NIMA Ho voluto vivere/Ho dovuto uccidere Soggetto del febbraio
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NIMA Ho voluto vivere/Ho dovuto uccidere Soggetto del febbraio
NIMA Ho voluto vivere/Ho dovuto uccidere Soggetto del febbraio 2007/rivisitazione del settembre 2011 Una giornalista della Rai, Emma, viene inviata a Tel Aviv per un servizio sui territori occupati. Per caso, durante una visita al palazzo del Governo, lungo i corridoi, appena fuori da un ufficio dei servizi segreti dove ci sono in quel momento anche gli addestratori delle reclute del mossad, incontra NIMA, una giovane reclutata per essere addestrata a compiere una missione pericolosissima nei territori occupati e in Siria. NIMA è una giovane donna che se ne sta su una sedia immobile con il viso rivolto alle proprie scarpe, senza dire nulla attirando l’attenzione della giornalista. Le due donne Emma e NIMA (è un nome in codice) si assomigliano fisicamente in modo incredibile, e in quel casuale incontro, ostacolato da una naturale confusione delle circostanze ma anche dagli ufficiali presenti e dal capostruttura della Rai, che non vuole problemi, accade qualcosa. Emma le si avvicina, richiamata più volte dal capo struttura. Le due donne si guardano, si scambiano qualche parola, poi gli ufficiali dell’esercito impediscono la prosecuzione. Emma rimane scossa dalla violenza di uno dei due soldati ma soprattutto rimane impietrita dallo sguardo di quella donna ignota che si presenta come Nima. Le due donne si guardano per degli interminabili secondi prima di essere divise e si riconoscono in qualcosa che è misterioso. Emma, dopo quello strano episodio, prosegue la sua visita a Tel Aviv. Una sera non riesce a prendere sonno ed esce per le vie semi deserte della città. Giunge fino al palazzo dove ha conosciuto NIMA. Ai soldati al posto di blocco fa vedere il nome in codice scritto sul braccio, lo stesso che aveva adocchiato di sfuggita durante il primo incontro con NIMA. La straordinaria somiglianza non dà dubbi al soldato di guardia che la fa entrare (i servizi segreti non hanno orari e NIMA entra a tutte le ore del giorno e della notte). Percorre le scale, alcuni corridoi e poi giunge in fondo ad uno di questi nei pressi di una stanza a lato del corridoio dove ricordava il primo incontro con la donna. Emma entra nella porta socchiusa e si accorge che in fondo alla stanza c’è una porta simile a quella di una cella con un vetro simile ad uno spioncino ed assiste ad una scena: gli ufficiali del mossad stanno “preparando” NIMA alla missione; gli stanno esercitando una pressione psicologica con un colloquio dove si simula NIMA prigioniera dei servizi nemici. Questa è la prassi ed è la parte più forte dell’addestramento, il Krav Maga: tradotto significa vivi ed esisti. Una vera e propria tortura psicologica e fisica visto che la stanno pestando veramente e usando su di lei alcuni strumenti di tortura. Vivi ed esisti. In poche parole bisogna farsi prendere, bisogna fare in modo che ti torturino e che accertino la tua estraneità eppoi diventi uno di loro veramente, e puoi attingere le informazioni da trasmettere ai tuoi. Farsi prendere con la violenza poi per la psicologia femminile ha altri e più complessi significati. Stare in un gruppo di hezbollah o con i siriani superando il sospetto è la salvezza, ma per fare questo bisogna fare un addestramento vita/morte fortissimo, bisogna conoscere e praticare il krav Maga. NIMA usa l’informatica ed ha ufficialmente il compito di infiltrarsi , “truccare e alterare” i sistemi informativi del nemico per attingere informazioni. Ma per fare questo deve obbligatoriamente essere catturata dal nemico, torturata e poi, dopo una resistenza inflessibile, essere rilasciata non essendo più ritenuta sospetta. E deve andare sempre in questo modo. Non c’è alternativa. Emma vede se stessa in quella donna, è come se si stesse guardando allo specchio. E ad un certo punto si accorge che NIMA l’ha vista, l’ha scorta al di là del vetro. L’indomani NIMA verrà a farle visita in albergo travestendosi da cameriera, con un trucco così pesante da nascondere i lividi ancora presenti sul suo volto e durante quell’incontro la spia avviserà la giornalista di non farsi mai più vedere e di non raccontare nulla e soprattutto di non scrivere nulla, pena la vita. Emma non la lascia andare e comincia ad incalzarla con delle domande precise, con una prontezza di spirito che stupisce anche NIMA. La giovane donna si lascia andare e racconta ciò che ha visto durante le prime missioni d’addestramento e di come viene addestrata. Emma l’indomani verrà fatta partire improvvisamente obbligata dal suo capostuttura della rai senza poter parlare alla conferenza dei giornalisti indetta a TelAviv. Emma cercherà di inviare alla Reuters alcune notizie su NIMA, ma scoprirà che la Reuters le altererà completamente fino a renderle diverse. La giornalista allora non insiste, ritornando sui suoi passi e facendosi passare una rabbia indicibile che ha coltivato dentro di sé, ricordando le parole di NIMA sulla rivelazione di quelle notizie. Emma partirà, sentendosi anche male, e verrà accompagnata dal capo struttura fino a casa di sua nonna, nella campagna friulana. Tra i due c’è un rapporto che travalica la sfera professionale. Emma però comincia a dubitare anche del collega, raccontando della reuters e accennando a NIMA, sentendosi dire di lasciar perdere, che tanto non potrebbe fare assolutamente nulla, sono cose più grandi dei poveri giornalisti. Emma è sconvolta, sono stati messi in dubbio i suoi fondamenti, sul dispaccio delle agenzie, e la donna non smette di pensare ad un grande complotto internazionale teso ad insabbiare certe verità. Emma ne è così provata da finire da uno psichiatra, con il quale conversa su diverse cose tra le quali la sua ostinata ricerca della verità e sul senso delle cose. Da questo momento NIMA continuerà a farsi sentire da Emma di tanto in tanto e a raccontarle in diretta le sue storie, chiamandola attraverso un cellulare satellitare. Per ogni momento vissuto assisteremo al dramma di una donna prigioniera della sua scelta e condannata a non poterne più uscire viva. NIMA parla di come ha cominciato, del dramma della morte della madre e del fidanzato avvenuti nello stesso periodo e in circostanze non del tutto chiare. Ma anche Emma gli comunicherà della sua esistenza, della nonna, della vita in campagna che accenderà in NIMA i suoi ricordi di essere normale, trasformato poi in macchina di morte. Questo ponte di collegamento tra le due donne, che passerà per una serie continua di nuovi cellulari, finirà per far prendere a NIMA la decisione definitiva. Emma dovrà farsi identificare dai servizi segreti in un luogo preciso dell’Europa ad una tale ora e cominciare un depistaggio sull’identità di NIMA prigioniera in modo da diffondere il dubbio tra i servizi segreti. Il gioco di specchi con un susseguirsi di colpi di scena proseguirà fino a quando, durante una missione in Siria, il mossad deciderà di richiamarla per tendergli una trappola, ucciderla e fugare ogni dubbio. Sarà in questa occasione che NIMA riuscirà definitivamente a fuggire e a raggiungere Emma per una nuova vita. A sua volta Emma farà perdere le sue tracce dalle capitali europee, dove si era fatta notare con una regia della spia che sarà magistrale. Le due donne sono legate per la pelle e amiche fino al sacrificio ultimo. Si incontreranno e parleranno a lungo, abbracciandosi più e più volte. NIMA comincerà con Emma una nuova vita facendo la viticoltrice nelle colline friulane. NIMA mentre sta subendo l’addestramento riconosce Emma allo spioncino e tra le due donne avviene un’altra intesa, la seconda fatta solo di uno sguardo, di un attimo. Emma fugge terrorizzata da quel corridoio ed esce dal palazzo tornando in albergo. Ciò che ha visto la sconvolge. L’indomani è ad una conferenza dove ci sono personaggi importanti dei media Israeliani e lei cerca di scrivere un servizio da inviare alla Rai. Lo fa in modo confuso, non riuscendo a togliersi dalla testa ciò che ha visto. Le parole dette alla conferenza dei media gli sembrano assurde e prive di senso. Emma non sta bene e decide di stare nella sua camera d’albergo. Ordina in reception che le venga portato un the caldo in camera. Entra una cameriera che. dopo aver servito il the, si rivela: è NIMA travestita. Emma ha un sussulto. NIMA gli chiede perché ha deciso di rischiare la vita l’altra sera. Emma gli dice che è stato più forte di lei. Nima inizia a raccontarle alcune storie delle più feroci e cruente. Emma si sente male. NIMA la minaccia e le dice che se cercherà ancora di vederla sarà lei stessa ad ucciderla. L’indomani il capostruttura Rai decide di farla ritornare in Italia. Emma rientra e non va a casa sua, si fa accompagnare in una casa di campagna friulana della nonna in mezzo alle colline e ai boschi friulani. Emma piano piano si riprende dallo shock. Rivede se stessa in quel mondo che cercava di raccontare. Dopo alcune settimane Emma controlla la sua casella di posta elettronica. Dopo aver seguito alcune istruzioni di decodifica di un messaggio riconosce chi gli sta scrivendo: è Nima. Nima in missione in Libano Nima in missione a Damasco Nima in missione nei territori NIMA gli racconta le missioni del passato e gli racconta anche di quello che sta vivendo. Un inferno con il Krav Maga. Nima si è trasformata in una macchina per uccidere e racconta tutto a Emma nei minimi particolari. Nel contempo si susseguono gli attentati e gli attacchi suicidi a Tel Aviv e a Gerusalemme, nei territori come in alcuni luoghi di confine della Siria. Tra le due donne nasce qualcosa che va oltre la simpatia. E’ una misteriosa e maledetta identificazione che, partendo dall’aspetto fisico, si è dilatata alla personalità. Emma vive le vicende di NIMA e NIMA sente in Emma piano piano una piccola parte di sé. Nima durante una missione alla quale voleva sottrarsi tra le più pericolose viene torturata e ridotta in fin di vita. Riesce a sopravvivere per miracolo e viene scarcerata per arrivare a rientrare, dopo un giro di depistaggio in Francia, a Tel Aviv. Il suo capo Dov cerca di ricominciare il lavoro di riassorbimento per altre missioni ma NIMA comunica sempre più con Emma, la quale cerca in tutti i modi di far sentire la parte di sé con la quale NIMA si riconosce. Emma parla della campagna friulana, della natura e dei colori della natura nelle sue e-mail. In NIMA qualcosa si è rotto dentro. NIMA comincia piano piano a sottrarsi alla pressione degli allenamenti al Krav Maga in palestra. NIMA comincia a sentire l’imperativo di uscire dai servizi segreti. NIMA si mette in contatto con alcuni colleghi di altri paesi che la vogliono incontrare a Londra per sapere da lei cosa sta succedendo nei territori. Sarà questa l’occasione per Nima di raggiungere e incontrare Emma in Friuli. Durante l’incontro e dopo aver parlato a lungo, NIMA estrae una pistola con il silenziatore e colpisce a morte Emma. Mentre Emma muore, NIMA in lacrime chiama il suo capo Dov per un appuntamento a Londra. A Londra NIMA ucciderà anche il suo capo Dov, per partire per un viaggio verso il sud africa e verso un’altra vita sotto falsa identità. Questa storia è ispirata dal libro: NIMA ZAMAR, Ho dovuto uccidere E vuole raccontare la storia di un essere umano che si rispecchia in un altro per riconoscere in sé le ragioni della vita e della libertà, in un ambiente dove le ragioni di Stato hanno creato una prigione impossibile da evadere. Ma la strada per raggiungere la libertà può avere prezzi diversi a seconda delle scelte che si fanno. Di NIMA ZAMAR non si conosce il vero nome. La sua drammatica esperienza le ha lasciato profonde cicatrici nel corpo e nell’anima e tuttora, rea di aver “tradito” i suoi compagni e abbandonato i servizi segreti, è in costante pericolo di vita. Il film dà due versioni della stessa vita con due finali diversi, a sottolinerare come in presenza di avversità e un destino irrimediabile, in presenza delle stesse difficili circostanze, la scelta dell’essere umano sia sempre in ultima analisi quella decisiva. Andare verso la libertà attraverso l’amore e il rispecchiamento in un altro essere umano può compiersi nell’armonia conquistata e progressiva nella prima parte del film e può compiersi attraverso un carico di sofferenza che viene anche nel dover sacrificare la vita del proprio “liberatore e guida” nel secondo caso. L’essere umano ha in sé, in fondo a se stesso, la vita. Alcune logiche, che hanno delle ragioni e muovono scelte di governanti e uomini comuni per risolvere alcuni conflitti, riescono ad oscurare e ad imprigionare questa vita fino a cacciarla in una cantina buia. La vita comunque, dentro le persone, piano piano con lentezza riprende quasi sempre, anche se con immensa fatica, la sua strada. Stefano Fanzutti