PAOLO BUCHIGNANI

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PAOLO BUCHIGNANI
FASCISMO
Dispense a cura del prof. Paolo Buchignani, costituite da:
- Abstract orientativo
- Introduzione al volume dello stesso prof. Buchignani, La rivoluzione in camicia
nera, Milano, Mondadori, 2006 (Oscar Mondadori 2007), ritenuta utile per una
comprensione sintetica del fenomeno fascista
ABSTRACT ORIENTATIVO
Fascismo-regime e fascismo-movimento (Distinzione dovuta a Renzo De Felice,
Intervista sul fascismo, Bari, Laterza, 1975)
Fascismo-regime: è il fascismo storicamente realizzato nell'Italia degli anni Venti e
Trenta. E' il risultato del compromesso del fascismo con le forze tradizionali (grande
capitale, monarchia, Chiesa cattolica, apparati burocratici).
E' un fascismo più conservatore che rivoluzionario, più autoritario che totalitario. Per
conquistare il potere e mantenerlo Mussolini ha accantonato il programma dei Fasci del
1919, rivoluzionario e più intransigentemente fascista, per spostarsi a destra, per
accordarsi con la borghesia, con la Chiesa, con la monarchia, per fare del fascismo una
forza reazionaria e garante dell'ordine.
Per questo motivo il fascismo-regime è un totalitarismo imperfetto e incompiuto, ma che,
tuttavia, man mano che consolida il suo potere, nel corso degli anni '30, si propone di
divenire sempre più autonomo dalle forze che l'hanno condizionato e lo condizionano,
tende a realizzare un totalitarismo sempre più compiuto, a realizzare la sua ideologia, che
è totalitaria, a dare una sua specifica impronta al paese sul piano politico, economico,
sociale, culturale, antropologico (corporativismo, creazione dell 'uomo nuovo", liturgia
fascista, leggi razziali). Un progetto (sostanzialmente la costruzione della "terza via" tra
capitalismo e comunismo) che fallisce anche perchè il regime viene travolto dalla guerra.
Fascismo-movimento: è composto da quei fascisti, i quali, pur avendo salutato con
favore la distruzione dello stato liberale e l'avvento della dittatura, sono insoddisfatti del
fascismo-regime. Numerose ed eterogenee sono le componenti del fascismo-movimento.
Per semplificare si possono distinguere all'interno di esso:
a) una piccola minoranza di fascisti reazionari (il gruppo facente capo a "L'Impero" di
Carli e Settimelli, a Brunati, a Fanelli), i cosiddetti monarchici assolutisti, sovversivi di
destra contrari alla monarchia costituzionale e al potere dei gerarchi e fautori della
trasformazione del regime in una sorta di monarchia assoluta in cui tutto il potere sia
concentrato nelle mani di Mussolini, divenuto un monarca assoluto a capo di una società
di antico regime;
b) una grossa componente, ben più importante, di fascisti rivoluzionari (come essi si
definivano, mentre oggi sono più comunemente noti come "fascisti di sinistra"), per i quali
il fascismo realizzato (il regime) non è il vero fascismo, ma solo un mediocre
compromesso a cui Mussolini (un autentico rivoluzionario, in sintonia con le loro opinioni)
sarebbe stato costretto. Di conseguenza essi, in nome del Duce (che li bladisce a parole,
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ma spesso li colpisce coi prefetti) attaccano duramente la borghesia, i gerarchi, le forze
tradizionali ed invocano una rivoluzione che realizzi il programma fascista del 1919 e la
creazione della "terza via".
In quanto rivoluzionari, accesi fautori di una rivoluzione palingenetica e permanente
(economica, sociale, culturale, antropologica), fondata sulla mobilitazione e l'integrazione
delle masse, i "fascisti di sinistra" spingono nella direzione di una lotta più dura e radicale
nei confronti di tutte quelle forze che si oppongono alla trasformazione da essi auspicata:
rivendicano, di conseguenza, un inasprirsi della dittatura ed un più accentuato
totalitarismo, anche se spesso rivendicano contemporaneamente maggiori spazi di libertà
per i fascisti dentro il fascismo.
Dunque, il "fascismo-movimento" è più rivoluzionario e, di conseguenza, più totalitario del
"fascismo-regime" e contribuisce all'accentuazione del totalitarismo negli anni '30.
Punto di riferimento essenziale del "fascismo di sinistra" (oltre a Mussolini) è Giuseppe
Bottai, direttore di "Critica fascista", gerarca importante, più volte ministro. Alcuni "fascisti
di sinistra": Gherardo Casini, Alessandro Pavolini, Luigi Fontanelli, Ugo Spirito, Berto
Ricci, Romano Bilenchi, Vasco Pratolini, Elio Vittorini e tanti altri.
Ruolo di Mussolini
Mussolini sta a cavallo tra il "regime" (di cui è il fondatore) e il "movimento", che spesso
blandisce e utilizza nelle lotte interne al regime. Si muove con spregiudicatezza e abilità
tra l'uno e l'altro a seconda dei momenti e delle circostanze. Egli è il personaggio-chiave
per capire il fascismo.
Fascismo autoritario e fascismo totalitario (Distinzione dovuta a Emilio Gentile, Il mito
dello stato nuovo dall'antigiolittismo a fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp.231-238)
Fascismo autoritario (Alfredo Rocco, Luigi Federzoni) Fascisti di origine nazionalista,
che concepiscono lo stato fascista come una versione moderna dell'assolutismo. Per loro
il regime fascista deve identificarsi con la restaurazione dell'ordine e dell'autorità dello
stato minacciati dal liberalismo e dalle masse, Queste ultime devono essere sottomesse e
passive. Il fascismo autoritario coincide con la componente più conservatrice del
fascismo-regime.
Fascismo totalitario (Giuseppe Bottai) Fascismo come costruzione del nuovo: di un
nuovo stato, di una nuova società, di una nuova civiltà, di un "uomo nuovo"; fascismo
come "terza via" tra capitalismo e comunismo. Il fascismo totalitario vuole permeare della
sua ideologia tutti gli aspetti della società e dello stato; vuol fare delle masse non dei
"sudditi passivi", ma dei "soldati fanatici e convinti" (Gino Germani, Autoritarismo,
fascismo e classi sociali, loro Bologna, Il Mulino, 1975). Esso punta non sulla
passivizzazione delle masse, ma sulla loro mobilitazione e sulla identificazione con il capo
carsmatico.
Di fatto il fascismo totalitario si identifica con il "fascismo rivoluzionario" o "di sinistra".
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INTRODUZIONE AL VOLUME DI
PAOLO BUCHIGNANI, LA RIVOLUZIONE IN CAMICIA NERA Dalle origini al 25 luglio
1943, Milano, Mondadori, 2006 (Oscar Mondadori, 2007)
Introduzione dell’autore
Destra o sinistra? Reazione o rivoluzione? Che cosa è stato il fascismo? Certamente un
fenomeno articolato e complesso, che sfugge a facili schematizzazioni, a rigide categorie
interpretative.
Il regime fascista, costruito dal nazionalista reazionario Alfredo Rocco nell'Italia degli anni
'20, fu conservatore e autoritario. Rocco si proponeva di dar vita ad uno Stato che si
configurasse come una moderna versione dell'assolutismo, capace di restaurare l'ordine
borghese, minacciato dalla democrazia parlamentare e dal socialismo, di garantire la
riduzione delle masse a sudditi obbedienti e passivi, assoggettati al potere.
Quel regime, espressione delle forze tradizionali e conservatrici (la borghesia, la
monarchia, la Chiesa cattolica) era fortemente avversato dal "fascismo rivoluzionario" e
"totalitario"1, la cui vicenda viene indagata e ricostruita in questo libro fino alla data del 25
luglio 1943: un fascismo sovversivo, squadrista e dinamico (più autenticamente fascista,
potremmo dire), alimentato dai miti originari del diciannovismo: la guerra, la violenza, la
rivoluzione; miti germogliati sul terreno dell'interventismo mussoliniano del 1914-15, del
sindacalismo soreliano e corridoniano, del sovversivismo vociano, del futurismo, del
fiumanesimo.
I "fascisti rivoluzionari" non avevano apprezzato né l'esito governativo della "marcia su
Roma", che giudicavano un mediocre compromesso col liberalismo conservatore, né il
"ritorno all'ordine" seguito al discorso del "duce" del 3 gennaio 1925.
Giudicavano positivamente, invece, la fine dello Stato liberale e l'instaurazione della
dittatura, ma puntavano a trasformarla da autoritaria e conservatrice in totalitaria e
rivoluzionaria: reclamavano il monopolio del potere da parte del fascismo per promuovere
una intensa opera di fascistizzazione della società e dello Stato ed una costante
mobilitazione delle masse, da trasformare non in "sudditi passivi", ma in "soldati fanatici e
convinti"2, agli ordini del "duce", capo carismatico, oggetto di identificazione e di mistica
venerazione.
Quella svolta totalitaria, oltre a produrre una profonda rivoluzione antropologica (creare
l'"uomo nuovo di Mussolini" antitetico a quello "borghese"), avrebbe dovuto seppellire per
sempre la civiltà liberale-capitalistica creata dalla borghesia e fondare la "nuova civiltà
fascista": una sorta di "terza via", alternativa tanto al liberalismo (e al capitalismo), quanto
al comunismo.
I "fascisti rivoluzionari" sono ex combattenti, squadristi, sindacalisti: tra di loro spicca la
figura di Giuseppe Bottai, già "ardito" e futurista, finissimo intellettuale e gerarca di primo
piano, punto di riferimento fondamentale per la giovane generazione; la quale, tuttavia,
ancor di più appare sedotta dal fascino magnetico del "duce" (anch'egli a cavallo tra
"fascismo autoritario" e "fascismo totalitario, vicino al primo negli anni '20, al secondo
negli anni '30 e '40)", a cui attribuisce (vedremo se ed eventualmente in quale misura a
torto o a ragione) la sua stessa volontà rivoluzionaria.
"Eretici" del fascismo - come sono stati sovente definiti - questi sovversivi in camicia nera?
Non eretici: essi si considerano (e sono realmente), al contrario, ortodossi: i più strenui
difensori, i più fedeli custodi dell'ideologia, dei miti, dei programmi e dei propositi del
fascismo delle origini: antiborghese, bellicista, totalitario, rivoluzionario. Quel fascismo
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sarebbe stato adulterato, imborghesito, tradito dalle forze conservatrici interne ed esterne
al regime.
Forze, di conseguenza, da combattere e da sconfiggere, per recuperare l'ispirazione
originaria del "movimento", disincagliare la rivoluzione dalle secche del moderatismo e
fondare la "nuova civiltà".
Questa componente del fascismo è stata anche definita "di sinistra", con un termine
entrato nell'uso e largamente accettato 3. Ciò è avvenuto sulla base dell'idea che la
categoria di "rivoluzione" sia di esclusiva pertinenza della sinistra, mentre la destra non
possa essere altro che reazionaria.
Ma è prorio così? O, per lo meno, è sempre così? La complessità degli eventi storici,
ancora una volta, sembra farsi beffe di coloro che pretendono costringerla in rigide gabbie
ideologiche.
Zeev Sternhell, per esempio, a proposito di una certa cultura politica che avrebbe
costituito la genesi francese del fascismo nel periodo 1885-1914, mette in luce l'esistenza
di una "destra rivoluzionaria"4.
Non diversamente, ci sembra del tutto lecito definire "rivoluzionario" (come riteneva di
essere e sovente si proclamava) il fascismo oggetto di questo studio, in quanto si propone
di sovvertire l'ordine esistente per creare il "nuovo". Quanto a dire se sia "di destra" o "di
sinistra", forse è più agevole iscriverlo alla prima piuttosto che alla seconda, pur ritenendo
che, per alcuni versi, esso appartiene anche a quest'ultima e soprattutto non mancando di
mettere in luce le potenzialità che consentono a coloro che ne fanno parte di transitare dal
sovversivismo nero a quello rosso, come effettivamente accade a molti giovani
mussoliniani, approdati, in tempi diversi, alla sponda della sinistra antifascista.
Discettare sull'appartenenza dei "fascisti rivoluzionari" alla destra o alla sinistra rischia di
rivelarsi un'operazione oziosa, che limita, anzichè favorire la loro comprensione.
Essi, se da un lato presentano una irriducibile avversione nei confronti della borghesia e si
battono per la rivoluzione anticapitalistica (mostrando un volto indubbiamente
riconducibile alla cultura politica della gauche), con non minore passione e convinzione
combattono per la "conquista dell'impero", che considerano complementare a quella
rivoluzione; nutrono, inoltre, per il "duce", una fanatica venerazione, quale sommo
sacerdote di una religione laica e militarista fondata sul sacrificio e sull'eroismo. (Ed ecco
che prendono corpo la mitologia e la cultura della destra).
E poi l'idea della "guerra rivoluzionaria" e "sociale" contro le "demoplutocrazie" (la
seconda guerra mondiale), entusiasticamente salutata da molti sovversivi in camicia nera,
come irripetibile occasione per rovesciare la borghesia interna e internazionale, è di
"destra" o di "sinistra"? Di sicuro è il prodotto di un mito potente, totalitario e trasversale,
che ha pervaso l'intero 900, diversamente declinato nel comunismo e nel fascismo, ma in
entrambi presente.
Un mito che ha consentito a molti "fascisti rivoluzionari", malgrado le innegabili differenze
ideologiche tra i due totalitarismi, di abbandonare i gagliardetti per continuare la battaglia
all'ombra delle bandiere rosse.
Esistono, insomma, a giudizio di chi scrive, motivazioni sufficienti per preferire,
all'espressione "fascismo di sinistra", quella di "fascismo rivoluzionario" (adoperata, del
resto, a suo tempo, da coloro che vi appartennero): espressione meno ideologizzata e
forse più corretta per indicare un fenomeno così complesso e variegato.
"Fascismo rivoluzionario", dunque, ma anche "totalitario", essendo la rivoluzione e il
totalitarismo due facce della stessa medaglia: i "fascisti rivoluzionari" invocano più
totalitarismo per avere più rivoluzione (per colpire più a fondo la borghesia e i moderati) e
più rivoluzione per avere più totalitarismo (la "nuova civiltà fascista" del tutto fascistizzata);
anche se, nell'ambito di quel sistema chiuso agli altri soggetti politici, reclamano maggiore
dinamismo e, per i fascisti (ma soltanto per loro) più ampie possibilità di critica.
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Quale l'esito della loro ventennale battaglia? Sostanzialmente una sconfitta, dal momento
che la rivoluzione sociale non decolla, quella antropologica fallisce, il sogno della "nuova
civiltà" s'infrange ben presto sui fronti di guerra, travolto (assieme al "regime" e al
"movimento") dalla disfatta militare subita in un conflitto (la seconda guerra mondiale), che
avrebbe dovuto, nelle parole del "duce" e nelle intenzioni dei "fascisti rivoluzionari",
tradurlo in realtà e portare a compimento quella rivoluzione che la borghesia e i moderati
avevano insabbiato e "tradito".
Eppure Mussolini, fin dall'inizio degli anni '30, aveva suscitato nei giovani grandi speranze:
dapprima con l'apertura del "terzo tempo" e la promessa di affidare loro l'esaltante
compito di edificare la "civiltà fascista" (anticapitalistica, corporativa, "imperiale"); poi,
dopo la guerra d'Etiopia, con l'"accelerazione rivoluzionaria e totalitaria", concretizzatasi in
una serie di iniziative e di provvedimenti (la campagna antiborghese ed una ripresa del
"populismo", il rafforzamento delle prerogative del Pnf, la legislazione razziale ed
antisemita, la sostituzione della Camera dei deputati con quella dei Fasci e delle
Corporazioni, la Carta della scuola di Bottai, la creazione del ministero della Cultura
Popolare e della Gioventù italiana del Littorio, l'abolizione del "lei"); iniziative e
provvedimenti assai graditi ai "rivoluzionari neri" (tra i quali soltanto alcuni dissentirono
dalle leggi razziali, mentre altri le salutarono con favore come una manifestazione della
battaglia contro la borghesia, di cui gli ebrei erano considerati la punta di diamante).
La guerra, infine, come si è detto, avrebbe dovuto, secondo loro, completare l'opera:
realizzare quella rivoluzione sociale che da anni veniva procrastinata; porre fine, di
conseguenza, al dominio economico-sociale, oltre che culturale ed istituzionale, della
borghesia e realizzare nella sua pienezza il totalitarismo mussoliniano.
Da tutto ciò risulta evidente quanto totalitaria fosse la vocazione del "fascismo
rivoluzionario", quanto più dura, pervasiva, repressiva (assai più simile al nazismo e allo
stalinismo) sarebbe stata la dittatura fascista se le istanze in esso contenute si fossero
interamente realizzate.
E non era impossibile che ciò, in larga misura, potesse avvenire (tenendo conto, come
vedremo, delle posizioni del "duce" negli ultimi anni), se la disfatta militare non avesse
determinato il crollo del regime.
Tanti giovani che in esso si erano formati, che erano stati educati al disprezzo della
democrazia parlamentare (giudicata, con argomentazioni assai longeve e riaffioranti più
tardi, in altri contesti, "formale" e "borghese" e, comnque, morta e sepolta), si erano battuti
per trasformare il fascismo da autoritario e conservatore in totalitario e rivoluzionario,
perchè convinti, in perfetta buona fede e animati dalle più nobili intenzioni, che quella
fosse la strada per superare le secolari arretratezze della società italiana, le ingiustizie
sociali, per costruire quell'Italia "grande" e "popolare" sognata dai padri del Risorgimento
democratico (Mazzini, Garibaldi), emarginati e "traditi" dalla monarchia sabauda e dalla
borghesia liberale e giolittiana.
Alcuni, addirittura, sulla base di una visione religiosa ed estetica della politica, assai
diffusa tra gli intellettuali del '900, interpretavano il fascismo da costruire come una
palingenetica rivoluzione, capace di generare un "mondo nuovo", liberato per sempre da
tutte le iniquità, le "impurità", le contraddizioni, imputabili al "materialismo egoistico" della
borghesia: una sorta di Eden omologato e totalitario, scaturito da una ripresa dello
squadrismo o da una "guerra rivoluzionaria": comunque da una "violenza catartica", che
avrebbe "bonificato" la società da tutto ciò che di "borghese" in essa fosse sopravvissuto 5.
E l'aggettivo "borghese", per i "fascisti rivoluzionari", significa per definizione "antifascista"
e refrattario al fascismo. Il "borghese" (e tali sono sovente considerati anche gli ebrei e i
massoni) non è un avversario politico, ma un essere "impuro", "infetto", un "parassita
morale" da isolare e distruggere, secondo una logica, tipica dei totalitarismi del '900,
responsabile degli universi concentrazionari e di tutti gli orrori ben noti.
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La sconfitta del "fascismo rivoluzionario e totalitario", o forse, meglio, l'interruzione
traumatica di un processo potenzialmente capace di condurre alla sua realizzazione, ha
risparmiato all'Italia un supplemento di tragedia e di sangue.
Tale esito, tuttavia, niente toglie all'importanza di questo fenomeno su diversi piani e da
diversi punti di vista. Esso, intanto, costituisce il nocciolo ideologico originario del
movimento fascista, che sopravvive per tutto il ventennio, scavalca il 25 luglio, rialza la
testa a Salò e riemerge perfino nel dopoguerra. Il regime ne è condizionato e, a partire dal
'36, comincia ad accoglierne alcune istanze, soprattutto per volontà di Mussolini.
E qui si pone un problema assai rilevante e complesso, che non mancherà di essere
affrontato nel corso della trattazione: quello relativo al rapporto tra il "duce" e questa
componente del fascismo, da lui strumentalizzata, blandita, repressa, difesa e cavalcata a
seconda dei tempi e delle circostanze. In quale misura, viene da chiedersi, egli condivise
le idee dei "fascisti rivoluzionari" e si adoperò per realizzarle? E' lecito estendere anche a
lui la definizione di "fascista rivoluzionario"?
Infine il tema del consenso; del consenso al regime specialmente delle classi lavoratrici e
popolari, dei giovani, degli intellettuali.
Si può affrontare un argomento di questo genere senza tener conto del ruolo
fondamentale svolto, su questo piano, da un fascismo che non si presentava come un
restauratore del passato, ma come un costruttore dell'avvenire, di un modello di uomo e di
società capaci di rappresentare, di fronte alla drammatica crisi del capitalismo esplosa
nell'ottobre del '29 (e vissuta dai contemporanei anche come "crisi di civiltà"), una risposta
nuova e progressiva ai problemi di una moderna società di massa?
Per la distinzione, adottata nel presente lavoro, tra "fascismo autoritario" e "fascismo totalitario",
cfr.E.GENTILE, Il mito dello Stato nuovo dall'antigiolittismo al fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp.231238.
1
2
Queste espressioni sono dovute a Gino Germani (G.GERMANI, Autoritarismo, fascismo e classi sociali,
Bologna, Il Mulino, 1975, p.255), che descrive efficacemente il fenomeno della partecipazione delle masse
nei regimi totalitari, con particolare riferimento al fascismo italiano.
Esiste anche un volume con questo titolo: L.L.RIMBOTTI, Il fascismo di sinistra, Roma, Edizioni Settimo
Sigillo, 1989.
3
4
Z.STERNHELL, La destra rivoluzionaria, Milano, Corbaccio, 1997.
5
Si veda, per esempio, R.PAVESE, Bonifica antiborghese, in Processo alla borghesia, a cura di E.Sulis,
Roma, Edizioni Roma, 1939, pp.51-70.