this study was to assess the anatomical recovery
of injured tendons after the injection of stem cells extracted from
adipose tissue into the area of damage. For this purpose, 17
horses were selected and treated with stem cell and a set of 51
ultrasound images were collected in 3 different stages of disease.
Afterwards, a single blind trial involved 4 experts was carried out
to assess qualitatively and quantitatively the images using an
evaluation system based on ordinal scales of ranked scores. A
multivariate logistic regression analysis was performed to identify
significant relationships between opinions from the experts and
the stage of disease. Results from this study suggest the structural
recovery of the tendon tissue after the injection of stem cells.
(Roma) tra il 2008 ed il 2009. Le AMSC sono state ottenute da
grasso sottocutaneo prelevato in zona caudale, estratte, isolate
ed espanse in coltura come descritto in una nostra precedente
comunicazione (Barbaro K., 2008). Le colture, raccolte e
risospese in ragione di n° 500.000/ml cellule nel plasma degli
stessi soggetti, sono state quindi introdotte nelle rispettive sedi di
lesione mediante inoculazione eco-guidata.
Diagnostica per immagini (ecografia). I cavalli selezionati sono
stati sottoposti a diagnosi ecografica delle lesioni allo stadio
A (pre-inoculo), nonché dopo 60 giorni (tempo stadio B postinoculo) ed a 120 giorni (stadio C post-inoculo). L’inoculo di cellule
staminali è avvenuto mediamente 7-10 giorni dopo il rilievo delle
immagini al tempo A.
Il circuito per la valutazione del recupero anatomico. La
verifica oggettiva del recupero anatomico post-inoculo delle lesioni
è stata condotta attraverso la valutazione della concordanza dei
giudizi espressi da 4 medici veterinari di riconosciuta esperienza
internazionale nella diagnostica per immagini dell’apparato
muscolo-scheletrico del cavallo.
A tale scopo, è stato allestito un panel di 51 immagini costituito
dalle ecografie originali condotte al tempo A, B e C su ognuno dei
17 cavalli arruolati. Ad ogni esperto, sono quindi state inviate per
via postale 3 repliche dello stesso panel (51 x 3 = 153 immagini)
su supporto digitale (DVD) . Ogni immagine è stata codificata
univocamente per la lettura in cieco da parte degli esperti. Per
ciascuna di esse, il singolo esperto ha espresso due tipi di
valutazione, una qualitativa in base a al grado di ecogenicità
dell’immagine (completely anechoic, mostly anechoic, hypoechoic,
isoechoic) ed una quantitativa, in base alla percentuale di fibre
osservate (0-25%, 26-50%, 51-75% 76%-100%).
Analisi dei dati. Ai fini delle analisi, le 4 categorie di giudizio
relative all’ecogenicità ed alla % di fibre sono state ridotte a
variabile dicotomica: alta/bassa ecogenicità; alta/bassa % di
fibre. Mediante la statistica Kappa di Randolf, è stata condotta
una valutazione della ripetibilità e della riproducibilità dei giudizi
espressi rispettivamente dal singolo esperto e dall’insieme dei 4
esperti, per ciascuna immagine. E’ stato quindi possibile valutare
il grado di accordo intra ed inter-esperto, depurato dall’effetto del
caso. Con la medesima statistica sono state calcolate la ripetibilità
e la riproducibilità dei giudizi in relazione allo stadio della lesione
(A, B, C). Per la valutazione del valore restituito dalla statistica
Kappa è stata utilizzata la scala di valutazione proposta da Landis
e Kock, ponendo valori > 0,61 come soddisfacenti.
Al fine di verificare l’oggettivo recupero anatomico delle lesioni a
distanza dall’inoculo è stata utilizzata una regressione logistica
multivariata considerando come variabili di outcome il livello di
ecogenicità (alta/bassa) e la percentuale di fibre (alta/bassa)
ponendo lo stadio della lesione, (A,B,C), l’esperto (1,2,4,5) e
la replica (1°,2°,3°) come variabili indipendenti (Explanatory
variables).
INTRODUZIONE
Le tendino-desmopatie rappresentano una delle condizioni
patologiche più frequenti dell’apparato muscolo-scheletrico
del cavallo ed in particolare dei cavalli atleti, per i quali spesso
comporta la fine della carriera, a causa dell’impossibilità di una
guarigione anatomico-funzionale completa. Negli anni sono state
proposte varie metodiche, mediche e chirurgiche, che comunque
hanno fornito scarsi risultati. Recentemente, l’approccio della
terapia rigenerativa attraverso l’impiego di cellule staminali ha
incontrato un crescente interesse come alternativa alla terapia
classica di tali patologie. Le Adipose Mesenchymal Stem cells
(AMSC) possono costituire un substrato alternativo a quelle del
midollo osseo con vantaggi in termini di isolamento, rapidità di
espansione, e maggior numero di cellule presenti (Nakagami
H., 2006). Le valutazioni ecografiche di controllo post-impianto
testimoniano, su singoli casi, una riparazione qualitativamente
superiore per la precoce rigenerazione di fibre tendinee altrimenti
difficilmente apprezzabile. Tuttavia, non esistono ancora degli studi
clinici retrospettivi in grado di dimostrare oggettivamente la reale
efficacia di questo trattamento né sono ancora stati documentati
studi ed applicazioni cliniche su popolazioni campionarie tali da
rendere generalizzabili i risultati. L’obiettivo di questo lavoro è la
verifica, attraverso uno studio di campo, della risposta individuale
alla somministrazione di un numero predefinito di cellule staminali
in soggetti con tendinopatie del flessore superficiale delle falangi.
Ulteriore obiettivo è rappresentato dalla sperimentazione di
un metodo di lavoro finalizzato alla valutazione oggettiva delle
immagini ecografiche dei soggetti sottoposti ad autorapianto di
cellule staminali estratte dal grasso, da parte di esperti chiamati a
eseguire una diagnostica per immagini in cieco.
MATERIALI E METODI
Selezione dei casi. Sono stati selezionati 17 cavalli con diagnosi
di tendinopatia caratterizzata dalla rottura parziale delle fibre
del tendine flessore superficiale delle falangi, effettuata presso
la Clinica Veterinaria Equine Practice, Campagnano di Roma
RISULTATI
Le valutazioni espresse dai 4 esperti sottolineano una
propensione ad attribuire giudizi di maggiore ecogenicità e di
maggiore percentuale di fibre alle immagini ecografiche eseguite
94
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
a 60 giorni (stadio B) e 120 giorni (stadio C) post-inoculo rispetto
alle immagini relative allo stadio A (tempo 0 pre-inoculo) (Tabella
1- esempio per ecogenicità). I giudizi espressi da ogni singolo
esperto, sia qualitativo che quantitativo, per le 3 repliche della
stessa immagine sono risultati ripetibili ( K di Randolph > 0,61). I
4 esperti, si sono inoltre dimostrati coerenti tra loro nell’esprimere
lo stesso giudizio per la stessa immagine, dimostrando elevata
riproducibilità delle valutazioni espresse (K di randolph > 0,61).
Ogni esperto è risultato coerente con se stesso nell’esprimere
lo stesso giudizio in funzione dello stadio (A, B e C) al quale
appartenevano le immagini (tabelle 2 e 3). La riproducibilità viene
mantenuta per le immagini di stadio B e C mentre è risultata
inferiore (moderata) per le Immagini di stadio A (tabella 4). La
regressione logistica ha confermato probabilità significativamente
maggiori che immagini di stadio B e C venissero valutate ad alta
ecogenicità ed alta % di fibre rispetto alle immagini relative allo
stadio A della lesione. In particolare le immagini di stadio C hanno
mostrato una probabilità 95 volte maggiore di essere classificate
ad elevata ecogenicità (O.R. 95, 8; 41,8 < O.R. <219,5) e 50
volte maggiore di essere classificate ad alta % di fibre rispetto
alle immagini di stadio A (O.R. 49,5; 26,3 < O.R. <93,1). L’analisi
multivariata ha escluso qualsiasi effetto dell’esperto o della replica
sull’outcome osservato (Tabelle 5 e 6).
alternative to Fleiss’s fixed-marginal multirater kappa. Manuscript
submitted for publication.
Tabella 1. Distribuzione dei giudizi espressi dagli esperti sul
grado di ecogenicità per stadio dell’immagine (51 immagini per
stadio per ogni esperto)
Tabella 2. Ripetibilità (Valori statistica K di Randolph) dei giudizi
espressi sul grado di ecogenicità per stadio dell’immagine
ecografica (N=51x3 osservazioni / esperto)
DISCUSSIONE
In base ai risultati descritti, lo studio è stato in grado di dimostrare,
in condizioni di campo ed attraverso un circuito di valutazione
indipendente basato sulla diagnostica per immagini, il recupero
anatomico di lesioni del tendine flessore superficiale delle falangi
del cavallo in seguito all’intervento di inoculo di cellule staminali.
Anche se i giudizi espressi dai singoli esperti sulle stesse immagini
ecografiche possono risultare influenzati dalla soggettività, nonché
dipendere dalla strumentazione utilizzata per la visualizzazione
delle immagini su schermi PC diversi, le analisi condotte hanno
consentito di accertare la ripetibilità e la riproducibilità di tali
giudizi. Inoltre, sebbene non sia stato reclutato un gruppo di cavalli
omogeneo per età, sesso e razza, nel complesso è risultata una
chiara associazione tra ecografie effettuate a 60 e 120 giorni post
inoculo e l’elevata ecogenicità e % di fibre, ad ulteriore supporto
del successo della terapia adottata.
Tabella 3. Ripetibilità (Valori statistica K di Randolph) dei giudizi
espressi sulla % di fibre per stadio dell’immagine ecografica
(N=51x3 osservazioni /esperto)
Tabella 4. Riproducibilità (K di Randolph) dei giudizi espressi per
stadio dell’immagine ecografica (N=51x3 osservazioni /esperto)
BIBLIOGRAFIA
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Randolph, J. (2007). Free-marginal multirater kappa: An
Tabella 5. Regressione Logistica – grado di ecogenicità
(alta vs bassa)
Tabella 6. Regressione Logistica – % di fibre (alta vs bassa)
95
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ASSOCIATO A MALATTIA RESPIRATORIA
Decaro N.1, Mari V. 1, Lucente M.S. 1, Colaianni M.L. 1, Cirone F. 1, Losurdo M.1, Cordioli P.2, Buonavoglia C. 1
1
Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Facoltà di Medicina Veterinaria di Bari, Valenzano (BA)
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Lombardia ed Emilia Romagna, Brescia
Key words: Pestivirus atipico, Malattia respiratoria, Caratterizzazione genomica
SUMMARY
In this study, a BVDV-3 strain (Italy-1/10-1) was isolated for the
first time in Europe from calves with respiratory disease. By
analysis of the nearly full-length genome (12,104 nucleotides),
the European strain clustered with previously-reported BVDV3 strains, being more closely related to southern American
viruses than to the Thai isolate Th/04_KhonKaen. The isolation
of BVDV-3 from a clinical outbreak, together with its genetic
distance from BVDV-1/BVDV-2, poses intriguing questions
about the efficacy of commercially-available BVDV vaccines
and the need to develop specific vaccines against this new
virus.
vitelli con sintomi evidenziavano una modesta leucopenia, con
conte totali comprese tra 2,55 e 3,52 × 109 leucociti/l (valori di
riferimento 4-12 × 109 leucociti/l). Da questi animali sono stati
prelevati tamponi nasali per gli esami virologici e batteriologici.
La maggior parte degli animali è guarita progressivamente
nell’arco di due settimane a seguito della somministrazione
di terapia di supporto (antibiotici e fluidoterapia). Due vitelli
di 6 mesi con sintomatologia più grave sono morti e l’esame
autoptico eseguito sulle carcasse ha evidenziato la presenza di
broncopolmonite a livello dei lobi apicali e tracheite con essudato
catarrale nel lume tracheale. I lobi polmonari interessati dalle
lesioni sono stati prelevati per le successive analisi.
I campioni raccolti sono stati sottoposti alla ricerca dei più
comuni agenti respiratori della specie bovina (5), tra cui BVDV
(6). La ricerca e quantificazione dell’RNA dei pestivirus atipici è
stata effettuata mediante un test real-time RT-PCR specifico per
BVDV-3 (7). Dai campioni di polmone dei due vitelli morti è stato
tentato l’isolamento virale su cellule in linea continua di rene
bovino MDBK. Il genoma virale dello stipite prototipo Italy-1/10-1
è stato determinato mediante successive prove di RT-PCR, come
precedentemente descritto (8). I prodotti PCR sono stati inviati
alla BaseClear B.V. (Leiden, Paesi Bassi) per il sequenziamento
diretto in entrambe le direzioni. Le sequenze ottenute sono
state assemblate ed analizzate utilizzando il software BioEdit
e gli strumenti di analisi dell’NCBI (htttp://www.ncbi.nlm.nih.
gov) e dell’EMBL (http://www.ebi.ac.uk). La sequenza dell’intero
genoma e delle regioni genomiche maggiormente informative
(E2, 5’ UTR, Npro) sono state confrontate con le analoghe
sequenze di stipiti pestivirus di riferimento. Le stesse regioni
sono state sottoposte ad analisi filogenetica, la quale è stata
condotta utilizzando il software MEGA4 ed i metodi neighborjoining e massima parsimonia e fornendo un supporto statistico
mediante bootstrapping pari a 1000.
INTRODUZIONE
I virus della diarrea virale bovina (BVDV) appartengono alla
famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus. Si tratta di virus ad
RNA monocatenario, a polarità positiva, codificante per una
poliproteina, che è scissa, ad opera di proteasi cellulari e virali,
in proteine strutturali (C, Erns, E1, E2) e non strutturali (Npro,
NS2-3, NS4A, NS4B, NS5A, NS5B) (1). In base all’attuale
classificazione dell’International Committee on Taxonomy
of Viruses (http://www.virustaxonomyonline.com), il genere
Pestivirus comprende quattro specie riconosciute: BVDV-1,
BVDV-2, virus della Border disease (BDV), virus della peste
suina classica (CSFV). A queste è stato proposto di aggiungere
una quinta specie, Pestivirus della giraffa. Attualmente,
pertanto, si riconoscono due distinte specie di BVDV, BVDV-1
e BVDV-2, le quali risultano differenziabili su base genetica ed
antigenica. Recentemente, un pestivirus atipico è stato isolato
da un lotto di siero fetale bovino originario del Brasile. Questo
virus, D32/00_”HoBi” è stato proposto come una nuova (sesta)
specie Pestivirus, BVDV-3 (2). Altri due pestivirus “HoBi”-like,
ceppi CH-KaHo/Cont e Brz buf 9, sono stati identificati in Sud
America rispettivamente in una coltura cellulare probabilmente
contaminata da siero fetale bovino infetto e nel sangue di una
bufala (3). Ad oggi, esiste un’unica sequenza del genoma
completo di un pestivirus “HoBi”-like, ceppo Th/04-KhonKaen,
il quale è stato isolato da un siero bovino durante un’indagine
epidemiologica per BVDV in Thailandia. Tuttavia, anche in
questo caso non è noto se il virus fosse associato o meno a
manifestazioni cliniche. L’analisi comparativa delle sequenze
disponibili in banche dati accessibili on-line (GenBank) ha
mostrato che tali virus rappresentano una nuova specie, BVDV3, all’interno del genere Pestivirus (4).
Nel presente lavoro si riportano i risultati della caratterizzazione
genomica di un pestivirus atipico (BVDV-3) isolato da un focolaio
di malattia respiratoria in un allevamento di bovine da latte in
Calabria.
RISULTATI
Tutti i campioni analizzati sono risultati positivi al test nestedPCR per la ricerca di pestivirus (6) e sono stati caratterizzati
come BVDV-2. Gli esami virologici, batteriologici e parassitologici
hanno escluso la presenza negli stessi campioni di altri
patogeni, ad eccezione dei polmoni dei vitelli deceduti dai quali
sono stati isolati Streptococcus bovis e Vibrio spp. L’analisi di
sequenza del frammento del gene Erns amplificato in nestedPCR ha evidenziato una identità nucleotidica tra gli stipiti
BVDV identificati nell’allevamento pari al 99.8-100%. Tuttavia,
all’analisi mediante BLAST è emerso che l’identità nucleotidica
con gli stipiti BVDV-2 maggiormente correlati non era superiore
al 74%, mentre una più stretta correlazione genetica (più del
90% di identità nucleotidica) è stata dimostrata nei confronti del
pestivirus atipico ‘Hobi’-like Th/04_KhonKaen, proposto come
nuova specie BVDV-3. Mediante real-time RT-PCR specifica
per BVDV-3, i campioni sono risultati contenere titoli di RNA
virale compresi tra 2.57 × 103 e 5.48 × 105 per µl di estratto. Gli
stipiti BVDV identificati nei polmoni dei vitelli morti sono stati
isolati con successo su cellule MDBK, come dimostrato dalla
positività al test di immunofluorescenza indiretta effettuato
con un anticorpo monoclonale panpestivirus. Mediante
MATERIALI E METODI
Il focolaio di malattia respiratoria è stato osservato in un
allevamento di bovine da latte della Calabria nel periodo
compreso tra dicembre 2009 e febbraio 2010. I segni clinici hanno
interessato 26 vitelli di 6-7 mesi di età, i quali manifestavano
febbre (39.4-40.1°C), tosse, tachipnea e presenza di scolo
nasale sieromucoso. Gli esami ematologici condotti su sei
96
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
prove di RT-PCR e successivo sequenziamento, è stato
possibile determinare quasi per intero il genoma dello stipite
Italy-1/10-1, rappresentativo dei ceppi circolanti in allevamento.
La sequenza ottenuta (12.104 nucleotidi) è stata depositata
in GenBank con il numero di accesso HQ231763. L’analisi
comparativa ha dimostrato che lo stipite BVDV-3 isolato
possiede la stessa organizzazione genomica degli altri membri
del genere Pestivirus, rappresentata da una ORF di 11.700
nucleotidi fiancheggiata da due regioni non codificanti (UTR).
La più elevata identità nucleotidica (90%) è stata riscontrata
nei confronti dello stipite BVDV-3 tailandese Th/04_KhonKaen,
mentre le identità con stipiti BVDV-1 e BVDV-2 si sono attestate
su valori molto più bassi, rispettivamente del 66.2-67% e del
67.1-67.4%. Valori simili sono stati ottenuti dal confronto con
ceppi BDV e CSFV di riferimento. Analizzando le regioni E2, 5’
UTR e Npro, lo stipite Italy-1/10-1 è sempre stato caratterizzato
come BVDV-3, ma le correlazioni genetiche più elevate
sono state evidenziate nei confronti dei ceppi sudamericani
D32/00_’Hobi’ e CH-KaHo/cont, dei quali sono disponibili solo
sequenze parziali di alcune regioni.
Mediante analisi filogenetica ottenuta con il metodo neighborjoining sulla sequenza dell’intero genoma dello stipite
Italy-1/10-1 e di stipiti pestivirus di riferimento, risultano evidenti
sei cluster monofiletici (Fig. 1): BVDV-1, BVDV-2, BVDV-3,
BDV, CSFV e Pestivirus della giraffa. Nell’ambito di questo
albero, lo stipite Italy-1/10-1 ricade nello stesso gruppo del
virus Th/04_KhonKaen, il quale è nettamente separato dagli
altri membri del genere Pestivirus. L’analisi delle singole regioni
ha prodotto una segregazione sovrapponibile, nella quale lo
stipite Italiano segrega con gli stipiti sudamericani. La stessa
topologia è stata ottenuta con il metodo della parsimonia in
tutte le regioni analizzate.
DISCUSSIONE
I risultati del presente studio indicano che BVDV-3 non è
presente solo nei continenti americano ed asiatico, ma circola
anche in Europa. Per la prima volta è stata dimostrata una
chiara associazione tra uno stipite BVDV-3 e la comparsa di
sintomatologia clinica (malattia respiratoria). Infatti, le precedenti
segnalazioni, per se relative ad infezioni naturali, non avevano mai
messo in evidenza la presenza di una qualche manifestazione
clinica (9). Dal punto di vista genetico, lo stipite italiano è risultato
maggiormente correlato ai ceppi sudamericani che al prototipo
tailandese Th/04_KhonKaen. Poiché la maggior parte delle
segnalazioni riguarda la identificazione di questi virus in lotti di
siero fetale bovino contaminati, è verosimile che l’introduzione di
questo nuovo BVDV nel continente europeo sia legata all’impiego
di vaccini o altri prodotti preparati con siero bovino infetto.
Esistono, infatti, precedenti segnalazioni di infezione da BVDV
conseguente all’impiego di prodotti immunizzanti contaminati (1012). Al momento, non si conoscono né l’impatto che questo nuovo
virus ha sulla salute animale e sulle produzioni zootecniche, né
la sua attitudine ad indurre immunotolleranza alla stessa stregua
di BVDV-1 e BVDV-2. Una costante sorveglianza epidemiologica
potrà contribuire a definire gli aspetti ancora poco chiari della
infezione sostenuta da BVDV-3 ed a valutare la possibilità di
ricorerre all’impiego di prodotti immunizzanti specifici per i piani
di profilassi.
BIBLIOGRAFIA
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Fig. 1. Albero filogenetico costruito con il metodo neighborjoining sulle sequenze dell’intero genoma (A), E2 (B), 5’ UTR
(C) e Npro (D) dei membri del genere Pestivirus. Gli asterischi
indicano un elevato supporto statistico per il corrispondente
nodo (valori di bootstrap pari al 75-100%). La barra rappresenta
il numero di sostituzioni nucleotidiche per sito.
RINGRAZIAMENTI: Il presente studio è stato realizzato grazie
ai finanziamenti della Ricerca di Ateneo 2008, progetto “Patogeni
emergenti dei ruminanti”.
97
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SVILUPPO DI UNA ONE-STEP MULTIPLEX REAL TIME PCR PER L’IDENTIFICAZIONE E
LA DIFFERENZIAZIONE DEI PESTIVIRUS DEI RUMINANTI
Rossi E., Giammarioli M., Torresi C., Pellegrini C., De Mia G.M.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, Perugia.
Key words: Pestivirus, real-time PCR, controllo interno
SUMMARY
sono stati impiegati isolati BVD-1, BVD-2 e BD appartenenti
alla nostra banca virus e rappresentativi dei genotipi circolanti
in Italia. In aggiunta a ciò, sono stati analizzati una serie di
campioni clinici rappresentati da siero, sangue, tessuti e liquido
seminale.
L’RNA virale è stato estratto con il kit QIAamp viral RNA Minikit
(Qiagen) secondo le istruzioni indicate dalla ditta produttrice.
Prima della fase di estrazione è stato introdotto un controllo
interno (IC-RNA) (5µl/10x105copie/µl) prodotto secondo le
indicazioni di Hoffmann e coll. (2).
Brevemente, è stato amplificato un frammento di 712 bp della
proteina fluorescente pEGFP-1 (BD Bioscence Clontech)
e clonato nel vettore pGEM-Teasy (Promega). La sequenza
e l’orientamento dell’inserto è stato controllato mediante
sequenza. Il risultante plasmide è stato linearizzato con
l’enzima NcoI, purificato e transcritto in vitro mediante il
sistema Riboprobe SP6/T7 secondo le indicazioni della ditta
produttrice (Promega). Il transcritto è stato quindi digerito con
DNase e purificato mediante l’RNAeasy Mini kit (Qiagen). La
corretta lunghezza del transcritto di RNA è stata confermata
mediante elettroforesi in gel di agarosio e la concentrazione
determinata allo spettrofotometro. Una volta prodotto, l’ICRNA è stato aliquotato e conservato a -80°C. La strategia di
produzione è rappresentata nella figura 1.
A single rapid step real-time multiplex RT-PCR with internal
control (IC-RNA) was developed for detection and differentiation
of bovine diarrhoea virus (BVDV1/BVDV2) and border disease
virus (BDV). Partial 5’-NTR region was detected by two Taqman
probes labelled with different fluorochromes. A heterologous
in vitro transcript of the enhanced green fluorescent protein
(EGFP) gene based on a specific primer-probe system was
generated as a universal internal control (IC) to improve
virus specific real-time reverse-transcriptase PCR assay.
The sensitivity of the multiplex real-time RT-PCR was higher
compared to the end-point PCRs usually used for laboratory
diagnosis. The assay allows rapid detection and differentiation
of ruminant Pestiviruses and provides an efficient control of
extraction step.
INTRODUZIONE
Il genere Pestivirus, famiglia Flaviviridae, comprende il virus
della diarrea virale del bovino di tipo 1 (BVD-1) e di tipo 2 (BVD2), il virus della border disease (BD) e il virus della peste suina
classica (PSC) (7). Nel suino sono state descritte infezioni
naturali con i virus della PSC, della BVD e della BD, ovini e
bovini possono infettarsi con il virus della BVD e della BD (9, 6,
1). L’infezione sostenuta da virus del genere Pestivirus è stata
dimostrata anche in ruminanti selvatici (10).
In assenza di un quadro clinico univoco, la diagnosi di
laboratorio diventa indispensabile per identificare l’agente
eziologico. Recentemente sono state sviluppate diverse realtime RT-PCR (2, 3) per la diagnosi di BVD e BD. La possibilità
di utilizzare una prova che permette di minimizzare le crosscontaminazioni, di identificare e differenziare i Pestivirus e di
utilizzare un controllo interno può rappresentare un utile mezzo
diagnostico per la routine di laboratorio.
Lo scopo di questo lavoro è stato quello di sviluppare una
metodica one-step multiplex real-time RT-PCR in grado di
identificare e differenziare i Pestivirus dei ruminanti in presenza
di un controllo interno e di valutarne comparativamente
l’efficienza rispetto a PCR end-point tradizionalmente utilizzate
per la diagnosi di laboratorio.
Fig. 1: strategia di produzione del controllo interno (IC-RNA)
La one-step multiplex real-time RT-PCR è stata messa a
punto con il kit commerciale QuantiTect virus kit (QIAGEN)
e ottimizzata con differenti concentrazioni di primers/probes.
Il saggio è stato condotto utilizzando un volume di reazione
di 25µl, 20pmol/µl di ciascun primers, 10pmol/µl di ciascuna
probe, 5µl della master mix QuantiTect virus (5x), 0,25µl della
RT master mix QuantiTect virus (100x), 6 µl di RNA. Il profilo
di reazione è stato il seguente: 20 min. a 50°C (RT), 5 min.
a 95°C (inattivazione RT/attivazione Taq polimerasi), seguiti
da 42 cicli di 15 sec. a 95°C (denaturazione) e 75 sec. a
60°C (appaiamento/elongazione) in un ABI PRISM 7900 HT
Sequenze Detection System (Applied Biosystems).
L’analisi comparativa è stata condotta paragonando la one-step
multiplex real-time RT-PCR con una RT-PCR panpestivirusspecifica che impiega i primers 324/326 (8) e una nested RTPCR in grado di differenziare BVD-1 e BVD-2 dopo un primo
ciclo di amplificazione (5).
MATERIALI E METODI
Nello studio sono state valutate differenti coppie di primers
e probes (sonde TaqMan) prodotte con il software Primers
Express (3.0) sulla base di una sequenza consenso ottenuta
allineando isolati BVD-1, BVDV-2 e BD del nostro dataset di
sequenze oltreché riportati in letteratura. In base a risultati di
prove preliminari, sono stati selezionati i primers e le probes
descritti da Hoffmann e coll. (2) e da La Rocca and Sandvik
(4). Tutti i primers e le probes esaminati amplificano un tratto
della regione 5’-NTR nel genoma dei Pestivirus.
Diluizioni logaritmiche dei virus di referenza BVD-1 (105.25
TCID50/100µl), BVD-2 (104.75 TCID50/100µl) e BD (105.0
TCID50/100µl) sono state utilizzate per valutare la sensibilità e
il limite di rilevabilità della prova. Per la validazione della prova
RISULTATI
La one-step multiplex real-time RT-PCR è in grado di rilevare
e identificare nello stesso tempo BVD-1/BVD-2 e BD. La
sensibilità analitica della prova è stata determinata in 3
98
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
esperimenti indipendenti, utilizzando per ciascuno, 3 repliche
di ogni diluizione logaritmica dei virus di referenza. L’analisi dei
Ct in funzione del titolo virale ha mostrato un aumento lineare,
anche se sembra esserci una leggera diversa efficienza di
amplificazione tra BVD-1/BVD-2 e BD (Figura 2).
possibilità che ovini, caprini e sebbene più raramente, anche
bovini, sono suscettibili di potersi infettare indifferentemente
con uno qualsiasi dei virus in questione, in presenza di quadri
clinici sovrapponibili.
I principali vantaggi offerti da tale metodica sono rappresentati
da (i) un aumento della specificità dovuto alla presenza di
sonde Taqman; (ii) un aumento della sensibilità basato sulla
amplificazione di un prodotto molto corto; (iii) la capacità di
rilevare più agenti patogeni contemporaneamente; (iv) la
riduzione del rischio di cross-contaminazioni, in assenza di
manipolazioni post-PCR e (v) l’inserimento di un controllo
interno in grado di monitorare la fase di estrazione.
Ricerca finanziata dal Ministero della Salute, (DL 502/92, art.
12), RF 2006 IZS 369400 (DIAG-NOVA).
BIBLIOGRAFIA
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transmission of virus from cattle persistently infected with
bovine virus diarrhoea virus. Vet. Rec. 128, 145–147.
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3. Young, N.J., Thomas, C.J., Collins, M.E., Brownlie, J.,
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the 5’ untranslated region. Vet. Micriobiol., 64, 155-167.
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Med. 72, 3–16.
7. Thiel, H.J., Collett, M.S., Gould, E.A., Heinz, F.X.,
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Desselberger, U., Ball, L.A. (Eds.), Virus Taxonomy—Eighth
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Viruses. Elsevier Academic Press, pp. 988–998.
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polymerase chain reaction and restriction endonuclease
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originating from a pronghorn antelope. Virus Res. 108, 187–
193.
Fig. 2: limite di rilevabilità della one-step multiplex
real-time RT-PCR
Il limite di rilevabilità dei diversi virus è BVD-1 = 0,7 TCID50,
BDV-2 = 2,2 TCID50 e BD = 3,9 TCID50.
L’introduzione del controllo interno (IC-RNA) non ha indotto
una flessione della sensibilità analitica della prova come è
possibile osservare nella tabella 1.
Tab. 1: sensibilità analitica della one-step multiplex real-time
RT-PCR con e senza IC-RNA
Diluiz. virus
IC-RNA
No IC-RNA
Ct
Puro
+
+
+ (21,5)
10-1
+
+
+ (24,7)
10-2
+
+
+(29,1)
10-3
+
+
+(32,9)
10-4
+
+
+(36,6)
10-5
-
-
> 42
10-6
-
-
> 42
Tutti gli isolati BVD-1/BVD-2 e BD impiegati, sono stati
correttamente evidenziati a prescindere dal genotipo di
appartenenza. L’analisi comparativa tra la one-step multiplex
real-time RT-PCR e le PCR panpestivirus-specifica e nested,
ha mostrato una sensibilità analitica superiore o almeno
paragonabile rispetto a queste ultime.
DISCUSSIONE
La one-step multiplex real-time RT-PCR descritta nel presente
studio, si è dimostrata un sistema robusto e dotato di elevata
sensibilità e specificità, che consente di differenziare nello
stesso tempo BVD-1/BVD-2 e BD in presenza di un controllo
interno di reazione. Ciò è di grande utilità nella diagnosi
differenziale dei Pestivirus dei ruminanti, considerata la
99
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
IDENTIFICAZIONE DI UNA NUOVA VARIANTE MORFO-GENETICA DI SARCOCYSTIS HOMINIS
Peletto S. 1, Acutis P.L..1, Sacchi L.3, Genchi M.3, Clementi E.3, Guidetti C.2, Felisari L.4, Felisari C.4, Mo P.4, Modesto P.1,
Zuccon F.1, Campanella C.1, Domenis L. 2
1,2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta: 1 S.S. Genetica e Immunobiochimica, Torino 2S.S. Sezione di Aosta,
Quart (AO); 3Università di Pavia, Dipartimento di Biologia , Pavia;4 Azienda Sanitaria Locale Biella, Struttura Semplice Area B, Biella.
Key words: Sarcocystis, identificazione genetica, microscopia elettronica
Summary
In the frame of a prevalence study for sarcosporidiosis in semiintensively bred cattle in North-Western Italy, a systematic species
identification was carried out combining the traditional method of
electron microscopy with molecular techniques. This approach
lead to the identification of a new morpho-genetic variant of
Sarcocystis hominis, characterized by hook-like structures of villar
protrusions and a different length of 18S rRNA gene sequence.
amplifica una regione del gene 18S rRNA, generando ampliconi
di differente lunghezza a seconda della specie di Sarcocystis: 164
paia di basi (pb) per Sarcocystis hominis, 172 pb per Sarcocystis
cruzi e 186 pb per Sarcocystis. hirsuta. L’utilizzo del primer
marcato ha permesso di effettuare un’analisi di frammenti tramite
elettroforesi capillare, su ABI 3130 Genetic Analyser (Applied
Biosystems, Foster City, CA, USA). La taglia è stata determinata
con il software di analisi GeneMapper. Alcuni campioni contenenti
la nuova variante genetica sono stati clonati nel vettore TOPO
TA (Invitrogen, Carlsbad, CA, USA). Un minimo di 10 plasmidi
è stato analizzato tramite sequenziamento utilizzando i primer
del kit; le sequenze sono state allineate con SeqMan (DNASTAR
inc., USA) e analizzate con BLAST.
Microscopia elettronica. Singole cisti sono state isolate dal
tessuto muscolare mediante aghi chirurgici e con l’ausilio di un
microscopio ottico rovesciato (Olympus CK2). I campioni sono
stati post-fissati in tetrossido di osmio, disidratati e inclusi in resina
epossidica (Epon 812). Sezioni di 80 nm sono state esaminate
con il microscopio elettronico a trasmissione Zeiss EM 900.
L’identificazione di specie è stata effettuata utilizzando i riferimenti
morfologici ultrastrutturali riportati da Dubey et al. (2).
Introduzione
Il genere Sarcocystis comprende protozoi parassiti intracellulari,
il cui ciclo biologico prevede un ospite intermedio (solitamente
erbivoro), in cui si svolge la fase di riproduzione asessuale con
formazione di cisti nelle fibre muscolari, ed un ospite definitivo
(carnivoro), in cui si svolge la fase sessuale, a livello della
parete intestinale. Il bovino può agire da ospite intermedio per
Sarcocystis cruzi, Sarcocystis hirsuta e Sarcocystis hominis.
Quest’ultima specie presenta carattere zoonosico, avendo come
ospite definitivo l’uomo. L’infestazione da Sarcocystis hominis
può provocare nell’uomo sintomi enterici acuti o subclinici, a
seconda della sensibilità individuale. Il parassita può costituire
un particolare pericolo per soggetti immunodepressi: è stato
riportato un caso di un paziente con AIDS conclamata, che ha
agito contemporaneamente come ospite intermedio e definitivo,
sviluppando sintomi muscolari e gastroenterici (4).
L’identificazione di specie di Sarcocystis al microscopio ottico
permette la distinzione unicamente tra cisti a parete sottile
(Sarcocystis cruzi) e cisti a parete spessa, che possono
corrispondere a Sarcocystis hominis oppure a Sarcocystis hirsuta
(5). Il metodo classico per un’accurata classificazione tassonomica
delle specie di Sarcocystis si basa sulla valutazione al microscopio
elettronico dei particolari morfologici che caratterizzano la parete
delle cisti protozoarie. Negli ultimi anni sono stati messi a punto
metodi molecolari per la tipizzazione di Sarcocystis, che si
distinguono dalla microscopia elettronica per facilità e rapidità di
esecuzione. La combinazione dei due metodi è stata utilizzata
dagli Autori del presente lavoro per effettuare l’identificazione
di tutte le Sarcocystis rilevate in bovini della Provincia di Biella
nell’ambito di un progetto di studio sulla prevalenza di questa
parassitosi. Grazie a questo approccio è stato possibile
identificare una variante morfo-genetica di Sarcocystis hominis,
le cui caratteristiche sono di seguito illustrate.
Risultati e Discussione
Tutte e tre le specie di Sarcocystis capaci di infestare il bovino
sono state identificate con il metodo molecolare. I dati di
prevalenza e diffusione negli organi sono riportati nell’abstract di
Domenis et al. presentato in questo Convegno (1). L’applicazione
alla PCR differenziale dell’analisi di frammenti ha migliorato
notevolmente l’interpretazione dei risultati, eliminando i possibili
errori che possono essere invece commessi nel distinguere su
gel ampliconi differenti tra loro per pochi nucleotidi.
Oltre alle lunghezze attese, in alcuni campioni positivi per
Sarcocystis cruzi o hominis, è stata rilevata anche la presenza
di frammenti di 168 pb, come risulta dalla Figura 1. Il successivo
clonaggio di alcuni di questi campioni e l’analisi dei cloni con
BLAST ha rivelato una sequenza del gene 18S rRNA non
presente nei database pubblici, caratterizzata da una similarità
del 94% con Sarcocystis hominis e da una differenza rispetto a
quest’ultima per l’inserzione di quattro basi: si è quindi ipotizzata
l’esistenza di una variante di Sarcocystis hominis.
Materiali e metodi
Con il progetto di studio sopra citato sono stati rilevati, tramite
esame istologico di esofago, cuore, diaframma, 300 bovini con
sarcosporidiosi. Tutti i campioni di organo risultati positivi (n=732)
sono quindi stati sottoposti all’identificazione di specie mediante
metodo molecolare. Con la microscopia elettronica sono stati
analizzati 14 campioni, risultati positivi al metodo molecolare per
una o più specie, al fine di verificare la correttezza del metodo
molecolare stesso ed insieme valutare l’ultrastruttura delle pareti
cistiche delle diverse specie.
Identificazione su base genetica. E’ stato utilizzato il metodo
basato su PCR differenziale descritto da Vangeel et al. (3), al
quale sono state apportate modifiche: è stato infatti utilizzato un
primer reverse marcato con HEX all’estremità 5’. Questa PCR
Figura 1. Analisi di frammenti, effettuata con Gene Mapper,
riportante i picchi corrispondenti a S. hominis (164 bp), S. hominis
variante (168 bp) e S. cruzi (172 bp).
100
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Alla microscopia elettronica è stata confermata la presenza
di S. cruzi e S. hominis. A causa dell’esiguo numero di
animali colpiti e del basso grado di infestazione, non si è
riusciti a caratterizzare S. hirsuta.
Per quanto riguarda S. cruzi, la parete ha evidenziato
lunghe protrusioni villose, non contenenti microtubuli,
ripiegate sopra la parete cistica. Lo spessore della parete
(con relative espansioni villose) è risultato pari a 0,5 μm
mentre la lunghezza delle protrusioni è risultata pari a 3,5
μm. (Figura 2)
Figura 4. Parete cistica della presunta variante morfologica
di Sarcocystis hominis. Frecce e punte di frecce indicano le
strutture ad uncino rispettivamente alla base e all’apice delle
espansioni digitiformi; g = strato granulare; m = muscolo;
b=bradizoiti
In conclusione, alla luce della validità dimostrata dal protocollo
diagnostico nell’identificare le specie note, la variante descritta
merita ulteriori approfondimenti al fine di giungere ad una
classificazione univoca di questa nuova entità morfogenetica
ed insieme stabilirne il potenziale zoonosico.
Figura 2. Parete cistica di Sarcocystis cruzi: v =protrusioni
villose; b = bradizoiti; m = muscolo; g = strato granulare
Ringraziamenti
La ricerca è stata svolta nell’ambito del progetto (codice
B67) “Diffusione della sarcosporidiosi nelle carni provenienti
da suini e bovini allevati e macellati per autoconsumo
nella provincia di Biella” finanziato dalla Regione Piemonte
Programma di Ricerca Scientifica Applicata 2004.
Per quanto riguarda Sarcocystis hominis, la parete cistica è
risultata dotata di espansioni digitiformi (larghezza 1,2 μm,
altezza 7,1 μm) strettamente ravvicinate, con microtubuli e
superficie elettrondensa finemente ondulata (Figura 3).
Bibliografia
1. Domenis L., Guidetti C., Peletto S. , Sacchi L., Genchi M.,
Clementi E., , Felisari L., Felisari C., Mo P., Modesto P.,
Zuccon, F., Campanella C., Acutis P.L.. Distribuzione di
Sarcocystis spp negli organi bersaglio (cuore, esofago,
diaframma) di bovino. Atti XII Congresso Nazionale
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immune deficiency syndrome. Human Pathology 39(8),
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5. Vercruysse J., Franse J., van Goubergen M., 1989.
The Prevalence and Identity of Sarcocystis Cysts in
Cattle in Belgium. Journal of Veterinary Medicine B 36,
148-15
Figura 3. Parete cistica di Sarcocystis hominis. La freccia
indica i microtubuli nelle espansioni digitiformi; g = strato
granulare; m = muscolo
Nei campioni in cui è stata ritrovata la variante genetica di
S. hominis sono state rilevate cisti con caratteristiche mai
descritte in precedenza. In particolare si è osservata la
presenza di strutture ad uncino sia alla base che all’apice
delle espansioni digitiformi, comunque simili a quelle di S.
hominis (Figura 4).
101
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INFEZIONI DA MICOBATTERI: SITUAZIONI EPIDEMIOLOGICHE EMERGENTI E AGGIORNAMENTO SU
METODI DIAGNOSTICI E DI TYPING
Alessandro Dondo
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sede di Torino
Keywords: micobatteriosi, epidemiologia, diagnostica
Le malattie infettive, ed in particolare quelle a carattere
zoonosico, lungi dall’essere sotto controllo, come erroneamente
previsto negli anni ’60 e ’70, costituiscono un rischio rilevante
per la salute degli individui e rappresentano un elevato carico
assistenziale per il sistema sanitario anche nell’ambito del settore
veterinario. La protezione della salute umana dalle malattie
direttamente o indirettamente trasmesse dagli animali all’uomo
è considerata con priorità assoluta nella politica sanitaria
della Comunità Europea. Degna di rilievo è la recentemente
dichiarazione dell’OMS che ha definito, per la prima ed unica
volta nella sua storia, la tubercolosi come un’emergenza globale.
Diventa pertanto indispensabile potenziare le metodologie
diagnostiche e disporre di strategie gestionali da utilizzare per
il controllo delle patologie zoonosiche, mentre parallelamente,
su alcune di esse, diventa opportuno effettuare anche in modo
indiretto valutazioni sulle problematiche connesse ai fenomeni
di antibioticoresistenza.
Il carattere zoonosico dei micobatteri è conosciuto da tempo e
rappresenta un problema di sanità pubblica a livello mondiale.
In particolare, la maggiore resistenza che i Micobatteri
mostrano nei confronti di agenti fisici e chimici rispetto ad altri
microrganismi, spiega l’aumento delle segnalazioni di infezioni
nella popolazione umana, favorita peraltro dalla copresenza di
fattori predisponenti, quali l’AIDS, l’età e trattamenti terapeutici
immunosoppressivi.
La tubercolosi (TB) è, a livello globale, una delle più importanti
patologie croniche a carattere infettivo e benchè sottoposta a
misure di controllo e cura, essa rappresenta ancora oggi una
delle emergenze sanitarie più importanti. In medicina veterinaria,
le criticità legate all’infezione tubercolare assumono sfumature
ed implicazioni differenti sia dal punto di vista sanitario che
economico nel settore produttivo. Poiché la tubercolosi è
anche un’importante zoonosi, l’obiettivo, su entrambi i versanti,
è quello di impedire il passaggio dell’infezione all’uomo e agli
animali. L’iter di eradicazione della TB da M. bovis procede
positivamente ma occorre un continuo adeguamento dei
protocolli d’intervento in relazione all’andamento del contesto
epidemiologico. Al fine di assicurare una strategia di controllo
globale risulta necessario potenziare e sviluppare protocolli
diagnostici in vita e post mortem non solo nelle specie a carattere
zootecnico ma anche negli animali selvatici e d’affezione.
Per la tubercolosi bovina sono previsti nei paesi industrializzati
programmi di eradicazione obbligatori basati sulla politica
del “test & slaughter”. Da qui emerge l’importanza di avere a
disposizione metodologie diagnostiche affidabili da applicare
nelle fasi fasi finali del processo di eradicazione anche con lo
scopo di avviare programmi mirati per la gestione delle sacche
d’infezione residue. E’ altresì importante elaborare protocolli
di sorveglianza per la determinazione in tempi rapidi di
un’eventuale fonte d’infezione e la comprensione del processo
infettivo. La diagnosi in vita della tubercolosi bovina che si avvale
dell’utilizzo della tradizionale prova intradermica unitamente
all’ormai consolidato test del gamma interferone e quella
post mortem che prevede l’ispezione in sede di macellazione
e l’applicazione in laboratorio di tecniche microbiologiche
applicate in parallelo a tecniche biomolecolari si sono
dimostrate procedure molto efficaci nell’ambito del sistema di
sorveglianza attiva della malattia. I controlli di qualità in itinere
dei protocolli diagnostici in uso sono un’azione fondamentale nel
mantenimento dell’efficacia del programma di sorveglianza. A
questo riguardo, la tipizzazione e caratterizzazione molecolare
dei ceppi isolati si sono dimostrate un valido strumento per
completare e approfondire il quadro epidemiologico scaturito
dalle informazioni raccolte con i metodi classici di indagine;
l’epidemiologia riveste infatti un ruolo fondamentale nella
definizione della probabilità di presenza d’infezione in un
allevamento.
In particolare, in questa fase è molto importante ai fini del
controllo dell’infezione, identificare i fattori di rischio legati alla
comparsa e/o persistenza dell’infezione negli allevamenti e
analizzarli nell’ambito della realtà in cui ci si trova ad operare.
Studi condotti per determinare i fattori di rischio e la dinamica
della diffusione della tubercolosi bovina hanno dimostrato che
molti aspetti possono influire negativamente sulla persistenza
e/o sulla diffusione dell’infezione, tra cui le dimensioni
dell’allevamento, la pratica dell’alpeggio e la gestione dei
liquami. E’ inoltre indispensabile mantenere attivo un programma
condiviso con la Medicina Umana mirato all’approfondimento
eziologico dei casi di tubercolosi nell’uomo per la definizione,
costante e attuale, delle infezioni causate da M. bovis.
La definizione e promozione di percorsi diagnostici in grado di
assicurare una diagnosi di laboratorio sempre più tempestiva
e mirata, con l’adozione di protocolli d’intervento basati sulle
risultanze epidemiologiche, rivestono un ruolo fondamentale
per il controllo della tubercolosi.
Infatti uno dei principali risultati attesi dalla attività di ricerca
sulla tematica è quello di potenziare le procedure di controllo
della TB sia di origine umana che animale attraverso una
stretta integrazione con il settore di medicina umana. E’
inoltre indispensabile, con l’analisi dei dati ottenuti, disporre
di informazioni utili alla conoscenza delle dinamiche diffusive
della TB utili a identificare nuove strategie per il controllo e
prevenzione della malattia stessa.
Il controllo della TB richiede quindi strumenti diagnostici in
grado di svelare l’infezione in modo precoce e correttamente,
pertanto la ricerca ha sviluppato nel corso degli anni protocolli
diagnostici in vivo e post mortem sempre più sensibili, accurati
e rapidi nei tempi di risposta. L’obiettivo è infatti quello di fornire
strumenti appropriati per intervenire tempestivamente nei
focolai e ridurre il rischio di infezione ad altri animali e all’uomo.
In materia di tubercolosi bovina, il processo di eradicazione sul
territorio nazionale è ormai entrato nella fase di mantenimento
dei requisiti finora raggiunti in alcuni distretti, mentre sono
presenti ancora sacche d’infezione in alcuni contesti geografici.
Sulla base delle esperienze condotte in altri Paesi, è necessario
quindi affrontare la problematica relativa all’eventuale passaggio
dell’infezione ad altri animali sia selvatici che domestici, oltre che
impiegare risorse per l’estinzione dei focolai ancora presenti.
Relativamente alla fauna selvatica e agli ungulati selvatici in
particolare, resta di primaria importanza stabilire il loro ruolo,
ora che si conoscono le aree in cui l’infezione è presente
poiché dimostrata con l’isolamento di M. bovis. Sul versante
degli animali d’affezione, non sono disponibili in commercio
test immunologici per la diagnosi di tubercolosi in vita, ma
102
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
sono stati fatti notevoli progressi in termini di ricerca di nuovi
cocktail antigenici per il miglioramento delle performance dei
test basati sul rilievo dell’immunità cellulo-mediata. L’infezione
di queste specie può avvenire infatti, oltre che attraverso il loro
contatto con bovini infetti da M. bovis, con pazienti infetti da
M. tuberculosis e attraverso l’ingestione di roditori possibile
veicolo di M. microti.
Il percorso evolutivo delle tecniche diagnostiche applicabili per
la tubercolosi bovina nei principali filoni tematici che sono stati
studiati progressivamente nel corso degli anni ha consentito
di adottare via via diversi protocolli, che oggi convergono
nell’approccio multidisciplinare offerto alla Sanità Pubblica per
la diagnosi di tubercolosi. In sintesi essi sono:
Saggio del gamma IFN test - Al protocollo standard, in
relazione alle caratteristiche epidemiologiche del territorio,
sono stati apportati alcuni adattamenti per migliorarne le
prestazioni che hanno interessato la fase di stimolazione
(utilizzo contemporaneo di PPD australiane e italiane) e i
criteri interpretativi (introduzione del concetto di “campione
non discriminante” in caso di non concordanza del risultato
espresso dalle PPD Australiana e Italiana e di “non idoneità”
del campione riferito al valore basale ≥0.150 per evidenziare
produzione aspecifica di interferone).
Esame batteriologico – sono state studiate procedure basate
sull’applicazione di differenti metodi di decontaminazione
(NaOH 2% e HPC 1.5%), l’utilizzo di tipologie diverse di terreni
colturali solidi e liquidi (Stonebrink, LJ Medium, LJ w/o glicerina
e middlebrook 7H9) e sono stati valutati e realizzati diversi
sistemi per la preparazione dei campioni da sottoporre ad
esame batteriologico e biomolecolare. La definizione di questi
protocolli ha permesso di ottenere, per l’esame batteriologico,
degli ottimi risultati in termini di sensibilità e specificità, spesso
superiori ai dati riportati in bibliografia.
PCR diretta su tessuto – L’applicazione di una tecnica di
hemi-nested PCR per la rilevazione diretta di M. tb Complex,
messa a punto e successivamente migliorata negli anni, nelle
fasi di estrazione del DNA, di amplificazione e di verifica della
specificità del risultato, rappresenta oggi un sussidio diagnostico
complementare alle tecniche microbiologiche, di grande rilievo
in relazione ai livelli prestazionali raggiunti.
Esame istopatologico – L’esame istopatologico con colorazione
ematossilina eosina (EE), da sempre utilizzato per la
caratterizzazione dei quadri anatomo-patologici “sospetti”,
è stato sottoposto a un percorso di validazione al fine di
determinarne l’affidabilità nell’ambito del protocollo diagnostico
post-mortem. L’istologia rappresenta un utile ausilio per
la diagnosi di tubercolosi, permettendo in tempi brevi di
confermare o escludere il sospetto in presenza di quadri di
dubbia valutazione all’esame anatomopatologico; inoltre, grazie
alla caratterizzazione morfologica, fornisce un’indicazione sulla
possibile eziologia della lesioni risultate negative alle altre
metodiche del protocollo diagnostico.
Identificazione e caratterizzazione genotipica di M. bovis – Le
tecniche avanzate di caratterizzazione molecolare dei ceppi
di M. bovis isolati nel corso delle operazioni di eradicazione
sono ormai consolidate e riconosciute a livello internazionale.
Esse hanno permesso di avviare e sviluppare l’epidemiologia
molecolare, nuova disciplina mirata a supportare o indirizzare
con riscontri analitici l’epidemiologia convenzionale nelle
indagini dei focolai di malattia. Le tecniche di Spoligotyping
e VNTR-ETR typing, applicate in modo retrospettivo ai ceppi
isolati e ordinariamente in routine permettono oggi di acquisire
informazioni consistenti e significative per realizzare una
fotografia, grazie anche alla georeferenziazione dei dati,
dei ceppi presenti sul territorio, della loro diffusione e delle
dinamiche di circolazione.
Antibioticoresistenza - La valutazione di fenomeni di
antibioticoresistenza in ceppi di M. bovis è stata studiata e
dimostrata mediante il saggio dell’antibiogramma.
L’attività di ricerca è caratterizzata da una progressione che,
come descritto, è sempre stata costante negli anni ed ha reso
possibile la realizzazione di molti protocolli che oggi vengono
applicati nei laboratori nell’ambito della diagnostica delle
micobatteriosi nelle diverse specie animali. Le tecniche basate
sulla caratterizzazione molecolare dei ceppi isolati hanno
permesso altresì di dimostrare che gli eventi di trasmissione
dell’infezione tra bovino e uomo sono fatti concreti e,
soprattutto, accadono ancor oggi. Ciò ha consentito di rafforzare
ulteriormente le motivazioni delle politiche sanitarie a sostegno
delle campagne di eradicazione della malattia, in modo che una
forza nuova sia impressa per il raggiungimento dell’obiettivo
finale. Le indagini condotte su ceppi isolati da cinghiali hanno
evidenziato che in alcune aree è presente omologia su base
biomolecolare con ceppi bovini, suggerendo che questa specie
animale selvatica può rappresentare un bioindicatore della
presenza dell’infezione da M. bovis nei bovini. Le indagini
preliminari in allevamenti a rischio per sviluppo di fenomeni
legati a antibioticoresistenza, ha permesso di evidenziare la
circolazione di ceppi di M. bovis fenotipicamente resistenti ad
Isoniazide e a Streptomicina, imponendo una riflessione non più
basata su ipotesi o sensazioni, ma su evidenze analitiche, sul
pericolo potenziale che questi ceppi possano essere trasmessi
all’uomo. Di riflesso, ha consentito indirettamente di supporre
realisticamente la relazione con la pratica di trattamenti
fraudolenti messi in atto per mascherare l’infezione tubercolare
nei bovini.
Alla luce dei risultati sin qui raccolti e delle valutazioni che ne
sono conseguite, emerge in tutta chiarezza l’importanza di
continuare ad alimentare senza cali di intensità la vivacità della
ricerca e delle attività ad essa correlate, in modo che i ricercatori
che operano all’interno degli Istituti possano dare continuità allo
sviluppo della diagnostica della tubercolosi e, di conseguenza,
possano fornire quel contributo, che si auspica decisivo al
processo di eradicazione della malattia dagli allevamenti.
Con lo sviluppo delle attività è indispensabile rafforzare le
sinergie già avviate tra i diversi gruppi di ricerca a livello
nazionale ed internazionale con l’obiettivo finale di raggiungere
l’eradicazione globale della malattia. L’impegno volto al sostegno
del processo di eradicazione della malattia che si avvia verso
le fasi terminali con la necessità di affrontare i nuovi scenari,
modulando i protocolli analitici e gestionali a supporto dei
processi decisionali e degli interventi delle politiche sanitarie nei
territori di competenza. In particolare risulta ancora necessario
approfondire aspetti legati alla diagnosi in vita e alla diagnosi
post-mortem per potenziare ed ampliare la gamma dei test
previsti nei protocolli diagnostici sia in specie domestiche che
selvatiche, anche attraverso ampliamento dei target molecolari
per la caratterizzazione genetica dei ceppi isolati. Nell’ambito
dell’epidemiosorveglianza si auspica come prioritario lo sviluppo
di un albero decisionale nella gestione dei focolai. Inoltre, con
l’analisi dei dati ottenuti è possibile disporre di informazioni
utili alla conoscenza delle dinamiche diffusive della Tb utili a
identificare nuove strategie per il controllo e prevenzione della
malattia con l’analisi e la revisione dei flussi informativi uomoanimale nella tubercolosi finalizzata alla rilevazione di eventuali
punti critici.
103
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
UTILIZZO DI UN TEST ELISA MULTI-ANTIGENE PER LA DIAGNOSI SIEROLOGICA DI TUBERCOLOSI
BOVINA (TB)
Casto B.1, Pacciarini M.1, Donati C.1, Nassuato. C1, Zoppi S.2, Moresco A. 3, Dondo A.2, Rossi F.2, Bergagna S.2,
Boniotti M.B.1
1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia
2 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino
3 Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, Trento
Key words: TB, ELISA, antigeni ricombinanti
Summary
lievito 1%( in PBS-T) alla diluizione 1:50 e incubati 1h a 37° C in
agitazione. Successivamente le piastre vengono incubate 1h a
37°C in agitazione con un anticorpo anti-IgG bovine coniugato
con perossidasi. La reazione colorimetrica è misurata in OD a
λ=492 con lettore per micro piastre.
Per ogni singolo siero i risultati ottenuti (media delle densità
ottiche dei 2 pozzetti adsorbiti con l’antigene – densità ottica del
pozzetto senza antigene) sono rapportati al controllo positivo
della piastra ed espressi come percentuale di positività.
Determinazione dei valori soglia per singolo antigene: il valore
ottimale di cut-off di ogni singola proteina è stato determinato
dalla corrispondente curva ROC (Receiver Operative Curve)
(fig. 1) elaborata dall’analisi di 507 sieri bovini provenienti da
7 differenti allevamenti ufficialmente indenni da TBC e 93 sieri
bovini, positivi all’isolamento colturale per M. bovis provenienti
da 21 allevamenti infetti da tubercolosi.
In this study the humoral responses of individual animals
were tested by means of a multi-antigen indirect ELISA assay
developed in our laboratory. PPDB, PPDA and 4 recombinant
proteins expressed in E. coli (MPB70, MPB83, ESAT-6 and
CFP-10) were used. The test showed moderate sensitivity and
high specificity. Nevertheless, it was able to detect humoral
response in animals were the other tests failed. Among the
antigens, MPB70 detected most of the ELISA positive samples,
followed by PPDB, MPB83, ESAT-6 and CFP-10. The use of
the ELISA test could be complement to other techniques based
on cellular response to identify TB infection in cattle.
Introduzione
La tubercolosi bovina è una zoonosi causata prevalentemente
da due microrganismi appartenenti al gruppo Mycobacterium
tuberculosis complex (MtbC): M. bovis e M. caprae. Negli
animali infetti la risposta immunitaria predominante è di tipo
cellulo-mediata su cui si basa la diagnosi in vivo che viene
Figura 1. Curve ROC per la determinazione del cut-off dei
singoli test ELISA.
eseguita tramite il test intradermico e/o il test del γ-interferon.
Questa risposta è anche la causa dell’infiammazione cronica
caratteristica della tubercolosi bovina che porta alla formazione
di granulomi e lesioni tipiche. Con il procedere della malattia
l’animale sviluppa una risposta anticorpale mentre, in una
fase avanzata di infezione generalizzata, gli animali possono
perdere la capacità di rispondere al test intradermico (IDT) e
al γ-interferon (1). Questi animali anergici potrebbero quindi
essere la causa d’improvvisi e inaspettati focolai. Gli animali
anergici potrebbero però essere rilevati tramite un saggio
sierologico. Numerosi studi hanno evidenziato che per rilevare
la risposta anticorpale è necessario utilizzare un approccio
multi-antigene in modo da coprire la diversità individuale e
temporale di questa risposta (3,4). In questo studio è stato
sviluppato e standardizzato un test ELISA indiretta basato
sull’utilizzo di antigeni ricombinanti specifici e valutata la
risposta umorale di animali provenienti da allevamenti sede
di focolaio.
Materiali e Metodi
Antigeni ricombinanti: le regioni nucleotidiche codificanti le
proteine antigeniche MPB70, MPB83, ESAT6, CFP10 del
M.bovis sono state clonate nel vettore pQE30 (Qiagen) ed
espresse in E.Coli come proteine di fusione con una coda di
poli-istidine. Le proteine sono state purificate per mezzo di una
resina Ni-NTA (Qiagen).
ELISA indiretta: il protocollo prevede che le proteine MPB70,
MPB83, ESAT-6, CFP-10, la tubercolina bovina (PPDB) e la
tubercolina aviare (PPDA) vengano adsorbite con tampone
carbonato (pH 9,6) su micropiastra di polistirene a 96 pozzetti,
le piastre sono poi incubate O.N a 4°C. Per ogni campione
si sensibilizzano 2 pozzetti e un 3° pozzetto funge invece da
bianco .
I campioni di siero vengono analizzati in tampone estratto di
104
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Risultati
Il saggio ELISA indiretta con le 4 proteine ricombinanti (MPB70,
MPB83, ESAT6, CFP10) e le tubercoline bovine e aviari è
stato utilizzato per analizzare un totale di 749 sieri bovini
di cui: 507 sieri provenienti da 7 allevamenti ufficialmente
indenni utilizzati per valutare la specificità del test e 242 sieri
provenienti da 21 allevamenti sede di focolaio situati nelle
regioni Lombardia, Piemonte e Trentino Alto Adige. Queste
regioni hanno una prevalenza di TB inferiore allo 0.1% o sono
riconosciute ufficialmente indenni (Trentino Alto Adige).
Dopo aver determinato i valori di cut-off per ogni singolo
antigene, sono stati calcolati i valori di specificità e sensibilità
(tabella 1) considerando 2 criteri diversi per classificare il
campione come positivo: 1) reattività ad un solo antigene
oppure 2) reattività ad almeno due antigeni.
Nonostante la sensibilità del test ELISA multi-antigene sia
inferiore ai saggi diagnostici classici, questo saggio è stato in
grado di rilevare 3 animali positivi (in grigio) che erano risultati
negativi o dubbi a tutti i saggi tradizionali.
Discussione
Il saggio ELISA sviluppato nel nostro laboratorio presenta
un’elevata specificità a fronte di una sensibilità modesta
ma comparabile a quella ottenuta sino ad ora in altri lavori
scientifici. Il fatto che la maggior parte dei sieri positivi siano
reattivi a due o più antigeni è indice di robustezza del test
sviluppato. Inoltre l’approccio multi-antigene del saggio ELISA
offre la possibilità di modulare la specificità e la sensibilità in
base al numero di antigeni reattivi che vengono considerati
per la classificazione dell’animale come positivo o negativo. Si
potrebbero pertanto utilizzare diversi criteri di interpretazione
del risultato a seconda che si voglia monitorare un allevamento
già sede di focolaio o un allevamento di cui non si conosce lo
stato sanitario mantenendo criteri più stringenti in quest’ultimo
caso.
Per quanto riguarda la reattività delle singole proteine la
tubercolina bovina e la proteina ricombinante MPB70 sono
risultati essere gli antigeni maggiormente immunogenici.
Applicato a sieri provenienti da allevamenti focolaio, il nostro
test è stato in grado di rilevare 3 animali positivi che erano
risultati negativi o dubbi a tutti i test in vivo e post mortem
tradizionali.
Questi risultati suggeriscono che il test ELISA multi-antigene
possa essere utilizzato come test complementare agli altri
test basati sulla risposta cellulo-mediata per la diagnosi di
tubercolosi bovina e per migliorare la probabilità complessiva
di rimuovere/eliminare tutti gli animali infetti negli allevamenti
dove è in corso l’eradicazione.
Tabella 1- Sensibilità e Specificità test ELISA multi-antigene
Criteri di positività
% Specificità
Sensibilità %
1 ANTIGENE POSITIVO
94,87
74,19
2 ANTIGENI POSITIVI
98,81
61,29
In tabella 2 sono riassunte le reattività ottenute per singola
proteina. La proteina MPB70 si conferma come la proteina
maggiormente coinvolta nella risposta anticorpale (2). Nella
tabella 3 si mette in evidenza che la maggior parte dei sieri
positivi sono reattivi a due o più proteine antigeniche.
2)
Tabella 2 e 3- Reattività dei sieri testati agli antigeni
ricombinanti utilizzati nei test ELISA
3)
ANTIGENE
MPB70
MPB83
ESAT6
CFP10
PPDB
CAMPIONI
81
26
12
12
84
N° ANTIGENI
1
2
3
4
5
TOT
CAMPIONI
19
43
27
12
5
96
Bibliografia:
1.
Infine, il test ELISA multi-antigene è stato applicato a 242
sieri provenienti da 21 allevamenti sede di focolaio. I risultati
dei test ELISA sono stati confrontati con i risultati delle prove
in vivo, IDT e γ-interferon, e degli esami post mortem quali
l’osservazione di lesioni macroscopiche, l’esame istologico,
la colorazione ZN, l’isolamento colturale e la PCR eseguita
direttamente sul campione biologico.
Nella tabella 5 viene confrontata la capacità diagnostica del
saggio ELISA multi-antigene di classificare i campioni come
positivi sia quando erano reattivi ad un solo antigene sia con
reattività ad almeno due antigeni.
2.
3.
4.
Tabella 5- Confronto tra la capacità diagnostica dei test in
vivo, test post mortem e ELISA multi-antigene
De la Rua-Domenech R., A.T. Goodchild, H.M. Vordermeier,
R.G. Hewinson, K.H. Christiansen, R.S. Clifton-Hadley. 2006.
Ante mortem diagnosis of tuberculosis in cattle: A review of the
tuberculin tests, g-interferon assay and other ancillary diagnostic
techniques. Research in Veterinary Science 81, 190-210.
Fifis T., C. Costopoulos, L.A. Corner and P.R. Wood: 1992.
Serological reactivity to Mycobacterium bovis protein antigens in
cattle. Vet Microbiol. 30, 343-354.
Lyashchenko K.P., M. Singh, R. Colangeli, M.L. Gennaro.
2000. A multi-antigen print immunoassay for the development
of serological diagnosis of infectious diseases. Journal of
Immunological Methods 242, 91-100.
Whelan, C., E. Shuralev, G. O’Keeffe, P. Hyland, H. F. Kwok, P.
Snoddy, A. O’Brien, M. Connolly, P. Quinn, M. Groll, T. Watterson,
S. Call, K. Kenny, A. Duignan, M. J. Hamilton, B. M. Buddle, J. A.
Johnston, W. C. Davis, S. A. Olwill, and J. Clarke. 2008. Multiplex
immunoassay for serological diagnosis of Mycobacterium bovis
infection in cattle. Clin. Vaccine Immunol. 15:1834-1838.
ELISA
TESTs
in vivo
TESTs
post
mortem
N°
campioni
sieri positivi
ad un solo
antigene
sieri positivi a
due antigeni
+
+
DUBBI
DUBBI
-/ND
-/ND
+
-/ND
+
-/ND
+
-
89
47
7
3
37
59
64
14
2
1
13
2
54
12
0
1
8
2
Ringraziamenti
Questo lavoro è stato finanziato dal Ministero della Salute con
il progetto di ricerca finalizzato 2006 DIAGNOVA.
Si ringrazia G. Botti per l’aiuto tecnico fornito.
105
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VALUTAZIONE DELL’ACCURATEZZA DIAGNOSTICA DEL γ-INTERFERON TEST PER LA TUBERCOLOSI
BOVINA IN ASSENZA DI GOLD STANDARD
Vitale N., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Bergagna S., Ippolito C., Petruccioli G., Goria M.,
Garrone A., Ferraro G., Chiavacci L.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino
Keywords: bovine tuberculosis – γ-interferon assay- latent class analisys
Introduzione
La tubercolosi bovina (bTB) è una patologia cronica a
carattere zoonosico causata da Mycobacterium bovis con
gravi implicazioni di sanità pubblica e danni economici negli
allevamenti colpiti.
L’eradicazione della bTB si basa sull’individuazione,
l’isolamento e la rimozione dei capi infetti. Gli strumenti
diagnostici utilizzati nella diagnosi di bTB si possono
dividere in 2 grosse tipologie: le metodiche utilizzate in vita
e le prove post mortem. La diagnosi formulata in vita si basa
principalmente sulla risposta della immunità cellulo-mediata;
che nel caso di M. bovis è sia meccanismo di difesa, sia causa
dell’infiammazione cronica caratteristica dell’infezione.
I due test attualmente utilizzati per la diagnosi in vita sono:
l’intradermoreazione con tubercolina PPD, che costituisce
la prova ufficiale e il γ-Interferon (γ-IFN) test, prova in vitro
della PPD.
I test post mortem sono effettuati sul capo abbattuto per rilevare
la presenza di M. bovis (esame batteriologico, PCR diretta da
tessuto) o la presenza di lesioni (esame anatomopatologico)
riconducibili a M. bovis. Tradizionalmente le metodiche
post mortem sono considerate prove di conferma dei test in
vita e per questo motivo sono state utilizzate in diversi studi
(3,8) come criterio per validare in situazioni di campo i test
in vita, soprattutto il γ-IFN. Tuttavia, l’utilizzo delle metodiche
post mortem come gold standard può portare a delle stime
distorte dell’accuratezza diagnostica. Difatti, questi ultimi
sono indicatori di malattia mentre quelli in vita sono indicatori
di infezione (2) e pertanto i test post mortem sono meno
sensibili dei test in vita (3).
L’utilizzo degli strumenti diagnostici post mortem porterebbe a
delle distorsioni nelle stime dell’accuratezza dei test in vita dovute
ad errori di composizione del campione il cosiddetto Spectrum
bias; fenomeno che si verifica quando i capi selezionati per lo
studio non rappresentano tutta l’intera casistica della malattia o
dell’infezione, ma solo alcune tipologie di infetti esempio i casi
più gravi. In questo caso la popolazione utilizzata per stimare
l’accuratezza diagnostica non sarebbe omogenea rispetto alla
popolazione su cui nella routine sarà impiegato il test.
Per valutare l’accuratezza del γ-IFN in situazione di campo,
quando non è disponibile un gold standard è possibile utilizzare
i modelli a classe latente (LC).
In questo lavoro per valutare l’accuratezza diagnostica della
prova del γ-IFN in situazione di campo è stata eseguita una
analisi per classi latenti in un focolaio di bTB.
diagnostico alle prove in vita è stato esaminato con un protocollo
completo di esami post mortem che prevedeva: l’ispezione
anatomopatologica, l’esame colturale e la PCR da tessuto.
I risultati di queste 5 tecniche diagnostiche (γ-IFN, ICT, PCR,
batteriologico, esame anatomopatologico) sono stati confrontati
attraverso un modello LC a 2 classi. Sono stati stimati:
prevalenza, accuratezza diagnostica (sensibilità, specificità),
valori predittivi, rapporti di verosimiglianza (LR). utilizzando uno
stimatore bayesiano e lo stimatore di massima verosimiglianza.
L'analisi dei dati è stata eseguita utilizzando i software S.A.S
v.9.1 e WINBUGS (4,5).
Le stime dell’accuratezza diagnostica del γ-IFN ottenute da
questo lavoro sono state confrontate con le stime derivate da
uno studio analogo su un campione casuale di 326 bovini (6)
che utilizzava il modello LC sempre in assenza di gold standard.
Il lavoro sui 326 bovini era stato condotto su una popolazione
che presentava una prevalenza diversa rispetto al focolaio bTB
del presente studio e confrontava 4 test differenti (tubercolina,
ispezione al macello, γ-IFN, isolamento M. bovis).
Risultati e conclusioni
Sono stati eseguiti 202 esami PCR, colturale e
anatomopatologico; 197 ICT e γ-IFN in quanto 5 campioni di
siero non sono risultati idonei. In tabella sono presentati i dati
relativi alle 5 metodiche considerate.
Tabella 1 risultati delle metodiche sui capi provenienti da un
focolaio bTB
ICT
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
POS
POS
POS
POS
POS
POS
POS
POS
Materiali e metodi
Lo studio è stato condotto su tutti i bovini appartenenti ad un
focolaio di bTB verificatosi in regione Piemonte nell’estate 2009
in provincia di Cuneo. Dopo accurata indagine epidemiologica
e prove eseguite in vita e post mortem è stato decretato
l’abbattimento totale. Tutti i capi dell’allevamento ancora in vita
al momento dell’abbattimento totale sono stati testati con γ-IFN
e con un test rapido immunoenzimatico basato sulla rilevazione
della risposta umorale (1,7), l’immunocromatografico test
(ICT). Su tutto l’effettivo di stalla indipendentemente dall’esito
106
PCR
NEG
NEG
NEG
NEG
NEG
POS
POS
POS
POS
POS
POS
NEG
NEG
NEG
POS
POS
POS
POS
POS
γ-IFN
NEG
NEG
POS
POS
POS
NEG
NEG
NEG
POS
POS
POS
NEG
POS
POS
NEG
NEG
POS
POS
POS
BATT
NEG
POS
NEG
POS
POS
NEG
POS
POS
NEG
POS
POS
NEG
NEG
POS
NEG
POS
NEG
POS
POS
ANPAT
NEG
NEG
NEG
NEG
POS
NEG
NEG
POS
NEG
NEG
POS
NEG
NEG
NEG
NEG
POS
NEG
NEG
POS
n
27
1
13
6
3
15
5
1
7
25
27
6
2
3
2
1
5
4
12
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
La prevalenza intrallevamento stimata dal modello è risultata
pari a 0.5045 (IC95%: 0.42-0.60).
I dati relativi alla sensibilità, specificità, valori predittivi
positivi e negativi, rapporto sensibilità 1 meno specificità
(LR+) e rapporto 1 meno sensibilità su specificità (LR-) del
γ-IFN sono riportati in tabella 2.
I dati di sensibilità e specificità del γ-IFN calcolati in questo
lavoro sono concordi con quelli calcolati nell’altro studio
(tabella 3) come si evince dagli intervalli di confidenza
sovrapponibili.
I risultati dello studio confermano le buone performance
del test γ-IFN soprattutto in termini di specificità anche
in situazioni epidemiologiche differenti e con prevalenze
diverse.
R., Esfandiari J., McNair J., Pollock J.M., Andersen P.,
Lyashchenko K.P., 2006. Early antibody responses to
experimental Mycobacterium bovis infection of cattle.
Clinical and vaccine immunology 648-654.
8. Wood PR, Corner LA, Rothel JS et al.,1992. A field
evaluation of serological and cellular diagnostic tests for
bovine tuberculosis. Vet Microbiol. 31:71–9.
Abstract
To assess diagnostic accuracy of Interferon-gamma (IFN-γ)
assay under field conditions without a gold standard a latent
class analysis was performed in a bTB outbreak. Several
diagnostic tool were compared: IFN-γ, colture, post mortem
examinations, and ICT. Diagnostic sensibility and specificity
of IFN-γ were approximately estimated at 65% (95%
confidence interval [CI] 54–75%) and 94% (CI: 87-99%),
respectively.
Results revealed that under field conditions IFN-γ is a
reliable tool.
Tabella 2 accuratezza diagnostica del γ-IFN in un focolaio
SP
0,94
SE
0,65
IC 95%
0,87
0,99
IC 95%
0,54
LR-
0,75
0,37
VPN
0,73
LR+
VPP
10,79
0,92
Tabella 3 risultati di uno studio di accuratezza diagnostica
del γ-IFN in assenza di gold standard su un campione
casuale di 326 bovini
prevalenza
32%
specificità
0,99
0,89-99,9
(25,2%-39,7%)
sensibilità
0,79
0,6-0,91
Bibliografia
1. Bergagna S., Zoppi S. , Ippolito C., Rossi F., Vitale N.,
Chiavacci L., Bertoli M., Dondo A “studio preliminare
per la valutazione delle performance di un test
immunocromatografico per la diagnosi in vita di tubercolosi
bovina” xi congresso nazionale sidilv, Parma 2009
2. Corner, L.A., 1994. Post mortem diagnosis of
Mycobacterium bovis infection in cattle. Vet. Microbiol.
40, 53–63.
3. De la Rua-Domenech, R., A. T. Goodchild, H. M.
Vordermeier, R. G. Hewinson, K. H. Christiansen, and
R. S. Clifton-Hadley. 2006. Ante mortem diagnosis of
tuberculosis in cattle: a review of the tuberculin tests,
gamma-interferon assay and other ancillary diagnostic
techniques. Res. Vet. Sci. 81(2):190–210.
4. Spiegelhalter, D.J., Thomas, A., Best, N.G., 2004.
WinBUGS Version 1.4 User Manual. MRC Biostatistics
Unit.
5. SAS Institute Inc. 2004 SAS/STAT 9.1 User‘s Guide,
Version 9.1 Cary, North Carolina, USA: SAS Publishing..
6. Vitale, N., Zoppi, S., Rossi, S., Dondo, A., Bergagna, S.,
Goria, M., Chiavacci,L. “Estimating diagnostic accuracy of
γ interferon test for bovine tuberculosis infection without
a gold standard” atti M.BOVIS V Conference Wellington,
New Zealand 25th-28th August 2009
7. Waters W.R., Paler M.V., Thacker T.C., Bannantine
J.P., Vordermeier H.M., Hewinson R.G., Greenwald
107
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SUB-TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP PARATUBERCULOSIS MEDIANTE
HIGH-RESOLUTION MELTING DNA ANALYSIS E SONDE NON MARCATE
Ricchi M1, Barbieri G2, Belletti GL1, Pongolini S1, Carra E1, Garbarino CA1, Cammi G1, e Arrigoni N1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini”. Centro Referenza Nazionale Paratubercolosi
2
Università degli Studi di Parma – Dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare
Key words: Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis, sub-tipizzazione molecolare, High Resolution Melting
Ricerca effettuata nell’ambito del progetto di Ricerca Corrente IZSLER 19/2009
“Tipizzazione molecolare dei ceppi di Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map) e sue applicazioni in epidemiologia molecolare”
Summary
One of the most widely used techniques for the genotyping of
Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map), is Multi Locus
Short Sequence Repeat (MLSSR). This technique is based on the
direct sequencing of some variable loci containing tandem repeats.
Among the three loci showing the highest variability (SSR1, SSR2
and SSR8), we focused on SSR8, which is constituted by triplets
ranging from three to five repetitions. We developed a simple, rapid
and cost-effective method to resolve this locus. This method is
based on a Real Time PCR followed by High-Resolution Melting
(HRM) analysis with unlabelled probes.
Materiali e metodi
I ceppi di Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis utilizzati in
questo studio sono stati isolati dal Centro di Referenza Nazionale
per la Paratubercolosi durante l’attività di routine diagnostica.
Un’ansata di sub-coltura di Map è stata stemperata in 100 µl di
acqua distillata sterile e sottoposta a disgregazione meccanica
mediante TissueLyser (Qiagen, Milano, Italia) per 5 min a 30 Hz,
previa aggiunta di 100 mg di biglie di vetro (diametro 150-212 µm).
Il DNA, estratto mediante DNA QIAamp Mini Kit (QIAGEN, Milano,
Italia), è stato quantificato a 260 nm e opportunamente diluito per
amplificare 10 ng totali. I polimorfismi del locus SSR8 sono stati
risolti mediante elettroforesi capillare, eseguita con il sequenziatore
automatico Beckman Coulter CEQ 8000 (USA), secondo le
istruzioni del kit “Dye Terminator Cycle Sequencing (DTCS) quick
Start” ed impiegando i primers secondo Amonsin (6).
I primers usati nel nostro studio sono stati disegnati utilizzando
il programma Beacon Designer (versione 7.6, Premier Biosoft
International, USA), modificati manualmente seguendo la
strategia della Late-PCR (8) per ottenere una PCR asimmetrica,
tale da garantire una sufficiente quantità di DNA a singolo
filamento complementare alla sonda. Le sequenze dei primers e
della sonda sono riportate nella tabella 1.
Introduzione
Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map) è
l’agente eziologico della paratubercolosi, malattia che colpisce
particolarmente i ruminanti. Alcuni studi suggeriscono inoltre come
questo micobatterio possa essere implicato nella malattia di Crohn
dell’uomo (1), sebbene il suo ruolo ezio-patogenetico sia ancora
controverso. Nei bovini la malattia si presenta come una enterite
granulomatosa cronica che porta a diarrea, perdita di peso e calo
generale delle performances zootecniche. L’infezione sostenuta da
questo agente patogeno, che ha diffusione mondiale, è causa di
gravi perdite economiche per l’industria zootecnica (2).
La conoscenza dell’epidemiologia e della biodiversità dei ceppi di
Map circolanti potrebbe favorire la comprensione delle modalità
di diffusione di questo patogeno. A questo proposito numerose
metodiche sono state utilizzate per tipizzare molecolarmente Map:
IS900-Restriction Fragment Length Polymorphism, Amplified
Fragment Lenght Polymorphism (AFLP) e Pulsed Field Gel
Electophoresis (3). Queste metodiche presentano tuttavia una serie
di limiti, quali: elevata quantità di DNA da processare (ottenibile
solo con colture pure del ceppo in esame), scarsa riproducibilità
(AFLP) e necessità di personale e apparecchiature specializzate
(4, 5). Più recentemente reazioni PCR su loci contenenti tandem
repeats hanno superato molti di questi problemi e al momento sono
considerate le tecniche emergenti per la tipizzazione molecolare di
Map (3, 4). Fra i diversi loci analizzati mediante questa tecnica,
quelli che dimostrano maggiore variabilità sono quelli descritti da
Amonsin e coll. (6) come Short Sequence Repeats (SSRs). In
particolare, i loci SSR 1, SSR2 e SSR 8 si sono rilevati quelli più
informativi (3, 6). I loci SSR 1 e 2 sono costituiti da ripetizioni di
una singola base (guanosina) in un range compreso tra 7 e oltre
14 ripetizioni, mentre il locus SSR8 è costituito da serie di triplette
(guanosina-guanosina-timidina) in un range compreso tra 3 e
5 ripetizioni (6). Dato l’esiguo numero di differenze in termini di
basi, per poter risolvere i polimorfismi presenti a livello di questi
loci, la tecnologia utilizzata è il sequenziamento diretto del DNA.
Lo scopo del nostro studio è stato quindi quello di tipizzare questi
loci utilizzando metodi alternativi meno costosi e più semplici da
implementare rispetto al sequenziamento. Per questo fine abbiamo
utilizzato una PCR Real Time accoppiata a High-Resolution Melting
(HRM) DNA analysis, utilizzando sonde oligonucleotidiche non
marcate (7). I dati preliminari sul locus SSR 8 mostrano l’efficacia
di questa tecnica nel risolvere i polimorfismi presenti.
Tabella 1: Sequenze dei primers e della sonda per il locus SSR8.
I primers amplificano una regione variabile (a seconda del
polimorfismo presente) da 83 a 92 bp.
* indica la presenza di un c6’-amminoblocker in posizione 3’.
Sequenza (5’-3’)
Forward
Reverse
Probe
CGGGTGCGCGAGCTGGTGC
CGCTCCTCGGGCATCTGC
GAGGCGCGGGTGGTGGTGGTGGTGGCGCA*
Abbiamo utilizzato una mix di PCR preparata addizionando
LCGreen® Plus+ Melting Dye (Idaho technology Inc, Salt Lake
City, Utah, USA) a Right-Taq (EuroClone, Pero, Italia) con 0.2 mM
dNTPs, 0.5 µM di sonda modificata chimicamente in posizione
3’ (c6’-amminoblocker) per evitare l’allungamento da parte della
DNA-TaqPolimerasi, 0.05 µM per il primer limitante (forward) e
0.5 µM per quello in eccesso (reverse). Le reazioni di PCR sono
state effettuate in StepOne Plus system (Applied Biosystems).
Le condizioni erano: denaturazione a 95 °C per 3 min, seguita
da 50 cicli con 15 sec di denaturazione e 30 sec di annealing/
estensione a 67 °C. Gli ampliconi sono stati immediatamente
processati portandoli a 95 °C per 15 sec e di seguito a 60 °C
per 1 min. I campioni sono stati quindi riscaldati da 60 °C a 95
°C, incrementando la temperatura di 0.1 °C per singolo step,
con 10 misurazioni per ogni °C di incremento. La temperatura
di melting (Tm) è stata misurata dal software (StepOne Software
v2.1, Applied Biosystems) senza normalizzare con ROX. I dati
ottenuti sono stati quindi processati sottraendo la fluorescenza
del controllo senza sonda, derivando i risultati ottenuti e “pulendo”
(smoothing) i dati con il metodo della media mobile. Per
massimizzare ulteriormente le differenze dei diversi polimorfismi,
108
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Bibliografia
abbiamo calcolato una funzione esponenziale negativa, ricavata
utilizzando due intervalli di dati scelti a monte e a valle della
transizione della Tm per ciascuna curva e l’abbiamo sottratta ai dati
derivati in precedenza. Abbiamo quindi normalizzato sottraendo il
valore minimo e dividendo per il massimo dei dati risultanti (9).
Infine da questi dati sono stati ottenuti i grafici relativi utilizzando
Sigma Plot.
1.
Scanu AM, Bull TJ, Cannas S, Sanderson JD, Sechi LA,
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Risultati
In figura 1 sono mostrati i profili di tre polimorfismi rappresentativi
del locus SSR8, ottenuti con ceppi di campo isolati in laboratorio.
Abbiamo rilevato una differenza di circa 4 °C nei valori di Tm
corrispondenti ai diversi polimorfismi osservati, permettendo una
distinzione inequivocabile tra i vari polimorfismi. Oltre a quelli
rimossi nel corso del processamento matematico dei dati, relativi
agli ampliconi e non alla reazione di ibridazione, non si rilevavano
altri picchi. 41 campioni di ceppi di campo di Map sono stati
processati sia con la metodica HRM sia con il sequenziamento
del locus, evidenziando una perfetta corrispondenza fra le due
tecniche impiegate. Un campione mostrava tre ripetizioni (Tm 72.2
± 0.0 °C), 20 quattro ripetizioni (Tm 76.2 ± 0.1 °C) e 20 cinque
ripetizioni (Tm 80.7 ± 0.1 °C).
Figura 1: Figura rappresentativa delle curve di melting ottenute
del locus SSR8 della sola regione di ibridazione della sonda non
marcata.
Discussione
Numerosi dati in letteratura suggeriscono come la metodica
MLSSR sia quella con il più alto indice discriminatorio (DI) per la
sub-tipizzazione di ceppi di Map (3, 6, 10). In particolare i loci 1, 2
e 8 sembrano essere quelli con una più elevata variabilità (3, 6).
Tecniche con elevato indice discriminatorio (>0.90 DI) consentono
di effettuare analisi di linkage utili ai fini epidemiologici (4). Uno dei
limiti di questo metodo è la necessità di sequenziare direttamente
ogni singolo locus analizzato, con notevole dispendio in termini
economici (costo elevato delle apparecchiature e necessità di
personale altamente specializzato). La metodica da noi proposta,
basata su analisi HRM in presenza di sonde non marcate è una
tecnica recentemente sviluppata, con elevato potenziale risolutivo,
in grado di evidenziare anche “single nucleotide polymorphisms”
di classe 4 (11). Il metodo da noi sviluppato, riferito per il momento
al solo locus SSR8, presenta i vantaggi di essere semplice, molto
veloce (circa 3 ore per effettuare l’amplificazione e l’analisi della
curva di melting), poco costoso e di non richiedere manipolazioni
successive all’allestimento della reazione di PCR. Ulteriori studi
sono in corso per valutare l’utilizzo di questa tecnica anche nella
risoluzione degli altri due loci mononucleotidici (SSR 1 e 2).
109
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RUOLO DEL SUINO NERO DEI NEBRODI
NELL’EPIDEMIOLOGIA DELLA TUBERCOLOSI BOVINA IN SICILIA
Mazzone P.1, Corneli S.1, Cagiola M.1, Biagetti M.1, Ciullo M.1, Sebastiani C.1, Boniotti M.B.3, Pacciarini M.L.3,
Di Marco V.2, Russo M.2, Aronica V.2, Fiasconaro M.2, Marianelli C.4, Pesciaroli M.4, Pasquali P.4
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna –
Centro di Referenza Nazionale per la Tubercolosi bovina da M. bovis
4
Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare
Key words: Mycobacterium bovis, pig, Spoligotyping
SUMMARY
The application of the control measures included in the
national tuberculosis eradication programmes, allowed
us to reduce the prevalence of Bovine Tuberculosis (TB)
in several Italian regions. However further efforts are
necessary in order to achieve the eradication of the disease
in South of Italy, especially in Sicily where prevalence of TB
is still more than 3% (prevalence of 2009). In order to gain
a better understanding of the epidemiology of the disease
in the area of the Nebrodi Park, a survey was conducted
to assess the presence of M. bovis in the population of
autochthonous pigs that share common pastures with cattle.
In this study 106 pig carcasses were examined by anatomopathological inspection and submitted to culture isolation.
Sixteen M. bovis strains were isolated and genotyped by
DVR-Spoligotyping and ETRs markers. The combination of
information derived from the epidemiological investigation
and the genetic profiles allows us to hypothesize that there
was a transmission of M. bovis between cattle and swine
population of Nebrodi Park.
(DM 592 del 15 Dicembre 1995, D.Lgs. 196 del 22 maggio
1999) e probabilmente sta comportando il coinvolgimento
del Suino Nero nell’epidemiologia della malattia. Con
l’intento di verificare questa ipotesi nel 2009 è stata condotta
un’indagine conoscitiva nell’ambito del Progetto di Ricerca
del Settimo Programma Quadro, denominato “Strategies for
the eradication of bovine tuberculosis” (Contract Number
212414 - Acronimo TB-STEP). Lo studio preliminare
effettuato su 75 suini del Parco dei Nebrodi e 46 suini del
Parco delle Madonie, ha evidenziato la presenza di M. bovis
in 8 dei 121 soggetti esaminati, rispettivamente 6 positività
nei suini dei Nebrodi e 2 in quelli delle Madonie (4). Sulla
scorta di questi risultati nel 2010 si è deciso di concentrare le
indagini sulla popolazione del Parco dei Nebrodi, avviando
un campionamento mirato in sede di macellazione.
MATERIALI E METODI
Nel primo semestre del 2010 presso il mattatoio di Mirto
(ME), sono stati esaminati 106 Suini Neri Siciliani allevati
nel comprensorio del Parco dei Nebrodi allo stato libero
e semi brado. Dopo accurato esame ispettivo, sono stati
prelevati da ogni soggetto i linfonodi della testa (retrofaringei
e parotidei), i linfonodi dell’apparato respiratorio (bronchiali
e mediastinici) e i linfonodi dell’apparato digerente (epatici,
gastrici ed intestinali). Sono stati successivamente inviati
all’IZSUM sia gli organi sede di lesioni riferibili a tubercolosi,
sia gli organi prelevati da suini che non avevano presentato
lesioni macroscopiche evidenti (NVL).
Presso l’IZSUM su ogni campione pervenuto è stato
effettuato l’esame anatomo-patologico e l’esame colturale
per l’isolamento dei micobatteri, eseguito secondo le
metodiche tradizionali previste dal D.M. 592/95, su terreni
solidi selettivi (Lowestein-Jensen e Stonebrink). L’eventuale
crescita delle colonie è stata monitorata settimanalmente
per un periodo di almeno tre mesi.
Sulle colonie tipiche, risultate positive alla colorazione per
acido resistenti, l’identificazione è stata eseguita mediante
tecniche bio-molecolari. Per una prima differenziazione tra
Mycobacterium spp, Mycobacterium avium e Mycobacterium
tuberculosis complex dalle colonie isolate è stata eseguita
una metodica PCR secondo quanto riportato da Kulski
et al. (5). Le colonie classificate come appartenenti al M.
tuberculosis complex sono state successivamente tipizzate
applicando il protocollo di Huard et al. (6).
I ceppi identificati come M. bovis sono stati caratterizzati
presso il Centro di Referenza Nazionale per la tubercolosi
bovina da M. bovis (TBCentro-IZSLER), con l’ausilio di
tecniche di tipizzazione molecolare: Spoligotyping e analisi
dei loci ETRs (7). Al fine di ottenere informazioni di ordine
epidemiologico, i profili genetici dei ceppi in esame sono
stati confrontati con ceppi isolati nello stesso arco di
tempo, nel territorio siciliano e nel territorio nazionale. La
INTRODUZIONE
La tubercolosi bovina (TB) è una malattia infettiva che
colpisce principalmente i bovini ma può riguardare anche
altri animali domestici, alcune specie di animali selvatici,
liberi o in cattività, e l’uomo (1). Gli agenti eziologici della
tubercolosi appartengono al gruppo del Mycobacterium
tuberculosis complex (MtbC) che comprende: Mycobacterium
bovis, storico agente causale della TB, Mycobacterium
caprae, neospecie recentemente differenziata all’interno
del gruppo MtbC anch’essa responsabile della TB (2),
Mycobacterium tuberculosis, agente eziologico della
tubercolosi umana, Mycobacterium bovis BCG (variante
vaccinale), Mycobacterium africanum, Mycobacterium
microti, Mycobacterium canettii e Mycobacterium pinnipedii,
patogeno per le foche e per i leoni marini (3).
Nell’ambito di una collaborazione scientifica tra l’IZS
dell’Umbria e delle Marche, l’IZS della Sicilia e l’ISS, è stata
condotta un’indagine per valutare la presenza del M. bovis
nella popolazione del Suino Nero dei Nebrodi.
Il Suino Nero Siciliano è una razza autoctona che vive libera
o in cattività nelle aree protette del Parco dei Nebrodi, delle
Madonie e dell’Etna, condividendo il pascolo con i bovini
dello stesso territorio (Fig.1). A tale riguardo è opportuno
ricordare che in Sicilia negli ultimi 10 anni sono stati registrati
tassi di prevalenza della TB spesso superiori al 5%. Valori
così elevati lasciano presupporre che nei territori siciliani vi
sia una notevole circolazione del M. bovis tra i bovini e allo
stesso tempo consentono di ipotizzare una preoccupante
contaminazione dei pascoli. Questa situazione in Sicilia
dilata gravemente i tempi necessari per il raggiungimento
della qualifica sanitaria di Regione Ufficialmente Indenne
110
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DISCUSSIONE
In merito all’obiettivo principale del lavoro, ovvero dimostrare
un coinvolgimento del Suino Nero Siciliano nella diffusione
della TB nel territorio considerato, possiamo concludere che
effettivamente vi è stata una circolazione di M. bovis tra la
popolazione bovina e suina del Parco dei Nebrodi.
Inoltre dal tipo di lesioni evidenziate all’esame ispettivo
possiamo ipotizzare che la popolazione di suini selvatici
abbia un ruolo attivo nella diffusione della malattia nelle aree
geografiche considerate e che il Suino Nero dei Nebrodi
non sia solo uno “spillover host” ma un vero e proprio
“reservoir”.
Questa tesi trova conferma anche in un’indagine condotta
nella penisola iberica sulla popolazione di cinghiali e suini
selvatici (9), in un contesto ecologico molto simile a quello
siciliano; nello studio si sottolinea che il riscontro di lesioni
generalizzate nei soggetti esaminati rinforza l’ipotesi
che i suidi selvatici possano essere effettivamente degli
eliminatori di M. bovis.
Oltre alle considerazioni di ordine epidemiologico, la
tipologia dei quadri anatomo-patologici riscontrati, desta
anche preoccupazioni in termini di Salute Pubblica. Le lesioni
evidenziate nei maiali sono apparse del tutto sovrapponibili
a quelle che normalmente si osservano nei bovini affetti
da TB; in particolare nei quadri di infezione generalizzata
è d’obbligo chiedersi quale destino dare alle carni dei
soggetti macellati. La normativa italiana e comunitaria a
tale riguardo non offre delucidazioni, pertanto è compito
e responsabilità del solo veterinario ispettore decidere se
destinare alla distruzione le carcasse interessate. Inoltre
l’isolamento di micobatteri atipici anche da soggetti con
lesioni simil-tubercolari, dimostra quanto sia indispensabile
procedere sempre all’esame colturale laddove nei maiali si
riscontrassero quadri anatomo-patologici “sospetti”.
Pertanto anche alla luce dei risultati che stanno
emergendo dal Progetto di Ricerca Europeo “Strategies
for the eradication of bovine tuberculosis”, potrebbe essere
auspicabile un’attenta integrazione della normativa sulla TB
che fornisca indicazioni utili per affrontare la problematica
anche in specie diverse dal bovino, sia dal punto di vista
della Sicurezza Alimentare, sia per la salvaguardia delle
biodiversità e degli allevamenti al pascolo.
localizzazione geografica degli allevamenti ci ha permesso
di individuare la compresenza di ceppi omologhi circolanti
tra i bovini e i suini che avevano condiviso il pascolo nel
Parco dei Nebrodi.
RISULTATI
All’esame anatomo-patologico (EAP) sui 106 soggetti
esaminati, 68 non hanno presentato alcun tipo di lesione
(NVL) mentre 38 hanno presentato lesioni macroscopiche.
Di questi, in 22 soggetti sono stati evidenziati quadri
anatomo-patologici riferibili a tubercolosi (EAP tipico) con
lesioni nodulari sclero-caseo-calcifiche e lesioni miliari. Tra
i soggetti con EAP tipico, in 10 casi erano coinvolti tutti gli
apparati linfonodali osservati, ricalcando il quadro anatomopatologico dell’ infezione generalizzata protratta del bovino.
In 16 casi sono state evidenziate lesioni miliari più o meno
diffuse nel parenchima linfonodale, non suggestive di lesioni
tubercolari tipiche (EAP atipico), Tabella 1.
L’esame colturale ha permesso di isolare il M. bovis in 16
soggetti, dei quali 14 avevano mostrato lesioni tipiche
all’esame anatomo-patologico (EAP tipico) e 2 non avevano
presentato alcun tipo di lesione in nessuno dei linfonodi
osservati (NVL). In 2 soggetti con lesioni atipiche sono stati
isolati rispettivamente M. avium e Rhodococcus equi mentre
in 6 soggetti sono stati isolati micobatteri non appartenenti
al MtbC. Di questi ultimi, 4 hanno presentato lesioni a carico
dei linfonodi della testa non riferibili a tubercolosi (EAP
atipico) e 2 non presentavano lesioni (NVL).
I primi risultati della genotipizzazione dei ceppi di M. bovis
isolati nella popolazione del Suino Nero dei Nebrodi,
suggeriscono la presenza di due Spoligotipi molto diffusi in
Italia: SB120 presente in più del 50% dei focolai e SB0841
caratterizzato dall’assenza degli spacers 6 e 7 e rilevato in
Italia nel 4,8 % dei ceppi di M. bovis esaminati (8). SB0120
è stato ulteriormente differenziato in due genotipi mediante
l’analisi dei loci ETRs: SB0120/ETR45533 e SB0120/55534,
mentre SB0841 è stato trovato in combinazione solo
con ETR55533. I tre profili genetici sono stati descritti in
allevamenti bovini della Sicilia ma sono segnalati anche in
altre regioni italiane. In particolare SB120/ETR45533 è uno
dei genotipi maggiormente diffusi in tutta la penisola ed in
Sicilia. Mentre il genotipo SB0841/55533 è stato riscontrato,
oltre che in Sicilia, prevalentemente nelle regioni del CentroSud.
Figura 1: Localizzazione geografica dei Parchi Siciliani
Tabella 1: Esiti dell’esame anatomo-patologico e dell’esame
colturale condotti sui Suini Neri dei Nebrodi
* Comprensivi degli isolamenti di M. avium e Rhodococcus
equi
EAP
Esame colturale
M. bovis
Atipici
Negativo
Tipico
14
0
8
22
Atipico
0
6*
10
16
NVL
2
2
64
68
16
8
82
106
111
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Mycobacterium avium and Mycobacterium intracellulare in
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112
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
IDENTIFICAZIONE DI UN MODELLO DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO SEMI-QUANTITATIVO PER
CLASSIFICARE LE AZIENDE CHE PRODUCONO LATTE CRUDO E DEFINIRE STRATEGIE DI CONTROLLO
Cibin V.1, Barrucci F.1, Ricci A.1, Ferronato A.2, Pozza G.1, Ferrè N.1, Capello K.1, Dalla Pozza M.C.1, Ramon E.1, Longo A.1,
Mioni R.1, Conedera G.1, Pittui S.3, Marangon S.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD); 2Az-ULSS 15, Regione Veneto; 3Unità Progetto Sanità Animale e Igiene
Alimentare, Regione del Veneto
Keywords: unpasteurized milk, risk assessment model, control strategies
INTRODUZIONE
Il consumo di latte non pastorizzato ha subito un rapido
incremento in Italia negli ultimi anni; all’inizio del 2010 erano
presenti circa 800 distributori automatici a livello nazionale, di
cui circa 200 situati nella Regione Veneto.
Tra i più probabili microrganismi potenzialmente presenti
nel latte crudo in grado di determinare malattia nell’uomo si
annoverano Salmonella Typhimurium, Campylobacter jejuni
ed E.coli O157 verocitotossici (1). La normativa europea
ed italiana definiscono dei criteri per la produzione ed il
commercio di latte non pastorizzato con lo scopo di ridurre il
rischio per i consumatori a livelli accettabili. Questa normativa
è principalmente focalizzata su controlli sanitari del latte a
livello aziendale o del distributore automatico. A seguito della
segnalazione in Italia di casi umani conseguenti al consumo di
latte non pastorizzato, è diventato evidente il bisogno di definire
una strategia di controllo più efficace rispetto ai controlli sul
prodotto finito.
Lo scopo di questo studio è stato quello di strutturare un modello
di valutazione del rischio semi-quantitativo per identificare
strategie di controllo a livello dell’azienda e raccogliere dati utili
ad implementare il modello.
Figura 1. Risk-pathway
Figura 2. Modello matematico
MATERIALI E METODI
È stata definita una “risk-pathway” ovvero uno schema
del flusso degli eventi attraverso i quali il/i pericolo/i può
/possono contaminare il prodotto finito, assumendo che
la contaminazione del latte dipenda esclusivamente dalla
presenza di vacche infette che eliminano il pericolo/i
attraverso le feci e che la contaminazione del latte possa
avvenire solo indirettamente (trasferimento di patogeni
dalle feci al latte) durante la mungitura (figura 1).
È stato definito un modello matematico per descrivere
algebricamente la “risk-pathway” (figura 2).
Si considerano variabili critiche del modello la prevalenza
di animali infetti, π, e la quantità di patogeni che può essere
trasferita dalle feci al latte o “transfer rate”, α.
Sono state selezionate 16 aziende produttrici di latte crudo
e sottoposte a campionamento per ottenere informazioni
relativamente ai parametri π e α.
Sono stati applicati sia metodi microbiologici che molecolari,
con lo scopo di identificare e quantificare la presenza di
Salmonella spp., E.coli O157 e Campylobacter spp. sia
nelle feci che nel latte prelevati dalle aziende selezionate,
per avere informazioni sul parametro π e ottenere dati per
implementare il modello.
Per classificare le aziende sulla base delle variabili che
possono influenzare il valore del parametro α (“transfer
rate”), è stato usato il metodo AHP (Analytic Hierarchy
Process), che ha permesso di attribuire un valore (peso)
ad ogni variabile identificata attraverso un gruppo di esperti
opportunamente selezionato (2), (figura 3).
È stato sviluppato un questionario standardizzato,
somministrato alle aziende selezionate, per raccogliere
informazioni sulle variabili identificate e pesate utile a
classificare le aziende sulla base del punteggio associato.
Figura 3. Variabili ed entità con cui contribuiscono al
parametro α
113
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RISULTATI
I risultati dell’analisi microbiologica qualitativa sono riportati
in figura 4; i campioni di feci positivi sono stati sottoposti
anche ad analisi quantitativa (dati non riportati). Tutti i 260
campioni di latte raccolti e analizzati per la presenza di
Salmonella spp., E.coli O157 e Campylobacter spp. sono
risultati negativi.
Le variabili che influenzano il parametro “transfer rate” (α)
sono state pesate secondo la tecnica AHP da un gruppo
di esperti (figura 3).
Le aziende produttrici di latte sono state classificate
secondo il “punteggio globale” associato al parametro
α ; i punteggi più elevati sono associati a una maggiore
probabilità di trasferimento di agenti patogeni dalle feci al
latte (figura 5).
Figura 4. Risultati delle analisi microbiologiche qualitative
DISCUSSIONE
I risultati delle analisi microbiologiche suggeriscono che le vacche
da latte che producono latte destinato ad essere consumato
crudo eliminano più frequentemente Campylobacter spp. Il
fatto che nessuno dei campioni di latte sia risultato positivo per
gli agenti patogeni ricercati potrebbe suggerire o che nessuna
delle aziende positive abbia un “punteggio globale” associato
al parametro α che giustifichi il trasferi-mento di agenti patogeni
dalle feci al latte oppure, più probabilmente, che, a dispetto di
un “punteggio globale” negativo (alto), il controllo del latte non
sia abbastanza sensibile da permettere l’identificazione delle
aziende problematiche. I risultati di questo studio confermano
che le misure di controllo a livello dell’azienda non dovrebbero
dipendere esclusivamente dai risultati dei controlli del latte,
bensì dovrebbero essere modulati sulla base del livello di
rischio identificato in accordo con il tipo di pericolo, “π” e il
“punteggio globale” combinati in una matrice di rischio.
Figura 5. Risk-ranking delle aziende
SUMMARY
Following the notification in Italy in recent times of human
cases caused by unpasteurized milk consumption, the need
for the definition of control strategies more effective than just
the end-product controls, as established by European and
Italian legislation, became evident. Aim of this study was to
develop a semi-quantitative risk assessment model useful to
identify control strategies at farm level. Critical variables in the
model are considered the prevalence of infected animals and
the “transfer rate” that describes the amount of pathogens that
may be transferred from the faeces to milk.
BIBLIOGRAFIA
1. Oliver S. P., Boor K. J., Murphy S.C., Murinda S. E.
(2009), Food safety hazards associated with consumption
of raw milk, Foodborne pathogens and disease, volume 6,
number 7, pp. 793-806.
2. Vaidya S.O., Kumar S. (2006), Analytical hierachy
process: an overview of applications, European Journal of
Operational Research, 169, pp. 1-29.
Si ringrazia il personale della Az-ULSS 15 (Regione Veneto)
coinvolto nell’attività di campionamento e il personale tecnico
della Sezione Territoriale di Pordenone, del Laboratorio
di Microbiologia Alimentare (SC1) e del Laboratorio di
Epidemiologia applicata la controllo di filiera (SC8) per l’attività
di analisi.
114
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DESCRIZIONE DI DUE EPISODI DI INTOSSICAZIONE DA CLOSTRIDIUM BOTULINUM IN ALIMENTI
VEGETALI DI PRODUZIONE INDUSTRIALE
De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Losio M.N., Bertasi B., Fenicia L.(*), Anniballi F(*)., Daminelli P., Boni P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Microbiologia, Brescia
Centro Nazionale di Referenza per il botulismo D.S.P.V.S.A. – Istituto Superiore di Sanità, Roma
Key words: C. botulinum, produzioni vegetali industriali, Reg. CE 2073/2005
Storicamente una percentuale rilevante di episodi di tale
patologia risulta associata al consumo di conserve di preparazione
domestica, ottenute mediante processi produttivi e/o trattamenti
termici inadeguati. Un numero significativo di casi, tuttavia, è
causato da alimenti di produzione industriale, in cui la crescita
di C. botulinum risulta solitamente associata ad un inadeguato
controllo del processo o ad alterazioni dell’integrità della
confezione (3, 4). L’identificazione di ciascun caso di botulismo
alimentare, principalmente se correlato a produzioni industriali,
costituisce un problema di sicurezza alimentare e un’emergenza
di salute pubblica, in quanto esiste il rischio concreto che il cibo
contaminato possa essere consumato da diverse persone.
Risulta quindi necessaria non solo l’immediata diagnosi clinica
di tale intossicazione, ma anche la tempestiva identificazione del
prodotto alimentare contaminato al fine di effettuare un efficace
ritiro e richiamo dal mercato.
Il presente studio riporta la descrizione di 2 episodi di botulismo
verificatisi nei primi mesi del 2010 in Lombardia a seguito di
assunzione di alimenti vegetali di produzione industriale.
MATERIALI E METODI
Presso il Reparto Microbiologia dell’I.Z.S.L.E.R. sono state
applicate le seguenti emtodiche
Ricerca delle tossine
Per la ricerca della tossina botulinica vengono pesati 25
g di alimento in sacchetto con filtro e stomacherizzati a bassa
velocità dopo aggiunta di tampone gelatina a pH 6.5. In seguito
a incubazione a temperatura di refrigerazione overnight viene
prelevata la quota spontaneamente filtrata e fatta centrifugare a
4000 giri/minuto per 1 ora.
Fase A: Rilevazione delle tossine botuliniche
Il surnatante viene prelevato e diviso in due aliquote, di cui
una viene trattata termicamente a 100°C per 10 minuti al fine di
inattivare le tossine eventualmente presenti. 0,5 ml di surnatante
tal quale (crudo) e 0,5 ml dell’aliquota trattata termicamente
(cotto) vengono inoculati per via intraperitoneale in una coppia
di topi di circa 20 g. In presenza di tossina botulinica il topo
inoculato con il “crudo” mostra sintomi di progressiva paraparesi
flaccida e dispnea, fino a morte per paralisi respiratoria con
caratteristico profilo “a vite di vespa” dell’addome, che giunge in
2-48 ore, e comunque non oltre i 5 giorni. Il soggetto inoculato con
l’aliquota trattata termicamente come controllo negativo non deve
presentare alcun sintomo.
La rilevazione della tossina nel siero viene effettuata mediante
filtrazione del campione con filtri da 0,2 μm. 0,5 ml di filtrato tal
quale (crudo) vengono inoculati per via intraperitoneale in un
topo di circa 20 g. Per le considerazioni relative all’interpretazione
dell’analisi si rimanda a quanto precedentemente descritto.
Fase B: Tossinotipizzazione
In caso di sospetto della presenza di tossina botulinica si
procede all’identificazione del tossinotipo attraverso l’uso di
antisieri specifici. 0,5 ml di ciascuna delle antitossine disponibili
(antitossina A, B, E ed ABE) vengono messi a contatto con
uguale quantitativo di estratto non trattato termicamente per 30
minuti. Si procede inoculando per via intraperitoneale 4 coppie
di topi, ognuna con una diversa antitossina. La tossina botulinica
presente porta a morte tutti gli animali ad eccezione di quelli
SUMMARY
In this study 2 cases of food-borne botulism caused by consumption
of commercially produced vegetable products are described. Both
canned small artichoke and vegetable soup allowed Clostridium
botulinum growth and type B neurotoxin production. In both cases
a proper and ready action planned by health public authority
avoided further spread of the disease.
INTRODUZIONE
Il botulismo è una sindrome neuroparalitica causata da una
tossina prodotta da clostridi appartenenti a 6 gruppi distinti,
che agisce inibendo il rilascio di acetilcolina a livello di placca
neuromuscolare. La forma alimentare, correlata all’ingestione
di prodotti contaminati da neurotossina, è solitamente associata
alla presenza di Clostridium botulinum appartenente ai gruppi I
(proteolitico, tossinotipi A, B, F) e II (non proteolitico, tossinotipi
B, E, F). Delle 7 neurotossine botuliniche esistenti (A-G) la A e la
B risultano più spesso implicate in casi di intossicazione umana,
seguono la E e la F. C. botulinum è un microrganismo anaerobio
sporigeno la cui germinazione e moltiplicazione è consentita da
condizioni di moderata acidità (pH > 4.6) e concentrazione di NaCl
(< 8%) del substrato alimentare. Esistono differenze significative
relative alla resistenza termica delle spore e alle temperature
minime di crescita del patogeno tra i Clostridi del gruppo I e II, che
vengono quindi correlati a un diverso target di produzioni alimentari
considerate potenzialmente a rischio, come riportato in Tabella 1.
Tabella 1: Caratteristiche di C. botulinum gruppo I e II (1)
C. botulinum
proteolitico
non proteolitico
Temperatura minima
di crescita
Resistenza termica
spore (D100C°)
Alimenti a rischio
10 – 12 °C
3 °C
> 15
< 0,1
cibi in scatola
prodotti della
pesca fermentati o
essiccati, REPFED
In Italia ogni anno vengono segnalati 20 – 30 casi di botulismo
alimentare, causati principalmente dal consumo di conserve di
verdura e pesce e, in misura minore, da prodotti caseari, conserve
di carne e pollame.
Grafico 1: andamento del numero di casi di botulismo in Italia dal
1996 al 2009 (2)
115
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
inoculati con l’antisiero specifico.
Ricerca del Clostridium botulinum
La ricerca di C. botulinum viene solitamente effettuata da
matrice alimentare o da campione di feci. Una quantità di acqua
peptonata tamponata (APT) equivalente alla matrice da analizzare
(se possibile 25 g), viene addizionata al campione in modo da
ottenere una diluizione 1:1. Dopo stomacherizzazione a bassa
velocità si procede a centrifugazione a 4000 giri/minuto per 1 ora.
Il surnatante viene eliminato e il sedimento viene risospeso in 6
ml di APT, seminati in 3 provette di terreno Cook Meat Medium –
CMM (2 ml in ciascuna provetta). Le provette contenenti i brodi
seminati vengono pastorizzate a 80°C per 30 minuti e incubate
in giare da anaerobiosi a 30°C per 5 giorni. Dopo centrifugazione
il surnatante viene sottoposto a filtrazione e dal sedimento viene
effettuato esame microscopico utilizzando la colorazione di Gram.
Il surnatante viene utilizzato per la valutazione della capacità
tossinogenetica del ceppo attraverso prova biologica.
effettuate le seguenti analisi:
determinazione del pH, rilevando un valore pari a 5.72;
determinazione dell’Aw, rilevando un valore pari a
0,947;
ricerca tossina botulinica con esito di presenza, cui è
seguita tossinotipia con identificazione tossina tipo B;
ricerca C. botulinum con esito di presenza di bacilli
Gram + e spore in posizione subterminale nel vetrino
ottenuto da CMM; veniva confermata la presenza del
patogeno attraverso estrazione della tossina dal terreno
e rilevazione tramite prova biologica.
Il passato di verdure, risultando contaminato da C. botulinum
e tossina botulinica di tipo B, è stato riconosciuto come causa
del presente episodio di botulismo, confermando la casistica che
indica gli alimenti REPFED tra quelli a rischio per la possibile
presenza di Clostridium botulinum e relative tossine.
I ceppi di Clostridium botulinum isolati nel corso dei casi trattati
sono stati inviati al Centro Nazionale di Referenza per il botulismo
presso il D.S.P.V.S.A. dell’Istituto Superiore di Sanità.
In entrambi gli eventi descritti una corretta gestione dei casi
da parte delle autorità sanitarie ha consentito la tempestiva
individuazione dell’alimento implicato e l’attivazione del sistema
di allerta rapida, evitando la potenziale insorgenza di ulteriori
episodi di intossicazione.
Lo sviluppo di C. botulinum in alimenti di produzione industriale,
tuttavia, riflette la necessità di una più attenta individuazione dei
pericoli microbiologici correlati ai processi tecnologici di produzione
da parte delle Ditte di trasformazione alimentare. Il trattamento
termico di pastorizzazione previsto dal processo produttivo del
pestato di carciofi risulta insufficiente a garantire l’eliminazione
di eventuali spore presenti nelle materie prime. L’assenza di
indicazioni in etichetta che impongano il mantenimento del
prodotto a temperatura di refrigerazione e la shelf-life prolungata
consentono poi la moltiplicazione di tale patogeno e la produzione
di tossina. Anche nel caso del passato di verdure, nonostante
siano specificate le modalità di conservazione, la durata della vita
commerciale assegnata dalla Ditta produttrice risulta inadeguata.
Il Regolamento 2073/2005, infatti, impone la necessità di
stabilire il periodo di conservabilità degli alimenti “a condizioni
ragionevolmente prevedibili di distribuzione, conservazione
e uso” (5) e non basandosi esclusivamente su valutazioni
applicabili in caso di mantenimento del prodotto in situazioni
ideali, ma evidentemente inadeguate a livello di comune utilizzo
domestico.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Caso 1
In data 22/03/10, in seguito a comunicazione da parte di un Ente
Ospedaliero della Lombardia di un caso di sospetto botulismo,
viene inviato presso l’IZSLER un campione di sangue del paziente
e una confezione aperta di pestato di carciofi in vasetto, alimento
potenzialmente implicato. In etichetta sono riportati i seguenti
ingredienti: carciofini 66%, olio extra-vergine di oliva, frutta secca,
cipolle, spezie, aglio. Nonostante la data di scadenza indicata sia
il 30/12/10, il prodotto risulta evidentemente alterato, presentando
odore pungente e produzione di gas.
Si procede con la ricerca di tossina botulinica da siero del
paziente e la contemporanea ricerca di tossina e di C. botulinum
dall’alimento, oltre alla determinazione di pH e Aw.
Non viene rilevata presenza di tossina dal campione di siero.
Il pestato di carciofini presenta valori di pH (5.7) e Aw (0.941)
compatibili con la moltiplicazione di C. botulinum e la produzione
di tossina. La prova biologica permette di dimostrare la presenza
di tossina botulinica nell’alimento. Si procede dunque con la
tossinotipia, inoculando 3 coppie di topi (2 soggetti trattati con
filtrato crudo + antitossina A, 2 soggetti trattati con filtrato crudo
+ antitossina B, 2 soggetti trattati con filtrato crudo + antitossina
E).
Nel contempo viene effettuata la ricerca di C. botulinum
nell’alimento, dimostrando la presenza di bacilli Gram + con spora
subterminale e deformante il profilo del soma batterico. Si procede
quindi con l’estrazione della tossina dal CMM e l’isolamento del
ceppo. Il topo trattato con filtrato crudo muore con postura tipica.
In seguito a trattamento con antitossina A, B, E ed ABE si ottiene
la sopravvivenza dei soggetti trattati con antitossina B ed ABE e
la morte dei topi trattati con la A e la E. È possibile quindi tipizzare
il Clostridio come produttore di tossina di tipo B.
Parallelamente è stato ricercato C. botulinum dalle feci del
paziente ottenute in un secondo momento, e ne è stata confermata
la presenza.
Caso 2
Una confezione di passato di verdure di produzione industriale
con sospetta contaminazione da C. botulinum viene inviato
presso il Reparto di Microbiologia dell’IZSLER in data 29/03/10. Il
campione è stato prelevato dalla casa di un paziente ospedalizzato
per sospetto botulismo, che aveva consumato precedentemente
all’insorgenza dei sintomi una confezione di passato prodotta
dalla stesa Ditta, nonostante risultasse gonfia e presentasse
sapore poco gradevole. Il paziente ha dichiarato inoltre di aver
conservato il prodotto a temperatura ambiente per ore prima del
consumo, nonostante in etichetta fosse specificato di mantenere
l’alimento in frigorifero tra 0 e 4°C. Sul campione sono state
BIBLIOGRAFIA
1. Peck M. W., (2002). Clostridia and food-borne disease.
Microbiology today, 2, p: 9-12.
2. www.epicentro.iss.it
3.
Efsa Scientific Opinion: Opinion of the Scientific Panel on
biological hazards (BIOHAZ) related to Clostridium spp in
foodstuffs.
4.
Pflug IJ., (2010). Science, practice, and human errors in
controlling Clostridium botulinum in heat-preserved food in
hermetic containers, J Food Prot., 73 (5), p: 993-1002.
5. Regolamento CE 2073/2005 della Commissione del 15
Novembre 2005.
116
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PSEUDOMONAS spp IN FIORDILATTE AL DETTAGLIO
Bilei S., Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., De Angelis V., Di Domenico I., Palmieri P., Zottola T.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
KEYWORDS: Fior di latte, Pseudomonas, Enterobacteriaceae
(VRBGA) rispettivamente. Dopo aver incubato a 30°C per 48
ore il PSA e a 37°C per 24 ore il VRBGA, è stato effettuato il
conteggio delle colonie caratteristiche. Le piastre di PSA sono
state esaminate anche con la lampada di Wood per evidenziare
la possibile fluorescenza delle colonie sospette. Le colonie
presunte Pseudomonas spp sono state quindi sottoposte
a conferma biochimica mediante il sistema automatizzato
VITEK® 2 COMPACT (BioMérieux).
ABSTRACT
A microbiological investigation was carried on 25 samples of
“Fior di Latte” cheese to evaluate their possible contamination.
Pseudomonas spp. and Enterobacteriaceae were mainly
detected, at different levels of contamination, even not
associated with changing of the texture and colour of the
cheese.
INTRODUZIONE
A seguito dell’allerta del 9 giugno 2010 riguardante le c.d.
“mozzarelle blu”, sono pervenuti numerosi campioni di fior di
latte prelevati dagli organi ufficiali per la ricerca della causa di
tale alterazione organolettica.
I risultati ottenuti a livello locale e nazionale hanno evidenziato
la presenza di batteri appartenenti al genere Pseudomonas
alcuni dei quali riconosciuti responsabili della colorazione.
Pseudomonas spp si isola spesso da alimenti freschi, con
elevata Aw, dal suolo e dall’acqua, che rappresentano il loro
habitat originario (2). L’interesse per questo tipo di batteri
è dovuto alla loro diffusione nelle acque con conseguente
contaminazione ed alterazione degli alimenti, come il latte ma
soprattutto i suoi derivati.
La maggior parte dei campioni pervenuti alterati e riscontrati
contaminati da Pseudomonas, erano prodotti da una ditta
tedesca mentre pochi altri sono risultati essere prodotti da
importanti ditte italiane.
Sulla scorta di quanto emerso si è ritenuto quindi interessante
approfondire la conoscenza sulle condizioni igieniche
di produzione e di vendita di fior di latte prodotti a livello
industriale in Italia e all’estero ed acquistati presso la grande
distribuzione.
RISULTATI
I campioni di fior di latte all’apertura della confezione, non
hanno mai presentato alterazioni organolettiche visibili nel
colore, consistenza ed odore. Tra i campioni risultati positivi
per Pseudomonas, 4 hanno sviluppato una lieve colorazione
giallastra accompagnata da fluorescenza, rilevata con la
lampada di Wood, nel corso del periodo di conservabilità
indicato dal produttore. In tutti questi casi l’unica specie isolata
è stata P. fluorescens a titoli variabili tra 103 e 106.
Nessun campione ha presentato una colorazione blu.
In 16 dei 25 campioni esaminati sono stati rilevati titoli di
Pseudomonas da 3,3x103 a 2,6x106 ufc/g. Complessivamente
sono stati isolati 10 ceppi di P. fluorescens, 5 di P. putida
e 3 di P. aeruginosa. Da 2 campioni sono stati isolati
contemporaneamente ceppi di Pseudomonas appartenenti a
specie diverse (Tabella 2.). In 16 campioni sono stati rilevate
concentrazioni di Enterobatteri da 8,8x102 a 8,7x107 ufc/g di
prodotto (Tabella 1.).
Categoria
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta nel periodo compreso tra luglio e
settembre 2010, su campioni di fiordilatte prodotti con latte
bovino coagulato con acido citrico, di pezzatura compresa tra
100 e 250 grammi, confezionati con il loro liquido di governo
in buste di plastica termosaldate e con una shelf-life a +4°C,
variabile da 3 a 4 settimane.
Oltre alle valutazioni microbiologiche, è stata effettuata
anche una valutazione di tipo organolettico, particolarmente
orientata verso il rilevamento di alterazione del colore, nonché
dell’odore e della consistenza.
Complessivamente sono stati esaminati 25 campioni di
mozzarella, 22 prodotte presso 11 distinti stabilimenti distribuiti
sul territorio nazionale e 3 provenienti da 2 stabilimenti siti
in Germania diversi da quello oggetto dell’allerta di cui 1 di
proprietà di una ditta italiana. Tutte le mozzarelle oggetto dello
studio sono state acquistate presso la grande distribuzione
durante il loro periodo di shelf life. I campioni sono stati
prelevati direttamente dal banco frigo, trasportati in laboratorio
con una borsa termica a temperatura di refrigerazione e dopo
il prelievo, conservati a temperatura di 3°C +/- 2°C per le
successive osservazioni. Su tutti i campioni, analizzati entro
24 ore dall’acquisto, è stata eseguita la numerazione di
Pseudomonas spp e la numerazione di Enterobacteriaceae
(ISO 21528-2:2004) (4) mediante semina delle sospensioni
delle diluizioni seriali fino a 10–5, su piastre di Pseudomonas
Selective Agar (PSA) e su Violet Red Bile Glucose Agar
<10
10 - 10.000
10.000-100.000
100.000-1.000.000
1.000.000-3.000.000
< 3.000.000
Totale
Valore medio ufc/g
881
46.000
336.667
2.050.000
87.333.333
Numero
campioni
Tabella 1. Numerazione di Enterobacteriaceae
9
7
1
3
2
3
25
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti da questo primo e limitato studio permettono
di affermare che la presenza di Pseudomonas spp non sempre
è associata ad una alterazione del colore della superficie
esterna del prodotto.
Solo 4 campioni contaminati da P. fluorescens, hanno infatti
prodotto entro i termine di scadenza, una colorazione gialla
accompagnata da fluorescenza mentre per tutti gli altri non
sono state osservate alterazioni nonostante le alte cariche
batteriche registrate.
I titoli medio-alti di carica batterica sia per quanto riguarda
Pseudomonas che Enterobatteri, in tutti i 16 campioni risultati
contaminati, assumono particolare rilevanza perché ottenuti
a partire da analisi eseguite immediatamente dopo l’acquisto
del prodotto e lontane dal termine della shelf life indicata
dal produttore pur in assenza del riferimento alla data di
produzione.
117
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
È accertato quindi che sul tavolo del consumatore possono
arrivare prodotti non alterati organoletticamente ma con
caratteristiche igieniche non adeguate che possono peggiorare
quando tale tipologia di prodotto venga consumata in prossimità
della scadenza.
È evidente quindi il richiamo ad un maggiore controllo e
miglioramento delle condizioni igieniche nell’ambiente
lavorativo e delle materie prime impiegate ed in particolare
dell’acqua, habitat primario di Pseudomonas spp. attraverso
una più puntuale applicazione delle Buone Pratiche di
Lavorazione.
Per lo stesso motivo sarebbe necessario, intendendo
mantenere le medesime caratteristiche produttive fin ad ora
adottate, rivedere la durata della shelf life (5) che per questi
prodotti industriali appare decisamente elevata.
Si presume infatti che i titoli di Pseudomonas e di
Enterobacteriaceae rilevati in questo studio in una fase di
molto precedente la data di scadenza indicata dal produttore,
possano incrementarsi notevolmente soprattutto in caso di
interruzione della catena del freddo nel corso delle varie fasi di
commercializzazione e di abuso termico in ambito domestico.
Nonostante la scarsa probabilità che Pseudomonas possa
essere responsabile di modificazioni della salute del
consumatore (3), sarebbe auspicabile in presenza di un vuoto
normativo sul suo significato tecnologico (1) la definizione di
limiti di accettabilità della sua presenza nei prodotti alimentari
ed in particolare nei prodotti freschi a base di latte.
Tabella 2. Titoli e specie degli Pseudomonas isolati
Categoria
<100
3 - 10.000
10.000 - 100.000
100.000 - 1.000.000
1.000.000 - 4.000.000
Totale
Valore medio
ufc/g
3.300
45.500
300.000
2.650.000
Numero
campioni
9
7
2
3
4
25
P. fluorescens
P. putida
5
3
1
1
2
3
10
BIBLIOGRAFIA
1) Bevilacqua A. et Al. “Significato tecnologico delle
Pseudomonadaceae nella mozzarella” - Industrie Alimentari
XL (2008) settembre, pag. 855-8605
2) Cantoni C., Bersani C., Dragoni I., Iacumin L., Comi G.
“Pseudomonas fluorescenti negli alimenti” - Industrie
Alimentari XLII (2003) giugno, pag. 609-612
3) Giaccone Valerio “Pseudomonas e prodotti lattiero-caseari”,
Medicina Veterinaria Preventiva suppl. al n. 32, (2010)
settembre
4) ISO 21528-2:2004 Microbiologycal of food and animal
feeding stuffs – Horizontal methods for the detection and
enumeration of Enterobacteriaceae – Part 2: Colony–count
method 3
5) Pasquinelli F. “Diagnostica e tecniche di laboratorio” ed.
118
5
P. aeruginosa
1
1
1
3
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ISOLATI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS DA PRODOTTI
LATTIERO-CASEARI: OTTIMIZZAZIONE DI UN PROTOCOLLO PFGE.
Nogarol C. 1, Bianchi D.M.1, Vencia W.1, Losio M.N.2, Zuccon F. 1 e Decastelli L.1
1
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia Romagna, Brescia, Italy
Keyword:Pseudomonas fluorescens, PFGE, alimenti
SUMMARY
Since June 2010 a large amount of fresh dairy products with
anomalous coloration was reported all over Italian territory. The
microbiological analyses showed the presence of high count of
Pseudomonas fluorescens, environmental bacterium, able to
produce green-blue pigments.
Because of the large number and diffusion of these anomalous
colorations and in order to investigate the origin of food
contamination, a Pulsed-Field Gel Electrophoresis (PFGE)
protocol has been optimized in order to characterize at
molecular level the isolates.
bassa frequenza (1, 2). Per valutare l’efficacia di restrzione è
stato utilizzato anche il ceppo di P. fluorescens NCTC 10038. Il
protocollo standard per l’estrazione del DNA prevede i seguenti
passaggi: dopo isolamento su piastre di CBA (Columbia Agar
Sangue) Microbiol®, alcune colonie batteriche vengono
stemperate in buffer CBS (100 mMTris-HCl, 100 mMEDTA) fino
a raggiungere una determinata densità ottica, la sospensione
viene mescolata con egual volume di gel di agarosio al 2%
e colata in appositi supporti (mould); dopo solidificazione le
“plugs” sono incubate per 2 ore a 55 °C nel tampone di lisi (50
mM Tris-HCl, 50 mM EDTA, pH8 1%, Sarcosyl) proteinasi K
0.1mg/ml; dopo 2 lavaggi di 10’ in acqua demonizzata sterile
e 3 lavaggi in buffer TE (10 mM Tris-HCl e 1 mM EDTA pH
8) ciascuna plug viene quindi messa ad incubare overnight
nella miscela di restrizione con l’enzima secondo le istruzioni
del produttore. Dopo incubazione le plug vengono caricate nel
gel di agarosio 1 % (Pused Field Certified Agarose, BioRad) e
sottoposti a corsa elettroforetica utilizzando il CHEF Mapper®
XA (BioRad). Alcuni parametri sono stati ottimizzati per la
messa a punto della metodica come riportato in tabella 1 e
tabella 2.
INTRODUZIONE
Pseudomonas fluorescens è un bacillo Gram-negativo,
psicrofilo, asporigeno, prevalentemente di origine ambientale.
E’ un microrganismo non inserito tra i patogeni per l’uomo,
eccetto per soggetti debilitati o immunodepressi ,a differenza
di altre specie (P. Aeruginosa, P. mallei). La sua importanza
nel settore alimentare è legata alla capacità di indurre processi
alterativi in alimenti refrigerati provocando ingenti danni
economici. Infatti numerosi ceppi di P. fluorescens sono in
grado di produrre pigmenti di differenti colorazioni (tra cui
la pioverdina blu-verde). Ad oggi non sono state riportate
in bibliografia episodi di trasmissione per via alimentare.
A partire da giugno 2010, in tutta Italia, si sono susseguite
numerose segnalazioni relative a casi di alterazioni in prodotti
lattiero-caseari (in particolare mozzarelle e formaggi a pasta
filata). I prodotti presentavano una colorazione bluastra, più
o meno diffusa sulla superficie e limitata a pochi millimetri
di profondità. Le analisi sono state mirate all’isolamento del
microrganismo responsabile dell’alterazione cromatica. Per
meglio caratterizzare epidemiologicamente gli isolati di P.
fluorescens sono stati utilizzati protocolli di biologia molecolare
che permettessero di confrontare i profili dei ceppi al fine di
valutarne similitudini e differenze a livello genomico.
Grazie alla attività congiunta dell’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta con l’IZS
della Lombardia ed Emilia Romagna, è stato avviato uno studio
per la caratterizzazione molecolare dei ceppi di Pseudomonas
fluorescens isolati dagli IIZZSS, basata su 2 metodiche:
l’elettroforesi in campo pulsato (PFGE) e la ribotipizzazione.
Scopo principale del presente lavoro è descrivere un protocollo
ottimizzato di PFGE per ceppi di P. fluorescens isolati da
prodotti lattiero caseari a scopo epidemiologico.
Tabella 1: Preparazione plug e digestione enzimatica con
enzimi di restrizione di ciascuna plug
N°
Protocollo
ed enzimi di
restrizione
Assorbanza
Sospensione
Batterica
Concentrazione Enzimi e
T° di restrizione
0,550 nm
8U/37 °C
1
SpeI
SwaI
8U/37 °C
2
SpeI
0,400< OD < 0,500
SwaI
8U/37 °C
8U/25 °C
3
SpeI
SwaI
0,400< OD < 0,500
8U-6U-4U-1U/37 °C
8U-6U-4U-1U/25 °C
Tabella 2. Parametri per corsa elettroforetica PFGE
N°
Protocollo ed
enzimi di
restrizione
MATERIALI E METODI
I campioni di alimento sono stati sottoposti ad analisi
microbiologica per l’isolamento e il conteggio di Pseudomonas
spp. mediante metodo ISO/TS 11059:2009 “Milk and milk
products – Method for the enumeration of Pseudomonas
spp”. Gli isolati batterici sono stati fenotipicamente identificati;
i ceppi risultati P. fluorescens sono stati preparati per la
caratterizzazione molecolare.
Al fine di ottenere due profili di restrizione discriminanti,
generati con enzimi con caratteristiche di taglio differenti, sono
stati impiegati SpeI, con elevata frequenza di taglio e SwaI con
Switch Time e tempo di corsa
1
SpeI
1 sec - 64 sec / 20 ore
SwaI
1 sec - 64 sec / 20 ore
2
SpeI
1 sec - 64 sec / 20 ore
SwaI
1 sec - 64 sec / 20 ore
3
119
SpeI
1 sec - 25 sec / 22 ore
SwaI
1 sec - 25 sec / 22 ore
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RISULTATI
Nelle fasi di ottimizzazione sono stati valutati i profili di
restrizione ottenuti con i differenti protocolli (Tabelle 1 e 2). Per
quanto riguarda l’enzima SpeI, con il protocollo 1 si ottiene
una corsa elettroforetica dove i frammenti di restrizione non
sono correttamente risolti (Figura 1). L’enzima SwaI, invece,
non genera frammenti genomici (dati non mostrati); inoltre
le variazioni riportate nel protocollo 2 e 3 (Tabelle 1 e 2) non
permettono di ottenere frammenti di restrizione apprezzabili
(dati non mostrati).
Per quanto riguarda SpeI, invece, la diminuzione della
concentrazione batterica consente
il bilanciamento
della reazione enzimatica di restrizione. Tuttavia il profilo
elettroforetico ottenuto appare non sufficientemente risolto a
causa dei parametri di corsa (switch time) non adeguati alle
caratteristiche dei frammenti generati. Il protocollo 3, ottenuto
reimpostando i parametri di corsa (Tabella 2), consente una
corretta risoluzione del profilo di restrizione. Inoltre, si ottiene
una buona restrizione anche con una concentrazione di enzima
pari a 4 U come riportato in figura 2.
in questo studio evidenzia come variazioni nei parametri
di corsa possano essere determinanti per una risoluzione
chiara dei frammenti di restrizione ottenuti. Infatti, per quanto
riguarda l’enzima SpeI, utilizzando il protocollo 1 i frammenti
di restrizione non sono correttamente risolti e questo potrebbe
dipendere dal rapporto sbilanciato tra quantità di DNA estratto
e Unità di enzima utilizzato. L’enzima SwaI, invece, non
genera frammenti genomici: questo potrebbe essere dovuto
ad una alterazione dell’attività enzimatica in seguito ad una
temperatura elevata di incubazione (37 °C), infatti in un primo
approccio sono stati utilizzati i parametri riportati da Rainey B.
et al. (2).
Utilizzando i protocolli 2 e 3 è stato possibile ottimizzare tutti
i parametri PFGE per ottenere una migliore risoluzione dei
frammenti genomici generati.
I risultati ottenuti permetteranno di poter eseguire indagini
epidemiologiche atte a correlare i ceppi di P. fluorescens
isolati in alimenti dai diversi IIZZSS. Inoltre il confronto con
altri metodi molecolari, quale il ribotyping, sarà utilizzato per
ottenere una tipizzazione molecolare degli isolati. Questo
potrebbe consentire, da un lato una valutazione nella filiera
produttiva la distribuzione dei diversi ceppi batterici isolati da
prodotti lattiero-caseari con colorazioni anomale, dall’altro l’
identificazione di una eventuale fonte comune di contaminazione
dei prodotti analizzati. Questo sarà possibile grazie anche alla
collaborazione degli altri IIZZSS, all’attività congiunta tra l’IZS
del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e l’IZS della Lombardia
ed Emilia Romagna e al coordinamento del Direzione generale
della sicurezza degli alimenti e della nutrizione.
Figura 1.Corsa PFGE con parametri del protocollo 1 con
enzima SpeI.
BIBLIOGRAFIA
1- Gershman M.D., Kennedy D.J., Noble-Wang J., Kim C.,
Gullion J., Kacica M., Jensen B., Pascoe N., Saiman L.,
McHale J., Wilkins M., Schoonmaker-Boopo D., Clayton
J., Arduino M., Srinivasan A. Multistate outbreak of
Pseudomonas fluorescens bloodstream infection after
exposure to contaminated heparinized saline flush prepared
by a compounding pharmacy. Clinical Infectious Diseases,
2008, 47: 1372-1379.
2- Rainey P.B., Bailey M.J. and Thompson P. Phenotypic and
genotypic diversity of fluorescent pseudomonads isolated
from field-grown sugar beet. Microbiology, 1994, 140:
2315-2331.
Figura 2. Risultato preliminare di una corsa elettroforetica
di ceppi di P. fluorescens isolati da prodotti lattiero-caseari
con colorazioni anomale, nella prima e nell’ultima lane P.
fluorescens NCTC 10038
DISCUSSIONE
L’elettroforesi in campo pulsato consente di poter confrontare il
profilo genomico, ottenuto in seguito a restrizione enzimatica,
dei ceppi di differente provenienza. Pur essendo tra le
metodiche biomolecolari più indaginose in termini di tempo di
esecuzione e visualizzazione del risultato, la PFGE rappresenta
la tecnica d’elezione per la caratterizzazione molecolare di
ceppi batterici.
L’analisi dei profili elettroforetici degli isolati batterici utilizzati
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POSTERS
123
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MANGANESE NEI MANGIMI: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO A MICROONDE IN FAAS
Abete M.C., Pellegrino M., Tarasco R., Gavinelli S., Palmegiano P, Leogrande M., Fioravanti F., Fasano F., Squadrone S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino
Key words: manganese, microwave digestion, validation.
BREAD BCR 191;
* incertezza del recupero, determinata mediante 18 prove
indipendenti su materiale di riferimento certificato BROWN
BREAD BCR 191 con l’introduzione dell’incertezza di misura
propria del materiale di riferimento certificato;
* incertezza dovuta alla pesata, derivante dal rapporto di taratura
della bilancia e considerata 2 volte (una per la tara e una per la
pesata del campione);
* incertezza dovuta ai volumi, derivante dalle tolleranze dichiarate
dai produttori della pipetta (considerata 2 volte: soluz. standard
e diluizione campione) e del matraccio (considerata 3 volte:
soluz. standard, campione ed eventuale diluizione);
* incertezza dovuta allo spettrofotometro,derivante dalla
variabilità max dichiarata dal produttore;
* incertezza dovuta alla curva di calibrazione, contributo delle
curve di calibrazione eseguite nelle prove di validazione;
* incertezza dovuta al Materiale di Riferimento, incertezza
dichiarata della soluzione standard di manganese.
INTRODUZIONE
Il manganese è il decimo elemento più comune nella crosta
terrestre, ed è presente in natura in diversi stati di ossidazione.
Viene utilizzato in siderurgia e nella produzione di leghe con
alluminio, magnesio, ferro cobalto e rame e nell’industria chimica in
vernici, fungicidi, catalizzatori etc. E’ un oligoelemento essenziale,
componente di numerosi sistemi enzimatici, ed è fondamentale
per la normale struttura del tessuto osseo. L’assunzione con
la dieta è molto variabile e dipende soprattutto dall’entità del
consumo di alimenti ricchi di tale elemento; l’assorbimento è
del 5-10%, in seguito viene trasportato attraverso il sangue a
fegato, reni, pancreas e ghiandole endocrine. Il manganese può
essere tossico se presente in alte concentrazioni, i sintomi di
avvelenamento da manganese sono allucinazioni e amnesie,
ma si possono riscontrare anche Parkinson, embolie, bronchiti.
Gli effetti del manganese si presentano principalmente nelle vie
respiratorie e nel cervello.
Per gli animali il manganese è un componente essenziale di oltre
trentasei enzimi usati per il metabolismo di carboidrati, proteine
e grassi. Gli animali che assumono troppo poco manganese
possono avere problemi di sviluppo, di formazione ossea e di
riproduzione. Un eccesso di manganese può causare problemi
a polmoni, fegato e vascolari, diminuzione della pressione
sanguigna, problemi di sviluppo dei feti animali e danni al
cervello.
Negli alimenti ad uso zootecnico il REG. CE 1334/2003 fissa
i limiti massimi consentiti per il manganese, mentre il REG CE
882/2004 prevede che per il controllo ufficiale degli alimenti e
dei mangimi si utilizzino metodi validati e accreditati. Il REG CE
152/2009 riporta i metodi ufficiali per le analisi degli oligoelementi
nei mangimi e dà facoltà ai laboratori di utilizzare tecniche di
preparazione dei campioni differenti purchè ne venga dimostrata
la validità rispetto al metodo proposto. Tale regolamento prevede
la mineralizzazione dei campioni mediante incenerimento
mentre lo sviluppo del metodo e la sua a validazione è’ stato
effettuato con mineralizzazione in forno a microonde.
RISULTATI
La tabella 1 presenta le concentrazioni medie dei due metodi di
mineralizzazione e il calcolo del test F derivante dall’analisi della
varianza (ANOVA).
Tabella 1 – Confronto metodi di mineralizzazione.
Metodo
Media
Recupero
(mg/Kg)
Dev. St.
(mg/Kg)
Microonde
18.7
92%
0.408
Via secca
18.9
93%
0.279
Test F
F
critico
1.153
4.965
Dal confronto tra l’F calcolato e l’F critico si può concludere che,
con un livello di confidenza del 95%, le concentrazioni medie dei
due metodi non sono significativamente diverse pertanto si può
decretare l’equiparabilità delle due tecniche.
La tabella 2 riporta i risultati delle prove di recupero effettuate su
due materiali di riferimento certificati e sul mangime fortificato
(a circa 150 mg/kg). Si precisa che il LOQ indicato nel REG CE
152/2009 è 20 mg/kg.
MATERIALI E METODI
Sono state effettuate 6 prove processando materiale di
riferimento certificato BROWN BREAD BCR 191 (concentrazione
di Manganese = 20,3 mg/kg) sia per via secca, sia con forno
microonde ad alta pressione per confrontare le due tecniche di
mineralizzazione.
Per valutare il recupero e la precisione del metodo con
mineralizzazione in forno a microonde, sono state eseguite 54
prove suddivise in tre livelli e tre sessioni analitiche utilizzando sia
materiale di riferimento certificato PEACH LEAVES SRM1547
(concentrazione di Manganese = 98 mg/kg) e BROWN
BREAD BCR 191 (concentrazione di Manganese = 20,3 mg/
kg) sia campioni di mangime positivizzati (concentrazione di
Manganese circa 150 mg/kg). Inoltre è stato verificato il campo
di misura utilizzando un materiale di riferimento certificato PINE
NEEDLES SRM 1575a (concentrazione di Manganese = 488
mg/kg) .
L’incertezza di misura è stata calcolata in accordo alla Procedura
Gestionale Standard in uso presso l’IZS di Torino e alle Linee
guida degli IIZZSS, che prevedono l’identificazione dei contributi
all’incertezza di misura ed il loro calcolo di seguito riportati:
* incertezza di ripetibilità, determinata mediante 18 prove
indipendenti su materiale di riferimento certificato BROWN
Tabella 2 – Prove di recupero
Sessione
n°
Conc.
Certif./
pos. (mg/
Kg)
1
18.7
0.408
19.8
0.735
3
18.6
0.582
1
95.5
1.601
91.9
1.121
3
93.3
1.353
1
140.6
2.333
146.6
1.067
139.1
3.553
2
2
2
3
124
Conc.
Scarto
media per
tipo
Recupero
sessione
(mg/ per livello
(mg/Kg)
Kg)
20.3
98
147.2
Recupero
totale
93.76%
95.48%
93.17%
94.14%
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La tabella 3 riporta i risultati delle prove di precisione, ottenuti
quantificando ciascuna sessione a fronte di una retta media
ottenuta ponendo in ordinata i segnali di assorbanza e
in ascissa le concentrazioni nominali, e il calcolo del test F
derivante dall’analisi della varianza (ANOVA), dell’RSD% di
ripetibilità e riproducibilità (da ANOVA).
CONCLUSIONI
I riusltati ottenuti mostrano che la mineralizzazione in
microonde può essere impiegata come tecnica alternativa
all’ incenerimento proposto dal Regolamento CE 152/2009
con notevole risparmio sui tempi di analisi e conseguente
possibilità di aumento del numero di campioni processabili e
diminuzione dei tempi di attesa per l’utenza.
La riferibilità, la rintracciabilità e la confrontabilità delle misure
viene assicurata mediante l’utilizzo di materiali di riferimento
ed il calcolo dell’incertezza di misura.
I dati ottenuti dalle prove di validazione permettono quindi di
dichiarare l’idoneità del metodo per gli scopi prefissati in quanto
stabiliscono le caratteristiche ed i limiti del metodo stesso.
Tabella 3 – Prove di precisione
Ses.
n°
Conc.
nomin.
(mg/
Kg)
1
2
Conc.
media
per ses.
(mg/Kg)
20.3
20.7
20.5
1
96.4
98
97.0
3
97.6
1
150.9
2
RSD
%
riprod.
Test F
F
critico
3.88
4.73
0.487
3.682
1.48
2.04
0.891
3.682
1.90
1.98
0.083
3.682
20.9
3
2
RSD
%
ripet.
147.2
3
150.6
Ricerca realizzata grazie al finanziamento del Ministero della
Salute
BIBLIOGRAFIA
.
1. Regolamento (CE) n. 882/2004 del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativo ai
controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla
normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle
norme sulla salute e sul benessere degli animali.
2.Regolamento (CE) n. 1334/2003 della Commissione
del 25 luglio2003 che modifica le condizioni per
l’autorizzazione di una serie di additivi appartenenti
al gruppo degli oligoelementi nell’alimentazione degli
animali.
3.Regolamento (CE) n. 152/2009 della Commissione
del 27 gennaio 2009 che fissa di campionamento e
di analisi per i controlli ufficiali degli alimenti per gli
animali.
150.3
Dal confronto tra l’F calcolato e l’F critico si può concludere
che, per ciascun livello e con un livello di confidenza del
5%, le concentrazioni medie delle tre sessioni non sono
significativamente diverse. Gli RSD% di ripetibilità e riproducibilità
sono conformi ai requisiti richiesti (limite accettabilità RSD%
ripet. 10% ; RSD% riprod. 16%). La tabella 4 riporta i risultati
delle prove di verifica del campo di misura
SUMMARY
We developed a method for the detection of manganese in
feeding stuffs by FAAS. by microwave digestion. The validation
process was performed according European Regulation
882/2004 considering the following parameters: linearity, LOQ,
repeatability and reproducibility, trueness and uncertainty
of measurement. The validated method according to these
principles is consistent with the requirements of the ISO 17025
and it is suitable for quantitative official analysis.
Tabella 4 – Verifica del campo di misura
Prove
n°
Conc. cert.
(mg/Kg)
Conc. media
(mg/Kg)
Dev. St.
(mg/Kg)
Recupero
6
488
462.2
7.053
97.71%
Infine la tabella 5 riporta i contributi dell’incertezza di misura e
il valore finale dell’incertezza estesa del risultato
Tabella 5 – Incertezza di misura
COMPONENTE
Incertezza relativa di Ripetibilità
Contributo
0.00975
Incertezza relativa del Recupero
0.01981
Incertezza relativa Volume (pipetta)
0.00572
Incertezza relativa Volume (matraccio)
0.00170
Incertezza relativa Pesata
0.00014
Incertezza relativa Spettrofotometro
0.00577
Incertezza relativa Curva di calibrazione
0.00403
Incertezza relativa Materiale di Riferimento
0.00150
Somma contributi al quadrato
0.000575
Numero prove ripetibilità
18
Numero prove routine
2
Gradi di libertà effettivi
33
Incertezza composta relativa
0.02397
Fattore di copertura K
2.03
Incertezza estesa relativa del metodo
Incertezza estesa relativa del risultato
4.9%
14%
125
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SIEROPREVALENZA DI BRUCELLA SPP IN CINGHIALI CATTURATI DURANTE L’ANNATA VENATORIA
2009/10 NEL SUD DELLA SARDEGNA
Addis G.1, Cannata P.1, Liggia S.1, Deidda M.1, Cogoni M.1, Crobeddu S.1, Trincas M.1, Pilo C.1, Liciardi M.1, Aloi D.1, 2,
Rolesu S.1, 2
1)
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Dip. Diagnostico Territoriale di Cagliari;
2)
Osservatorio Epidemiologico Veterinario Regionale
Key words: sierologia, cinghiali, brucella
Tabella 1: Prevalenza sierologiche riscontrate per areale.
Abstract
Blood samples of wild boars killed during the hunting season
were subjected to a serological survey to verify the presence of
seropositivity for Brucella spp. using an competitive C-ELISA
test. From the results of laboratory tests and georeferencing
of the capture sites of wild boar, it was found that there was a
widespread seroprevalence in all four macroareas representing
areal presence of wild boar hunting land in southern Sardinia.
Introduzione
Da oltre dieci anni, la Sardegna è riconosciuta territorio
ufficialmente indenne da brucellosi bovina e ovi-caprina
sostenuta rispettivamente da Brucella abortus e B. melitensis
(3). La saltuaria presenza di capi sieropositivi e l’assenza dal
2003 del concomitante isolamento in coltura o evidenziazione
mediante PCR di Brucella spp., danno forza ad un ufficiale
riconoscimento del raggiungimento dello stato di eradicazione
della brucellosi dal territorio. Tuttavia in alcuni allevamenti di suini
domestici del sud della Sardegna, si rilevano periodicamente
casi di sieropositività e in alcuni capi sieropositivi macellati
è stato isolato un ceppo di Brucella spp., successivamente
identificata come Brucella suis biovar 2 (2). Poiché oltre alla
lepre anche il cinghiale è ritenuto serbatoio di Brucella suis (1,
4), si è voluto verificare la sieroprevalenza nei cinghiale del
sud della Sardegna.
Areale
Campioni
esaminati
Campioni
positivi
Prevalenza
stimata
(95%)
Lfi
Lfs
ArbusFluminimaggiore
233
15
6.44
3.78
10.61
NarcaoVillamassargia
21
0
0
0.44
19.24
Santadi-Teulada
Sinnai-Burcei
156
48
10
1
6.41
2.08
3.29
0.11
11.79
12.47
VillasaltoArmungia
82
6
7.32
3.01
15.83
Esterzili-Seui
Laconi-Seulo
Totale
7
26
573
1
2
35
0.75
7.69
6.11
14.29
1.34
4.35
57.99
26.6
8.48
Discussione
La presenza di sieropositività per Brucella spp. evidenzia
la diffusione dell’infezione nei cinghiali in tutte le quattro
macroaree di caccia considerate (Fig. 1 e Fig. 2).
L’accertamento di un focolaio di Brucella suis in allevamenti
di suini domestici nel contesto dei territori in cui si è riscontrata
sieropositività nei cinghiali selvatici, riggurisce di approfondire
le indagini negli allevamenti dei suini domestici nei territori
limitrofi, allo scopo di poter confermare se anche in Sardegna
il cinghiale possa costituire il principale resevoir selvatico di
Brucella suis.
Una delle criticità nell’esame sierologico consiste nella
possibile cross-reattività di Brucella spp. con altri germi Gram–
(1, 4), ma tenuto conto del fatto che le positività sierologiche
riscontrate in allevamenti di suini domestici sono state seguite
dall’isolamento in coltura di Brucella suis e unitamente alla
evidenziazione mediante PCR (2), e che B. suis biovar 1 è
stata isolata anche in organi di cinghiale (Ricerca corrente
anno 2002 IZS SA 006/02, responsabile Bandino E.), è
verosimile ritenere che le positività sierologiche riscontrate in
questa indagine siano da attribuirsi ad anticorpi anti-Brucella
spp. e non a reattività crociate.
Allo scopo di confermare la circolazione di Brucella spp. nella
popolazione dei selvatici nei territori oggetto di studio, nel
corso delle prossime annate venatorie si prevede di effettuare
gli opportuni accertamenti colturali.
In considerazione dei risultati che hanno consentito alla
Regione Sardegna di ottenere lo status di ufficialmente indenne
per la brucellosi bovina e ovicaprina, appare indispensabile
lavorare all’obiettivo dell’eradicazione della Brucella suis, alla
luce anche dei risultati assolutamente preliminari di questo
studio. Un primo obiettivo da raggiungere è l’eliminazione
dell’infezione nei suini d’allevamento, ottenibile mediante
la promozione della realizzazione di allevamenti controllati
razionalmente e la riduzione delle possibilità di contatto con la
popolazione selvatica.
Materiali e Metodi
Durante la stagione venatoria 2009-2010 sono stati raccolti
573 emosieri di cinghiali abbattuti provenienti dal sud della
Sardegna. Tali campioni sono stati prelevati al momento
dell’abbattimento, raccolti in provetta vacutainer ed inviati al
Dipartimento di Cagliari dell’IZS della Sardegna. All’arrivo in
laboratorio ogni campione di sangue è stato centrifugato ed il
siero ottenuto conservato a – 20°C fino al momento dell’esame.
I sieri sono stati saggiati mediante l’utilizzo di un Kit ELISA di
tipo competitivo per la ricerca di anticorpi anti-Brucella spp.
(SVANOVIR® Brucella-Ab C-ELISA, Svanova biotech AB,
Svezia).
I campioni in esame sono pervenuti da diverse località di
caccia situate in 34 comuni inclusi in 7 areali in cui si svolge
normalmente la campagna venatoria per i cinghiali. I Comuni
e gli areali di caccia risultano distribuiti uniformemente nel
territorio oggetto di studio (Figura 1 e figura 2), gli stessi
Comuni ed areali di provenienza dei campioni sono stati
raggruppati per comodità in quattro macroaree di estensione
territoriale simile (Fig. 2).
Risultati
Nella popolazione dei cinghiali saggiati è stata stimata per
Brucella spp una sieroprevalenza totale pari al 6,11%; sono
risultati positivi 35 capi dei 573 esaminati. I soggetti sieropositivi
provenivano da 14 comuni distribuiti in tutte le quattro
macroaree: la positività sierologica sui campioni esaminati era
presente in 6 areali su 7, con percentuali variabili di prevalenza
in ciascun areale (Tabella 1, Figura 1 e Figura 2).
126
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
3.
Bibliografia
1.
2.
AA.VV., OIE Manual of Diagnostic Tests and Vaccines
for Terrestrial Animals 2009 ”PORCINE BRUCELLOSIS
“Version adopted by the World Assembly of Delegates of the
OIE in May 2009.
Alongi C., Spazziani A., Zulato B., Deiana A., Frongia M.,
Orrù G., Liciardi M. Isolamento di Brucella suis in allevamenti
suini della Sardegna. X Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.,
Alghero, 22-24 Ottobre 2008.
4.
Decreti Ministeriali del 20 aprile 1998, concernenti
la dichiarazione di territorio ufficialmente indenne da
tubercolosi bovina e bufalina, da brucellosi bovina e bufalina,
da brucellosi ovina e caprina delle province di Cagliari,
Oristano, Nuoro e Sassari e della Regione Sardegna.
Rapporti Efsa :Porcine brucellosis (Brucella suis) Scientific
Opinion of the Panel on Animal Health and Welfare” Question
No EFSA-Q-2008-665) Adopted on 5 June 2009 The EFSA
Journal (2009) 1144, 2-112
Figura 1 Areali : aree in cui sono presenti i cinghiali e si svolge la campagna venatoria per i cinghiali (Fonte OEVR della Sardegna)
Figura 2. Macroaree in cui sono inseriti i Comuni e gli areali di caccia per i cinghiali (Fonte OEVR della Sardegna)
Macroaree: territorio in cui sono compresi più areali oggetto indagine sierologica
127
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CONTAMINAZIONE DA PALITOSSINE (PLTXS) IN POPOLAZIONI NATURALI DI MITILI DELLA RIVIERA DEL
CONERO DURANTE L’ESTATE 2009
Bacchiocchi S.1, Graziosi T.1, Mengarelli C.2, De Grandis G.2, Moroni M. 2, Principi F.2,Rocchegiani E. 1, Orletti R.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria-Marche Sezione di Ancona (IZSUM)- Via Cupa di Posatora, 3 60100 Ancona
2
Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale Marche (ARPAM)- Via Caduti del Lavoro, 40 60131 Ancona
keywords: palitossine, Ostreopsis ovata, metodi analitici
INTRODUZIONE
RISULTATI E DISCUSSIONE
Fin dall’estate 2006 l’area prospiciente il promontorio del Monte
Conero, che da Ancona arriva fino al porto di Numana, risulta
periodicamente interessata dalla presenza di Ostreopsis.
ovata (1). E’ ormai noto come le diverse specie di microalghe
appartenenti al genere Ostreopsis siano in grado di produrre
tossine, nel caso specifico palitossine (PlTXs), molto nocive
e spesso letali nei confronti degli organismi bentonici, in
grado di accumularsi lungo la catena trofica (10) e di causare
sintomi respiratori nell’uomo se inalate con l’aerosol marino
(4). Già nel 2006 furono riscontrate positività al test biologico
ufficiale per la ricerca di tossine lipofile di tipo polare (MBA
DSP Step2) in mitili selvatici prelevati lungo la Riviera del
Conero, in concomitanza con la presenza nelle acque di O.
Ovata, ad indicare la possibile contaminazione da PlTXs di
tali organismi (1). Occorre sottolineare che queste tossine
non sono attualmente regolamentate in Europa, né per
quanto riguarda le metodologie di analisi, né in relazione ai
tenori massimi consentiti nei prodotti della pesca, anche se
l’EFSA ha recentemente pubblicato un parere a proposito,
suggerendo un limite massimo di 30 µg/kg di parte edibile di
mollusco, in considerazione però del solo effetto acuto (3).
Scopo di questo lavoro è quello di valutare mediante saggi
biologici (mouse test) e funzionali (saggio emolitico) i livelli
di contaminazione da PlTXs nelle popolazioni naturali di mitili
della Riviera del Conero in presenza della fioritura di O. ovata
registrata nell’estate 2009.
In Tab. 1 sono riportati i risultati relativi all’analisi del fitoplancton:
questi evidenziano la comparsa di O. ovata negli ultimi giorni
del mese di Agosto sia nella stazione di Ancona nord che nella
stazione di Sirolo sud, pur se con un numero di cellule piuttosto
basso; si osserva poi una rapida crescita dei valori fino alla
esplosione di una massiccia fioritura, protrattasi fino alla prima
decade di Settembre. Successivamente si è potuto osservare
un progressivo decremento della presenza dell’alga, fino alla
completa scomparsa entro la fine del mese.
I risultati relativi ai saggi biologici su topo e al saggio emolitico
effettuati sui campioni di mitili evidenziano un massimo di
contaminazione da parte delle PlTXs nel periodo compreso
tra Settembre e i primi giorni di Ottobre (Tab 2). Inoltre si può
osservare come nel corso della fioritura di O. ovata avvenuta
nell’estate 2009 i mitili prelevati da banchi naturali della
Riviera del Conero abbiano raggiunto livelli di contaminazione
da PlTXs superiori al limite proposto dall’EFSA, un dato da
valutare accuratamente in vista dell’emanazione di limiti di
legge specifici per PlTXs, ma soprattutto nell’ottica della tutela
sanitaria del consumatore. Contemporaneamente si è potuto
verificare come il MBA PlTXs mostri una buona correlazione
con il MBA DSP Step2 in presenza di palitossine, risultando
comunque maggiormente specifico, anche se caratterizzato
da una importante perdita di analita nelle fasi preparative.
L’HNA ha mostrato una buona correlazione con entrambi i
saggi biotossicologici e la migliore sensibilità, permettendo tra
l’altro una stima semiquantitativa della tossina presente.
MATERIALI E METODI
Campioni di acqua di fondo e macroalghe sono stati prelevati dall’
Agenzia Regionale Protezione Ambientale Marche (ARPAM)
nel periodo agosto – ottobre 2009 presso stazioni collocate
in zone sensibili alla presenza di O. ovata. L’ASUR Marche
ha invece provveduto a campionare contemporaneamente
mitili da 4 punti di prelievo di banchi naturali posizionati lungo il
Monte Conero (Fig 1). Sull’acqua di fondo e sulle macroalghe
è stata effettuata la conta delle cellule algali. Presso il
Centro di Referenza per i Molluschi Bivalvi Vivi (CEREM) è
stato eseguito sui campioni di mitili il saggio biotossicologico
ufficiale per la determinazione delle tossine lipofile (MBA
DSP, Protocollo 2, G.U.R.I., 2002). Tutti i campioni risultati
positivi allo Step2 di tale test e alcuni negativi, da utilizzare
come controllo, sono stati sottoposti ad analisi con un saggio
biotossicologico specifico (MBA PlTXs) e un saggio emolitico
(HNA), appositamente messi a punto dal laboratorio per una
valutazione di tali metodi e una eventuale conferma della
presenza di palitossine. Il saggio biologico specifico per PlTXs
testato (9,10,6) prevede una prima estrazione delle tossine da
un omogenato di molluschi con metanolo 50% acidificato con
acido acetico, rimozione dei componenti lipofili con cloroformio
e una successiva estrazione con butanolo, prima dell’inoculo su
topo del residuo ottenuto. L’HNA si basa invece sulle proprietà
emolitiche possedute dalle PlTXs nei confronti di eritrociti ovini
(2), caratteristicamente inibite dall’oubaina (5). Tale saggio ha
la caratteristica di essere semiquantitativo.
BIBLIOGRAFIA
1-Bacchiocchi S., Graziosi T., Moroni M., De Grandis G.,
Mengarelli C., Orletti R., 2007. Presence of Ostreopsis and
contamination by palytoxin on mussels of the Riviera del
Conero (Ancona, Marche, Italy). Atti Simposio Internazionale
sulle biotossine marine. Trieste, 27-29 Maggio 2007.
2-Bignami GS, 1993. A rapid and sensitive hemolysis
neutralization assay for palytoxins. Toxicon 31 (6), 817-820.
3-EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain (CONTAM);
Scientific Opinion on marine biotoxins in shellfish – Palytoxin
grou. EFSA Journal 2009; 7(12):1393. [38 pp.]. doi:10.2903/j.
efsa.2009.1393. Available online: www.efsa.europa.eu.
4-Grillo C., Melchiorre N., 2005. Il Caso Liguria: azione
integrata per il riconoscimento del fenomeno- Aspetti
Ambientali- Seminario Internazionale “Ostreopsis: problema
per il Mediterraneo?” Genova il 5 dicembre 2005.
5-Habermann E., Chhatwal GS, 1982. Ouabain inhibits the
increase due to palytoxin of cation permeability of erythrocytes.
Naunyn-Schmiedeberg’s A.of Pharm 319 101-107.
6-Lenoir S., Ten-Hage L., Turquet J., Quod J.P., Bernard C.,
Hennion M.C., 2004. First evidence of palytoxin analogues
from an Ostreopsis mascarenensis (Dinophyceae) benthic
bloom in Southwestern Indian Ocean. Journal of Phycology
40 (6), 1042-1051.
7-Penna A., Vila M., Fraga S., Giacobbe M.G., Andreoni F.,
Riobó P., Vernesi C., 2005. Characterization of Ostreopsis and
128
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Coolia (Dinophyceae) isolates in the western Mediterranean
Sea based on morphology, toxicity and internal transcribed
spacer 5.8s rDNA sequences. Journal of Phycology 41 (1),
212-225.
8-Rhodes L., Towers N., Briggs L., Munday R. and Adamson
J., 2002. Uptake of palytoxin-like compounds by shellfish fed
Ostreopsis siamensis (Dinophyceae). New Zealand Journal
of Marine and Freshwater Research 36 (3), 631-636.
9-Taniyama S, Arakawa O., Terada M., Nishio S., Takatani T.,
Mahmud Y., Noguchi T., 2003. Ostreopsis sp., a possible origin
of palytoxin (PTX) in parrotfish Scarus ovifrons. Toxicon 42 (1),
29-33
SUMMARY
At least by 2006, every summer a massive bloom of benthic
dinoflagellate Ostreopsis ovata has occurred on the Conero
Riviera (NW Adriatic Sea). Numerous positivities with official
DSP mouse test were found on mussels collected in AugustSeptember 2009 in this area connected with algal blooms.
Specific mouse bioassay (MBA) and hemolysis neutralization
assay (HNA) were performed in order to confirm the presence
of PLTXs and to quantify them. Results indicate that all
samples contained PLTXs, sometimes at high concentration,
representing a serious threat to human health.
Fig. 1 – Punti di campionamento
Tab. 1 - Concentrazioni di Ostreopsis ovata rilevate nella colonna d’acqua (cell/L) e sulle macrofite (cell/g) lungo la Riviera del
Conero. An= Ancona, Sir= Sirolo
24/08/09
28-29/08/09
01-09-09
04-09-09
14-15/09/09
Nome
Stazione
Cell/L
Cell/g
Cell/L
Cell/g
Cell/L
Cell/g
Cell/L
Cell/g
Cell/L
Cell/g
An Nord
7.000
275.000
3,9x106
52.193
1.500
190.906
290.000
91
350
44
An Sud
0
0
37.500
24.057
10.900
12.336
836.000
28.284
200
60
Sir Nord
0
0
115.000
9.252
750.000
55.603
990.000
38.400
840
140
Sir Sud
3.000
57.500
375.000
17.400
646.000
19.124
278.000
22.200
25.000
1.200
Tab. 2 - Risultati delle analisi eseguite per le palitossine su campioni di mitili con i test MBA DSP, MBA PlTXs e il saggio
emolitico (HNA) Su sfondo grigio le prove con esito positivo. * Tempi di morte in min. **LOD= Limit Of Detection.
Campione
MBA
DSP
n°
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
Data prel.
24-08-09
24-08-09
24-08-09
01-09-09
01-09-09
01-09-09
21-09-09
21-09-09
21-09-09
06-10-09
06-10-09
06-10-09
06-10-09
HNA
PLTX
Provenienza
An Nord
Sir Nord
Sir Sud
An Nord
An Sud
Sir Nord
An sud
An Nord
Sir Sud
An Nord
An Sud
Sir Nord
Sir Sud
µg/Kg p.e.
Step 2
1 ml/topo*
0.5 ml/topo*
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
40’
45’
45’
50’
vivo
70’
--15’
10’
----10’
---
60’
60’
60’
100’
vivo
200’
--20’
20’
----20’
---
129
17
70
20
240
<LOD**
100
200
160
320
240
160
300
200
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CAMPYLOBACTER TERMOFILI IN ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE: 2 ANNI DI MONITORAGGIO IN
REGIONE PIEMONTE (2008 - 2009)
1
Barbaro A., 1 Vitale N., 2 Bianchi D.M., 2 Decastelli L., 1 Chiavacci L.
1
2
S.S. Osservatorio Epidemiologico, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino;
S.C. Controllo Alimenti e Igiene delle Produzioni, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino
Key words: Campylobacter , MTA, zoonosi
SUMMARY
Campylobacter spp. are the most common bacterial cause of
infectious intestinal disease (IID) in temperate countries. In
order to assure consumer safety monitoring plan are widely
present in the European Union. The aim of the study is to analyse
two years of monitoring plans of Campylobacter termofili in
Piedmont region. In 2008-2009 a total of 1010 samples were
analyzed by ISO 10272-1:2006 in order to identify presence
of Campylobacter. In 2008 Campylobacter were observed in
12 out of 475 samples (2.5%); 6 Campylobacter termofili were
identified. In 2009 campylobacters were observed in 12 out of
535 (2.2%); 10 Campylobacter termofili were identified.
Campylobacter spp” a cui segue identificazione di specie.
I risultati del piano di monitoraggio per la ricerca di
Campylobacter in Piemonte sono stati confrontati con il numero
di casi umani registrati dal Centro di Riferimento Regionale per
la Sorveglianza, la Prevenzione e il Controllo delle Malattie
Trasmesse da Alimenti (MTA) per il periodo considerato.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Nel 2008 sono pervenuti 475 campioni e la presenza di
campylobacter è stata rilevata in 12 campioni 2.5% (intervallo
di confidenza 95% [IC95%] 1.3%-4.3%). Nel 2009 sono stati
analizzati 60 campioni in più rispetto all’anno precedente
per un totale di 535 campioni. Il numero di campioni su cui è
stata rilevata la presenza di campylobacter è rimasta invariata
rispetto all’anno precedente 12 campioni (2.2%; IC95%: 1.2%3.9%). La percentuale di campioni in cui è stata rilevata la
presenza di Campylobacter termofili è pressoché costante
tra i due anni, come si evince dagli intervalli di confidenza.
Le matrici alimentari in cui è stato rilevato sono latte crudo,
carni fresche e preparazioni di carni di pollame; i risultati sono
riportati nelle tabelle 1 e 2. Nel 2008 dei 12 campylobacter
isolati 6 sono risultati C. jejuni mentre i restanti 6 non sono stati
identificati. Nel 2009 dei 12 campylobacter isolati ben 10 erano
C. jejuni e 2 non identificati.
INTRODUZIONE
Campylobacter è un agente zoonosico responsabile
principalmente di sindromi diarroiche (diarrea del viaggiatore)
ma che può determinare in soggetti particolarmente sensibili
la sindrome di Guillain-Barrè, una neuropatia immunomediata
il cui meccanismo patogenetico è tuttora oggetto di studio e
per la quale è praticabile soltanto una terapia di supporto (6).
L’infezione nell’uomo può avvenire attraverso diverse fonti,
ma gli alimenti di origine animale e vegetale contaminati, se
consumati crudi o non adeguatamente cotti rappresentano la
principale fonte di malattia (6).
L’interesse nei confronti di Campylobacter termofili (C. jejuni,
C. coli, C. lari e C. upsaliensis) è aumentato nel corso degli
ultimi anni; soprattutto nei Paesi sviluppati dove C. jejuni è
considerato la principale causa di gastro-enterite batterica
(4,5,7).
E’ per questi motivi che dal 2003 è inclusa dall’Unione Europea
tra le zoonosi da sottoporre a sorveglianza (Direttiva 2003/99/
CE- allegato I) (3) e che l’autority per la sicurezza alimentare
(EFSA) al fine di tutelare la salute del consumatore spinge
gli Stati Membri ad attuare dei piani di monitoraggio efficaci.
Tuttavia, in Italia non esiste ad oggi un piano di monitoraggio
nazionale per la ricerca di Campylobacter termofili negli
alimenti di origine animale, per quanto la campilobatteriosi in
quanto zoonosi sia soggetta a notifica obbligatoria dal 1990.
In Piemonte la ricerca di Campylobacter termofili è prevista nel
Piano Regionale Integrato di Sicurezza Alimentare (PRISA) e
nel piano di monitoraggio latte crudo al distributore automatico
(Intesa Stato Regioni).
Per esplorare la situazione epidemiologica piemontese
rispetto alla presenza di Campylobacter termofili negli alimenti
di origine animale sono stati analizzati i dati relativi a due anni
di monitoraggio.
Tabella 1: campioni esaminati per la ricerca di Campylobacter
termofili per matrice alimentare nel 2008
N.
matrice
assenza presenza % positivi
campioni
carni fresche
24
21
3
12,5%
latte crudo
preparazioni di
carne
prodotti a base di
carne
altri alimenti
306
298
8
2,6%
58
57
1
1,7%
72
72
0
0,0%
15
15
0
0,0%
totale anno 2008
475
463
12
2,5%
In Piemonte presso il Centro di Riferimento Regionale per la
Sorveglianza, la Prevenzione e il Controllo delle MTA sono
registrati i casi confermati e i casi sospetti da Campylobacter
nell’uomo. In generale, un episodio di tossinfezione alimentare
è confermato quando l’agente viene isolato in almeno due casi
o nell’alimento interessato; altrimenti l’episodio è classificato
come sospetto (1,2). In Piemonte nel 2008 sono stati registrati
nell’uomo 0 casi confermati e 3 casi sospetti di campilobatteriosi
(1). Nel 2009 i casi di malattia confermati sono stati 3; mentre
i casi sospetti sono stati 2 (2).
L’analisi dei dati ha messo in evidenza un netto divario tra il
numero di campioni alimentari positivi per Campylobacter
termofili (2,2% nel 2009) e il numero di casi umani registrati
dal Centro di Riferimento Regionale per la Sorveglianza la
Prevenzione e il Controllo delle MTA (0,1 su 100.000 casi nel
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati i dati relativi ai campioni esaminati per
Campylobacter termofili dal 01/01/2008 al 31/12/2009 in
regione Piemonte nell’ambito del PRISA e del piano latte crudo
erogato da distributori automatici.
Le analisi sono state effettuate con la metodica ISO 102721:2006 “Microbiology of food and animal feeding stuffs
– Horizontal method for detection and enumeration of
130
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Bibliografia
1. AAVV (a cura di Magliola R, Di Gioia S, Ferrari P, Rossi
MV, Soligon M) (2009) Il Sistema di Sorveglianza dei
Focolai Epidemici di Malattie Trasmesse da Alimenti della
Regione Piemonte Rapporto 2008
2. AAVV (a cura di Magliola R, Di Gioia S, Ferrari P, Rossi
MV, Soligon M) (2010) Il Sistema di Sorveglianza dei
Focolai Epidemici di Malattie Trasmesse da Alimenti della
Regione Piemonte Rapporto 2009
3. Direttiva 2003/99/CE del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 17 novembre 2003 sulle misure di sorveglianza
delle zoonosi e degli agenti zoonotici, recante modifica
della Decisione 90/424/CEE del Consiglio e che abroga
la Direttiva 92/117/CEE del Consiglio. Gazzetta Ufficiale
dell’Unione Europea. 12/12/2003. L325/25-L325/40.
4. EFSA, The Community Summary Report on trends and
sources of zoonoses, zoonotic agents and food-borne
outbreaks in the European Union in 2008
5. Horrocks SM, Anderson RC, Nisbet DJ, Ricke SC. (2009)
Incidence and ecology of Campylobacter jejuni and coli in
animals. Anaerobe. 15:18-25.
6. Humphrey T., O’Brien S., Madsen M. (2007):
Campylobacter as zoonotic pathogens: a food production
perspective. J. Food Microbiol.; 117:237-257.
7. Murphy C, Carroll C, Jordan KN. (2006). Environmental
survival mechanisms of the foodborne pathogen
Campylobacter jejuni. J Appl Microbiol. 100: 623-32.
2009). Molteplici sono le ragioni che possono produrre tale
differenza, ma sembra in ogni caso molto probabile che vi
sia una sottostima della campilobatteriosi umana. E’ noto che
negli ospedali l’isolamento di campylobacter non è effettuato in
modo sistematico e ciò può sostenere l’ipotesi della sottostima
dei casi. Tuttavia, il basso numero di casi umani potrebbe
trovare una spiegazione nella corretta abitudine alimentare di
consumare previa cottura le carni di pollame e bollitura il latte
crudo (Ordinanza 10 dicembre 2008).
Tabella 2: campioni esaminati per la ricerca di Campylobacter
termofili per matrice alimentare nel 2009
matrice
carni fresche
latte crudo
preparazioni di
carne
prodotti a base
di carne
altri alimenti
totale anno
2009
N.
campioni
23
assenza
presenza
% positivi
22
1
4.3%
350
340
10
2,9%
64
63
1
1,6%
81
81
0
0,0%
17
17
0
0,0%
535
523
12
2,2%
131
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DIAGNOSI PRE-CLINICA DI PESTE AMERICANA MEDIANTE L’ESAME DEI DETRITI INVERNALI
Bassi S.1, Carpana E.2, Carra E.1 , Pongolini S.1
1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Via Diena 16, Modena
2 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Unità di Ricerca di Apicoltura e Bachicoltura – Via di Saliceto 80, Bologna
Key words: American foulbrood, Winter debris, Paenibacillus larvae
SUMMARY
An early and indirect identification of Paenibacillus larvae infections in honey bee colony makes possible to act before the
onset of clinical symptoms in order to avoid the spreading of
the pathogen agent to other colonies.
This work provides a contribution in regard to early diagnosis. We have checked if, and in which size, the research of
Paenibacillus larvae spores in debris collected in beehive at
the end of winter allowed to predict the development of the
disease during the season of production. The results obtained
are encouraging.
Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare la correlazione esistente tra la presenza di spore di P. larvae nei detriti
invernali di singole colonie e lo sviluppo di casi di PA nel corso
della stagione di attività.
Inoltre, per semplificare quanto più possibile il procedimento
analitico, abbiamo introdotto alcune modifiche ai metodi
100% dei casi. In generale la percentuale delle famiglie colpite
aumenta progressivamente nelle diverse classi di grandezza.
Si osserva una correlazione positiva tra il numero delle spore
rinvenute nei detriti invernali e la probabilità che la malattia si
sviluppi nel corso dell’anno.
In 5 apiari (A, C, E, G, I) l’esame dei detriti ha identificato l’unica colonia in cui si sarebbe poi manifestata la PA.
Negli apiari D ed L si sono avuti invece comportamenti apparentemente non coerenti. In alcune famiglie i cui detriti risultavano negativi o contenevano un basso numero di spore si è
sviluppata la malattia mentre in altre famiglie con una carica
di spore più alta nei detriti non si è manifestata la malattia nel
corso dell’anno. L’analisi delle cause che possono avere determinato tale andamento è allo studio.
Nel primo controllo clinico, effettuato ad aprile, sono stati diagnosticati 6 casi di PA (tabella 2). In queste famiglie, con una
sola eccezione, il conteggio delle spore nei detriti aveva dato
i valori più alti tra tutti quelli riscontrati nel corso della prova.
Sembra quindi esistere una certa correlazione tra l’elevato
numero di spore nei detriti e la precocità di insorgenza della
malattia.
Nonostante i dati a disposizione siano ancora esigui e necessitino di essere confermati i primi risultati forniti da questa
sperimentazione sono interessanti e indicano che l’argomento
merita di essere approfondito.
Individuare attraverso l’esame dei detriti invernali il livello di
infezione delle colonie, o addirittura poter prevedere con una
accettabile approssimazione l’insorgenza o meno della PA nel
corso della stagione attiva, consentirebbe di adottare
adeguate misure di gestione e di controllo delle colonie
descritti (3 – 9) eseguendo l’estrazione delle spore
dai detriti
per via acquosa.
In questa nota vengono presentati i risultati preliminari e parziali di un più ampio lavoro di ricerca che ha come obiettivo lo
studio della diagnosi precoce e indiretta della PA.
INTRODUZIONE
La Peste Americana (PA), sostenuta da Paenibacillus larvae
(P.larvae) (6), è la più grave e diffusa malattia batterica delle
api. Colpisce esclusivamente le larve e rappresenta a tutt’oggi
uno dei principali problemi di patologia apistica nel mondo.
Il controllo della PA si basa essenzialmente sull’applicazione
di adeguate misure di prevenzione e sulla diagnosi clinica precoce.
Tuttavia, per diverse ragioni, la diagnosi è spesso tardiva e con
ogni probabilità quando la malattia viene diagnosticata si è già
diffusa all’interno dell’apiario o ad altri apiari.
Individuare le colonie in cui l’infezione è presente ma non si
esprime ancora in forma clinica consente di mettere in atto misure di prevenzione per contrastare l’insorgenza e la diffusione
della malattia.
Le infezioni subcliniche possono essere svelate ricercando le
spore di P.larvae in specifiche matrici che fungono così da indicatori della presenza dell’infezione.
Diversi sono gli indicatori utilizzabili (4) in pratica però il miele,
prelevato dal nido o dal melario, è quello che viene impiegato
con maggior frequenza anche se l’esame delle api adulte consente di identificare un maggior numero di colonie infette (8).
Recentemente (9) è stata messa a punto una metodica per
la ricerca delle spore di P.larvae nei detriti prelevati sul fondo
dell’alveare.
Nella Repubblica Ceca l’esame dei detriti viene impiegato per
monitorare l’incidenza dell’infezione da P.larvae in vaste aree
e per localizzare i focolai di malattia. In caso di positività nei
detriti si esegue un’ ispezione dell’apiario per verificare se è in
atto la malattia o se l’ infezione è subclinica.
Questo consente di eseguire controlli di campo mirati limitando i tempi e i costi che questi comportano.
La metodica descritta (9) prevede l’uso del toluene per estrarre le spore dai detriti il ché rende un po’ problematico il suo
impiego. Per ovviare a questo inconveniente è stata messa a
punto una variante del metodo in cui si utilizza una soluzione
acquosa di “Tween 80” , invece del toluene, per sciogliere la
componente cerosa presente nei detriti (3).
Benché i risultati ottenuti con questo metodo siano soddisfacenti i tempi di esecuzione e alcuni aspetti operativi ne limitano
l’ impiego, soprattutto nei casi in cui sia necessario esaminare
un numero elevato di campioni.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra il 15 febbraio e il 15 marzo del 2009
sono stati prelevati 123 campioni di detriti da altrettante colonie
di 10 apiari delle province di Bologna e Reggio Emilia. I detriti
sono stati raccolti sul fondo dell’arnia introducendo un foglio
di plastica monouso che veniva lasciato in situ per 20-30 gg. I
fogli accuratamente ripiegati e confezionati singolarmente in
buste chiuse venivano recapitati al laboratorio e conservati a
2° - 4°C fino al momento dell’esame.
Un grammo di detriti veniva trasferito in una provetta da 50 ml,
dopo aggiunta di 9 ml di acqua distillata sterile si agitava ma132
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
nualmente ed energicamente la provetta capovolgendola più
volte in modo da disgregare quanto più possibile gli agglomerati presenti. La sospensione era quindi trattata in bagnomaria
a 90°C per 15 minuti. Al termine si filtrava immediatamente il
contenuto su garza sterile trasferendolo, mediante un piccolo
imbuto di vetro, in un’altra provetta.
Il filtrato era seminato, in volume di 100 µl per piastra, in 5
piastre di MYPGP agar (5) addizionato di acido nalidixico (7)
e acido pipemidico (1).
Le piastre, incubate a 37°C in atmosfera arricchita con il 10%
di CO2 , venivano sottoposte a una prima lettura dopo 5 giorni
e a lettura definitiva dopo 10 giorni.
Le colonie P.larvae sono state identificate sulla base del caratteristico aspetto e dei tempi di sviluppo delle stesse. In 5
colonie per ogni campione si eseguivano, come prove di conferma, la colorazione di Gram ( bacilli Gram + ) e il test della
catalasi (-) e, quando necessario, l’identificazione molecolare
in PCR (2).
Le famiglie interessate dal prelievo sono state sottoposte mensilmente, dal mese di aprile a quello di ottobre, a un accurato
controllo clinico per evidenziare l’insorgenza di lesioni riferibili
a PA.
cessitino di essere confermati i primi risultati forniti da questa
sperimentazione sono interessanti e indicano che l’argomento
merita di essere approfondito.
Individuare attraverso l’esame dei detriti invernali il livello di
infezione delle colonie, o addirittura poter prevedere con una
accettabile approssimazione l’insorgenza o meno della PA nel
corso della stagione attiva, consentirebbe di adottare
adeguate misure di gestione e di controllo delle colonie
BIBLIOGRAFIA
1. Alippi A.M. (1995). Detection of Bacillus larvae spores in Argentinian honeys by using a semi-selective medium. Microbiologia 11, 343-350.
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comparison of cultural and molecular methods. Apidologie 41,
425-427.
3. Bzdil J. (2007). Detection of Paenibacillus larvae spores in
the debris and wax of honey bee by the Tween 80 method.
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Titera D., Tomkies V., Ritter W. (2006). Diagnosis of American
foulbrood in honey bees: a synthesis and proposed analytical
protocols. Lett. Appl. Microbiol. 43, 583–590.
5. Dingmann D.W., Stahly D.P. (1983). Medium promoting sporulation of Bacillus larvae and metabolism of medium components. Appl. Environ. Microbiol. 46, 860–869.
6. Genersch E., Forsgren E., Pentikäinen J., Ashiralieva A.,
Rauch S., Kilwinski J., Fries I. (2006). Reclassification of Paenibacillus larvae subsp. pulvifaciens and Paenibacillus larvae
subsp. larvae as Paenibacillus larvae without subspecies classification. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 56, 501-511.
7. Hornitzky M.A.Z., Clark S. (1991). Culture of Bacillus larvae
from bulk honey samples for the detection of American foulbrood. J. Apic. Res. 30, 13–16.
8. Nordstro¨m S., Forsgren E., Fries I. (2002). Comparative
diagnosis of American foulbrood using samples of adult honey
bees and honey. J. Apic. Sci. 46, 5-12.
9. Titera D. and Haklova M. (2003). Detection method of Paenibacillus larvae larvae from beehive winter debris, Apiacta
38, 131–133.
RISULTATI
Nella tabella 1 vengono riportati i risultati degli esami effettuati.
Tra parentesi compare il numero dei casi di PA diagnosticati
nelle singole famiglie.
I valori ottenuti nel conteggio delle spore sono stati suddivisi
per ordine di grandezza in sei classi.
Su 123 campioni esaminati 77 sono risultati negativi e 46 positivi con un numero di spore compreso tra 20 e 6.000.000
ufc/g. Le famiglie colpite da PA durante il periodo di osservazione sono state complessivamente 20 con un numero di casi
per apiario compreso tra 0 e 5 .
Nella tabella 2 per ogni caso di PA diagnosticato è indicata la
data della diagnosi e il numero di spore per grammo di detriti
invernali.
DISCUSSIONE
Nelle 77 famiglie in cui i detriti invernali sono risultati negativi
per spore di P.larvae solo il 5% ha sviluppato la malattia mentre in quelle con un numero di spore pari o superiore a 100.000
ufc/g la malattia si è manifestata 100% dei casi. In generale la
percentuale delle famiglie colpite aumenta progressivamente
nelle diverse classi di grandezza.
Si osserva una correlazione positiva tra il numero delle spore
rinvenute nei detriti invernali e la probabilità che la malattia si
sviluppi nel corso dell’anno.
In 5 apiari (A, C, E, G, I) l’esame dei detriti ha identificato l’unica colonia in cui si sarebbe poi manifestata la PA.
Negli apiari D ed L si sono avuti invece comportamenti apparentemente non coerenti. In alcune famiglie i cui detriti risultavano negativi o contenevano un basso numero di spore si è
sviluppata la malattia mentre in altre famiglie con una carica
di spore più alta nei detriti non si è manifestata la malattia nel
corso dell’anno. L’analisi delle cause che possono avere determinato tale andamento è allo studio.
Nel primo controllo clinico, effettuato ad aprile, sono stati diagnosticati 6 casi di PA (tabella 2). In queste famiglie, con una
sola eccezione, il conteggio delle spore nei detriti aveva dato
i valori più alti tra tutti quelli riscontrati nel corso della prova.
Sembra quindi esistere una certa correlazione tra l’elevato
numero di spore nei detriti e la precocità di insorgenza della
malattia.
Nonostante i dati a disposizione siano ancora esigui e ne133
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tabella 1
– Risultati del conteggio delle spore di P.larvae nei detriti invernali e casi di Peste Americana diagnosticati
Apiario
Conteggio spore:
Classi di grandezza
(ufc/g)
Totale
A
B
C
D
E
F
G
H
I
L
10
Negativi (< 20)
2 (0)
3 (0)
13 (0)
19 (2)
7 (0)
11 (0)
3 (0)
3 (0)
9 (0)
7 (2)
77 (4) – 5%
20 – 999
2 (0)
5 (2)
1 (0)
2 (0)
0
1 (0)
6 (0)
7 (3)
0
1 (1)
25 (6) – 24%
1.000 – 9.999
2 (1)
3 (2)
0
0
0
0
0
3 (1)
2 (0)
0
10 (4) - 40 %
10.000 – 99.999
1 (0)
0
1 (1)
0
1 (1)
0
0
0
3 (1)
2 (0)
8 (3) – 37 %
100.000 – 999.999
0
1 (1)
0
0
0
0
0
1 (1)
0
0
2 (2) – 100 %
> 1.000.000
0
0
0
0
0
0
1 (1)
0
0
0
1 (1) – 100 %
Totale
7 (1)
12 (5)
15 (1)
21 (2)
8 (1)
12 (0)
10 (1)
14 (5)
14 (1)
10 (3)
123 (20)
Tabella 2 - Carica di spore nei detriti e data di insorgenza della malattia nelle famiglie con Peste Americana
N.
Colonia
Detriti:
ufc/g
1
A
1.520
2
B1
3
PA:
Data diagnosi
Detriti:
ufc/g
PA:
Data diagnosi
N.
Colonia
10/08
11
G
6.000.000
17/04
120
22/04
12
H1
20
15/06
B2
322.000
22/04
13
H2
350.000
05/09
4
B3
20
23/08
14
H3
20
05/09
5
B4
2.620
23/08
15
H4
40
04/10
6
B5
9.880
26/09
16
H5
5.000
04/10
7
C
30.000
18/04
17
I
70.000
07/04
8
D1
< 20
05/07
18
L1
< 20
06/07
9
D2
< 20
06/08
19
L2
60
06/07
10
E
26.600
17/04
20
L3
< 20
10/10
134
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RICERCA DELLE SPORE DI Paenibacillus larvae NEL MIELE: VALUTAZIONE DEI RISULTATI OTTENUTI
CON DIVERSI PROTOCOLLI DI LAVORO
Bassi S.1, Carra E.1, Carpana E.2, Rugna G.1, Pongolini S.1
1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna – Via Diena 16, Modena
2 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Unità di Ricerca di Apicoltura e Bachicoltura – Via di Saliceto 80, Bologna
Key words: American foulbrood, Honey, Paenibacillus larvae
SUMMARY
Honey produced by Paenibacillus larvae infected honeybee
colonies is contaminated by the spores of this bacterium and
their detection in honey makes possible an early identification
of subclinical infections.
Bacterial culture with colony counting and identification of the
suspected colonies is the reference method for Paenibacillus
larvae spores assessment in honey.
A harmonization of the diagnostic techniques for this bacteriological test is favourable. The work provides a contribution in
this regard.
covata in 5 apiari delle province di Bologna, Modena e
Reggio Emilia.
I campioni venivano pre-riscaldati a 50°C per facilitare l’affioramento della cera presente e fluidificare il miele,
favorendo così, mediante agitazione, una distribuzione più
omogenea delle spore nel campione.
Dieci grammi di miele sono stati poi trasferiti in una provetta da
50 ml e diluiti con 10 ml di acqua distillata sterile.
Dopo energica e prolungata agitazione il campione veniva trattato in bagnomaria a 85°C – 90°C per 15 minuti (2) per inattivare i contaminanti termosensibili e favorire la germinazione
delle spore. Successivamente 3 aliquote da 2 ml venivano
trasferite in altrettante microprovette e centrifugate a 3.000 x g
, 6.000 x g e 9.000 x g per 30 minuti. Dopo l’eliminazione di 1,
8 ml di surnatante si seminavano i restanti 200 µl in 4 piastre di
MYPGP agar (6) addizionato di acido nalidixico (7) e acido pipemidico (1) in volume di 50 µl per piastra. Parallelamente alla
semina dei campioni centrifugati si seminavano, con identiche
modalità, 200 µl degli stessi campioni non centrifugati.
Le piastre, incubate a 37°C in atmosfera arricchita con il 10%
di CO2 , erano sottoposte a una prima lettura dopo 5 giorni e a
lettura definitiva dopo 10 giorni.
Le colonie P.larvae sono state identificate sulla base di prove
morfologiche e biochimiche (catalasi) e, quando necessario,
mediante identificazione molecolare in PCR (4).
Quando un terzo o più della superficie della piastra era invasa
da contaminanti la piastra veniva considerata “non leggibile” .
INTRODUZIONE
La Peste Americana (PA), causata dal batterio sporigeno Gram
+ Paenibacillus larvae (P.larvae), è la più grave e diffusa malattia batterica della covata. La malattia è presente in tutti i paesi in cui viene allevata Apis mellifera e provoca un consistente
danno economico all’attività apistica.
Il controllo della PA si basa essenzialmente sull’applicazione
di adeguate misure di prevenzione e sulla diagnosi precoce.
L’identificazione delle colonie in cui l’infezione è presente in
forma sub-clinica consente di prevenire l’insorgenza e la diffusione della malattia.
Le infezioni sub-cliniche possono essere svelate utilizzando,
come indicatori della presenza dell’infezione, idonee matrici
nelle quali si ricercano e si quantificano le spore di P.larvae.
Il miele è la matrice impiegata con maggior frequenza, soprattutto per effettuare indagini a scopo di monitoraggio in territori
estesi.
Non esiste un metodo microbiologico standardizzato per il
conteggio delle spore di P.larvae nel miele.
Nelle metodiche utilizzate (2, 3, 5, 7, 8) le fasi analitiche sono
sostanzialmente le stesse ( - diluizione del campione - trattamento termico - centrifugazione - semina in terreni solidi
selettivi - incubazione a 37°C in atmosfera arricchita di CO2
- ), mentre variano, in maniera anche considerevole, alcuni importanti parametri come tempo/temperatura del trattamento
termico e tempo/velocità di centrifugazione oppure i terreni
colturali impiegati o i tempi di incubazione.
Per quanto riguarda la centrifugazione del campione non risulta siano mai state eseguite prove per dimostrare se e in quale
misura il risultato finale è influenzato dalle diverse velocità di
centrifugazione.
Le metodiche utilizzate presentano, a questo riguardo, differenze significative comprendendo sia l’esame di campioni non
centrifugati che l’ esame di campioni centrifugati con velocità
comprese tra 2.500 x g e 6.000 x g.
Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di confrontare, a
parità delle altre condizioni, i risultati ottenuti in campioni non
centrifugati con quelli di campioni sottoposti a centrifugazione
nonché di confrontare i risultati ottenuti con diverse velocità di
centrifugazione.
RISULTATI
I risultati sono riportati nelle tabelle 1, 2, 3 , 4
Nella tabella 1 vengono riassunti i risultati dei 70 campioni esaminati. Nei campioni non centrifugati il numero dei campioni
“leggibili” è più alto rispetto a quello dei campioni centrifugati,
anche i negativi sono in numero maggiore mentre il numero
dei positivi sostanzialmente si equivale.
Nei 56 campioni i cui risultati sono “leggibili“ con tutti i protocolli
impiegati (tabella 2), si ha, come era lecito attendersi, un maggior numero di positivi tra i campioni centrifugati.
I campioni centrifugati che risultano “non leggibili” con una o
più delle tre velocità di centrifugazione utilizzate sono in tutto
14, nella tabella 3 vengono riportati i risultati degli stessi campioni esaminati senza centrifugazione.
Prendendo in considerazione i risultati dei campioni non centrifugati positivi per spore di P.larvae e confrontandoli con quelli
degli stessi campioni centrifugati si evidenzia che il numero
medio delle ufc spore/g, nei diversi apiari, è più alto nei campioni non centrifugati (tabella 4).
I valori ottenuti sui campioni centrifugati con le tre diverse velocità risultano essere pressoché equivalenti (tabella 4).
DISCUSSIONE
Con la centrifugazione si concentrano anche le spore delle Bacillacee a rapida crescita presenti nel campione il cui sviluppo
può rendere difficile o impossibile la lettura delle piastre.
Per tale motivo i campioni centrifugati che risultano “non leggi-
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati 70 campioni di miele prelevato dai favi di
135
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
bili” sono più numerosi.
Esaminando i risultati dei campioni che sono “leggibili” con tutte e quattro le varianti utilizzate si rileva che la centrifugazione,
aumentando la sensibilità del metodo, consente di rilevare un
maggior numero di campioni positivi perché vengono identificati come positivi anche i campioni con un basso numero di
spore (tabella 2).
La centrifugazione tuttavia produce, come già detto, sporigeni
contaminanti è sempre preferibile esaminare i campioni senza
centrifugazione per limitare i problemi conseguenti allo sviluppo della microflora contaminanate.
4.
5.
6.
BIBLIOGRAFIA
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Argentinian honeys by using a semi-selective medium.
Microbiologia 11, 343-350.
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7.
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Dingmann D.W., Stahly D.P. (1983). Medium promoting
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Hornitzky M.A.Z., Clark S. (1991). Culture of Bacillus larvae
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foulbrood. J. Apic. Res. 30, 13–16.
Ritter W. ( 2003 ). Early detection of American Foulbrood by
honey and wax analysis. Apiacta 38, 125–130.
Si ringrazia il Sig. Vanni Righetti per la collaborazione tecnica
prestata.
Tabella 1 – Risultati complessivi dei 70 campioni
Metodo
Campioni
“leggibili”
Campioni
“non leggibili”
Totale
Non centrifugato
Centrifugazione 3.000
Centrifugazione 6.000
Centrifugazione 9.000
69 ( 47 positivi – 22 negativi )
1
70
60 ( 50 positivi – 10 negativi )
58 ( 49 positivi – 9 negativi )
58 ( 47 positivi – 11 negativi )
10
12
12
70
70
70
Tabella 2 – Esiti dei campioni “leggibili” con i 4 metodi
Tabella 3 – Campioni centrifugati “non leggibili” (n.14)
Metodo
Campioni
positivi
Campioni
negativi
Totale
Esito degli stessi campioni
non centrifugati
Non centrifugato
37
19
56
Centrifugazione 3.000
Centrifugazione 6.000
Centrifugazione 9.000
46
47
45
10
9
11
56
56
56
Non leggibili
Negativi
Positivi
Totale
N.
3 (21%)
2 (14%)
9 (64%)
14
Tabella 4 – Numero medio di spore (ufc/g) per apiario
Metodo
Apiario
1
2
3
4
5
Non centrifugato
5499
51
190
9
470
Centrifugazione 3.000
1975
7
106
2
340
Centrifugazione 6.000
2217
7
105
3
352
Centrifugazione 9.000
2239
8
152
10
354
136
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ETEROGENEITÀ GENETICA DEGLI SMALL RUMINANT LENTIVIRUSES IN ITALIA
(1)
(2)
(3)
(1)
(2)
(3)
(1)
(1)
Bazzucchi M. , Puggioni G. , Brajon G. , Casciari C. , Dei Giudici S. , Taccori S. , Giammarioli M. e Feliziani F. .
(1)Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e Marche, Perugia; (2)Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna, Sassari;
(3)Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e Toscana, Firenze (Italy).
Key words: analisi filogenetica, lentivirus dei piccoli ruminanti,
SUMMARY
Small ruminant lentiviruses (SRLVs) are distributed worldwide
and cause slow progressive multi-systemic diseases. The
nucleotide and amino acid sequences of these viruses are
related to the antigenicity and virulence and may affect their
persistence and escape from the immune system. The genetic
analysis may further help to understand the epidemiology and
the phylogenetic relationships of these viruses. It may also be
the key to increase the sensitivity of diagnostic tests. The SRLVs
are classified into four genetic groups, A-D, based on differences
in gag and pol sequences. Furthermore, an highly divergent
genotype E has been recently characterized in northern Italy
and in Sardinia and comprises two distinct subtypes (E1-E2). In
this study, phylogenetic analysis was carried out on sheep, goat
and mixed flocks to investigate the heterogeneity of SRLVs from
different regions to better understanding the naturally circulating
viral strains. The phylogenetic analysis revealed the presence of
previously described subtypes A9, B1, B2 and E2. Evidence of
new subtypes A10, B3 and E2b, have been described.
sono stati scelti, sempre con modalità random, tra quelli afferenti
all’IZS Umbria e Marche per analisi di routine, mentre due isolati
provenienti dalla Toscana e sette provenienti dalla Sardegna
sono stati collezionati nel corso di altre indagini sperimentali. Tutti
i campioni sono stati saggiati per verificare la presenza di SRLVs
e gli stipiti isolati sono stati sottoposti ad analisi filogenetica.
Il DNA totale è stato estratto da cellule infette provenienti dalle
varie matrici (buffy coat e latte) utilizzando il kit QIAGEN QIAamp®
DNA Mini.
Dagli organi infetti invece è stato estratto l’RNA totale, per mezzo
del kit QIAGEN RNeasy® Mini.
Lo studio di genotipizzazione è stato effettuato sequenziando una
porzione del gene gag e parte del gene pol di circa 800 bp, come
descritto da Grego e collabortori (7).
Il DNA o l’RNA ottenuti sono stati utilizzati in una nested PCR.
L’amplicone così ottenuto è stato purificato, quantificato e
sequenziato direttamente utilizzando il kit ABI PRISM® Big Dye®
Terminator v3.1. in un ABI PRISM 3130 Genetic Analizer (Applied
Biosystems).
Con le sequenze forward e reverse, prodotte per ciascun isolato in
tre esperimenti indipendenti, che hanno mostrato una basecalling
elevata, è stata prodotta una sequenza consenso mediante il
software Lasergene® del pacchetto DNASTAR.
Tutte le sequenze ottenute sono state allineate con sequenze di
riferimento presenti in Genbank utilizzando il software Clustal X
V.1.83. Il dataset di sequenze è stato quindi analizzato mediante
il software BioEdit V.2.1.
L’albero filogenetico è stato costruito con il software Mega V. 3.1
utilizzando il metodo di Neighbor-Joining. La validità dell’analisi
filogenetica e la robustezza dell’albero è stata determinata
effettuando una analisi di bootstrapping su 10.000 replicati.
INTRODUZIONE
Il virus Visna Maedi (MVV) e il virus dell’Artrite encefalite Caprina
(CAEV) sono strettamente correlati ed appartengono al genere
lentivirus della famiglia Retroviridae: essi sono responsabili delle
infezioni da lentivirus negli ovi-caprini (SRLVs) che, causando
malattie a decorso lento e progressivo, possono provocare
rilevanti perdite economiche negli allevamenti. Sebbene per
lungo tempo l’infezione sia stata considerata specie-specifica,
diversi studi hanno dimostrato la trasmissione naturale tra pecore
e capre e viceversa e quindi la classificazione basata sullo spettro
d’ospite sembra ormai superata (1).
Gli SRLVs vengono attualmente classificati in 4 gruppi filogenetici
principali: il genotipo A che comprende gli isolati MVV-like, a sua
volta suddiviso in diversi sub-genotipi isolati da pecore (A1, A2),
da capre (A5, A7) o da entrambe le specie (A3, A4, A6) (2, 3); il
genotipo B che comprende isolati CAEV-like, suddiviso in subgenotipi (B1, B2) isolati da entrambe le specie (1, 3); il genotipo C
che comprende un isolato norvegese; il genotipo D che comprende
isolati identificati in Svizzera e Spagna e recentemente il nuovo
genotipo E, identificato in alcune razze caprine italiane (4, 6, 7, ).
Recentemente, alcuni autori riportano l’evidenza di un nuovo
genotipo E (6) isolato in Sardegna ad ulteriore conferma
dell’estrema variabilità genetica di questa popolazione virale.
È ormai dimostrato che tale instabilità genetica sarebbe alla
base dell’estrema variabilità antigenica degli SRLVs: ciò risulta
essere un aspetto molto importante perché tali caratteristiche
condizionano negativamente l’affidabilità dei test diagnostici oggi
disponibili per il controllo e la sorveglianza dell’infezione.
Il presente studio ha analizzato numerosi isolati provenienti da
diverse regioni italiane dal punto di vista filogenetico con l’obiettivo
di approfondire gli studi già effettuati per meglio comprendere i
meccanismi che determinano la variabilità genetica dei SRLVs.
MATERIALI E METODI
Campioni di sangue e organi sono stati raccolti, con modalità
random, in un mattatoio residente in Umbria a cui afferiscono
ovini provenienti da diverse regioni italiane; campioni di latte
RISULTATI E DISCUSSIONE
Tra i campioni analizzati nel presente studio 53 sono stati presi
in considerazione per l’analisi filogenetica. Alcuni di questi isolati
confermano, in linea generale, i risultati ottenuti da ricerche
precedenti collocandosi in genogruppi già descritti (tab. 1).
Tab.1: isolati considerati nello studio collocabili in subgenotipi già
evidenziati in studi precedenti
Specie numero
Regione
subgenotipo
pecora
2
Umbria, Marche
A9
capra
5
Umbria, Sardegna,
Toscana
B1
pecora
2
Piemonte, Umbria
B2
capra
2
Sardegna
E2
Tre isolati (Umbria) provenienti da un allevamento misto sono
collocabili nel sub-genotipo E2, ma mostrano una similarità non
superiore all’87% con l’isolato SEUI (Fig.1, Fig.2): per questo
motivo sono stati evidenziati come E2b .
Trentatre isolati (Umbria), sia caprini che ovini, clusterizzano in
un nuovo ed eterogeneo sub-genotipo di seguito indicato come
A10 (Fig.1, Fig.2).
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Sei isolati (Marche, Sardegna, Umbria), provenienti da entrambe
le specie, formano un nuovo cluster separato, indicato come B3,
che dimostra una similarità non superiore al 78% con il genotipo
A, all’81% con il genotipo B e al 70% con il genotipo E (Fig.1,
Fig.2).
La disomogeneità della base campionaria di questo studio
non consente di esprimere considerazioni definitive riguardo
la distribuzione geografica degli stipiti isolati. È comunque
interessante notare che il genotipo B2 è stato rilevato nel campione
piemontese, mentre i ceppi toscani sono tutti collocabili nel genotipo
B1. La dimensione campionaria più numerosa potrebbe spiegare
la maggiore variabilità dei ceppi isolati da animali provenienti dalla
Sardegna, dalle Marche e, soprattutto dall’Umbria (fig. 1).
In conclusione i risultati di questo studio preliminare, confermano
l’elevata eterogeneità genetica degli SRLVs circolanti in Italia:
anche se questi dati dovranno essere confermati da opportuni
approfondimenti, l’evidenza di tre nuovi subgenotipi, (A10, Eb2,
B3) si ritiene possa incoraggiare nuove ricerche che dovrebbero
essere condotte su una base campionaria rappresentativa di tutto
il territorio nazionale.
La variabilità genetica dei ceppi isolati, è senz’altro riconducibile
alle caratteristiche biologiche e patogenetiche di questi virus, ma
è probabilmente legata anche a motivi di tipo epidemiologico: le
peculiarità dell’allevamento ovi-caprino, la promiscuità delle greggi
e delle specie allevate, unite all’assenza di misure di controllo nei
confronti delle infezioni da SRLVs facilitanoi infatti la circolazione
di diversi ceppi virali in popolazioni animali anche apparentemente
distanti tra loro.
Oltre all’assenza di uno specifico piano di controllo è anche
opportuno ricordare che sono ancora consolidate alcune pratiche
di allevamento, basate sul commercio e la movimentazione dei capi
che possono facilitare l’introduzione dell’infezione in allevamenti
indenni o di nuovi ceppi in allevamenti già infetti.
Una migliore conoscenza delle sequenze nucleotidiche e
amminoacidiche degli SRLVs provenienti da diverse aree
geografiche e studi sull’evoluzione molecolare del virus possono
aiutare ad aumentare la sensibilità e la specificità delle tecniche di
diagnostica molecolare e sierologica.
Fig. 1: Albero filogenetico costruito sulle sequenze della regione
gag-pol (720nt) con il metodo di Neighbour-joining (il valore di
bootstrap è stato calcolato su 10000 replicati).
BIBLIOGRAFIA
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È ipotizzabile che l’evidenza di nuovi sub-genotipi A10, B3 ed
E2b rilevata in questo studio possa essere attribuita a possibili
fenomeni di ricombinazione virale che potrebbero essere favoriti
da condizioni di allevamenti misto: ulteriori approfondimenti sono
comunque necessari per individuare con certezza i fattori che
condizionano la variabilità molecolare del virus.
Fig. 2: distribuzione geografica degli ceppi di SRLVs utilizzati
nell’analisi filogenetica
Studio realizzato con i fondi del Ministero della Salute (DL 502/92, art. 12),
RF 2006 IZS 369400 (DIAG-NOVA).
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PANCITOPENIA NEONATALE DEL BOVINO (BLEEDING CALF SINDROME) E DIARREA VIRALE BOVINA IN
FORMA TROMBOCITOPENICA IN VITELLI DI RAZZA PIEMONTESE
Bergagna S., Varello K., Grattarola C., Rossi F., Saragaglia C., Bozzetta E., Dondo A., Zoppi S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta
Keywords: BVDV II – Bleeding calf syndrome - piedmont breed
Introduzione
Bovine Viral Diarrhoea Virus (BVDV), responsabile del complesso
Diarrea Virale Bovina (BVD)/Malattia delle Mucose (MD),
appartiene al genere Pestivirus e può essere presente, in natura,
sotto due diverse forme biotipiche: virus citopatogeno e virus non
citopatogeno, entrambi in grado di determinare la diarrea virale
bovina. Grazie ad indagini di genetica molecolare, si è giunti
alla distinzione degli stipiti classici, indicati come BVDV tipo I, da
quelli trombocitopenici, indicati come BVDV tipo II. In condizioni
di campo, le infezioni causate dal BVDV tipo I sono generalmente
subcliniche, soprattutto nei soggetti adulti, tuttavia possono
manifestarsi con un infezione transitoria acuta caratterizzata
clinicamente da febbre, diarrea, alta morbilità e bassa mortalità.
Invece, le infezioni sostenute dal BVDV tipo II causano sindromi
emorragiche, accompagnate da marcata trombocitopenia, in
bovini di qualsiasi età, e forme iperacute con elevata percentuale
di morbilità e mortalità.
La malattia ha oggi raggiunto una diffusione mondiale, è presente,
infatti, in tutti i Paesi dove è praticato l’allevamento dei bovini (2).
L’intervento con presidi immunizzanti specifici è considerato una
strategia efficace a contenere i danni derivanti dall’azione del
BVDV, limitandone nel contempo la diffusione e la circolazione
tra gli animali. Il controllo medico dell’infezione da BVDV è
volto al raggiungimento di uno stato immunitario permanente di
allevamento e soprattutto del gruppo dei riproduttori (1,5).
Attualmente, sul mercato sono disponibili numerosi vaccini
monovalenti, bivalenti o polivalenti efficaci contro il BVDV, prodotti
da diverse ditte farmaceutiche. La profilassi immunizzante
presenta aspetti diversi a seconda che si ricorra a vaccini costituiti
da virus attenuato o inattivato.
I vaccini vivi contengono ceppi di virus più o meno attenuati nella
loro virulenza e che replicano nell’ospite. La comparsa della
risposta immune è rapida e nel giro di 2-3 settimane nel siero
dell’animale sono rilevabili anticorpi ad attività neutralizzante.
La durata degli anticorpi nel siero dell’animale è simile a quanto
osservato in condizioni d’infezione naturale, comunque alti titoli
anticorpali persistono oltre un anno dalla vaccinazione.
Tradizionalmente, i vaccini vivi attenuati, utilizzati principalmente
nei soggetti all’ingrasso, sono considerati non esenti da rischi,
infatti sono stati segnalati incidenti legati alla trasmissione del virus
vaccinale al feto e anche la comparsa di stati immunodepressivi e
di casi di malattia delle mucose.
I vaccini inattivati sono costituiti da stipiti virali CP e NCP cresciuti
ad alto titolo e poi resi non infettanti, generalmente con trattamenti
chimici.
Tali vaccini inattivati pur essendo dotati di elevata innocuità,
possono causare reazioni infiammatorie locali post-vaccinazione
e sporadici casi di anafilassi e calo della produzione di lattea.
Recentemente, casi di pancitopenia neonatale del bovino (BNP)
sono stati messi in relazione con l’uso di vaccino inattivato. La
BNP è una patologia sporadica emergente nei vitelli riconosciuta
solo di recente e segnalata in molti paesi europei, inclusa
l’Italia (3,4). La causa è ancora sconosciuta e non si esclude
eziologia multifattoriale. BNP si manifesta nei vitelli entro le
quattro settimane di vita e, nella maggioranza dei casi, in
seguito all’assunzione di colostro dalla madre. Il quadro clinico
predominante e caratteristico include emorragie a carico della
cute, del sottocute, dei muscoli e dei parenchimi, petecchie sulle
mucose, con fenomeni di melena e tendenza al sanguinamento
da ferite ed orifizi.
Scopo del lavoro è stabilire la causa della morte di due casi di
BNP correlata all’immunizzazione con vaccino inattivato nelle
madri e confrontare tali quadri anatomo-istopatologici con quello
riscontrato in un caso di BVD tipo II in vitelli di razza piemontese.
Materiali e metodi
Sono stati studiati tre casi clinici (caso 1, 2, 3) di vitelli pervenuti
presso la sede di Torino dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta per l’esecuzione dell’esame
anatomo-patologico. Come di consueto sono state raccolte
informazioni anamnestiche relative all’allevamento d’origine, alle
pratiche di vaccinazione e allo stato sanitario e sono stati eseguiti
i seguenti protocolli diagnostici di approfondimento.
Esame batteriologico – A partire da differenti organi (fegato, milza,
polmone e midollo osseo) sono state eseguite colture primarie. In
base alle caratteristiche di crescita, in caso di sospetta presenza
di germi patogeni, le colonie sono state sottoposte a procedure
d’identificazione.
L’esame specifico per l’isolamento di Salmonella spp. è stato
eseguito di routine in particolare dal fegato, utilizzando la metodica
basata sulla norma ISO 6579:2002 e sul Manual of Diagnostics
Tests and Vaccines dell’OIE.
Esame virologico - La matrice milza è stata analizzata con un test
ELISA sandwich (HERD CHECK BVDV Ab/Leukocytes – IDEXX)
per la ricerca dell’antigene del BVDV.
Esame istologico - Porzioni di organi sono state fissate in formalina
tamponata al 4% e sottoposte alle procedure standard d’inclusione
in paraffina. Si è poi proceduto al taglio al microtomo di sezioni di
4±2μ di spessore. e colorazione con ematossilina-eosina (EE). I
preparati istologici sono stati esaminati al microscopio ottico ad
ingrandimenti crescenti (4x, 10x, 20x, 40x).
Risultati
CASO 1/2009 riferito a BNP– L’anamnesi riportava l’insorgenza
improvvisa con rapido exitus su due vitelli di circa una settimana
di età di razza piemontese. Entrambi i soggetti presentavano
diatesi emorragica con fuoriuscita di sangue non coagulato dagli
orifizi, da ferite o siti d’iniezione.
Le vacche presenti in allevamento erano state precedentemente
vaccinate con vaccino inattivato.
Esame anatomo-patologico – All’apertura della carcassa, si
evidenziavano anemia delle masse muscolari in tutti i distretti
anatomici.
A livello intestinale si osservava la presenza di entero-tiflocolite emorragica e la sierosa viscerale appariva diffusamente
costellata da spandimenti emorragici. Si rinveniva inoltre nel
lume intestinale un agglomerato compatto di mucosa intestinale
mista a sangue e feci.
A livello abomasale, la sierosa viscerale appariva anemica e in
trasparenza si osservava contenuto liquido di colore normale.
La sierosa viscerale ruminale appariva uniformemente pallida
con presenza di soffusioni estese a livello della giunzione fra
sacco dorsale e ventrale. Il contenuto ruminale non presentava
alterazioni di colore.
All’apertura del sacco pericardico si osservano emorragie diffuse
a livello epicardico. Al taglio, le emorragie interessavano sia il
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
miocardio che l’endocardio.
Esame istologico – All’esame microscopico si poteva osservare
quadro emorragico grave generalizzato diffuso con lesioni più
evidenti a livello cardiaco, intestinale e linfonodale. Il cuore
presentava diffuse emorragie sub endocardiche e miocardiche. A
livello intestinale era presente grave e diffusa enterite emorragica
transmurale. I linfonodi si presentavano gravemente depleti con
emorragie multiple a livello del tessuto adiposo e connettivo
peri-linfonodale e trombosi vasale. Foci emorragici erano inoltre
presenti a livello polmonare e splenico. Si potevano inoltre
osservare foci di degenerazione torbida degli epatociti.
CASO 2/2010 riferito a BVDV tipo II – L’anamnesi riportava la
morte improvvisa di un vitello di razza piemontese femmina di
età di circa 4 mesi.
Esame anatomo-patologico – All’apertura della carcassa
subitterica si rilevavano estese soffusioni a livello della muscolatura
scheletrica superficiale e profonda con diffuse petecchie anche a
carico delle sierose peritoneali.
A livello renale presenza di glomerulonefrite acuta e di sangue nelle
urine. Il parenchima epatico presentava fenomeni degenerativi.
In sede toracica si osservava broncopolmonite catarrale subacuta
bilaterale apicale e media e all’apertura del sacco pericardico si
evidenziavano emorragie diffuse a livello epicardico.
Esame istologico – All’esame microscopico si poteva osservare
un quadro generale di stasi ematica ed emorragie diffuse evidenti
soprattutto a livello polmonare, cardiaco, splenico ed intestinale.
Il polmone presentava una broncopolmonite cronica diffusa
associata a presenza di globuli rossi e fibrina all’interno degli
alveoli ed il cuore foci emorragici sub epicardici. A livello intestinale
era presente diffusa enterite linfoplasmacellulare con presenza
di materiale di desquamazione, fibrina e globuli rossi all’interno
del lume intestinale. La milza presentava splenite emorragica
diffusa.
Si poteva inoltre osservare lieve colangioepatite cronica
multifocale associata a foci di necrosi centrolobulare.
CASO 3/2010 riferito a BNP– L’anamnesi riportava l’insorgenza
della sintomatologia riferibile a sindrome emorragica dopo due
giorni dalla nascita. Il vitello, di razza meticcio-piemontese,
presentava croste cutanee con facile tendenza al sanguinamento
e diarrea emorragico. L’animale era stato immediatamente
sottoposto a terapia intensiva con vitamina K, mantenendo
inalterato l’appetito e la vitalità fino alla morte sopraggiunta
nell’arco di cinque giorni. La madre era stata vaccinata al 4°
mese di gestazione con vaccino inattivato.
Esame anatomo-patologico – Esiti di sanguinamento profuso
per lesioni di modica entità erano presenti a livelli cutaneo
in differenti distretti anatomici. Le mucose apparenti erano
marcatamente anemiche e presentavano emorragie puntiformi.
Emorragie profuse e spandimenti erano evidenti a livello della
regione interscapolare in corrispondenza del sito di inoculo
di un precedente trattamento farmacologico e a livello di altri
distretti muscolari (dorso, arti, torace). All’apertura della cassa
toracica, si osservava pallore diffuso del parenchima polmonare.
Il miocardio, diffusamente pallido, era costellato di petecchie. La
pleura parietale presentava soffusioni e spandimenti emorragici.
Era inoltre evidente un modesto spandimento emorragico a livello
della parete del IV stomaco.
Esame istologico – All’esame microscopico si poteva osservare
grave quadro emorragico generalizzato diffuso con lesioni più
evidenti a livello cardiaco e muscolare.
Il cuore presentava foci emorragici sub endocardici e miocardici
associati a miocardite subacuta multifocale. A livello muscolare era
presente grave miosite multifocale associata a foci emorragici.
Foci emorragici erano inoltre presenti nel polmone a livello
subpleurico e nella milza a livello subserosale.
Discussione
Recentemente, sono stati messi in atto provvedimenti di
sospensione volontaria e temporanea della vendita di un vaccino
inattivato, utilizzato in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.
Questa misura di natura transitoria è stata adottata quale intervento
precauzionale per valutare il possibile coinvolgimento di questo
vaccino nell’insorgenza della BNP. Attualmente sono poche e
frammentarie le conoscenze su questa patologia emergente.
Inoltre, non è ancora stato definito un quadro patologico
attribuibile a BNP e pertanto, la distinzione di questi casi da altre
patologie a carattere emorragico viene fatta esclusivamente
sulla base di pochi e specifici criteri anamnestici e clinici. Nei due
casi da noi descritti, infatti, erano presenti queste caratteristiche:
la vaccinazione delle madri nei primi mesi di gravidanza con il
vaccino inattivato sottoposto a sospensione volontaria e la
presenza di sanguinamenti spontanei a livello cutaneo.
Il caso, riferibile invece ad infezione da BVDV tipo II, si discostava
dagli altri due per il periodo di insorgenza dei sintomi e l’età più
avanzata dell’animale.
Dal punto di vista anatomo-patologico, tutti e tre i quadri erano
sovrapponibili, mentre i reperti istopatologici erano in linea con
quanto riportato in bibliografia (4), relativamente al riscontro
di deplezione linfoide a livello linfonodale, emorragie a livello
cardiaco, splenico e flogosi a carattere emorragico a carico di
vari distretti dell’apparato gastro-enterico. Tuttavia, a causa del
numero limitato di casi osservati, non si possono ancora definire
con certezza lesioni patognomoniche riferibili a BNP e distinguibili
da BVD in forma trombocitopenica.
I case reports descritti rappresentano la prima segnalazione di
BNP in Piemonte e in particolare su bovini di razza piemontese.
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Abstract
Recently, a disease, resulting in unexplained bleeding from the
skin, nares, mouth, rectum or injection sites and ear tags was
diagnosed in less than 3 weeks old calves. It was reported in
both dairy and beef herds and similar cases were described
in mainland Europe (England, Scotland, Belgium, Germany,
Netherlands). Here we describe two episodes of bovine neonatal
pancytopenia (or bleeding calf syndrome) comparing with a case
of BVDV type II infection. This is the first BNP report in Piedmont
Region regarding piedmont-breed calves.
140
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VALUTAZIONE COMPARATIVA DI REAL-TIME PCR E PCR END-POINT PER LA RICERCA DI VTEC
(VEROTOXIN ESCHERICHIA COLI) IN MATRICI ALIMENTARI
Berta V., Bertasi B., Botrugno R., Ferrari M., Coffinardi F. Daminelli P., Losio M.N
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologia Acidi Nucleici Applicata Agli Alimenti, Brescia
Key words: VTEC, Escherichia coli, multiplex
SUMMARY
One of the main human and warm-blooded animals species
of microbic intestinal flora is Escherichia coli. There are some
pathogen strain, like EHEC (Enterohemorrhagic Escherichia coli)
among which the most important is serotype O157:H7,
known also as VTEC (Verotoxin Escherichia coli). The main
source of these bacteria is gastric-intestinal tract of ruminants
(cattle and buffalo). The pathogen transmission is oro-fecal
type. In food industry, the main danger is caused by the contact
between food and feces, for example meat during slaughtering
and milk during milking. To find VTEC in food is used multiplexPCR as molecular biology method. Recently Real-time PCR
method is supplanting the traditional PCR end-point. The aim of
this work has been the creation of a multiplex Real-time PCR and
the following comparison to multiplex PCR end-point.
Per quanto riguarda il settore alimentare, il pericolo maggiore
di contaminazione è rappresentato dal contatto delle feci con la
matrice alimentare; esempi tipici di fonti di contaminazione sono
il latte durante la fase di mungitura e la carne al momento della
macellazione. Gli alimenti contaminati (carne macinata, latte
crudo, insaccati stagionati, ortaggi) rappresentano il principale
veicolo d’infezione nell’uomo. La sintomatologia principale è
rappresentata dalla diarrea non specifica che, nei casi più gravi,
può portare alla CE (colite emorragica), alla SEU (sindrome
emolitico-uremica) e alla TTP(porpora trombocitopenia).(6) Dal
punto di vista della sicurezza alimentare e di una corretta analisi
del rischio, risulta necessario valutare la presenza di ceppi di
Escherichia coli patogeni all’interno degli alimenti. Tale valutazione
dovrebbe essere imprescindibile dalla ricerca diretta dei fattori
di patogenicità, rappresentati ad esempio dai geni codificanti
VT e proteine di adesività . Le metodiche di biologia molecolare
possono essere applicate come sistema di screening dei VTEC
per le loro caratteristiche di sensibilità, di specificità e di rapidità. A
tal proposito, le reazioni di PCR-multiplex permettono di ottenere
più informazioni, essendo in grado di identificare nella medesima
reazione più di un target contemporaneamente (5). In tempi recenti
la metodica della real-time PCR sta lentamente soppiantando le
tradizionali metodiche di PCR end-point per diverse motivazioni
tra le quali: la maggior rapidità, sensibilità, valutazione del risultato
in fase di svolgimento della reazione, limitazione di fasi manuali
etc. In relazione a quanto descritto, obbiettivo del presente lavoro
è stato la messa a punto di una metodica di real-time PCR e la
successiva comparazione di questa metodica con la PCR endpoint utilizzata per la medesima determinazione.
INTRODUZIONE
Escherichia coli è una delle specie principali di batteri inclusa nella
flora microbica intestinale dell’uomo e degli animali a sangue
caldo. Nella maggior parte dei casi non provoca malattie ed è da
sempre considerato indice di contaminazione fecale dell’acqua e
degli alimenti. Esistono comunque nell’ambito della specie alcuni
ceppi patogeni; tra questi assumono particolare importanza, dal
punto di vista diagnostico e della sicurezza alimentare, i ceppi
enteroemorragici (EHEC Enterohemorrhagic Escherichia coli),
il cui rappresentante principale è il sierotipo O157:H7 (1). Le
proprietà patogene di questi ceppi sono legate alla capacità di
produzione d’intimina e di tossine Shiga-like. Queste ultime sono
esotossine simili a quelle sintetizzate da Shigella dysenteriae 1,
codificate dai geni STX 1, STX 2 (Shiga –like toxins). Le tossine
Shiga-like sono chiamate anche verocitotossine perché in grado
di dare effetto citotossico in cellule VERO. L’intimina invece, è
coinvolta nel processo di adesione del batterio alla mucosa
intestinale durante la fase d’infezione ed è codificata dal gene eae
(4). In base a queste caratteristiche, gli EHEC possono essere
indicati con l’acronimo STEC (Shiga-like toxin Escherichia coli)
o VTEC (Verotoxin Escherichia coli). All’interno del gruppo dei
VTEC, gli EHEC rappresentano i ceppi che, oltre alla capacità
di produrre le VT, sono in grado di determinare lesioni alle cellule
epiteliali intestinali grazie al fenomeno attaching/effacing (A/E,
Adesione-distruzione) ovvero l’adesione del batterio alle cellule
e conseguente distruzione dei microvilli intestinali (3). Come
già accennato, la capacità di adesione è dovuta alla presenza
della proteina intimina sintetizzata a partire dalla sequenza
genica denominata eae. La patogenicità maggiore è in generale
associata a quei microrganismi che presentano sia capacità di
adesione sia capacità di produrre le tossine poiché aderendo
all’epitelio intestinale sono in grado di resistere ai movimenti
peristaltici ed esplicare l’azione patogena direttamente a
contatto con le cellule ospiti; in realtà esistono anche casi in cui
è meno probabile che insorga la patologia, per la presenza di
batteri in grado di produrre tossine, ma non di aderire alla parete
intestinale. Il serbatoio naturale principale di questi batteri è tratto
gastro-intestinale dei ruminanti, in particolare dei bovini e bufalini.
La trasmissione dei VTEC avviene mediante il circuito oro-fecale.
MATERIALI E METODI
I primers sono diretti verso i medesimi geni target della real-time
ma presentano sequenze differenti dagli stessi. Per effettuare il
confronto fra le 2 metodiche sono stati analizzati n. 452 campioni
rappresentati soprattutto da prodotti caseari e, in misura minore,
da prodotti a base di carne e tamponi ambientali. La messa a
punto della real-time PCR multiplex è stata effettuata utilizzando
e combinando le seguenti variabili:
Tabella 1: variabili per la messa a punto della real-time PCR
Numero cicli
Conc.
Primers (µM)
Conc. Sonde
(µM)
Volume finale
di reazione
Strumenti
141
40
45
0.3
0.9
0.1
1.8
25
50
A.B. StepOne Realtime PCR
A.B.7300
Real-time PCR
1.5
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I primers utilizzati per la reazione hanno come target STX 1, STX2
ed eae; il profilo termico selezionato alla fine delle prove è stato il
seguente: denaturazione iniziale a 50°C per 2 min seguito da 45
cicli di 95°C per 10 sec, 95°C per 15sec,60°C per 1min.
Le sequenze geniche dei primers e delle sonde utilizzate,
provenienti dal centro di riferimento comunitario per l’Escherichia
coli, vengono di seguito riportate:
La presenza di dati discordanti può essere dovuta alla diversità del
disegno dei primers, nonostante essi siano diretti verso il medesimo
gene. La PCR end-point può creare problemi d’interpretazione
del risultato in quanto l’utilizzo di diversi tipologie di Taq polimerasi
può aumentare l’aspecificità o contribuire alla diminuzione della
sensibilità della PCR stessa rispetto alla metodica della real-time,
che si è dimostrata essere molto più ripetibile. In PCR end-point
possono essere associati alla presenza di bande aspecifiche,
oltre alle diverse tipologie di Taq polimerasi, anche le dimensioni
dei primers utilizzati.
La messa a punto della PCR multiplex risulta fondamentale come
metodo di screening, finalizzato alla ricerca dell’intero gruppo dei
VTEC e non solo ai ceppi maggiormente patogeni (es.O157:H7).
La PCR consente quindi un alleggerimento della mole di campioni
analizzati giornalmente rilevando in modo rapido la presenza
degli stessi mediante la ricerca contemporanea dei tre geni che
ne esprimono la patogenicità.
La ricerca dei VTEC, anche non patogeni, consente quindi
l’individuazione delle eventuali fonti di contaminazione all’interno
del processo produttivo e quindi la rilevazione di punti critici nelle
attività principali all’interno dell’azienda. Questo studio, eseguito
mediante l’applicazione di Real-time PCR, può contribuire di
conseguenza ad effettuare non soltanto valutazioni diagnostiche
ma soprattutto epidemiologiche per valutare siti d’ingresso
dei patogeni, matrici e processi maggiormente soggetti a
contaminazione ecc. L’utilizzo di un metodo tanto più rapido
e sensibile si adatta inoltre al controllo dei prodotti alimentari
dotati di shelf-life molto breve, che richiedono tempi di risposta
altrettanto veloci; lo screening iniziale permette di dichiarare
l’eventuale conformità del prodotto e l’idoneità alla vendita molto
più rapidamente delle tradizionali metodiche microbiologiche.
Il presente lavoro rappresenta però solo uno step iniziale; gli
stadi successivi potrebbero essere rappresentati dallo sviluppo
di metodiche real-time destinate alla rilevazione di sierotipi
verocitotossici quali O26, O111, O145 ed O103, allo scopo di
eseguire determinazioni più mirate dei patogeni a seguito dello
screening generale in cui sono state riscontrate positività (2).
La ricerca dei singoli sierotipi patogeni potrebbe contribuire
all’esecuzione di un’analisi del rischio più completa rispetto alla
sola valutazione della presenza di O157:H7, tradizionalmente
portata avanti fino al momento attuale mediante metodiche
ufficiali.
Tabella 2: sequenze primers e sonde real-time PCR
SEQUENZE PRIMERS
eae F 5’-CATTGATCAGGATTTTTCTGGTGATA -3’
eae R
5’- CTCATGCGGAAATAGCCGTTA -3’
STX1 F 5’-TTTGTYACTGTSACAGCWGAAGCYTTACG -3’
STX1 R 5’-CCCCAGTTCARWGTRAGRTCMACRTC -3’
STX2 F 5’- TTTGTYACTGTSACAGCWGAAGCYTTACG -3’
STX2 R 5’- CCCCAGTTCARWGTRAGRTCMACRTC -3’
SEQUENZE SONDE
EAE 5’- ATAGTCTCGCCAGTATTCGCCACCAATACC -3’
STX1 5’-CTGGATGATCTCAGTGGGCGTTCTTATGTAA -3’
STX2 5’- TCGTCAGGCACTGTCTGAAACTGCTCC -3’
Per quanto riguarda la PRC multiplex end-point, il profilo termico
è il seguente: denaturazione iniziale a 94°C per 2 min seguito da
35 cicli di 56°C per 1 min e 30 sec, 72°C per 30 sec. L’estensione
finale viene eseguita a 72°C per 7min.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Tabella 3: risultati del confronto tra PCR end-point e Real-time
PCR
Risultati
PCR
endpoint
Real-time
PCR
N.
campioni
ripartiti
negativo
negativo
340
positivo
positivo
negativo
positivo
negativo
negativo
positivo
positivo
1
11
67
33
N.
campioni
totali
%
sul
tot
BIBLIOGRAFIA
1) Bertasi B.,Agnelli E.,Pavoni E.,Daminelli P.,Boni P. Ricerca
di Escherichia coli O157:H7 in alimenti tramite multiplex PCR.
Industrie Alimentari, (marzo 2008), anno 47-n.478 pag.276280
2) Hanlon K.A.O., Catarame T.M.G., Duffy G., Blair I.S. and
McDowell, (2004) Rapid detection and quantification of E.coli
0157/026/0111 in minced beef by real-time PCR, vol. 96, p.
1013-1023
3) Molina-Romanzi AM. Microbiologia clinica, UTET 2002,
cap.7 pag 20-21
4) Normanno G., Escherichia coli O157:H7 e altri ceppi
verocitotossici.
http://www.sicurezzadeglialimenti.it/
ecoliO157H7.htm
5) Pollanrd D.R., Johnson W.M. H.Lior, Tyler S.D., and Rozee
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in Escherichia coli by polymerase chain reaction, Journal of
clinical microbiology, vol.28(3), p.540-545
6) Vijay K., Sharma, Evelyn A., Dean-Nystrom.(2003) Detection
of enterohemorragic Escherichia coli O157:H7 by using a
multiplex real-time PCR assay for genes encoding intimin and
Shiga toxins, Veterinary Microbiology, vol.93, p.247-260
75.2%
452
112
%
sui
positivi
24.8%
0.9%
9.8%
59.8%
29.5%
Dall’analisi della tabella si evince che il 75.2% dei campioni
analizzati risultano negativi. Per quanto riguarda il restante 24.8%,
il confronto tra le due metodiche ha permesso di evidenziare che
il 29.5% dei campioni, riscontrati positivi in PCR tradizionale,
hanno dato il medesimo risultato in Real-time PCR. Viceversa
il 59.8% dei campioni ha mostrato positività solo in Real-time
PCR, deponendo a favore di una maggior sensibilità della stessa
a confronto della PCR end-point. La Real-time PCR infatti, in
seguito alle prove effettuate per la messa a punto del metodo,
è stata allestita in modo da ottenere il limite di sensibilità pari a
10^2 ufc per tutti e tre i geni bersaglio. Infine, per completare la
valutazione dei dati, una percentuale minore di campioni (solo lo
0.9%) è risultata positiva solamente alla PCR end-point.
142
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CONTAMINAZIONE DA DIOSSINE NEL LATTE CRUDO: MODELLO DI STUDIO BASATO
SULL’UTILIZZO DEL SISTEMA DI SCREENING DR-CALUX
Bertasi B., E. Moro, Gasparini M.*, Ferretti E.*, Maccabiani G., Nolli V., Fusini F., Boni P
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Tecnologia Acidi Nucleici Applicata agli Alimenti,
*Reparto Chimica degli Alimenti di Origine Animale, Brescia
Key words: latte crudo, diossine, screening, DR-Calux
SUMMARY
Related to increase of raw milk consuming, it is necessary to
control products about not only pathogens contaminations but
also about chemical contaminants. Dioxins can be present in
Italian areas, in particular in the presence of waste inceneritors
and industrial parks. Chemicals methods are usually performed
to identify dioxins, but they aren’t suitable to exute wide range
monitoring (they are very expensive and complicate). DRCalux is a rapid and sensitive screening method which allow to
detected dioxins by genetically-modified cells cultures. Dioxin-like
compounds presence are evaluated by cell culture treatment with
chemical extracted samples and chemioluminescence evaluation.
Positive results need a confirm by chemical methods. DR-Calux
is a screening test right for to carry out an investigation about
dioxin contamination diffusion in milk and also in different food
products and verify correlation between eventual dioxin presence
and geographical and industrialization features of areas of food
origins.
(7). Il controllo dei contaminanti ambientali a livello dei prodotti
agroalimentari è sempre stato appannaggio del settore analitico
chimico, mediante l’utilizzo di metodiche molto complesse
e costose, anche se molto precise dal punto di vista della
quantificazione, e che richiedono specifici standard per ciascuna
delle sostanze ricercate. In relazione alle caratteristiche di queste
metodiche esse sono sempre state sfruttate per analizzare
campioni provenienti da segnalazioni precise e sospettati di
non conformità per la presenza di contaminanti ambientali; fino
al momento attuale risultava impensabile un’applicazione di tali
metodiche a piani di monitoraggio per conoscere la effettiva
diffusione della contaminazione da composti diossina simili nella
realtà italiana. La possibilità di utilizzare sistemi di screening,
sancita dalla direttiva 2002/69/EC (4), rende possibile utilizzare
questi sistemi per effettuare indagini su larga scala e conoscere
il territorio ed i fattori di rischio connessi alla contaminazione da
diossine. Nella direttiva vengono descritti i criteri di accettabilità
dei test di screening; essi devono presentare falsi negativi
inferiori all’1% e precisione inferiore al 30%. Il sistema DR-Calux
è basato sull’utilizzo di una linea cellulare ingegnerizzata, in grado
di evidenziare la presenza di diossina mediante meccanismi di
trasduzione del segnale. Un recettore a livello intracitoplasmatico
lega i composti diossina simili e li trasporta all’interno del nucleo,
stimolando il gene esogeno che codifica per l’enzima luciferasi;
la produzione di luciferasi dose-dipendente viene evidenziata
attraverso l’aggiunta di un substrato chemioluminescente (2).
Tale metodica presenta tutte le caratteristiche elencate per i
sistemi di screening a livello legislativo comunitario. Obiettivo del
presente lavoro è stato quello di applicare il sistema DR-Calux ad
un monitoraggio eseguito in regione Lombardia per il controllo del
latte crudo (3), per verificarne l’adattabilità del metodo ad eseguire
studi epidemiologici relativi alla valutazione delle contaminazioni
su larga scala.
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni la popolazione dei consumatori ha dimostrato di
aver modificato la propria concezione di alimento, il quale viene
considerato non più semplicemente un fattore indispensabile alla
sopravvivenza ma una fonte nutritiva che può presentare anche
del valore aggiunto. A prescindere dunque dagli alimenti che
vengono definiti “funzionali”, esiste una forte tendenza all’acquisto
e consumo di alimenti poco o per nulla manipolati, il cui valore
aggiunto, nella percezione della popolazione, è rappresentato dal
fatto che essi si avvicinano di più all’idea di prodotto “naturale”.
Queste nuove richieste di mercato non possono essere avulse
da un’evoluzione dei concetti di sicurezza sanitaria; esse
rendono necessario un’adeguamento dei controlli ad eventuali
nuovi prodotti, la messa a punto di nuove metodiche ed infine
l’individuazione di nuove fonti di rischio. Uno di questi alimenti
poco manipolati ed appartenenti alla cosidetta “catena corta”, la
cui richiesta risulta in continua crescita, è rappresentato dal latte
crudo. Questo alimento, a causa delle caratteristiche intrinseche e
del processo di produzione, ha già richiesto per altro cambiamenti
nel campo dei controlli microbiologici, orientati verso metodiche di
biologia molecolare in quanto in grado di dare indicazioni nell’arco
di tempi brevi, compatibili con la shelf-life del prodotto (1). Per
quanto riguarda invece i contaminanti ambientali dovrebbe
essere prestata particolare attenzione alle diossine ed ai composti
diossina simili, composti aromatici derivati da combustioni
incomplete a livello di inceneritori ed impianti industriali. Gli effetti
tossici legati all’introduzione di diossina nell’organismo possono
essere diversi: negli animali sono riscontrabili perdita di peso,
atrofia del timo, immunosoppressione, epatotossicità, lesioni
dermiche, cancerogenicità, e problemi di riproduzione; non tutti
questi effetti risultano evidenziabili anche nell’uomo. Le diossine
sono composti altamente persistenti, che possono depositarsi e
rimanere per lungo tempo nel suolo e sui prodotti vegetali; a causa
della struttura molecolare tendono ad accumularsi nel grasso e
di conseguenza si trasmettono attraverso la catena alimentare.
Date le premesse il latte crudo può essere considerato un
alimento a rischio per la presenza di queste sostanze tossiche
MATERIALI E METODI
Nell’ambito del monitoraggio del latte crudo eseguito in Lombardia
durante l’anno 2009, sono stati raccolti 274 campioni da differenti
zone. In particolare, nelle aree maggiormente industrializzate
del Nord d’Italia, in cui la probabilità di riscontrare la presenza
di diossine è elevata, sono stati prelevati 126 campioni suddivisi
nelle province di Bergamo, Brescia e Milano. La line cellulare
H4IIE di epatoma di ratto e di protocolli di esecuzione dello
screening, sono stati forniti dal laboratorio BDS (BioDetection
Systems , Netherland).
I campioni di latte vengono sottoposti ad un ciclo di estrazioni
chimiche mediante una miscela di etere etilico ed esano, seguita
da agitazione meccanica. L’estratto viene purificato su colonne
di silice attivate con sodio solfato e addizionate di acido solforico.
Il campione viene successivamente evaporato e risospeso in
DMSO (Dimetil- solfossido). La linea cellulare viene mantenuta in
terreno MEM e trasferita in piastre a 96 pozzetti; al raggingimento
del 95% di confluenza, è possibile eseguire il trattamento con i
campioni provvenienti dall’estrazione chimica. In piastra vengono
inseriti oltre i campioni controlli positivi e negativi di estrazione e
di reazione oltre ad una serie di standard forniti dal laboratorio
di origine del sistema. In presenza di diossina la linea cellulare
143
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
produce luciferasi che a contatto con l’apposito substrato (
luciferina) emette chemioluminescenza misurabile attraverso un
luminometro. La concentrazione di diossina viene quantificata
comparando l’attività della luciferasi indotta dal campione rispetto
agli standards. L’elaborazione dei dati viene eseguita mediante
un foglio di calcolo fornito da BDS che produce i risultati in pg
TEQ per grammo di grasso. Il TEQ rappresenta la tossicità
equivalente, data dal prodotto tra la concentrazione di sostanze
capaci di generare lo stesso effetto tossico e il TEF ( Fattore di
tossicità equivalente stabilito da WHO per ciascuna sostanza). (6)
RISULTATI E DISCUSSIONE
Tabella 1: Numero di campioni positivi riscontrati durante il
monitoraggio in regione Lombardia (unità di misura livelli di
soglia = pg TEQ/g grasso)
Totale
campioni
D<2
2≤D<3
3≤D<4
D≥4
274
223
36
10
5
L’analisi dei dati localizzata in aree specifiche del territorio
rappresenta un esempio di applicazione del sistema DR-Calux a
studi di tipo epidemiologico; grazie a queste valutazioni è possibile
studiare l’eventuale correlazione presente tra le caratteristiche
geografiche ed industriali di una determinata zona e l’eventuale
contaminazione dei prodotti agricoli ottenuti in situ. La corretta
interpretazione di questi informazioni e di conseguenza una più
mirata analisi del rischio deve necessariamente basarsi anche
sui dati di conferma, in particolare nella fase preliminare di utilizzo
del sistema DR-Calux sul territorio; sino al momento attuale infatti
riisultava assai difficoltoso eseguire analisi su larga scala con le
metodiche chimiche, assolutamente sensibili e specifiche , ma molto
complesse, costose ed inadatte a studi di monitoraggio.
In tabella 1 vengono conteggiati i campioni considerati positivi
nello screening in cui come livello soglia è stato selezionato il
valore 2 pg TEQ/g grasso, corrispondente al livello di attenzione
come descritto nella normativa…..La scelta di considerare
quale soglia il valore 2, è stata effettuata, in primo luogo, per
operare in condizioni di maggiore sicurezza in quanto il limite
di legge per la contaminazione di diossina nel latte è pari a 3
pg TEQ/g grasso. L’applicazione di questo test di screening
prevede la successiva conferma con Gascomatografia ad alta
risoluzione in Spettrometria di Massa (GC/HRMS); considerare il
livello di attenzione come soglia per definire I campioni destinati
a conferma, permette di estendere i margini di controllo sul
confronto tra I risultati ottenuti con il biotest cellulare e quelli dati
dal metodo chimico. Le caratteristiche del monitoraggio (di tipo
conoscitivo), non erano in conflitto con la selezione del valore
limite precedentemente indicato.
Dalla tabella 1 è possibile evidenziare come i campioni al disopra
del 2 corrispondano al 18 % del totale mentre quelli al disopra
del limite di legge sono pari al 5,5%. La numerosità dei campioni
positivi non risulta ancora sufficiente per trarre conclusioni rigurdo
al rischio connesso alla contaminazione da diossina; inoltre è
necessario sottolineare che ciascuno di questi campioni deve
essere sottoposto a conferma per verificare l’effettiva presenza
di diossina. Esiste infatti la possibilità che ci siano degli esiti
discordanti fra i dati prodotti da DR –Calux e quelli provenienti dalla
GC/HRMS, in relazione alla diversa composizione delle miscele di
contaminanti ambientali. I dati ottenuti dalle due metodiche sono
tanto più simili quanto più il rapporto diossina/ composti diossina
simili all’interno di una miscela risulta elevato (5).
Considerato che le aree a più alta industrializzazione presenti
in Italia si concentrano in Lombardia e più precisamente nella
province di Bergamo, Brescia e Milano, si è ritenuto interessante
confrontare i risultati ottenuti nelle rispettive province. Durante
il monitoraggio, sono stati prelevati 31 campioni nella provincia
di Bergamo, 31 nella provincia di Brescia e 64 nella provincia di
Milano. Dalla figura 1 si osserva che in provincia di Bergamo il
13 % dei campioni totali supera il valore di 2 pg TEQ/g grasso
ma rimane sotto il limite di legge mentre il 3 % supera il limite di
legge; nella figura 2 è rappresentata la situazione nella provincia
di Brescia dove il 3 % dei campioni totali supera il valore di 2 pg
TEQ/g grasso ma non oltrepassa il limite di legge ed il 6 % supera
il valore di 4 pg TEQ/g grasso; in figura 3 è stata considerata la
situazione in provincia di Milano dove ben il 23 % dei campioni è
compreso nell’intervallo fra 2 e 3 pg TEQ/g grasso mentre il 10 %
del totale va oltre il limite di legge.
BIBLIOGRAFIA
1) Bertasi B., Corneo P.E., Daminelli P., Finazzi G., Zanardini N.,
Agnelli E., Losio M.N. Boni P. Consumo di latte crudo: valutazione
del livello di esposizione ai principali patogeni batterici attraverso
metodiche colturali e biomolecolari. Industrie Alimentari, settembre
2008, anno 47 n°483
2) Bovee T.F.H., Hoogenboom L.A.P., Hamers A.R.M., traag W.A,
Zuidema T., Aarts J.M.M.J.G., Brouwer A., Kuiper H.A. Validation
and use of the Calux-bioassay for the determination of dioxins
and PCBs in bovine milk. Food Additives and Contaminants,
1998, vol.15, N° 8, 863-875
3) Circolare 13/SAN del 13 aprile 2007 “Vendita diretta al
consumatore di latte crudo vaccino, ovi-caprini e bufalini
nell’azienda agricola di produzione – Modifiche e integrazioni
alle Circolari n.39/SAN del 17 novembre 2004 e n.20/SAN del 24
maggio 2005” - Precisazioni
4) Commission Directive 2002/69 EC, of 26 July 2002, laying
down the sampling methods and methods of analysisi for the
official control of dioxins and the detrmination of dioxin-like PCBs
in foodstuff. Official journal of European Community 6.8.2002 EN,
L 209/5
5) Scippo M.L., Eppe G., Maguin-Rogester G., De Pauw E.
Evaluation of the DR-Calux bioassay for the determination
of dioxins in food and feed according to the requirements of
the commission directives 2002/69 and 2002/70 respectively.
Organohalogen compounds, 2003, vol 60-65
6) Van den Berg M., Birnbaum L. S., Denison M., De Vito M.,
Farland W., Feeley M., Fiedler H., Hakansson H., Handberg A.,
Haws L., Rose M., Safe S., Schrenk D., Tohyama C., Tritscher A..,
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Health Organization Re-evaluation of Human and Mammalian
Toxic Equivalency Factors for Dioxins and Dioxin-like Compound.
ToxiSci Advance Access published July 7, 2006, 1-56
7) Van Overmeire I., Chu M., Brown D., Clark G., Carbonelle S.,
Goeyens L.. Application of the Calux bioassay for the determination
of low TEQ values in milk samples. 2001 Organohalogens
Compound 45.
144
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
NUMERAZIONE DI CAMPYLOBACTER SU CARCASSE DI BROILER CON METODO UNI EN ISO 102722:2006 A CONFRONTO CON METODO SIMPLATE® (BIOCONTROL SYSTEMS)
Bilei S1., Bogdanova T1., Flores Rodas E. M. 1, Greco S1. De Santis P1., Cesarano D1., Di Domenico I1., Mussino M.2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
2
Biocontrol Systems S.p.A. – Roma
KEYWORDS: Campylobacter, broiler, PCR
ABSTRACT
The study reports the results from determination of the title
on 300 samples from carcasses of broilers by UNI EN ISO
10272-2:2006 method and Simplate® method. We compared
two methods using Realtime PCR molecular method as
Gold Standard. The use of a multiplex PCR method allowed
to compare the results of the two methods regarding their
ability to isolate the species of Campylobacter pathogens.
caso di esito confermato, essendo stata eseguita la prova
in PCR non sui singoli ceppi batterici isolati ma su un pool
degli stessi, il risultato ottenuto con il metodo ISO è stato
ricalcolato come se fosse stata confermata un’unica colonia
di quelle precedentemente sezionate per la conferma
microbiologica. Il metodo SimPlate®, il cui principio mette
in relazione i Campylobacter presenti a specifiche attività
metaboliche, si basa su una reazione colorimetrica in
piastre a pozzetti che contengono un terreno disidratato
pronto all’uso, specifico per C. jejuni e C. coli. I pozzetti
con colorazione rossastra sono considerati presunti positivi
per la presenza di Campylobacter. La loro osservazione con
lampada UV consente di confermare come positivi quelli che
non fluorescono. Il metodo PCR realtime è stato eseguito
sia su pool di pozzetti positivi che negativi. Nel caso di
ottenimento di un risultato negativo con PCR realtime è stato
considerato tale anche il risultato positivo precedentemente
ottenuto con SimPlate®. I campioni positivi alla PCR realtime
prodotti con entrambi i metodi sono stati sottoposti a PCR
multiplex (1) per l’identificazione di specie. Gli studi statistici
sono stati eseguiti con un test statistico non parametrico
mediante il software statistico STATA 9.2 (www.stata.com).
INTRODUZIONE
Nell’ultimo triennio, nell’Unione Europea, Campylobacter
è risultato uno dei principali agenti di zoonosi di origine
alimentare. Nel 2008 la campilobatteriosi si è dimostrata
essere la causa di infezioni gastroenteriche nell’uomo con
190.556 casi confermati (4). In Italia non esistono dati reali
sull’incidenza dell’infezione alimentare, non essendo i casi
di gastroenterite da Campylobacter spp, distinti da quelli
riguardanti le altre infezioni inserite nella classe IV del D.M.
15 dicembre 1990 “Infezioni, tossinfezioni e infestazioni di
origine alimentare”. A seguito della Direttiva 2003/99/CE (2)
è stata emanata la Decisione 516/2007 (3) che definisce gli
aspetti tecnici e finanziari inerenti uno studio che riguarda
la diffusione di Campylobacter e Salmonella nelle carcasse
di pollo. Tenuto conto di tale contesto si è avviata nel Lazio
un’attività che consentisse di ottenere valori di prevalenza
e di contaminazione di Campylobacter su carcasse di
broiler allevati e macellati nella Regione. Si è poi proceduto
ad un confronto delle performance fra il metodo ufficiale,
la UNI EN ISO 10272-2:2006 e un metodo proposto dalla
Biocontrol Systems denominato SimPlate® Campylobacter
utilizzando come Gold Standard un metodo biomolecolare in
PCR realtime validato AOAC (Certificate n. 050603:2006).
Il successivo impiego di un metodo PCR multiplex non
validato ha permesso di confrontare i risultati dei due metodi
relativamente alla loro capacità di isolare le diverse specie
di Campylobacter patogeni.
RISULTATI
L’impiego del metodo ISO ha fatto registrare il 97%
(291/300) di prevalenza di carcasse avicole contaminate da
Campylobacter spp contro il 68% (184/271) ottenuto con il
SimPlate, con un accordo fra i due metodi del 65%.
La prova PCR realtime, applicata su pool di ceppi isolati
da 282 dei 291 campioni risultati positivi alla ISO, ha
confermato il precedente esito diagnostico in 180 campioni
(64%), mentre la stessa prova eseguita su 180 dei 184
campioni risultati positivi al SimPlate ne ha confermati 171
(95%) (Grafico 1). I risultati ottenuti con entrambi i metodi
prima e dopo l’impiego della prova biomolecolare non sono
risultati statisticamente distanti fra loro (p=0.18).
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta nel periodo compreso fra maggio
e luglio 2009 su 300 carcasse di broiler nel corso di 18 serie
successive di campionamento effettuato a conclusione
dell’attività ispettiva del veterinario ufficiale, prelevando
tessuti molli nella regione del collo in soggetti di 70 giorni.
Da ogni campione sono stati prelevati ca. 35 g di pelle di cui
10g sospesi in 90 ml di Buffered Pepton Water (BPW) per la
numerazione dei Campylobacter spp secondo la norma UNI
EN ISO 10272-2:2006 e 25g sospesi in 225 ml di Buffered
Pepton Water (BPW) per la conta di Camylobacter spp
mediante SimPLate®. Pool di ceppi batterici confermati come
Campylobacter spp con il metodo ISO sono stati sottoposti
a conferma di appartenenza al gruppo di Campylobacter
patogeni (coli, jejuni, lari) mediante metodo biomolecolare
PCR realtime (Kit genevision Campylobacter spp Warnex).
Nel caso di ottenimento di un risultato negativo con PCR
realtime si è considerato tale anche il risultato positivo
precedentemente ottenuto con il metodo ISO, mentre nel
Grafico 1. Prevalenze registrate con i metodi impiegati
I risultati della conta di Campylobacter ottenuti con entrambi
i metodi riveduti alla luce della prova PCR realtime, sono
145
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
stati raggruppati in 4 classi di frequenza del titolo espresso
in ufc/g (Grafico 2).
standard, identifica i Campylobacter patogeni (coli, jejuni,
lari) escludendo gli altri Campylobacter termotolleranti.
Solo il 64% dei positivi ottenuti con il metodo ISO sono
stati confermati riducendo la prevalenza precedentemente
registrata (-37%) diversamente per quanto accaduto per il
metodo SimPlate® che ha ottenuto, con il 95% dei risultati
positivi, la quasi totalità delle conferme. Tenendo conto
di tali esiti, i due valori di prevalenza precedentemente
valutati tendono ad un significativo riallineamento (60% e
63% rispettivamente). Se invece si considerano i risultati
negativi al metodo SimPlate® divenuti positivi con quello
biomolecolare (n=67), si registra un ribaltamento dei valori
con SimPlate® che fa registrare un tasso di prevalenza pari
al 96%.
Non avendo proceduto alla verifica con metodo colturale
della presenza di Campylobacter nei pozzetti risultati
negativi al SimPlate® ma positivi alla biologia molecolare,
non è possibile considerare definitivi tali esiti. E’ pertanto
doveroso limitarsi alle ipotesi che le positività riscontrate in
PCR realtime possano essere attribuite a Campylobacter
non vivi, che non possono essere esclusi da tale prova ma
che su SimPlate® non hanno prodotto il viraggio del colore
del pozzetto mantenendo la fluorescenza o alla possibilità
in alternativa, che tutte le positività ottenute siano riferibili
a Campylobacter lari. L’elevato numero di positivi (101) al
metodo ISO non confermati alla biologia molecolare rimanda
ai differenti target diagnostici dei due metodi impiegati.
Dal confronto fra le performance dei due metodi il SimPlate®
fornisce valori di Sensibilità, Specificità ed Accuratezza di
gran lunga migliori del metodo ISO. Tali valori si riducono
drasticamente se si considerano positivi i 67 campioni risultati
negativi al SimPlate®, con una Specificità che da 88%
scende allo 0%. La capacità del SimPlate® nel rilevare i veri
negativi deve essere dunque maggiormente approfondita
con ulteriori prove di laboratorio. Per quanto riguarda i titoli
di contaminazione osservati tenuto conto degli esiti della
prova biomolecolare, il maggior numero di campioni positivi
per entrambi i metodi si è collocato nella classe con valori
compresi tra 1 e 500 (41% metodo ISO e 43% SimPlate®).
Il valore segnalato per il metodo ISO è in parte frutto della
scelta di considerare come positiva un’unica colonia tra
quelle isolate e costituenti un pool per la conferma in PCR,
che ha determinato una riduzione del valore del titolo di
contaminazione della carcassa precedentemente calcolato.
I risultati ottenuti dalla PCR multiplex, indicano una maggiore
capacità di SimPlate® di rilevare, in linea con quanto riportato
in letteratura, Campylobacter jejuni rispetto a Campylobacter
coli diversamente da quanto fatto registrare con il metodo
ISO (Grafico 3 e 4). Per quanto riguarda i negativi ottenuti
con il medesimo metodo, si ritiene necessario un ulteriore
approfondimento diagnostico come il sequenziamento,
considerati gli alti numeri di Campylobacter spp, ipotetici
Campylobacter lari, ottenuti soprattutto con il metodo
ISO (57%). In definitiva i risultati ottenuti consentono una
valutazione sufficientemente esaustiva delle performance
di entrambi i metodi. SimPlate® ha fatto registrare la quasi
totalità di conferme dei risultati positivi mediante il Golden
Standard ottenendo parametri di Specificità, Sensibilità ed
Accuratezza più che accettabili e comunque superiori a quelli
fatti registrare dal metodo ISO che al contrario ha ottenuto
una significativa riduzione del valore percentuale di esiti
positivi di circa un terzo. Per quanto riguarda infine la modalità
d’uso di entrambi i metodi, SimPlate® si caratterizza per una
maggiore semplicità di impiego consentendo all’operatore
di seminare le diluizioni previste direttamente con un unico
Grafico 2. Risultati PCR sugli esiti positivi dei 2 metodi in
esame per classi di frequenza
I risultati della PCR multiplex sono espressi nei Grafici 3 e 4.
Grafico 3. Identificazione Campylobacter con PCR mutiplex
su pool di ceppi batterici isolati con il metodo ISO
Grafico 4. Risultati PCR multiplex su pool di ceppi batterici
isolati con il metodo SimPlate ®
DISCUSSIONE
L’elevata differenza del numero di positivi ottenuta con
entrambi i metodi in esame si può spiegare nella capacità
del metodo ISO a numerare Campylobacter termotolleranti
non distinguendo, all’interno del raggruppamento, quelli
patogeni da quelli non patogeni mentre SimPlate®, pur non
differenziandoli, numera C. jejuni e C. coli. L’impiego del
metodo validato AOAC PCR realtime, utilizzato come Gold
146
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
2003, sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli
agenti zoonotici, recante modifica della decisione 90/424/
CEE del Consiglio e che abroga la direttiva 92/117/CEE
del Consiglio. Gazzetta Ufficiale, L325, 12 dicembre,
1-15
3) Commissione Europea (CE) 2007. Decisione 2007/516/
CE della Commissione del 19 luglio 2007 riguardo
al contributo finanziario della Comunità a favore di
un’indagine da effettuare negli Stati membri relativa
alla diffusione e alla resistenza agli antimicrobici del
Campylobacter spp. nei branchi di pollo da ingrasso e alla
diffusione del Campylobacter spp. e della Salmonella spp.
nelle carcasse di pollo. Gazzetta Ufficiale L190/25
4) EFSA-ECDC: The community summary report on trends
and sources of zoonoses and zoonotic agents and foodborne outbreaks in the Europea Uninon in 2008. 28
gennaio 2010
5) Gorkiewicz, G., Feierl, G., Schober, C., Dieber, F., Koifer,
J., Zechner, R., Zechner, E.L. 2003. Species – Specific
Identification of Campylobacter by Partial 16srRNA
Gene Sequencing. Journal Clinical Microbiology, 2003
June;4(16) 2537-2546
inoculo e dal medesimo tempo di lettura in caso di completa
negatività rispetto al metodo ISO. La differenza nei tempi di
lettura sono invece particolarmente evidenti quando siano
presenti delle presunte positività, in questo caso infatti
SimPlate® richiede la sola conferma mediante lampada UV
eseguibile subito dopo la lettura della piastra mentre la ISO,
un’ulteriore incubazione di 24-48 ore delle colonie sospette
e quindi a partire dalle colture ottenute, una serie di test di
conferma che prolungano i tempi di risposta di altre 24 - 48
ore .
Le caratteristiche del SimPlate®, rivelatosi un metodo
valido sotto molti degli aspetti precedentemente trattati,
migliori di quelle osservate nel metodo ISO, indicano
che lo stesso possa essere impiegato correntemente in
laboratorio, una volta ottenuta la validazione secondo le
norme internazionali.
BIBLIOGRAFIA
1) Anonymus. ACMSF, Advisory Committee on Microbiological
Safety of Food. 2005. FSA/0986/0605 UK, Enternet
Quaterly Campylobacter Report Jan – Mar 2005/1.2006
2) Commissione Europea (CE) 2003. Direttiva 2003/99/CE
del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 17 novembre
147
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INDAGINE MICROBIOLOGICA SU CAMPIONI DI MOZZARELLA IN OCCASIONE DELL’ALLERTA
“MOZZARELLA BLU”
Bogdanova T., Flores Rodas E. M., Greco S., Tolli R., Bilei S.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Roma
KEYWORDS: mozzarella blu, Pseudomonas
ABSTRACT
In June 9, 2010 in Italy, an alert has been made about a case of
altered colour of mozzarella cheese from Germany. Following that
first case, about 30 official samples arrived to our laboratories,
from which mostly Pseudomonas spp were isolated. Also italian
dairies gave positive findings for Pseudomonas spp.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra giugno ed agosto 2010, 26 campioni
di mozzarelle di cui 22 prodotte dall’azienda tedesca Milchwerk
Jäger GmbH, coinvolta nell’allerta e 4 da altri caseifici nazionali ed
esteri, sono stati conferiti all’IZS Lazio e Toscana sede di Roma.
Si è trattato in particolare di 17 reperti di mozzarella tutti consegnati
da privati cittadini alle autorità sanitarie o ai Carabinieri, in relazione
ad evidenti alterazioni della colorazione della superficie esterna.
Dall’analisi delle etichette è risultato che 15 reperti provenivano
dal medesimo stabilimento di produzione della ditta Milchwerk
Jäger mentre i restanti 2 da altrettante aziende produttrici di cui 1
polacca ed 1 italiana.
Dei reperti consegnati, 12 erano caratterizzati dalla presenza
di confezioni aperte da cui mancava parte del prodotto perché
già consumato mentre le restanti 5, dalla presenza di confezioni
originali integre.
Gli altri 9 campioni, prelevati presso la grande distribuzione
dai Servizi Veterinari e dal Comando NAS competente per
territorio, nella maggior parte dei casi a seguito delle evidenze
analitiche di laboratorio relative alla presenza di elevate cariche
di Pseudomonas spp concomitanti a colorazioni anomale, erano
riferibili alla medesima ditta tedesca oggetto dell’allerta ad
eccezione di 2 campioni provenienti da un’altra ditta tedesca e
da una ditta italiana. Per un campione di Mozzarella Jäger è stato
disposto il vincolo sanitario a destinazione in attesa dei risultati
analitici dall’Ufficio Veterinario per gli Adempimenti Comunitari
(UVAC) di Roma.
Le richieste analitiche sono risultate inizialmente tra loro
disomogenee con indicazioni relative alla determinazione di diversi
parametri quali Salmonella, Listeria, Stafiilococchi coagulasi
positivi, Clostridi solfito riduttori, E. coli beta-glucuronidasi positivi,
fino a quando non si sono concentrate sulla sola ricerca di
Pseudomonas, Enterobacteriaceae, lieviti e muffe.
Su tutti i campioni è stato pure eseguito un esame ispettivo per
la verifica della presenza di colorazioni non proprie che hanno
consentito di osservare colorazioni bluastre che in alcuni casi
interessavano l’intera superficie del prodotto esposta all’aria e
che in altri si presentavano sotto forma di macchie rare e talvolta
tra loro confluenti.
Per la numerazione di Pseudomonas spp è stato applicato un
metodointernomentreperlanumerazionedelleEnterobacteriaceae
la ISO 21528-2:2004. Partendo da 10g di campione prelevati
sterilmente, sono stati aggiunti 90 ml di Peptone Tryptone Water
(PTW). La successiva semina delle diluizioni seriali fino a 10–5, è
stata eseguita su piastre di Pseudomonas Selective Agar (PSA)
e su Violet Red Bile Glucose Agar (VRBGA). Dopo aver incubato
a 30°C per 48 ore il PSA e a 37°C per 24 ore il VRBGA, è stato
effettuato il conteggio delle colonie caratteristiche. Le piastre di
PSA sono state esaminate anche con la lampada di Wood per
evidenziare la possibile fluorescenza delle colonie presunte
Pseudomonas. Quest’ultime sono state quindi sottoposte a
conferma biochimica mediante il sistema automatizzato VITEK®
2 COMPACT (BioMérieux). La ricerca dei lieviti e delle muffe ha
seguito una procedura interna che prevede l’impiego del terreno
colturale Sabouraud e la sua incubazione a 30°C per 120 ore.
Alcuni isolati di Pseudomonas sono stati sottoposti ad elettroforesi
in campo pulsato (PFGE), allo scopo di studiare la distribuzione
INTRODUZIONE
Nei primi giorni del mese di giugno è stato segnalato il primo caso
italiano di “mozzarella blu”. Un privato cittadino aveva denunciato
la comparsa di una colorazione anomala in una mozzarella di latte
vaccino confezionata, acquistata presso la grande distribuzione e
prodotta in Germania. In relazione a questa prima segnalazione,
il Ministero della Salute ha attivato il sistema di allerta rapido
(RASFF) diramandolo agli altri Paesi europei per consentire
il ritiro/richiamo del lotto indicato. Successivamente altri lotti
di mozzarella del medesimo produttore, sono stati oggetto di
segnalazione da parte di consumatori dopo l’acquisto, per la
comparsa di modificazioni di colore sulla superficie del prodotto
alimentare. In nessuno dei casi segnalati, sono stati registrati
danni alla salute dei cittadini.
Le mozzarelle oggetto dell’allerta, prodotte in un unico
stabilimento di produzione sito in Germania, erano vendute sotto
numerosi e diversi marchi commerciali dalla grande distribuzione.
Successivamente le segnalazioni hanno però riguardato anche
altri produttori sia nazionali che esteri.
Già le prime analisi effettuate presso gli IZS avevano individuato
come responsabile della colorazione anomala un germe
appartenente alla famiglia delle Pseudomonadaceae, genere
Pseudomonas.
Pseudomonas è un batterio di forma bastoncellare diritto o
leggermente ricurvo, con lunghezza di 1,5 ± 3 μm e larghezza
compresa tra 0,5 e 0,7 μm, mobile tramite uno o più flagelli polari,
Gram negativo, aerobio, catalasi positivo. Pseudomonas spp si
isola spesso da alimenti freschi, con elevata attività dell’acqua
(aw), dal suolo e dall’acqua che rappresentano il suo habitat
originario (1).
Tali caratteristiche consentono al germe di sopravvivere e
moltiplicare negli ambienti di lavorazione degli alimenti, come per
esempio quelli del latte e derivati. La sua resistenza ai comuni
disinfettanti, dovuta anche al glicocalice molto spesso, lo rende
uno dei componenti principali dei biofilm, difficili da eliminare una
volta insediatisi sulle superfici che possono venire a contatto con
l’alimento (4).
Molte specie sono in grado di produrre dei pigmenti idrosolubili
che possono provocare alterazioni cromatiche nei prodotti. Fra
questi i più noti sono: fluoresceina (giallo dorato), piorubina (rossomarrone), piomelanina (nero), pioverdina (verde) e piocianina
(blu-viola) (3).
A questi si associa una rara biovariante di P. fluorescens capace
di produrre un pigmento intensamente blu. Questa ultima sembra
essere presente maggiormente in mozzarelle ad acidificazione
mista o lattica piuttosto che in quelle ad acidificazione chimica
(2).
Lo scopo di questo lavoro è quello di rappresentare i dati derivanti
dall’attività di laboratorio sui numerosi campioni di
mozzarella pervenuti a seguito dell’allerta nella regione Lazio.
148
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Campioni
positivi per
Pseudomonas
spp
% Pseudomonas
spp
P. fluorescens
P. aeruginosa
Milchwerk
Jäger
22
13
59,1
13
-
Altre Aziende
4
3
75,0
1
2
Totale
26
16
61,5
14
2
Produttore
Campioni
esaminati
Tabella 2. Isolamenti di Pseudomonas spp
dei ceppi in causa ed evidenziare la loro eventuale origine
clonale.
Tabella 1. Risultati delle analisi microbiologiche distinti per
tipologia di campionamento e ditta produttrice
9,4x103
3,2x107
1,1x102
Ufficiale
7
<102
<10
3x105
1,7x102
Reperto
2
1,1x107
1x106
<102
1,4x108
Ufficiale
2
1,3x105
2,7x104
2,9x107
<102
Totale
Muffe
Enterobatteri
3,8x107
Lieviti
Pseudomonas spp.
Numero campioni
15
Produttore
Milchwerk
Jäger
Reperto
Altri
produttori
Tipo di campione
Valore medio ufc/g
DISCUSSIONE
Particolare interesse riveste l’isolamento ad alti titoli di P. fluorescens
in tutti i campioni pervenuti alterati nel colore ad eccezione
di un solo campione in cui è stato isolato P. aeruginosa e in 3
campioni reperto con confezioni integre e non alterati al momento
dell’apertura in laboratorio. Da segnalare inoltre l’isolamento di P.
aeruginosa anche in un campione ufficiale in confezione integra
non colorato. Tali risultati mettono in evidenza che Pseudomonas
può essere normalmente presente nel prodotto originale anche a
titoli elevati (10^6) come dimostrato anche in uno studio effettuato
su campioni acquistati presso la grande distribuzione e che quindi
sia le condizioni di conservazione che soprattutto la lunga shelf
life possono consentire la sua moltiplicazione ed eventualmente
la comparsa di colorazioni anomale. Richiama attenzione inoltre
il doppio isolamento in altrettanti campioni di cui 1 in confezione
integra, di P. aeruginosa. La notevole differenza di carica batterica,
tra i risultati ottenuti su campioni già aperti dal consumatore e
quelli chiusi all’origine tranne in un caso in cui all’alta carica di
Enterobatteriaceae si è associato l’isolamento di P. aeruginosa,
depone comunque su una qualità igienico sanitaria accettabile.
Da un preliminare studio finalizzato alla definizione dei profili
genetici dei ceppi di P. fluorescens mediante Pulsed Field Gel
Electrphoresis (PFGE), ha messo in evidenza la medesima
origine clonale di 4 stipiti tutti isolati dal mozzarelle prodotte
da Milchwerk Jäger. Lo stesso profilo genetico non è stato
evidenziato in nessuno degli altri ceppi sottoposti alla medesima
indagine sia nell’ambito del presente lavoro che in altri studi svolti
presso il nostro Istituto.
26
RISULTATI
La valutazione organolettica del prodotto effettuata sui campioni
al momento della loro apertura, ha messo in evidenza in 12 di
essi, tutti reperti, la presenza di colorazione blu sulla superficie.
Si trattava di 10 campioni di mozzarella prodotta dalla Milchwerk
Jäger e di 2 campioni di altrettante aziende tra loro diverse. In
un caso l’osservazione con la lampada di Wood, ha messo in
evidenza fluorescenza su un campione in confezione originale
integra aperto in laboratorio per lo svolgimento delle attività, nel
quale non si osservava alcuna colorazione anomala.
Nei 15 campioni reperto di mozzarella prodotti dalla ditta
tedesca oggetto dell’allerta, sono stati osservati i seguenti titoli
medi di contaminazione batterica: Pseudomonas spp 3,8x107;
Enterobatteri 9,4x103; Lieviti 3,2x107; Muffe 1,1x102, mentre nei
7 campioni ufficiali relativi alla medesima azienda sono stati:
Pseudomonas spp <102; Enterobatteri <10; Lieviti 3x105; Muffe
1,7x102 (Tabella 1.).
Negli altri 2 campioni reperto che si riferiscono a campioni di
mozzarella prodotte da altre aziende, i titoli medi osservati sono
stati: Pseudomonas spp 1,1x107; Enterobatteri 1x106; Lieviti <102;
Muffe 1,4x108, mentre nei restanti 2 campioni ufficiali relativi allo
stesso gruppo di produttori sono stati: Pseudomonas spp 1,3x105;
Enterobatteri 2,7x104; Lieviti 2,9x107; Muffe <102 (Tabella 1.).
In 16 dei 26 campioni analizzati, è stato isolato Pseudomonas
spp.: in particolare in 13 campioni di mozzarella Jäger, tutti reperti,
è stato isolato P. fluorescens mentre nei restanti 3 campioni di
formaggio di cui 2 reperti, prodotto presso altre aziende, un ceppo
di P. fluorescens e due ceppi di P. aeruginosa (Tabella 2.). Dei
13 campioni Jäger, 10 erano pervenuti con le confezioni aperte
così come 2 di quelli delle altre aziende. In definitiva quindi P.
fluorescens è stato isolato complessivamente in 11 campioni
reperto di mozzarella con confezioni già aperte dal consumatore
di cui 1 prodotta da una ditta italiana e le restanti 10 dalla
Milchwerk Jäger e da 3 campioni reperto con confezioni originali
integre di quest’ultima ditta. Infine P. fluorescens è stato isolato
su 11 dei 12 campioni pervenuti blu mentre su 1 è stato isolato
P. aeruginosa. Il medesimo isolamento è stato ottenuto anche su
un campione ufficiale con confezione integra e non colorato al
momento del’apertura in laboratorio.
Figura 1. Tracciati PFGE ceppi di Pseudomonas
BIBLIOGRAFIA
1) Cantoni C. et Al. “Pseudomonas fluorescens ed alterazione
di colore delle mozzarelle” Industrie Alimentari XL (2001)
giugno, pagg. 33-35
2) Cantoni C. et Al. “Pseudomonas Fluorescenti negli alimenti”
Industrie Alimentari XLII (2003) giugno, pagg. 609-612
3) Giaccone V. “Pseudomonas e prodotti lattiero caseari”
Medicina Veterinaria Preventiva suppl. al n. 32, (2010)
settembre
4) Ombaka E. A. et Al. “Influence of nutrient limitation of growth
on stability and production of virulence. Factors of mucoid and
nonmucoid strains of Pseudomonas aeruginosa. Rev Infec.
Dis. pagg 5 - 880
149
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
STUDIO DEI DATI DI MORTALITÀ DEI PICCOLI RUMINANTI PER VERIFICARE L’EFFICACIA DEL SISTEMA
DI SORVEGLIANZA DELLE TSE OVICAPRINE IN ITALIA
Bona M. C., Bertolini S., Ru G.
BEAR - Biostatistica, Epidemiologia e Analisi del Rischio - Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino
Key words: TSE, sistema di sorveglianza, mortalità
Introduzione. I primi dati sulle encefalopatie spongiformi
trasmissibili (TSE), malattie del sistema nervoso centrale, che
colpiscono sia l’uomo che gli animali, risalgono alla prima metà
del 17° secolo, con la descrizione di una malattia dei piccoli
ruminanti, la scrapie. La scrapie è una malattia naturale, a
lento e graduale sviluppo il cui esito è sempre fatale; endemica,
essa interessa quasi tutta l’Europa e il mondo.
Il controllo e la sorveglianza della popolazione ovina e caprina,
per accertare l’eventuale presenza della scrapie, sono stati
un requisito della Comunità Europea (UE) fin dal 1991. Con
il regolamento (CE) 999/2001 e successive modifiche, la
UE ha stabilito le norme per i piani di lotta e monitoraggio
in materia di TSE dei piccoli ruminanti, avviando così un
sistema di sorveglianza attiva che prevede ogni anno l’obbligo
per ogni stato membro di effettuare un numero minimo
di test a campione sui capi di età superiore ai 18 mesi,
appartenenti alle categorie regolarmente macellati e morti.
Nei paesi dell’Unione Europea, in sorveglianza attiva, la
probabilità di individuare la scrapie è molto più elevata tra i
capi morti che tra gli animali avviati alla regolare macellazione
(3,5). Per raggiungere le numerosità campionarie fissate dalla
Commissione Europea, la legislazione italiana nel corso del
2005, ha previsto l’esame sistematico di tutti i capi morti sopra
i 18 mesi di età.
Scopo del presente lavoro è stabilire se la ripartizione
geografica del numero di capi morti testati possa servire a
valutare l’efficacia del sistema di sorveglianza della scrapie. Si
è inteso inoltre valutare se il grado di sorveglianza nelle regioni
nel corso degli anni è risultato omogeneo.
Conclusioni. I risultati, pur suggerendo ampie oscillazioni
nella sorveglianza applicata, vanno interpretati con una certa
cautela perché potrebbero in realtà rispecchiare variazioni
geografiche reali nella mortalità. Altra causa di differenze
potrebbe risiedere nel confondimento per età a cui non è
stato possibile far fronte in assenza di dati sulla struttura delle
popolazioni ovicaprine considerate. inoltre un diverso grado
di attenzione nei confronti del piano di controllo della malattia
o problemi economici legati allo smaltimento delle carcasse
possono essere alla base delle differenze osservate con il
risultato di invalidare parzialmente i dati di sorveglianza.
Summary. Reg. (EC) 999/2001 fixed the rules for active
surveillance plans on TSEs of sheep and goats in the EU
Member States. Even in Italy, the prevalence data for risk
category confirmed that the probability of detection of the
disease is much higher among fallen stock to the healthy
slaughtered. Quite large differences in the geographical rate
of fallen stock testing has been shown. The aim of our work
was to verify whether the distribution of the number of animals
tested as fallen stock can be used to evaluate the effectiveness
of the monitoring system of scrapie.
Bibliografia
1.
2.
3.
Metodi. Il numero osservato di animali morti e testati per scrapie,
suddiviso per anno e regione, è stato ricavato dal database
nazionale della sorveglianza della scrapie, considerando
il periodo che va dal 1 gennaio 2006 al 31 dicembre 2009.
Come denominatore per il calcolo della mortalità regionale
osservata è stata utilizzata la popolazione adulta allevata
ISTAT (stime campionarie periodiche). In base ai dati ricavati
dalla letteratura è stata considerata una mortalità minima
attesa, per gli animali adulti, pari al 4% della popolazione
adulta totale (1,2). Il grado di sorveglianza raggiunto per
singola regione è stato calcolato come rapporto percentuale
tra il numero di morti osservato e il numero atteso. I dati
raccolti sono stati analizzati con software statistico Stata10.1
4.
5.
Risultati. La malattia mostra tassi di prevalenza mediamente
4 volte più alti tra gli animali trovati morti (20,0 IC 95% 17,223,1) rispetto ai capi regolarmente macellati (4,9 IC 95% 4,25,8) (Fig.1).
La distribuzione della mortalità annuale riscontrata si scosta
in modo rilevante da quella attesa: rispetto ad una mortalità
attesa al 4%, in media solo un venticinquesimo di essa viene
intercettata (e sottoposta a test). La mortalità osservata risulta
relativamente costante lungo i 4 anni considerati mentre varia
con la specie (con valori in genere più alti nelle capre) (Fig.
2) e con le regioni dove si osservano ampie oscillazioni e in
genere valori più bassi nelle regioni del sud e isole (Fig. 3).
150
Hindson J.C. & Winter A. C.. Manual of sheep diseases. Blackwell
Publishing. 2002
v Aitken I. Diseases of Sheep. Wiley-Blackwell Publishing. 2007
Hoinville L.J, Hoek A., Gravenor M.B. & MCLean A. R. Descriptive
epidemiology of scrapie in Great Britain: results of a postal
survey.2000, Vet. Rec. 146, 455-461.
Matthews, L., Coen, P. G., Foster, J. D., Hunter, N. & Woolhouse,
M. E. Population dynamics of a scrapie outbreak. .2001, Arch
Virol 146, 1173–1186.
Health & Consumer protection Directorate General. - Report
on the monitoring and testing of ruminants for the presence of
Transmissible Spongiform Encephalopaty (TSE) in EU in 2008.
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Fig.1 Sorveglianza attiva : prevalenza per categoria di rischio negli anni (+ivi/10.000 test & 95%CI). Ovini e caprini combinati.
Fig.2 Mortalità oservata nel corso degli anni 2006-2009
Fig.3 : Anni 2006-2009. Confronto tra la prevalenza della scrapie tra i capi trovati morti e la mortalità osservata per regione
1) distribuzione geografica delle scrapie (sorveglianza attiva)
tra i capi morti: anni 2006-2009
2) mortalità osservata: anni 2006-2009
151
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PROPOSTA DI UN METODO DI CAMPIONAMENTO STANDARDIZZATO PER LA VALUTAZIONE DELLA
CONTAMINAZIONE FUNGINA DELL’ARIA IN ALLEVAMENTI DI CONIGLI
Bonci M., Mazzolini E., Bano L., Drigo I., Agnoletti F.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Laboratorio di Treviso
Key words: air sampling, fungi, rabbit farms
SUMMARY
The quality of the air inside farms, from the microbiological
point of view, depends on the concentration of both bacteria
and fungi. The present study focuses on fungal spores and
suggests a methodology for the collection of samples aimed
at evaluating the extent of total fungi and dermatophytes
contamination inside rabbit farms.
classificato come “buono” o “scarso” in base alla quantità
di pelo accumulato sulle gabbie e lungo i corridoi, visto che
tale accumulo è legato alla frequenza e all’accuratezza delle
operazioni di pulizia.
Allevamenti: nello studio sono stati inseriti sei allevamenti
con anamnesi di micosi clinica, ubicati nel Nord Est d’Italia,
selezionati in base al tipo di ventilazione, che non facessero
ricorso alla nebulizzazione di disinfettanti ad attività
antifungina, allo scopo di evitare l’interferenza di tale pratica
sulla valutazione quantitativa della contaminazione dell’aria.
Allevamento 1: capannone di 36 m di lunghezza e 13 m di
larghezza, a ventilazione naturale, in cui sono praticati sia
la riproduzione che l’ingrasso, la rimozione delle deiezioni
è giornaliera ed il livello di igiene è buono. Allevamento 2:
capannone di 70 m di lunghezza e 12 m di larghezza, che
accoglie il settore riproduzione ed è dotato di un sistema di
ventilazione longitudinale; la deiezioni sono accumulate per
lunghi periodi nelle fosse di raccolta sottostanti le gabbie
e il livello di igiene è scarso. Allevamento 3: capannone
di 60 m di lunghezza e 12 m di larghezza, provvisto di un
sistema di ventilazione trasversale, in cui si praticano sia
la riproduzione che l’ingrasso; la rimozione delle deiezioni
è giornaliera ed il livello di igiene è buono. Allevamento 4:
capannone di 50 m di lunghezza e 12 m di larghezza, con
un sistema di ventilazione trasversale, che al momento della
sperimentazione accoglieva conigli nella fase di ingrasso. La
rimozione delle deiezioni è giornaliera ed il livello di igiene è
buono. Allevamento 5: capannone di 47 m di lunghezza e 15
m di larghezza, con un sistema di ventilazione longitudinale,
in cui sono praticati sia la riproduzione che l’ingrasso. La
rimozione delle deiezioni avviene ogni 2-3 giorni e il livello
di igiene è scarso. Allevamento 6: capannone di 50 m di
lunghezza e 13 m di larghezza, a ventilazione naturale, che
accoglie il settore riproduzione e alcuni animali all’ingrasso.
La rimozione delle deiezioni è giornaliera e il livello di igiene
è buono.
Esame microbiologico: il prelievo dei campioni d’aria è
stato effettuato con SAS Super 100® (PBI International), un
campionatore portatile che consente la rilevazione di funghi e
batteri attraverso l’impatto di un volume di aria noto su piastre
Petri contenenti un appropriato terreno di coltura. Sulla base
di alcune valutazioni preliminari si è deciso di prelevare
campioni di 20 l d’aria, utilizzando Sabouraud Dextrose agar
addizionato di cloramfenicolo (SCA) per le spore fungine
totali e Mycobiotic agar (MA) per i dermatofiti. Le piastre
erano incubate a temperatura ambiente ed ispezionate
a cinque (SCA) e a sette (MA) giorni d’incubazione per la
conta delle colonie. Le cariche erano espresse sotto forma
di unità formanti colonia/m3 di aria (UFC/m3). I D erano
identificati sulla base delle caratteristiche macroscopiche e
microscopiche delle colonie, mentre l’identificazione dei FT
non era prevista.
Analisi statistica
Studio n. 1: per valutare l’associazione tra le cariche dei
FT e quelle dei D sono stati utilizzati l’analisi di varianza
(ANOVA) ed un modello di regressione lineare. A tale scopo
INTRODUZIONE
Le spore fungine che contaminano l’aria all’interno degli
allevamenti intensivi di conigli derivano da miceti ambientali,
da miceti saprofiti o commensali associati agli animali e
all’uomo e, soprattutto, da miceti parassiti primari degli
animali. Nel coniglio, infatti, la micosi è estremamente diffusa
e dati di letteratura indicano che il 60-80% degli allevamenti
è infetto (1, 4). Gli agenti eziologici sono Trichophyton
mentagrophytes e, in misura minore, Microsporum canis;
entrambi, oltre a compromettere il benessere e la produttività
degli animali malati, sono agenti di zoonosi a cui sono esposti
sia coloro che lavorano in allevamento che gli addetti alla
macellazione (2, 3). Scopo del presente studio è la definizione
di un metodo di campionamento standardizzato che dia
garanzia di attendibilità del dato ottenuto. E’ stata pertanto
valutata l’influenza che l’allevamento, il sito, l’altezza ed il
momento del prelievo nell’arco della giornata hanno sulla
concentrazione di spore di funghi totali e di dermatofiti. Tutto
ciò anche nell’ottica di una valutazione oggettiva della qualità
microbiologica dell’aria dell’ambiente in cui sono tenuti
gli animali produttori di derrate alimentari, nel più ampio
contesto della valutazione della qualità dell’ambiente di vita
degli stessi.
MATERIALI E METODI
Disegno sperimentale e campionamento
Studio n. 1: per stimare la varianza della concentrazione
di spore fungine totali (FT) e di spore di dermatofiti (D)
riconducibile all’allevamento e, all’interno dello stesso
allevamento, al sito di campionamento (corridoi, per quanto
riguarda la larghezza e punti di campionamento lungo i
singoli corridoi, per quanto riguarda la lunghezza), sono stati
selezionati sei allevamenti in ognuno dei quali, in occasione
di quattro sopralluoghi, sono stati prelevati campioni d’aria, in
punti predefiniti di ciascun corridoio, ad una distanza regolare
di 6-7 metri. Studio n. 2: per stimare l’influenza dell’altezza
del punto di campionamento sulle concentrazioni di FT e di
D, in ciascun allevamento sono stati prelevati tre campioni
d’aria a tre diverse altezze (a livello del pavimento, ad 1 m
e a 2 m d’altezza), in almeno quattro punti selezionati in
modo casuale. In concomitanza coi suddetti prelievi non era
condotto alcun tipo di attività all’interno del capannone. Studio
n. 3: per stimare la varianza della concentrazione di FT e di D
riconducibile alla collocazione temporale del prelievo nell’arco
della giornata, sono stati prelevati, ad intervalli di tre ore, nel
corso di una giornata (dalle 9.00 alle 18.00), campioni d’aria
in un unico punto di prelievo per ciascun corridoio.
Per ogni allevamento era valutato il livello d’igiene,
152
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
le distribuzioni di frequenza delle cariche di FT e D sono state
normalizzate mediante trasformazione logaritmica (log10).
Studio n. 2 e studio n. 3: per valutare l’influenza sulla
concentrazione di FT e D dell’altezza del punto di prelievo e del
momento del prelievo nel corso della giornata sono state calcolate
la media dei valori rilevati e la deviazione standard (σ).
dei D a 1 m e 2 m d’altezza è nettamente superiore rispetto
alla concentrazione rilevata ad altezza pavimento. Ciò è
verosimilmente riconducibile al fatto che a 1-2 m d’altezza
si trovano le gabbie e, quindi, i conigli che albergano il
dermatofita di cui rilasciano le spore. Dai dati raccolti risulta
che, in linea generale, la concentrazione della carica dei FT e
dei D è piuttosto omogenea nell’arco della giornata.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Studio n. 1: in ogni allevamento sono stati campionati da
6 a 11 siti per corridoio per un totale di 1048 campioni, sia
per la determinazione dei FT che per quella dei D. Sono
risultati idonei 922 campioni per i FT e 1018 per i D, i restanti
prelievi sono risultati inidonei alla conta delle colonie per la
confluenza delle stesse o per lo sviluppo di muffe a rapida
crescita. L’ANOVA e il modello di regressione lineare hanno
evidenziato che la concentrazione, sia dei FT che dei D, è
associata principalmente all’allevamento e che la distribuzione
delle spore dei FT è indipendente dai corridoi mentre per i
D, in 3 degli allevamenti campionati, è stata evidenziata
una certa correlazione del livello di contaminazione con
alcuni dei corridoi. Non sono stati evidenziati gradienti nella
concentrazione delle spore di FT, né in senso trasversale né
in senso longitudinale, sembra pertanto che il flusso dell’aria
atteso, in relazione al tipo di ventilazione, all’interno del
capannone, non influenzi la dispersione delle spore. Inoltre
gli allevamenti n. 2 e 5 hanno fatto registrare il più elevato
grado di contaminazione da FT. Essi sono accomunati
sia dal tipo di ventilazione (longitudinale) che dallo scarso
livello di igiene per cui, sia quest’ultimo aspetto che una
possibile minor efficienza dello stesso sistema di ventilazione
potrebbero spiegare le cariche fungine più elevate. Tuttavia,
dato il limitato numero degli allevamenti inseriti nello studio,
non è possibile fare considerazioni sulla correlazione
esistente tra la dispersione spaziale e la numerosità delle
spore e il tipo di ventilazione. Nei sei allevamenti è stato
isolato esclusivamente T. mentagrophytes, a riprova del fatto
che si tratta del dermatofita più comune nel coniglio (1, 4).
Nella figura n. 1 è riportata la distribuzione delle cariche dei
FT e dei D suddivisa per allevamenti.
CONCLUSIONI
Il presente studio analizza la procedura per il campionamento
dell’aria negli allevamenti intensivi di coniglio, aspetto che
non è mai stato affrontato con un approccio statistico. I
risultati ottenuti suggeriscono che per una corretta stima
del livello medio di contaminazione da spore fungine totali
di un allevamento, il prelievo può essere effettuato con SAS
Super 100®, campionando l’aria in ciascun corridoio, in un
unico punto scelto in modo casuale, ad un’altezza compresa
tra 0 e 2 m. In caso di livelli medi di contaminazione risulta
appropriato un campione di 20 l d’aria, se invece si sospetta
un livello di contaminazione elevato è opportuno ridurre il
volume allo scopo di limitare l’incidenza di campioni inadatti
per confluenza delle colonie. La media aritmetica delle cariche
relative ai singoli campioni, espressa come UFC/m3 di aria,
può essere considerata sufficientemente rappresentativa del
grado di contaminazione medio. Infine, poiché non è stata
riscontrata variabilità giornaliera, non è necessario ripetere
il campionamento più volte nell’arco della giornata e un
unico sopralluogo in allevamento è sufficiente. Per quanto
riguarda i dermatofiti, il livello medio di contaminazione di un
allevamento con micosi clinicamente manifesta può essere
valutato prelevando 20 l d’aria con SAS Super 100®, ad
un’altezza di 1-2 m, in ognuno dei corridoi, in occasione di
un unico sopralluogo in allevamento. Nella scelta dei siti
di campionamento dovrebbero essere privilegiati i punti in
corrispondenza di gabbie contenenti animali con lesioni,
tipicamente rappresentati da conigli in fase di presvezzamento
e ingrasso, in quanto sembra che la distribuzione delle spore
di dermatofiti sia in una certa misura legata alla collocazione
degli animali malati. Potrebbe essere necessario prelevare
un maggiore volume di aria e/o aumentare il numero dei
prelievi per incrementare la sensibilità qualora in allevamento
la micosi sia lieve e/o poco diffusa. Come per i FT, la media
aritmetica delle cariche dei singoli prelievi, espressa come
UFC/m3 di aria, può rappresentare in modo soddisfacente la
contaminazione media.
Figura 1. Distribuzione delle cariche di FT e D rilevate nei 6
allevamenti (Studio n. 1)
Ringraziamenti
Questo studio è stato realizzato grazie al finanziamento dal Ministero
della Salute nell’ambito del progetto di ricerca corrente IZSVe 01/08
“Valutazione di alcuni parametri ambientali in allevamenti di conigli
da carne e correlazioni col benessere animale”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Coccioli C., Cafarchia C., Romito D., Guastamacchia M., Capelli
G., Camarda A., Otranto D. 2008. Dermatophytoses in rabbit farms:
epidemiology and risk factors. Parassitologia 50: 188.
2. De La Torre A.M., Cuenca-Estrella M., Rodrĺguez-Tudela J.L. 2003.
Estudio epidemiológico sobre las dermatofitosis en España (abriljunio 2001). Enferm. Infecc. Microbiol. Clin. 21(9): 477-483.
3. Romano C. 1999. Tinea capitis in Siena, Italy. An 18-year survey.
Mycoses 42: 559-562.
4. Torres-Rodríguez J.M., Dronda M.A., Rossell J., Madrenys N.
1992. Incidence of dermatophytoses in rabbit farms in Catalonia,
Spain, and its repercussion on human health. Eur. J. Epidemiol.
8(3): 326-329.
Studio n. 2 e n. 3: dal confronto tra le medie dei valori
registrati a diverse altezze e tra queste e la media
complessiva, è emerso che la concentrazione dei FT sembra
non essere correlata con l’altezza del prelievo, mentre quella
153
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SVILUPPO DI UN PROTOCOLLO PER LA VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ DELL’AMBIENTE
NELL’ALLEVAMENTO INTENSIVO DEL CONIGLIO: FASI PRELIMINARI
Bonci M.1, da Borso F. 2, Mezzadri M.2, Teri F.2, Bano L.1, Drigo I.1, Mazzolini E.1, Agnoletti F.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – Laboratorio di Treviso
2
Dipartimento di Scienze agrarie e ambientali - Università di Udine
Key words: coniglio, benessere, ambiente d’allevamento
SUMMARY
The health and welfare of intensively reared rabbits can be
affected by environmental parameters such as temperature,
relative humidity, air speed, air flow, total dust, noxious gases
and airborne bacteria and fungi. The present paper describes a
protocol for the measurement of these parameters and illustrates
exemplifying results. This study is preliminary to the definition of
a methodology for the exhaustive study of the environment inside
rabbit buildings, whose routine use could guide the removal of
environment-related distress, likely to foster important diseases,
thus improving rabbit welfare.
le fasi prescelte sono il post-svezzamento (una settimana dopo
lo svezzamento) e la pre-macellazione (nei 10 giorni che la
precedono).
Infine sono stati definiti i punti di campionamento all’interno dei
ricoveri e le modalità pratiche di rilievo dei diversi parametri, che
sono riportate di seguito.
Parametri microclimatici: la temperatura e l’umidità relativa sono
misurate in modo automatico e continuo per l’intera settimana di
monitoraggio, mediante tre sensori di temperatura e tre sensori
di umidità (Econorma FT-102), posizionati in diversi punti:
all’intersezione degli assi longitudinale e trasversale dell’edificio,
a metà della parete longitudinale contrapposta ai ventilatori
(ventilazione trasversale) o a metà della parete trasversale, in
vicinanza dei ventilatori (ventilazione longitudinale) e all’esterno
dell’edificio, sul lato Nord. Per verificare l’esistenza di difformità fra
le diverse zone del capannone, si effettuano misurazioni manuali
della temperatura e dell’umidità relativa con sensori Pt-100 e
della velocità dell’aria con anemometro a filo caldo (LSI Babuc
M), alternativamente in due o tre punti lungo ciascun corridoio
tra le batterie di gabbie. In ogni punto si fanno due rilevazioni
per parametro, una sopra ed una sotto la fila di gabbie. Il calcolo
della portata di ventilazione prevede la misurazione della velocità
dell’aria a livello dei ventilatori e la misurazione della superficie
degli stessi; la portata dell’aria di ricambio deriva dal calcolo della
portata di ventilazione complessiva in relazione al volume totale
del capannone.
Parametri relativi alla qualità dell’aria: la concentrazione di
gas nocivi quali l’ammoniaca (NH3), l’anidride carbonica (CO2),
il protossido d’azoto (N2O) e il metano (CH4) è monitorata in
modo automatico e continuo per l’intera settimana, per mezzo
di due analizzatori multi-gas di tipo fotoacustico ad infrarosso
(1302 Brüel & Kjær and 1412 Photoacoustic Field Gas-Monitor,
Innova AirTech Instruments), programmati per prelevare ed
analizzare campioni di aria ogni 30 minuti. Sono stati individuati
due punti di campionamento, uno al centro del capannone,
l’altro in corrispondenza del flusso dell’aria estratta da uno dei
ventilatori. La concentrazione dei gas nocivi è misurata anche
manualmente, in diversi punti del capannone, gli stessi in cui
sono rilevati manualmente temperatura, umidità relativa e velocità
dell’aria, al di sopra delle gabbie. Infine, l’idrogeno solforato (H2S)
è misurato manualmente, all’inizio ed alla fine di ogni settimana
di monitoraggio, per mezzo dell’Indoor Air Quality monitor
AirBoxx® (KD Engineering), posizionato sulle gabbie al centro
del capannone.
Le polveri sono misurate al primo e all’ultimo giorno della settimana
di monitoraggio, con metodo gravimetrico, per mezzo di un
campionatore d’aria portatile a flusso costante (Zambelli ZB2) che
raccoglie le particelle di polvere su un filtro a membrana in cellulosa
dotato di una porosità di 0,8 μm ed è provvisto di un contatore che
registra la quantità d’aria aspirata. Lo strumento è posizionato al
centro dell’edificio, sopra le gabbie e attivato ad un flusso di 20
l d’aria al minuto. La durata media del campionamento è di 90
minuti. La concentrazione di polveri totali (mg/m3) è calcolata per
differenza tra il peso del filtro dopo e prima del campionamento
e tenendo conto del volume complessivo dell’aria aspirata. I filtri
sono pesati con l’ausilio di una bilancia analitica (10-5 g) dopo un
condizionamento di 24 ore in termostato a 35±1 °C.
INTRODUZIONE
L’attenzione crescente verso il benessere animale ha indotto ad
intraprendere numerosi studi al fine di comprendere gli svariati
aspetti che incidono sul benessere degli animali produttori di
derrate alimentari. L’ambiente d’allevamento è strettamente
legato al benessere animale, ne è dimostrazione il fatto che le
patologie che affliggono gli animali negli allevamenti intensivi
sono in gran parte condizionate (1, 5). I parametri rappresentativi
della qualità dell’ambiente d’allevamento sono, tra gli altri, quelli
legati al microclima e quelli legati alla qualità dell’aria (2, 3, 4).
Il microclima risente delle condizioni atmosferiche esterne, delle
caratteristiche costruttive dei ricoveri e della densità d’allevamento
ed è controllato mediante sistemi di ventilazione naturale o
forzata, la cui capacità di mantenere i livelli di temperatura ed
umidità nel range ottimale per la specie allevata, può ripercuotersi
sia sullo stato sanitario, che sulle performance degli animali.
Infatti condizioni microclimatiche inadeguate possono favorire
l’insorgenza di patologie respiratorie ed enteriche ed influenzare
negativamente la produttività, costringendo gli animali ad un
maggior dispendio energetico per il mantenimento dell’omeostasi.
La qualità dell’aria risente in parte dei fattori che influenzano il
microclima, in parte dalle pratiche gestionali (3, 5).
Scopo del presente studio è la definizione di una procedura per il
monitoraggio ambientale negli allevamenti cunicoli, caratterizzati
da una spiccata eterogeneità, sia strutturale che impiantistica.
I risultati ottenuti applicando un protocollo di monitoraggio
consolidato possono infatti rappresentare una valida base per la
pianificazione di miglioramenti strutturali e/o gestionali. Il protocollo
presentato è attualmente adottato nell’ambito di un progetto di
ricerca per la valutazione delle correlazioni esistenti tra alcuni
parametri ambientali e il benessere dei conigli all’ingrasso.
MATERIALI E METODI
Per la definizione del protocollo sono stati in primo luogo
individuati i parametri che, in base alla letteratura tecnica e
scientifica sull’argomento, meglio definiscono il microclima
e la qualità dell’aria negli allevamenti di conigli all’ingrasso.
Per quanto riguarda il microclima sono stati selezionati la
temperatura, l’umidità relativa, la velocità dell’aria, la portata
dell’aria di ricambio e la portata di ventilazione complessiva;
per quanto riguarda la qualità dell’aria sono stati selezionati le
polveri totali, la concentrazione di gas nocivi e la concentrazione
di batteri e spore fungine. In secondo luogo sono stati scelti le fasi
del ciclo d’ingrasso da monitorare e la durata di ogni sessione
di monitoraggio. Quest’ultima è stata definita in una settimana e
154
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Per lo studio della qualità microbiologica dell’aria si determina
la concentrazione di batteri e spore fungine. Per entrambi
sono rilevati sia le carica totale che la concentrazione di specie
patogene per il coniglio, quali Staphylococcus aureus, Pasteurella
multocida e i dermatofiti Trichophyton mentagrophytes e
Microsporum canis. Le cariche si calcolano su volumi di 50 e di
20 l d’aria, rispettivamente per i batteri e per le spore fungine,
prelevati mediante il campionatore portatile SAS Super 100® (PBI
International) ad altezza delle gabbie, in cinque diversi punti, uno
al centro del capannone e due su ognuno dei lati dello stesso, di
cui uno vicino all’entrata e l’altro vicino al fondo, in modo da tener
conto di un’eventuale disomogeneità nella distribuzione dei batteri
e delle spore fungine. I terreni di coltura e i tempi d’incubazione
sono stati scelti in funzione del tipo di microrganismo da rilevare
e le cariche, batteriche e fungine, calcolate come unità formanti
colonia (UFC)/m3.
Il suddetto protocollo sperimentale è sistematicamente applicato
in due diversi allevamenti, nei cicli d’ingrasso che si avvicendano
nel corso di un anno solare.
l’individuazione dei punti critici stagionali e rappresenteranno la
base per la stesura di un protocollo di monitoraggio semplificato
ed applicabile in campo.
Figura 3. Distribuzione spaziale della concentrazione di
ammoniaca in un allevamento a ventilazione forzata longitudinale
(sopra) e trasversale (sotto).
RISULTATI E DISCUSSIONE
Nelle figure n. 1 e 2 sono riportati degli esempi dei risultati del
monitoraggio continuo, rispettivamente della temperatura e dei
gas. La registrazione continua dei parametri climatici esterni ed
interni evidenzia gli effetti del sistema di ventilazione e consente
di valutarne l’efficacia.
CONCLUSIONI
L’approccio integrato dell’Unione Europea al tema della sicurezza
alimentare comporta che la qualità del prodotto finale è frutto della
qualità che caratterizza l’intero processo produttivo, a partire dalla
produzione primaria. Pertanto lo stato di salute e il benessere degli
animali produttori di derrate alimentari influenzano la sicurezza
e la qualità della carne da essi prodotta. L’applicazione, ad
allevamenti con caratteristiche strutturali diverse, di un protocollo
standardizzato migliorerà la comprensione di importanti aspetti,
finora scarsamente studiati, relativi alle condizioni di vita dei conigli
da carne e potrà contribuire al loro benessere. Potrà infatti fornire
dati oggettivi per programmare interventi, strutturali o gestionali,
necessari alla rimozione di condizioni ambientali stressanti e
predisponenti nei confronti di svariate patologie, concorrendo
così, indirettamente, anche ad una possibile riduzione dell’uso
degli antibiotici nell’allevamento intensivo del coniglio.
Figura 1. Temperature rilevate all’interno e all’esterno di un
allevamento durante una settimana della primavera 2010.
Figura 2. Concentrazioni di ammoniaca e anidride carbonica in
un allevamento a ventilazione trasversale durante una settimana
dell’inverno 2010.
Ringraziamenti
Questo studio è stato realizzato grazie al finanziamento del Ministero
della Salute nell’ambito del progetto di ricerca corrente IZSVe 01/08
“Valutazione di alcuni parametri ambientali in allevamenti di conigli da
carne e correlazioni col benessere animale”.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Hartung J. The Effect of Airborne Particulates on Livestock Health
and Production, in I. Ap Dewi, R.F.E. Axford, I. Fayez M. Marai,
H. Omed (Eds.) Pollution in Livestock Production System, CAB
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2. Hartung J., Phillips V.R. (1994). Control of Gaseous Emissions from
Livestock Buildings and Manure Stores. J. agric. Engng. Res.,
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3. Müller H.-J., Brunsch R. Technical Solutions for Reduction of Heat
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4. Seedorf J., Hartung J., Schröder M., Linkert K.H., Pedersen S.,
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Livestock Buildings in Northern Europe. J. agric. Engng. Res. 70:
49-57.
5. Wathes C.M. and Charles D.R. (Eds.), Livestock Housing, CAB
International Wallingford, UK, 1994, pp. 3-68, 97-148.
La registrazione continua delle concentrazioni dei gas nocivi
consente di rilevarne le fluttuazioni giornaliere, mentre le
registrazioni effettuate in più punti della superficie del capannone
danno informazioni sulla distribuzione spaziale dei gas,
come esemplificato graficamente nella figura n. 3. Le medie,
giornaliere o settimanali, delle cariche batteriche e fungine e della
concentrazione delle polveri possono essere messe in relazione
con parametri ambientali ed utilizzate come indicatori del livello di
igiene e della situazione sanitaria dell’allevamento. I dati raccolti
durante la sperimentazione, tuttora in corso, consentiranno
155
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ANALISI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN PECORE INFETTATE PER VIA INTRAMAMMARIA CON
STREPTOCOCCUS UBERIS
Bonelli P, Marogna G, Re R, Pilo GA, Pais L, Fresi S, Schianchi G, Nicolussi P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna “G. Pegreffi”
Parole chiave: mastite, S. Uberis, risposta immunitaria, subsets leucocitari.
ABSTRACT
Streptococcus uberis is an environmental pathogen that causes a
significant proportion of clinical and subclinical mastitis in ruminants.
In spite of this, its pathogenesis is incompletely understood. This
study aimed to evaluate immunological response in sheep following
experimentally induced S. uberis mastitis. Our results indicate the
importance of neutrophils in initial non-specifc defence against this
pathogen during the first week after infection, suggesting that the
onset of a specific immune response occurs later.
goccia di sospensione cellulare e successiva colorazione di tipo
Romanowsky, diafanizzazione e montaggio.
Le sottopopolazioni linfocitarie sono state identificate su sangue
intero e su latte con l’impiego degli anticorpi monoclonali riportati in
tabella 1. Per i campioni di sangue è stato impiegato un protocollo
di marcatura diretta “Lyse and wash” a 3 colori (CD25/CD8/CD4 WC1/CD8/CD4), mentre per i campioni di latte si è proceduto alla
marcatura a 4 colori (CD25/CD8/CD45/CD4 - WC1/CD8/CD45/
CD4).
INTRODUZIONE
Le mastiti infettive rappresentano una tra le maggiori problematiche
sanitarie ed economiche con cui ci si confronta regolarmente
nell’allevamento degli ovini da latte (1, 2). Tra le infezioni mammarie
causate da batteri ambientali, la prevalenza di Streptococcus uberis
appare elevata nell’allevamento bovino (3). Recentemente lo
S. uberis è stato segnalato in Sardegna come l’agente patogeno
più isolato dal latte ovino mastitico (4). In letteratura esistono
esigui riferimenti sul ruolo eziopatogenetico di tale batterio nella
pecora, mentre diverse sono le pubblicazioni relative alle infezioni
sperimentali eseguite nella specie bovina.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare la
risposta immunitaria di pecore infettate sperimentalmente per via
intramammaria con S. uberis.
Tabella 1. Anticorpi monoclonali utilizzati per l’identificazione delle
sottopopolazioni linfocitarie nel latte e nel sangue
Analisi Statistica
L’analisi della varianza (one-way ANOVA) è stata effettuata con
l’ausilio del software statistico Minitab (MInitab inc.).
MATERIALI E METODI
Animali
La prova è stata condotta su 4 pecore primipare di razza Sarda
durante la prima metà di lattazione. Gli animali sono stati selezionati
in base al loro stato di sanitario e alla loro accertata sieronegatività nei
confronti di Streptococcus uberis. Quindici giorni prima dell’infezione
sperimentale le pecore sono state stabulate presso l’azienda
sperimentale dell’IZS della Sardegna per consentire un adeguato
periodo di adattamento alle nuove condizioni di allevamento.
Infezione Sperimentale
L’emimammella sinistra di ciascuna pecora veniva infettata per via
intracanalicolare con 2 x 107 UFC di Streptococcus uberis, mentre le
emimammelle destre, non inoculate, costituivano il controllo.
Visite Cliniche
Lo stato sanitario delle pecore è stato monitorato quotidianamente
per una settimana dopo l’infezione attraverso l’esecuzione di visite
cliniche generali, incluso il rilievo della temperatura rettale e l’esame
dell’apparato mammario.
Campionamento ed Esami di Laboratorio
E’ stato effettuato un campionamento di sangue e di latte di
emimammella il giorno 0 (inoculo di S. Uberis) e 2, 3, e 6 giorni dopo
l’infezione sperimentale. Sui campioni di sangue sono stati eseguiti
l’esame emocromocitometrico completo (ADVIA 2120, Siemens) e
l’identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie in citometria a flusso
(FACS Calibur, BD). Sui campioni di latte intero sono stati eseguiti
l’esame colturale, la formula leucocitaria (esame microscopico ed
automatico) e l’identificazione delle sottopopolazioni linfocitarie
in citometria a flusso. A tale scopo, si è proceduto innanzitutto
all’ottenimento di una sospensione cellulare previa scrematura del
latte tramite centrifugazione (500g x 20’ a 10°C), recupero del pellet
cellulare e lavaggi intensivi in PBS.
L’allestimento dei vetrini è stato effettuato tramite lo striscio di una
RISULTATI
Le visite cliniche non hanno messo in evidenza alcun sintomo
generale ad eccezione di un lieve rialzo della temperatura rettale
nei giorni seguenti l’infezione sperimentale. L’esame dell’apparato
mammario testimoniava la presenza di segni clinici riferibili a
mastite esclusivamente nelle emimammelle inoculate. Inoltre, si
riscontrava la produzione di un secreto mammario sieroso con
frustoli caseinici il giorno successivo all’inoculo che si modificava in
essudato purulento dal giorno 2. La totalità degli esami colturali dei
campioni prelevati dal giorno 2 e provenienti dalle emimammelle
infettate risultavano positivi per Streptococcus uberis. La presenza
del germe non veniva riscontrata nei campioni provenienti dalle
emimammelle controllo.
Dall’esame emocromocitometrico completo eseguito sui campioni
di sangue si è evidenziata una significativa diminuzione (P≤0.05)
dei globuli bianchi a partire dal giorno 3, determinata da una
minore presenza in circolo di granulociti neutrofili e linfociti
(Fig.1). Le analisi citometriche hanno consentito un maggiore
approfondimento mostrando come vi sia stato un decremento dei
diversi subsets linfocitari esaminati: T helper, T citotossici, T γδ. Si è
comunque riscontrato una maggiore presenza dei WC1+ (P≤0.01)
il giorno successivo all’inoculo con una contestuale maggiore coespressione del recettore dell’IL-2, indice di attivazione linfocitaria.
I risultati della formula leucocitaria nel latte mostrano come vi
siano delle situazioni inverse rispetto a quanto osservato nel
sangue. Infatti, pur non essendoci differenze significative rispetto
alle emimammelle controllo, in quelle infettate si è riscontrato un
aumento dei globuli bianchi al giorno 2 (Fig.2) e dei neutrofili al
giorno 3 (fig. 3), mentre i linfociti tendevano a diminuire dal giorno
3 (Fig.4). Lo studio delle sottopopolazioni linfocitarie del latte ha
evidenziato come i linfociti T citotossici siano presenti in misura
significativamente (P≤0.05) minore nelle emimammelle infette.
156
Antigene
Fluorocromo
Reattività
Ditta
CD25
WC1
CD8
CD45
CD4
FITC
FITC
RPE
Biotinilato
Alexa F. 647
IL-2 R
T γδ
T citotossici
Leucociti
T helper
Serotec
Serotec
Serotec
Serotec
Serotec
R. secondario
Fluorocromo
Ditta
Streptavidina
RPE-Cy5
Serotec
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
8. Winter P., Colditz I.G., (2002). Immunologicla response of the lactating
ovine udder following experimental challenge with Staphylococcus epidermidis.
Vet. Immunol. Immunopath. 89, 57-65.
DISCUSSIONE
L’infezione intramammaria con S. uberis ha determinato
un’infiammazione acuta della mammella con secrezione purulenta
esclusivamente nelle emimammelle inoculate senza alcun
coinvolgimento generale. La risposta infiammatoria nelle prime
fasi dell’infezione da S. uberis, come già riportato da altri autori
per il bovino (5, 6) è caratterizzata da una massiva infiltrazione di
granulociti neutrofili nella ghiandola mammaria accompagnata
da una contemporanea diminuzione dei neutrofili circolanti (7). I
nostri risultati, in accordo con quanto affermato dai suddetti autori
per il bovino, confermano l’importanza dei neutrofili e della risposta
immunitaria aspecifica nelle mastiti da S. uberis anche nella specie
ovina. L’assenza di differenze significative, riscontrabili confrontando
i dati relativi alla formula leucocitaria del latte proveniente dalle due
emimammelle, potrebbe essere una conseguenza della infiltrazione
leucocitaria dell’intera ghiandola mammaria. Infatti, come si evince
dai risultati rappresentati in figura 3, pur essendo superiore il numero
dei leucociti infiltranti la emimammella infettata, si riscontrano quantità
consistenti di globuli bianchi anche nelle emimammelle controllo. Ciò
potrebbe essere stato determinato dalla risposta infiammatoria locale
e dalla conseguente produzione di fattori chemiotattici in grado di
esplicare la loro azione anche sulla emimammella controlaterale.
D’altronde Rambeaud et al. (6) e Pedersen et. al. (7) hanno
evidenziato come nel bovino in seguito ad infezioni sperimentali con
S. uberis si potevano riscontrare minime concentrazioni di citochine
infiammatorie e di proteine della fase acuta anche nei quarti mammari
non infettati. Resta da stabilire se l’entità della risposta infiammatoria
locale possa essere stata influenzata dall’elevata carica infettante
impiegata per questa prova sperimentale.
Le analisi delle sottopopolazioni linfocitarie del latte hanno evidenziato
come l’infezione con S. uberis non abbia determinato un’adeguata
attivazione e proliferazione linfocitaria (Fig.4). Come già osservato
da Winter et al. nel bovino (8), possiamo supporre che, anche nella
pecora, la risposta immunitaria specifica nei confronti di S. uberis a
livello mammario si manifesti tardivamente rispetto alla massiccia
infiltrazione neutrofila che caratterizza la prima settimana post
infezione.
Ulteriori ricerche sono necessarie per la valutazione delle citochine
coinvolte nella risposta immunitaria contro S. uberis al fine di
meglio comprendere i meccanismi di difesa aspecifica e specifica
utilizzati dall’ovino per contrastare le infezioni mammarie da patogeni
ambientali.
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Figura 1. Formula leucocitaria del sangue.
*indica differenze significative rispetto al giorno 0 (P≤0.05)
Figura 2. Formula leucocitaria del latte: .globuli bianchi
nelle emimammelle infettate e in quelle controllo.
Figura 3. Formula leucocitaria del latte: .granulociti neutrofili
nelle emimammelle infettate e in quelle controllo
BIBLIOGRAFIA
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inflammatory response in experimental bovine mastitis due to
Streptococcus uberis. J. Comp Path. 128, 156-164.
Figura 4. Formula leucocitaria del latte:
linfociti nelle emimammelle infettate e in quelle controllo
157
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INTERSCAMBIO DATI TRA PIATTAFORME INFORMATICHE PER LA GESTIONE DEI CAMPIONI
NELL’AMBITO DEL PIANO NAZIONALE BSE E SCRAPIE
1
1
Bortolotti L., 1Breda T., 1Lanari M., 2Favero L., 3Benvegnù F., 1Bozza M.A., 1Granato A., 1Zampieri A., 1Mutinelli F.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro ; 2 Regione Veneto - Unità di Progetto per la Sanità Animale e la Sicurezza
Alimentare, Venezia ; 3Info.c.e.r. S.A.S, Mestre
Key words: BSE, Scrapie, informatizzazione
di data entry.
Si è dunque realizzata una soluzione informatica che
consente di ridurre errori di digitazione, snellire le operazioni
di registrazione dei campioni per il laboratorio e monitorare
l’effettuazione del campionamento per la Regione.
INTRODUZIONE. Secondo il Piano Nazionale di Controllo,
Sorveglianza ed Eradicazione della BSE e della Scrapie, (di
seguito denominato Piano), la “sorveglianza attiva” prevede
la ricerca della malattia, utilizzando specifici test di screening
definiti “test rapidi” condotti su campione di obex di:
− bovini
di età superiore a 48 mesi, regolarmente
macellati o appartenenti alle categorie a rischio
(macellazione d’urgenza, differita, morti) nati in Italia o
in uno dei Paesi riportati nell’allegato della Decisione
della Commissione n. 2008/908/CE e n. 2009/719/
CE. Per i bovini nati negli Stati membri non in elenco,
l’età dell’animale da sottoporre all’esame deve essere
superiore a 30 mesi per i regolarmente macellati e
superiore a 24 mesi per gli appartenenti alle categorie
a rischio;
− ovini e caprini di età superiore ai 18 mesi o con
due incisivi permanenti, regolarmente macellati o
appartenenti alle categorie a rischio. La quota di ovicaprini regolarmente macellati o morti da testare viene
fissata annualmente per ciascuna Regione sulla base
dei volumi di macellazione e sulla base del patrimonio
ovi-caprino stimato.
I test vengono eseguiti dagli II.ZZ.SS. competenti per
territorio.
A seguito delle risultanze di specifiche ispezioni comunitarie,
le attività di Piano vengono considerate dal Ministero della
Salute di notevole importanza, al punto che dal 2010 il
raggiungimento dell’obiettivo di testare almeno il 75% dei
bovini morti è stato inserito tra gli indicatori dell’erogazione
dei livelli essenziali di assistenza (LEA).
Il Centro di Referenza Nazionale per le Encefalopatie
Spongiformi trasmette trimestralmente alle Regioni gli
elenchi relativi ai capi esaminati (morti/macellati) perchè
monitorino e verifichino il corretto svolgimento del Piano.
La presenza di una consolidata banca dati anagrafica del
singolo capo bovino permette raffronti molto accurati tra il
numero di capi venuti a morte/macellati da campionare ed il
numero di capi testati.
In Veneto è stato sviluppato un sistema per il raffronto
automatizzato per codice identificativo dei capi bovini da
esaminare/esaminati, per evidenziare i casi anomali e
verificarli direttamente con l’ausilio dei Servizi Veterinari
territoriali. In tale ambito, si è rilevato che tra i motivi
del mancato incrocio informatico dei capi, vi è la errata
indicazione della marca auricolare rispetto a quanto
registrato in anagrafe (17% dei capi risultati in anomalia nel
2007-2008).
Per quanto riguarda gli ovi-caprini l’anagrafe del singolo
capo è in corso di completamento, i capi registrati
rappresentano circa l’85% degli animali da riproduzione
presenti in Veneto.
Nel corso del 2009 l’IZSVe ha esaminato 38.408 campioni
di bovini e 3.505 di ovicaprini, che devono essere di regola
accettati, analizzati e refertati in tempi molto brevi, benché il
processo di accettazione dei campioni preveda il ricontrollo
manuale delle singole registrazioni in modo da evitare errori
MATERIALI E METODI. I sistemi informatici di riferimento
sono:
− BDR (Banca Dati Regionale dell’Anagrafe Zootecnica
del Veneto), in cui sono registrati i singoli capi bovini ed
ovi-caprini, interconnessa con la Banca Dati Nazionale
(BDN)
− IZILAB (gestionale dei laboratori dell’IZSVe) in cui
vengono registrati gli esami per BSE e Scrapie
In BDR vengono gestiti i dati relativi alla morte in stalla
del capo bovino: l’esito del test BSE, l’avvenuto ritiro del
passaporto e l’acquisizione del certificato di avvenuta
distruzione dell’animale. In un modulo accessorio vengono
inoltre registrati gli esiti del test BSE effettuati presso gli
stabilimenti di macellazione.
In IZILAB la accettazione dei campioni da sottoporre ad
analisi per BSE/Scrapie necessita della marca auricolare
dell’animale, della data di nascita, del sesso e del codice
aziendale di provenienza dello stesso. La proposta iniziale
di precompilare i dati di ogni singolo animale richiamando la
BDR, non è risultata confacente, per i tempi di attesa che tale
operazione richiede. Infatti, pur trattandosi di tempi esigui
se considerati per un singolo capo (ad es. capo morto in
stalla), possono costituire un rallentamento nelle operazioni
di accettazione quando i campioni sono numerosi (ad es.
capi provenienti da un macello).
Si è optato dunque per la realizzazione di una funzione in
IZILAB che, tramite chiamata diretta ai servizi web esposti
dalla BDR, controlla le accettazioni per gruppo, verificando
che in anagrafe bovina esista un capo con lo stesso codice
identificativo e gli stessi dati anagrafici e che l’animale sia
transitato dal codice aziendale indicato. A seconda della
gravità dell’errore riscontrato, la segnalazione in risposta
blocca la refertazione del campione, (ad es. per mancata
corrispondenza del codice identificativo) o trasmette un
semplice avviso all’operatore (ad es. per sesso e/o data
nascita non corrispondenti).
Poichè in BDR sono reperibili i dati dei singoli capi ovicaprini, la funzione di validazione è stata estesa anche
agli ovini e ai caprini per la registrazione dei campioni da
esaminare per la Scrapie e per il test di genotipizzazione,
pur non generando in questo caso anomalie bloccanti.
Da IZILAB, una volta stampato il rapporto di prova viene
estrapolato un file da caricare in BDR, per l’aggiornamento
dei corrispondenti campi in anagrafe bovina (data di prelievo
ed esito test BSE).
La chiave di comunicazione tra i due sistemi è rappresentata
dal codice identificativo dell’animale.
RISULTATI. Le operazioni di accettazione risultano essere
velocizzate, in quanto il sistema informatico si sostituisce ai
158
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
dalle rispettive fonti ufficiali, BDR per le anagrafiche dei capi
e IZILAB per gli esiti degli esami e si inserisce nel processo
di condivisione delle informazioni già avviato da alcuni anni
tra la BDR e IZILAB.
In futuro, quando sarà completata anche l’anagrafe ovicaprina, si prevede di estendere il flusso di ritorno in
BDR anche agli esami effettuati per la Scrapie e per la
genotipizzazione degli ovini.
controlli effettuati da parte dell’operatore ed evita anche le
inesattezze legate alla compilazione della accompagnatoria,
che venivano evidenziate solo a posteriori.
A livello di BDR vengono resi disponibili in modo
automatizzato i dati relativi alla effettuazione dell’esame
BSE, con risparmio di risorse ed evitando possibili errori
nel data entry.
La Regione ha la possibilità di verificare in modo più diretto
ed immediato l’andamento della sorveglianza attiva poichè
dispone del dato relativo alla effettuazione dell’esame
direttamente in BDR, da cui possono essere estrapolati
opportuni indicatori per individuare le aree di intervento.
SUMMARY
IZSVe has developed a computerized procedure that
validates the relevant data (species, age, sex, individual code,
farm code) of cattle, sheep and goats collected at samples
reception for BSE and Scrapie, by data interchange with the
Regional Data Base where official data on the animals and
their movements are recorded. Moreover a specific tool has
been implemented for the automated transfer to the BDR of
the laboratory tests results.
This paper illustrates the opportunities of sharing information
collected from different archives, pointing out the practical
benefits for the users.
CONCLUSIONI. Il sistema è di recente introduzione,
pertanto non sono ancora verificabili miglioramenti rispetto
alla precedente gestione, se non i vantaggi immediati
nella attività di accettazione dell’IZSVe. Questa gestione
non risulta invasiva rispetto alle procedure consolidate, in
quanto le innovazioni che non modificano radicalmente la
operatività sono più favorevolmente accettate.
La procedura consente di utilizzare dati validati resi disponibili
159
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SALMONELLA SPP. IN FAUNA SELVATICA E ANTIBIOTICO-RESISTENZA
Botti V,, Navillod F.V., Spedicato R., Pepe E., Domenis L., Orusa R., Guidetti C.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sezione di Aosta - Centro di Referenza Nazionale per le Malattie degli
Animali Selvatici, Loc. Amérique, 7/G, 11020, Quart (AO).
Key words: salmonella; antibiotico-resistenza; fauna selvatica
SUMMARY
The emergence of antibiotic-resistance in pathogens has
become a major concern in recent years and it is a growing
area of concern in veterinary and human medicine.
The aim of this work is to describe for the first time in Valle
d’Aosta, Piemonte and Liguria, the spread of antibioticresistant strains of Salmonella spp isolated from wildlife, as
environmental sentinel of this bacteria. The data analysis
revealed the presence of widespread antibiotic-resistance.
selvatica, considerata nella sua funzione di sentinella della
diffusione ambientale di tale patogeno.
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati 87 ceppi di Salmonella spp, provenienti
da Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, ottenuti mediante la
procedura di isolamento classico. Quest’ultima è basata su
prearricchimento in Buffered Peptone Water, arricchimento in
brodi selettivi (Rappaport Vassiliadis Broth e Selenite Cistine
Broth) e semina su terreni selettivi differenziali (Brillant Green
Agar e Xylose Lysine Deoxychocolate agar).
L’isolamento è avvenuto a partire da feci, da linfonodi e da
visceri, raccolti durante l’esame necroscopico di canidi (volpi),
mustelidi (faina, tasso), avifauna (selvatica e sinantropa) e
ungulati selvatici.
La suscettibilità agli antibiotici è stata determinata grazie al
test di disco-diffusione (Kirby-Bauer) effettuato su MuellerHinton agar, a partire da una sospensione batterica di torbidità
pari a 0.5 McFarland. L’interpretazione è avvenuta seguendo
i criteri forniti dal National Committee for Clinical Laboratory
Standards (NCCLS).
Gli antibiotici testati nello studio sono rappresentativi delle
diverse classi: β-lattamici, tetracicline, chinoloni, aminoglicosidi,
sulfonamidi potenziati, polipeptidi e fenicoli. Tali molecole
sono state selezionate in base alla loro rilevanza per la salute
pubblica e tenendo conto delle indicazioni dell’EFSA (10), della
rete ENTERNET ITALIA (4) e della letteratura disponibile. Gli
antibiotici saggiati e le rispettive concentrazioni sono indicati
in tabella 1.
Il ceppo S. enteritidis ATCC® 13076TM è stato utilizzato come
controllo di qualità.
INTRODUZIONE
Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è ampiamente diffuso in
ambito umano e veterinario. I batteri zoonotici, resistenti agli
antibiotici, sono di particolare interesse in quanto potrebbero
compromettere l’efficacia del trattamento delle infezioni negli
esseri umani. Il contatto tra batteri associati all’uomo con quelli
ambientali, vegetali o animali favorisce l’emergere di nuovi
meccanismi di resistenza nei patogeni umani (2, 6).
Dal punto di vista genetico, i meccanismi attraverso i quali si
realizza la resistenza sono fondamentalmente due: resistenza
cromosomiale ed extracromosomiale. La prima è caratterizzata
da mutazioni a livello cromosomico; è un processo spontaneo
che si realizza con una frequenza estremamente bassa.
Essa può selezionare ceppi multiresistenti (MDR-Multi Drug
Resistant) se la popolazione batterica subisce una pressione
selettiva da parte dell’antibiotico. La seconda è caratterizzata
dall’acquisizione di plasmidi e/o di altri determinanti genetici
extracromosomiali, trasferibili per coniugazione, trasduzione e
trasformazione batterica (1).
Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è, tuttavia, ancora
poco documentato tra gli animali selvatici. Questi ultimi,
infatti, rappresentano un reservoir di potenziali patogeni
zoonotici, tra cui la salmonella. Essa appartiene alla famiglia
Enterobacteriaceae e comprende due specie: S. enterica e S.
bongori. S. enterica, a sua volta, annovera sei sottospecie:
enterica, salamae, arizonae, diarizonae, houtenae ed indica.
La maggior parte delle salmonelle appartiene alla sottospecie
S. enterica subsp. enterica, i cui sottogruppi sono generalmente
definiti sulla base del sierotipo (5). La salmonella è ubiquitaria
ed è in grado di permanere a lungo nelle acque e nel terreno,
conservando la sua patogenicità.
In Europa, la resistenza agli antimicrobici comunemente usati
(tetraciclina, ampicillina e sulfonamidi) risulta frequente tra gli
isolati di salmonella e la percentuale di resistenza negli animali
varia tra il 13% e il 47%. Livelli di resistenza maggiori sono
stati riscontrati negli isolati da suini e da bovini rispetto a quelli
ritrovati nei polli. In questi ultimi, tuttavia, si individua maggiore
resistenza alla ciprofloxacina e all’acido nalidixico (9).
Sono state osservate alcune differenze nella suscettibilità agli
antibiotici in relazione alla diversa distribuzione dei sierotipi
e fagotipi nei vari paesi e nelle specie animali. Ad esempio,
S. typhimurium, che è più comune nei suini e nei bovini,
risulta essere più resistente alla tetraciclina, all’ampicillina e
ai sulfonamidi rispetto a S. enteritidis, sierotipo comunemente
ritrovato nei polli (10).
Lo scopo del lavoro è lo studio della diffusione di ceppi di
Salmonella spp. antibiotico-resistenti, isolati dalla fauna
Tabella 1. Antibiotici utilizzati nel test di disco diffusione.
Principio
attivo
ampicillina
(AM)
amoxicillina +
acido
clavulanico
(AMC)
cefotaxime
(CTX)
cefalotina
(KF)
colistina
(CT)
neomicina
(N)
acido nalidixico
(NA)
enrofloxacina
(ENR)
ciprofloxacina
(CIP)
Conc.
(µg)
Principio
attivo
Conc.
(µg)
10 µg
cloramfenicolo (C)
30 µg
(20 e
10)
trimetoprim +
sulfametossazolo
(SXT)
30 µg
ossitetraciclina (T)
tetraciclina
(TE)
gentamicina (CN)
kanamicina
(K)
amikacina
(AK)
streptomicina
(S)
30 µg
25 µg
(23.75
e
1.25)
30 µg
30 µg
10 µg
30 µg
30 µg
5 µg
30 µg
10 µg
30 µg
30 µg
10 µg
5 µg
RISULTATI
La quasi totalità dei ceppi analizzati (98%) ha mostrato
resistenza/intermedio-resistenza ad almeno una classe di
160
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
antibiotici. I ceppi totalmente sensibili risultano essere due: S.
infantis e S. enteritidis.
I ceppi MDR, resistenti/intermedio-resistenti a due o più classi
di antibiotici, sono pari al 41.4%. In particolare, S. brancaster,
isolata da visceri di gheppio, ha mostrato resistenza a:
β-lattamici (AM, AMC); chinoloni (NA); aminoglicosidi (N , S,
K); tetracicline (T, TE) e sulfonamidi potenziati (SXT). Anche S.
typhimurium in 5 casi su 9 è risultata MDR (immagine 1).
I ceppi identificati come nuovi sierotipi hanno presentato un
identico profilo di resistenza, mostrando l’assenza di aloni di
inibizione per AM, S, T e TE. In un unico caso tra gli 87 ceppi
non è stato possibile ottenere la tipizzazione sierologica. Tale
ceppo ha, però, manifestato resistenza verso AM, AMC, KF e
intermedio-resistenza verso ENR, T e TE.
La percentuale di resistenza ai singoli principi attivi è riportata
in tabella 2. I valori più elevati sono stati riscontrati per la classe
delle tetracicline.
fossero associati a quelli che determinano l’antibioticoresistenza, la virulenza potrebbe essere selezionata dall’uso
degli antibiotici (3).
Probabili cause che favoriscono la selezione di ceppi
antibiotico-resistenti sono costituite da trattamenti di massa
in allevamento, per la terapia e la profilassi delle infezioni
batteriche, e da controllo non accurato delle posologie e dei
tempi di trattamento. Anche l’utilizzo dei mangimi addizionati
di antibiotici, in condizioni subterapeutiche come promotori di
crescita (auxinici), possono aver prodotto resistenza batterica
sia verso le molecole impiegate, sia verso quelle strutturalmente
e farmacologicamente correlate (resistenza crociata) (5).
Tenuto conto dei dati ottenuti si sottolinea la necessità di
continuare il monitoraggio del fenomeno dell’antibioticoresistenza nei ceppi di salmonella isolati dalla fauna selvatica, in
quanto bioindicatrice e potenziale reservoir di ceppi zoonotici.
In conclusione, una costante sorveglianza è indispensabile per
identificare il potenziale emergere di nuovi profili di resistenza
e per valutare le misure di controllo al fine di diminuire
l’antibiotico-resistenza in salmonella. Infine, è essenziale che
in ambito veterinario si proceda ad un uso prudente degli
agenti antimicrobici.
Tabella 2. Percentuali di resistenza ai singoli principi attivi.
Principio
attivo
Resistenza
TE
T
88%
84%
S
AM
AMC
NA
ENR
41%
14%
8%
3%
3%
N
C
K
2%
2%
2%
KF
1%
CT
CN
SXT
1%
1%
1%
Antibiotico-resistenza in
Italia (5)
53%
Immagine 1. Test di disco diffusione effettuato su una
Salmonella typhimurium isolata da poiana.
36%
15%
16%
6%
45%
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10. The Community Summary Report on antimicrobial resistance
in zoonotic and indicator bacteria from animals and food in the
European Union in 2008. (2010) The EFSA Journal 8 (7) 1658.
DISCUSSIONE
L’analisi dei ceppi di salmonella, ottenuti da fauna selvatica,
proveniente da Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, ha
evidenziato la presenza di una diffusa antibiotico-resistenza.
La percentuale di resistenza agli antimicrobici, emersa negli
animali selvatici considerati nel presente lavoro, risulta essere
maggiore (98%) rispetto a quella indicata in animali da reddito
dal rapporto EFSA (53%) (10). È essenziale considerare, però,
che il campionamento EFSA è stato numericamente maggiore
rispetto al nostro studio.
I valori di resistenza più elevati sono stati registrati verso
le tetracicline. Questo fatto trova evidenza nell’utilizzo di
tale antibiotico nei due terzi dei regimi terapeutici applicati
in veterinaria (8). In aggiunta, i nostri dati dimostrano,
contrariamente a quelli europei, una completa sensibilità dei
ceppi verso cefotaxime e ciprofloxacina.
Tra le salmonelle MDR, un caso rilevante è rappresentato da
S. brancaster. Le informazioni epidemiologiche riguardanti tale
sierotipo sono piuttosto limitate. La letteratura riporta isolamenti
sporadici: due di questi sono stati segnalati in Toscana nel
1985 e nel 1991 da campioni umani (7).
Il fagotipo S. typhimurium DT 104, considerato un patogeno
emergente, presenta una maggiore multiresistenza rispetto
agli altri fagotipi. Ad oggi, non è noto né se gli isolati di DT
104 possiedano una maggiore virulenza, né se la virulenza
sia associata a resistenza multipla. Se i geni per la virulenza
161
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SVILUPPO DI UN METODO IN LC-MS/MS PER LA DETERMINAZIONE DELLA MELAMINA NEL MUSCOLO
Brizio P.1,2, Marchis D.1, Prearo M.1, Squadrone S.1, Ciccotelli V.1,2, Leporati M. 2, Capra P. 1,2, Elia A. C.3, Abete M. C.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna 148 – 10154 Torino
2
CAD- Centro Regionale Antidoping “Alessandro Bertinaria” , Orbassano, Torino
3
Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale, Università di Perugia, Perugia, Italy
Key words: Melamine, HPLC-MS/MS, fish
per tali motivi le procedura estrattiva e purificativa si articolano
in vari passaggi.
L’estratto finale in metanolo viene analizzato mediante
cromatografia liquida accoppiata ad uno spettrometro di
massa a triplo quadrupolo con sorgente ESI (ElectroSpray
Ionization). L’utilizzo di tale rivelatore permette di operare in
modalità Multiple Reaction Monitoring (MRM) e di prendere in
considerazione 3 ioni prodotto per la melamina e lo standard
interno, guadagnando in sensibilità e selettività.
Per la separazione cromatografica si è scelta una colonna
ad interazione idrofilica, con una fase stazionaria in grado di
trattenere analiti particolarmente polari.
I parametri strumentali ottenuti in fase di ottimizzazione del
metodo sono riportati nella Tabella 1, mentre le condizioni
cromatografiche sono presentate nella Tabella 2.
INTRODUZIONE
La melamina viene utilizzata principalmente nell’industria
della plastica, in combinazione con la formaldeide, per la
formazione di resine melaminiche che trovano impiego anche
nella produzione di materiali a contatto con gli alimenti.
Ha caratteristiche di ritardante di fiamma e costituisce il
componente principale anche di alcune colle e inchiostri.
I dati riportati dalla Food and Drug Administration (FDA)
Statunitense nel 2007 hanno evidenziato la presenza di
melamina nel glutine di grano e nelle proteine del riso importati
dalla Cina, ad una concentrazione compresa tra i 2 e gli 80 g/
kg [4].
Analisi eseguite nel 2008 su alimenti e mangimi hanno
dimostrato la presenza di melamina in pet food, prodotti da
forno, mangimi per maiali o pesci [2].
In base a quanto sinora menzionato l’FDA e l’European Food
Safety Agency (EFSA) hanno emanato le prime valutazioni
del rischio nel 2007. Nel 2008 gli esperti internazionali della
World Health Organization hanno stabilito una dose giornaliera
tollerata (TDI) di 0.2 mg/Kg per la melamina [5].
Valutare la quantità di melamina che si deposita anche nel
tessuto edibile dell’animale al variare della quantità di sostanza
aggiunta fraudolentemente nel mangime è importante poiché
il consumatore potrebbe correre il rischio di assumerla in
quantità superiori a quelle tollerate per legge.
La complessità della matrice e la polarità della molecola di
interesse hanno reso necessario affinare le tecniche estrattiva
e purificativa [1].
La preliminare ricerca bibliografica si è incentrata inizialmente
sulle diverse metodiche estrattive volte ad estrarre
efficacemente la melamina presente in varie tipologie di
alimenti, principalmente a base di latte, e successivamente sui
migliori metodi di rivelazione disponibili [3].
La scelta del miglior accoppiamento tra la tecnica estrattiva
e quella purificativa dipende principalmente dalla tipologia di
matrice e dalla strumentazione in dotazione al laboratorio;
strumenti maggiormente sensibili e/o selettivi riducono la parte
purificativa senza nulla sacrificare alle letture qualitativa e
quantitativa.
Lo scopo di questa ricerca è pertanto lo sviluppo di un
metodo in LC-MS/MS, con l’utilizzo di una colonna ad
interazione idrofilica, che consenta una riduzione dei tempi di
processamento del campione con un notevole guadagno in
sensibilità e selettività.
Analita
MELAMINA
MELAMINA
13
C3
M
(uma)
(M+H)+
DP
(V)
Trans.
127
38
127-85*
127-68
127-43
CE
(V)
26
39
46
130
40
130-87*
130-70
130-44
25
44
47
126,1
129,1
*SRM usata per la quantificazione
Tabella 1: valori dei parametri strumentali ottimizzati
per la melamina e lo standard interno.
Colonna cromatografica
% Ammonio Acetato 5 mM
% Metanolo
Flusso (µL/min)
Volume di iniezione (µL)
Durata dell’acquisizione
(min)
3 µm, 100 x 4.6 mm Luna
HILIC (Phenomenex)
15
85
400
20
7.50
Tabella 2: condizioni cromatografiche utilizzate.
Campioni di controllo negativi sono utilizzati per la costruzione
della retta in matrice che copre un range compreso tra i 250
ng/g e i 1000 ng/g.
Il metodo è stato applicato per l’analisi di campioni di muscolo
di trota iridea (Oncorhynchus mykiss) alimentata con mangime
arricchito di melamina a diversi livelli di concentrazione (12,5
g/kg e 25 g/Kg) per 4 settimane, seguite da un periodo di
sospensione (altre 4 settimane).
MATERIALI E METODI
La tecnica scelta per l’analisi del muscolo prevede, dopo
l’omogeneizzazione e l’addizione di un opportuno quantitativo di
standard interno, melamina 13C3, l’estrazione e la purificazione
con solventi organici e colonne per SPE a scambio ionico.
Il muscolo di pesce si presenta come una matrice alquanto
complessa poiché ricco di acidi grassi facilmente solubili nei
solventi organici comunemente usati per estrazioni solidoliquido; inoltre la melamina è una molecola polare che si estrae
preferibilmente in acqua o sue soluzioni, meglio se acidificate;
RISULTATI
Le trote sono state nutrite con livelli elevati di melamina
per testarne l’appetibilità e soprattutto per poter trovare
concentrazione elevate nel muscolo, atte allo sviluppo del
162
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
suddetto metodo.
Per la quantificazione si è costruita una retta in matrice
positivizzando muscoli di trota negativi a concentrazioni di
melamina pari a 250, 500 e 1000 ng/g (Figura 1).
BIBLIOGRAFIA
1.
W.C. Andersen, S.B. Turnipseed, C.M. Kardiwnyk, M.R.
Madson, 2007, “Determination of melamine residues in catfish
tissue by triple quadrupole LC-MS-MS with HILIC chromatography”;
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2. R. L. M. Dobson, S. Motlagh, M. Quijano, R. T. Cambron, T. R.
Baker, A. M. Pullen, B. T. Regg, A. S. Bigalow-Kern, T. Vennard, A.
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Pet Food Leading to an Outbreak of Renal Toxicity in Cats and
Dogs”, Toxicological Sciences, 160(1): 251-262;
3. R. Muñiz-Valencia, S. G. Ceballos-Magaña, D. Rosales-Martinez,
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by liquid chromatography. Application to animal feed samples”;
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4. M. Smoker, A.J. Kryntsky, 2008 “Interim method for determination
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version 1.0”, FDA Laboratory Information Bulletin, 4420;
5. S.B. Turnipseed, C. Casey, C. Nochetto, D.N. Heller, 2008,
“Determination of melamine and cyanuric acid residues in infant
formula using LC-MS/MS”, FDA Laboratory Information Bulletin,
24:4421;
6. Y.T. Wu, C.M. Huang, C.C. Lin, W.A. Ho, L.C. Lin, T.F. Chiu,
D.C. Tarng, C.H. Lin, T.H. Tsai, 2009, ”Determination of melamine
in rat plasma. Liver, kidney, spleen, bladder and brain”, Journal of
Chromatography A, 44:7595-7601.
Figura 1: Retta in matrice relativa alla melamina; le aree
dell’analita sono state normalizzate per quella dello standard
interno
La melamina è stata trovata nei campioni di muscolo analizzati
in un range di concentrazione compreso tra gli 0,6 e i 110 mg/
Kg per le trote nutrite con mangime arricchito di melamina a
12,5 g/Kg e in un range compreso tra gli 0,6 e i 190 mg/Kg per
quelle nutrite con mangime arricchito a 25 g/Kg.
I campioni che presentavano una concentrazione di analita fuori
dal range compreso dalla retta sono stati rianalizzati diluendoli
e facendo così rientrare il rapporto tra l’area dell’analita e
quella dello standard interno nel range prefissato.
SUMMARY
Melamine is a nitrogen rich compound that was found in
fish feed and meal in some countries. This chemical might
accumulate in fish tissues and thus present a potential risk
for humans health. Rainbow trout were fed with melamine
enriched diet; samples were analyzed in order to quantify
melamine residues in muscles. After an extraction-purification
step, tissues extracts were analyzed by HILIC chromatography
coupled with a triple quadrupole tandem mass spectrometer,
using a ESI source. This detector allows reaching higher levels
of sensitivity and selectivity.
CONCLUSIONI
Appartenendo la melamina alla famiglia delle triazine, è
difficilmente separabile cromatograficamente sulle colonne per
cromatografia liquida a fase inversa disponibili sul mercato. La
cromatografia liquida ad interazione idrofilica (HILIC) che è
stata quindi scelta consente la separazione dei soluti polari
tra la fase mobile organica miscibile con l’acqua, presente in
elevata concentrazione, e la superficie idrofilica che ricopre la
fase stazionaria.
Il principio della separazione è lo stesso della cromatografia in
fase diretta; questo consente l’eluizione degli analiti d’interesse
con elevate percentuali di solvente organico, che aiuta la
nebulizzazione degli analiti nella sorgente di ionizzazione,
incrementando la sensibilità e la selettività dello spettrometro
di massa.
La laboriosità delle procedure purificativa ed estrattiva ha
consentito di ottenere un estratto piuttosto pulito e concentrato,
permettendo di raggiungere limiti di determinazione molto
bassi e più precisamente di 10 ng/g.
L’utilizzo della cromatografia HILIC accoppiata allo spettrometro
di massa a triplo quadrupolo, unitamente all’ottimizzazione
delle fasi estrattiva e purificativa, hanno permesso di ridurre
notevolmente i tempi di analisi strumentali e di raggiungere
livelli di sensibilità e specificità soddisfacenti.
RINGRAZIAMENTI
Questa ricerca è stata realizzata grazie al finanziamento del
Ministero della Salute nell’ambito delle ricerche correnti.
163
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CARATTERIZZAZIONE IMMUNOISTOCHIMICA DI CELLULE STAMINALI IN TUMORI MAMMARI FELINI
Campanella C1, Barbieri F2, Cimadomo V1, Tiso M1, Panno R1, Vito G1, Ratto A1, Florio T2, Ferrari A1
1
Centro di Referenza Nazionale per l’Oncologia Veterinaria e Comparata, CEROVEC, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria
e Valle d’Aosta, Genova, Italia; 2Laboratorio di Farmacologia, Dipartimento di Oncologia, Biologia e Genetica, Università di Genova, Italia.
Key words: carcinoma mammario felino; cellule staminali tumorali.
SUMMARY - Feline mammary carcinomas (CMF) in oncology
have been considered for a long time a good model for
comparative study of the human tumors. Recent studies
have revealed the existence of cancer stem cells (CST), a
subpopulation responsible for the development and progression
of malignant tumors. In our study we have considered 12
feline mammary tumors and we developed a protocol for the
isolation of feline mammary tumor and we characterized their
phenotype.
(Dako) e per Ki-67, clone MIB-1, marcatore di proliferazione
cellulare (Dako).
Sezioni dello spessore di 4 μm adese su vetrini polilisinati, sono
state sparaffinate in xilolo, reidratate in una serie discendente
di alcoli e portate all’acqua. Lo smascheramento antigenico è
stato effettuato con il tampone Target Retrieval Solution Citrate
pH 6 (DakoCytomation) diluito 1:10. Dopo raffreddamento
sotto acqua corrente, i vetrini sono stati sciacquati 2 volte in
Tris Buffer Solution (TBS) ed è stato eseguito il blocco delle
perossidasi con H2O2 al 3% in H2O distillata.
Dopo un lavaggio in H2O distillata e 2 in TBS, le sezioni
sono state incubate in BSA al 5% in TBS per 30 min. e
successivamente con l’anticorpo primario (anti-CD44, diluito
1:25 ed anti-MIB-1, diluito 1:75 in Antibody Diluent, Dako) per
1 ora a temperatura ambiente (t.a.). I vetrini sono stati lavati 2
volte in TBS ed incubati per 30 min. con anticorpo secondario
(EnVision TM, Dako Cytomation) e poi incubate per 12 min.
con substrato cromogeno 3,3’ –diaminobenzidine tetrachloride
(DAB). Le sezioni sono state infine controcolorate con
ematossilina di Meyer, lavate in H2O di fonte, disidratate in una
serie ascendente di alcoli, chiarificate in xilolo e montate con
balsamo Eukitt. In parallelo sono stati trattati i controlli positivi.
I preparati sono stati valutati sia con microscopio ottico che con
il sistema digitale Coolscope Nikon. Una porzione di tessuto
fresco per ciascun tumore è stata dissociata meccanicamente,
filtrata e centrifugata a 800 rpm per 5 min. La popolazione
cellulare così ottenuta è stata purificata dai fibroblasti con
tecnica di separazione immunomagnetica (MACS Milteniy
Biotec) e risospesa sia in terreno di coltura selettivo per
cellule mammarie staminali (contenente EGF e bFGF) che
in condizioni differenziative in terreno D-MEM completo,
addizionato con 10% siero fetale bovino (FCS). Le colture
sono state piastrate in fiasche ed incubate a 37°C in presenza
di 5% CO2. Le cellule mantenute in condizioni selettive hanno
formato cluster sferici, non adesi, denominati “mammosfere”.
Colture in monostrato sono state ottenute ricoprendo le
piastre con la matrice di membrana basale biologicamente
attiva Matrigel (BD Biosciences). Le cellule di CMF sono
state successivamente piastrate su vetrino coprioggetto o
chamberslides, e colorate con anticorpi diretti contro marcatori
epiteliali EMA e Citocheratine 45, 46 e 56.5 (clone MNF1116) e
CD44 (Ventana Medical Systems). Dopo un lavaggio in PBS,
le cellule sono state fissate in 4% paraformaldeide per 10 min.
a t.a. e permeabilizzate con PBS-Triton X-100 0.1% per 5 min.
Dopo 3 lavaggi in PBS le cellule sono state incubate con siero
normale di capra (1:5 in PBS) per 30 min. e successivamente
con l’anticorpo primario (anti-EMA ed anti-CD44, 1:2 in PBS)
per 1 ora a t.a. I vetrini sono stati lavati in PBS ed incubati
con l’anticorpo secondario coniugato al fluorocromo (Alexa
Fluor 488 o 568, Molecular Probes) diluito in PBS (1:100)
per 30 minuti al buio, in camera umida a t.a., controcolorati
con DAPI (4’,6-diamidino-2-phenylindole) e, dopo 3 lavaggi
in PBS, montati con il montante acquoso Mowiol (Merck). Le
mammosfere sono state colorate in sospensione secondo
il protocollo sopra descritto, fissate su vetrino con Mowiol e
analizzate con microscopio a fluorescenza.
INTRODUZIONE - I carcinomi mammari felini (CMF) sono da
tempo considerati in oncologia comparata un buon modello
per lo studio della controparte umana. Da tempo sono state
sviluppate tecniche immunoistochimiche e biomolecolari,
adattandole e affiancandole, più recentemente, a studi sulle
cellule staminali tumorali (CST). A differenza delle cellule
differenziate non-tumorigeniche, costituenti la maggior parte
della massa neoplastica (1,2,), le CST costituiscono una
sottopopolazione cellulare ritenuta responsabile dello sviluppo e
della progressione dei tumori maligni. La velocità di replicazione
delle CST, inferiore rispetto a quella delle cellule neoplastiche
differenziate, e la loro potenziale capacità di dividersi per un
numero illimitato di cicli, ne determina la resistenza alle terapie
convenzionali (chemio /radio), selettive per cellule ad elevata
rapidità di proliferazione. Si ritiene pertanto che alla mancata
eliminazione delle CST di una neoplasia consegua lo sviluppo
della resistenza farmacologica, con fenomeni di recidiva
e metastasi. La presenza di CST è stata rilevata in diverse
neoplasie umane; in particolare, nel tumore mammario, è
stata identificata una sottopopolazione di cellule con fenotipo
ESA+/CD44+/CD24-/low con proprietà “staminali”. Nel presente
lavoro sono state isolate CST da diversi istotipi di neoplasie
mammarie di gatto, utilizzando tecniche di coltura messe a
punto per l’isolamento e la crescita di cellule staminali normali
e tumorali umane (3); in parallelo i tessuti da cui derivavano,
sono stati testati per la presenza di alcuni marcatori antigenici
con tecniche di immunoistochimica ed immunofluorescenza.
MATERIALI E METODI – Sono state prese in considerazione
12 neoplasie mammarie feline, di cui 5 carcinomi tubulopapillari
semplici, 3 carcinomi solidi semplici, 2 carcinomi tubulari
semplici, 1 carcinoma squamoso e 1 adenoma mammario a
cellule basaloidi. I campioni sono stati prelevati sterilmente,
posti in terreno di coltura Dulbecco’s-modified Eagle medium
(D-MEM, Euroclone) addizionato con glutammina (2mM),
penicillina (200U/ml), streptomicina (200U/ml) ed anfotericina
B (2,5μg/ml) (Sigma Aldrich) e mantenuti a 4°C fino alla
processazione eseguita entro 4 ore dal prelievo per assicurare
la vitalità cellulare. Frammenti rappresentativi di ogni campione
sono stati fissati in formalina, inclusi in paraffina e lavorati
come di routine per l’esame istologico effettuato secondo la
“Classificazione istologica dei tumori mammari di cane e gatto
del WHO- seconda edizione”, con attribuzione del codice ICD-O
e del grading istopatologico. Tutti i casi sono stati testati con
tecniche di immunoistochimica (IIC) per CD44, clone DF1485,
marcatore di cellule staminali di carcinoma mammario (4)
164
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Per caratterizzare questa popolazione cellulare presente
nelle colture CST abbiamo inizialmente verificato l’assenza di
contaminazioni di fibroblasti mediante immunofluorescenza
(IF) con anticorpi anti-procollagene, proteina espressa nei
fibroblasti. In seguito è stata valutata con IF l’espressione
di CD44: una elevata percentuale di cellule è risultata
positiva confermando che le colture ottenute sono arricchite
in CST (Fig.3). Le colture analizzate presentavano anche
immunopositività, sebbene a livelli variabili, di marker per
cellule epiteliali (EMA, citocheratine) presenti nelle cellule
differenziate. Per caratterizzare ulteriormente le colture di
CM felino è stata valutata la presenza di EGFR e E2R, due
recettori rilevanti nel carcinoma umano anche dal punto di
vista farmacologico. Le colture CST hanno mostrato pattern
di espressione variabili per entrambi i recettori rispecchiando
le caratteristiche individuali del tumore di origine. Sulla base
di questi dati abbiamo avviato uno studio per valutare l’effetto
citotossico di farmaci inibitori dell’attività tirosino-chinasica
di EGFR (erlotinib e gefitinib) quale possibile approccio
farmacologico nel trattamento delle CST di CMF. Mediante
saggio colorimetrico MTT è stata valutata l’attività citotossica
dei due farmaci sulle colture CST, che hanno presentato
diversi livelli di efficacia in ciascuna coltura, una variabilità di
risposta che corrisponde a quella osservata nei singoli tumori.
Le colture CST di CM felino possono quindi rappresentare un
valido modello di studio per l’attività di farmaci citotossici.
RISULTATI – Il potenziale proliferativo delle 12
neoplasie studiate è stato caratterizzato con colorazione
immnunoistochimica (IIC) per Ki-67 (MIB-1), evidenziando
elevata immunopositività, indice della notevole percentuale di
cellule in fase di attiva proliferazione (Fig. 1). In parallelo è
stata valutata l’espressione della proteina di adesione CD44,
marcatore specifico per l’isolamento delle sottopopolazione di
CST nel carcinoma mammario umano.
I CMF analizzati hanno mostrato una positività per CD44
confinata in discrete aree del tessuto neoplastico (Fig. 2),
confermando che le CST sono rappresentate in piccola
percentuale all’interno del tumore, come già osservato nelle
neoplasie umane. I tessuti freschi corrispondenti ai CMF
in studio sono stati processati e purificati dai fibroblasti, per
ottenere sia colture primarie differenziate (in presenza di FCS),
sia colture arricchite in CST, ottenute in terreno selettivo privo
di FCS. Queste hanno mostrato le peculiarità di crescita delle
cellule staminali: lenta proliferazione e formazione di aggregati
cellulari in sospensione simili alle “mammosfere” descritte
per le CST di tumore mammario umano (4). Inoltre, se poste
in terreno contenente FCS, erano in grado di differenziare
e crescere adese al substrato confermando le capacità
differenziative delle CST isolate. In accordo con quanto da noi
già osservato in cellule staminali di glioblastoma umano (4), le
CST di CM felino mantenevano un fenotipo staminale anche
se coltivate in monostrato su una membrana basale artificiale
(Matrigel).
DISCUSSIONE E’ stato messo a punto un protocollo per
l’isolamento di CST di tumore mammario felino: queste
sono state caratterizzate dal punto di vista fenotipico e della
sensibilità farmacologica. In particolare abbiamo confermato
che queste cellule possono essere coltivate sia come
mammosfere che in monostrato su Matrigel mantenendo la loro
potenziale staminalità. In futuro si prevede di dimostrarne la
tumorigenicità in vivo (mediante xenotrapianto in topi nudi) che
a tutt’oggi rappresenta l’unica prova definitiva della presenza
di CST in coltura.
Obiettivo futuro dello studio sarà la valutazione della sensibilità
di queste cellule a trattamenti farmacologici.
Fig.1 Carcinoma tubulare semplice: positività per Ki-67 (40X)
BIBLIOGRAFIA –1) Jordan CT (2004) Cancer stem
cell biology: from leukaemia to solid tumor Curr Opin
Cell Biol.16,708-712. 2) Porcile C., Barbieri F., Bajetto
A., Ratto A., Modesto P., Ferrari A. and Florio T. (2008)
STEM cell Properties of tumors cell subpopulations: role
in tumorigenesis and therapeutic intervention Rom J Comp
Oncol 14, 899-909. 3) Griffero F, Daga A, Marubbi D, Capra
M, Melotti A, Pattarozzi A, Gatti M, Bajetto A, Porcile C,
Barbieri F, Favoni R, Lo Casto M, Zona G, Spaziante R,
Florio T, Corte G. (2009) Different response of human
glioma tumor-initiating cells to epidermal growth factor
receptor kinase inhibitors. J Biol Chem 284, 7138-7148.
4) Al-Hajj M, Wicha M, Benito-Hernandez A, Morrison S,
Clarke M (2003) Prospective identification of tumorigenic
breast cancer cells. Proc Natl Acad Sci USA 100:39833988.
Fig.2 CMF di tipo tubulare IIC: Anticorpo anti-CD44
Fig.3 CST di CMF: monostrato IF: Anticorpo anti-CD44
165
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
IL LABORATORIO NAZIONALE DI RIFERIMENTO PER Escherichia coli
DELL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’
Caprioli A., Morabito S., Scavia G., Tozzoli R., Graziani C., Ferreri C., Minelli F., Marziano M.L., Babsa S.
Laboratorio Comunitario e Nazionale di Referenza per Escherichia coli, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Keywords: Escherichia coli, verocitotossina
ABSTRACT
The Istituto Superiore di Sanità of Rome is the European and
National Reference Laboratory for Escherichia coli, including
Verotoxigenic E. coli (VTEC) since 2006. The main task of its
mandate is to ensure that the methods for the identification and
typing of VTEC strains are harmonized. This is accomplished by
developing methods, distributing reference materials, organizing
proficiency tests and hosting scientists for training stages. The lab
also acts as Reference Laboratory of the Enter-Net Italia netwotk
in establishing monitoring and surveillance programs for VTEC.
- ricerca di E. coli O157 in campioni di feci;
- identificazione e conferma di E. coli produttori di Verocitotossina
(VTEC) di sierogruppo O157, O26, O103, O111, O145 mediante
Real-Time (RT) PCR.
LNR E. coli riceve campioni e richieste di analisi da diverse
strutture: aziende ospedaliere e cliniche universitarie, Aziende
Sanitarie Locali (ASL), Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IZS),
Facoltà di Medicina Veterinaria, ARPA e laboratori privati.
Il confronto tra il numero di campioni ricevuti ed esaminati dal
LNR E. coli nel 2009 rispetto al 2008 e al 2007 è riportato nella
Fig. 1.
INTRODUZIONE
Il Laboratorio Nazionale di Riferimento per Escherichia coli (LNR
E. coli) opera principalmente nel settore degli E. coli produttori di
verocitotossina (VTEC), che rappresentano l’unico gruppo di E.
coli patogeni per l’uomo con riconosciuta origine zoonotica.
In accordo al Regolamento CE 882/2004 le funzioni e i compiti
dell’LNR, includono:
- collaborazione con il Laboratorio di Riferimento dell’Unione
Europea;
- coordinamento delle attività dei laboratori responsabili del
controllo ufficiale degli alimenti;
- organizzazione di test comparativi tra questi laboratori;
- supporto tecnico-scientifico all’Autorità competente.
Il laboratorio svolge anche il ruolo di Laboratorio di Riferimento
per le infezioni umane da VTEC nell’ambito del sistema di
sorveglianza ENTER-NET Italia. Le attività del laboratorio
comprendono la ricerca e conferma di VTEC e la tipizzazione
di stipiti di E. coli isolati da casi clinici, da alimenti e da animali;
indagini diagnostiche su pazienti con sospetta infezione da VTEC,
in particolare casi di Sindrome Emolitico Uremica (SEU).
Al fine di fornire prestazioni e risultati di laboratorio qualificati e
riconosciuti in ambito nazionale e internazionale, LNR E. coli ha
definito e applica una politica della qualità conforme alla norma
UNI CEI EN ISO/IEC 17025.
Fig. 1: Numero di campioni ricevuti ed esaminati dal LNR E. coli
dal 2007 al 2009 divisi per matrice
ATTIVITA’ DI SUPPORTO TECNICO-SCIENTIFICO
LNR E. coli collabora attivamente con diverse strutture al
fine di armonizzare le procedure nel campo della diagnosi
delle infezioni da VTEC ed incrementare la sorveglianza e le
indagini epidemiologiche. LNR E. coli ha espresso pareri sulle
implicazioni sanitarie relative al consumo di latte crudo per il
Ministero della Salute, l’AULSS di Legnago (VR), la Regione
Veneto, il Consiglio Superiore di Sanità, e partecipando ai gruppi
di lavoro di quest’ultimo su “Proposte per un programma di
prevenzione delle infezioni da Escherichia coli O157”. LNR E. coli
garantisce assistenza alle strutture del SSN tramite la produzione
e distribuzione di materiali di riferimento e l’attività di training. In
particolare sono stati effettuati 8 eventi formativi teorico-pratici per
l’addestramento del personale di strutture sanitarie e universitarie
nelle tecniche di identificazione e caratterizzazione dei VTEC.
ATTIVITA’ DIAGNOSTICA
LNR E. coli esegue a titolo gratuito attività diagnostica su richiesta
di strutture del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e altri laboratori
pubblici. Questa attività riguarda sia le infezioni umane che matrici
derivanti da attività di sorveglianza e controllo su animali, alimenti
e ambiente.
Gli esami che vengono effettuati sono eseguiti secondo procedure
operative standard (POS) e comprendono:
- Isolamento, identificazione e conferma di E. coli VTEC mediante
amplificazione dei geni codificanti i fattori di virulenza e saggio di
citotossicità su cellule Vero, in campioni biologici di provenienza
umana, animale e alimentare;
- isolamento dei principali sierogruppi VTEC mediante
arricchimento per separazione immunomagnetica;
- identificazione tramite siero-agglutinazione dei principali
sierogruppi di E. coli patogeni;
- diagnosi sierologica dell’infezione da E. coli O157, O26, O103,
O111, O145 con metodo ELISA (ricerca di anticorpi anti-LPS);
- ricerca della Verocitotossina libera in campioni di feci e
supernatanti di colture batteriche mediante saggio di citotossicità
su cellule Vero;
TEST COMPARATIVI INTER-LABORATORIO
Identificazione e tipizzazione di ceppi VTEC
LNR E. coli ha organizzato quattro circuiti interlaboratorio
(proficiency tests, PT) destinati agli IZS. Gli obiettivi dei PT
erano:
- identificare correttamente un ceppo di E. coli come un VTEC
tramite rilevamento in PCR dei geni di virulenza;
- identificare correttamente i siero-gruppi dei ceppi VTEC
maggiormente associati a malattia grave nell’uomo (3).
Le figure 2a e 2b mostrano il numero dei laboratori partecipanti
ai PT con le relative prestazioni relativamente all’identificazione
dei diversi geni di virulenza ed alla sierotipizzazione dei ceppi.
Nel corso degli anni, si è osservato sia un aumento del numero
166
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
di partecipanti che il miglioramento delle prestazioni individuali.
In particolare, è importante notare che tutti i laboratori sono ora
in grado di identificare correttamente i ceppi VTEC appartenenti
al sierogruppo O157, e la maggior parte di loro anche quelli
appartenenti agli altri quattro sierogruppi maggiormente coinvolti
nelle infezioni umane: O26, O103, O111, O145.
animali programmato dall’Autorità Europea per la Sicurezza
Alimentare (EFSA) da condurre su bovini e ovini al macello (2).
Ai laboratori è stato richiesto di applicare il metodo ISO 16654:2001
per la ricerca di VTEC O157 (obbligatorio), ed il protocollo CEN
descritto in una linea-guida proposta dal LNR E. coli per la
ricerca di VTEC non-O157 (facoltativo). Lo studio è stato quindi
strutturato come un proficiency test per valutare la performance
dei laboratori partecipanti.
Undici laboratori da 9 IIZZSS hanno partecipato alla fase
obbligatoria dello studio. Nel complesso, tutti i laboratori hanno
eseguito correttamente il test.
Quattro laboratori hanno preso parte alla fase facoltativa. Un
laboratorio ha identificato correttamente la presenza/assenza
dei tre geni di virulenza nelle colture di arricchimento di tutti i 5
campioni. Gli altri laboratori hanno commesso rispettivamente 1,
2 e 3 errori.
Il PT organizzato nel 2010 aveva come obiettivo la ricerca di
VTEC non-O157 in campioni alimentari utilizzando il metodo di
riferimento basato sulla real time PCR.
Campioni di latte sono stati contaminati con 40 cfu/ml di un ceppo
VTEC di sierogruppo O103 e spediti refrigerati ai laboratori.
Nove laboratori, un numero molto più elevato rispetto all’anno
precedente, hanno partecipato allo studio ed i risultati ottenuti
sono in corso di elaborazione.
Il PT 2010 è stato organizzato seguendo i principi generali
enunciati nella norma internazionale ISO/IEC 17043:2010
“Conformity assessment – General requirements for proficiency
testing”.
Fig. 2: Studi inter-laboratorio organizzati dal LNR
b. Sierogruppi
DISCUSSIONE/CONCLUSIONI
I VTEC rappresentano una popolazione eterogenea di patogeni
a trasmissione prevalentemente alimentare. Un gran numero di
sierogruppi di E. coli è stato descritto nelle popolazioni di animali
da allevamento con la capacità di produrre le verocitotossine (1),
tuttavia i ceppi coinvolti nelle infezioni umane appartengono ad
un ristretto numero di questi (3-4). L’impossibilità di distinguere
fenotipicamente i VTEC dai ceppi di E. coli commensali richiede,
inoltre, la determinazione della presenza dei geni codificanti i fattori
di virulenza. Questi presupposti richiedono lo sviluppo di metodi
molecolari complessi e richiedono una rete di laboratori qualificati
e formati. LNR E. coli ha come obiettivo primario il consolidamento
della rete dei laboratori che eseguono il controllo ufficiale degli
alimenti in grado di identificare i ceppi VTEC nei veicoli delle
infezioni, armonizzando le prestazioni delle strutture operative
anche al fine di migliorare la conoscenza dell’epidemiologia delle
infezioni da VTEC per affrontare possibili emergenze.
Identificazione di VTEC negli alimenti e matrici animali
Nel corso del 2009 e 2010 LNR E. coli ha organizzato due PT
mirati all’identificazione e isolamento e alla tipizzazione dei
principali sierogruppi di VTEC associati ad infezioni umane gravi
in matrici animali ed alimentari contaminate artificialmente.
I test avevano lo scopo di introdurre nella routine dei laboratori una
metodica recentemente sviluppata in ambito CEN (commissione
Europea per la normalizzazione) e attualmente in fase di
pubblicazione come “technical specification” dall’organizzazione
internazionale per la standardizzazione (ISO). Questo metodo
è basato sulla identificazione tramite real time PCR dei geni
di virulenza e dei determinanti associati ai cinque sierogruppi
VTEC maggiormente coinvolti nelle infezioni più gravi in colture
di arricchimento. Il metodo prevede, inoltre, l’isolamento del
ceppo VTEC eventualmente presente in seguito ad arricchimento
sierogruppo-specifico.
Il metodo, in seguito alla pubblicazione da parte dell’ISO, diverrà
standard internazionale e metodo di riferimento per la ricerca dei
VTEC appartenenti ai siero gruppi nel campo di applicazione
negli alimenti.
il test del 2009 è stato dedicato alla ricerca dei VTEC in campioni
costituiti da tamponi superficiali di carcasse bovine simulati,
contaminati in laboratorio con quantità variabili di VTEC O157 e
O26 in presenza di flora di background.
Lo scopo di questo PT era di preparare i laboratori a condurre
le indagini relative al monitoraggio dei VTEC nelle popolazioni
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ISOLAMENTO E TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI Mycobacterium bovis
DA BOVINI SICILIANI NEL TRIENNIO 2007-2009
Caracappa S.; Piraino C.; Vicari D.; Boniotti M. B. 1, Galuppo L.; Pacciarini M.1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, via G. Marinuzzi 3, Palermo-email: [email protected]
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia “B. Ubertini”
Keywords: Mycobacterium bovis, spoligotyping, tubercolosi bovina
ABSTRACT
Mycobacterium bovis is the causative agent of bovine
tuberculosis. Isolation and spoligotyping analysis of 75 M.
bovis and one of M. caprae isolates, from 2007 to 2009,
from sicilian bovine and one caprine head has been carried
out. Twelwe different spoligotype patterns were identified
being SB0120 the predominant one. This same spoligotype
was previously reported as the predominant one also in an
analysis regarding the North of Italy. MIRU-VNTR analysis
was performed as a second line genotyping technique by
characterisation of ten selected loci.
cutaneo tubercolinica PPD (derivato proteico purificato, All.
B, 2, Dir. 64/432/CEE) o che mostravano lesioni riferibili
alla tubercolosi in sede di esame ispettivo post mortem.
I campioni, prelevati, sono stati conservati in contenitori
sterili e successivamente trasportati, a temperatura
controllata, all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Sicilia dove sono stati processati secondo la procedura
in uso presso il laboratorio[9]. Nei casi di trasporto non
immediato il materiale è stato conservato a 4° ±2° C per un
massimo di quattro giorni o congelato a -20°C (DM 592/95,
all. 2).
INTRODUZIONE
Mycobacterium bovis è il principale agente della tubercolosi
bovina. Questa zoonosi produce ingenti perdite economiche
per le aziende oltre rappresentare una minaccia in termini
di salute pubblica.
Questo lavoro riporta i risultati della genotipizzazione degli
isolati di M. bovis da animali della specie bovina appartenenti
ad allevamenti siciliani nel periodo dal 2007 al 2009. Lo
spoligotyping [5] è considerato un valido metodo per la
tipizzazione molecolare di M. bovis poiché mostra una buona
riproducibilità e i risultati possono essere velocemente e
facilmente paragonati tra i vari laboratori grazie ai database
disponibili (www.mbovis.org, www.pasteur-guadalupe.fr/tb).
RISULTATI
I ceppi di Mycobacterium bovis isolati sono stati
caratterizzati ed, in seguito, inviati al Centro di Referenza
Nazionale presso L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale
della Lombardia e dell’Emilia sede di Brescia per la
tipizzazione molecolare. Su 76 isolati l’analisi del gene
gyrB ha consentito di classificare 75 ceppi di M. bovis e
un ceppo di M. caprae. La tipizzazione degli isolati ha poi
consentito l’identificazione 12 diversi spoligotipi (Tab. 1).
SB0120 si è rivelato essere lo spoligotipo più diffuso (45,8%
degli isolati) con un’elevata distribuzione geografica. I 32
isolati che presentavano lo spoligotipo SB0120 sono stati
ulteriormente caratterizzati al fine di avere una maggiore
capacità discriminativa. La tipizzazione è stata effettuata
utilizzando dieci loci VNTR (Variable Number Tandem
Repeat, ETR A-E, miru 26, QUB11a, QUB11b, QUB15 e
QUB3232, [3,7,8]) che hanno consentito di poter distinguere
i 32 isolati in 15 sottopopolazioni (tab. 2).
MATERIALI E METODI
I micobatteri sono stati isolati da campioni di organi
(polmone e fegato) e da linfonodi di animali, provenienti
dal territorio regionale, risultati positivi alla prova del test
Tab. 1 Diversità, distribuzione e frequenza degli spoligotipi di M. bovis. Bo: bovino; Ca: caprino.
Spoligotipo
Pattern
Specie
Province
Frequenza (%)
SB0120
■■□■■■■■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□
Bo
CT, EN, ME, TP, PA, RG, SR
45,8
SB0134
■■□□□■■■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□
Bo
CT, EN, PA, RG
17,9
SB0841
■■□■■□□■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□
Bo, Ca
EN, ME, SR
15,18
SB0897
■■□■■■■■□■■□■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□
Bo
PA, RG, SR
5,52
SB1550
■■□■■■■□□■■■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□
Bo
SR
5,52
SB1305
■□□□■■■■□■■■■■■□■■■■□■■■■■□■■■■■■■■■■■□□□□□
Bo
EN, PA
4,1
SB0121
■■□■■■■■□■■■■■■□■■■■□■■■■■■■■■■■■■■■■■□□□□□
Bo
PA, SR
2,7
SB1567
■■□■■■■■□■■■■■■□■■■■■■■■■■■□□□□■■■■■■■□□□□□
Bo
RG
1,4
SB0418
□■□□□□□□□□□□□□□□■■■■■■■■■■■□■■■■■■■■■■□□□□□
Bo
RG
1,4
168
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tab. 2 Frequenza degli isolati dello spoligotipo SB0120 caratterizzati utilizzando 10 loci VNTR.
Diversità allelica
(h)
Frequenza degli isolati con alleli MIRU-VNTR:
1
2
3
4
5
ETR-A
18,8
40,6
40,6
0,63
ETR-B
31,3
9,4
59,4
0,54
100
0,00
ETR-C
ETR-D
96,9
3,1
ETR-E
62,5
18,8
miru 26
3,1
7
3,1
3,1
87,5
0,23
0,00
96,9
0,06
90,6
3,1
DISCUSSIONE
I risultati di tipizzazione molecolari presentati in questo studio
sono i primi, a nostra conoscenza, per isolati di M. bovis in Sicilia.
La tipizzazione molecolare ha evidenziato l’esistenza di dodici
spoligotipi, tre dei quali ancora in corso di studio. Lo spoligotipo
SB0120 che è risultato essere quello maggiormente diffuso in
tutte le provincie siciliane, rappresenta il ceppo BCG-like [4]
ed era già stato descritto come lo spoligotipo predominante
in uno studio che riportava la tipizzazione di ceppi di M. bovis
isolati in regioni dell’Italia settentrionale dal 2000 al 2006 [2].
Inoltre, lo spoligotipo SB0120 è il più frequente in Francia [4] e
il secondo più diffuso in Spagna [1] dove invece lo spoligotipo
più frequentemente riscontrato è SB0121, a sua volta poco
diffuso in Sicilia. I nostri risultati sebbene necessitino di un
indagine più a largo raggio possono rappresentare un primo
passo per lo studio della reale entità del fenomeno in un
territorio, come quello siciliano, dove ancora la Tubercolosi è
una realtà nosologica preoccupante.
3,1
3,1
0,18
on variable numbers of tandem DNA repeats. Microbiology
144:1189–1196.
4.
Haddad, N., Ostyn, A., Karoui, C., Masselot, M., Thorel,
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11
0,12
100
3,1
10
0,54
6,3
QUB3232
2.
9
18,8
93,8
QUB11b
1.
8
0,06
QUB11a
QUB15
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169
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INDAGINE SULLA PREVALENZA DI SALMONELLA NEGLI ALLEVAMENTI DI SUINI DA RIPRODUZIONE
DELLA PROVINCIA DI CUNEO
Careddu M.E. 1, Olivetto L. 1, Ribero A.1, Fontanarosa S. 1, Bianchi C..1, Decastelli L. 2, Rubinetti F. 3, Vitale N. 3
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta-Sez. Cuneo;
Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta-Lab. Controllo alimenti Torino;
3
Osservatorio epidemiologico
Keywords: salmonella, suino, allevamento da riproduzione
INTRODUZIONE
L’epidemiologia delle infezioni da Salmonella nel suino consta
di due separati problemi: l’infezione delle carcasse e dei
prodotti alimentari e l’infezione che determina la salmonellosi
nel suino. Le indagini sulla prevalenza della patologia vanno
accuratamente verificate per assicurarsi che l’infezione non
sia confusa con la patologia.
Nella zona di studio, la provincia di Cuneo, vengono allevati
1 milione di suini circa, si è voluta indagare la prevalenza di
Salmonella seguendo lo schema utilizzato dall’EFSA a livello
europeo nel survey baseline condotto nel 2007/2008 negli
allevamenti di riproduttori per confrontare i dati provinciali ai
dati nazionali ed europei emersi in tale studio.
pieno tutto vuoto, tipologia approvigionamento mangimi,
eventuale presenza probiotici, principi attivi, trattamento e
mese di prelievo campioni.
E’ stato usato un modello di regressione logistica per valutare
contemporaneamente l’effetto di diversi fattori di rischio solo a
livello di azienda. Successivamente i fattori che sono risultati
significativi a livello di azienda sono stati analizzati con un
modello di regressione logistica gerarchico a 2 livelli (azienda,
box). Questo per tener conto che i box derivavano da un numero
limitato di aziende e alcuni box sono tra loro necessariamente
più simili perchè derivano dalla stessa azienda.
L’analisi statistica è stata condotta con il software SAS v9.1.
MATERIALI E METODI
Lo studio è un’indagine di prevalenza per salmonella condotta
da novembre 2008 e fino a marzo 2010 su un campione di 66
aziende suinicole da riproduzione della provincia di Cuneo.
La dimensione campionaria è stata fissata per stimare con
una prevalenza attesa del 20% un livello di confidenza del
95% e un errore dell’8% (66 aziende su 233 censite in ARVETAnagrafe regionale veterinaria).
In ogni allevamento sono stati prelevati 10 campioni, ognuno
costituito da pool di feci, provenienti da box o sale parto o
recinti in cui stabulavano almeno 10 animali.
Per ogni box o recinto o sala parto campionati è stata compilata
una scheda raccolta dati sul modello della survey baseline
condotta dall’EFSA.
I campioni sono stati sottoposti ad analisi nella stessa giornata
del campionamento, partendo da pesate di 25 grammi, alla
ricerca di salmonella spp secondo la metodica ISO 6579:2002/
Amd.1:2007 (isolamento salmonella spp. da materiale biologico
con terreno semisolido msrv ).
Le colonie sospette sono state poi inviate al laboratorio del
Controllo alimenti di Torino per la tipizzazione.
I dati raccolti sono stati inseriti in un database e poi analizzati,
le analisi eseguite sono le seguenti:
-in prima battuta e’ stata condotta una analisi descrittiva
monovariata di tutte le variabili presenti sulla scheda
epidemiologica per una rappresentazione del campione
analizzato
-l’analisi bivariata è stata eseguita a livello di azienda
considerando l’associazione tra presenza di patogeno e
una serie di fattori: anno, mese di prelievo campione, tipo di
modalità rimonta, sostituzione verri, numero riproduttori (la
variabile era divisa in 4 classi), trattamenti farmacologici.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Su 66 aziende 46 sono risultate negative (tutti e 10 i campioni
negativi) e 20 positive (uno o più campioni positivi) per
salmonella spp.
Nella Tabella 1 sono riportati dettagliatamente i campioni
positivi per salmonella e i risultati dei sierotipi isolati:
Tabella 2 prevalenza salmonella in allevamenti da riproduzione
della provincia di Cuneo
L’associazione è stata valutata con il test statistico chi quadrato
e con il test LRT (Likelihood ratio test) per le variabili qualitative
e il t test per le variabili quantitative fissando il p value a 0.05.
Un’ analisi bivariata a livello di box è stata eseguita per i
seguenti fattori: possibilità di recarsi all’aperto, presenza alloggi
individuali, episodi di diarrea, sesso, presenza di scrofette,
fase di produzione, tipo di stabulazione, applicazione tutto
170
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tabella 3 frequenze assolute e relative dei sierotipi isolati
CONCLUSIONI
Il presente studio conferma che la prevalenza di Salmonella
nella provincia di Cuneo è analoga a quella europea.
La stima dei fattori di rischio per salmonella trovati nel nostro
campione risulta diversa da quelli fatti registrare dalla survey
Europea: nella survey EU erano risultati fattori di rischio
associati alla presenza della salmonella: il numero di giorni tra
campionamento ed esecuzione esame (falsi negativi), il mese
di campionamento.
In provincia di Cuneo sembra assumere maggiore importanza
la tipologia di allevamento (ciclo chiuso).
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Analysis of the baseline survey on the prevalence
of Salmonella in slaughter pigs, in the EU, 2006-2007 - Part B:
factors associated with Salmonella infection in lymph nodes,
Salmonella surface contamination of carcasses, and the distribution
of Salmonella serovars
3.EFSA_2008
Report of the Task Force on Zoonoses Data
Collection on the Analysis of the baseline survey on the prevalence
of Salmonella in slaughter pigs, in the EU, 2006-2007 [1] - Part A:
Salmonella prevalence estimates
4.EFSA_2009 Analysis of the baseline survey on the prevalence of
Salmonella in holdings with breeding pigs in the EU, 2008 - Part A:
Salmonella prevalence estimates
5. EFSA_2010 Scientific Opinion on a Quantitative Microbiological
Risk Assessment of Salmonella in slaughter and breeder pigs
La prevalenza di salmonella trovata nel campione di riproduttori
è di 39.4% (IC95% 27.6-52.2%) e non è statisticamente
diversa da quella fatta registrare a livello Italiano dalla survey
baseline condotta nel 2006-2007 dalla EFSA nell’Unione
Europea(p=51.2%; IC95%: 39.2-65.1%).
I ceppi più frequentemente isolati nel progetto sono: s.
typhimurium (16%; IC95%:6-29% ), s. berta (13%; IC95%:526.3%) e s. derby (11%; IC95%:3.6-23.7% ). In Italia, secondo
i dati riportati dalla baseline survey EU, il ceppo maggiormente
isolato nei riproduttori è s. derby (16.3%; IC95%: 9.1-29%),
seguito da s. typhimurium (7%; IC95%: 2.7-17.7%). La
differenza tra le proporzioni è statisticamente significativa
per s. typhimurium (chisq=4.24 p<0.02); ma non per s. derby
(chisq=0.9 p<.34)
La stima dei fattori di rischio per salmonella trovati nel
nostro campione risulta diversa da quelli fatti registrare dalla
survey Europea: nella survey EU erano risultati fattori di
rischio associati alla presenza della salmonella: il numero di
giorni tra campionamento ed esecuzione esame, il mese di
campionamento. Nell’ambito della nostra analisi non abbiamo
preso in considerazione il primo aspetto perché gli esami sono
stati eseguiti sempre entro 24 ore dalla data di prelievo.
L’analisi bivariata (confronto solo tra due variabili, es. ciclomalattia) indicava come statisticamente significativo l’effetto
del ciclo chiuso e del mese di campionamento.
Il fattore mese però, risultato significativo a livello di stagionalità
nel modello di regressione logistico a un livello, è risultato non
significativo con il modello gerarchico GEE.
SUMMARY
In order to investigate the prevalence of salmonella in breeding
pigs in the Cuneo district a baseline survey was conducted in
April 2010. A samples of 66 holdings with breeding pigs were
randomly selected and included in the survey. In each breeding
holding, pooled faecal samples were tested for Salmonella and
the isolates were serotyped. The prevalence of Salmonellapositive holdings with breeding pigs was 39.4% (IC95% 27.652.2%). The number of different Salmonella serovars isolated
was 17 and S. typhimurium was the most frequent (16%).
Results of this study are similar to those of EU Salmonella
baseline survey.
Dall’analisi multivariata quindi è emerso come statisticamente
significativo solo l’effetto del ciclo chiuso, in grado di aumentare
il rischio di infezione di oltre 4 volte.
Tabella 4 output del modello di regressione logistica GEE
indicante le stime (Z) e la significatività statistica (P) e gli odds
ratio dei 2 fattori considerati
171
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PRESENZA DI LISTERIA MONOCYTOGENES IN IMPIANTI DI
MACELLAZIONE.
1
Carfora V, 1 Farneti S., 2 Renzi F., 1Bazzucchi V., 1Scorpioni V., 1Pezzotti G., 1Scuota S.
2
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
Scuola di Scienze Mediche Veterinarie, Università degli Studi di Camerino
Keyword: Listeria monocytogenes, PCR, PFGE
ABSTRACT
Investigations carried out over three months in a pig
slaughterhouse resulted in a high contamination of carcasses
by Listeria monocytogenes. In order to identify the possible
source of contamination, pre-moistened sponges have been
swabbed along the whole processing chain. In two facilities
was found L. monocytogenes, whose electrophoretic profile,
as determined by PFGE, was identical to that one isolated from
carcasses. The permanence of the germ along the process
appears to be the main cause of contamination of pork meat
and derived products, as found by other authors.
acqua peptonata (PRE-MOISTENED SPONGES, Solar-cult®),
a livello di torace, coscia, guanciale di una singola mezzena.
Il prelievo ha interessato una superficie totale di circa 300 cm2
ed è stato effettuato alla fine delle operazioni di macellazione
e bollatura, prima dello stoccaggio delle carcasse nelle celle di
refrigerazione. I campioni, trasportati a temperatura controllata
(4±2°C), sono stati analizzati entro le 24 ore successive
all’arrivo in laboratorio.
Isolamento e identificazione: la ricerca di L. monocytogenes è
stata condotta mediante metodica AFNOR BIO 12/11-03/04. I
campioni risultati positivi allo screening effettuato con metodo
immunoenzimatico sono stati confermati secondo quanto
previsto dalla UNI EN ISO 11290-1:2005.
PCR: la PCR di specie è stata eseguita secondo il protocollo
di Barocci et al. (1). Quest’ultima permette l’identificazione di
specie di L. monocytogenes attraverso l’uso di primers specifici
per una regione del gene hlyA codificante per l’esotossina
denominata Listerolisina O, la quale svolge attività litica sulle
cellule dei tessuti e sui globuli rossi (8). Al fine di valutare
la potenziale virulenza dei ceppi isolati, è stata eseguita
una PCR per evidenziare la eventuale presenza del gene a
localizzazione cromosomica lmo 2026, che sembra essere
coinvolto nella moltiplicazione del germe a livello del sistema
nervoso centrale. Tale metodica è stata eseguita utilizzando i
primers riportati in bibliografia (6), secondo il protocollo descritto
in Tabella 1. Le reazioni sono state condotte con Mastercycler
5533 (Eppendorf) e gli amplificati sono stati analizzati mediante
corsa elettroforetica su gel al 2%, contenente bromuro di etidio
(concentrazione finale 0,5 µg/ml), in tampone TBE 1X (Biorad)
e successiva visualizzazione mediante transilluminatore.
INTRODUZIONE
Dalle analisi effettuate nell’ambito del “Piano di monitoraggio
di Listeria monocytogenes e Listeria spp. nei salumifici umbri”,
inserito nel “Piano integrato dei controlli 2007-2010 sulla
sicurezza Alimentare- Regione Umbria”, risulta che le carni
fresche di suino e i prodotti a base di carne anche stagionati
da esse derivati sono frequentemente contaminati da germi
appartenenti al genere Listeria. Le fonti di contaminazione
delle carni suine da parte di L. monocytogenes possono
essere molteplici e attribuibili al management igienico-sanitario
dell’allevamento o alla non scrupolosa osservanza di misure
precauzionali atte ad evitare l’imbrattamento delle carcasse
durante la macellazione (5, 7).
Comunque, considerata la spiccata capacità di Listeria
monocytogenes di persistere negli ambienti di lavorazione,
la sua presenza sembra essere più facilmente riconducibile
a un problema di natura ambientale (2). Tale microrganismo,
pur non essendo sporigeno, mostra una particolare attitudine a
resistere alle condizioni ambientali avverse attraverso la messa
in atto di una serie di “strategie” fisiologiche e biochimiche.
Tra queste, assume particolare rilievo la capacità di formare
biofilm,in grado di determinare un aumento della resistenza
dei germi ai sanitizzanti convenzionali, quali gli acidi anionici
o i composti dell’ammonio quaternario. Sulla base di questi
presupposti, si è ritenuto opportuno intraprendere un’indagine
conoscitiva sulla presenza di Listeria monocytogenes su
carcasse suine regolarmente macellate e negli impianti di
macellazione. Dai risultati ottenuti è scaturita inoltre la necessità
di indagare le possibili localizzazioni del germe lungo la catena
di lavorazione, in uno dei mattatoi dove si era riscontrato un
alto numero di carcasse positive.
Tabella 1 - Miscela di reazione e condizioni di amplificazione
Mix di reazione (50 µl)
Buffer
1x
MgCl2
1,5 mM
dNTPs
200 µM
Lmo2026F 0,2 µM
Lmo2026R 0,2 µM
Taq
1U
DNA
MATERIALI E METODI
Campioni: sono state campionate 120 carcasse di suini
regolarmente macellati presso tre mattatoi in provincia di
Perugia. In ogni stabilimento sono stati effettuati prelievi
ad un mese di distanza uno dall’altro; in ogni sessione di
campionamento sono state campionate 20 carcasse. Inoltre
era stato previsto, in caso di eventuali positività riscontrate, di
effettuare un terzo prelievo negli stabilimenti di macellazione, a
livello di superfici ambientali, attrezzature, strumenti utilizzati e,
contestualmente, di campionare almeno 20 carcasse macellate
nella stessa giornata. Le carcasse sono state campionate, con
metodo non-distruttivo mediante spugne pre-inumidite con
2 µl (20-100 ng)
Amplificazione
1 ciclo
95°C x 5’
95°C x 30”
55°C x 1’
65°Cx 30”
68°C x 15’
32 cicli
1 ciclo
PFGE: i ceppi di L. monocytogenes isolati sono stati sottoposti
a elettroforesi in campo pulsato (PFGE). L’estrazione del DNA,
la digestione dei campioni con enzima AscI e l’elettroforesi
in campo pulsato sono state eseguite secondo il protocollo
descritto da Graves and Swaminathan (4) per il programma
PulseNet. Come riferimento per l’analisi dei profili di restrizione
viene caricato su ogni gel il DNA genomico di Salmonella
Braenderup H9812, digerito con enzima Xbal. La corsa
elettroforetica è stata eseguita utilizzando un sistema CHEFDR III (Bio-Rad, Hercules, CA) ad un gradiente di 6V/cm,
angolo 120°, uno switch time di 4-40 secondi a 14°C per 21
ore.
172
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
delle carcasse suine è strettamente legata all’igiene degli
impianti di macellazione.
La contaminazione delle carcasse avviene verosimilmente nelle
ultime fasi della catena; si può ragionevolmente supporre che la
permanenza nella vasca di scottatura determini l’inattivazione
pressoché totale del germe. Infatti, anche nel nostro caso, le
attrezzature risultate contaminate sono state quelle venute
in contatto con la carcassa al termine della lavorazione. Il
riscontro dello stesso pulsotipo di L. monocytogenes nello
stesso stabilimento di macellazione, per un lungo periodo di
tempo, conferma le peculiari capacità del germe di sopravvivere
a lungo nell’ambiente, come già osservato da altri Autori.
Tale riscontro evidenzia altresì la non sempre adeguata
applicazione delle buone pratiche di lavorazione,
particolarmente per quello che riguarda la sanificazione delle
attrezzature e degli ambienti di lavorazione e il controllo
dell’efficacia di tale sanificazione.
La metodica PFGE, ormai largamente applicata nella
tipizzazione genomica di molte specie batteriche, si dimostra
ancora una volta un efficiente strumento per correlare ceppi
batterici, anche con diversa collocazione spazio-temporale,
consentendo, come in questo caso, di individuare le sorgenti
di contaminazione, rendendo più agevole ed efficace
l’applicazione di misure correttive .
La PFGE per Listeria monocytogenes, come per altri patogeni,
rappresenta pertanto un efficace strumento di epidemiologia
molecolare.
Al fine di completare l’indagine e di rafforzare l’ipotesi della
presenza di un unico pulsotipo, i ceppi già tipizzati saranno
sottoposti a un’ulteriore digestione utilizzando un altro enzima
di restrizione.
Dopo l’elettroforesi il gel è stato colorato in bromuro di etidio,
decolorato quindi fotografato sotto luce UV.
RISULTATI
Isolamento e PCR: le positività per L. monocytogenes sono
state riscontrate in un unico stabilimento di macellazione;
delle 60 carcasse campionate in questo stabilimento, 33
(55.0%) sono risultate positive all’isolamento e alla successiva
identificazione di L. monocytogenes mediante analisi in PCR.
Tutti i ceppi isolati presentavano il gene di virulenza lmo 2026,
generalmente correlato al sierotipo 1/2c (3). I risultati delle
analisi dei tamponi ambientali effettuati all’interno del mattatoio
sono indicati in Tabella 2.
Tabella 2 - Localizzazione ed esito dell’analisi
dei tamponi ambientali
Localizzazione prelievo
Lama coltello per iugulazione
Isolamento/PCR
Lama sega per sezionamento
-/-/-/-/-/-/-/+/+
Pareti “doccetta” per lavaggio carcasse
a fine macellazione
+/+
Superficie 1°convogliatore carcasse
Acqua vasca di scottatura
Griglia vasca di scottatura
Desetolatrice
Superficie nastro trasportatore
Superficie 2° convogliatore carcasse
BIBLIOGRAFIA
PFGE: tutti i ceppi di L. monocytogenes isolati dalle carcasse e
dai tamponi ambientali hanno mostrato un profilo di restrizione
identico, sia per il numero sia per la posizione delle bande
(Fig.1).
1) Barocci S., Calza L., Blasi G., Briscolini S., De Curtis M., Palombo
B., Cucco L., Postacchini M., Sabbatini M., Graziosi T., Nardi S.,
Pezzotti G.. 2008. Evaluation of rapid molecular method for detection
of Listeria monocytogenes directly from enrichment broth media.
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Listeria monocytogenes in macelli per suini. Industrie Alimentari,
XLI, 17-24.
3) Doumith M., Cazalet C., Simoes N., Frangeul L., Jacquet C., Kunst
F., Martin P., Cossart P., Glaser P., Buchrieser C., 2004. New aspects
regarding evolution and virulence of Listeria monocytogenes
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Immunity, 72, 1072-1083.
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meatproducing plants. Letters in Applied Microbiology, 37,234-238.
8) Portnoy D.A., Chakraborty T., Goebel W., Cossart P. 1992. Molecular
determinants of Listeria monocytogenes pathogenesis. Infection
and immunity, 60, 1263-1267.
Fig. 1: PFGE del DNA genomico di L.monocytogenes digerito
con AscI. Lanes 1-10, isolati da carcasse; Lanes 11-12isolati
da attrezzature; M, DNA di Salmonella Braenderup H9812
digerito con XbaI.
DISCUSSIONE
Il fatto che in due dei tre macelli sottoposti a indagine non si sia
riscontrata nel tempo alcuna positività per L. monocytogenes
a livello di carcasse, accredita l’ipotesi che la contaminazione
Si ringrazia il Sig. Michele Tentellini per la cortese disponibilità e per
l’assistenza tecnica prestata
173
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
STUDIO BIOMOLECOLARE SULLA PRESENZA DI HELICOBACTER SPP. IN CAMPIONI GASTRICI, DI FECI E
SALIVA PRELEVATI DA SUINI AFFETTI DA ULCERA GASTRICA
Casagrande Proietti P, Bietta A, Brachelente C, Lepri E, Franciosini MP.
Dipartimento di Scienze Biopatologiche ed Igiene delle Produzioni Animali ed Alimentari, Facoltà di Medicina Veterinaria, Perugia.
Key words: gastric ulcer, Helicobacter spp., PCR.
ABSTRACT
(Invitrogen, UK) e protocolli di PCR specifici (7). Il prodotto
di PCR di Helicobacter spp. è stato sottoposto a digestione
enzimatica con MboI (Gibco, UK). 8 prodotti di PCR ottenuti da
campioni di mucosa gastrica positivi per H. suis e 8 prodotti di
PCR ottenuti da feci e da saliva positivi per Helicobacter spp.
sono stati sottoposti a sequenziamento con primers specifici.
Stomachs from 400 slaughtered swine were subjected to
gross pathological examination to evaluate the presence of
ulcers. Sixty-five samples from ulcerated pars oesophagea
and 15 samples from non-ulcerated pyloric portions were
subjected to histopathological and molecular analyses to
detect Helicobacter (H.) species by PCR. Faeces and saliva
swabs from 25 animals were collected for in vivo analyses.
Histopathology revealed gastric ulcers (93% of cases); the
ulcerated oesophageal (49%) and the non-ulcerated pyloric
portions (53%) were positive for H. suis, while faeces (60%)
and saliva (64%) for Helicobacter spp.; H. pylori was not
detected.
INTRODUZIONE
L’ulcera della parte non ghiandolare dello stomaco è una
patologia ad eziologia complessa in cui sono coinvolti molti
fattori tra cui l’alimentazione, condizioni di stress e alcuni agenti
patogeni.(1,2) Ulcerazioni della porzione non ghiandolare dello
stomaco di suini, precedentemente infettati sperimentalmente
con H. suis sono state infatti associate alla presenza del
patogeno stesso E’ stato inoltre dimostrato che H. suis provoca
gastrite in suini infettati sia naturalmente che sperimentalmente
(3,4),. Ad oggi non si conosce con esattezza quale ruolo
possa avere H. suis nella patologia gastrica suina ma è noto
che esso rappresenta la principale specie di Helicobacter
in grado di colonizzare lo stomaco dei suini ed inoltre è il
microrganismo più diffuso nella patologia gastrica dell’uomo
(5) tra gli Helicobacter non-H. pylori. Alla luce di questi dati si
può ipotizzare che i suini possano rappresentare una fonte di
infezione di H. suis per l’uomo. Il maggiore agente microbico
rilevato nelle patologie gastriche umane rimane tuttavia H.
pylori, che al contrario sembra infettare solo occasionalmente
gli animali (6). L’obiettivo della nostra ricerca è stato quello di
valutare la presenza di Helicobacter spp., H. suis e H. pylori
mediante analisi di PCR in suini affetti da ulcere gastriche.
Inoltre, la presenza di Helicobacter spp. è stata studiata in
campioni di feci e di saliva allo scopo di mettere a punto una
metodica di PCR utile per applicazioni in vivo.
Figura 1. Microscopia ottica, colorazione ematossilina-eosina. Pars
esofagea dello stomaco: sono evidenti aree di disepitelizzazione della
mucosa e necrosi della sottomucosa (U, ulcera; E epitelio; TG, tessuto
di granulazione)
RISULTATI
L’esame istopatologico ha confermato la presenza di ulcere
a vario stadio di sviluppo in associazione a quadri variabili
di infiltrati infiammatori nel 93% degli stomaci esaminati al
macello. Erano frequentemente visibili lesioni di grado lieve
caratterizzate da ipercheratosi paracheratosica della porzione
squamosa. Nelle ulcere subacute e croniche si osservava
inoltre la proliferazione di un tessuto di granulazione e
l’iperplasia dell’epitelio ai margini della zona ulcerata. La
porzione ghiandolare era frequentemente infiltrata da linfociti
ed eosinofili mentre negli animali con ulcere gastroesofagee
subacute-croniche mostrava spesso quadri di gastrite cronica
linfofollicolare. L’analisi di PCR eseguita sui campioni gastrici
ha rivelato la presenza di Helicobacter spp. nel 49% dei
campioni con ulcera gastro-esofagea e nel 53% dei campioni
di mucosa pilorica senza lesioni. I campioni positivi per
Helicobacter spp. sono risultati positivi anche per H. suis (Fig.
2), dato confermato dalla digestione enzimatica che opera
esclusivamente sul genoma di H. suis; H. pylori non è stato
rilevato in nessun campione. Dall’analisi di PCR eseguita
su campioni di feci e di saliva è emerso che rispettivamente
il 60% ed il 64% sono risultati positivi per Helicobacter spp.,
mentre nessuno dei campioni è risultato positivo per H. suis o
H. pylori. Il sequenziamento dei campioni di mucosa gastrica
e dei campioni di feci e saliva positivi rispettivamente per la
PCR per H. suis e per Helicobacter spp. ha mostrato il 99%
di omologia con porzioni del gene 16S rRNA specifiche
rispettivamente di H. suis e del genere Helicobacter.
MATERIALI E METODI
400 stomaci di suini di 10 mesi sono stati esaminati al macello
per valutare la presenza di ulcere gastriche. Gli esami
istologici e le indagini biomolecolari sono state effettuate su
65 campioni di tessuto gastrico che mostrava la presenza di
ulcere e su 15 campioni di tessuto della porzione pilorica, che
macroscopicamente non mostravano la presenza di lesioni
ulcerative. Per gli studi molecolari il DNA è stato estratto dai
tessuti e dai campioni di feci e di saliva raccolti in vivo da 25
soggetti appartenenti allo stesso gruppo e conservati a -80
°C fino all’uso, utilizzando Charge Switch gDNA mini tissue
kit (Invitrogen, UK). Per la PCR sono stati utilizzati primers
174
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
analizzati. Sebbene Krakowka et al. (4) hanno riportato che H.
pylori è in grado di colonizzare la mucosa gastrica di suini infettati
sperimentalmente, non vi sono indicazioni che i suini possano
costituire un serbatoio naturale di questo patogeno (5).
Analisi di PCR con primers specifici sono state effettuate
su campioni di saliva e feci allo scopo di mettere a punto una
metodica in vivo per rilevare H. suis. Dai nostri dati è emerso che
il 60% dei campioni di feci e il 64% dei campioni di saliva sono
risultati positivi per Helicobacter spp., mentre sono risultati negativi
per H. suis e per H. pylori. I nostri dati sono in accordo con quelli
di Hanninen et al. che hanno isolato H. bilis e H. trogontum da
campioni di feci (9,10) mentre H. suis non è mai stato rilevato.
In conclusione i nostri risultati indicano che la PCR, sebbene
sia una metodica sensibile ed efficace per l’individuazione di
H. suis in campioni gastrici, potrebbe essere meno sensibile
nell’applicazione a saliva e feci. È possibile inoltre che specie di
Helicobacter diverse da H. suis siano presenti nelle feci e nella
saliva.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1.
Figura 2. Prodotti di PCR. (A) PCR di Helicobacter spp. M: 100 bp DNA
ladder; 1-4: PCR di campioni gastrici; 5: controllo negativo. (B) PCR di
Helicobacter suis. M: 100 bp DNA ladder, 1-7: PCR di campioni gastrici;
8: controllo negativo. (C) Digestione enzimatica con MboI dei prodotti di
PCR di Helicobacter spp. M: 100 bp DNA ladder, 1-2: Prodotti della PCR
Helicobacter spp. di H. pylori ATCC 43504 con (1) e senza (2) digestione
con MboI; 3-4: Prodotti della PCR Helicobacter spp. di campione gastrico
suino con (3) e senza (4) digestione con MboI.
2.
3.
4.
DISCUSSIONE
5.
I nostri risultati indicano che H. suis colonizza sia la pars
oesophagea che la porzione pilorica con comparsa dell’ulcera
limitatamente alla pars oesophagea, evento che suggerisce
una diversa suscettibilità delle due regioni anatomiche alla noxa
patogena. Tale differenza può essere riconducibile alla peculiare
morfologia delle due porzioni: l’epitelio squamoso stratificato della
pars oesophagea è infatti privo di ghiandole produttrici di muco
e manca del sistema tampone bicarbonato, che al contrario è
presente nella mucosa gastrica ghiandolare; tali caratteristiche
favoriscono il verificarsi di danni provocati dal contenuto di acido
cloridrico(5).A supporto di queste considerazioni è stato osservato
che H. suis colonizza principalmente l’antro e la zona del fundus e
in misura minore la zona del cardias (8) In suini sperimentalmente
o naturalmente infettati con H. suis il microrganismo è stato
rilevato a stretto contatto con le cellule parietali delle ghiandole del
fundus; ciò sta ad indicare che il batterio è in grado di stimolare
le cellule a produrre una maggiore quantità di acido cloridrico (5)
il quale può entrare in contatto con la porzione non ghiandolare
dello stomaco. Di conseguenza, questo insulto cronico arrecato
alla parte non ghiandolare può indurre lo sviluppo di ulcere. In
condizioni fisiologiche la porzione prossimale e quella distale
dello stomaco suino vengono mantenute in due comparti distinti
sia per quanto riguarda il contenuto enzimatico sia per il pH (5).
Il nostro studio non ha consentito di rilevare H. pylori nei campioni
6.
7.
8.
9.
10.
Guise HJ, Carlyle WWH, Penny RHC, Abbott TA, Riches
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Helicobacter sp. flexispira 16S rDNA taxa 1, 4 and 5 and
Finnish porcine Helicobacter isolates are members of the
species Helicobacter trogontum (taxon 6). Int J Syst Evol
Microbiol, 53, 425-433.
La Dott.ssa Bietta ha condotto la ricerca grazie ad un assegno di ricerca finanziato dalla Regione Umbria
175
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ANALISI DELL’ATTIVITA’ PROTEASOMALE COME MARKER PER LO STUDIO DELLE NEOPLASIE
Cerruti F.1, Martano M.2, Morello E. 2, Buracco P.2, Massa M.1, Rambozzi L.3, Cascio P.1
1
Dipartimento di Morfofisiologia Veterinaria, Università di Torino, Grugliasco (TO);
2
Dipartimento di Patologia Animale, Università di Torino, Grugliasco (TO);
3
Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università di Torino, Grugliasco (TO).
Keys words: proteasoma, fibrosarcoma da sito di inoculo (FISS), carcinoma mammario canino (CMC)
PA28β) mediante la tecnica del Western Blotting con anticorpi
mono e policlonali specifici. Brevemente: 60μg di proteina
totale sono state separate in un gel di elettroforesi al 12% e
trasferite su una membrana di PVDF, incubata con anticorpi
specifici per le subunità X, Y, LMP2, LMP7, PA28α e PA28β. Gli
anticorpi legati sono stati visualizzati utilizzando la tecnica ECL
e l’analisi densitometrica delle bande risultanti è stata condotta
con uno strumento ed un software per analisi di immagine.
Per ogni animale è stato analizzato sia il tessuto sano che il
tessuto tumorale. L’analisi statistica è stata condotta con test
non parametrici considerando p<0,05 significativo e p<0,01
altamente significativo.
INTRODUZIONE:
Il sistema immunitario attua una continua sorveglianza contro
le infezioni virali e i tumori monitorando continuamente se le
cellule stanno sintetizzando proteine estranee o mutanti (1).
Questo meccanismo di sorveglianza si basa sulla presenza
delle molecole del sistema maggiore di istocompatibilità
(MHC) di classe I che legano e presentano sulla superficie
cellulare i peptidi antigenici (o epitopi) ai linfociti T citotossici.
Tali epitopi derivano dall’intero spettro delle proteine espresse
nella cellula. Il complesso enzimatico responsabile della
generazione della maggior parte dei peptidi antigenici è
il proteasoma 26S, una proteasi molto grande presente
nel nucleo e nel citoplasma di tutte le cellule eucariotiche,
costituita da un core proteolitico 20S e da una serie di attivatori.
In presenza di γ-interferone viene indotta la sintesi delle
subunità peptidasiche proteasomali LMP2, LMP7 e MECL-1
(omologhe delle subunità costitutive X, Y e Z) e degli attivatori
proteasomali PA28α e PA28β, il proteosoma così formato
prende il nome di immunoproteasoma. L’immunoproteasoma
è in grado di generare un diverso spettro di peptidi che sembra
meglio promuovere la presentazione antigenica (1) (1). Poiché
sono sempre più numerosi i lavori che evidenziano in molti tipi
di lesioni maligne anormalità nell’espressione e nella funzione
dei componenti del sistema di presentazione antigenica
di classe I con il risultato di fornire alle cellule tumorali un
meccanismo per evadere il controllo effettuato dal sistema
immunitario (2), è stato condotto il presente studio al fine di
evidenziare una eventuale correlazione tra le alterazioni del
sistema di presentazione antigenica di classe I e lo sviluppo
di due particolari lesioni tumorali: il fibrosarcoma da sito di
inoculo felino (FISS) e il carcinoma mammario canino.
RISULTATI:
L’analisi delle attività proteasomali negli estratti tissutali
mostrano un evidente aumento delle attività chimotripsinosimile e caspasi-simile (da 10 a 20 volte superiore nei due
tipi tumorali analizzati; tale aumento risulta essere altamente
significativo) nelle lesioni tumorali rispetto al corrispettivo
tessuto sano dello stesso animale sia per quanto riguarda i
tumori da sito di inoculo che per le neoplasie mammarie canine
(tabella 1).
Tabella 1: Attività chimotripsino-simile e caspasi-simile nelle
lesioni tumorali e nel relativo tessuto sano. anmol Suc-LLVYAMC liberate/mg*min, bnmolAc-YVAD-Amc liberate/mg*min. I
dati sono espressi come media ± errore standard della media.
MATERIALI E METODI:
Sono stati analizzati 33 gatti affetti da fibrosarcoma da sito di
inoculo e 10 cagne affette da neoplasia mammaria. Per ogni
paziente sono stati asportati chirurgicamente una porzione di
tessuto neoplastico e una porzione dello stesso tessuto non
compromesso dalla lesione. Dai campioni prelevati si sono
ottenuti degli estratti tissutali omogenando il tessuto in Tris
50mM pH 7,5, Saccarosio 250mM, MgCl2 5mm, EDTA 0,5mM,
ATP 2mM; e centrifugando a 14000rpm, 20 minuti, 4°C.
Dopo aver determinato la concentrazione proteica sono state
misurate due delle principali attività proteasomali utilizzando
specifici peptidi fluorogenici (Suc-LLVY-Amc per l’attività
chimotripsino-simile e Ac-YVAD-Amc per l’attività caspasisimile) valutando il rilascio di Amc (7-amino-4-metilcumarina)
in continuo per mezzo di uno spettrofluorimetro (λecc.= 380nm
λemiss. = 460 nm); la cinetica enzimatica è stata condotta a 37°C
utilizzando un tampone di reazione (Tris 20mM pH 7,5, BSA
0.2%, ATP 1mM, MgCl2 2mM) contenente il peptide specifico
ad una concentrazione di 100μM. La reazione è stata inoltre
condotta anche in presenza del peptide aldeidico MG132 (un
inibitore specifico del proteasoma), in modo da poter sottrarre
l’attività non imputabile al proteasoma. Parallelamente è stata
valutata l’espressione delle principali proteine coinvolte nella
generazione dei peptidi antigenici (X, Y, LMP7, LMP2; PA28α e
In accordo con questi dati di attività funzionale, lo studio
dell’espressione delle subunità proteasomali mediante
analisi densitometrica delle bande ottenute con la tecnica
del western blotting ha mostrato un chiaro aumento delle
subunità immunoproteasomali LMP2 e LMP7 e degli attivatori
proteasomali PA28α e β nel tessuto tumorale rispetto al
corrispettivo tessuto sano, sia nei FISS che nei carcinomi
mammari, mentre l’espressione delle subunità proteasomali
costitutive X e Y non risulta essere diverso tra il tessuto sano e
la lesione tumorale (figura 1).
DISCUSSIONE: Lavori precedenti hanno correlato difetti
nella produzione di peptidi antigenici per l’assemblaggio e la
presentazione secondo la via di presentazione antigenica di
classe I (APM) (1). Per testare questa ipotesi nel presente lavoro
abbiamo misurato i livelli di espressione di molti componenti
della APM in due modelli tumorali che rappresentano ottimi
modelli informativi per lo studio della biologia del tumore
176
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
in differenti specie, inclusa quella umana. Parallelamente
abbiamo valutato due delle principali attività enzimatiche
proteasomali. Riassumendo i risultati ottenuti:
1) le subunità catalitiche proteasomali costitutive X e Y sono
espresse circa allo stello livello nelle lesioni e nei corrispettivi
tessuti sani;
2) le subunità immunoproteasomali LMP2 e LMP7 e gli
attivatori proteasomali PA28α e β sono chiaramente espressi
a livelli molto maggiori nei tessuti neoplastici rispetto a quelli
sani di controllo (figura 2);
delle subunità dell’APM e il conseguente aumento delle
attività enzimatiche può portare alla produzione di un diverso
e caratteristico spettro di peptidi che è differente da quello
prodotto dalle cellule normali. Queste modificazioni potrebbero
non essere ottimali per la generazione e la presentazione di
particolari peptidi tumorali permettendo alla cellula neoplastica
di evitare il controllo operato dal sistema immunitario per mezzo
del meccanismo di riconoscimento e distruzione operato dai
linfociti T citotossici. Inoltre i risultati ottenuti potrebbero avere
importanti conseguenze nella terapia del cancro, infatti, data
l’elevata espressione delle proteine dell’immunoproteasoma
in queste forme tumorali spontanee desta preoccupazione
sui trattamenti antitumorali basati sulla somministrazione
sistemica di γ-interferone e potrebbe spiegare l’accresciuto
sviluppo tumorale che a volte si osserva a seguito di tali terapie.
In neoplasie che, similmente a quelle descritte nel presente
lavoro, presentano un’aumentata espressione delle subunità
indotte da γ-interferone, sarebbero da considerare terapie
mirate a ridurre i livelli di immunoproteasoma, ad esempio
applicando anticorpi anti γ-interferone.
I risultati da noi ottenuti sembrano essere un buon punto
di partenza per mettere a punto un metodo in grado di
discriminare il tipo di terapia da adottare nella cura di particolari
tipi di neoplasia. Ulteriori studi dovranno essere condotti al fine
di stabilire se le analisi dell’espressione e, soprattutto, delle
attività proteasomali potranno essere utilizzabili per stabilire
la malignità del tumore, l’eventuale tendenza a formare
metastasi e altri particolari utili a poter ipotizzare una prognosi
per il paziente.
Figura1: immnuoblotting rappresentativi dei livelli di
espressione delle subunità proteasomali catalitiche X e Y, di
quelle immunoproteasomali LMP2 e LMP7 e degli attivatori
proteasomali PA28α e β nei carcinomi mammari canini.
s=tessuto sano, n= tessuto neoplastico (CMC).
BIBLIOGRAFIA:
1) Goldberg AL., Cascio P., Saric T., Rock KL. (2002) The
importance of the proteasome and subsequent proteolytic
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2) Cerruti F., Martano M., Petterino C., Bollo E., Morello
E., Bruno R., Buracco P., Cascio P. (2007). Enhanced
expression of interferon-γ-induced antigen-processing
machinery compnents in a spontaneously occurring
cancer. Neoplasia, 9 (11): 960-969.
Figura 2: Box plot rappresentativi del rapporto tra
l’espressione delle subunità proteasomali nella lesione
neoplastica rispetto al corrispettivo tessuto sano (FISS).
ABSTRACT:
Our study shows a dramatic enhancement of the proteasomal
activities and protein expression in tumor lesions compared
to the corresponding healthy tissue. These results clearly
show that the MHC class-I antigen generating machinery is
highly modified in tumors analyzed (FISS and CMC) and this
finding is likely important to understand the mechanism by
which neoplastic cells escape the surveillance of the immune
system.
3) gli estratti tissutali relativi alla neoplasia hanno livelli di
attività chimotripsino-simile e caspasi-simile sempre maggiori
rispetto a quelle dei tessuti sani di controllo (tale differenza
risulta essere altamente significativa sia nei FISS che nei
CMC). Analizzando questi risultati insieme possiamo affermare
che nelle cellule neoplastiche la differenza nella composizione
177
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
APPLICAZIONE DI RT-PCR E TEM PER LA DIAGNOSI DELLE VIROSI DELLE API
Cersini A., Cardeti G., Marchesi U., Lorenzetti R., Ciabatti I.M., Antognetti V., Cittadini M., Del Bove M., Zini M., Formato
G., Amaddeo D.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana, Ufficio di Staff Biotecnologie, Via Appia Nuova 1411, Roma
Key Words: Virosi api, RT-PCR, TEM
SUMMARY
Specific viruses affecting honeybees are widespread all over the
world. In the period 2006-2008 we investigated the presence and
spread of seven honeybee viruses among some affected apiaries
of two Italian regions. Samples of honeybees at different stages
were examined by electron microscopy methods and by RT-PCR
for the following 7 viruses: ABPV, BQCV, CBPV, DWV, IAPV, KBV,
SBV. All samples resulted negative for IAPV and KBV, while the
other viruses were all detected and identified in those samples
positive at TEM, too.
stampo 30µl di RNA totale.
La sintesi del cDNA è stata eseguita mediante amplificatore
GeneAmp® PCR System 9700 (A. Biosystems) e consiste in un
primo ciclo a 25°C per 10’, seguito da un secondo ciclo a 37°C
per 45’.
-I primers selezionati –
I primers per ABPV, CBPV, DWV, SBV, BQCV, KBV e la bee
β-actin sono stati selezionati dalla letteratura. Le dimensioni dei
prodotti di PCR sono: 397bp per ABPV (2), 570bp per CBPV (4),
434 bp per DWV (3), 487 bp per SBV (3), 472bp per BQCV (3),
395bp per KBV (3) e 514bp per bee β-actin (9).
Per IAPV sono state utilizzate 2 coppie di primers. La prima coppia,
gentilmente fornita dalla Beeologics, permette l’amplificazione
di una porzione di 137bp della Viral Coat Protein. La seconda
coppia, riportata in letteratura, è specifica per una porzione
di 767bp altamente conservata e localizzata all’interno della
sequenza genomica IGR (Viral RNA Intergenic Region).
-Verifica dell’estrazione e controllo di qualità per l’RNA
estratto –
Sia la verifica dell’estrazione che la qualità dell’RNA ottenuto,
sono state valutate mediante l’amplificazione della bee β-actin
(8). Le condizioni di amplificazione sono le seguenti: 0,2mM di
dNTP, 0,6µM di entrambi i primers, 5µl di 10X Buffer (Invitrogen),
1,5mM di MgCl2 (Invitrogen), 5µl di stampo a cDNA, 0,5µl di 5U/
µl Platinum®TaqDNA Polymerase (Invitrogen) e H2O-DEPC fino
ad un volume finale di 50µl. L’amplificazione è stata eseguita con
l’apparecchio GeneAmp® PCR System 9700 (A. Biosystems) ed
i cicli consistono in: 7’ a 95°C, 40 cicli costituiti ciascuno da 1’ a
94°C, 1’ a 54°C, 1’ a 72°C e seguiti da 7’ a 72°C.
-Condizioni di amplificazione per ABPV, CBPV. DWV, IAPV,
SBV, BQCV, KBV –
Le condizioni di amplificazione per i differenti virus esaminati sono
state così elaborate: 0,2mM dNTP, 1µM di ciascun primer, 5µl di
10X Buffer (Invitrogen), 1,5mM di MgCl2 (Invitrogen), 5µl di stampo
a cDNA, 0,5µl di 5U/µl Platinum®TaqDNA Polymerase (Invitrogen)
e H2O-DEPC fino ad un volume finale di 50µl. L’amplificazione è
stata eseguita con l’amplificatore GeneAmp® PCR System 9700
(A. Biosystems) ed impiegando i seguenti profili di amplificazione:
7’ a 95°C, seguiti da 40 cicli costituiti ciascuno da 1’ a 95°C, 1’ a
55°C per ABPV, CBPV, DWV, SBV, KBV, IAPV ed 1’ a 60°C per
BQCV, 1’ a 72°C ed infine 7’ a 72°C.
-Costruzione dei controlli positivi per ABPV, CBPV, DWV,
SBV, BQCV, KBV e bee β-actin Per verificare sia l’amplificazione che la specificità dei prodotti
di PCR, i controlli positivi relativi ai virus considerati, sono stati
ottenuti dai cDNA gentilmente forniti da P. Blanchard (Agence
Française de Sècuritè Sanitarie des Aliments-Afssa) e sintetizzati
da RNA estratto da api adulte affette dalle virosi in esame. Gli
amplificati specifici per la bee β-actin sono stati ottenuti dal cDNA
di api adulte sane. Tali amplificati, successivamente, sono stati
purificati impiegando il QIAquick® PCR Purification Kit (Qiagen) e
clonati in pCRII-TOPO vector (TOPO TA Cloning® Dual Promoter
Kit, Invitrogen). I plasmidi ricombinanti sono stati utilizzati per
trasformare le cellule competenti ONE SHOT TOP10 (Invitrogen).
I cloni selezionati sono stati controllati mediante analisi con gli
appropriati enzimi di restrizione, con opportune PCR di screening
e con il sequenziamento in modo tale da verificare la presenza
degli specifici prodotti di PCR clonati.
INTRODUZIONE
Le virosi delle api rappresentano importanti patologie a volte
sottovalutate dagli esperti del settore; diffuse in tutto il mondo,
possono causare elevate perdite economiche, soprattutto quando
associate ad altre malattie (varroatosi, nosemiasi). I 19 virus
ad oggi identificati sono spesso responsabili di infezioni latenti
o inapparenti; la sintomatologia si manifesta in concomitanza
di svariati fattori scatenanti. Negli ultimi anni in Italia sono
state condotte indagini diagnostiche (6; 8) al fine di valutare la
diffusione delle virosi ed il loro impatto su stato sanitario e attività
produttiva delle api. Le tecniche però utilizzate avevano il limite
di identificare solo due dei 19 virus conosciuti. Scopo di questo
lavoro è descrivere la messa a punto di tecniche di RT-PCR in
grado di evidenziare in maniera sensibile e specifica i 7 principali
virus potenzialmente diffusi e patogeni per l’Apis mellifera, allevata
nelle regioni di competenza dell’IZS LT.
MATERIALI E METODI
-Matrici utilizzate –
Sono stati esaminati 54 campioni di due diverse tipologie, api
adulte e larve nelle varie fasi di sviluppo, prelevati in 29 apiari delle
regioni Lazio e Toscana durante il triennio 2006-2007-2008.
-Microscopia elettronica a trasmissione (TEM) –
Gli estratti sono stati preparati e trattati secondo il protocollo
descritto da Bailey e Ball (1): ogni individuo viene omogenizzato
in 1 ml di PBS (Phosphate Buffered Saline) 0,01M, pH 6,7,
contenente il 2% di sodio dietilditiocarbamato (DIECA),
aggiungendo successivamente 0,5 ml di dietiletere. Il tutto viene
quindi emulsionato con 0,5 ml di tetracloruro di carbonio (CCl4) e
centrifugato, una prima volta a 3.000 g per 30 min. e poi a 9.000
g per 30 min. Il sovranatante, viene infine ultracentrifugato con
Beckman Airfuge a 21 psi (103.000 g) per 20 min direttamente
su griglie in rame rivestite con formvar e carbonate. Le griglie
sono colorate negativamente con una soluzione al 2% del sale
sodico dell’acido fosfotungstico (NaPT), pH 6,8 ed esaminate al
microscopio elettronico ad ingrandimenti compresi fra 28.000 e
36.000x.
-Preparazione dei campioni ed estrazione dell’RNA totale–
Ogni campione consiste di 6 soggetti (adulti privati di zampe e ali;
larve t.q.), omogenati in 6 mL di PBS 1X. L’omogenato viene poi
centrifugato a 200 X g per 1 minuto.
Il surnatante raccolto viene diluito 1:2 in H2O-DEPC. 140µl sono
quindi utilizzati per estrarre l’RNA totale utilizzando il QIAamp viral
RNA Mini Kit (Qiagen).
-Sintesi del cDNAL’RNA virale è stato retro-trascritto mediante l’impiego dell’High
Capacity cDNA Archive Kit (A. Biosystems) utilizzando come
178
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
-Verifica del Limite di rilevabilita (LOD) dei protocolli di PCR
per la diagnosi di ABPV, CBPV, DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV
–
Il LOD delle singole PCR messe a punto per la diagnosi di
ABPV, CBPV, DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV è stato verificato
esaminando una serie di diluizioni scalari in base 10 delle regioni
genomiche ad RNA che rappresentano i target virali considerati
e che sono state sintetizzate in vitro partendo dagli specifici
plasmidi ricombinanti. Le reazioni di trascrizione in vitro sono state
effettuate con il kit Mega script T7/Sp6 (Ambion) seguite dalla
purificazione dei trascritti con colonnine Centri-Sep (Princeton
Separation, INC). La sintesi del cDNA a partire dalle diluizioni
scalari e la successiva amplificazione con i primer specifici sono
state effettuate in un unico step con il kit SuperScript One-Step
RT-PCR (Invitrogen).
la minore sensibilità della ME rispetto a quella della PCR (7);
dall’altro (negativi in PCR, positivi in ME) la PCR è stata eseguita
su campioni precedentemente e più volte manipolati, conservati
a -80°C e quindi con RNA possibilmente degradato.
Mentre l’osservazione al TEM si conferma una tecnica rapida
e utile al fine di evidenziare nuovi virus o più virus nello stesso
campione (“all-catch method”), alcuni dei suoi limiti restano la
bassa sensibilità, i costi e la carente disponibilità di sieri specifici
per l’identificazione delle particelle virali osservate.
Le principali caratteristiche delle tecniche di PCR sono invece, l’alta
sensibilità e specificità con cui è possibile identificare un ceppo
virale; di contro viene evidenziato acido nucleico e non l’agente
virale infettante. La PCR diventa tecnica di elezione per indagini
di monitoraggio e screening quando è necessario analizzare in
maniera rapida e precisa molti campioni contemporaneamente.
Attualmente sono in itinere vari progetti di ricerca sullo stato
sanitario delle api in Italia che si avvalgono di questa tecnica; è
inoltre in corso, nei nostri laboratori, la messa a punto della PCR
real time quantitativa per ciascuno dei 7 agenti virali in questione.
Ciò al fine di verificare l’eventuale correlazione tra la patologia
della famiglia colpita e la quantità di uno dei virus presenti, visto
che frequentemente più virus possono infettare le colonie anche
in maniera latente e asintomatica.
RISULTATI E DISCUSSIONE
-Risultati in Microscopia Elettronica (ME) – Particelle virali
Picorna-like sono state evidenziate in 53 dei 54 campioni osservati
al TEM.
-Verifica del LOD dei protocolli di PCR applicati per la
diagnosi di ABPV, CBPV, DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV –
I dati riscontrati sperimentalmente coincidono con quelli riportati
in letteratura e sono riassunti nella tabella 1.
Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto di ricerca
corrente 2008 “Indagine sulle possibili cause dello spopolamento
e morte degli alveari e loro impatto sulla sicurezza della filiera
miele” finanziato dal Ministero della Salute.
Tabella 1. LOD dei protocolli di PCR applicati
Virus
N° minimo di molecole di
RNA target rilevate
ABPV
BQCV
CBPV
DWV
KBV
IAPV
SBV
80
80
60
50
70
90
50
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Israeli acute paralysis virus (IAPV) in France, a dicistrovirus
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viruses (Kashmir bee virus and Sacbrood virus) with the
honeybee host and the parasitic varroa mite. J. Gen. Virol.
86 :2281-2289
Tenendo presente che nell’aplicazione routinaria dei protocolli
sviluppati si effettua la sintesi del cDNA in un primo step separato
dalle successive reazioni di amplificazione con primer specifici,
si ritiene che i limiti di rilevabilità per tali protocolli siano in realtà
inferiori a quelli riportati in tabella.
-Verifica dei protocolli di PCR per la diagnosi di ABPV, CBPV,
DWV, IAPV, SBV, BQCV, KBV mediante la loro applicazione
sui campioni osservati al TEM –
I risultati ottenuti sono riportati, suddivisi per anno, nella tabella 2.
Tabella 2. Risultati esami in ME e PCR
ME
PCR
Pos/Tot
Pos/Tot
2006
5/5
4/5
2007
30/31
31/31
2008
18/18
14/18
Totale
53/54
49/54
Anno
Ceppi identificati
1 ABPV, 4 BQCV, 2 DWV,
2 SBV
5 ABPV, 9 BQCV, 6 CBPV,
22 DWV, 18 SBV
3 ABPV, 13 BQCV, 4
CBPV, 13 DWV, 6 SBV
9 ABPV, 26 BQCV, 10
CBPV, 37 DWV, 26 SBV
Tutti gli apiari sono risultati positivi con ambedue le tecniche.
Relativamente al numero di campioni positivi invece, le
discordanze sono riferibili alle diverse caratteristiche delle due
tecniche. Da un lato (positivi in PCR, negativi in ME) abbiamo
179
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ISOLAMENTO DI SALMONELLA SPP. DA VOLPI (VULPES VULPES) E TASSI (MELES MELES) IN REGIONE
LOMBARDIA (NORTH ITALY)
Chiari M.1, Zanoni M.1, D’Incau M. 1, Salogni C.1, Giovannini S.1, Alborali L.1, Lavazza A.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia, Italy;
key words: Volpe, Tasso, Salmonella
appartenevano ai sierotipi S. typhimurium, S. enteritidis, S.
infantis zoonosici e previsti nei piani di monitoraggio e controllo
per le specie avicole e suino.
Sono stati isolati anche altri sierotipi, rinvenuti sporadicamente
nell’uomo (S. derby, S. muenchen, S. napoli, S. livingston), e
sierotipi caratteristici dell’ambiente acquatico o di altri animali
selvatici, rettili (S. anatum, S. veneziana, sierotipi di sottospecie
houtenae e diarizonae) (tabella 2).
Inoltre è stata eseguita la georeferenziazione dei ceppi isolati
da volpe (figura 1) e da tasso (figura 2).
Abstract
Salmonellosis has been studied extensively in passerines,
whilst less is known about mammals, particularly carnivores.
This study describes of the isolation of Salmonella spp. in the
local environment by analyzing wild carnivores.
Introduzione
La presenza di Salmonella spp. è stata documentata in una
grande varietà di animali selvatici (1), sia mammiferi (2) sia
uccelli (3,4). L’infezione da Salmonella spp., a seconda delle
specie colpita, può presentare diverse forme cliniche, le più
gravi sono osservabili nei piccoli passeriformi dove, tale
infezione, può esitare con la morte dei soggetti colpiti (4). I
carnivori selvatici come la volpe (Vulpes vulpes) e il tasso
(Meles meles), essendo al vertice della catena alimentare,
possono essere considerati come indicatore della diffusione di
Salmonella nell’ambiente selvatico.
Tabella 2: sierotipi identificati
Tabella 1. campioni eseguiti
Positivi
Negativi
Tasso
Volpe
Totale
7
46
53
31
567
598
N o n
eseguiti
5
35
40
Isolamenti
Tasso
3
/
1
/
1
/
/
S.
enterica
diarizonae
sub.
1
/
S.
enterica
enterica
sub.
4
/
1
1
3
4
1
1
1
1
2
3
/
/
/
2
/
/
/
/
/
/
S. typhimurium
S. enteritidis
S. infantis
S. derby
S. veneziana
S. napoli
S.
enterica
houtanae
Materiali e metodi
L’accordo esistente in Lombardia tra i Servizi Veterinari ufficiali,
amministratori pubblici e associazioni di cacciatori, nel periodo
compreso fra Giugno 2009 e Settembre 2010 ha reso possibile
il campionamento di 659 carcasse volpi, rinvenute morte o
cacciate e 43 tassi rinvenuti morti (tabella 1)
Specie
sub.
Isolamenti
Volpe
10
2
/
1
2
1
7
Sierotipo
S. anatum
S. ohio
S. thompson
S. hessarek
S. muenchen
S. livingston
S. manhattan
S. bredeney
S. mbandaka
Non identificabili
Totale
43
659
502
L
a presenza del virus della rabbia è stata esclusa su tutti i
campioni conferiti.
L’isolamento di salmonella è stato effettuato con la metodica
“Annex D ISO 6579 : 2002”, obbligatoriamente prevista
nell’ambito dell’attuazione dei piani di monitoraggio e controllo
di salmonella a livello di produzioni primarie. Questa metodica
prevede l’utilizzo dei seguenti tipi di terreni:
arricchimento in APTS;
pre-arricchimento selettivo in terreno semisolido
isolamento selettivo-differenziale in XLT4.
A questa metodica è stata affiancata anche la procedura di
isolamento già in uso presso il nostro laboratorio, che prevede
l’utilizzo nella fase di pre-arricchimento del terreno liquido RVB
e nella fase di isolamento del terreno differenziale selettivo
Hecktoen.
L’identificazione delle salmonella è stata effettuata con test
biochimici (ONPG, TSI, gallerie di identificazione) e con la
classificazione in base al sierotipo.
Figura 1. Georeferenziazione isolamenti Salmonella da
Volpe
Risultati
Salmonella spp. è stata isolata da 46 volpi (6,98%) (Figura 1)
e 7 tassi (16,27%) (tabella 1). Tramite prove sierologiche sono
stati identificati diciassette sierotipi e di questi 16 ceppi (30,18%)
180
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Bibliografia
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vulpes) Vet. Microbiol. 132: 129–134.
Figura 2. Georeferenziazione isolamenti Salmonella da
Tassi
Discussione e Conclusioni
La maggior parte dei ceppi di Salmonella isolati nella
volpe e nel tasso, nella nostra indagine, appartengono ai
sierotipi evidenziati in letteratura (1,5,6). Il maggior numero
di isolati ottenuti e la fonte di infezione ad oggI non sono
noti. Ulteriori indagini e la continuazione del monitoraggio
nei prossimi anni potranno essere di aiuto a stabilire il
ruolo epidemiologico di volpi e tassi nella diffusione di
Salmonella in Lombardia. Un’ipotesi è che queste due
specie animali, essendo al vertice della catena alimentare
potrebbero infettarsi sia tramite l’assunzione di carcasse di
animali contaminate (6,7) sia da risorse naturali inquinante
tra cui l’acqua (6). Tuttavia non deve essere esclusa la
possibilità che l’infezione possa essere di origine antropica,
in particolare da residui di prodotti alimentari.
Alla luce degli isolamenti ottenuti e la capacità della volpe
di eliminare tali patogeni, in particolare S. typhimurium
(7), si può affermare come tali carnivori selvatici possano
rappresentare un rischio per l’uomo e gli animali stessi. Di
contro, la possibilità di isolare Salmonella indica quale sia
l’effettiva diffusione di questo microroganismo nell’ambiente
selvatico.
Alla luce dei dati emersi i carnivori selvatici, in particolare la
volpe, possono essere considerati indicatori della presenza
in ambiente selvatico di sierotipi di Salmonella patogeni sia
per l’uomo che per gli animali.
Ringraziamenti
Si ringraziano i tecnici di laboratorio Alberto Tiraboschi,
Giorgio Pasini, Laura Birbes e Guiseppe Orlandi la
collaborazione fornita.
181
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
TRICHINELLA BRITOVI IN UNA VOLPE (VULPES VULPES) IN PROVINCIA DI BRESCIA (ITALY)
Chiari M.1, Zanoni M.1, Salogni C.1, Giovannini S.1, Alborali L.1, Lavazza A.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Brescia, Italy;
key words: Volpe, Trichinella spp.
Abstract
This study describes the results of a monitoring program on
Trichinella spp. in wild animal, in particular in red fox.
anche se l’età l’animale infestato e la prevalenza (0.5%) sono
differenti da quanto precedentemente osservato in Regione
Lombardia (4).
Introduzione
In Italia la Volpe (Vulpes vulpes) è diffusa su tutto il territorio
nazionale ed è all’apice della catena alimentare animale.
Questo canide è ben distribuito e comune anche in Regione
Lombardia. I valori di densità noti per le tane variano tra un
minimo di 0,18 tane/km2 in Provincia di Cremona e 0,48 tane/
km2 in Provincia di Pavia. La specie, nonostante abbattimenti
localmente intensi, sembra essere in aumento (1).
Essendo il principale indicatore di presenza di Trichinella
spp. (2) (3) nell’ambiente selvatico, in particolare per quanto
riguarda T. britovi, le volpi cacciate o rinvenute morte vengono
spesso utilizzate nei programmi di monitoraggio.
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Italian Alps”. Parasitol. Res. 97: 431-435 (2005).
4. Boni P., G. Bolzoni, A. Civardi. “Diffusione della Trichinellosi
tra le volpi catturate in Lombardia e in Emilia-Romagna”.
Sel. Vet. 29 (5): 851-854 (1988).
Materiali e metodi
Nella provincia di Brescia, l’accordo esistente tra i Servizi
Veterinari ufficiali, amministratori pubblici e associazioni di
cacciatori, ha reso possibile il campionamento delle carcasse
di 228 volpi trovate morte o cacciate, tra Giugno 2009 e Maggio
2010.
Circa il 50% degli animali provenivano da zone con altitudine
superiore ai 400 metri slm.
Gli esami per la ricerca di Trichinella spp. sono stati eseguiti
dopo aver escluso la possibile presenza della Rabbia.
La digestione artificiale è stata eseguita utilizzando l’apparecchio
Trichineasy (Syntec International), che rispecchia le indicazioni
contenute nella direttive CE 2075/2005. In accordo con tale
direttiva, i pool analizzati erano composti da aggregati di 10
grammi di muscolo (diaframma, masseteri, arto inferiore) per
ogni animale analizzato.
La macchina utilizzata è composta in due parti: la prima
e in grado di sminuzzare e digerire a temperatura costante
il campione, la seconda filtra e deposita il materiale digerito
su un filtro a membrana. Il filtro viene in seguito colorato con
un reagente fluorescente che rende più facile individuare le
possibili larve delle trichine presenti. L’identificazione della
specie è stata effettuata presso il Laboratorio di referenza
OIE per la trichinellosi presso l’Istituto Superiore di Sanità
utilizzando una specifica multiplex-PCR.
Ringraziamenti
Si ringraziano i tecnici di laboratorio Andrea Moneta, Giuseppe
Orlandi, Alberto Tiraboschi e Roberto Bettinzoli per la
collaborazione fornita.
Risultati
In un solo animale sono state riscontrate larve di Trichinella
spp. La carcassa era stata rinvenuta a Sellero, un paese in
Vallecamonica a 600 metri di altitudine. Questo soggetto
era un maschio giovane, che, all’esame anatomopatologico,
presentava lesioni riferibili a rogna sarcoptica.
La carica parassitaria era di 45 larve per grammo di muscoli
analizzati. La PCR eseguita ha permesso di identificare le
larve come Trichinella britovi.
Discussione e Conclusioni
Il monitoraggio effettuato sulla volpe ha permesso di individuare
T. britovi peraltro in un unico soggetto.
Tale riscontro rappresenta solo un indicatore dello stato
sanitario della popolazione di volpi nella provincia di Brescia
182
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DEFINIZIONE DELLA BIODIVERSITA’ MICROBICA NEI “CIAUSCOLI” DELLA REGIONE MARCHE
Ciarrocchi F., Nardi S., Lanciotti M., Palombo B., Striano G., Venditti G., Blasi G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
Key words: Ciauscolo, batteri lattici, biodiversità
ABSTRACT
The aim of this study was the exploration of the traits of the
autochthonous microflora of Ciauscolo salami, a short - ripened
fermented sausages manufactured in the Marche region of
central Italy.
Molecular identification by Amplified ribosomal DNA restriction
analysis (ARDRA) and 16S rRNA gene sequencing highlighted
the presence of several species of lactobacilli and cocci. Our
findings revealed an high diversity of the autochthonous bacterial
population investigated between the six producers.
RISULTATI
L’identificazione genotipica ha consentito di delineare il profilo
della popolazione microbica autoctona del Ciauscolo.
Nell’ insieme, la composizione in specie delle produzioni di tale
prodotto è risultata in accordo con quelle riportate per altri salumi
fermentati della tradizione italiana (3, 5) (Tabella 1).
Tabella 1. Distribuzione dei 138 isolati batterici in base alla ditta
di appartenenza.
INTRODUZIONE
Il Ciauscolo è un insaccato fermentato tradizionale italiano
che recentemente ha ottenuto il riconoscimento di Indicazione
Geografica Protetta (IGP), sia a livello nazionale (2006), sia
a livello europeo (2009). Esso viene prodotto nelle province di
Ancona, Macerata ed Ascoli Piceno, in accordo con le produzioni
tradizionali locali, senza l’impiego di colture starter. Le sue tipiche
caratteristiche sono il colore rosato omogeneo e la spalmabilità
che deriva dall’elevato contenuto in grassi uniti, in percentuali
variabili, alla massa magra di maiale. La stagionatura va da alcune
settimane ad alcuni mesi, a seconda del grado di morbidezza
desiderato.Questo lavoro si inserisce all’interno di una indagine
volta ad approfondire le conoscenze microbiologiche dei ciauscoli
prodotti da alcune aziende marchigiane, al fine di studiare la
biodiversità microbica associata a tale produzione e valorizzarne
l’utilizzo, attraverso lo studio delle attività biochimiche ed
antagoniste di interesse tecnologico. In particolare, vengono
riportati i risultati della definizione della biodiversità microbica nei
ciauscoli di sei salumifici riconosciuti.
MATERIALI E METODI
Campionamento: sono stati prelevati campioni di Ciauscolo
pronto al consumo (minimo 19 giorni di stagionatura), in ciascuno
dei sei salumifici oggetto della ricerca, rispettivamente identificati
come Ditta 1, Ditta 2, Ditta 3, Ditta 4, Ditta 5 e Ditta 6. Per tutte le
Ditte sono stati campionati 3 lotti di produzione ad eccezione della
Ditta 5 per la quale è stato analizzato un solo lotto.
Come descritto per salumi a breve stagionatura (2), anche
nelle produzioni di Ciauscolo esaminate, è stata riscontrata una
prevalenza di batteri lattici (78%) rispetto ai microstafilococchi
(18%) (Figura 1). All’interno della flora lattica, tra le specie
più frequentemente isolate da prodotti carnei fermentati,
Lactobacillus sakei e Pediococcus pentosaceus sono risultate
le specie dominanti, costituendo rispettivamente il 35 ed il 21%
della popolazione lattica totale, seguite da Lb. paracasei (7%),
Lb. plantarum (3%) e Weissella hellenica (2%). Con frequenze
minori sono state anche identificate le specie Lb. brevis, Lb. sakei
ssp. sakei, Lb. plantarum ssp. palntarum e Lb. curvatus. Tra i
cocchi coagulasi negativi, la specie S. saprophyticus è risultata
dominante (7%) sulle altre dello stesso gruppo (S. carnosus,
S. xylosus e S. saprophyticus ssp. saprophyticus). S. aureus
è risultata l’unica specie presente tra gli stafilococchi coagulasi
positivi. Inoltre per due isolati è stato possibile giungere alla sola
definizione del genere (Carnobacterium sp.). Confrontando la
composizione in specie della microflora autoctona investigata
per ciascuna ditta produttrice (Figura 2) è stato possibile rilevare
una maggiore biodiversità per la Ditta 6 con 7 specie diverse
identificate, seguita dalle Ditte 1 e 3 con 6 specie. Per le Ditte 2
e 5 sono state identificate 5 specie diverse, mentre la Ditta 4 ha
evidenziato il minor livello di biodiversità con 4 specie batteriche
identificate.
Conte microbiche ed isolamento: ciascun campione è stato
sottoposto ad analisi microbiologiche convenzionali per la conta
e l’isolamento di lattobacilli (MRS, 37 °C per 72 h in anaerobiosi),
cocchi mesofili (M17, 30 °C per 48 h) e cocchi coagulasi negativi
(BP RFP, 37 °C per 48 h). Per ciascun terreno di coltura è stato
stabilito, arbitrariamente, di isolare almeno cinque colonie con
morfologia diversa. Gli isolati sono stati conservati a – 80 °C in
glicerolo in attesa della successiva identificazione.
Identificazione molecolare: l’ identificazione genotipica della flora
microbica isolata è stata effettuata mediante ARDRA (Amplified
Ribosomal DNA Restriction Analysis) e sequenziamento di
una porzione del gene codificante il 16S rRNA (1). Per le
specie Staphylococcus xylosus e S. carnosus è stata effettuata
l’identificazione con PCR specie - specifica mediante l’impiego
rispettivamente delle coppie di primer geh3 / geh4 e sc1 / sc2 (4).
Studio della biodiversità delle produzioni investigate: la biodiversità
dei campioni è stata ulteriormente valutata calcolando l’indice di
diversità di Shannon - Weaver.
183
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Figura 1. Ripartizione percentuale dei gruppi microbici individuati
nella popolazione batterica autoctona delle produzioni di
Ciauscolo investigate.
questo microrganismo alle temperature utilizzate durante le fasi
di asciugatura (< 25 °C) e stagionatura (< 18 °C). Sebbene con
minore frequenza, degna di nota risulta l’identificazione di Lb.
plantarum. Questa specie, infatti, se da un lato può dar luogo ad
un prodotto caratterizzato da una elevata acidità, non sempre
gradita al consumatore, pur tuttavia presenta capacità di produrre
batteriocine attive contro Listeria spp.
Infine, la presenza di un solo microrganismo appartenente alla
specie S. aureus, considerato indicatore di scarsa igiene di
processo, ha permesso di evidenziare un buon livello igienico dei
prodotti e, di riflesso, un’adeguata applicazione delle norme di
buona prassi igienica nei processi in studio.
Figura 3. Distribuzione delle specie microbiche individuate
nella microflora autoctona di ciascuna ditta di produzione di
Ciauscolo.
Questi risultati sono parzialmente confermati dai valori degli
indici di Shannon-Weaver (indice H) calcolati per ciascuno dei 6
stabilimenti e riportati nella Figura 2.
Figura 2. Indice di Shannon-Weaver delle sei produzioni di
Ciauscolo.
L’indagine preliminare condotta sulle produzioni di Ciauscolo della
Regione Marche ha permesso di rilevare che molto dell’originaria
tradizione è rimasto inalterato, sebbene la produzione si
avvalga di strutture ed apparecchiature in grado di soddisfare
precisi requisiti igienico-sanitari, consentendo al contempo una
lavorazione più rapida e meglio rispondente ai volumi produttivi
richiesti dal mercato.
Tale indice rappresenta una stima numerica della diversità
microbica di ciascuna delle produzioni esaminate: più è
elevato, maggiore è il numero di specie coinvolte nel processo
di maturazione/stagionatura. Sulla base di tali considerazioni,
secondo i valori dell’Indice H, la maggiore biodiversità risulterebbe
appartenere alla Ditta 1, seguita dalle Ditte 3 e 5. Questo si può
spiegare dall’ elevato numero di isolati appartenenti alla specie
Lb. sakei della Ditta 6 che tende a sbilanciare il valore dell’indice
verso un valore più basso. E’ interessante notare come la specie
omofermentante facoltativa Lb. sakei sia stata ritrovata in tutte le
Ditte in studio, analogamente a quanto osservato in altri salumi a
fermentazione spontanea italiani ed europei (6) (Tabella 1 e Figura
3). Anche la specie P. pentosaceus è risultata caratterizzare quasi
tutte le produzioni esaminate.
Prove eseguite nell’ambito del progetto di ricerca corrente finanziato dal
Ministero della Salute: “Studio della flora autoctona nella bioconservazione
degli alimenti: caratterizzazione di ceppi isolati in prodotti tradizionali della
Regione Marche” (RC IZSUM 05/2007).
BIBLIOGRAFIA
1. Aquilanti L., Silvestri G., Zannini E., Osimani A., Santarelli S., Clementi
F. 2007. Phenotypic, genotypic and technological characterization of
resident lactic acid bacteria in Pecorino cheese from Central Italy. J
Appl Microbiol 103, 948-960.
2. Cocolin L., Manzano M., Cantoni C., Comi G., 2001. Denaturing
Gradient Gel Electrophoresis Analysis of the 16S rRNA Gene V1
Region To Monitor Dynamic Changes in the Bacterial Population during
Fermentation of Italian Sausages. Appl Environ Microbiol, 67, 5113.
3. Coppola R., Giagnacovo B., Iorizzo M., Grazia L., 1998. Characterization
of lactobacilli involved in the ripening of soppressata molisana, a typical
southern Italy fermented sausage. Food Microbiol., 15, 347.
4. Iacumin L., Comi G., Cantoni C., Cocolin L., 2006. Molecular and
technological characterization of Staphylococcus xylosus isolated from
naturally fermented Italian sausages by RAPD, Rep-PCR and SauPCR analysis. Meat Sci. 74, 281-288.
5. Parente E., Grieco S., Crudele M. A., 2001. Phenotypic diversity of lactic
acid bacteria isolated from fermented sausages produced in Basilicata
(Southern Italy). J Appl Microbiol, 90, 943.
6. Rantsiou K., Urso R., Iacumin L., Cantoni C., Cattaneo P., Comi G.,
Cocolin L., 2005. Ecology and characterization by molecular methods
of Staphylococcus species isolated from fresh sausages. Appl Environ
Microbiol, 71, 1977.
DISCUSSIONE
L’elevato numero di batteri lattici riscontrato in tutte le produzioni di
Ciauscolo in studio può essere correlato ad alcune note proprietà
sensoriali dei salumi a breve stagionatura, quali un gusto più
acido e un aroma minore rispetto ai salumi a lunga stagionatura
(2). Nonostante l’elevata biodiversità nella popolazione batterica
autoctona dei prodotti in esame, non sono state osservate
differenze rilevanti tra le sei Ditte. Pertanto sarebbe auspicabile
condurre ulteriori indagini sulla biodiversità microbica di questo
prodotto mediante la caratterizzazione genotipica delle specie
isolate. La presenza di Lb. sakei in tutte le produzioni in studio
può essere ricondotta ad una maggiore velocità di crescita di
184
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DETERMINAZIONE MEDIANTE GC-MS E LC-MS/MS DI PESTICIDI IN MATERIALE AUTOPTICO E IN REPERTI
PRELEVATI NEI CASI DI PRESUNTA INTOSSICAZIONE ACUTA DI ANIMALI
Ciccotelli V.1,2, Brizio P.1,2, Leporati M. 2, Capra P. 1,2, Abete M. C.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino
2
CAD- Centro Regionale Antidoping “Alessandro Bertinaria” , Orbassano, Torino
Key words: Pesticides, poisoning, animals
INTRODUZIONE
La seconda parte prevede la messa a punto di una metodica
analitica in cromatografia liquida ad alte prestazioni
accoppiata alla spettrometria di massa (LC-MS/MS) per la
determinazione di 6 cumarinici (Coumatetralyl, Warfarin,
Brodifacoum, Bromadiolone, Flocoumafen, Difenacoum), il
Clorofacinone, e
l’ α-cloralosio.
L’Agenzia di Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti (U.S.
Environmental Protection Agency, EPA) riconosce come
“pesticida” ogni sostanza o miscela di sostanze intese a
prevenire, distruggere o mitigare insetti, animali, vegetali o
microrganismi indesiderabili o nocivi (2).
La categoria dei pesticidi è molto ampia, oltre a comprendere
i più conosciuti insetticidi, erbicidi e fungicidi, in essa vanno
a confluire anche gli acaricidi, i larvicidi, i rodenticidi, i
regolatori della crescita delle piante ed i repellenti.
Il contatto di animali selvatici, da reddito o domestici con tali
sostanze può avvenire accidentalmente attraverso diverse
vie: la via digerente, la via cutanea oppure la via respiratoria.
Nel primo caso l’assunzione attraverso la via digerente
può avvenire quando gli animali si alimentano con foraggi
freschi, fieni ed insilati o granaglie inquinati direttamente,
per irrorazione con parassiticidi per la conservazione o la
difesa dai parassiti, per inquinamento ambientale, dalle
acque di irrorazione, o indirettamente per passaggio dal
terreno inquinato nelle piante. L’assorbimento per via
cutanea, invece può avere luogo quando l’animale viene
sottoposto a trattamenti per eliminare gli ectoparassiti.
L’assorbimento per via inalatoria può avvenire, ad esempio
nel caso in cui gli animali vengono lasciati nella stalla
quando viene effettuata la sua disinfezione. Purtroppo il
contatto può essere provocato volontariamente da individui,
che per svariati motivi, disseminano delle esche, oppure
accidentalmente per ingestione di prodotti applicati a scopi
di disinfezione, come i topicidi, ecc. (1).
Questi composti possono essere classificati in base alle loro
caratteristiche chimiche in: organoclorurati, organofosfati,
carbammati, cumarinici, ecc.
I meccanismi di azione sono molto diversi. Gli organofosfati
e i carbammati, ad esempio, inibiscono irreversibilmente
l’enzima acetilcolinesterasi, essenziale per le attività
nervose; i piretroidi bloccano l’apertura dei canali del sodio,
provocando nell’animale fenomeni di ipereccitabilità (3); gli
organoclorurati provocano un’alterazione degli scambi ionici
della membrana assonica con ritardo della chiusura dei
canali del sodio e inibizione della fuoriuscita del potassio; i
cumarinici inibiscono l’attivazione epatica dei 4 fattori della
coagulazione “vitamina K-dipendenti”.
Il presente lavoro di ricerca è stato suddiviso in due parti.
La prima comprende la messa a punto di un metodo in
gascomatografia accoppiata allo spettrometro di massa
(CG-MS) per la determinazione di 27 pesticidi, di cui 13
organofosfati (Chlorpyriphos ethyl, Chlorpyriphos methyl,
Parathion ethyl, Dimethoate, Metamidophos, Diazinon,
Malathion, Ethion, Phosdrin, Terbufos, Pirimiphos ethyl,
Isofenphos e Coumaphos), 3 piretroidi (Permetrina
isomeri I e II, Decametrin), 4 organoclorurati (Lindano,
α-endosulfano, β-endosulfano, endosulfano solfato), 4
carbammati (Methomyl, Desmedipham, Mercaptodimetur,
Oxamyl), il Lenacil che fa parte della classe delle diaminouracili, l’alcaloide Stricnina e la Metaldeide.
MATERIALI E METODI
La preparativa dei campioni consiste in un’estrazione liquidoliquido, il solvente utilizzato dipende dal tipo di matrice:
fegato e rene, esche a base di carne vengono
estratti con cloroformio;
becchime,
granaglie,
polveri,
pellets
con
acetonitrile;
materiale liquido o semiliquido come può essere il
contenuto gastrico con esano.
In alcuni casi per facilitare il passaggio in soluzione degli
analiti si pone il campione in bagno ad ultrasuoni per dieci
minuti.
Si porta a secco solo una parte dell’estratto in corrente di
azoto, quindi si riprende il residuo con metanolo.
Avendo a disposizione due differenti metodiche analitiche
vengono portate a secco due aliquote di estratto.
Un’aliquota viene analizzata mediante GC-MS, avente come
analizzatore un quadrupolo, la seconda viene analizzata
mediante cromatografia liquida accoppiata ad uno
spettrometro di massa a triplo quadrupolo, utilizzando come
tecnica di ionizzazione l’ESI (Electron Spray Ionization).
Colonna:
capillare US50015470 HP-5 17
m*0.200 mm, 0.33 µm
ºC/min
Rampa :
Temp.iniettore:
Gas:
185
Temp.
ºC
Permanenza
(min)
70
1,5
25
260
3
25
320
3,8
280°C
He
Volume di
iniezione:
2 µL
Modalita’
iniezione:
split 10:1
Temp.sorgente:
230°C
Temp.
quadrupolo:
150°C
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tabella-1: Valori dei parametri strumentali dell’analisi
in GC-MS.
Colonna:
C18( 4.6*150 mm, 1.8 µm)
Waters
Temp.
colonna:
20ºC
Fase Mobile :
Flusso:
Gradiente:
Durata della
corsa:
Volume di
iniezione:
Le sostanze maggiormente riscontrate in sede analitica e
causa di decesso, fanno parte della categoria dei coumarinici
o sono miscele di coumarinici ed organoclorurati (figura-2).
A: Ammonioacetato
10 mM
B: Metanolo
0.500 mL/min
60% di A a 0 min
100% di B a 1 min
31 min
10 µL
Sorgente:
ESI negativo
Temp.
sorgente:
350ºC
Figura-2. Distribuzione dei veleni causa di avvelenamento.
CONCLUSIONI
Tabella-2: Valori dei parametri strumentali dell’analisi
in LC-MS/MS.
I metodi sviluppati permettono di svelare la realtà celata dietro
ai presunti casi di intossicazione acuta o avvelenamento
volontario di animali da compagnia, da reddito e selvatici.
La possibilità di accedere alle biblioteche multimediali permette
di avere un pannello di analiti, ricercati con la metodica in
GC-MS, continuamente aggiornato, poiché al riscontro di
una nuova molecola in un campione reale, se ne acquista lo
standard, e dopo aver ottimizzato i parametri strumentali per il
suo monitoraggio, si aggiunge alla lista.
Il metodo in HPLC-MS/MS non permette la visione di sostanze
diverse da quelle ricercate, ma assicura alti livelli di sensibilità
e selettività per le molecole incluse nel metodo.
L’analisi in GC-MS viene eseguita in full scan, in questa modalità
qualsiasi sostanza separata durante la fase cromatografica e
in grado di generare un segnale, viene rilevata dal detector.
Grazie alla presenza della libreria, una volta individuato un
picco cromatografico sconosciuto si può risalire alla molecola
di appartenenza.
Inoltre il software dello strumento permette di inserire le
transizioni ioniche scelte per ogni analita, in modo tale da poter
visualizzare solo i canali in cui essi potrebbero essere presenti.
Per quanto riguarda l’analisi in HPLC-MS/MS, si lavora in modalità
Multiple Reaction Monitoring (MRM), ovvero per ogni analita si
seleziona lo ione precursore, si provoca la sua frammentazione
e si vanno a monitorare i frammenti caratteristici.
BIBLIOGRAFIA
1. Beretta C., (1998), “Tossicologia Veterinaria”. Ambrosiana. pp.
67-72.
2. Cassaret & Doull’s. (2000). “Tossicologia I fondamenti dell’azione
delle sostanze tossiche”. EMSI, pp. 847-865.
3. Whittem T. (1997). “L’intossicazione da insetticidi a base di
piretrine e piretroidi nel gatto”. VETERINARIA; pp.75-78.
RISULTATI
In un anno di attività (dal 1° agosto 2009 al 1° agosto 2010)
sono stati analizzati 420 casi di presunto avvelenamento di
animali, il 64% dei quali è stato confermato dall’esito analitico,
come riportato nella figura-1.
SUMMARY
The present work has been divided in two parts.
The first concerns the development of a method in GCMS to determine: 13 organophosphates, 3 piretroids, 4
organochlorarines, 4 carbamates, lenacil, strychnine and
mathaldeide. The second counts the development of a method
in HPLC-MS/MS to determine: 6 coumarine compounds,
Chlorophacinone and α-chloralosio.
The started matrix can be a pool of liver and kidney, gastric
contain of animals died in suspicion circumstances, birdseed,
and bait.
Figura-1: Andamento delle positività nel corso di un anno di attività
186
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PRELIMINARY EVALUATION OF BIOCHEMICAL AND HAEMATOLOGICAL INDICES IN THE CIRNECO
DELL’ETNA CANINE BREED
Cicero A., Vazzana I., Agnello S., Randazzo V., Vicari D., Galuppo L., Percipalle M.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri”, Palermo
Keywords: Cirneco dell’Etna, haematological and biochemical parameters
SUMMARY
e senza anticoagulante. Le provette prive di anticoagulante
sono state mantenute a temperatura ambiente per 2 ore per
permettere un’adeguata separazione del siero. Le provette
addizionate di anticoagulante sono state mantenute a
temperatura di refrigerazione fino al momento dell’invio al
laboratorio. Tutti i campioni sono stati processati nelle tre
ore successive al prelievo da un laboratorio d’analisi che
è soggetto a controlli di qualità interni giornalieri ed esterni
a cadenza semestrale. Un esame emocromocitometrico
completo è stato eseguito su sangue raccolto in EDTA K3
utilizzando un emocitometro a flusso (Cell-Dyn 3700®, Abbot
Diagnositics), mentre sui sieri separati per centrifugazione a
3500 rpm per 10 min, sono stati eseguiti i profili di funzionalità
epatica e renale tramite un analizzatore di chimica clinica
(Konelab 20, DASIT). L’analisi del tracciato elettroforetico
delle proteine è stato realizzato con un sistema automatizzato
(Helena Biosciences SAS-1 e SAS-2)
In an attempt to provide haematological and haematochemical
reference values for the Cirneco dell’Etna canine breed,
a small population of this rare breed has been studied.
Both haematological and haematochemical parameters
investigated in this study fell within reference limits. Results
are here briefly reported with the purpose to develop
reference values useful for clinical diagnostics and for
further research investigations.
INTRODUZIONE
Il Cirneco dell’Etna è una delle razze canine più antiche
conosciute e la sua origine risale al 1000 a.C. La razza
giunta fino ai nostri giorni non è il risultato di un progetto e di
una successiva selezione programmata da parte dell’uomo,
come normalmente avviene per la maggior parte delle
razze canine, ma bensì il prodotto del naturale adattamento
all’ambiente e al particolare impiego cui l’animale è stato
adibito nel corso dei secoli. La razza in questione rientra
nel novero delle razze da caccia che riconoscono la loro
culla d’origine nel bacino del mediterraneo. Ipotesi diverse
suggeriscono che la razza sia stata originata dai cani dei
Faraoni egiziani delle ultime dinastie e da cani importati in
Italia dai commercianti Fenici. Altri studi sono propensi invece
nel considerare il Cirneco una razza autoctona siciliana. Nei
secoli scorsi il Cirneco è stato utilizzato prevalentemente
per la caccia al coniglio selvatico anche se in un ambito
territoriale alquanto ristretto dal momento che la razza è
poco diffusa fuori dai confini nazionali.
Benché si tratti di una razza presente ed evolutasi nel territorio
siciliano nell’arco di diversi secoli, non sono disponibili
informazioni relative alla sua fisiologia ed in particolare alle
caratteristiche ematologiche ed ematochimiche. Lo scopo
del presente lavoro è quindi quello di tracciare un profilo
dei valori fisiologici di questa razza canina allo scopo di
definire omogeneità o difformità dai valori tipici della specie
canina, fornire un ulteriore strumento di diagnosi per il
clinico e gettare le basi per uno studio più approfondito
dell’ematologia di questa razza.
RISULTATI
I risultati dell’esame emocromocitometrico e biochimico
sono riportati in tabella. I dati, differenziati per sesso, sono
espressi in termini di valori medi con relativa deviazione
standard.
DISCUSSIONE
I valori ematologici ed ematochimici presi in esame in questo
lavoro includono i parametri di base normalmente impiegati
nella pratica clinica. Le osservazioni dei parametri ematologici
di una popolazione animale vengono normalmente
confrontate con dei valori o intervalli di riferimento ottenuti da
una popolazione animale equivalente impiegando metodiche
di laboratorio analoghe. Le osservazioni sono considerate
normali allorché rientrano all’interno dell’intervallo o range
di riferimento. Nel caso in oggetto i risultati ottenuti rientrano
negli intervalli di riferimento della specie canina e quindi non
si prestano a speculazioni sull’influenza di eventuali fattori
intrinseci legati al genotipo della popolazione esaminata (1,
2). Cionondimeno è fondamentale proseguire nello studio
delle caratteristiche ematologiche della razza, estendendo
la ricerca anche ai parametri non presi in esame in questa
occasione, allo scopo di approfondirne la conoscenza
relative alla fisiologia e migliorare l’approccio clinico alla
risoluzione delle problematiche sanitarie.
MATERIALI E METODI
Per questa indagine sono stati selezionati 25 soggetti, 17
femmine e 8 maschi di età compresa tra 5 mesi e 5 anni.
I cani, provenienti da allevamenti riconosciuti ed iscritti
nell’albo genealogico della razza, erano clinicamente sani ed
erano sottoposti a programmi di vaccinazione routinaria e a
trattamenti antiparassitari periodici. Gli animali erano ospitati
in box singoli ed erano alimentati con una dieta commerciale
equilibrata. I prelievi ematici sono stati effettuati nelle prime
ore del mattino con gli animali a digiuno postprandiale da
almeno 12 ore ma con libero accesso all’acqua per tutta
la durata del protocollo sperimentale. Da ciascun soggetto
sono stati prelevati, direttamente dalla vena giugulare, due
campioni di sangue raccolti in provette di tipo vacutainer con
187
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Cirneco
Parametro
Riferimento
Duncan; Kaneco
Maschio
Femmina
Rbc (M/µL)
6.59±0.70
5.96±0.41
5.50-8.50
Wbc (K/µL)
9.06±1.99
10.06±1.85
6.00–17.0
Neu (K/µL)
5.14±1.30
6.38±1.33
3.00–11.0
Eos (K/µL)
0.60±0.30
0.70±0.22
0.10–1.20
Bas (K/µL)
0.30±0.12
0.34±0.31
0–0.3
Lym (K/µL)
2.14±0.93
2.03±1.01
1.0–4.80
Mon (K/µL)
0.56±0.23
0.59±0.28
0.1–1.30
Hgb (g/dL)
15.5±2.17
13.9±2.03
12.0–18.0
Plt (K/µL)
271.40±108.67
382±181.66
200–500
Alt/Gpt (U/l)
39.6±7.23
36.85±17.01
21-102
Ast/Got (U/l)
31.6±5.86
37.75±14.29
23-66
Crea (mg/dl)
0.78±0.08
0.69±0.10
0.5-1.5
Urea (mg/dl)
26.6±12.42
21.12±8.61
10-28
Albumina (%)
Glob. Alfa1 (%)
45.01±9.94
4.63±2.55
49.99±7.91
5.6±2.64
43.5-57.8
2.72-7.68
Glob. Alfa2 (%)
11.82±5.16
11.45±5.28
4.64-15.6
Glob. Beta (%)
20.18±9.63
18.42±9.43
14.1-36.2
Glob. Gamma (%)
12.35±2.82
12.12±2.34
3.75-12.9
Rapporto Alb/Glob
0.87±0.34
1.02±0.36
0.50-1.68
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188
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI PROTOTHECA ZOPFII IN
LATTE MASTITICO IN PROVINCIA DI UDINE
1
1
Cocchi M., 1Di Giusto T., 2 De Stefano P., 1 Deotto S.,1 Di Sopra G., 1Clapiz L.,1 Genero N., 1Bregoli M., 3Cammi G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie; 2 Libero professionista, Udine; 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e
dell’Emilia Romagna
Key words: bovine mastitis, Prototheca zopfii
Summary
Prototheca spp., a colourless microalgae, are ubiquitous and
have been isolated from environmental sources, particularly in
wet areas. In dairy herds, P. zopfii is responsible of mastitis. It
occurs worldwide. The main purpose of this paper was to describe
the prevalence of Prototheca zopfii in bovine mastitis. 834 milk
samples, collected from 43 farms located in Udine province
were submitted to bacteriological examination and to research
Prototheca spp. Diagnosis of Prototheca spp. was confirmed
by molecular characterization of the isolates. Moreover, in one
farm the presence of the microalga was also monitored in the
environment. Prototheca spp. was isolated in 4/843 (0,5%)
mastitic milk samples from 2/43 (5%) dairy herds. The results
of molecular characterization indicate that all the isolates were P.
zopfii genotipe II.
effettuate su campioni di latte (singoli quarti) pervenuti al
laboratorio nel corso delle routinarie indagini per ricerca di
agenti mastidogeni. Viene inoltre descritta l’indagine effettuata
in un allevamento colpito, al fine di verificare la presenza
di fattori di rischio aziendali, sia a livello di ambiente che di
pratiche di mungitura, favorenti la permanenza e la diffusione
dell’infezione.
Materiali e metodi.
Analisi microbiologica. Nel periodo febbraio – giugno 2010 sono
stati sottoposti a ricerca Prototheca spp. 834 campioni di latte
bovino, appartenenti a 43 allevamenti (numero medio di vacche
in lattazione < 50), siti nella provincia di Udine. I campioni di latte
prelevati in corso di mastite clinica stati sottoposti sia ad indagine
batteriologica sia a ricerca di Prototheca spp. In quest’ultimo caso,
0,01 ml di latte è stato seminato su terreno Prototheca Isolation
Medium (PIM), incubato a 30°C ± 2 per 48-72 ore (4).
I campioni sono stati sottoposti inoltre a routinarie indagini
batteriologiche.
Campioni ambientali. L’indagine è stata eseguita campionando
con tamponi sterili diverse strutture presenti in sala mungitura
(prendi capezzoli, ugelli tubi pulizia, soluzioni per il postdipping e
il predipping, pavimento), e in allevamento (acqua di abbeverata,
abbeveratoi, area vacche in lattazione). Sono inoltre stati
collezionati campioni di feci degli animali all’uscita dalla sala
mungitura (2 pool: ognuno costituito da 15 campioni). I campioni
così ottenuti, trasportati a temperatura di refrigerazione in
laboratorio sono stati sottoposti ad indagine, entro due ore dal
prelievo. In laboratorio l’esame colturale è stato condotto nel
modo seguente:
Campioni di feci. Diluizione in soluzione fisiologica sterile (1:10),
omogeneizzazione in Stomacher (Laboratory Blender) per 2
minuti ca e successiva semina di 0,1 ml su PIM;
Campioni da tettarelle, pavimento, ugelli dell’acqua. I tamponi
sono stati strisciati direttamente su una piastra di PIM;
Acqua. 100 ml del campione sono stati sottoposti a filtrazione
(0,45 μm) e la superficie contaminata del filtro strisciata su PIM.
I campioni ottenuti sono stati incubati a 30°C ± 2 per 48-72 ore.
Caratterizzazione degli isolati ottenuti dal latte e dai campioni
ambientali. Al termine del periodo di incubazione, da ciascuna delle
piastre sono state prelevate più colonie con morfologia riferibile a
Prototheca spp e sottoposte ad identificazione della morfologia
microscopica della colonia, utilizzando la colorazione di Gram.
Successivamente le colonie con morfologia riferibile a Prototheca
spp., sono state trapiantate su Sabouraud Dextrose Agar (SDA)
– Oxoid - ed inviate al laboratorio di biologia molecolare della
sezione di Piacenza (Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Lombardia e dell’Emilia Romagna) per tipizzazione molecolare.
Analisi biomolecolare. L’indagine, effettuata sulle colonie isolate,
mediante PCR è stata in grado di differenziare le diverse specie
di Prototheca e nel caso di P. zopfii, anche l’ appartenenza al
genotipo I e II (6). In breve sono state allestite tre diverse reazioni
PCR, utilizzando i primers:
- Proto18-4f, Proto18-4r e PZGT 1/r per P. zopfii genotipo 1
- Proto18-4f, Proto18-4r e PZGT 2/r per P .zopfii genotipo 2
- PZGT 3-IK/f, PZGT 3-IK/R e PZGT 3/r per P. blaschkeae.
Introduzione.
La mastite costituisce un’importante causa di perdita economica
nell’allevamento bovino. Recentemente, da un punto di vista
eziologico le microalghe appartenenti al genere Prototheca
stanno assumendo sempre maggiore rilievo. Prototheca spp
comprende alghe unicellulari, strettamente correlate alle alghe
verdi del genere Chlorella anche se, diversamente da queste
ultime, sono aclorofilliche. Si rinvengono normalmente in habitat
umidi. Prototheca spp può causare patologia in diverse specie
animali (infezioni enteriche nel cane, patologie cutanee nel cane,
nel gatto e negli ovi-caprini, mastite nel bovino) e nell’uomo,
soprattutto nei soggetti immunocompromessi (7).
A questo genere appartengono 5 specie: P. zopfii, P. winckerhamii,
P. blaschkeae, P. stagnora, P. ulmea. Recentemente, P. zopfii
è stata suddivisa in due genotipi, P. zopfii genotipo I e P. zopfii
genotipo II; nel caso della mastite bovina, solo quest’ultimo
genotipo è considerato patogeno. Accanto a quest’ultima, un’altra
specie considerata responsabile di mastite bovina è P. blaschkeae
(5). Generalmente l’andamento della mastite da Prototheca
spp. è di tipo cronico - evolutivo, con eliminazione delle alghe in
modo intermittente ed in significative quantità (1,7). Fra i soggetti
colpiti la percentuale di guarigione spontanea è molto bassa
(7). Epidemiologicamente la mastite da Prototheca presenta
andamento endemico nelle aree tropicali, mentre nelle zone a
clima temperato è stata descritta come una patologia sporadica.
Recenti segnalazioni tuttavia evidenziano come anche in queste
ultime zone, l’andamento della prototoecosi mammaria abbia
assunto carattere endemico. Infatti, segnalazioni dagli Stati Uniti
e dalla Germania riportano livelli di prevalenza di allevamento
superiori al 39% (7). La mastite da Prototheca riconosce fattori
predisponenti, quali ad esempio scarsa igiene della mungitura
e dell’ambiente di allevamento. La diffusione della presenza di
Prototheca anche negli allevamenti di bovine da latte del nostro
Paese è stata evidenziata da un recente monitoraggio effettuato
sul latte di massa di 350 allevamenti ubicati nella pianura
Padana, che ha rilevato la presenza della microalga nel 15,43%
dei campioni (2).
Scopo del presente lavoro è quello di illustrare i dati relativi
alla diffusione della mastite da Prototheca in allevamenti di
bovine da latte della provincia di Udine, derivanti da analisi
189
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
non determinare neppure un rialzo del valore delle cellule
somatiche.
Da sottolineare l’importanza del controllo ambientale al fine di
individuare le possibili fonti di contaminazione per gli animali;
l’infezione, infatti, nonostante si diffonda principalmente da un
animale all’altro attraverso la mungitura, può essere contratta
direttamente dall’ambiente. Negli allevamenti in cui non sono
segnalate mastiti da Prototheca spp, generalmente l’ambiente
risulta con un basso livello di contaminazione (3).
Inoltre per valutare l’importanza delle fonti di contaminazione
ambientale nella diffusione e mantenimento dell’infezione in
allevamento, risulta necessario procedere alla identificazione di
specie ( o genotipo nel caso di P. zopfii) dei ceppi isolati.
La presenza ubiquitaria di Prothoteca e la resistenza ai presidi
terapeutici rendono di particolare importanza sia la precoce
individuazione dell’infezione nella mandria sia il monitoraggio in
allevamento. La conoscenza della diffusione della microalga negli
animali e nell’ambiente permette l’attuazione di misure di controllo
e di profilassi che possono impedire all’infezione da Prototheca di
causare danni elevati alla produttività dell’allevamento.
Risultati e discussione.
Sono risultati positivi alla ricerca di Prototheca spp 4/834
(0,5%) campioni di latte mastitico, corrispondenti a 2/43 (5%)
allevamenti controllati. Tre campioni appartenevano ad un
allevamento (allevamento A), mentre il quarto apparteneva ad un
allevamento differente (allevamento B). Nel caso dell’allevamento
A, Prototheca spp è stata isolata in due bovine; in particolare da
due quarti della prima bovina e da un unico quarto del secondo
soggetto. Inoltre, in entrambi i soggetti, l’esame colturale per
la ricerca di batteri ha dato esito negativo. Diversamente, nel
secondo allevamento (allevamento B), la positività è stata rilevata
da un quarto di una bovina, il cui esame batteriologico ha dato
come esito Staphylococcus aureus.
In seguito alla situazione verificatasi nell’allevamento A sono state
avviate successive indagini al fine di monitorare la distribuzione
della microalga in allevamento, identificando così le possibili fonti
di contaminazione e verificando lo status igienico – sanitario
dell’allevamento. In totale sono stati eseguiti 42 campioni
ambientali. Di questi, 9 sono risultati positivi (21%).
La distribuzione delle positività ambientali è riportata in tabella 1.
Tabella 1. Campioni ambientali effettuati nell’allevamento A.
Campioni
esaminati
Campioni
positivi
%
Prendicapezzolo
Feci (pool)
24
2
5
0
21
0
Ugello tubo acqua sala
mungitura
2
0
0
Soluzione postdipping
Soluzione predipping
Ambiente sala mungitura
1
1
3
0
0
2
0
0
66.6%
Ugelli tubi sala mungitura
1
0
0
Acqua di abbeverata
2
0
0
Abbeveratoio vacche in
lattazione: parte esterna
2
2
100
Abbeveratoio vacche in
lattazione:parte interna
6
0
0
Tot
42
9
21
Bibliografia.
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disease progression and carriage in dairy cows, J Clin Microbiol
vol 41, n 3. 1181-1186.
L’indagine biomolecolare condotta sui ceppi isolati ha confermato
la presenza sia sul latte (allevamento A e B) che sui campioni
ambientali (allevamento A) di P. zopfii genotipo II.
Dall’analisi ambientale i punti critici, in cui si osserva una maggiore
contaminazione da Prototheca, sono la sala mungitura (prendi
capezzoli, pavimento) e gli abbeveratoi.
Sono quindi state intraprese le seguenti misure:
sala mungitura: sostituzione prendi capezzoli con
introduzione di una soluzione disinfettante composta da
acido peracetico e acqua ossigenata.
disinfezione abbeveratoi e pavimento sala mungitura
con soluzione di ipoclorito di sodio.
mungitura delle vacche positive per ultime.
controlli periodici degli animali in lattazione con ricerca
Prototheca spp sul latte di massa.
I dati ottenuti dall’indagine effettuata indicano una scarsa
diffusione della mastite da Prototheca nelle stalle di bovine da
latte della provincia di Udine. Nel presente lavoro la microalga
è stata ricercata solo in soggetti con mastite clinica. Questo può
aver portato ad una sottostima della presenza dell’infezione
mammaria da Prototheca in quanto, specialmente nelle fasi
iniziali, l’infezione, oltre ad non manifestarsi clinicamente, può
Figura 1. P. zopfii su PIM dopo 72 h di incubazone (latte).
190
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PRESENZA DEI GENI ICAA E ICAD E FORMAZIONE DEL BIOFILM IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS
AUREUS DI ORIGINE ANIMALE
Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Di Sopra G., Bacchin C., Clapiz L., Genero N., Passera A., Bregoli M., Drigo I.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Key words: slime production, Staphylococcus aureus, ica genes
Summary.
Staphylococcus aureus (SA), is a common cause of infections
both in humans and in animals. The virulence of SA is associated
with its ability to produce toxins and other extracellular
factors and to adhere on host surfaces by the production of
a polysaccharidic biofilm. The biofilm formation represents
moreover a key factor for protection against phagocytosis and
antimicorbial agents. 166 SA strains isolated from animals
were evaluated for the slime production by Congo Red agar
test (CRA) and by a specific PCR based procedure. 42/166
strains showed the phenotypic trait, whereas 152/166 were
positive to molecular characterization.
è stata confermata utilizzando un sistema biochimico
miniaturizzato (API STAPH - Biomerieux).
Da ogni piastra è stata scelta una colonia di SA da sottoporre
alle successive indagini fenotipiche e genotipiche.
Analisi fenotipica. La colonia di SA è stata coltivata su Congo
Red Agar (CRA). Le piastre di CRA sono state allestite
addizionando 0.8 g di rosso Congo (Sigma) e 36 g di saccarosio
(Sigma) a 11 g di Brain Heart Infusion agar (Oxoid) (2). Le
piastre sono state incubate per 24 ore a 37± 2°C, in condizioni
di aerobiosi e successivamente poste, overnight, a temperatura
ambiente per ulteriori 24-48 ore. La valutazione delle colonie si
è basata su un’evidenza colorimetrica, ottenendo in tal modo
informazioni di tipo qualitativo sulla presenza del biofilm nel
ceppo batterico in esame. In particolare le colonie producenti
biofilm appaiono nere/nero-grigie/grigie su fondo rosso, mentre
le colonie non producenti il biofilm appaiono rosa/rosso su
fondo scuro (2), come illustrato nelle figure 1 e 2.
Quali controlli di reazione sono stati associati i seguenti
ceppi:
controllo positivo: S. epidermidis ATCC 35984
controllo negativo: S. epidermidis ATCC 12228.
Analisi genotipica. Il DNA è stato estratto utilizzando il kit
commerciale “GeneElute Bacterial genomic DNA kit” (SigmaAldrich). La ricerca geni icaA e icaD è stata eseguita secondo
quanto descritto da Tristan et al. (2003). (9).
Introduzione.
Staphylococcus aureus (SA), microrganismo normalmente
presente sulla cute e sulle mucose di diverse specie animali
può provocare, in presenza di fattori predisponenti, infezioni
di diversa gravità. Solitamente il processo flogistico si esplica
a livello di cute e annessi cutanei, di apparato urinario e
digerente e di organi quali polmone.
Secondo diversi Autori, la mancata capacità di combattere in
vivo l’infezione stafilococcica, e l’instaurarsi di un processo
di cronicizzazione della stessa, sono legati alla capacità di
formare il biofilm da parte del microrganismo (4). Il biofilm viene
definito come “una comunità strutturata di cellule batteriche
racchiuse in una matrice polimerica autoproducentesi ed
aderente ad una superficie inerte o non” (3). Diversi Autori
hanno dimostrato che i batteri presenti nel biofilm risultano 101000 volte maggiormente resistenti agli agenti antimicrobici
rispetto ai batteri della stessa specie in coltura libera (1).
La produzione del biofilm viene regolata a livello genetico
dall’intracellular adesion (ica) locus, che controlla la sintesi di
un’adesina, PIA (polysaccharide intercellular adhesin), molecola
di natura polisaccaridica che permette l’adesione intercellulare
(7). L’ica locus è costituito dai geni icaADBC e codifica
proteine che mediano la sintesi di PIA nei ceppi di SA: fra di
essi, icaA e icaD giocano un ruolo importante nella formazione
del biofilm. In particolare, il gene icaA codifica per l’enzima
N-acetilglucosaminiltransferasi, anche se la sola espressione
del gene icaA induce una bassa attività enzimatica. La piena
espressione fenotipica, infatti, è determinata dall’espressione
contemporanea sia dell’icaA che dell’icaD (2).
Scopo del presente lavoro è stato valutare la presenza dei
geni icaA e icaD in ceppi di SA isolati da diverse specie animali
in corso di patologia, valutando inoltre fenotipicamente la
formazione del biofilm.
Figura 1. Ceppo di SA
non producente slime
Figura 2. Ceppo di SA
producente slime
Risultati e conclusioni
L’indagine condotta ha permesso di identificare 42/166 (25%)
ceppi fenotipicamente biofilm +; genotipicamente, invece,
152/166 (91%) ceppi di SA erano positivi alla ricerca per i geni
icaA e icaD.
Nelle tabelle seguenti vengono illustrati i risultati, suddivisi per
specie.
Materiali e metodi
166 ceppi di SA isolati da bovino (n = 121), coniglio (n =40) e
capra ( n= 5) sono stati sottoposti a test sulla formazione del
biofilm e sulla presenza del gene icaA e del gene icaD.
I ceppi di SA sono stati isolati a partire da agar sangue incubato
in aerobiosi per 24-48 ore a 37± 2°C. I ceppi batterici che
presentavano una morfologia riconducibile a Staphylococcus
spp. sono stati sottoposti a colorazione di Gram, test della
catalasi e della coagulasi del plasma di coniglio al fine di
identificare i ceppi di S. aureus. L’identificazione biochimica
Tabella 1. Ceppi di SA (n=121) isolati in corso di mastite
bovina.
Risultati del CRA test e della ricerca dei geni icaA e icaD.
CRA
191
+
-
+
36
77
113
icaA e icaD
0
8
8
36
85
121
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
antimicrobici (8).
La comprensione del meccanismo che permette a batteri
normalmente saprofiti di colonizzare i tessuti divenendo
patogeni riveste notevole importanza e in questo ambito, la
caratterizzazione molecolare e fenotipica degli isolati può
costituire un valido ausilio.
Nel nostro caso, l’utilizzo del test molecolare ha costituito un
mezzo importante nella caratterizzazione dei ceppi. Infatti, il
solo utilizzo del test fenotipico avrebbe permesso di individuare
ceppi biofilm + solo nel 25% dei casi.
Considerando che l’indagine molecolare non fornisce
informazioni sull’espressione genica, rimane comunque
da sottolineare che il suo utilizzo consente di conoscere la
potenzialità del ceppo in esame, in tempi rapidi e con una
elevata accuratezza.
Tabella 2. Ceppi di SA (n=5) isolati in corso di patologia
nell’ovino. Risultati del CRA test e della ricerca dei geni icaA
e icaD
icaA e icaD
CRA
+
-
+
0
0
0
0
5
5
0
5
5
Tabella 3. Ceppi di SA (n=40) isolati in corso di patologia nel
coniglio. Risultati del CRA test e della ricerca dei geni icaA e
icaD.
icaA e icaD
CRA
+
-
Bibliografia
+
6
34
0
0
6
34
40
0
40
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M., Alabart J.L., Hernandez-Yago J. (1999). Antibiotic susceptibility
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Nel caso degli isolati da bovino, il 30% (36/121) dei ceppi
era genotipicamente e fenotipicamente biofilm +; il rimanente
70% era positivo alla caratterizzazione genotipica e negativo
a quella fenotipica. Il dato ottenuto è in accordo con quanto
riportato in letteratura da Fox et al (2005). Secondo gli autori,
infatti, il 41,4% dei ceppi di SA, ottenuti in corso di mastite
bovina, è positivo alla formazione di biofilm (5).
Nel coniglio, invece, 6/40 ceppi erano genotipicamente e
fenotipicamente biofilm +, mentre 34/40 fenotipicamente
negativi, ma icaA e icaD positivi. Per quanto concerne i ceppi
di origine cunicola in letteratura non sono stati reperiti valori di
possibile confronto con quelli ottenuti nel presente studio.
Tutti i ceppi di origine ovina sono genotipicamente e
fenotipicamente negativi.
Nelle specie esaminate, tutti i ceppi negativi alla ricerca
biomolecolare sono risultati negativi al CRA test, mentre
tutti i ceppi fenotipicamente positivi sono anche icaA e icaD
positivi.
L’utilizzo della scala cromatica nella lettura degli isolati ha
costituito un importante ausilio interpretativo, riducendo la
possibile variabilità soggettiva. La lettura effettuata a 48 ore
ha permesso di apprezzare in modo esaustivo il colore delle
colonie nel caso dei ceppi positivi; diversamente, nel 70% dei
ceppi negativi il prolungamento dell’incubazione a 72 ore ha
permesso di apprezzare in modo più corretto il colore.
La lettura finale a 96 ore ha permesso inoltre di valutare
l’assenza di “variazioni” nei ceppi esaminati dovute alla
formazione di spikes di colore rosa/rosso all’interno di colonie
nere. Questo fenomeno viene spiegato da alcuni autori con la
formazione di cloni che hanno perso i geni icaA e icaD, mentre
secondo altri autori tale fenomeno sarebbe da imputare ad una
modulazione del meccanismo di trascrizione, piuttosto che alla
delezione genica (2).
Queste variazioni di colore sono descritte in ceppi isolati in
corso di infezione (2).
Lo studio del biofilm costituisce elemento importante nell’analisi
della virulenza dei ceppi di SA, poiché studi condotti hanno
evidenziato come la mancata capacità di produrre PIA dia
luogo ad una minore capacità di causare mastite nel bovino (6).
Inoltre, in corso di infezione mammaria da SA, la formazione
del biofilm, consentendo l’adesione dei microrganismi alla
superficie mucosale, determina una persistenza dell’infezione
stessa e una aumentata resistenza del microrganismo agli
192
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI E PRESENZA DELLA METICILLINO RESISTENZA IN CEPPI DI
STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA MASTITE BOVINA
Cocchi M., Deotto S., Di Giusto T., Bacchin C., Clapiz L., Di Sopra G., Genero N., Bregoli M., Drigo I.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie
Key words: antimicrobial susceptibility, Staphylococcus aureus, bovine mastitis
Summary.
Bovine mastitis is the most costly disease affecting the dairy
industry worldwide. Different bacteria have been isolated, and one
of the main pathogen is represented by S. aureus. Antimicrobial
therapy is an important tool for controlling staphylococcal mastitis.
Aim of this study was to investigate antimicrobial susceptibility of
S. aureus strains (n=121) isolated from bovine mastitis. Methicillin
resistance was evaluated, too. 34% of S. aureus strains were
resistant to penicillin. Methicillin resistance was not found.
bovina, valutando inoltre la presenza della meticillino resistenza.
Figura 1. Acquisizione della meticillino resistenza da parte di SA
tramite trasferimento orizzontale di un tratto di DNA, chiamato
SCCmec (Adattato da Foster et al.)
Introduzione.
La mastite rappresenta una delle principali patologie
nell’allevamento del bovino da latte. Da un punto di vista
eziologico, Staphylococcus aureus (SA) è considerato uno dei
principali agenti di mastite contagiosa, con un elevato impatto
sanitario ed economico sulle aziende zootecniche. La terapia
antibiotica rappresenta uno degli elementi fondamentali nella
gestione delle mastiti, anche se recenti studi hanno evidenziato
un progressivo aumento della resistenza agli antimicrobici in
ceppi di SA isolati in corso di mastite bovina (3,8). Il monitoraggio
della resistenza agli antimicrobici dei microrganismi patogeni e
dei commensali costituisce un passo importante che influenza
sia l’approccio terapeutico che gli interventi da attuare per un
uso appropriato degli stessi (1,3). In questo ambito si colloca lo
studio della meticillino resistenza (MRSA, methicillin resistant
S. aureus), tratto caratterizzante prevalentemente i ceppi di SA
isolati dall’uomo.
In ambito veterinario esistono differenze fra la diffusione dei
ceppi MRSA negli animali da compagnia, in cui rare sono
state le segnalazioni sino al 2006 e in quelli da allevamento. In
quest’ultimo caso i ceppi di MRSA sono stati descritti in diverse
specie fra cui il suino e il bovino (7). La meticillino resistenza è
codificata dal gene mecA, a localizzazione cromosomiale che
codifica per una proteina modificata, penicillin binding protein,
PBP2a, che presenta una bassa affinità per i beta – lattamici (6).
I ceppi meticillino resistenti presentano, inoltre, resistenza a
quasi tutte le classi di beta lattamici; questo elemento fa sì che
le infezioni sostenute da ceppi MRSA siano di difficile gestione
e trattamento. In ambito umano infatti la terapia per le infezioni
da MRSA è possibile solo con alcuni glicopeptidi e con alcune
molecole sperimentali (6).
I primi ceppi di SA meticillino resistenti sono stati isolati in ambito
ospedaliero (HA-MRSA, hospital acquired methicillin resistant
Staphylococcus aureus). Recentemente sono stati segnalati ceppi
definiti community acquired methicillin resistant Staphylococcus
aureus (CA–MRSA), geneticamente non correlati ai ceppi HAMRSA, identificati in soggetti di età differente (soprattutto giovani)
e che non presentano i fattori di rischio tipici dei ceppi HA-MRSA
(6).
In figura 1 viene illustrata l’acquisizione da parte di ceppi di SA
della meticillino resitenza.
In questo contesto, il monitoraggio e la conoscenza della
diffusione dell’antibiotico resistenza costituiscono elemento
importante per la salute pubblica, soprattutto nel caso dei ceppi
MRSA recentemente descritti in prodotti di origine animale (5).
Scopo del presente studio è stato determinare la sensibilità a
sei molecole antibiotiche in ceppi di SA isolati in corso di mastite
Materiali e metodi.
Analisi batteriologica. Nel presente lavoro sono stati esaminati
121 ceppi di SA, provenienti da 57 allevamenti siti in provincia di
Udine, prelevati in corso di mastite clinica e subclinica. Da ogni
stalla sono stati scelti più ceppi, appartenenti ad animali diversi. I
ceppi sono stati ottenuti inoculando 0,1 ml di latte su agar sangue
esculina, incubato a 37°C ± 2 per 18-24 e 48 ore. L’identificazione
batterica è stata eseguita considerando la morfologia della colonia,
la colorazione di Gram, una reazione positiva alla catalasi e alla
coagulasi (plasma di coniglio). L’identificazione biochimica è stata
confermata utilizzando un sistema biochimico miniaturizzato (API
STAPH - Biomerieux).
Test di sensibilità agli antimicrobici. I ceppi batterici sono stati
sottoposti a test di sensibilità agli antimicrobici usando il metodo
dell’agar diffusione, in accordo con le linee guida del CLSI
(documento M31-A3) (4). I principi attivi utilizzati sono stati i
seguenti: penicillina (10 µg – Becton Dickinson-), oxacillina (10
µg – Becton Dickinson -), ampicillina (10 µg – Becton Dickinson
-), tetraciclina (30 µg – Oxoid -), sulfametoxazolo+trimethropim
(1,25 µg – Oxoid -) e cefoxitina (30 µg – Oxoid-).
Gli isolati sono stati classificati in sensibile, intermedio, resistente,
in accordo con quanto riportato dal CLSI (tabella 1).
Tabella 1. Break points (mm)
S
193
I
R
Penicillina
>29
<28
Ampicillina
>29
<28
Tetraciclina
>19
15-18
<14
Cefoxitina
Sulfametoxazolo+
trimethropim
Oxacillina
>21
18-20
<17
>16
11-15
<10
>13
11-12
<10
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Meticillino – resistenza. Al fine di evidenziare la meticillino
resistenza, secondo quanto riportato nel manuale del CLSI è stato
utilizzato il test dell’agar diffusione, introducendo un dischetto di
oxacillina.
Nel presente studio, oltre all’utilizzo dell’oxacillina, 0,01 ml di latte
sono stati inoculati su terreno Oxacillin Resistance Screening
Agar Base, ORSAB (Oxoid), incubato a 37°C ± 2 per 24 ore.
Tutti i ceppi sono stati sottoposti alla ricerca per il gene mecA.
Analisi molecolare. Il DNA è stato estratto utilizzando il kit
commerciale “GeneElute Bacterial genomic DNA kit” (SigmaAldrich). La ricerca gene mecA è stata eseguita secondo quanto
descritto da Louie et al, 2002 (9).
confermare e da caratterizzare successivamente con metodi
biomolecolari. In ambito europeo diversi studi sono stati condotti
al fine di conoscere la prevalenza delle infezioni da MRSA nel
bovino. Emerge una differente distribuzione dei ceppi MRSA
nell’allevamento del bovino da latte, con un range che varia
da un valore di prevalenza pari allo 0% (studio norvegese) a un
valore pari al 10% (studio belga) (3,10). In Italia un recente lavoro
condotto su campioni di latte in stalle della pianura padana ha
evidenziato una prevalenza pari al 13% dei ceppi esaminati (2).
Pur essendo la meticillino resistenza una caratteristica rinvenibile
soprattutto nei ceppi umani, la possibilità di trasferimento all’uomo
di cloni isolati dall’animale (ST398, per esempio) pone un serio
problema in sanità pubblica.
Le differenze registrate in studi multicentrici condotti in diverse
realtà produttive europee sottolineano inoltre l’importanza della
conoscenza della prevalenza al fine di intraprendere adeguate
strategie di controllo.
Lo studio dell’antibiotico resistenza nell’allevamento del bovino
da latte dovrebbe costituire quindi elemento cruciale per la rapida
identificazione dello sviluppo di cloni resistenti e/o multiresistenti.
Studi ulteriori si rendono necessari al fine di identificare se eventuali
differenze nelle pratiche manageriali possano influenzare il
diffondersi di ceppi resistenti.
Risultati e discussione. Lo studio condotto ha permesso di
valutare il pattern di antibiotico resistenza in ceppi di SA isolati in
corso di mastite in provincia di Udine.
Le molecole scelte hanno permesso di effettuare valutazioni
in merito alla diffusione della resistenza ad alcune classi di
chemioterapici.
In particolare, l’utilizzo della penicillina permette di avere
informazioni sulla sensibilità del ceppo ad altri beta lattamici,
mentre l’oxacillina, molecola ampiamente più stabile della
meticillina, consente di evidenziare ceppi meticillino resistenti.
Nel nostro studio, 41/121 (34%) dei ceppi presentano resistenza
alla penicillina, dati in accordo con la resistenza all’ampicillina,
evidenziata in 42/121 (35%) dei ceppi.
Il 30% dei ceppi era inoltre resistente ad entrambe le molecole
saggiate (39/121).
Per quanto riguarda i 3 ceppi resistenti alla tetraciclina, essi sono
risultati resistenti anche a penicillina ed ampicillina.
Non sono stati identificati ceppi resistenti al sulfamidico potenziato
(Sulfametoxazolo+trimethropim) nè sono stati identificati ceppi
meticillino resistenti. Quest’ultimo dato è stato confermato
dall’analisi biomolecolare.
Nel caso della cefalosporina di prima generazione solo un ceppo
è risultato resistente.
La sensibilità agli antimicrobici è sintetizzata in tabella 2.
Bibliografia.
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Tabella 2 . Sensibilità in vitro dei ceppi di SA (n=121), isolati in
corso di mastite, nei confronti dei sei antimicrobici selezionati.
Tra parentesi il valore espresso in percentuale.
Penicillina
Ampicillina
Tetraciclina
Cefoxitina
Sulfametoxazolo+
trimethropim
Oxacillina
S (%)
80 (66)
79 (65)
118 (98)
120(99)
1 2 1
(100)
121(100)
I (%)
0 (0)
0 (0)
0 (0)
0 (0)
R (%)
41(34)
42 (35)
3 (2)
1 (1)
0 (0)
0 (0)
0 (0)
0 (0)
In uno studio condotto in nove paesi europei e negli Stati Uniti
sono state identificate differenze nella diffusione dell’antibiotico
resistenza in ceppi di SA isolati in corso di mastite. In particolare,
nel caso della penicillina la percentuale di resistenza varia dal
44% (USA) al 50% (Finlandia) (1). Nel nostro lavoro la percentuale
si attesta su valori inferiori, nonostante l’utilizzo da lungo tempo
della penicillina nel trattamento delle mastiti.
Per quanto concerne lo studio della meticillino resistenza,
l’utilizzo del terreno ORSAB su cui è stato inoculato direttamente
il campione ha dato esiti concordi con quanto rinvenuto con
il metodo dell’agar diffusione e con i risultati della biologia
molecolare. Questo potrebbe consentire un utilizzo del terreno
sia routinario che come mezzo di screening dei ceppi di SA, da
194
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
STUDIO SULLA VARIABILITÀ DEL GENE CAPRINO CCR5 E RUOLO SVOLTO NELLA MODULAZIONE
DELLA RESISTENZA ALLE LENTIVIROSI (CAEV)
Colussi S. 1, Maniaci M.G. 1, Bertolotti L. 3, Profiti M. 3, Bertuzzi S. 1, Giovannini T. 1, Modesto P. 1, Quasso A. 2, Sacchi P. 3,
Peletto S. 1, Rosati S. 3, Acutis P.L.1
1Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Torino;
2 ASL AT Asti – Dipartimento di Prevenzione - Servizi Veterinari – Area Sanita’ Animale, Asti;
3 Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia, Università degli Studi di Torino
Key words: Lentivirus, gene CCR5, capra
SUMMARY
Maedi Visna Virus (MVV) and Caprine Arthritis Encephalitis Virus
(CAEV) belong to the family of Retroviridae, genus Lentivirus which
includes the human immunodeficiency virus (HIV). Chemokine
(C-C motif) Receptor 5 (CCR5) has been considered one of the
main sources of genetic resistance to HIV in humans and, recently,
one CCR5 variant of the promoter region associated to resistance
to MVV has been reported in sheep. This work describes for the
first time the CCR5 gene in goats and shows some preliminary
results of a case-control study on goats belonging to two CAEV
outbreaks.
di 16-137 mesi e di 15-53 mesi.
Il DNA è stato estratto manualmente mediante il kit Pure LinkTM
Genomic DNA (Invitrogen). Il gene CCR5, analogamente a
quanto fatto per gli ovini, è stato analizzato mediante quattro PCR
comprendenti la regione del promotore, Esone 1, Introne , Esone
2 e CDS, regione 3’ UTR, utilizzando i primer riportati in tabella 1.
La PCR è stata condotta su un volume di reazione pari a 50 µl
mediante utilizzo di Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen),
con aggiunta dei primer suddetti [300 nM] ed utilizzando il profilo
termico proposto da White (5).
Ciascun amplificato è stato sottoposto a sequenziamento
utilizzando i primer descritti in bibliografia (5) e la chimica BigDye®
Terminator v.3.1 (Applied Biosystems).
Le sequenze ottenute sono state analizzate mediante il Software
SeqMan (Lasergene).
Gli aplotipi più probabili (p e q >90%) sono stati definiti attraverso
l’applicazione del software PHASE (v2.1.1) (3, 4).
L’esame sierologico è stato effettuato mediante ELISA
ricombinante utilizzando la proteina di fusione P16-P25 espressa
in E. coli e purificata mediante cromatografia per affinità.
INTRODUZIONE
Il virus Maedi Visna (MVV) e il virus dell’Artrite-Encefalite caprina
(CAEV) determinano una malattia virale contagiosa tipica di
ovini e caprini; appartengono alla famiglia Retroviridae, genere
Lentivirus, a cui è ascrivibile anche il virus dell’immunodeficienza
acquisita dell’uomo (HIV). I Lentivirus dei piccoli ruminanti causano
un’infezione persistente nell’organismo ospite, caratterizzata da
un lungo periodo di incubazione, decorso cronico e progressivo.
Nell’uomo sono stati descritti alcuni marcatori genetici coinvolti
nella modulazione della suscettibilità all’HIV: tra questi il gene
CCR5 codificante per una proteina di membrana con funzione di
recettore per le chemochine e principale co-recettore per HIV-1
nelle fasi iniziali dell’infezione. In particolar modo è stata descritta
una delezione caratteristica di 32 pb presente nella regione
codificante, che determina in omozigozi l’incapacità di esprimere
un recettore funzionante a livello della membrana cellulare, a
cui consegue un’elevata resistenza all’infezione virale; inoltre,
mutazioni a carico delle regioni regolatrici sono state associate
sia ad un differente livello di espressione del recettore, sia ad una
differente suscettibilità verso il virus (1).
Un recente studio condotto sugli ovini ha messo in evidenza una
delezione di 4 pb nella regione del promotore di CCR5 (54365439) che determina un’alterazione dei siti di legame per fattori
trascrizionali riducendo, in ovini omozigoti deleti, fino a 3.9 volte
l’espressione di tale recettore e dimezzando la carica provirale
(5).
Partendo da tale contesto, si è deciso di effettuare uno studio
conoscitivo sul gene CCR5 caprino, non ancora descritto, ed
un conseguente studio caso-controllo su animali provenienti da
focolaio al fine di indagare un eventuale ruolo dei polimorfismi
rilevati nel conferire resistenza/suscettibilità al CAEV.
RISULTATI
Negli animali utilizzati per lo studio conoscitivo sono stati rilevati
17 polimorfismi, riportati in tabella 2; come numerazione di
riferimento è stata utilizzata la numerazione della sequenza del
gene CCR5 ovino (GenBank FJ008056.1). Tutti i marker rilevati,
tranne uno (Ins 4421), sono risultati in equilibrio di Hardy-Weinberg
(P> 0.05). E’ stata riscontrata un’unica mutazione codificante in
posizione 8121 T>C (ATA>ACA) che determina una sostituzione
aminoacidica al codone 198 (I198T).
Il software PHASE ha fornito sei aplotipi riportati in tabella 3
insieme alle frequenze ad essi relative. L’allineamento multiplo
non ha mostrato mutazioni analoghe a quelle riscontrate nell’ovino
tra cui la delezione di 4 pb nella regione del promotore associata
ad una riduzione della carica provirale.
All’esame sierologico, l’allevamento (a) è risultato costituito da
15 positivi, 17 negativi e 5 deboli positivi; l’allevamento (b) da
42 positivi, 8 negativi e 7 deboli positivi. L’analisi genetica e la
valutazione della carica provirale dei campioni relativi allo studio
caso-controllo è al momento in corso d’opera. La mutazione non
sinonima (8121 T>C) presente nel CDS è stata rilevata ad una
frequenza pari allo 0.11%.
DISCUSSIONE
Questo lavoro si propone di indagare per la prima volta la
sequenza del gene CCR5 nella capra ed il ruolo dei polimorfismi
ad esso associati nella modulazione della suscettibilità/resistenza
all’infezione da CAEV. A differenza di quanto descritto nell’uomo
per la mutazione delta 32, nei caprini non è stata riportata alcuna
delezione/inserzione a carico del CDS; è stata invece rilevata
la mutazione puntiforme 8121 codificante per la sostituzione
aminoacidica I198T il cui ruolo è in corso di definizione. Al
MATERIALI E METODI
Sono stati analizzati, nell’ambito dello studio conoscitivo, 20
campioni di sangue appartenenti a caprini di razza Camosciata.
Gli animali sono stati scelti di differente età, non imparentati tra
loro e con una ratio tra i sessi di 1:1.
Per lo studio caso-controllo sono stati prelevati campioni di
sangue da due differenti allevamenti infetti da CAEV di 37 (a) e
57 (b) capi di razza Camosciata, con range di età rispettivamente
195
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tabella 2: mutazioni del gene CCR5 rilevate nei caprini e
frequenze relative
momento è in atto, negli animali provenienti da focolaio, lo
studio dei polimorfismi rilevati nella regione del promotore delle
capre precedentemente analizzate per lo studio conoscitivo;
mediante appositi software sarà, inoltre, indagato il loro possibile
coinvolgimento nell’alterazione di siti di interazione con fattori
di trascrizione che potrebbero determinare una modifica
dell’espressione del recettore CCR5.
RINGRAZIAMENTI
La ricerca è stata finanziata dal Ministero della Salute (Ricerca
Corrente 2009 IZSPLV 06/09 RC)
BIBLIOGRAFIA
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level of ovine progressive pneumonia virus. Animal
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1.
2.
3.
4.
5.
4421 Ins TC
Regione di
interesse
Promotore
Allele
minore
Ins
Frequenza(%)
(MAF)
0.025
4463 G>A
Promotore
A
0.150
4788 C>G
Promotore
G
0.125
5171 C>A
Promotore
A
0.150
5305 C>T
Promotore
T
0.175
5637 C>T
Promotore
T
0.150
6415 T>C
Introne
C
0.150
6816 A>C
Introne
C
0.025
7034 C>T
Introne
T
0.125
7266 T>C
Introne
C
0.025
7412 T>C
Introne
C
0.025
7448 T>C
Introne
C
0.150
8121 T>C
Esone 2 CDS
Esone 2
3’-UTR
a valle del 3’UTR
a valle del 3’UTR
a valle del 3’UTR
C
0.125
T
0.150
T
0.125
C
0.025
C
0.025
Mutazione
8598 C>T
9161 C>T
9332 G>C
9353 G>C
Tabella 1: primer di PCR
Regione di interesse
(Ovis aries FJ008056.1)
Sequenza dei primer
PCR1
4104-4125
5963-5986
5’-tgtagcaccagccattagcttc-3’
5’-cctgttttgtatctttgatgttat-3’
PCR2
5529-5548
7039-7059
5’-tcagggaaacccatgaataa-3’
5’-ctgcagtgaatgaagctgtga-3’
5’-cagcaagctcctaatgatgc-3’
5’-tactcgctctggagactctc-3’
PCR3
6936-6955
8514-8533
5’-tggctatcgtccatgctgtg-3’
5’-tcccatctctggcttcaact-3’
PCR4
7911-7930
9436-9455
Tabella 3
Posizione nucleotidica
Frequenza
Aplotipo
(%)
4421
0.800
0.025
0.025
0.025
0.075
0.050
1
2
3
4
5
6
TC
4463 4788
G
A
A
A
C
G
G
5171 5305 5637 6415
C
A
A
A
C
T
T
T
T
C
T
T
T
T
C
C
C
196
6816 7034
A
C
-
C
T
T
7266 7412 7448 8121 8598 9161 9332 9353
T
C
-
T
C
-
T
C
C
C
T
C
C
C
T
T
T
C
T
T
G
C
-
G
C
-
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RIBOTIPIZZAZIONE DI CEPPI DI PSEUDOMONAS FLUORESCENS ISOLATI DA MOZZARELLA
Consoli M., Losio M.N., Bertasi B., Panteghini C., Ferrari M., Mioni R.1., Decastelli L.2, Varisco G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna,
Reparto Tecnologia Acidi Nucleici applicata agli Alimenti/ Microbiologia
1
Istituto Zooprofilattico delle Venezie, SC Microbiologia Alimentare
2
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Reparto Controllo Alimenti
Key words: Pseudomonas fluorescens, Ribotipizzazione
SUMMARY
Pseudomonas fluorescens is a non-pathogenic bacteria that
is involved in food contaminations, especially in refrigerated
products
This microrganism caused a series of complaints from
consumers in Italy for mozzarella cheese imported from
Germany and product in Italy too, developed a blue tint after
opening. In order to track contamination back to its source,
in the present work it was used automated Ribotyping that
allowed to establish the unequivocal relationships between
Italian and German bacterial strains.
segnala inoltre che il microrganismo è stato isolato anche da
prodotti non alterati nella colorazione. Questi dati costituiscono
un elemento a favore dell’ipotesi di una possibile correlazione
tra specifici ceppi batterici e capacità di induzione di alterazioni
cromatiche.
Su questa base obiettivo del presente lavoro è stata la
caratterizzazione molecolare dei ceppi isolati, al fine di valutare
l’eventuale presenza di sottopopolazioni caratterizzate da
un diverso pattern genetico. Grazie alla attività congiunta
dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e
dell’Emilia Romagna con l’IZS del Piemonte, Liguria e Valle
d’Aosta, è stato avviato il processo di caratterizzazione
molecolare dei ceppi di Pseudomonas fluorescens isolati
dagli IZZSS, basata su 2 metodiche: la ribotipizzazione (2) e
l’elettroforesi in campo pulsato (PFGE).
Scopo del presente lavoro è stato di evidenziare possibili cluster
potenzialmente correlabili agli episodi di colorazione anomala.
Tali informazioni, in futuro messe in confronto con quelle che
emergeranno dall’impiego di altri metodi di caratterizzazione,
quali PFGE e sequenziamento, consentiranno di stabilire la
reale capacità discriminatoria della ribotipizzazione automatica
nei confronti di Pseudomonas fluorescens.
INTRODUZIONE
Le prime segnalazioni sopraggiunte alle autorità pubbliche in
merito alla presenza di mozzarelle con colorazioni anomale
acquistate presso una nota catena di supermercati discount
furono lanciate nel giugno 2010 da privati cittadini residenti a
Torino e Trento. All’apertura delle confezioni i prodotti alimentari
manifestavano una variazione di colorazione dal bianco al blu.
E’ stata effettuata dai militari del NAS un sequestro di circa 70
mila confezioni seguito da un’apertura di un inchiesta da parte
della procura di Torino. Le mozzarelle provenivano da uno
stabilimento industriale tedesco dell’Alta Baviera. Le analisi,
effettuate presso gli Istituti Zooprofilattici del Nord Italia, hanno
permesso di identificare l’agente microbiologico contaminante
quale Pseudomonasf fluorescens (Ps. fluorescens). Tale
contaminazione è stata registrata in mozzarelle sia prodotte
in Germania ed importate in Italia, sia prodotte in Italia con
materie prime (latte e semi-lavorati) sempre provenienti da
Germania ed Italia.
La presenza di Ps. fluorescens potrebbe essere legata
alla sua natura ubiquitaria, in quanto batterio largamente
diffuso in natura, in particolare nel suolo, nelle acque
superficiali e nella vegetazione, grazie alla sua capacità di
adattamento a variazioni ambientali. A differenza di altre
specie della medesima famiglia (Ps. aeruginosa e Ps. mallei)
occasionalmente patogene per l’uomo, questo microrganismo
non presenta rischio d’infezione, eccetto in soggetti debilitati o
immuno-depressi. Non esistono segnalazioni di trasmissione
per via alimentare. La sua importanza nel settore alimentare
è legata alla capacità, quale microorganismo psicrotrofo, di
indurre processi alterativi di alimenti refrigerati,provocando
quindi ingenti danni economici. Ps. fluorescens produce infatti
una molecola verde-fluorescente denominata pioverdina, in
risposta alla carenza di ferro, in grado di modificare in modo
permanente il normale aspetto dell’alimento. Inoltre, molti
ceppi di questa specie presentano una certa resistenza ai
comuni prodotti per la pulizia e disinfezione dei locali e delle
attrezzature, pertanto possono formare un biofilm di difficile
eradicazione, che può rappresentare una continua fonte di
contaminazione secondaria.
Le analisi microbiologiche effettuate sui primi campioni
pervenuti presso gli Istituti Zooprofilattici di Torino, Venezia e
Brescia , hanno confermato la presenza di Ps. Fluorescens ad
alte concentrazioni nelle mozzarelle di colore azzurro – blu. Si
MATERIALI E METODI
Nel periodo dal 16 Luglio 2010 al 19 Agosto 2010 sono
stati conferiti all’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Lombardia e dell’Emilia Romagna 55 ceppi di Pseudomonas.
fluorescens, isolati dai primi casi riscontrati nel Nord Italia,
a partire da mozzarelle sia apparentemente normali che
caratterizzate da alterazioni nella colorazione e prodotte sia
in Italia che in Germania. Tutti i ceppi sono stati sottoposti a
ribotipizzazione automatica tramite RiboPrinter Du Pont, di
Qualicon Ltd. Q (1). Oltre all’identificazione è stata eseguita
la caratterizzazione batterica attraverso il confronto di pattern
ottenuti tramite digestione enzimatica del frammento genico
16s rRNA. e L’assegnazione ai diversi ribogruppi viene
subordinata ad una valutazione automatica di similarità pari
almeno al 95%. La sospensione batterica in buffer è stata
inattivata termicamente e successivamente sottoposta a
digestione enzimatica, corsa elettroforetica ed ibridazione
su membrana con una sonda specifica. Il segnale emesso,
catturato da una macchina fotografica è stato rielaborato
automaticamente dal software dello strumento in un report.
Per la prova è stato utilizzato l’enzima di restrizione EcoRI,
in accordo alle indicazioni del produttore. I risultati ottenuti
sono stati elaborati mediante software Bionumerics 6.0 per la
realizzazione di alberi filogenetici.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Come si evince dal dendrogramma di seguito riportato (fig.1)
la maggior parte dei campioni esaminati sono caratterizzati
da una forte omologia genetica e vengono raggruppati nel
cluster identificato come gruppo 1, all’interno del quale i
campioni presentano una distanza genetica non superiore al
2%. Sono compresi in questo ceppi provenienti da campioni di
197
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
mozzarella prodotti in Germania, sia provenienti direttamente
dalla Germania sia prelevati in discount italiani. Sono inoltre
compresi in questo gruppo 10 campioni isolati da mozzarelle
prodotte in Italia, per le quali non è stato possibile stabilire
l’acquisizione di materia prima dalla Germania. Nel gruppo 1
sono compresi tutti i ceppi isolati da mozzarelle caratterizzate
da alterazione cromatica. Nel gruppo 1 sono compresi tutti
i ceppi appartenenti al ribogruppo 1438-S-1. Il gruppo 2
comprende due cluster caratterizzati rispettivamente da una
distanza genetica variante dal 20 al 32-34% e comprende
campioni di origine nazionale appartenenti ai ribogruppi 1442S-2 ed 1442-S-3. Una maggiore distanza genetica è presente
invece nei ceppi appartenenti al gruppo 3 (circa 50%),
comprendente campioni provenienti dalla Germania, anche se
da uno stabilimenti diverso da quello di provenienza dei ceppi
appartenenti al gruppo 1.
La percentuale di campioni analizzati appartenenti ai differenti
gruppi viene riportata nella tabella 1:
N°
Valore %
6
11
43
78
Ribogruppo 1457
(gruppo 3)
3
5.5
Altri
Totale
3
55
5.5
100
Ribogruppo 1442
(gruppo 2)
Ribogruppo
(gruppo 1)
1438
Tabella 1
Fig. 1
I dati ottenuti consentono di evidenziare la capacità
discriminatoria della ribotipizzazione automatica nei confronti
di Pseudomonas fluorescens. I risultati suggeriscono come
tutti i ceppi isolati da mozzarelle caratterizzate da colorazione
anomala ed esaminati nel presente lavoro siano da correlare a
ceppi geneticamente molto simili di Pseudomonas fluorescens
mentre i ceppi isolati da prodotti apparentemente conformi
risultano geneticamente distanti da quelli coinvolti nell’episodio.
E’ opportuno tuttavia sottolineare come la reale significatività di
questi dati sia subordinata alla necessità di caratterizzazione
di altri ceppi isolati in corso di ulteriori episodi
Tali dati devono inoltre necessariamente essere messi a
confronto con quelli che deriveranno dall’impiego di altre
tecniche di caratterizzazione molecolare quali PFGE ed il
sequenziamento.
Nell’ambito di indagini finalizzate alla correlazione tra ceppo
batterico e espressione di una specifica capacità metabolica
risulta infatti di fondamentale importanza identificare la tipologia
di tecnica in grado di mettere in evidenza quelle differenze
genotipiche direttamente correlabili all’ espressione d i definite
caratteristiche fenotipiche .
Le informazioni preliminari fino ad ora a disposizione non
permettono di affermare quale sia stato il punto d’origine della
contaminazione ma, grazie allo studio dei ribogruppi, e quindi
delle diversità genetiche presenti in una stessa specie, è stato
possibile segnalare la presenza di diversi cluster coinvolti in
queste contaminazioni. Il metodo applicato quindi ha permesso
di effettuare una prima discriminazione genetica, che potrebbe
già essere utile per fare degli studi di diffusione del batterio in
diverse aree geografiche.
1
BIBLIOGRAFIA
1) De Cesare A., Manfreda G. 2005. Impiego del riboprinter
per la caratterizzazione molecolare rapida dei batteri.
2) Viedmann M., Weilmeier D., Dineen S., Ralyea R., Boor
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of Pseudomonas spp. Isolated from milk. Applied and
environmental microbiology, 2085-2095
A tale scopo risulta. di fondamentale importanza l’utilizzo
di tecniche di tipizzazione molecolare innovative, come la
Ribotipizzazione, che permette, attraverso il confronto dei
profili di ribotipizzazione, di discriminare le differenze tra ceppi
batterici anche appartenenti alla stessa specie.
198
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
CARATTERISTICHE GENOTIPICHE DIFFERENTI IN CEPPI DI STAPHYLOCOCCUS AUREUS ISOLATI DA
LATTE BOVINO PROVENIENTE DA DIVERSI ALLEVAMENTI NEL CENTRO ITALIA
Coppola G., Casagrande Proietti P., Bietta A., Passamonti F., Marenzoni ML., Coletti M.
Sezione di Scienze Sperimentali e Biotecnologie Applicate, Dipartimento di Patologia Diagnostica e Clinica Veterinaria,
Facoltà di Medicina Veterinaria, Perugia
Key words: S. aureus, Enterotoxins, PCR.
ABSTRACT
The aim of the study was to evaluate the genotypic characteristics of
Staphylococcus aureus isolates (n=170) from bovine milk collected
from seven dairy farms in Italy. To genotypically characterize S.
aureus isolates, genes encoding virulence determinants (nuc, clfA,
spa-IgG-binding, spa-X-region, fnbA and fnbB, cap5 and cap8) and
staphylococcal enterotoxins (sea, seb, sec, sed, see, seg, seh, sei,
sej) were investigated using PCR technique. The results showed
that the isolates of S. aureus in each farm have the same genotypic
characteristics, while the isolates genotipically differ between the
different farms.
1x (Invitrogen), e fotografati, sotto luce ultravioletta utilizzando il
sistema DigiDoc system photograph (Celbio).
RISULTATI
Tutti gli isolati sono stati identificati (API 20 STAPH) come S. aureus
e sono risultati positivi per la ricerca della subunità 16S specifica
per S. aureus. In riferimento ai geni cfl e nuc, questi sono stati
rilevati rispettivamente nel 82% e nel 100% degli isolati. L’88% dei
ceppi è risultato positivo per la ricerca del gene spa IgG-binding,
per il quale è stato possibile distinguere due polimorfismi; nel
47% degli amplificati è stata ottenuta una banda di amplificazione
di 970pb, nel 41% una banda di 810 pb. Il gene spa X region è
stato messo in evidenza in tutti gli isolati, ottenendo una banda di
amplificazione di 253 pb, a differenza di altri ricercatori che hanno
riscontrato un alto polimorfismo per questo gene (6,8). Per quanto
concerne la ricerca delle fibronectine; nel 71% degli isolati è stato
possibile svelare la presenza contemporanea dei geni fnbA e fnbB;
l’11,7% e il 5.8% dei casi invece esprimevano rispettivamente solo
il gene fnbB e solo il gene fnbA. Nell’82% dei ceppi studiati è stato
possibile riscontrare il gene cap5 mentre in nessuno il gene cap8.
Per quanto riguarda le enterotossine stafilococciche in nessuno dei
ceppi di Staphylococcus aureus indagati sono stati riconosciuti geni
che codificano per la produzione di ES di classe b, c, e, g, h, i. Nel
71% è stata rilevata la presenza contemporanea dei geni sed e sej,
mentre il gene sea è stato ottenuto nell’88% degli isolati. In tabella
1 (Tab. 1) abbiamo preferito illustrare solamente i geni che hanno
mostrato una differente distribuzioni tra i diversi allevamenti.
INTRODUZIONE
La mastite è il problema sanitario per eccellenza dell’allevamento
della vacca da latte, in parte a motivo delle ripercussioni economiche
subite dall’allevatore ed in parte legate alla ripercussione della
problematica in Sanita Pubblica. In tutto il mondo Staphylococcus
aureus è l’agente eziologico maggiormente isolato dal secreto
mammario delle bovine da latte, inoltre è ritenuto il responsabile
approssimativamente del 30-40% di tutti i casi di mastite
in questa specie animale (1). La sua patogenicita dipende
dall’azione combinata di oltre 40 tossine extracellulari differenti,
enzimi e proteine superficiali, che da sole o in associazione tra
loro determinano il quadro morboso. Alcuni ceppi sono in grado
di secernere un particolare gruppo di esotossine chiamate,
Enterotossine Stafilococciche (ES), resistenti al calore e alle
proteasi gastrointestinali (2). L’obbiettivo di questo studio è quello
di evidenziare, se presenti, le differenze tra ceppi di S. aureus
isolati da campioni di latte provenienti da aziende diverse, sulla
base dei fattori di virulenza espressi.
DISCUSSIONE
In questo lavoro le caratteristiche genetiche dei ceppi studiati sono
risultate molto simili tra gli isolati provenienti dallo stesso allevamento
e particolarmente dissimili tra quelli isolati in allevamenti diversi,
confermando i dati riportati in bibliografia (6). Le fibronectine A e B
ed il clumping factor, sono considerati importanti fattori di virulenza
dello Staphylococcus aureus, giocando un ruolo fondamentale
nella patogenesi della mastite bovina; tali fattori, insieme ad altri,
sembra che contribuiscano all’adesione, alla colonizzazione e
all’invasione della tessuto mammario da parte del batterio. Nella
nostra indagine l’82% degli isolati sono risultati positivi alla ricerca
del gene clfA in accordo con quanto osservato precedentemente
da altri ricercatori (6,8,9). I geni fnbA e fnbB sono stati osservati in
altissime percentuali, rispettivamente nel 76.% e 82.% dei casi,
e contemporaneamente nel 71% degli isolati (3,8). In riferimento
ai geni spa X region e spa IgG-binding essi sono stati riscontrati
rispettivamente nel 100% e nell’88% degli isolati. L’82% dei ceppi
appartengono al sierotipo capsulare 5, poco presente in Europa,
ma contemporaneamente il piu segnalato in Indonesia e in Francia
(4). Le enterotossine prodotte da S. aureus sono costituite da
singole catene proteiche di 23-29-kDa. Queste tossine esprimono
anche proprietà immunomodulatrici trasportate molto spesso
da elementi mobili del genoma batterico, facilmente trasferibili
orizzontalmente tra popolazioni batteriche differenti (2,4). In questo
studio 150 ceppi erano in grado di produrre l’ESa, che tra le ES è
la maggiore responsabile di intossicazioni alimentari nella specie
umana. Il gene sea, non è stato tuttavia segnalato in molti studi
(9,10); questa discordanza nei dati potrebbe essere ricondotta
MATERIALI E METODI
Sono stati selezionati 170 ceppi di S. aureus isolati da campioni
di latte bovino, provenienti da 7 diverse aziende nel Centro Italia.
L’identificazione di S. aureus è stata eseguita: secondo le linee
guida proposte da National Mastitis Council; e da test biochimici
complementari mediante API 20 STAPH (BioMérieux) e per
la lettura dei risultati è stato utilizzato il Software APILAB Plus
(Versione 3.3, BioMérieux). Il DNA genomico dei ceppi di S. aureus
è stato estratto utilizzando il Kit Charge Switch gDNA Mini Bacteria
(Innvitrogen). In tutti gli isolati è stato valutato il gene 16S, gene
specifico per Staphylococcus spp.. I fattori di virulenza ricercati
sono stati: il fattore di adesione (clfA), la termonucleasi (nuc), la
regione che lega l’IgG e la regione “X” della proteina A (spa X
region), le proteine di superficie A e B (fnbA, fnbB), le proteine
capsulari tipo 5 e 8 (cap5, cap8), e le enterotossine sea, seb,
sec, sed, see, seg, seh, sei, sej. Per la reazione di PCR la mix di
reazione (30μl) includeva 2.5μl di DNA, 10X PCR buffer, 1.5mM
di MgCl2, 200μM di dNTPs, 0.2 μM di ogni primer (Invitrogen) e
1.5U Taq DNA polimerasi (Invitrogen). I primers e le condizioni
di PCR utilizzate in questo lavoro sono ampiamente descritte
in bibliografia (6,8) e sono state modificate secondo le nostre
esigenze. Per l’amplificazione è stato utilizzato il termociclatore
GeneAmp PCR System 2400 (Applied-Biosystems). I prodotti di
PCR sono stati separati in gel di agarosio (1-2%) contenente 1 mg
di GelRed (Sichim) in tampone TAE per l’elettroforesi, concentrato
199
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
alla particolare caratteristica del gene sea di essere trasportato
da una famiglia di batteriofagi temperati (7) la cui distribuzione
geografica non è uniforme. In riferimento all’associazione tra
sed e sej, evidenziati contemporaneamente nel 70,5% dei ceppi
valutati nel nostro studio, sono localizzati sul plasmide pIB485
e sono separati da una regione intergenica di poco inferiore a 1
KB. Così come segnalato da Fournier e collaboratori nel 2008
(5) esiste una stretta relazione tra i geni sea, sed e sej riscontrati
contemporaneamente nel 70,5% dei ceppi di S. aureus valutati
in questo studio. L’ESh, mai osservata nei ceppi studiati, è stata
riconosciuta essere il superantigene stafilococcico con la maggiore
affinità per il Complesso Maggiore di Istocompatibilità di Classe II.
Diversi studi condotti sulla prevalenza, nel latte bovino, di ceppi
enterotossigenici hanno dato risultati fortemente discordanti
tra loro; questo aspetto potrebbe essere spiegato in parte dalla
diversa prevalenza di questi ceppi in aree geografiche differenti ed
in parte a motivo sella molteplici tecniche utilizzate per determinare
la presenza di stafilococchi enterotossigenici. Sebbene le pratiche
abituali di pastorizzazione e refrigerazione siano correttamente
ed ampiamente adottate, esiste sempre la possibilità di ritrovare
queste tossine nei prodotti alimentari. Al momento non e del tutto
chiaro il preciso ruolo delle enterotossine prodotte da S. aureus
isolato da campioni di latte bovino nella patogenesi della mastite,
comunque l’alta frequenza di ceppi enterotossigenici isolati nel
nostro studio, come in altri, impone una corretta valutazione del
rischio a cui va incontro l’uomo in qualità di consumatore di alimenti
di origine animale.
Fig. 1 Distribuzione geografica degli allevamenti (Copyrigh
google map).
Tab. 1: Confronto genotipico tra ceppi di S. aureus isolato da latte bovino proveniente da aziende diverse del Centro Italia.
Farm
[No. of
isolates]
spa-region
clfA
(1042)
(970)
A [40]
40
40
B [30]
30
C [30]
30
D [20]
E [20]
F [20]
20
20
G [10]
TOTAL
20
20
140
80
ES
fnbA
fnbB
(1279)
(812)
40
40
40
40
40
40
40
30
30
30
30
30
30
30
30
30
30
30
30
30
30
30
30
-
20
20
20
20
20
20
20
20
20
-
20
-
IgG binding
(810)
2.
3.
4.
5.
cap5
(880)
a
(216)
d
(317)
j
(142)
10
10
-
-
-
10
-
-
70
130
140
120
140
150
120
120
6.
Kalorey D.R., Shanmugam Y., Kurkure N.V., Chousalkar K.K, and
Barbuddhe S.B. 2007. PCR-based detection of genes encoding
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Ve.t Sci. 85: 439-448.
200
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ALLEVAMENTI SUINICOLI DELLA PROVINCIA DI CUNEO: INDAGINI DIAGNOSTICHE IN ANIMALI CON
SINTOMATOLOGIA NERVOSA
Corbellini D.1, Careddu M.E.1, Pautasso A.1, Sona B.2, Corona C.1, Varello K.1, Pintore M.D.1, Trisorio S.1, Acutis P.L.1,
Casalone C.1, Caramelli M.1, Iulini B.1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, via Bologna 148 - 10154 Torino;
2
ASL CN1 Servizio Veterinario SC Sanità Animale
Key words: suino, infezione, SNC
SUMMARY
Swine infectious diseases, that may affect the CNS, represent
an important clinical problem which may be accompanied by
significant high mortality in young pigs and are responsible for huge
economic losses. The aim of the present work was to determine
the diffusion of the most relevant pathogens on CNS samples of
piglets coming from the province of Cuneo. The diagnosis was
performed on the basis of the characteristics of the macroscopical
lesions detected, bacterial culture examination, biochemical
characterization of isolates and molecular methods.
(PRRSV) responsabile di patologie respiratorie e riproduttive.
Diversi fattori possono influire sulla gravità della malattia quali la
virulenza del ceppo, la presenza di infezioni secondarie (virali e
batteriche), l’età, il sesso, la predisposizione genetica del soggetto
e fattori ambientali. I maiali possono infettarsi attraverso numerose
vie: intranasale, orale, vaginale, parenterale, verticale e mediante
il contatto diretto tra animali infetti e fluidi contaminati. L’infezione
primaria avviene principalmente all’interno dei macrofagi alveolari,
dove il virus si replica, poi si estende al tessuto linfonodale
e successivamente si diffonde in tutto l’organismo come
conseguenza della viremia. La malattia si manifesta generalmente
con sintomi respiratori, cianosi a livello delle estremità, vasculite,
miocardite, encefalite linfocitaria, aborti, mortalità neonatale.
PCV2
La Sindrome del Deperimento Progressivo Post Svezzamento
(PMWS) del suino è una malattia cosmopolita ad eziologia
multifattoriale sostenuta dal porcine circovirus type 2 (PCV2),
un virus a DNA responsabile anche di altre forme patologiche
attualmente denominate PCV2 diseases complex. La malattia,
generalmente, viene contratta da suini di età compresa tra
le 5 e le 12 settimane di vita; le manifestazioni cliniche di più
frequente riscontro sono deperimento, malessere, dispnea,
linfoadenomegalia superficiale e meno frequentemente pallore,
diarrea ed ittero.
INTRODUZIONE
Le malattie infettive che possono determinare alterazioni a carico
del Sistema Nervoso Centrale (SNC) sono patologie multifattoriali
caratterizzate da quadri clinici polimorfi, in grado di provocare
mortalità elevata e di influenzare la produttività dell’allevamento.
Le prime settimane di vita del suino rappresentano, da questo
punto di vista, una delle fasi più delicate e complesse nelle quali si
verificano drastici cambiamenti fisiologici e morfologici che possono
influenzare negativamente il benessere e la salute degli animali.
Un sistema immunitario immaturo in presenza di fattori scatenanti,
quali condizioni ambientali sfavorevoli e stress, rendono l’animale
più suscettibile ai diversi agenti microbici favorendo la comparsa
di sintomatologia clinica.
Streptococcus suis
S.suis è un batterio Gram positivo che colonizza il tratto respiratorio
superiore, in particolare le cavità nasali e le tonsille, i tratti genitali
e gastro-intestinali dei suini. L’infezione può interessare animali di
tutte le età, ma prevalentemente soggetti giovani fra le 6 e le 10
settimane di vita. Può causare meningite, endocardite, polmonite,
artrite e shock tossico, setticemia e morte nelle forme acute.
S.suis può occasionalmente infettare altre specie animali e
l’uomo. La trasmissione all’uomo avviene in genere per via
cutanea, attraverso tagli e abrasioni, e forse per via inalatoria,
quando vengono manipolati animali o prodotti infetti. Il sierotipo
2 è più frequentemente isolato e associato a patologia nel suino
e nell’uomo.
Escherichia coli
E.coli rappresenta un batterio comunemente presente nella
flora intestinale di molte specie animali; può assumere un ruolo
patogeno in relazione a particolari condizioni predisponenti
dell’ospite oppure alla presenza di caratteristiche virulente dei
ceppi batterici.
Nei suini può causare colibacillosi enterica, setticemie emorragiche
e la malattia degli edemi. Quest’ultima, più frequente nei soggetti
in fase post-svezzamento, si manifesta con la comparsa di eritemi
cutanei, edemi sottocutanei in particolare a naso, orecchie,
palpebre, laringe e disturbi neurologici come atassia, convulsioni,
paralisi.
PRRSV
La Sindrome Riproduttiva Respiratoria Suina (PRRS) è una
malattia causata da un virus ad RNA della Famiglia Arteriviridae
Lo scopo di questa indagine è stato quello di valutare la presenza
di agenti batterici e virali in SNC di suini, con sintomatologia
nervosa, ed effettuare uno studio approfondito sulle lesioni
neuropatologiche presenti.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra luglio 2008 e luglio 2010 sono state
esaminate le carcasse di 36 suini deceduti, con sintomatologia
nervosa, e provenienti da 13 aziende della provincia di Cuneo.
Degli animali in questione sono stati prelevati campioni di SNC e
sono state raccolte informazioni riguardanti l’anamnesi di ciascun
soggetto. L’età dei suini variava in un range compreso tra i 25 e i
150 giorni.
Il materiale raccolto è stato in parte fissato in formalina al 10%
per l’esame neuropatologico (colorazione ematossilina-eosina) e
in parte congelato per ricerche di tipo microbiologico e di biologia
molecolare.
L’isolamento e l’identificazione di S.suis e di E.coli sono stati
eseguiti mediante l’utilizzo di terreni di coltura selettivi e non e
tramite l’identificazione biochimica dei ceppi isolati.
Per confermare la presenza di S.suis sono state utilizzate anche
metodiche di immunoistochimica (IHC), di immunofluorescenza
(IF) e di ibridazione in situ (FISH). Per l’esecuzione dell’IHC
e dell’IF è stato utilizzato un anticorpo policlonale specifico per
S.suis sierotipo 2 (State Serum Institute, Copenhagen, Denmark),
mentre per la FISH è stata utilizzata una sonda oligonucleotidica
complementare ad una sequenza dell’RNA ribosomiale 16S del
batterio.
201
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
dell’ibridazione in situ (1) è da ricondurre principalmente
all’autofluorescenza del tessuto, alla bassa carica batterica
rilevata in alcuni campioni e ai processi degradativi che avvengono
durante la conservazione del materiale a causa del rilascio di
enzimi cellulari.
Negli allevamenti monitorati E.coli è stato riscontrato in pochi
animali e nella maggior parte dei casi in concomitanza con
l’infezione virale determinata da PRRSV.
Le aziende esaminate hanno evidenziato una buona situazione
epidemiologica per quanto riguarda la diffusione di PCV2: nei
campioni tissutali studiati è stato rinvenuto DNA virale in un solo
animale. Data la notevole diffusione di questa patologia negli
allevamenti suinicoli (2) il ridotto numero di casi riscontrati nel nostro
studio potrebbe essere dovuto al fatto che i suini contraggono
l’infezione e la relativa malattia ad un’età più avanzata.
Per quanto concerne la PRRS, i risultati ottenuti non si discostano
da quanto rilevato da altri autori che hanno sottolineato la
correlazione tra la diffusione di questa patologia e l’età degli
animali coinvolti (3). Anche negli allevamenti cuneesi gli animali
colpiti da questa infezione sono tutti soggetti giovani con un’età
compresa tra i 25 e i 100 giorni. L’allontanamento dalla madre, il
cambiamento di ambiente e di gruppo, la perdita degli anticorpi
materni comportano una maggiore suscettibilità degli animali
nei confronti dell’infezione e rendono la fase dello svezzamento
un momento critico fondamentale per l’insorgenza di questa
sindrome.
Inoltre la PRRS, influenzando negativamente il sistema immunitario
dell’ospite, favorisce l’insorgenza di malattie infettive secondarie;
infatti 6 casi sui 9 rilevati sono risultati essere delle coinfezioni.
S.suis (4) ed E.coli provocano principalmente lesioni
neuropatologiche di tipo suppurativo, mentre PRRSV determina
meningo-encefaliti di tipo non suppurativo.
La gravità delle lesioni può dipendere dalla carica batterica e virale
presente e, pertanto, è interessante notare come nelle coinfezioni
non siano presenti lesioni “miste” ma a livello istopatologico ci sia
la predominanza di una componente rispetto all’altra.
Quasi la metà dei campioni esaminati sono risultati negativi
all’indagine batteriologica e virologica e soltanto in 3 casi gli
animali non hanno mostrato lesioni neuropatologiche; questo dato
pone l’attenzione sulla necessità di approfondire le analisi e di
estendere la ricerca anche ad altri agenti patogeni.
In conclusione da questa indagine emerge l’importanza di
identificare i patogeni presenti nelle diverse fasi di allevamento,
al fine di elaborare misure preventive, controlli ed interventi di
profilassi e garantire la tutela del benessere animale e della salute
umana.
La ricerca di PCV2 e di PRRSV è stata effettuata mediante
metodiche di PCR con lo scopo di evidenziare la presenza degli
acidi nucleici virali nel tessuto nervoso degli animali in oggetto.
RISULTATI
Dei 36 soggetti studiati 18 (50%) sono risultati positivi all’indagine
colturale.
L’esame batteriologico ha permesso l’isolamento di S.suis in 13
soggetti (36%) appartenenti a 6 aziende: di questi, 8 casi sono stati
confermati con la metodica di IHC. L’IF e l’ibridazione in situ sono
state utilizzate per confermare la presenza degli streptococchi
e hanno mostrato una sensibilità minore rispetto alle metodiche
tradizionali utilizzate per l’isolamento (esame colturale e IHC).
E.coli è stato identificato in 5 soggetti (14%) appartenenti a 6
aziende differenti.
Un solo animale (3%) è risultato positivo alla ricerca di PCV2 in
PCR, mentre in 9 soggetti (25%), appartenenti a 7 aziende, è
stato riscontrato il virus responsabile della PRRS.
Quindici suini (42%) sono, invece, risultati negativi a tutte le analisi
condotte in questa indagine.
In 7 soggetti, sui 36 studiati, è stata riscontrata la coinfezione tra i
diversi agenti patogeni rilevati: PRRSV e S.suis in 3 casi, PRRSV
e E.coli in 4 casi, PCV2 e S.suis in 1 caso.
Nella Tabella 1 sono riportati i risultati ottenuti all’esame
neuropatologico.
Lesioni neuropatologiche
Agente eziologico isolato
Tabella 1
M.E
M.E
No
Mista LNS
supp. non supp.
lesioni
S.suis
5
2
-
-
2
E.coli
1
-
1
-
-
PCV2
-
-
-
-
-
PRRSV
-
1
1
-
1
PRRSV-S.suis
1
1
-
-
1
PRRSV-E.coli
1
-
2
-
PCV2-S.suis
-
1
-
-
-
AGNR
3
4
2
3
3
Legenda
M.E. supp.: Meningo - Encefalite suppurativa
M.E. non supp.: Meningo - Encefalite non suppurativa
Mista: meningo-encefalite con presenza di linfociti e di
neutrofili
LNS: Lesioni Non Significative
No lesioni: assenza di lesioni
AGNR: Agente Eziologico Non Rilevato
BIBLIOGRAFIA
1 Boye M., Feenstra A. A., Tegtmeier C., Andresen L.
O., Rasmussen S. R., Bille-Hansen V. (2000). Detection
of Streptococcus suis by in situ hybridization, indirect
immunofluorescence and peroxidase-anti peroxidase assays in
formalin-fixed, paraffin-embedded tissue sections from pigs. J
Vet Diagn Invest, 12: 224 - 232.
DISCUSSIONE
Il presente lavoro ha permesso di monitorare l’insorgenza
e la diffusione delle principali patologie infettive a carattere
neurologico e ad elevato impatto economico in aziende suinicole
del cuneese.
L’infezione da S.suis si colloca tra le zoonosi di origine professionale
in quanto responsabile di malattie infettive trasmesse dagli animali
all’uomo che possono comportare rischi concreti per la salute dei
lavoratori di questo settore.
I risultati conseguiti in questa ricerca hanno permesso di
evidenziare l’elevata diffusione di questa infezione e suggeriscono
la necessità di ulteriori studi sul ruolo esercitato da questo batterio
e sui fattori predisponenti nel determinismo della malattia.
La minore sensibilità diagnostica dell’IF ed, in particolare,
2 Chae C. (2005). A review of porcine circovirus 2-associated
syndromes and diseases. The Veterinary Journal, 169: 326 - 336.
3 Vezzoli F., Boldetti C., Gualdi V., Luini M., Botti S. (2005).
Dinamica dell’infezione da PRRSV in allevamenti suini da
riproduzione. Large Animals Review, 6: 17 - 21.
4 Zheng P., Zhao Y. X., Zhang A. D., Kang C., Chen H. C., Jin M.
L. (2009). Pathologic analysis of the brain from Streptococcus suis
type 2 experimentally infected pigs. Vet Pathol, 46: 531 - 535.
202
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
NOSEMIASI DELLE API MELLIFERE IN TOSCANA E LAZIO: IMPORTANZA DELLA CONSERVAZIONE DEI
CAMPIONI AI FINI DI UNA CORRETTA DIAGNOSI
Corrias F., Tellini I., Ragona G., Lombardo A., Dal Prà A., Taccori F., Formato G., Brajon G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
Key words: Apis mellifera, Nosema ceranae, diagnosis
ABSTRACT
Nosema spp. is a spore-forming, unicellular microsporidium.
This parasite invades the epithelial cells of the ventriculus
of adult bees affecting digestive functions which leads to an
important honeybee disease that has many negative effect on
production due to depopulation in the beehives. Nosemosis
diagnosis has been traditionally realized by detecting
spores of Nosema spp trough light microscopical analyses.
However, recent findings of two causative pathogens of adult
bees (Nosema apis and ceranae) that present similar spore
morphology but have similar life cycles, lead to develop a PCR
assays as more sensitive methods to detect and identify both
microsporidians.
Authors describe correlation between light microscopical
analisys and PCR assays in sample collected in Tuscany
and Lazio during years 2008–2010.
positive per nosemiasi con le analisi biomolecolari delle stesse
ed approfondire le eventuali cause di discordanza dei risultati.
MATERIALI E METODI
La ricerca del parassita in api è stata condotta sia sulla base di
una sintomatologia nell’apiario ma anche a seguito di indagini
sanitarie. Sono stati presi in considerazione 332 campioni di
api pervenuti negli anni 2008-2010 da apiari della Toscana e
del Lazio e risultati positivi per nosemiasi dopo identificazione
microscopica delle spore (x400) secondo la metodica OIE (5).
Per valutare l’entità dell’infezione e intraprendere eventuali
azioni profilattiche sono state contate le spore/ape con camera
Burker-Turk (5). La matrice utilizzata per la microscopia
e conta (pestati di 20 addomi con uguale quantità di acqua
distillata Dnase/Rnase free) è stata sottoposta ad estrazione
di DNA utilizzando il QIAmp DNA mini Kit, in cui la Proteinasi
K è stata usata in combinazione con il lisozima. Il Dna estratto
è stato poi quantificato mediante lettura spettrofotometrica a
260-280 nm. Per la corretta identificazione di specie è stata
eseguita una prima amplificazione che permette di confermare
la presenza/assenza di Nosema spp con una coppia di primers
in grado di amplificare una regione conservata del gene che
codifica per la subunità ribosomiale 16S di Nosema apis e
Nosema ceranae (3):
NOS For: 5’-TGC CGA CGA TGT GAT ATG AG-3’
NOS Rev: 5’-CAC AGC ATC CAT TGA AAA CG-3’
La concentrazione finale dei componenti della miscela di
reazione per un singolo campione (volume finale 50 µl) è di
seguito riportata: 1X Buffer di reazione, 2,5 mM MgCl2, 0,2 mM
dNTPs, 0,5µM di ciascun primer, 1,25 U AmpliTaq Gold, 50200 ng di Dna estratto. Il profilo di amplificazione è di seguito
riassunto: denaturazione iniziale a 95°C per 10 minuti; 40 cicli
di amplificazione con denaturazione a 94°C per 30 secondi,
annealing a 55,5°C per 30 secondi, estensione finale a 72°C
per 10 minuti; conservazione a 4°C. Il prodotto di amplificazione
viene poi sottoposto a corsa elettroforetica su gel di agarosio
all’ 1.5% a 100 Volt per 45 minuti. Nella Fig.2 è possibile
visualizzare in ordine: il marcatore, cinque campioni in esame,
il controllo positivo e il controllo negativo. Una volta confermata
la presenza di Nosema si procede con l’identificazione di
specie mediante una digestione enzimatica (RFLP) (6), che ci
consente, in base ai profili di restrizione ottenuti, di determinare
se si tratta di Nosema apis o Nosema ceranae (Tab.1). La
digestione viene effettuata mediante l’utilizzo contemporaneo
di due coppie di enzimi di restrizione che, tagliando il nostro
amplificato in siti specifici determineranno la formazione di
frammenti caratteristici per l’una o l’altra specie (Fig.3).
INTRODUZIONE
In Italia, la predisposizione e la validazione di prove
di laboratorio per le malattie delle api ha assunto, in
questi ultimi anni, una notevole importanza, anche in
conseguenza della maggior attenzione che viene attribuita
a tali Imenotteri per il fondamentale ruolo che rivestono
nel tutelare l’equilibrio ambientale.
Nel presente contributo si vogliono illustrare delle
considerazioni sulla diagnosi della nosemiasi alla luce delle
attività diagnostiche realizzate tra il 2008 ed il 2010 dall’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
(IZSLT).
Il genere Nosema è collocato nella classe dei microsporidi,
funghi unicellulari, parassiti obbligati.
La diagnosi di nosemiasi su Apis mellifera viene effettuata
mediante microscopia ottica, oppure mediante PCR.
Fino a pochi anni fa era nota la sola presenza in Italia del Nosema
apis, responsabile sulle api di una forma gastro-enterica; tale
microrganismo, infatti, lede le cellule della mucosa intestinale
delle api, apportando un danno funzionale. Il sintomo principale
rinvenibile negli alveari interessati da tale malattia è la diarrea,
che si ripercuote con un calo di produttività per l’apiario, più
evidente nel periodo tardo invernale-primaverile.
Dal 2004 è stato appurato che un nuovo patogeno dellle api
aveva interessato la nostra ape mellifera: il Nosema ceranae,
che per caratteristiche morfologiche solo lievemente si discosta
dal Nosema apis, ritenuto fino allora l’unico agente patogeno
responsabile della nosemiasi delle api (3-4).
Nosema ceranae e Nosema apis, anche se possiedono simili
cicli vitali negli ospiti, differiscono nella sintomatologia che
inducono nelle api e nella morfologia delle spore: di forma
ovoidale le prime, appaiono ridotte in dimensioni rispetto alle
seconde, 4x2 µm e 6x3 µm (1,2).
Da alcuni autori il Nosema ceranae è stato chiamato in causa
per spiegare i fenomeni di spopolamento e morte di alveari
che stanno interessando le api in diversi paesi del mondo negli
ultimi anni. In questo lavoro abbiamo voluto correlare gli esiti
di campioni di api analizzate al microscopio ottico e risultate
RISULTATI E DISCUSSIONE
Tutti i campioni positivi alla PCR erano di Nosema ceranae;
Nosema apis non è mai stato diagnosticato. Le positività
microscopiche hanno evidenziato un numero di spore/ape
variabile tra un minimo di 5x104 ed un massimo di 14x106,
evidenziando diverse situazioni di gravità della malattia/
infezione tra gli apiari. 239 campioni sono stati confermati
in PCR e le spore morfologicamente riferibili appartenere a
203
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tab.1: Profili di restrizione
Nosema spp. all’osservazione microscopica, solo nel 72% dei
casi si sono rivelate tali dopo analisi molecolare.
La prima considerazione da fare riguarda un aspetto
epidemiologico che trova conferma coi dati bibliografici che
indica una distribuzione quasi esclusiva di Nosema ceranae
sul territorio nazionale come patogeno delle api, rispetto a
Nosema apis.
In secondo luogo, in base alla nostra esperienza di laboratorio
riteniamo che le condizioni di conservazione del campione
originario possano influire sulla presenza di spore di altra
natura o anche sulla morfologia in termini di dimensioni
e rifrangenza. Questo andrebbe da un lato a rafforzare la
impossibilità di diagnosticare nosemiasi mediante la sola
indagine microscopica e spiegherebbe i falsi positivi ottenuti
alla microscopia ottica rispetto all’esame mediante PCR.
I campioni relativi alle analisi svolte nel 2009 risultavano
palesemente aver subito una cattiva conservazione, per la
presenza di muffe superficiali: la conseguente proliferazione di
spore di origine fungina ha prodotto dei falsi positivi all’esame
microscopico
Sulla base di queste osservazioni è possibile confermare
quanto già noto circa la necessità di procedere ad analisi
biomolecolari per la conferma ed identificazione della specie e
a garantire una corretta raccolta e conservazione del campione.
In presenza di preparati mal conservati o debolmente positivi,
l’analisi microscopica potrebbe essere inutile e laboriosa.
Specie di
Nosema
Coppie di Enzimi di
Restrizione
Profilo di Restrizione
N.apis
NdeI/MspI
91-136-175 bp
N.ceranae
PacI/MspI
104-116-177 bp
Fig.3: Gel di agarosio con profilo enzimatico per Nosema
ceranae (digestione con PacI/MspI).
(I,X : ladder 50 bp; II-VIII : campioni in esame; IX : controllo
positivo Nosema ceranae)
Fig.1: Spore morfologicamente diverse in microscopia ottica
(400X)
Riferimenti bibliografici
1. Fries I, Martin-Hernandez R, Meana A, GarciaPalencia P, Higes M. (2006) Natural infections of
Nosema ceranae in European honey bees. Journal of
Apicoltural Research 45: 230-233.
2. Fries I. (2010) Nosema ceranae in European
honey bees (Apis mellifera). Journal of Invertebrate
Pathology 103: S73-S79.
3. Higes M, Martin-Hernandez R, Meana A. (2006).
Nosema ceranae, a new microsporidian parasite
in honeybees in Europe. Journal of Invertebrate
Pathology 92:81-83.
4. Higes M, Martin-Hernandez R, Meana A. (2007).
Experimental infection of apis mellifera honeybees
with nosema ceranae (microsporidia). Journal of
Invertebrate Pathology 94(3): 211-217.
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6. Klee J, M. Besana A, Genersch E, Gisder S,
Nanetti A, Tam D.Q, Chinh T.X, Puerta F, Ruz J.M,
Kryger P, Message D, Hatjina F, Korpela S, Fries
I, Paxton R.J.(2007) Widespread dispersal of the
microsporidian Nosema ceranae, an emergent
pathogen of the western honey bee, Apis mellifera.
Journal of Invertebrate Pathology 96 (2007) 1–10
Fig.2: Gel di agarosio dei prodotti di amplificazione di un
protocollo Pcr per Nosema spp. (spiegazione nel testo).
204
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
MONITORAGGIO DELLA FAUNA SELVATICA NELLA PROVINCIA DI GENOVA
Cosma V. 1 , Scaffardi E. 1, Migone L. 1, Ferretti I. 1, Aristarchi C. 2, Tiso M. 1, Schiavetti I. 1
1: Istituto Zooprofilattico Sperimentale delPiemonte, Liguria, e Valle d’Aosta
2: Provincia di Genova – Settore faunistico
Keyword: monitoraggio, fauna selvatica, biomonitor
SUMMARY
In the Genova area the wildlife population and species has
increased during recent years. For these reasons the Istituto
Zooprofilattico Sperimentale and the Wildlife Office of the Province
of Genova for years have cooperated with a health monitoring
plan of game. The three year partnership project, launched in
2008, will entail health monitoring of wild ungulate (Boar, Roe
deer and Fallow deer) dwelling in the Genoa Province Territory.
The health monitoring plan of wild ungulates living on the territory
will be extremely useful, first of all because a more thorough
knowledge of diseases affecting these animals may help to
counter and keep in check any epidemic and prevent diseases
from spreading among domestic and wild species. Moreover,
providing hunters with the correct procedures to follow whenever
handling a slaughtered wild animal reduces the risk of transmitting
these diseases to humans as well.
Tab.2. Brucellosi nel cinghiale: positività alla PCR
TOTALE CAMPIONI
795
POSITIVI
32
Fig.1 . Linfonodo sentinella per la ricerca di TBC nel cinghiale.
INTRODUZIONE
Questo è un progetto che L’istituto Zooprofilattico Sperimentale
del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta porta avanti da un anno in
collaborazione con il Settore Faunistico della Provincia di Genova
e gli Ambiti territoriali di caccia, si propone il monitoraggio sanitario
degli ungulati selvatici che popolano la nostra provincia (cinghiali,
daini e caprioli); il monitoraggio si articolerà nei prossimi due anni
e ci permetterà di avere un quadro ben delineato sulla situazione
sanitaria della selvaggina cacciata.
MATERIALI E METODI
Il progetto ha avuto inizio con giornate di formazione ai cacciatori
delle due ATC provinciali coinvolte nella raccolta dei campioni; le
lezioni, tenute da Veterinari dell’IZS, hanno riguardato le principali
patologie della fauna selvatica, nonché le corrette modalità di
manipolazione delle carcasse. Al termine delle lezioni è stata
redatta una guida al prelievo dei campioni che è stata distribuita a
tutti i cacciatori. I campioni raccolti durante le battute consistevano
in una porzione della gola contenente i linfonodi retrofaringei e una
provetta di sangue di 1 capo di cinghiale abbattuto per squadra di
caccia. Il prelevatore compilava una scheda redatta da personale
dell’IZS in cui venivano indicati: località e data dell’abbattimento,
peso, sesso ed età del capo abbattuto. I campioni di linfonodi sono
stati sottoposti ad esame anatomo-patologico per la diagnosi
della TBC.
Per quanto riguarda il Capriolo è stato raccolto un campione di
sangue per la ricerca delle principali patologia che coinvolgono
questi ungulati: psueudotubercolosi, brucellosi, toxoplasmosi e
Blue Tongue.
RISULTATI E DISCUSSIONE
Il sangue dei caprioli testati è risultato negativo a tutte le patologie
ricercate.
Questa selvaggina viene anche studiata in relazione al loro ruolo
di “biomonitor” , per stimare il grado di possibile contaminazione
ambientale, per stimare il rischio dell’uomo all’esposizione di
sostanze cancerogene; arginare possibili epidemie ed evitare
la diffusione di malattie sia intra che interspecifiche tra specie
domestiche e selvatiche, tutelare la salute pubblica anche in
considerazione dell’aumentato consumo di carni di selvaggina
che si è riscontrato negli ultimi anni.
BIBLIOGRAFIA
1.
Tab.1. Tubercolosi nel cinghiale:sospetti e positività alla PCR
TOTALE
CAMPIONI
SOSPETTI
795
70
2.
POSITIVI
3.
40
205
Pedrotti L., Duprè E., Preantoni D., Tosi S., 2001 – Banca
dati Ungulati: status, distribuzione, consistenza, gestione,
prelievo venatorio e potenzialità delle popolazioni di
Ungulati in Italia. - Biologia e Conservazione della
Fauna Selvatica Vol. 109.
Marsan A., Spanò S., 1999 – Il Capriolo e il Daino in
Liguria. II ed. aggiornata. Regione Liguria, Genoa.
Marsan A., Schenone L., Spanò S., 2000 – Il Cinghiale
in Liguria. Regione Liguria, Genoa.
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
RICERCA DI VTEC (E. COLI 0157 ED E. COLI O26) NELLA FILIERA LATTIERO
CASEARIA PUGLIESE: DATI PRELIMINARI
Crisetti E.,Cataleta A., Azzarito L., Chiocco D., La Salandra G.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata, Foggia
Key words:. E. coli, VTEC, Real-time PCR
coli O157 (Sorbitol MacConkey Agar, Microbiol Diagnostici),
mentre per l’isolamento di E. coli O26 è stato utilizzato Cefixime
Tellurite MacConkey Agar contenente Ramnosio (RMAC-CT)
(Rhamnose MacConkey Agar, LAB M). Le colonie isolate sono
state ulteriormente caratterizzate per l’antigene somatico O157
e O26 e l’antigene flagellare H7 tramite Real-Time PCR (10).
La produzione delle VTs è stata verificata mediante multiplex
polymerase chain reaction (M-PCR) come descritto da Paton
& Paton (1998) (9) utilizzando specifiche coppie di primer per
la ricerca dei geni stx1,stx2 ed eae. I ceppi isolati sono stati
testati anche in Real Time PCR per i geni eae, stx1 e stx2
(10, 6). Come controllo positivo per la ricerca dei fattori di
virulenza e dell’antigene somatico O157, è stato utilizzato il
ceppo E.coli ATCC 43895. Come controllo positivo per E. coli
O26 è stato utilizzato il ceppo fornito dall’ EU RL per E. coli,
mentre come controllo negativo è stato utilizzato il ceppo E.
coli ATCC 25922.
Abstract
The presence of verocytotoxin-producing of Escherichia coli
(VTEC) in foods of animal origin is a public health problem. E.
coli VTEC are bacteria responsible for serious human illnesses,
such as hemorrhagic colitis and hemolytic uremic syndrome.
Little is known about the prevalence and characterization of
E. coli VTEC in food production chain. The aim of this work
is to provide preliminary data on E. coli VTEC strains isolated
from raw milk of different animal origin (bovine, ovine, goat and
buffalo), collected from local farms (Puglia).
Introduzione
Escherichia coli è un microrganismo saprofita dell’intestino
dell’uomo e degli animali, da sempre considerato indice di
contaminazione fecale. Nell’ambito di questa specie sono
presenti cloni patogeni, tra cui i ceppi enteroemorragici (EHEC),
il cui capostipite è rappresentato dal sierotipo O157:H7. I ceppi
EHEC capaci di sintetizzare le tossine di tipo shiga (shiga-like
toxin, o ST), dette anche verocitotossine (VTs), sono stati
denominati E. coli verocitotossici (VTEC) o E. coli produttori di
tossine Shiga-like (STEC).
L’ infezione da VTEC può dar luogo ad una vasta gamma di
patologie che variano da semplici forme gastroenteriche a
forme più gravi come la sindrome emolitico uremica (SEU) che
colpisce bambini ed anziani (2, 5). La patogenicità dei ceppi
VTEC è legata alla produzione di due citotossine, VT1 e VT2
codificate da geni batteriofagici stx1 e stx2. Oltre alla sintesi
di VTs, un altro fattore associato alla virulenza espresso dagli
stipiti VTEC è rappresentato da una proteina di membrana detta
intimina, codificata dal gene cromosomiale eae responsabile
dell’adesione alle cellule dell’epitelio intestinale (2). Il principale
“reservoir” di tali microrganismi è rappresentato dai ruminanti,
in particolare bovini. Le infezioni da VTEC sono trasmesse
all’uomo attraverso il consumo di alimenti contaminati (4, 5).
Negli ultimi anni sono stati riportati numerosi casi di infezione
umana da VTEC non-O157 (1, 3). Tra i sierogruppi non-O157
quelli maggiormente isolati sono gli stipiti VTEC O26 rispetto
ad altri sierogruppi (O103, O111 e O145) (5).
Questa indagine ha l’obiettivo di fornire un contributo sulla
diffusione di E.coli O157 e O26 nella filiera lattiero-casearia
pugliese.
Risultati e discussione
I risultati di questo lavoro riportati nella tabella 1 e 2 evidenziano
che, su 50 campioni di latte di massa di origine bovina (26), ovina
(14), caprina (8), e bufalina (2), i 2 campioni risultati positivi
(4%) per la ricerca di stipiti di E. coli produttori di verocitotossine
(VTEC), sierogruppi O157 e O26, sono entrambi di origine
bovina. I risultati confermano, come riportato in letteratura, che
il principale “reservoir” per tali microrganismi è il bovino (4, 5,
7). L’analisi M-PCR sui ceppi isolati ha evidenziato la presenza
dei geni stx2 ed eae, per la sintesi dei fattori di patogenicità
VT2 ed intimina, per il sierotipo E. coli O157:H7. Il sierotipo E.
coli O26, isolato da un secondo campione di latte di massa di
origine bovina (2%), ha evidenziato la presenza dei geni stx1,
stx2 ed eae per la sintesi di dei fattori di virulenza VT1, VT2
ed intimina.
Questi risultati sono stati confermati dall’analisi in Real-Time
PCR sia per l’individuazione dei geni sierogruppo-associati sia
per la ricerca dei geni eae, stx1 e stx2.
Le “foodborne diseases” causate da ceppi VTEC rappresentano
un importante problema di sanità pubblica. Nell’ambito delle
patologie di cui sono responsabili questi agenti patogeni le
infezioni da E. coli O26 sono sempre più frequentemente
diagnosticate in Europa ed in Italia. I dati epidemiologici, forniti
dalla letteratura non permettono però una esaustiva valutazione
del rischio alimentare, soprattutto nel settore lattiero-caseario
(5, 4).
Gli alimenti maggiormente incriminati sono rappresentati da
carni crude e poco cotte e latte non pastorizzato, soprattutto
di origine bovina (4, 7). La contaminazione avviene durante
la mungitura o nelle fasi di macellazione e lavorazione della
carcassa. La vendita diretta del latte crudo dal produttore
al consumatore, autorizzata ai sensi del regolamento CE
853/2004, sta destando negli ultimi anni una crescente
preoccupazione per l’aumento delle sindromi emolitico
uremiche, riconducibile alla presenza di E. coli O157 in tale
alimento, nonostante l’O.M. del 10 dicembre 2008, obbliga
di indicare nei distributori “prodotto da consumarsi solo dopo
bollitura” (8).
Materiali e metodi
Per lo svolgimento di questo lavoro sono stati prelevati ed
analizzati 50 campioni di latte crudo di massa bovino, ovino,
caprino e bufalino provenienti da aziende pugliesi. L’isolamento
di E. coli O157 dalle matrici alimentari è stato eseguito secondo
la norma ISO 16654:2001, mentre l’isolamento di E. coli O26 è
stato eseguito seguendo la metodica modificata di Dambrosio
et al. (2007) (4). Dall’arricchimento di ciascun campione è stata
eseguita l’immuno-separazione magnetica per isolare ceppi di
E. coli O157 e E. coli O26 attraverso l’utilizzo di kit specifici per
i due sierotipi (Dynabeads®, Invitrogen). Successivamente
è stato utilizzato il terreno Cefixime Tellurite MacConkey
Agar contenente sorbitolo (SMAC-CT) per isolare i ceppi E.
206
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
5.
Lorusso V, Dambrosio A, Quaglia NC, Parisi A, La Salandra
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5’-nuclease PCR of Shiga-toxin producing Escherichia coli
O26, O55, O91, O103, O111, O113, O145 and O157:H7,
associated with the world’s most frequent clinical cases. Mol
Cell Probes. 18(3):185-92.
La presenza di ceppi E. coli VTEC in alimenti rappresenta
un serio rischio per la salute del consumatore in particolare
quando non si adoperano le necessarie misure atte ad evitare
la replicazione del microrganismo.
I dati preliminari di questo lavoro, possono essere utilizzati
per valutare la diffusione di VTEC nella filiera lattiero casearia
pugliese. Ulteriori studi si rendono necessari per meglio
definire la prevalenza di ceppi VTEC nel latte crudo ed il loro
potenziale impatto sulla salute pubblica.
Bibliografia
1.
2.
3.
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Lavoro svolto con i fondi RC del Ministero della Salute, IZSPB006/08
Tabella 1. Campioni di latte analizzati per la presenza di ceppi E. coli O157 e E. coli O26
Campioni analizzati
E.coli O157:H7
E.coli O26
Latte bovino
26
1
1
Latte ovino
14
/
/
Latte caprino
8
/
/
Latte bufalino
2
/
/
Totale
50
1
1
Tabella 2. Caratterizzazione degli isolati E. coli VTEC
Campioni
Origine
Sierogruppo
Geni di virulenza
Latte
bovino
O157:H7
eae+, stx1-, stx2+
Latte
bovino
O26
eae+, stx1+, stx2+
207
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VALUTAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CELLULARE DI TOPI VACCINATI CON BRUCELLA
MELITENSIS REV1
G.Curina1, B.Paternesi1, C. Montagnoli2, G.Severi1, N. D’Avino1, M.Tentellini1,
R. Nardini3, R. Forletta3, M.Cagiola1
1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche
2
Università Degli Studi Di Perugia
3
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana
Keywords: Brucella Melitensis REV1, Flow Cytometric, T-Cell
concentrazione di 1*106 cellule con anticorpi monoclonali
primari PE anti-mouse F4/80-Pan Macrophage marker
(eBioscience), FITC anti-mouse N.K. 1.1 (eBioscience), PE
anti-mouse CD3e (eBioscience), PE-Cy5 anti- mouse CD4
(eBioscience), PE-Cy5 anti- mouse CD8 (eBioscience ), PE
anti-mouse/human CD45R (eBioscience ), FITC anti mouse
CD25 (Serotec)
Analisi in citometria a flusso
I campioni allestiti sono stati processati usando lo strumento
FACSCalibur(BD), equipaggiato con un laser BLUE 488
nm.
Il settaggio dello strumento è stato ottimizzato utilizzando le
CALIBRITErmTM 3 (BD Biosciences). I dati fluorimetrici sono
stati analizzati utilizzando il software CellQuest Pro (Becton
Dickinson Immunocytometry Systems). La distinzione delle
diverse popolazioni cellulari è stata effettuata attraverso
l’analisi morfologica utilizzando i parametri di Foward e
Scatter caratteristici.
Summary
Sheep brucellosis, a zoonosis mainly due to Brucella
melitensis (biovar 1, 2 or 3), remains widespread worldwide. It is responsible for genital disorders and abortions in
sheep and also a source of significant economic losses. In
areas, where the prevalence of the infection is moderate to
high, vaccination is the only suitable method for controlling
brucellosis in animals. The live Brucella melitensis Rev 1
strain is currently considered as the best vaccine available
for the control of sheep brucellosis, especially when used at
the standard dose. The aim of this study was to investigate
the response of specific peripheral mononuclear blood cells
(PBMC) induced in mouse BALB-C vaccinated with a live B.
melitensis Rev 1vaccine produced in bioreactor (1) in order
to develop innovative vaccine and diagnostic test DIVA.
Introduzione
La Brucella un batterio patogeno intracellulare responsabile
di gravi patologie nell’uomo ed in altre specie animali. La
malattia provocata, ha una notevole importanza sia dal
punto di vista sanitario, in quanto causa di zoonosi, sia da
un punto di vista economico, a seguito dei frequenti aborti
ed infertilità provocati nei piccoli ruminanti. La vaccinazione
è tutt’ora impiegata in molte zone endemiche dei paesi
del Mediterraneo per arginare l’infezione. Il vaccino Rev1
vivo attenuato è considerato il più valido strumento di
profilassi della brucellosi negli ovini e caprini. Tuttavia
il suo utilizzo induce una produzione di anticorpi non
facilmente distinguibili, con test impiegati routinariamente
nei laboratori, da quelli prodotti dagli animali infetti. Questo
è il motivo principale che limita l’utilizzo del vaccino REV 1
nei paesi, in cui sono in corso piani di eradicazione basati
su test sierologici e sull’abbattimento degli animali ad essi
risultati positivi. Scopo della nostra indagine è approfondire,
mediante la tecnica citfluorimetrica, le conoscenze in
merito alla interazione tra tale agente microbico ed alcune
cellule immunocompetenti quali linfociti T, linfociti B, Natural
Killer (NK) e Macrofagi in topi Balb-C, al fine dello sviluppo
di nuovi presidi immunizzanti e di test diagnostici DIVA
(Differentiating Infected from Vaccinated Animals).
Risultati
I dati ottenuti dallo studio fenotipico delle popolazioni
cellulari coinvolte nel processo infettivo, hanno evidenziato
un netto aumento nel tempo dei macrofagi (f4/80) a partire
dalle 48 ore dopo la vaccinazione (Fig. 1). Infatti, si assiste
non solo ad una loro espansione clonale ma anche ad una
loro attivazione, questo dovuto alla loro funzione di cellule
presentanti l’antigene (APC).
La massima variazione percentuale si ha a 14 DPI mentre
la massima attivazione si ha tra le 24 e 48 ore dopo la
vaccinazione. (Fig.2)
Il ruolo svolto dall’immunità aspecifica nel corso dell’infezione
è stato evidenziato dall’espansione clonale delle cellule
Natural killer a 48h dopo la vaccinazione raggiungendo il
picco massimo a 72 ore. (Fig.3)
Fig1: Variazione nel tempo della popolazione dei macrofagi
f4/80+
Materiali e Metodi
Animali e modello sperimentale
Sono stati utilizzati 80 topi Balb-C femmina (20-30gr)
di 6 settimane di età, suddivisi in 10 gruppi, ciascuno
composto da 8 animali di cui n° 5 animali infettati per via
intraperitoneale con 1*106 C.F.U. (2) e n° 3 animali usati
come controllo (inoculati con 0,5 ml di S.F). Gli animali sono
stati abbattuti a 24h, 48h, 72h e 7, 14, 30, 60, 90 giorni dopo
l’inoculazione sperimentale (DPI) del vaccino.
Preparazione campioni per analisi citofluorimetrica
Le diverse popolazioni cellulari ottenute da ogni campione
di milza, sono state poste ad incubare a +4°C, alla
208
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Fig2: cinetica dei macrofagi (f4/80)
Fig5: cinetica dei linfociti T CD3+
Fig3: cinetica delle NK
E’ stata rilevata la stimolazione dei linfociti naive e la loro
differenziazione in CD4+CD8- e CD4-CD8+. I linfociti CD4+
hanno mostrato un’ attivazione progressiva fino a 7 DPI per
poi rimanere costanti per tutta la durate della prova (Fig.
6). Invece i linfociti CD8+ hanno mostrato un andamento
fluttuante nel tempo (Fig. 6)
Fig6: cinetica dei linfociti CD4+/ CD8+
E’ stato inoltre riscontrato un aumento esponenziale dei
linfociti B (CD45R+) a partire da 48 ore in rappresentanza
del coinvolgimento della risposta immunitaria umorale al
processo infettivo (Fig.4).
Fig4: cinetica dei linfociti B
Discussione
I dati ottenuti dal modello sperimentale hanno confermato
che tutte le cellule immunocompetenti sono coinvolte nella
risposta immunitaria nell’infezione indotta da Brucella
melitensis Rev1.
Relativamente ai macrofagi, è stato riscontrato un loro
interessamento nelle primissime fasi della vaccinazione,
confermando il ruolo chiave
che essi svolgono nel
controllo e nella distruzione del patogeno. I risultati ottenuti
riguardo le cellule NK confermano il loro coinvolgimento
nell’immunità innata aumentando soprattutto nelle prime
fasi dell’infezione.
La subpopolazione (CD4+) ha presentato un aumento
nei primi 7 giorni, stimolando ulteriormente tramite la
produzione di alcune citochine (IFN-γ) l’attività fagocitarla
dei macrofagi. La subpopolazione (CD8+) ha presentato
una partecipazione discontinua nella risposta immunitaria
(3).
Infine, l’ aumento esponenziale della popolazione dei
linfociti B (CD45R+), conferma la loro predominanza nelle
fasi tardive del processo di vaccinazione. I dati ottenuti da
questo preliminare studio nel modello murino, impiegando
Durante tutto il periodo di studio del processo infettivo, la
percentuale dei Linfociti T CD3+ non ha avuto variazioni
statisticamente significative (Dati non mostrati). Da un punto
di vista dell’attivazione si assiste, invece, ad un graduale
aumento già dalle prime ore della vaccinazione (Fig.5).
209
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
la tecnica citofluorimetrica, hanno confermato e chiarito
i meccanismi che si attivano nella risposta immunitaria
cellulare ed umorale (4,5) a seguito dell’inoculazione del
vaccino vivo attenuato REV1. L’implementazione di tali
studi può essere determinante per lo sviluppo di nuovi
presidi immunizzanti e test diagnostici innovativi in grado di
individuare gli animali infetti da quelli vaccinati.
3.
4.
Bibliografia
1.
2.
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
ANTIBIOTICO RESISTENZA DI SPECIE BATTERICHE ISOLATE DA LATTE
MASTITICO IN SICILIA NELL’ANNO 2009
Currò V.; Sutera A.; Marineo S., Lipari L.; Pisano P.; Calato R.; Altomare A.; Martorana C., Vicari D.
Istituto Zooprofilattico Della Sicilia “A. Mirri”, via G. Marinuzzi 3, Palermo-email: [email protected]
Keywords: Antimicrobial resistance, Staphylococcus aureus, mastitis
ABSTRACT
Monitoring antimicrobial susceptibility in pathogenic and
commensal bacteria in animals is recommended by WHO (World
Organization for animal health).
This has a very important mean in public health because humans
might have many problems because of multiresistant strains. This
is the case of Staphylococcus multiresistant to many antimicrobials.
During 2009 in the laboratory of Istituto Zooprofilattico della
Sicilia were collected many bacterial strains isolated from mastitic
milk. The Objective of this study was to investigate the isolates
susceptibility pattern of a panel of antimicrobials.
sospensione batterica di torbidità pari a 0,5 Mc Farland in piastre
di Muller - Hinton e Muller – Hinton addizionato di sangue di
pecora per gli isolati appartenenti ai generi Streptococcus spp.
E Pasteurella spp. Ciascun ceppo è stato saggiato per almeno
7 antibiotici. Gli isolati di S. aureus sono stati sottoposti ad esami
con tecniche di biologia molecolare amplificando il gene della
meticillino resistenza che ha dato esito positivo del 2% dei casi.
RISULTATI
Circa il 50% degli isolati erano rappresentati da ceppi di
Staphylococcus aureus che rappresenta il principale agente
eziologico di mastiti cliniche e subcliniche. La distribuzione degli
altri isolati è schematizzata nella Fig. 1.
Tra tutti gli isolati solo alcuni ceppi erano sensibili a tutti gli
antibiotici saggiati, molti invece mostravano resistenze multiple,
alcuni invece erano resistenti o mostravano parziale resistenza a
tutti gli antibiotici saggiati.
In tab. 1 sono riportati i risultati per alcuni degli isolati di S. aureus
che ha rappresentato l’agente mastidogeno più frequentemente
isolato.
INTRODUZIONE
La terapia con antimicrobici è lo strumento primario per il controllo
di patologie come le mastiti che costituiscono da sempre una
insidia per l’allevamento degli animali da reddito ed una delle
problematiche maggiori nell’ industria lattiero casearia per la
capacità di creare problematiche nei processi di trasformazione.
Spesso l’utilizzo degli antimicrobici nella pratica veterinaria è stato
poco razionale. La diretta conseguenza di un uso non corretto
degli antibiotici ha determinato negli agenti patogeni fenomeni di
resistenza multipla. Tali resistenze acquisiste possono poi essere
“comunicate” tra le varie cellule microbiche che “imparano” ad
accrescersi anche in presenza di antibiotici. Il diffondersi di
fenomeni di farmacoresistenza, spesso multipla, costituisce oggi
una realtà che non va sottovalutata.
MATERIALI E METODI
Durante il 2009 nei laboratori dell’ Istituto Zooprofilattico
Sperimentale della Sicilia sono stati collezionati ceppi batterici
da campioni di latte provenienti da animali con mastite. Tali
isolati sono stati identificati utilizzando le tecniche di batteriologia
convenzionale con l’utilizzo di terreni selettivi e prove metaboliche
in micrometodo (Sistema API Biomerieux). In seguito tali
ceppi sono stati sottoposti ad antibiogrammma con metodo di
diffusione in agar (Kirby-Bauer) [2] utilizzando per la semina una
Fig.1 Distribuzione degli isolati dai campione di latte bovino,
ovino e caprino nel 2009.
Tab. 1 Sensibilità di alcuni dei ceppi di S. aureus isolati da casi di mastite clinica o subclinica
Penicillina G
R
R
S
S
R
R
S
S
S
S
R
Ac Nalidixico
S
R
I
R
I
I
R
R
R
R
R
Lincomicina
S
S
S
R
S
S
S
I
S
S
I
Eritromicina
S
I
S
I
S
S
I
I
S
I
Meticillina
R
S
S
R
S
S
S
S
S
Amikacina
S
Gentamicina
R
S
S
R
S
S
S
S
Cefoperazone
R
I
S
S
S
I
S
S
S
S
R
S
S
S
S
R
R
S
S
R
R
R
R
I
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S
S
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S
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S
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S
S
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S
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S
S
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S
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S
I
R
S
S
S
S
I
S
I
R
S
S
S
S
S
R
I
I
S
I
Trimethopim
S
Cefalexim
R
Kanamicina
S
R
211
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Fig. 2 Rappresentazione schematica delle percentuali di sensibilità agli antibiotici di isolati di S.aureus
DISCUSSIONE
1.
Le farmaco resistenze acquisite dai batteri rappresentano una
minaccia incombente in Sanità Pubblica umana e veterinaria. Si
ipotizza che l’uso poco razionale di antimicrobici negli animali da
reddito abbia contribuito in maniera significativa all’insorgenza
di resistenza in ceppi patogeni o commensali anche per l’uomo.
L’interesse per la resistenza agli antibiotici dei batteri patogeni per
gli animali sta crescendo per la possibilità di scambio di elementi
genetici mobili con batteri patogeni anche per l’uomo.
Il costante monitoraggio su queste resistenze potrà contribuire
allo studio e quindi alla formulazione di strategie utili per limitarne
la diffusione. Strategie che, necessariamente, non possono non
prescindere da un razionale utilizzo di presidi antimicrobici [1].
2.
3.
212
BIBLIOGRAFIA
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DIAGNOSI DI ECHINOCOCCOSI CISTICA NEGLI OVINI MEDIANTE IMMUNOBLOTTING
Dalmasso S.1 , Rambozzi L. 1, Molinar Min A.R. 1, Martinez-Carrasco Pleite C. 2, Rossi L. 1
1
Dipartimento di Produzioni Animali,Epidemiologia ed Ecologia – Università degli Studi di Torino – Via Leonardo da
Vinci,44 -10095 –Grugliasco (TO)
2
Dipartimento di Sanità Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Murcia, Campus Universitario di
Espinardo, 30100 Murcia, Spagna
Keywords: Echinococcosi cistica, Ovino, Immunoblotting.
Introduzione
L’echinococcosi cistica (CE) è un’antropozoonosi causata
dagli stadi larvali di Echinococcus granulosus. La malattia è
ampiamente diffusa nel mondo e rappresenta un problema
sia di salute pubblica che economico in molte aree temperate
e tropicali (1,2,3). E. granulosus presenta un ampio spettro di
ospiti intermedi, tra cui gli ungulati domestici, in particolare gli
ovini. Nell’ospite intermedio il parassita si ritrova allo stadio
larvale sotto forma di cisti (idatidi), principalmente a livello
epatico e polmonare. L’infestazione nell’ovino, è tipicamente
asintomatica e la diagnosi è basata sul rinvenimento autoptico
delle cisti. Ciononostante i dati epidemiologici raccolti nei
macelli potrebbero essere sottostimati per il numero ridotto di
ovini adulti macellati rispetto agli individui giovani, soprattutto
in zone con bassa prevalenza della parassitosi. Sebbene in
passato la diagnosi sierologica nella pecora presentasse forti
limitazioni dovute alla scarsa sensibilità e specificità del test,
recenti lavori hanno rivalutato l’immunodiagnosi utilizzando
come fonte antigenica il liquido idatideo tal quale (4,5,6).
Obiettivo del presente lavoro è valutare le performance di un
immunoblotting per la diagnosi in vivo di CE negli ovini, ed un
suo possibile utilizzo su pool di sieri.
anticorpo è stato rilevato tramite 4-cloro-1-naftolo e 30%
di H2O2 (Sigma); la reazione è stata bloccata con acqua.
La membrana è stata sottoposta a scansione e analizzata
tramite Biorad Gel Doc 2000 Imaging System. Come test di
referenza è stata usata la diagnosi macroscopica in sede di
necroscopia. I campioni con bande di 8-12 e/o 16 e/o 21 kDa
sono stati classificati come positivi (Figura 1).
Figura 1- Le bande diagnostiche (8-12, 16, 21 kDa) rilevate
mediante immunoblotting su sieri di ovino. N: siero negativo,
P1: siero positivo per le bande 8-12 e 16 kDa, P2: siero
positivo per tutte le bande diagnostiche.
Materiali e Metodi
Per la messa a punto del test sono stati utilizzati 210 sieri di
ovini di età superiore all’anno; 178 sono stati prelevati durante
la visita post mortem in un macello situato nella regione di
Murcia (Sud della Spagna), area endemica per CE. Per
ciascun ovino sono stati esaminati fegato, polmone, cuore,
reni, esofago e le sierose parietali per rilevare eventuali stadi
larvali di E. granulosus e di Tenia hydatigena e macrocisti di
Sarcocystis spp. Per ogni animale inoltre si è provveduto a
registrare il numero, la localizzazione, il diametro e la presenza/
assenza di calcificazioni delle idatidi. Come controllo negativo,
sono stati utilizzati i sieri di 32 ovini, allevati come rimonta
interna in piccoli greggi indenni da CE in provincia di Torino.
Come antigene è stato usato il liquido idatideo, prelevato
da cisti fertili localizzate nel fegato e nel polmone; dopo
centrifugazione a 10000 rpm per 10 minuti a 4°C, il liquido è
stato filtrato (0.45 µm) e conservato a -80°C. L’immunoblotting
è stato realizzato secondo la procedura descritta da Dueger
et al. (4). Aliquote di 10 μg di antigene, diluite in loading buffer
(0.125M Tris-HCl pH 6.8, 5% SDS, 10% b-mercaptoetanolo,
10% glicerolo e 0.01% Bromophenol Blue), bollite per 5 minuti
sono state fatte correre in un gel di poliacrilammide al 18% e
trasferite su una membrana di nitrocellulosa. Come standard
molecolare è stata utilizzata una miscela di proteine con peso
molecolare compreso tra 210 e 8 KDa (Sigma-Aldrich).
La membrana, bloccata con latte magro in polvere per
saturare i siti aspecifici, è stata incubata per 12 ore a 4°C in
agitazione con i sieri diluiti 1/100 in PBS-tween 5% skim milk.
Dopo tre lavaggi in PBS-tween, la membrana è stata incubata
a temperatura ambiente per 1 ora con immunoglobuline antiIgG di pecora coniugate con perossidasi (Serotec), diluite
1/1000 in PBS-tween 5% skim milk. Il complesso antigene-
Per valutare il possibile utilizzo del test su di un pool di
sieri, il siero di un ovino positivo sia alla necroscopia che
all’immunoblotting individuale è stato diluito in modo seriale
(1.10, 1:20, 1:30, 1.40, 1.50, 1:60) in sieri di ovino negativi
sia alla necroscopia che all’immunoblotting. Sono stati testati
venti differenti sieri positivi. Per ciascuna diluizione l’intensità
delle bande diagnostiche è stata quantificata con ImageJ. La
sensibilità e la specificità del test sono state stimate con un
intervallo di confidenza del 95%, ed i risultati ottenuti sono
stati stratificati rispetto al numero di cisti, alla dimensione ed
alla morfologia. La cross-reattività è stata valutata sia nel
gruppo di ovini che costituivano il controllo negativo, sia in
quelli privi di CE ma che presentavano altri parassiti in sede
di necroscopia. Le analisi statistiche sono state eseguite con
R-2.9.0.
Risultati e discussione
L’immunoblotting individuale ha dimostrato avere una
sensibilità del 74.2% ed una specificità del 93.3%. La
sensibilità non variava in modo significativo rispetto alle
dimensioni ed alla morfologia delle cisti (p>0.05), mentre
aumentava in modo significativo (p<0.03) all’aumentare del
numero di cisti. La specificità del test non variava in modo
significativo (p>0.05) in presenza di altri parassiti. Per quanto
riguarda il test su pool di sieri, ad un aumento delle dimensioni
213
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
del pool corrisponde una diminuzione dell’intensità delle tre
bande diagnostiche (8-12,16 e 21 KDa); fino alla diluizione
1/20 è possibile identificare chiaramente tutte e tre le bande
diagnostiche, mentre a diluizioni maggiori è impossibile
rilevare la banda 8-12 kDa (Figura 2). La mancata diagnosi
dei campioni positivi solo per la banda 8-12 kDa comporta
una riduzione della sensibilità fino al 64 %
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Figura 2- Il siero di un ovino positivo sia alla necroscopia che
all’immunoblotting individuale è stato diluito in sieri di ovini
negativi. Fino alla diluizione 1/20 si distinguono chiaramente
le tre bande diagnostiche (8-12, 16, 21 kDa). N: siero di
controllo negativo.
consequences of a neglected zoonosis. Veterinary Research
Communications 33 Suppl 1:47-52.
4) Dueger E.L., Verastegui M., Gilman R.H. (2003). Evaluation of
the enzyme-linked immunoelectrotransfer blot (EITB) for ovine
hydatidosis relative to age and cyst characteristics in naturally
infected sheep. Veterinary Parasitology, 25;114(4):285-93.
5) Gatti A, Alvarez AR, Araya D, Mancini S, Herrero E, Santillan
G, Larrieu E. (2007). Ovine echinococcosis I. Immunological
diagnosis by enzyme immunoassay.Veterinary Parasitology,
143(2):112-21.
6) Simsek S, Koroglu E. (2004).Evaluation of enzymelinked immunosorbent assay (ELISA) and enzyme-linked
immunoelectrotransfer blot (EITB) for immunodiagnosis of
hydatid diseases in sheep. Acta Tropica, 92(1):17-24.
Abstract
Aim of this work was to evaluate the feasibility of pooling serum
samples for detection of E. granulosus antibodies in sheep by
means of an immunoblotting. A total of 210 sera were collected
and individually analyzed (sensitivity: 74.2%; specificity:
93.3%). Subsequently each positive serum were serially diluted
in negative sera. Pooled sample testing maintained sensitivity
and specificity; until the 1:20 dilution it was possible to clearly
detect the diagnostic bands.
Dai nostri risultati emerge che l’immunoblotting applicato su
pool di campioni può rappresentare un valido strumento, sia
in termini di performance del test che di riduzione dei costi,
per il monitoraggio della CE a livello di popolazioni ovine. In
particolare la sua applicazione potrebbe essere vantaggiosa
soprattutto in aree a bassa prevalenza della malattia, dove
può costituire un efficace ausilio ai piani di monitoraggio
della zoonosi. Inoltre, poiché nei programmi di sorveglianza
epidemiologica vengono già previsti e realizzati di routine
dei campionamenti sierologici nelle greggi per la ricerca di
altre patologie, i medesimi sieri potrebbero essere utilizzati
per la sierodiagnosi a pool della CE, con ulteriori quanto ovvi
risparmi.
214
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CHLAMYDIACEAE MEDIANTE TECNICHE
BIOMOLECOLARI IN ALLEVAMENTI SUINI DA RIPRODUZIONE DEL VENETO
1de
Mateo Aznar M., 1Belfanti I., 2Capello K., 1Natale A., 1Ceglie L.
1Struttura complessa 5 Sanità e Benessere Animale, Laboratorio di Diagnostica Virologica e sierologica, 2Staff
Direzione Sanitaria, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Legnaro (PD)
Key words: Clamidiosi, Real Time PCR, suino
SUMMARY
Previous studies have demonstrated that chlamydial infections
are common in intensively-kept pigs. To verify the significance
of this infection in reproductive disorders, 186 cervical swabs
from 8 closed breeding farms were sampled and screened
by a Chlamydiaceae Real Time PCR followed by a speciesspecific Real Time PCR on positive samples. Only 3 sows were
positive to C. suis. Moreover, 84 out of 103 conjunctival swabs
from weaned-fattening pigs analyzed by PCR were positive to
C. suis. These data reveal that the C. suis ocular infection is
diffuse in breeding farms in the Veneto Region.
clamidie (in particolare la C. suis) è maggiore a livello oculare
rispetto all’apparato riproduttivo, per aumentare la probabilità
di raccolta di ceppi è stato deciso di effettuare campionamenti
in entrambe le sedi. Per selezionare gli animali su cui fare i
tamponi oculari, è stato domandato (all’allevatore) in quale
fascia d’età, tra lo svezzamento e il magronaggio, fossero
visibili più casi di congiuntivite o “occhi sporchi”. I prelievi sono
stati effettuati in un’unica stanza, da suini che preferibilmente
presentavano congiuntivite e/o edema perioculare e/o epifora,
per un totale di 13 suini per allevamento (ad eccezione di un
allevamento dove sono stati analizzati 12 animali). Da ogni
suino è stato strisciato un tampone per occhio, ruotando la
testa del tampone all’interno del sacco congiuntivale. Entrambi
i tamponi sono stati trasferiti in una provetta contenente 2 ml di
SPG e stoccati a -80°C e poi processati mediante Real Time
PCR.
Il DNA dei campioni è stato estratto mediante il kit
commerciale High Pure PCR Template Isolation (Roche). I
campioni sono stati testati mediante un protocollo di Real
Time PCR di screening per Chlamydiaceae (6). I campioni
risultati positivi allo screening sono stati successivamente
esaminati mediante un protocollo di Real Time PCR basato
su primers e sonde specifici per discriminare tra le seguenti
specie: Cp. pecorum, Cp. psittaci, Cp. abortus e C. suis (9).
INTRODUZIONE
Le specie di Chlamydiaceae che infettano il suino sono
Chlamydia (C.) suis e Chlamydophila (Cp.) pecorum, Cp.
abortus e Cp. psittaci. I sintomi dell’infezione sono polmonite,
poliartrite, congiuntivite, disordini riproduttivi e aborti (2).
In Italia sono state effettuate delle segnalazioni per quanto
riguarda le clamidiosi nel suino (4, 8, 10), tuttavia la loro reale
diffusione nell’allevamento intensivo è ancora sconosciuta.
Al momento, grazie alle nuove metodiche di biologia molecolare,
è possibile non soltanto fare una diagnosi di clamidiosi, ma
anche determinare la specie di clamidia coinvolta nell’infezione
(9).
MATERIALI E METODI
Con l’intento di valutare la presenza delle Chlamydiaceae in
ambito riproduttivo nelle aziende suine della Regione Veneto,
sono stati scelti 8 allevamenti a ciclo chiuso, almeno 1 per
provincia, eccetto quella di Belluno che presenta un numero
esiguo di allevamenti. Poiché le province di Verona e Treviso
hanno una consistenza più elevata di allevamenti, sono state
campionate 2 aziende per provincia.
All’interno di questi allevamenti le scrofe sono state suddivise in
due gruppi in base alla presenza o meno di problemi riproduttivi.
Dato che il numero di scrofe con problemi riproduttivi è
presumibilmente basso, è stato scelto di campionare più scrofe
senza problemi (unequal allocation). La precisione delle stime
è fissata al 5% e la potenza del test all’80%. La distribuzione
e numerosità complessiva delle scrofe con e senza problemi
riproduttivi da campionare si trova nella tabella 1.
La numerosità campionaria è stata distribuita uniformemente
tra gli allevamenti considerati, in modo tale da prelevare per
ogni allevamento 8 campioni da scrofe con problemi riproduttivi
e 16 da scrofe senza problemi.
La ricerca delle Chlamydiaceae in ambito riproduttivo è stata
condotta mediante prelievo di tamponi cervicali in doppio,
trasferiti in 2 ml di terreno di trasporto SPG (SaccarosioFosfato-Glutamina), stoccati a -80°C e poi processati in Real
Time PCR.
In allevamento sono state individuate scrofe senza problemi
riproduttivi (n=16), vicine al calore, e che avevano terminato
lo svezzamento da pochi giorni, e 8 scrofe con problemi
riproduttivi scelte tra quelle che presentavano ritorni in calore,
scoli vaginali e quelle destinate alla riforma.
Dato che in un allevamento suino la probabilità di trovare
Tab. 1 - Distribuzione e numerosità delle scrofe con e
senza problemi riproduttivi da prelevare.
Gruppo
Prevalenza
di positività
ipotizzata
Numerosità
campionaria
Scrofe con
problemi
riproduttivi
0.2
62
Scrofe senza
problemi
riproduttivi
0.05
124
Totale
186
RISULTATI
Tra i 186 campioni esaminati in Real Time PCR, sono state
rilevate 3 scrofe positive per C. suis. 2 di queste appartengono
all’allevamento della provincia di Venezia. In base allo stato
clinico iniziale, 2 scrofe erano state classificate come scrofeproblema. mentre la terza non manifestava problemi riproduttivi.
Per quanto riguarda i 103 campioni prelevati da suini in fase
di svezzamento e magronaggio, 84 tamponi oculari sono
risultati positivi in Real Time PCR per C. suis. Le positività nei
tamponi oculari riguardano animali di 7 aziende diverse e la
numerosità dei positivi all’interno di queste aziende varia da un
minimo di 10 a un massimo di 13 campioni per ogni azienda.
215
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Tutti i tamponi dell’azienda di Vicenza sono risultati negativi
in Real Time PCR. Tali risultati sono concordi con i relativi
dati sierologici (dati non pubblicati). Escludendo l’azienda di
Vicenza, la prevalenza di positività dei tamponi oculari in Real
Time PCR è pari al 93%.
Bibliografia
1. Becker A., Lutz-Wohlgroth L., Brugnera E., Lu Z.H.,
Zimmermann D.R., Grimm F., Grosse Beilage E., Kaps S.,
Spiess B., Pospischil A., Vaughan L. “Intensively Kept Pigs
Pre-Disposed to Chlamydial Associated Conjunctivitis”
(2007) J. Vet. Med. A Physiol. Pathol. Clin. Med., 54, 307313.
2. Busch M.,Thoma R., Schiller I., Corboz L., Pospischil
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Sows at Slaughter and their Possible Significance for
Reproductive Failure” (2000) J. Vet. Med. B Infect. Dis.
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3. Camenisch U., Lu Z.H., Vaughan L., Corboz L.,
Zimmermann D.R., Wittenbrink M.M., Pospischil A., Sydler
T. “Diagnostic Investigation into the Role of Chlamydiae in
Cases of Increased Rates of Return to Oestrus in Pigs”
(2004) Vet. Rec., 155, 593-596.
4. Di Francesco A., Baldelli R., Cevenini R., Magnino
S., Pignanelli S., Salvatore D., Galuppi R., Donati M.
“Seroprevalence to Chlamydiae in Pigs in Italy” (2006)
Vet. Rec., 159, 849-850.
5. Di Francesco A., Donati M., Rossi M., Pignanelli S.,
Shurdhi A., Baldelli R., Cevenini R. “Tetracycline-Resistant
Chlamydia Suis Isolates in Italy” (2008) Vet. Rec., 163,
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6. Ehricht R., Slickers P., Goellner S., Hotzel H., Sachse K.
“Optimized DNA Microarray Assay Allows Detection and
Genotyping of Single PCR-Amplifiable Target Copies”
(2006) Mol. Cell. Probes, 20, 60-63.
7. Lenart J., Andersen A.A., Rockey D.D. “Growth and
Development of Tetracycline-Resistant Chlamydia Suis”
(2001) Antimicrob. Agents Chemother., 45, 2198-2203.
8. Merialdi G., Magnino S., Franchi L., Santoni L., Luppi A.,
Bonilauri P., Labalestra I.,Vigo P.G., Dottori M.. (2003)
Descrizione di un episodio di congiuntivite nel suino
associato ad infezione da Chlamydia suis. Atti XXIX
Meeting SIPAS, 317-321
9. Pantchev A., Sting R., Bauerfeind R., Tyczka J., Sachse
K. “Detection of all Chlamydophila and Chlamydia spp. of
Veterinary Interest using Species-Specific Real-Time PCR
Assays” (2009) Comp. Immunol. Microbiol. Infect. Dis.
10. Spaggiari B., Gherpelli M., Magnino S., Fallacara
F., Bonilauri P., Merialdi G. “Episodio Di Patologia
Riproduttiva Nel Suino Associato Ad Infezione da
Chlamidophila Abortus” (2008) SIPAS XXXIV Meeting
Annuale, Salsomaggiore Terme (PR), 13-14 Marzo 2008.,
189-194.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Da quanto riportato in altri studi, nell’allevamento suino
intensivo possono circolare diverse specie di Chlamydiaceae.
Per questa ragione, i campioni sono stati analizzati mediante
una Real Time PCR di screening per Chlamydiaceae, e i positivi
sono stati successivamente sottoposti ad una Real Time PCR
specie-specifica.
Le positività individuate nei tamponi cervicali sono modeste:
soltanto 3 scrofe, appartenenti a 2 diversi allevamenti, sono
risultate positive per C. suis, mentre non è stata rilevata la
circolazione di altre clamidie ritenute più patogene per la sfera
riproduttiva.
Nonostante siano state prese le necessarie precauzioni
durante il prelievo, è opportuno considerare che la positività
per C. suis su tampone cervicale possa essere conseguenza di
una contaminazione fecale a livello dei genitali esterni. D’altro
canto occorre ricordare che con questo metodo la prevalenza
di clamidie potrebbe essere sottostimata rispetto a quanto
rilevabile dall’esame diretto sull’apparato riproduttivo, così
come evidenziato da altri autori (3).
Per quanto riguarda i tamponi oculo-congiuntivali, è stato
dimostrato che l’allevamento intensivo predispone i suini a
congiuntivite da C. suis, arrivando ad una prevalenza del
90% negli allevamenti intensivi tedeschi (1). Dai risultati
ottenuti in Real Time PCR si conferma una notevole diffusione
dell’infezione da C. suis a livello oculo-congiuntivale, rilevandone
la presenza in 7 allevamenti su 8 in Veneto. Escludendo i
campioni dell’azienda negativa, la percentuale dei tamponi
oculari positivi esaminati in Real Time PCR è stata del 93%.
Per quanto riguarda l’infezione congiuntivale da C. suis, la cui
presenza si conferma molto diffusa negli allevamenti intensivi,
è da sottolineare che si tratta di una patologia fortemente
condizionata da fattori ambientali, che diminuisce il benessere
degli animali e le perfomances di accrescimento. Per questi
motivi, si ritiene opportuna l’adozione di misure di prevenzione
e controllo di questa infezione.
La ricerca proseguirà con l’isolamento su coltura cellulare dei
campioni risultati positivi in PCR, allo scopo di ottenere ceppi
vivi da caratterizzare ulteriormente, ad esempio sotto il profilo
dell’antibiotico-resistenza, in particolare nei confronti delle
tetracicline (5,7).
216
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI LISTERIA MONOCYTOGENES DURANTE LA SHELF-LIFE DI
INSALATA DI MARE
De Nadai V., Oliverio E., Ruggiero V., Finazzi G., Daminelli P., Boni P.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto di Microbiologia, Brescia
Key words: Insalata di mare, L. monocytogenes, Shelf-life
SUMMARY
The aim of this study was the evaluation of the behaviour of Listeria
monocytogenes during the shelf-life of four different seafood
salad’s production artificially contaminated and kept at different
temperatures. Observed data demonstrated that pathogen’s
behaviour depend on food factors as acidity and multiplication of
endogenous lactic flora able to bio-compete against Listeria.
e conservati in salamoia e non vengono quindi cucinati come
avviene per gli altri produttori. Eventuali additivi non riportati
potrebbero dunque essere presenti negli ingredienti composti.
Shelf-life indicata in etichetta: 10 giorni a 4°C.
Produttore 4
Ingredienti: calamari, polpo, seppie, cozze, gamberi, sale, succo
di limone concentrato, E202 (sorbato di potassio), E575 (glucone
delta lattone), olio di semi di girasole, olio di oliva, prezzemolo.
Shelf-life indicata in etichetta: 11 giorni a 4°C.
Ceppi batterici
Per la contaminazione sperimentale è stata preparata una
miscela di 3 ceppi di L. monocytogenes: un ceppo di riferimento
(ATTC 19115) e 2 ceppi di campo isolati da prodotti ittici. In seguito
alla moltiplicazione dei 3 ceppi patogeni in un fermentatore
contenente 1 litro di brodo Brain Heart Infusion (BHI), incubato
in agitazione per 24 ore a 37°C, il brodo è stato centrifugato a
4000 giri per 1 ora. Il pellet formato è stato quindi risospeso in
soluzione fisiologica e diluito in modo da ottenere 100 mL di
miscela contenente una concentrazione del patogeno di circa 105
ufc/mL.
Contaminazione del prodotto, campionamento e analisi
L’insalata di mare inviata presso il Reparto di Microbiologia
dell’IZSLER dalle Ditte produttrici coinvolte nello studio è stata in
parte utilizzata per le aliquote di controllo e in parte addizionata
con la sospensione del patogeno, ottenendo una concentrazione
di L. monocytogenes nell’alimento pari a circa 103 ufc/g. il prodotto
è quindi stato suddiviso in aliquote di circa 50 g in sacchetti con
filtro da stomacher e confezionato al naturale tramite saldatura
ermetica.
Un primo campionamento è stato eseguito al tempo zero,
prelevando in triplo sia il prodotto di controllo al fine di escludere
una contaminazione endogena nell’alimento, che il contaminato
per valutare la concentrazione del patogeno artificialmente
addizionato. Le diverse aliquote sono quindi state suddivise e
conservate a differenti temperature per la valutazione della shelflife: 5°C (temperatura ideale di conservazione), 10°C (temperatura
di usuale conservazione domestica), 15°C (moderato abuso
termico), 20°C (abuso termico).
Il protocollo sperimentale ha previsto l’esecuzione di 7
campionamenti nel corso della shelf-life dell’insalata di mare
conservata a 5 e 10°C, che è stata prolungata fino a 28 giorni.
Nel prodotto conservato a 15 e 20°C per la durata di 12 giorni
sono stati effettuati 4 prelievi.
Ad ogni campionamento sono state eseguite le seguenti
determinazioni microbiologiche, effettuate in triplo sui campioni
contaminati e in singolo sui controlli:
Numerazione Listeria monocytogenes su piastre Aloa
agar (ISO 11290-2: 1998 Amd/1: 2004) incubate in
aerobiosi a 37°C per 48 ore;
Numerazione della Carica Batterica totale mesofila
(CBT), su piastre di PCA agar incubate in aerobiosi a
37°C per 48 ore;
Numerazione Lattobacilli mesofili, su piastre di MRS
agar incubate in microaerofilia a 37°C per 72 ore.
La determinazione del pH mediante strumento con
compensazione automatica della temperatura (Hanna Instruments
HI 223) e dell’acqua libera (Aw) mediante apparecchiatura della
INTRODUZIONE
La normativa vigente in materia di sicurezza degli alimenti
(Regolamento CE 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili
ai prodotti alimentai (1), modificato e integrato dal Regolamento
CE 1441/2007 (2)) demanda all’operatore del settore alimentare
la responsabilità di assicurare il rispetto di determinati criteri
microbiologici nei propri prodotti.
In particolare negli alimenti RTE, quali l’insalata di mare, viene
tollerata una contaminazione di Listeria monocytogenes “alla
bocca del consumatore” non superiore a 100 ufc/g di prodotto.
Al fine di documentare scientificamente il rispetto di tali limiti,
i Regolamenti comunitari prevedono la possibilità di effettuare
contaminazioni sperimentali, che consentano di studiare il
comportamento del patogeno nel corso della shelf-life dei prodotti
alimentari. I dati ottenuti forniscono alle Ditte produttrici la capacità
di prevedere e documentare l’andamento di Listeria in caso di
contaminazione accidentale dei propri prodotti (3) e di stabilire,
dunque, una durata della vita commerciale tale da garantire il
rispetto dei limiti di legge.
A tale scopo insalata di mare prodotta da diverse Ditte di
trasformazione è stata contaminata con una sospensione
costituita da diversi ceppi di L. monocytogenes ed è stato valutato
il comportamento del patogeno durante la shelf-life del prodotto.
Ciascuna produzione è stata aliquotata e mantenuta a diverse
temperature di conservazione, in quanto la normativa comunitaria
indica esplicitamente che il rispetto dei criteri microbiologici
deve essere garantito considerando le usuali condizioni di
conservazione e utilizzo del prodotto da parte del consumatore.
MATERIALI E METODI
La prova è stata condotta su insalata di mare prodotta da quattro
diversi produttori, utilizzando ingredienti e fasi di lavorazione
parzialmente diversificate, come di seguito riportato.
Produttore 1
Ingredienti: seppie, polpo, gamberi, sale, pepe, aceto di vino, succo
di limone concentrato, E330 (acido citrico), E621 (glutammato di
sodio), E202 (sorbato di potassio), E211 (benzoato di potassio),
olio di semi di girasole, cetrioli e peperoni sottaceto. Shelf-life
indicata in etichetta: 14 giorni a 4°C.
Produttore 2
Ingredienti: seppie, calamari, polpo, gamberi, cozze, sale, pepe,
succo di limone concentrato, E202 (sorbato di potassio), E575
(glucone delta lattone), olio di semi di girasole, olio di oliva,
prezzemolo, carote e zucchine fresche. Shelf-life indicata in
etichetta: 15 giorni a 4°C.
Produttore 3
Ingredienti: seppie, totani, polpo, gamberi, cozze, sale, pepe,
succo di limone concentrato, olio di semi di girasole, prezzemolo,
peperoni sottaceto. I prodotti ittici vengono acquistati già pronti
217
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Ditta Testo 650 con sonda fattore k (T 95) sono state eseguite in
singolo ad ogni prelievo.
Grafico 1: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse
produzioni di insalata di mare conservata a 5°C
RISULTATI E DISCUSSIONE
Parametri chimico-fisici
L’analisi dell’andamento dell’Aw nel corso della shelf-life delle
4 diverse produzioni di insalata di mare evidenzia come tale
parametro presenti valori costantemente superiori a 0,950 a tutte
le temperature di conservazione del prodotto.
Il pH, al contrario, presenta valori significativamente diversi tra
le tipologie di insalata di mare esaminate. Le produzioni 1 e 4
sono caratterizzate da valori di pH che si mantengono costanti
intorno a 4,7-4,8 durante tutta la shelf-life. L’insalata di mare del
produttore 2 risulta scarsamente acida, con pH di circa 6 per tutte
le condizioni di mantenimento del prodotto. La produzione 3 è
caratterizzata da un pH decisamente acido (intorno a 4) nel corso
di tutta la shelf-life.
Parametri microbiologici
La Carica batterica totale mesofila evidenziata nell’insalata di
mare del produttore 1, già presente in concentrazione di circa
106-107 ufc/g nel prodotto al tempo zero, mostra un ulteriore
incremento nel corso della shelf-life, di entità e rapidità crescenti in
funzione della temperatura di conservazione. I lattobacilli mesofili
presentano un andamento sovrapponibile a quello descritto per la
CBT, che pertanto risulta costituita in misura preponderante proprio
da tali popolazioni. Le flore lattiche, capaci di biocompetere nei
confronti di eventuali patogeni contaminanti degli alimenti, sono
presenti in concentrazione significativa anche nella produzione
4. Al contrario, nell’insalata di mare del produttore 2, in cui anche
le verdure vengono sottoposte ad un trattamento di cottura, i
lattobacilli mesofili risultano sostanzialmente assenti a tutte le
temperature di conservazione del prodotto. Nella produzione 3
tali flore risultano presenti inizialmente in concentrazione molto
bassa e subiscono un incremento scarsamente significativo
durante la shelf-life.
Nel Grafico 1 relativo all’andamento di L. monocytogenes nelle
4 tipologie di insalata di mare conservate a 5°C si evidenzia come
tale patogeno presenti un comportamento significativamente
diversificato. L’insalata di mare del produttore 1 non supporta la
crescita di Listeria, che anzi decresce rispetto alla concentrazione
iniziale di contaminazione con tempo di riduzione decimale (D),
ovvero il tempo necessario ad osservare la riduzione del 90%
dei microrganismi ad una data temperatura, pari a 9 giorni e 16
ore ± 21 ore. La produzione 4 presenta un andamento analogo
del patogeno, che nel corso della shelf-life decresce, seppur più
lentamente (D= 44 giorni e 15 ore ± 10 giorni e 8 ore). Come già
evidenziato in altri lavori (4), la presenza di flore lattiche in rapida
moltiplicazione consente di modulare lo sviluppo di Listeria. La
presenza del patogeno risulta contrastata efficacemente anche
nella produzione 3 in cui, pur in assenza di popolazioni lattiche, la
marcata acidità del prodotto ne determina una rapida diminuzione
(D= 2 giorni e 23 ore ± 13 ore). Nell’insalata di mare del produttore
2, l’assenza di microrganismi in grado di biocompetere nei confronti
del patogeno, congiuntamente alla presenza di un pH debolmente
acido, consentono un rapido incremento di L. monocytogenes
(Tempo di duplicazione pari a 14 ore), fino al raggiungimento di
concentrazioni di plateau in circa 2 settimane.
I Grafici 2, 3 e 4 riportano l’andamento di L. monocytogenes nelle
diverse produzioni di insalata di mare mantenute rispettivamente a
10, 15 e 20°C. Per i produttori 1, 3 e 4 le considerazioni relative al
comportamento del patogeno risultano sostanzialmente analoghe a
quanto precedentemente descritto pur in condizioni di conservazione
del prodotto teoricamente più favorevoli al suo sviluppo. In assenza
di fattori che contrastino la moltiplicazione di Listeria, acidità e/o
presenza di flore lattiche, (produzione 2), la velocità di crescita del
patogeno aumenta in funzione della temperatura.
Grafico 2: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse
produzioni di insalata di mare conservata a 10°C
Grafico 3: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse
produzioni di insalata di mare conservata a 15°C
Grafico 4: andamento di Listeria monocytogenes nelle diverse
produzioni di insalata di mare conservata a 20°C
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218
XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
INDAGINE SIEROEPIDEMIOLOGICA SULLA DIFFUSIONE DI ALCUNE PATOLOGIE
VIRALI NEI CINGHIALI IN SARDEGNA
Dei Giudici S., Demartis L., Chironi P., Sulas A., Ladu A., Sanna M.L., Rolesu S., Patta C., Oggiano A.
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna
Key words: Elisa, Cinghiale, Patologie virali
Abstract – Seroepidemiological study on distribution of
some viral diseases in wild boards in Sardinia.
Sera from 241 wild boars were collected Sardinia during the
hunting season 2008-2009. ELISA tests were carried out to detect
antibodies against the following infections: Swine Parvovirus,
Aujesky’s Disease, PRRS, PCV2. Antibodies were detected
against all the viruses analyzed. The estimated prevalence was:
Swine Parvovirus 36,3%, Aujesky’s Disease 49,3%, PRRS 2,1%,
PCV2 28,0%. The data were analyzed respect to age, sex and
geographical distribution.
ed i risultati sono stati espressi come positivo o negativo.
Non è stato possibile eseguire la serie completa di esami previsti
su tutti i campioni a causa della insufficiente quantità e/o della
cattiva qualità del siero.
Per quanto riguarda la localizzazione geografica, il territorio è
stato suddiviso in 4 zone sulla base delle caratteristiche fisiche e
geografiche: Nord, Goceano, Centro-sud, Sulcis, come illustrato
nella figura 1. L’età è stata determinata in base alla presenza
dei molari della mascella inferiore e divisa in 3 classi: 6-18 mesi,
18-30 mesi, >30 mesi. Il test χ2 è stato utilizzato per valutare le
differenze tra i sessi, le classi di età e la localizzazione geografica.
Il livello di significatività è stato stabilito a p ≤0.05.
Introduzione
Le patologie virali rappresentano un problema per l’allevamento
suino sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo.
I virus che causano malattie nei suini domestici sono in grado
di infettare anche i cinghiali. Questa specie è diffusa in tutto
il territorio della Sardegna, in particolare in aree collinari e
montuose, scarsamente popolate dall’uomo, caratterizzate dalla
presenza di boschi di lecci e sughere e da macchia mediterranea.
In molte di queste aree il suino domestico viene allevato in modo
estensivo al pascolo brado e ciò comporta frequenti contatti
con il cinghiale. Tale promiscuità può agevolare la circolazione
dei virus fra le due specie. La conoscenza della diffusione delle
malattie virali nel cinghiale può chiarire il possibile ruolo di questa
specie come “reservoir”. In questo lavoro è stata condotta una
ricerca sierologica sui cinghiali della Sardegna per evidenziare
l’eventuale presenza di anticorpi contro alcuni patogeni di grande
impatto sull’allevamento suinicolo e per i quali si hanno scarse
informazioni riguardanti i selvatici: Malattia di Aujeszky (AD),
Parvovirus Suino (PPV), Circovirus Suino di tipo II (PCV2),
Sindrome respiratoria e riproduttiva del suino (PRRS).
Figura 1: cartina della Sardegna e suddivisione per zone
Materiali e metodi
Per l’indagine sono stati scelti 241 sieri di cinghiali abbattuti
durante la campagna venatoria 2008-2009. I sieri sono stati
individuati attraverso un campionamento casuale stratificato
all’interno di quello utilizzato per la sorveglianza epidemiologica
delle pesti suine e della tubercolosi. La numerosità del campione
è stata definita sulla base dei dati di sieroprevalenza riportati in
letteratura. Per la maggior parte dei campioni è stato possibile
ottenere informazioni riguardanti l’età, il sesso e la zona di
caccia.
I sieri sono stati analizzati per la ricerca di anticorpi utilizzando kit
elisa del commercio specifici per i patogeni di seguito riportati:
PRRS: elisa di tipo indiretto (Porcine riproduttive respiratory
sindrome virus antibody test kit, Idexx)
Parvovirus Suino (PPV): elisa di tipo blocking (PPV blocking
ab, Agrolabo).
Circovirus Suino di tipo II (PCV2): elisa di tipo capture
(Primacheck circovirus IgG/IgM, Agrolabo). Il kit è in grado
di evidenziare positività da IgG, (infezione pregressa), da
IgM (infezione in atto) o da entrambe, indice di infezione
recente.
Elisa AD – elisa di tipo indiretto (Pseudorabies virus gpI
antibody test kit, Idexx) per la ricerca di anticorpi contro la
glicoproteina gpI del virus.
I test sono stati condotti secondo le indicazioni delle ditte produttrici
Risultati
Nella tabella 1 vengono illustrati i risultati complessivi ottenuti su
241 campioni analizzati.
Tabella 1: Risultati ottenuti per i patogeni esaminati
PPV
Analizzati
Positivi
Sieroprevalenza
(IC 95%)
Non
idonei
237
86
36,3 (39,2-42,8)
4
AD
207
102
49,3 (42,3-56,3)
34
PRRS
241
5
2,1 (0,8-5,0)
0
PCV2
232
65
28,0 (22,4-34,3)
9
Come riportato in tabella, è stata rilevata la presenza di anticorpi
nei confronti di tutti i patogeni analizzati. Le prevalenze stimate
variano in relazione al patogeno, passando da un 2,1% per
il PRRS al 49,3% per AD. Per quanto riguarda il PCV2, il 28%
di prevalenza comprende le positività da IgG (23.5%), da IgM
(0.8%), e da entrambe, indice di infezione recente (3.7%).
I dati sono stati suddivisi per sesso (Figura 2), età (Figura 3) e
localizzazione geografica (Figura 4), secondo quanto indicato nei
materiali e metodi.
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
Figura 2: sieroprevalenza per sesso
(1, 2, 5). Per quanto riguarda PRRS, studi analoghi in Europa non
hanno evidenziato anticorpi contro il virus, mentre in Italia lavori
più recenti hanno rilevato percentuali di positività decisamente
superiori alla nostra (2). Gli stessi autori suggeriscono che questo
virus, una volta entrato nella popolazione dei cinghiali, si diffonda
in modo limitato probabilmente per la difficoltà di trasmissione
in una popolazione di bassa o media densità (2). In Italia la
presenza di anticorpi contro PPV nei cinghiali è stata evidenziata,
con percentuali variabili: 7,9% in Campania (2) e 30,1% nelle Alpi
occidentali (1). I nostri dati indicano che anche la popolazione
dei cinghiali in Sardegna è esposta al parvovirus suino e questo
rappresenta un potenziale rischio per i suini domestici. La
sieroprevalenza per PCV2 nei cinghiali varia in Europa dal 30
al 40%, in accordo con i nostri risultati. L’elevata prevalenza
evidenziata nel Nord Sardegna potrebbe essere dovuta al
maggior utilizzo dell’allevamento semibrado in questa zona. Sia
per PPV che per PCV2 il ruolo di serbatoio del cinghiale è ancora
da accertare dato l’alto tasso di infezione nei suini domestici e la
mancanza di informazioni sulla direzione della trasmissione virale
fra le due specie (5).
Per quanto riguarda la malattia di Aujeszky, precedenti lavori
condotti in Sardegna nel 1991 e nel 1996 (4,5), riportano percentuali
di positività rispettivamente del 28,8 e del 27,9%. Dal 1997 in
Sardegna viene applicato il piano nazionale di controllo della
malattia, che prevede la vaccinazione dei suini, ma è probabile
che chi pratica l’allevamento brado o semibrado, all’interno di
territori in cui il suino domestico vive insieme al selvatico, non
vaccini i propri capi. Dall’ultimo dato in nostro possesso (1996),
la percentuale di sieropositività per AD è quasi raddoppiata, ma
nonostante ciò non si hanno segnalazioni recenti di focolai nel
domestico (ultimo focolaio: Oristano 2006). D’altra parte anche
per questo virus il ruolo di serbatoio per i domestici è controverso
perchè alcuni autori segnalano differenze molecolari fra i ceppi
isolati nelle due specie (5). Sicuramente l’infezione da virus AD
nei cinghiali in Sardegna ha assunto i caratteri epidemiologici tipici
delle infezioni da virus erpetici, il cui successo evoluzionistico è
correlato a fenomeni di latenza. Questo garantisce la persistenza
virale anche in popolazioni formate da pochi individui che vivono
in condizioni di isolamento.
Complessivamente i nostri dati indicano interessanti spunti
sull’epidemiologia delle patologie virali analizzate. La mancata
significatività è probabilmente da attribuire alla bassa numerosità
campionaria, pertanto saranno necessari ulteriori studi per
confermare quanto osservato.
La suddivisione per sesso non ha mostrato differenze significative
fra maschi e femmine.
Figura 3: sieroprevalenza per età
La suddivisione per età mostra un trend crescente per la malattia
di Aujeszky e per PCV2 al crescere dell’età, ma tale trend non è
risultato significativo.
Figura 4: sieroprevalenza per zone
Bibliografia:
1) Ferroglio E., Acutis P.L., Masoero L., Gennero S., Rossi L.
(2003) Indagine su una popolazione di cinghiali nelle Alpi
occidentali. J. Mt. Ecol., 7 (Suppl.): 225-228.
2) Montagnaro S., Sasso S., De Martino L., Longo M., Iovane
V., Ghiurmino G., Pisanelli G., Nava D., Baldi L., Pagnini U.
(2010). Prevalence of antibodies to selected viral and bacterial
pathogens in wild board (Sus scrofa) in campania Region,
Italy. Journal of Wildlife Disease 46 (1) 316-319.
3) Oggiano A., Patta C., Laddomada A., Caccia A. (1991)
Indagine sieroepidemiologica sulla diffusione della Malattia
di Aujeszky nei cinghiali della Sardegna. Atti Società Italiana
delle Scienze Veterinarie Volume XLV: 1157-1161.
4) Oggiano A., Patta C., Sarria A., Sanna M.L., Laddomada A.,
Cabras P. (1996) Indagini sieroepidemiologiche nei cinghiali
in Sardegna. Supplemento alle Ricerche di Biologia della
Selvaggina XXIV: 637-643.
5) Ruiz-Fons F., Segalés J., Gortázar C. (2008) A review of viral
disease of European wild boar: Effects of population dynamics
and reservoir role. The Veterinary Journal 176, 158-169
Infine la suddivisione per zone non ha mostrato differenze
significative per PPV, AD e PRRS, mentre nel Nord è stata
riscontrata una prevalenza significativamente superiore per
PCV2 (p=0).
Discussione
Molti malattie virali hanno come ospite sia il suino che il cinghiale.
Questo lavoro ha lo scopo di valutare l’eventuale circolazione nei
cinghiali di alcuni virus di notevole importanza per l’allevamento
suino, per i quali si pratica la vaccinazione su base volontaria nel
domestico. La presenza di un reservoir selvatico può condizionare
il successo di una eventuale campagna di controllo della malattia,
soprattutto quando il domestico ed il selvatico condividono lo
stesso habitat. Questo è il primo studio condotto in Sardegna per la
ricerca di anticorpi contro i virus PRRS, PCV2 e PPV nei selvatici.
Le percentuali di sieropositività riscontrate sono in accordo con
quanto evidenziato da altri autori, anche se esiste una notevole
variazione nella prevalenza individuata dai vari gruppi di ricerca
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XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Genova, 27-29 Ottobre 2010
PROVE DI LISOGENIA CON VIRUS BATTERIOFAGI VETTORI DEL GENE STX2 IN CEPPI ENTEROPATOGENI
DI ESCHERICHIA COLI ISOLATI DA ALIMENTI
Delle Donne G., Mancusi R. , Trevisani M.
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale- Alma Mater Studiorum Università di Bologna
Key words: Escherichia coli produttori di verocitotossine (VTEC), fago-lambda (λ), Shiga-tossina tipo 2 (Stx2).
Introduzione: La presenza di Escherichia coli produttori
di Shiga-tossine è un problema emergente di sicurezza
alimentare. Dati nazionali mostrano che l’infezione è presente
in modo diffuso negli allevamenti di bovini da carne e da latte
(1,2,3,4,5). Tra i fattori che hanno influito sull’evoluzione della
virulenza di questi batteri si ritiene abbiano un ruolo rilevante
i virus batteriofagi di tipo lambda in grado di veicolare geni
che codificano la produzione di shigatossina 2 (Stx2). I
batteriofagi lambda StxII possono infatti infettare alcuni ceppi
di Escherichia coli, inducendo un ciclo lisogeno ed integrando
il gene che codifica la produzione di verocitotossina nel
genoma. Se il ceppo ricombinante è un Escherichia coli
enteropatogeno, cioè già possiede i geni eae o saa che
codificano le intimine responsabili dell’adesione batterica
ai villi intestinali, l’acquisizione della capacità di produrre
verocitotossina rende il ceppo estremamente pericoloso per
l’uomo, con l’eccezione di alcune varianti (Stx2e ed Stx2f) per
le quali nella specie umana non ci sono i recettori cellulari.
E’ possibile isolare dalla carne e dal latte bovino ceppi
enteropatogeni dei sierotipi O157 e O26 che si dimostrano
non verocitotossici (5). La presente ricerca mira a verificare
se questi ceppi non verocitotossici possono essere infettati
dai batteriofagi vettori del gene Stx2, poiché la conferma della
loro recettività e della stabilità del fago nell’ospite batterico
avrebbe una notevole rilevanza per la sanità pubblica se
questo comporta che il ceppo acquisisce la capacità di
produrre verocitotossine. A questo fine lo studio mira la
verificare se l’integrazione del gene Stx2 nei ceppi lisogeni
avviene nella regione prossima al gene rho, poiché recenti
studi (6, 10) mostrano che solo se integrato in tale regione
il gene Stx2 viene espresso e dà luogo alla produzione della
tossina.
Materiali e metodi: Nello studio di lisogenia è stato utilizzato
un fago Stx2 isolato in precedenza da un campione di pelle
bovina mediante la procedura descritta da Muniesa (6) e
come ceppi ospiti stipiti di Escherichia coli isolati da filtri di
due diversi impianti di mungitura del latte. I ceppi erano stati
isolati impiegando le procedure definite dalle linee guida EFSA
(7) e risultavano essere del sierotipo O157 e del sierotipo
O26 (Tabella 1). In entrambe i ceppi era stata riscontrata la
presenza del gene codificante Stx2, oltre che dell’intimina
(eae), ma nei successivi passaggi le colonie mostravano
di aver perso il gene Stx2. I ceppi sono stati analizzati per
evidenziare la presenza dei geni caratterizzanti dell’isola di
patogenicità OI-122 (8).
La lisogenia è stata studiata applicando la procedura
descritta da Muniesa et al. (6) ma il riconoscimento dei ceppi
Stx2 lisogeni è stata fatta mediante isolamento su un terreno
contenente cloramfenicolo dopo aver ricombinato il fago
come descritto da Serra Moreno et al. (9) e in particolare
ricombinando il fago Stx2 mediante inserimento del gene di
resistenza al cloramfenicolo ( fago φstx2-ΔCm). In tal modo
le colonie lisogene, oltre ad integrare il gene Stx2, sono
resistenti all’antibiotico e possono essere facilmente isolate
su terreni selettivi, senza ricorrere a tecniche d’ibridazione.
Cinque colonie cloramfenicolo-resistenti per ciascun ceppo
lisogeno sono poi state confermate mediante PCR impiegando
la coppia di primer stx2A-Up e Cm3 in modo da identificare
la presenza del gene Stx2. Quindi, amplificando con PCR
la regione del genoma definita dalla coppia dei primer rho e
Cm3, si verifica che l’inserzione di questo gene sia avvenuta
in prossimità del gene rho batterico. Infine si verifica che la
lisogenia si mantenga nel tempo, ripetendo per tre volte il
trapianto delle colonie cloramfenicolo-resistenti su terreno LB
agar contenente cloramfenicolo (10 µg L-1).
Risultati: Da entrambe i ceppi ospite di Escherichia coli
isolati dai filtri di latte è stato possibile ottenere lisogeni Stx2
positivi, ma delle 5 colonie analizzate per ciascun ce