gli slogan leghisti non fermeranno la ricerca di un futuro migliore c

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gli slogan leghisti non fermeranno la ricerca di un futuro migliore c
24º anno - n. 248 - maggio 2015
“... incisioni eseguite con una punta su una superficie dura, per lo
più mettendo allo scoperto un sottostante strato di colore diverso...”
Direzione, Redazione, Amministrazione: Darfo Boario Terme, vicolo Oglio - Direttore responsabile: Tullio Clementi - Autorizz. Tribunale di Brescia n.3/92
del 10.01.92 - Spedizione in abbonamento postale, art. 2 comma 20/d legge 662/96 - Filiale Bs - Ciclostilato in proprio, Darfo Boario Terme.
ecoreati: dov’è la
fretta renziana?
sgocciolamento (trickle-down)
«Se la guerra alla fame nel mondo è in primo
luogo una lotta contro la trasformazione degli alimenti in rifiuti (e non per una più equa
distribuzione delle risorse), è ovvio che ai
poveri e agli affamati del pianeta non spetti
altro che il compito di smaltire ciò di cui i
ricchi si vogliono sbarazzare. Cioè sedersi,
come Lazzaro, ai piedi della tavola del ricco
Epulone. Con il che la Trickle-down economics fa il suo ingresso trionfale nel “lascito”
dell’Expò». (Guido Viale, Il Manifesto)
di Guido Cenini
Il disegno di legge sugli ecoreati, dopo due anni
di discussione, prima a Montecitorio e poi a
Palazzo Madama, è tornato alla Camera dei deputati per il terzo passaggio parlamentare. Si
tratta di una norma che introdurrebbe finalmente la parola ambiente nel codice penale. Fatti
gravi come l’inquinamento, il disastro ambientale o il traffico di materiale radioattivo diventerebbero veri e propri delitti, con sanzioni
adeguate, la possibilità di arresti in flagranza,
tempi di prescrizione raddoppiati.
Il pressing degli inquinatori però non si è fermato: hanno continuato a spingere per ottenere
modifiche e far tornare così la legge al Senato,
affossandola. Togliere questo divieto per fare
un favore ai petrolieri sarebbe anche un imperdonabile regalo alle ecomafie. Non dobbiamo lasciargli campo libero: dopo decenni di disastri
ambientali impuniti sarebbe davvero una beffa.
Il ddl doveva essere approvato subito, senza
modifiche alla Camera! Invece, come ci si
aspettava, le lobby hanno avuto il sopravvento, soprattutto quelle petrolifere, e così si torna
al Senato e i tempi si allungano a chissà quando. Campa cavallo che l’erba inquinata cresce.
Noi aspettiamo la legge per definire esattamente e correttamente cosa sia il sito dell’ex Selca e
cosa si dovrà fare per bonificare l’area.
«... come sintetizzano bene Legambiente e
Libera, promotrici dell’appello “In nome
del popolo inquinato”, “a pochi metri dal
traguardo il governo cambia idea e, dopo
tante rassicurazioni e prese di posizione
pubbliche da parte di diversi ministri, sostiene l’emendamento per togliere subito il
comma sull’air gun dal ddl e lo rispedisce al
Senato, dove ora rischia l’affossamento”...».
Eleonora Martini, “Il governo si piega ai
petrolieri”, Il Manifesto, 6 maggio 2015
NELLA NOSTRA PROVINCIA 610 MIGRANTI IN ATTESA DA UN ANNO
gli slogan leghisti non fermeranno
la ricerca di un futuro migliore
di Federica Nember
Anche chi non segue i telegiornali o non compra i quotidiani sa che gli sbarchi sulle coste
dell’Italia meridionale di uomini, donne e bambini sono ricominciati; immagini e parole si rincorrono sui social network e sui canali televisivi, frasi spente e vuote, sensazionalistiche o retoriche per spiegare qualcosa che è al di là della
nostra comprensione. Un fenomeno che non ha
precedenti nella storia del mondo contemporaneo. Forse solo nella storia antica con le migrazioni di intere popolazioni alla ricerca di terre
meno ostili e più provvide di alimenti possiamo ricercare qualcosa di simile per cercare di
comprendere questa nuova situazione. Chiedo
allora a qualcuno che in questa realtà vive e lavora tutti i giorni, Carlo Cominelli del Centro
Sprar di Breno, di spiegarmi la reale situazione
di un’emergenza che è diventata quotidianità.
Sono i numeri prima di tutto a parlare: solo
nella provincia di Brescia vi sono circa 610
ospiti richiedenti asilo politico o umanitario
che non sono ancora stati ricevuti dalla commissione per la valutazione della richiesta,
persone giunte in Italia l’anno scorso a cui si
dovranno sommare gli arrivi di quest’anno.
Per permettere ai nuovi migranti del 2015 di
avere posto si dovrebbe riconoscere la protezione umanitaria ai richiedenti del 2014, ma
l’attuale situazione politica, con le elezioni regionali alle porte, complica ulteriormente la situazione. La Lega ritorna ai soliti slogan propagandistici e alimenta e cavalca un malcontento che si basa essenzialmente sull’ignoranza, la sinistra permane in una timida incertezza e fatica a costruire e trovare una risposta
praticabile e coerente con la propria storia.
Che la Commissione giudichi le richieste dovrebbe essere dunque la cosa più auspicabile,
ma su questo Cominelli è chiaro: il 60% delle
domande viene respinto, la stessa percentuale di rifiutati si ha nel caso del ricorso al Tribunale di Milano. Tenuto conto che il rimpatrio è praticamente impossibile, si ha un numero altissimo di persone che resta sul suolo
segue a pagina 8
70º della Liberazione a più voci...
Rosi Romelli, Alessio Domenighini, Michele
Cotti Cottini, Giancarlo Maculotti, pag. 4 - 6
Tapioca punta sul solidale italiano
COSTA VOLPINO
Margherita Moles, pag. 6
c’erano una volta i rifiuti...
o mangi ‘sta minestra...
di Andrea Bonadei
il Camuno in America
Tutte le favole più celebri iniziano con «C’era una volta...». Ci sono protagonisti, antagonisti,
ostacoli lungo il cammino, aiutanti, bacchette magiche. Di solito terminano con un felice epilogo,
una morale positiva. E sono spesso determinanti bambini scaltri e coraggiosi. È stupido accostasegue a pag. 3
Bruno Bonafini, pag. 9
Stefano Malosso, pag. 10
la nostra buona scuola
Valerio Moncini, pag. 12
maggio 2015 - graffiti
2
RIMPIANGERE FERRARI, LEGGENDO BAZOLI
e lasciamo stare don Milani
di Bruno Bonafini
Ci aveva abituato bene, Pierangelo Ferrari,
noi iscritti e simpatizzanti del suo partito, e
quindi suoi elettori di collegio. Con una email
settimanale, giorno più giorno meno, per tutta la durata del suo mandato, ci faceva sapere
delle attività correnti in Parlamento, dei suoi
giudizi sulle decisioni in corso, dei suoi voti
e interventi, ampiamente motivandoli. Ma
non mancava, ed erano i pezzi più ghiotti, di
darci i suoi giudizi sulla situazione politica
del momento e sulle prospettive che ne deduceva. Erano interessanti analisi, mai banali
e ripetitive del già detto o noiose rimasticature del pensiero del leader di turno. Considerazioni che non risparmiavano nemmeno il
suo partito, quando ne coglieva insufficienze,
errori od opportunismi (e accadeva spesso),
che fossero imputabili alla linea o agli uomini
che la dovevano mettere in atto.
Che poi, a ben guardare, era solo doveroso rispetto per gli elettori che lo avevano fatto deputato, questo suo impegno. A farci dire che
“ci aveva abituato bene” è solo il confronto
con quanti lo hanno preceduto e con chi lo ha
seguito nella rappresentanza del nostro territorio in Parlamento. Se l’acume e la spregiudicatezza politica, ciò che più si faceva apprezzare nelle comunicazioni di Ferrari, sono un
dato personale, l’impegno a tenere decentemente il contatto con l’elettore potrebbe e dovrebbe essere di tutti. Specie di quanti, deputati poco noti, compaiono poco o per nulla
nei notiziari e sulla stampa anche provinciale.
Se dell’attività dell’on. Corsini, ad esempio, sappiamo molto, e sono note le sue posizioni politiche ed i suoi giudizi sulla legislazione maggiore,
per un certo suo protagonismo che la stampa
coglie, lo stesso non si può dire di quasi tutti gli
altri parlamentari valligiani e provinciali. Che,
non dico l’elettore medio, ma quasi certamente
nemmeno l’iscritto è in grado di seguire, visto
anche lo stato evanescente dei circoli di partito.
Né si può pensare, pietosamente, di sopperire
con qualche battuta su facebook.
Quasi tutti i parlamentari, dicevo, perchè
un’eccezione c’è, quella dell’on. Alfredo Bazoli, l’unico che vuol tenere un contatto sistematico con l’elettore di riferimento. Cosa apprezzabile certamente, pur se doverosa, ripeto. Che non basta tuttavia, almeno per me, a
sanare il rimpianto dei pezzi di Pierangelo
Ferrari. O quantomeno a leggere e a riflettere
su qualcosa di nuovo e diverso.
Bazoli scrive e apre i suoi blog sui temi del dibattito politico e parlamentare, certo; ma leggere una dopo l’altra opinioni, le sue, che riproducono tali e quali le scelte e le opinioni dello
stato maggiore politico parlamentare a cui sembra aver giurato fedeltà di pensiero ed azione,
sollecita il fastidio, o la noia, che in genere si
prova per veline e propaganda, pur quando
questa sia sincera. Quando si aspetterebbero
invece giudizi e analisi più variegati anche da
chi vuol essere unitario. Ciò che potrebbe rendere interessante la lettura e la partecipazione
al dibattito che i blog vorrebbero sollecitare.
La frase di don Milani che fa da logos ideale al
AVANTI GRAN PARTITO!
sito di Bazoli, che la “politica è uscirne tutti insieme, dai problemi, mentre sortirne da soli è
avarizia”, entra in tal modo palesemente in contraddizione col suo schiacciarsi sulle posizioni
del renzismo imperante che duramente esclude,
e con sprezzo, le “ragioni” degli altri. È l’appunto pesante che opportunamente gli ha mosso un
lettore avveduto (attivo nel “Gruppo don Milani” di Brescia), uno dei pochi che ha ritenuto valesse la pena di interferire in tale diligente sciorinamento di inossidabili certezze. Per contestare
all’on. Bazoli l’appropriazione indebita della
frase del parroco di Barbiana. Che non si addice
certamente a chi si fa paladino, per sincero e cortese che sia, come Bazoli certamente è, del pensiero unico dell’uomo solo al comando. E al comando con arroganza, oltretutto.
(a cura di Michele Cotti Cottini)
poker e briscoloun
5 Dignità. Il «giovane caudillo, maleducato di talento» (cit. Ferruccio de Bortoli) prosegue la
sua marcia spavalda. Ennesime parole fuori luogo e fuori misura: accusa la minoranza interna
di mettere a rischio la «dignità del partito», liquida le preoccupazioni sul calo degli iscritti
(nella nostra provincia -25% dal 2013 al 2014) come nostalgici rimpianti degli affezionati alla
sconfitta. Davanti all’ennesima prova di forza e arroganza, sulla nuova legge elettorale a smarcarsi sono stati Bersani, Epifani, Letta, Bindi, Speranza, Cuperlo, Civati. Non esattamente il
portavoce di uno sperduto Circolo di provincia (con tutto il rispetto). Ma due ex segretari
nazionali, l’ex vicesegretario, l’ex presidente, l’ex capogruppo, gli ex candidati alla segreteria.
Gli stessi esponenti esclusi dal programma della Festa nazionale de l’Unità di Bologna, organizzata per onorare i 70 anni dalla Liberazione. Possibile liquidare il tutto con una nuova alzata di spalle e non interrogarsi su cosa sia diventato ormai il Pd? Possibile che non ci sia nemmeno un portavoce di uno sperduto Circolo di provincia (con tutto il rispetto) che senta il
bisogno di convocare un’assemblea, discutere, prendere posizione?
5 Ricordi. La prima volta che ho sentito parlare Civati è stata nel 2007. Congresso regionale
della Sinistra giovanile. La federazione di Brescia era riuscita a tessere un documento di critica
costruttiva al percorso di creazione del Pd; raccomandavamo di ripartire dall’Ulivo, senza azzerare le specificità di un partito (e di un movimento giovanile) di sinistra. Civati intervenne –
ricordo – invitandoci a mettere da parte le paure e affrontare il nuovo incontro, la nuova sfida,
a viso aperto. Di lì a qualche mese, a Roma, mi sarei poi imbattuto in Speranza, eletto Presidente all’ultimo Congresso nazionale della Sg. Era a capo della pattuglia dei cosiddetti turboriformisti, quelli per il Pd ora e subito, senza se e senza ma. Non so se Civati e Speranza nel
frattempo abbiano cambiato idea o se, più probabilmente, loro sono rimasti fermi e tutti quelli
attorno si sono spostati più a destra, trasformandoli in irriducibili gufi di sinistra. Fatto sta
che Civati ha lasciato il Pd. Reazioni? Indifferenza, irrisione, tutt’al più qualche tweet di circostanza «Pippo ripensaci». Alle primarie di un anno e mezzo fa per Civati si erano espressi
quasi 400.000 elettori del Pd (500 in Valle Camonica). Possibile che nemmeno l’uscita di Civati venga considerata un tema degno di una discussione urgente a tutti i livelli? Possibile che lo
stesso trattamento sia stato riservato anche alle dimissioni del capogruppo Pd alla Camera?
5 House of cards o Casa del Popolo. «Renzi è un giocatore di poker, mentre noi siamo fermi
al buon senso emiliano di Bersani». Le parole Paolo Pagani, coordinatore provinciale della sinistra interna, in una recente riunione dell’area mi hanno ricordato un brano di Cisco, La rivoluzione. Sottotitolo: piccola epopea epica dialettale della sinistra italiana. La canzone si apre col
Pierluigi che al g’ha al megafon al banderi e gli striscioun e termina con una partita di briscolone in sezione. Poker o briscolone, la differenza in fondo sta tutta qui. Anche a briscolone
ogni tanto puoi bluffare, ma alla fine vince chi rispetta le regole, quelle scritte e quelle non
scritte. Difficilmente sono exploit solitari; più spesso sono vittorie di coalizione, più risicate e
più appassionanti, in cui anche uno scartino può fare la differenza.
Porca vaca porca vaca lè scur e as ved piò un cas
Ormai l’è gnuda sira e adesa set sa fam?
Turnom indree ala sessioun c’à ghè al torneo ed brisculoun
A’s catòm po’ netra volta a fer la rivoluzioun
graffiti - maggio 2015
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dalla prima pagina
c’erano una volta i rifiuti... a Costa Volpino
re storie di principesse e draghi con storie di
ordinaria igiene urbana dei nostri paesi camuno-sebini? Dal castello al centro di raccolta,
dalla fatina al netturbino, dalla mela avvelenata alla mela nel composter. C’azzecca poco,
forse. Ma sarà per il principe, azzurro come il
lago nei giorni di tramontana; sarà che i nani
sono sette, come le frazioni di Costa Volpino.
Il pezzo è nato così: l’idea di una storia lunga
e tortuosa, con tante streghe cattive, che sta
evolvendo verso un happy ending.
Il tema dei rifiuti, accostato a Costa Volpino,
richiama alla memoria dei più saggi parole
come inceneritore, bonifiche, denunce, abbandono di consorzi sovracomunali, cassoni
stradali... Fino al 2014, quando si sono chiuse le trattative tra l’Amministrazione comunale e la società pubblica “Val Cavallina Servizi srl”, che operava già in 37 Comuni della
bergamasca, compresi i 9 dell’Alto Sebino intorno a Costa Volpino. Chi scrive è in palese
conflitto di interessi: la Giunta mi ha affidato
l’organizzazione e la comunicazione a cittadini ed imprese della campagna informativa
per il passaggio al sistema di raccolta “porta
a porta”. Ho un blog personale per l’autocelebrazione: qui scrivo per delineare i fattori
di successo e per dare qualche consiglio ai
colleghi amministratori camuni.
C’erano una volta i rifiuti... ma ci sono ancora:
solo che ora ciascuno divide con cura i propri
e li colloca in sacchi trasparenti. Rispetta i
turni di raccolta, come da calendario distribuito insieme alla brochure informativa e un “riciclabolario”, che risolve ogni dubbio sulla
corretta separazione dei materiali. La campa-
AMBIENTE & DINTORNI
gna informativa ha preso avvio con uscite mediatiche e tappezzamento di manifesti, affissi
sulle bacheche o sui cassonetti stessi, per segnalare la partecipazione ad uno dei 7 appuntamenti (anche su 2 giornate) in cui era possibile ritirare il proprio kit di base e seguire
un’assemblea formativa. In ogni momento i
membri della maggioranza consiliare erano in
prima fila nei turni di consegna, per raccogliere firme, assemblare i kit o dare spiegazioni
sui materiali consegnati. Nonché, difendere
politicamente la scelta di fronte ai cittadini
più perplessi, lamentosi o conservatori. Faticoso, ma questo ha molto influito. Non smetteremo mai di ringraziare, però, quella trentina
di volontari di ogni età che hanno prestato
energie, tempo e sensibilità per supportarci in
questa fase di transizione. Alle riunioni pubbliche si sono aggiunti un’assemblea dedicata
alle imprese, una con le associazioni di stranieri e svariati incontri con le classi di alunni
del nostro Istituto Comprensivo; oggi abbiamo le prove che i bimbi sono gli ambientalisti
più seri nelle famiglie.
(a cura di Guido Cenini)
Parco e turismo: due proposte
Parliamo ancora un’altra volta del Parco Regionale dell’Adamello. Ci sono voluti venti anni
dall’approvazione delle aree destinate a riserve naturali per arrivare alla legge istitutiva del
Parco dell’Adamello (1983-2003). Solo adesso ci si rende conto che i confini meridionali sono
stati tracciati in un modo scriteriato, senza tener conto né della morfologia del suolo né di
tracciati antropici, tipo strade o sentieri.
Le associazioni ambientaliste propendono per ampliare il parco e riportare, come l’idea originale
suggeriva, i confini a ridosso della strada 345 di Bazena, Crocedomini e Cadino. Ma ora vorrei
aggiungere anche due proposte molto positive per lo sviluppo economico legato alla presenza
del parco stesso, in modo da sottolineare come chi si preoccupa dell’ambiente non è solo protesta e indicazione di vincoli. A Bazena, dove esiste una grande fabbricato di proprietà degli
alpini, tra cui il rifugio, con una parte maggioritaria rimasta da tempo inutilizzata, si potrebbe
benissimo realizzare un centro didattico, adatto alle visite per scoprire i beni del parco, fiori e
fauna e rocce. Un buon centro visitatori che accolga le migliaia di persone che passano in auto
ed in moto, italiani e stranieri, proprio da quelle parti nel periodo estivo.
Nello stesso intento di occuparsi dei numerosi viaggiatori bisognerebbe creare nella piana di
Gaver un campeggio attrezzato, di cui si parla da decenni, in cui si possano collocare tende,
roulotte, camper e magari anche qualche casetta di legno. Tenuto conto che spesso ci si imbatte in studenti universitari provenienti dall’estero venuti fin lassù per studiare la flora e la geologia dell’area meridionale del parco, sarebbe un ottimo punto di ospitalità per chi si ferma per
pochi giorni senza tante pretese. Bisogna valorizzare le bellezze e le ricchezze naturali che
abbiamo sul territorio e soprattutto bisogna saperle sfruttare in senso positivo, creando in tal
modo anche occasioni di lavoro, come già di fatto lo fa la sede del parco a Vezza e come lo si fa
con le incisioni rupestri. Altro che ridurre le riserve naturali. Valorizziamole.
I cittadini hanno utilizzato molto il sito web
del Comune, facebook e il n° verde della società, per chiedere chiarimenti, anche molto
dettagliati. In un mese il 60% delle utenze
aveva ritirato il proprio kit e, dal 2 Dicembre,
cartone, sacchi colorati (plastica e secco) e
nuovi bidoncini (umido e vetro/lattine) iniziavano ad essere esposti fuori dai cancelli. A
fianco del sistema di raccolta domiciliare, torna ad avere un ruolo strategico la piattaforma
ecologica in località S. Martina, storico punto
di approdo e smistamento dei rifiuti della
zona, che ora diventa di proprietà comunale.
Mentre partiva il nuovo servizio di pulizia
strade, triplicato rispetto al passato, in 10
giorni non c’era più traccia di cassoni stradali,
togliendo ogni alibi ai più oziosi e riducendo
drasticamente il disordine e la sporcizia sparsa: il nostro timore per l’abbandono di “sacchi
neri” si è rivelato esagerato.
Risultati? Il tasso medio di raccolta differenziata del 1° trimenstre 2015 è al 71%, contro
quel 30% dell’epoca cassonetti. Il residuo secco indifferenziato, conferito al termovalorizzatore “A2A” di Brescia, è calato a circa 200
quintali a settimana, un terzo rispetto al 2014.
Ecco il suggerimento finale: girando per la
Valle Camonica si nota che i cassonetti sono
ormai spariti dappertutto, ma i tassi di differenziazione dei Comuni, che lavorano per lo
più con la società “Valcamonica Servizi”,
sono parecchio bassi, vicini al 50%.
Si può fare davvero molto di più. Oltre a rinnovati eventi di formazione civica e progetti
nelle scuole, non è ora di pensionare i sacchi
neri della frazione residua, a favore di coraggiosi sacchi trasparenti? Il nostro motto è stato #nonrestiamoindifferenti: è esportabile,
senza costi. Solo vantaggi.
Le vignette di Altan, Staino, Ellekappa,
Cinzia Poli, Vauro, Biani, Fogliazza ed altri,
sono tratte dai quotidiani: Corriere della
Sera, il Manifesto, Repubblica, Caterpillar
AM., oltre che da vari siti Internet.
in Redazione:
Bruno Bonafini, Guido Cenini, Michele Cotti
Cottini, Alessio Domenighini, Stefano Malosso,
Valerio Moncini, Federica Nember.
hanno collaborato:
Andrea Bonadei, Beppe Bonino, Andrea
Curnis, Giancarlo Maculotti, Margherita
Moles, Rosi Romelli, Gianprimo Vielmi
direttore responsabile:
Tullio Clementi.
GRAFFITI
via Silone, 8 (c/o Tullio Clementi)
25040 DARFO BOARIO TERME
[email protected]
http://www.graffitivalcamonica.it
maggio 2015 - graffiti
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70O DELLA LIBERAZIONE/1: L’INTERVENTO DI UNA STAFFETTA PARTIGIANA
come un anniversario di matrimonio: fatiche e gioie
di Rosi Romelli (intervento pronunciato a Malegno il 18 aprile 2015)
Ben trovati a tutti i presenti. Vi ringrazio fin
da ora per essere qui, così come ringrazio tutti
coloro che hanno organizzato questo momento per riflettere insieme, con l’aiuto di parole,
musica, colori.
Insieme ai miei genitori e agli amici resistenti,
ho imparato a resistere, ad amare e rispettare
la libertà, a camminare ricordando bene ciò che
è stato, ma senza nostalgicismi. Piuttosto, a
trarre nuove energie per creare cose buone
oggi e sperare nel futuro. Lasciate che condivida con voi alcuni pensieri sparsi:
1. Sappiamo ovviamente che proprio quest’anno, il 25 aprile 2015, ricorre il 70° anniversario della Resistenza e della Liberazione.
In questi giorni sto riflettendo su questo festeggiamento, su come verrà vissuto.
L’immagine che mi è venuta è questa: molte
persone, soprattutto le più giovani (o comunque coloro che non hanno vissuto direttamente quel periodo storico) lo sentiranno simile a
un compleanno: è il compimento di un anno
“a cifra tonda”, e dunque deve essere festeggiato con maggiore rilievo. L’accento è posto
su quella singola giornata.
Io invece lo sento più vicino a come si celebra
un anniversario di matrimonio: un fare festa
per un cammino fatto insieme: noi e un Paese
libero. Ma un Paese che ha difetti e pregi, che
dà fatiche e gioie (come in ogni matrimonio...).
Dunque, non è il semplice ricordare una data,
bensì farne memoria riconoscente. Da qui, sorgono per me diversi atteggiamenti per l’oggi:
5 la necessità di ringraziare chi è già andato
avanti, per averci donato un temo lungo di pace;
5 il bisogno di trovare nel quotidiano gesti e
parole che custodiscano questa pace, confrontandoci con chi sostiene il revisionismo o il
negazionismo;
5 la coscienza che qualunque regime, e qualunque ideologia, alla fine riduce in schiavitù. Stasera abbiamo rivissuto il delirio nazi-fascista di
più 70 anni fa. Come ieri, ma 40 anni fa, la
Cambogia finiva sotto i Khmer Rossi di Pol
Pot; ad oggi è il regime con la più alta percentuale tra popolazione e numero di morti. Gli
uomini dei Califfato dei nostri giorni non sono
migliori, visto che la violenza la praticano e la
insegnano ai bambini, così la imparano meglio...
Solo la Verità rende liberi!
2. Un secondo pensiero, a partire dai fatti di
cronaca purtroppo vicini a noi, in questa valle, che avrete certamente saputo. Sui sentieri
della Resistenza, donne e uomini hanno camminato fianco a fianco, condividendo fatiche
e pericoli. Con assoluta onestà posso dire
che, da donna, non ho mai incontrato la benché minima difficoltà nel rapportarmi con i
giovani resistenti all’interno della nostra Brigata. I rapporti tra uomini e donne sono sempre stati improntati non solo al massimo rispetto, ma a un concreto aiuto reciproco. Era
il 1945, un tempo segnato dalla guerra.
A maggior ragione, vorrei vedere dappertutto
lo stesso spirito di solidarietà oggi; la vita è –
nonostante le fatiche di questa crisi – meno
dura e più ricca di possibilità rispetto ad allora. Ma allo stesso tempo viviamo una stagione di fatica e talvolta violenza, nei rapporti interpersonali tra uomo e donna.
Ad ognuno di voi auguro di trovare nella propria esperienza di vita lo stesso rispetto, profondo e doveroso, che io (insieme a molti altri) ho ricevuto e conservato come un tesoro.
3. Infine: Mazzini ebbe a dire che temeva il
risultato di una libertà avuta come dono: in effetti si rischia di sottovalutarla e viverla con
superficialità, perché non si è sofferto per
averla. La mia responsabilità oggi è, tra le altre
cose, aiutare a ricordare.
Ma tutti abbiamo una seria responsabilità: vigilare, per conoscere e custodire quotidianamente proprio quella libertà faticosamente riguadagnata per tutti, e che si è tradotta poi
donazione Bertolini: ci sono responsabilità pubbliche?
È uno choc per tutti la notizia che 600 opere d’arte, tra cui pezzi di molti nomi importanti
della pittura del ‘900, siano uscite dalla Valle e finite in un museo di Milano, donate dalla
famiglia Bertolini di Breno, quasi certamente -si lascia intendere- per una valutazione negativa
dei proprietari sulla possibilità di una loro conservazione sicura in loco e sulla loro adeguata
valorizzazione. Fin qui la cronaca, che ha dato ampio risalto al fatto, con paginoni sui quotidiani provinciali e con ampi servizi nelle TV locali. Aggiungendo il loro allo stupore di tutti.
Ma stupisce anche il dopo-notizia. Ovvero il silenzio che ne è seguito. Poichè tutti, nei
giorni successivi, si attendeva con altrettanto rilievo di cronaca qualche considerazione da
quanti la notizia implicitamente e severamente chiamava in causa, amministratori comunali e
comprensoriali, dal sindaco di Breno al presidente di Comunità montana-BIM, o i loro assessori alla cultura. A spiegarci quanto avevano fatto o avrebbero potuto fare per soddisfare
le esigenze dei proprietari donatori e mantenere così in Valle il prezioso patrimonio. Per
farci capire se questo era nelle possibilità degli Enti che amministrano o se invece è accaduto
al di fuori, per qualsiasi motivo, soggettivo o oggettivo, di ogni loro scelta o di loro coinvolgimento o impegno sull’oggi e sul futuro.
Comunque sia andata, quali che siano le responsabilità, se responsabilità vi sono, il silenzio
non giova alla credibilità degli Enti, pur nella delicatezza della questione. (b.b.)
nella nostra magnifica Costituzione.
È anche questa una lotta, pur se pacifica: una
lotta interiore che si traduce in scelte di vita onesta e coraggiosa. Anche se altri non lo fanno.
Questo è il mio augurio di cuore per il 70esimo:
5 stare da onesti e coraggiosi in questo Paese,
non in quello desiderato o sognato;
5 non fermarsi al lamento per il buio che a
volte si nota, ma accendere, ognuno, una luce
pur se piccola;
5 mettersi al servizio della gente, con semplicità e senza cercare il proprio tornaconto. I
miei genitori, come molti resistenti, alla fine
della guerra sono tornati a una vita semplice,
di lavoro, normale; e ne sono molto fiera. Altro che vitalizi, magari a parlamentari condannati per mafia...
Ci sono, in questo periodo, molte attività in
vari luoghi, per preparare in modo degno questo anniversario. Sono contenta che voi ci siate e vi domando di pensare, riflettere e poi sì,
festeggiare. Vi auguro di fare festa a lungo e
con intensità, come è stato per noi 70 anni fa,
al suono della campana del Pegol di Brescia.
A tutti, gli auguri per una vita libera e giusta.
Poldo
«Cara mamma, non piangere per me. Perdonami e pensa se io fossi tra coloro che
martirizzano la nostra gente... Io sono qui
per nessun altro scopo che la fede, la giustizia e la libertà e combatterò sempre per
raggiungere il mio ideale... Presto verremo
giù, e vedrai che uomini giusti saremo. Allora si vivrà con la soddisfazione di vivere
e non con l’egoismo di oggi...».
dalla lettera scritta pochi giorni prima di morire
(assassinato dai legionari della “Tagliamento”)
da Bortolo Fioletti (Poldo) alla madre
«Il 2 maggio i ribelli della “montagna che
non dorme”, richiamati dalle campane di
Monno, scendono dal Mortirolo e dalle baite circostanti. Nel prato, sotto il cimitero,
trovano Poldo, “il ragazzo che conosceva il
giorno e la notte”, coperto di neve: è l’ultimo caduto della Resistenza valligiana».
Eugenio Fontana, Giacomo Mazzoli
(Edizioni del Moretto)
graffiti - maggio 2015
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70O DELLA LIBERAZIONE/2: DONNE E BAMBINI SORPRENDONO, MA I DISCORSI...
Darfo, 25 aprile: una memoria “corta”?
di Alessio Domenighini
Sabato 25 aprile a Darfo si è svolta una grandiosa manifestazione per la celebrazione del
25 aprile. Era l’unica in tutta la Valle ed ha visto la presenza di 41 sindaci dei comuni valligiani, più il sindaco di Aprica, comune valtellinese limitrofo. Buona la partecipazione di
molte associazioni rappresentative, discreta la
presenza di cittadini e molto significative alcune iniziative. Due in particolare. La prima è
stata realizzata prima della partenza del corteo davanti al monumento che ricorda la Resistenza all’ingresso del cimitero di Darfo. Qui
il gruppo di Donne in cammino ha commemorato la presenza femminile nella lotta per la liberazione dal nazifascismo. Sono stati letti alcuni brani di diari di staffette partigiane. È
emerso così il grande impegno, il sacrificio di
quelle donne, il loro apporto importante.
Si tratta di un aspetto specifico spesso sottovalutato e che ha evidenziato quanto la guerra
partigiana sia stata combattuta da moltissime
donne che, oltre a dover sostenere il peso delle famiglie a fronte dell’assenza di molti uomini, hanno avuto un ruolo operativo. Con determinazione combattiva e capacità di sostenere aspetti psicologici non facili, a partire
dalle paure, dalla preoccupazione per i propri
familiari e in generale per la sopravvivenza
concreta della società.
La seconda iniziativa realizzatasi in alcuni
luoghi della cittadina camuna ha visto come
protagonisti bambini e ragazzi dei due Istituti
Comprensivi. Anzitutto quella davanti al monumento ai caduti proprio in prossimità dell’istituto Darfo 1: un gruppo dei ragazzini ha
realizzato delle simboliche girandole in cartone che ricordano i colori delle bandiere della
pace. Significativo uno dei commenti, quello
dedicato al colore azzurro che così recita:
«Pace per tutti i popoli della terra uniti sotto
lo stesso cielo». È seguita, sempre gestita dalle scuole, la deposizione di un piccolo cuscino
di fiori al monumento, poco distante, dedicato
al partigiano Antonio Lorenzetti di Artogne.
E che dire della commovente reazione dei
bambini della scuola elementare di Erbanno?
Sono accorsi tutti assieme, spontaneamente,
ad abbracciare, proprio davanti al Municipio, sede delle commemorazioni ufficiali, la
partigiana Rosi Romelli, che probabilmente
conoscevano, avendo avuto occasione di incontrarla direttamente a scuola.
Questi gli aspetti un po’ sorprendenti e molto
significativi della manifestazione, a mio parere. Tutto bene, allora? Non precisamente. Alcuni aspetti hanno lasciato un po’ perplessi.
Anzitutto eccessiva e un poco prolissa la conduzione organizzativa di tutto il corteo.
Ma l’aspetto forse meno convincente è costituito dai discorsi ufficiali dei rappresentanti dalle istituzioni, come emerge nella frase significativa di sintesi pronunciata nel discorso ufficiale di un onorevole. Secondo lui
la cerimonia avrebbe dovuto avere il ruolo
«non solo di evocare il passato glorioso ma
di fare memoria pubblica». Ecco, qui forse
sta il limite dei discorsi ufficiali: l’unico scopo emerso era, appunto, fare memoria.
Pare di poter rilevare l’assenza in tutti i discorsi di almeno due dei fatti che non certo
solo da oggi si stanno realizzando in questo
paese e che rischiano di togliere significato al
massimo prodotto della resistenza: la conquista della libertà che trova la sua massima
espressione nella nostra Costituzione.
Il primo aspetto è stata l’assenza di ogni accenno ad un fenomeno diffuso e devastante
che assume due modi di essere: la corruzione
«Nelle esternazioni dedicate dal presidente
del Consiglio al settantesimo anniversario
della Liberazione – discorsi o tweet – non
sono mai comparse le parole «fascismo» o
«fascista». Una scelta pensata? Una casualità? O invece, e sarebbe egualmente interessante, una strategia implicita e inconscia di
chi ha interiorizzato come superate le tradizionali definizioni storiche?
Anche i tre spot preparati dal governo (per
la prima volta trasmessi gratuitamente da
tutte le reti private), contengono la stessa
“omissione”: poche e intense parole, dedicate “all’avvenire che ci hanno donato” i
protagonisti della Liberazione. Liberati da
chi e da cosa, gli spot non lo dicono, lo considerano implicito, protesi come sono in un
futuro di memoria condivisa...».
Eleonora Martini, La Stampa, 26 aprile 2015
imperante e la presenza diffusa delle mafie.
Come si possono ignorare questi fenomeni, se
si parla di lotta per la libertà e la democrazia?
La seconda grande omissione riguarda i fatti
che quasi quotidianamente succedono in Paesi dove ci sono guerre e dittature e che vedono migliaia di morti innocenti che spesso
sono diretti proprio verso la nostra Italia.
Al riguardo mi pare di grande significato
quanto scritto proprio dai bambini della
scuola, sopra riportato, e poi quanto detto
proprio il 25 aprile dalla Presidente della
Camera, Laura Boldrini, nella casa Cervi:
«Molti giovani in Paesi dove non c’è la democrazia a volte osano sperare di vivere in
pace e sicurezza e prendono ogni mezzo
per arrivare in un posto sicuro... molti di
loro oggi sono partigiani nel loro Paese…»
e, per concludere «A ricordarci il valore del
diritto d’asilo ci pensa la Costituzione, l’articolo 10, scritto da persone che avevano
vissuto l’esilio; questo articolo significa che
la libertà che abbiamo la dobbiamo condividere con chi non ce l’ha».
70O DELLA LIBERAZIONE/3
i limiti di una cerimonia
di Michele Cotti Cottini
È davvero necessario “attualizzare” la resistenza nei discorsi ufficiali del 25 aprile? È davvero
questo il discrimine tra un buona cerimonia e una liturgia ipocrita? Caro Alessio, mi permetto di
dissentire su questo punto. La nota stonata a Darfo, come a Brescia, per me non è da ricercare
nella timidezza degli oratori ufficiali, quanto piuttosto nel vociare maleducato dei contestatori.
Una consuetudine ormai la contromanifestazione del Magazzino 47 che per qualche minuto sfila
in Piazza Loggia coprendo con slogan e altoparlanti le parole del malcapitato di turno (sindaco o
partigiano che sia). Una novità per la Valle: un’irruzione volta a contestare non si è capito bene
chi o che cosa e che ha finito per rovinare il coro dei bambini impegnati in Bella Ciao.
Io non sono dell’idea che l’Anpi e le Fiamme Verdi debbano prendere posizione su tutto. Dall’acqua pubblica alla questione israelo-palestinese. Non penso che il 25 aprile debba abbracciare
tutte le lotte, da quella contro la mafia a quella contro gli sfratti.
L’eccellente trasmissione di Fabio Fazio andata in onda il 25 aprile su Rai1 è lì a dimostrare che
si può fare memoria, raccontare fatti storici e vicende personali, trasmettere sapere, valori, senso
delle istituzioni, sfuggendo sia alla retorica sia ai rischi di un’attualizzazione più o meno forzata.
Mettiamola così: se davvero il patrimonio della Resistenza fosse diffuso e popolare, se davvero
le nostre scuole insegnassero per filo e per segno i fatti che portarono alla Liberazione del 1945,
avremmo cittadini e studenti attrezzati per costruire in autonomia e con spirito critico collegamenti con l’oggi e con il resto del mondo.
E poi: il 25 aprile è una Festa. Deve essere una festa. Se si provasse l’anno prossimo a limitare il
numero degli interventi solenni e portare la musica e il ballo in piazza e per le strade? O vogliamo rassegnarci all’idea che la Notte Bianca sia più vissuta e sentita del 25 aprile?
maggio 2015 - graffiti
6
70O DELLA LIBERAZIONE/4: L’EPISODIO CONTROVERSO RICORDATO A CORTENO
sul colonnello Menici è ora di dire tutta la verità
di Giancarlo Maculotti (intervento pronunciato a Corteno durante l’inaugurazione di una bacheca-ricordo il 24 aprile 2015)
Non spetta a me esprimere né giudizi, né condanne. Anzi voglio qui sottolineare che l’unità
della Resistenza ritengo sia intangibile e non
messa in discussione nonostante gli errori
compiuti, quasi inevitabili in una guerra civile.
Voglio soprattutto ribadire alcune domande e
chiedere a chi di dovere di fornire al più presto risposte credibili.
A 70 anni dalla fine della guerra deve emergere
la verità chiara ed incontrovertibile. Lo si deve
alla figura del colonnello Raffaele Menici e lo si
deve a tutte le persone che non possono accontentarsi di versioni di comodo o ancor peggio di
stupide omertà. Non capisco infatti perché su
altri incresciosi episodi (Porzus, Triangolo della morte ecc.) si pretende il massimo della trasparenza, mentre si continua a negare alla ricerca ogni possibile strada per conoscere quanto è
veramente accaduto nell’ottobre 1944.
Franzinelli ha compiuto il suo serio lavoro di
storico nonostante, a più riprese, si sia tentato di sbarragli la strada giungendo addirittura all’aberrazione di svuotare dei fascicoli
contenenti documenti che potevano svelare
qualche verità. La determinazione del nostro
storico di livello nazionale ha portato alla
pubblicazione, pochi giorni fa, dell’e-book
del Corriere della Sera intitolato ”Fuoco amico”, distribuito in tutta Italia e scaricabile
con un paio di euro da internet.
Non ho intenzione di ripercorrere tutta la storia di quei giorni. Vorrei solo presentare la sequenza di alcuni fatti che aiutano a comprendere la triste vicenda e sollevare, come dicevo
all’inizio, alcuni interrogativi.
Il 13 ottobre 1944 i famigliari di Raffaele Menici vengono sequestrati dai tedeschi e portati
a Edolo per essere incarcerati: sono la moglie
(amica della consorte di Cesare Battisti), la figlia, la sorella e il nipote. Il sabato 14 ottobre
alcuni partigiani delle Fiamme Verdi, tra cui
due Ferrari, sbarrano la strada sui tornanti del
Tonale ad un’automobile tedesca con tre ufficiali e ne feriscono uno che cercano di consegnare ai garibaldini di Pezzo, violando in questo modo la tregua pattuita tra i tedeschi e le
FF. VV. e cercando di coinvolgere nell’agguato
i membri della 54a. Il 15 ottobre il colonnello
si reca a Edolo per implorare la liberazione dei
suoi famigliari. Non la ottiene ma gli si garantisce un abboccamento nei giorni successivi
per trovare una soluzione. Il lunedì 16 ottobre
un rastrellamento nazista, forse conseguenza
del ferimento dell’ufficiale Ss sulla strada del
Tonale, provoca sei morti a Viso, alpeggio di
Pezzo. Tra questi c’è un solo partigiano, Celestino Zuelli. Gli altri sono pastori o muratori intenti nel loro lavoro. Il 18 ottobre avviene
l’abboccamento promesso, a Vione nella zona
del vivaio, ma al posto dei tedeschi si presentano le Fiamme Verdi che costringono Menici
a salire sulla loro macchina. Assiste impotente
al sequestro Firmo Ballardini cui Menici aveva consegnato la sua pistola prima di avvicinarsi all’auto tedesca.
Il colonnello rimane prigioniero delle Fiamme
Verdi in Val Brandet dal 18 ottobre al 17 novembre. Durante la prigionia viene processato
alla presenza, a dir poco singolare, del comandante delle Ss Kaasik e condannato a morte.
Successivamente viene graziato e accompagnato in fondo valle per essere poi portato in
Svizzera dove gli è stato promesso l’espatrio.
Ma in prossimità della strada statale arriva la
macchina di Kaasik ed il colonnello viene freddato da numerosi colpi di mitra.
La figura di Kaasik (Riga 1914 - Londra 1970)
è fondamentale e centrale in tutta la vicenda e
vorrei quindi richiamare brevemente alcuni
tratti della sua biografia. L’ufficiale lettone
dopo essere entrato nell’esercito estone ed
aver acquisito il grado di sottotenente, era stato inglobato allo scoppio della guerra nell’armata rossa. Appena si presentò l’occasione
disertò e si unì alle Ss dove raggiunse in poco
tempo posizioni di rilievo combattendo in
commandos addestrati a colpire i partigiani
rossi. Individuato dai suoi superiori come ufficiale abile, poliglotta ed intelligente fu mandato in Italia come esperto di guerra psicologica con l’obiettivo di dividere la Resistenza innescando abilmente conflitti fra le varie formazioni. Fu inviato a Edolo con questo preciso scopo che riuscì a raggiungere pienamente
attraverso la creazione della zona franca e
l’uccisione del colonnello Menici con la piena
complicità delle Fiamme Verdi. Particolare
non di poco conto: nel dopoguerra Kaasik,
dopo l’onorevole servizio prestato ai nazisti,
approdò ai servizi segreti britannici.
Ed ora, avviandomi alla conclusione, le domande aperte:
1. Perché all’abboccamento di Vione al posto
delle Ss si presentarono le Fiamme Verdi evidentemente informate o incaricate dai tedeschi?
2. Perché Menici venne sequestrato e fatto
prigioniero?
3. Perché fu processato e condannato a morte?
4. Quali erano i capi di imputazione a suo carico?
5. Perché alla fine fu graziato?
6. Perché i fascicoli riguardanti il processo
sono scomparsi dall’Archivio della Resistenza
di Brescia?
7. Come mai Kaasik transita sulla statale per
l’Aprica proprio nel momento nel quale passano il colonnello e i suoi accompagnatori?
Pura coincidenza?
A tutte queste domande non deve dare risposta
Mimmo Franzinelli che ha già fatto anche troppo per avvicinarsi alla verità. A queste domande, penso più che legittime, devono rispondere
coloro che custodiscono i documenti.
Quando uscì il libro di Ermes Gatti Difendo le
Fiamme Verdi chiesi a lui stesso, per l’amicizia e il rispetto che per lui nutrivo, se poteva,
al posto di una difesa a priori, rispondere alle
domande che gli avevo rivolto pubblicamente
sulla stampa provinciale.
In camera caritatis mi confidò: alle tue domande non è possibile per ora dare risposta.
Sarebbe troppo pericoloso.
Ebbene ora è giunto il momento di smetterla
di tergiversare. Tacendo e non perseguendo la
verità storica si consuma ancora oggi un vergognoso oltraggio verso un uomo retto, trasparente, moderato, pio, di sicura fede antifascista, venerato dai suoi concittadini e dai
suoi partigiani dell’alta valle appartenenti
alla 54a Brigata Garibaldi e non solo.
L’unica commemorazione che restituisca dignità ad un uomo giusto è quindi quella che risponde alle domande inevase. Il resto sconfina
nella retorica o nell’omertà [...].
Ogni democrazia poggia i suoi fondamenti su
operazioni di verità. Purtroppo questa verità
non riesce ad emergere non solo sul caso Menici, ma nemmeno sulle numerose stragi di sicura matrice fascista compiute in Italia da
Piazza Fontana in poi.
Viva l’Italia libera dalla menzogna!
La verità è tanto più difficile da sentire quanto
più a lungo la si è taciuta. (Anna Frank)
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graffiti - maggio 2015
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I NODI E LE SCELTE DI ALTROMERCATO: DA EXPO ALLA GRANDE DISTRIBUZIONE
Tapioca: si punta anche sul solidale italiano
di Margherita Moles
L’intervento di Vittorio Rinaldi, presidente del
consorzio CTM-Altromercato, ha degnamente aperto a Malegno la settimana di festa del
venti anni di Tapioca, l’associazione che con
le sue tre botteghe, a Darfo, a Edolo, a Borno,
ha sensibilizzato la Valle sul valore di un consumo solidale e responsabile. Anche Tapioca è
un socio di Altromercato, il consorzio di associazioni, cooperative, organizzazioni no profit, che con 300 botteghe italiane pratica e diffonde il commercio equo e solidale.
Nelle botteghe del Mondo si trovano prodotti
che provengono da 50 Paesi, principalmente dall’America Latina, dall’Asia e dall’Africa, dove il
consorzio ha rapporti con decine di migliaia di
contadini ed artigiani, a cui assicura il pagamento
di un prezzo equo, rapporti continuativi e trasparenti, sistemi di prefinanziamento senza interessi. È una realtà imponente, con un fatturato
di 40 milioni di euro e una centrale operativa a
Verona. Il passato di Altromercato, ormai trentennale, è stato in crescita, fino al 2005, poi la
crisi ha coinvolto anche questa realtà. E sull’analisi che è seguita sono emerse alcune sottolineature e prospettive interessanti.
La descrizione del Mondo ha bisogno di essere rivista. Non possiamo più parlare di Nord e
Sud del Mondo con le caratteristiche di divisione netta con cui abbiamo costruito le nostre prime analisi. Da una parte abbiamo oggi
6 milioni di poveri in Italia, dall’altra, nell’area
di ciò che abbiamo chiamato Terzo Mondo,
sono emerse potenze che oggi determinano
l’economia mondiale. Vedi la Cina, ma in
modo più contraddittorio anche l’India e il
Brasile. Inoltre i flussi migratori non vanno
solo dal Sud verso il Nord: oggi, ad esempio,
sempre più giovani portoghesi vanno a cercare
la loro realizzazione professionale e di vita in
quelle che sono state le colonie del Portogallo,
in Angola e in Brasile. Non possiamo dire che
tutta l’Italia sia diventata povera e che tutto il
Brasile sia diventato ricco. Abbiamo, invece,
due Italia, due India, due Brasile...
Mentre per Altromercato rimane valido quanto è stato fatto finora, oggi non si può far finta che vicino a noi non sia successo niente e
quindi il commercio equo e solidale del futuro
deve cambiare alcune cose. Siccome esistono
dei produttori agricoli ed artigianali in sofferenza anche nel nostro Paese, le botteghe del
Mondo intendono diventare un veicolo attraverso il quale transita il filone “Solidale italiano”, presente già oggi, ma in una frazione minuscola. Quindi legare le botteghe ai territori
ed anche ai giovani, non cresciuti nel clima di
amore per il Terzo Mondo che ha caratterizzato una generazione, ma direttamente interessati dai problemi di privazione presenti
nella realtà italiana e locale.
Si avverte il bisogno di maggiore incisione nella società, di ricadute durature. C’è molto fermento nella società italiana, ma non si sta producendo cambiamento reale. La causa, secondo Rinaldi, è anche il troppo crogiolarsi nella
propria nicchia di tante associazioni benemerite. Per realizzare il progetto del “Solidale
Italiano” oggi Altromercato sta costruendo alleanze; lo ha fatto con Slow Food, con AIAB
(Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica), con la Catena della Grande Distribuzione (discussa, ma essenziale per la diffusione dei prodotti); non è riuscita con Libera e
sinceramente non abbiamo capito perché. Un
altro dei misteri italiani.
Si sta sviluppando la commercializzazione di
materie prime nei confronti di aziende soprattutto dolciarie. C’è una grande azienda italiana
interessata a costruire un rapporto con Altromercato sulla filiera dello zucchero per garantirsi la tracciabilità e l’eticità del percorso. Si
tratta di una novità, non priva di contraddizioni, ma interessante, quella di rivolgersi ad
attori primari dell’economia italiana per co-
VALCAMONICA EXPRESS
minciare a negoziare con loro il tema dei diritti
dei lavoratori e del rispetto dell’ambiente.
Altromercato non è presente ad EXPO, in
modo deliberato e consapevole. Dopo anni di
critica alle multinazionali, agli OGM, al commercio di rapina, non può convivere con chi
tutto questo pratica beatamente. Rispetta
Slow Food, Save the Children ed altre associazioni amiche che hanno aderito. Invitato ai numerosi eventi collegati all’Esposizione, Altromercato sarà presente per spiegare quali principi guidano il suo operato.
A conclusione della serata, ancora una volta ci
siamo resi conto di come Tapioca stia accompagnandoci nella nostra lettura del mondo. I
suoi venti anni sono anche questi ultimi venti
anni della nostra vita, vicini alla bottega, soci
dell’associazione, partecipi di un sogno di un
mondo più giusto ed umano, qui ed altrove.
(a cura di Igor Gabusi)
rileggere i Pitoti
Arrivati a Capodiponte, e fatta tappa a bere un caffè e guardar la Concarena, in pochi minuti si
arriva al parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane.
Sono tornato a rivederle qualche anno fa, le incisioni, con i miei amici Francesco e Serena, a
farmi da guida. In un pomeriggio di novembre abbiamo passato in rassegna le incisioni, come
se non le avessimo mai viste. Quasi una tappa obbligata in età scolare aver visto almeno una
volta queste incisioni, meno frequente magari averle riviste in età adulta.
Mentre arriviamo al parco, incontriamo visitatori, stranieri, tedeschi, forse scandinavi; la luce
del pomeriggio che ci accompagna, radente le rocce evidenzia bene i segni e i rilievi incisi. Mi
ha colpito subito l’orizzontalità di questi segni, quasi sdraiati su queste rocce levigate dai
ghiacciai che affiorano dolcemente dal bosco e dal terreno.
Francesco mi ha preparato alla visita con numerose pubblicazioni del comune di Capodiponte;
ripercorro così epoche di cui mi ero dimenticato, età della pietra, del ferro, e del bronzo, stilemi e classificazioni, popoli alla ricerca di una terra dopo le glaciazioni, imperi Romani che si
espandono e poi decadono, cervi, carri, e aratri, case mappe, coppelle, simboli solari, mappe,
folle oranti, epidemie di peste, sciamani che corrono... Mentre rivedo queste immagini, rileggo
le parole di uno scrittore francese. Raymond Queneau, nel suo romanzo I fiori blu,* immagina
che le pitture rupestri di Lascaux siano opera del Duca d’Auge, personaggio fantastico che
viaggia attraverso la storia francese sui suoi cavalli, alla ricerca di un senso all’avventura umana. «Tutta questa storia una miseria. Non si troverà mai una via d’uscita?»
Nascosto nelle grotte per fuggire alla convocazione degli Stati Generali e alla presa della Bastiglia,
il duca cura le sue ansie sulle miserie della storia dipingendo queste immagini, per far credere ad
un abate che siano opera di antichi uomini. «Quanto alle figure la vostra definizione di disegni
infantili è stata un po’ affrettata... Guardate un po’ quel mammuth... quel cavallo, quella renna...». Le persone che hanno fatto questi segni, queste pitture, hanno vissuto prima del peccato
originale. Vivevano in queste caverne per trovar riparo dagli sconvolgimenti che agitavano la terra
allor si giovane». Queneau immagina poi che il duca sogni ogni notte di essere un clochard parigino, che a sua volta sogna di essere un duca di Francia. Cidrolin, il clochard, è anch’egli assillato
dai segni, che non sono nel suo caso pitture, ma scritte, graffiti urbani, che ogni notte mani ignote
dipingono sulla staccionata che circonda la sua chiatta sulla Senna, ingiuriandolo.
Va in scena in questo romanzo la rappresentazione di una storia umana che nel passato e nel
presente è dominata dai segni e dai simboli, da sogni e da incubi. Il duca e il clochard, il passato e il presente, la gloria e la miseria, le pitture rupestri e i muri imbrattati di ingiurie, il sogno e
l’incubo. Riguardandole le nostre incisioni, non si può che nutrire almeno un po’ di fiducia,
nonostante tutto, nei confronti degli uomini. Insomma come per il Duca d’Auge immaginato
da Queneau, questi segni sono un antidoto ad ogni miseria, come «piccoli fiori blu che emergono dal fango delle catastrofi storiche».
“E cosa dipingete Duca? Fiori, battaglie?”. “Caverne”, rispose il Duca. “E chi le vedrà mai
queste vostre opere, Duca?”. “Gli storici della preistoria”.
*I Fiori Blu di Raymond Queneau, è pubblicato da Einaudi nella traduzione di Italo Calvino
maggio 2015 - graffiti
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dalla prima pagina
gli slogan leghisti non fermeranno la ricerca di un futuro migliore
italiano illegalmente, uomini e donne clandestini bloccati in un limbo senza via d’uscita.
Tornando ai numeri, si parla di 174mila sbarchi,
70mila sono i migranti registrati, 100mila le
persone che spariscono dal territorio del nostro
stato; si sa che sono arrivati, ma non si sa nulla
su cosa sia successo davvero dopo che queste
persone hanno posato i piedi sul suolo italiano.
Anche i centri Sprar che dovrebbero avere la
possibilità di accogliere e gestire i richiedenti
sono in realtà pensati per numeri bassi, dalle
tre alle ventimila persone, e, sebbene siano
stati potenziati in questi ultimi anni, sono
ancora al di sotto della reale richiesta. Si deve
poi tenere in considerazione il pregiudizio e
le difficoltà con cui gli operatori convivono
ogni giorno, dalle voci che li vedono come coloro che alimentano il traffico degli sbarchi
perché ne avrebbero un vantaggio economico
ai comuni che rifiutano o centellinano i posti
per ospitare i richiedenti.
Va smontata inoltre l’idea, priva di qualsiasi
fondamento oggettivo, che con i famosi 35
euro a persona al giorno ci si possa arricchire. Calcolando tutte le voci che devono essere inserite in questa somma è assurdo accusare le realtà abilitate alla gestione dei profughi
di puntare esclusivamente a fare business:
vitto, alloggio, vestiti, traduttori e mediatrici,
assistenza medica, scuola di italiano e consulenza legale, e queste sono solo le necessità
basilari per un’accoglienza di primo livello;
si dovrebbe poi ipotizzare e perseguire un
inserimento socio-lavoratico sul territorio.
Un territorio locale, regionale e nazionale che
si lamenta di essere invaso da migranti e rifugiati ma che in realtà ha una percentuale di
rifugiati, rispetto al totale della popolazione,
pari all’0,1%; numero nettamente inferiore
rispetto a stati come la Svezia (0,9%), la
Germania (0,7%) o l’Austria (0,6%).
Vi è l’urgenza dunque di trovare soluzioni nell’immediato, ma si deve anche pensare a costruire percorsi che sul lungo periodo possano
dare risposte serie e costruttive, percorsi che
guardano a relazioni internazionali e mondiali
ben al di sopra delle nostre forze, per questo è
necessario insistere, come peraltro si sta facendo anche se con troppa frammentarietà e
solo di fronte alle tragedie dei morti in mare,
nei confronti dell’Europa ed anche verso
l’ONU, perché il problema non riguarda, e
non può riguardare, solo l’Italia. E nel frattempo cosa possiamo fare noi oggi?
Carlo Cominelli ha iniziato ad esempio ad
andare nelle scuole, ottenendo buoni riscontri
dai ragazzi mostrando loro con esempi reali,
quanto siano costose, utopiche e ipocrite le
soluzioni proposte da alcuni dei nostri politici: quelle di creare centri di raccolta sulle
coste africane, bloccare le frontiere, rimandare indietro barconi con persone, persone!,
sfiancate dal viaggio quando sono ancora in
acque internazionali.
Vi è poi la necessità di non essere ipocriti nei
confronti delle persone che arrivano dalle coste
africane, non credo sia necessario ripetere il
perchè molti di loro giungono in Italia, porta di
una sognata e idealizzata Europa. La ricerca di
pace e di un futuro migliore sono esigenze che
non si possono negare né inculcare, semplicemente perché fanno parte della natura umana,
ricordando che le frontiere e gli stati sono limiti
creati dall’uomo per esigenze organizzative che
non hanno mai fermato nessuno. Fu Enea, con
sulle spalle il padre Anchise, il primo migrante
a sbarcare per primo sulle coste italiche per
sfuggire alla guerra e, se non ricordo male, contribuì a fondare una civiltà che dura ancora oggi.
Tra le tante riflessioni sulla storia dell’uomo
e sulle migrazioni delle popolazioni mi sembra efficace, per ristabilire un minimo di coerenza, quanto dice Pietro Pruneti nel numero
di maggio/giugno di Archeologia Viva: «Così
negli spazi sterminati fra le Alpi e l’Atlantico Settentrionale – dove la protostoria e la
preistoria si attardavano, mentre il “profondo Sud” diffondeva tecnologie e ricercati stili
di vita – chi se lo poteva permettere mangiava e beveva “alla greca” o “all’etrusca”, che
poi erano diventati la stessa cosa. Ma dobbiamo pensare che quegli oggetti, giunti nel
“profondo Nord” come delle epifanie, funzionassero da “paraboliche” di un benessere
lontano e mitico, miraggio di un mondo dove,
arrivandoci, di quella ricchezza si poteva divenire partecipi. Così i Celti calarono a ondate nella Penisola per prendersi un pò di
paradiso, seguendo direzioni opposte a quelle di chi oggi attraversa il Canale di Sicilia...”
IL CIELO DI CARTA
Ruanda, genocidio dimenticato
di Andrea Curnis
11 aprile 2015, Teatro San Filippo di Darfo, la cornice è delle migliori. Decido di approfittare dell’offerta culturale valligiana che tanto noi giovani sottovalutiamo, attratti dalle luci delle città. In
scena “Ruanda, Dio è qui”, un machete in locandina è il biglietto da visita e promette “battaglia”.
Lo spettacolo inizia con una citazione dolce: «non importa dove passi le sue giornate, Dio
ritorna ogni notte in Ruanda». In quell’atmosfera magica e primordiale che solo l’Africa sa
regalare c’è l’immagine, a memoria, di un fulgido tramonto che cade inghiottendo la Savana.
Sul palco una scenografia spoglia. Due cartelli ben in evidenza, due nomenclature: Hutu e Tutsi. Suono fangoso: nasce dalla pancia e va a morire in gola.
Trattasi di tribù storicamente e somaticamente diverse, provenienti da regioni dell’Africa lontane. Dividevano pacifici il paradiso smeraldino chiamato Ruanda, incastonato fra i grandi laghi.
I gruppi sociali erano aperti: i Tutsi, soprannominati Watussi, erano la classe dirigente; gli Hutu,
i più poveri e sudditi, se meritavano o si arricchivano, potevano salire la scala sociale.
Passano gli anni e i secoli, il colonialismo vede i sedicenti nuovi signori del globo imperversare. Gli
europei hanno bisogno di un controllo indiretto sul territorio e intravedono nei corpi snelli e nei
lineamenti delicati Tutsi un’attitudine al comando propria dei faraoni egizi. Divide et impera. Classi
sociali bloccate e odio, artificiale, va accumulandosi fino al 1959, anno della cosiddetta rivoluzione
sociale. Massacri e guerre intestine portano al potere gli Hutu supportati da francesi e belgi, onnipresenti burattinai. Leggi razziali sono diramate e la rabbia, degli sfruttati, è condanna altrui.
Arriva la crisi economica, come spesso accade si perdono di vista i veri colpevoli. Le tensioni
sociali si acuiscono. È colpa dell’altro ma l’altro sono io.
6 aprile 1994. Viene fatto esplodere l’aereo su cui viaggia il presidente Hutu. Colpa ai Tutsi e
rappresaglia: «ha inizio il più veloce e sistematico genocidio della storia dell’umanità: 10.000
morti al giorno, 400 cadaveri all’ora, 1 omicidio ogni 10 secondi» per 100 giorni. Si saprà poi
che il presidente veniva da un accordo con le organizzazioni internazionali, da lì ci sarebbe
stata condivisione etnica di parlamento ed esercito. Non poteva essere. Non è stato, «molti
ritengono che quella notte, Dio, abbia perso la strada di casa».
O uccidi o sei ucciso, questa è la condanna, questo è stato il massacro di un milione e duecentomila Tutsi e Hutu moderati.
Marco Cortesi e Mara Moschini, con la storia incredibile di due famiglie contrapposte ma
unite nell’orrore del genocidio, creano un filo diretto con lo spettatore. Monologo dopo monologo, arrivano a coscienze oramai anestetizzate dall’orrore della cronaca giornaliera. Il freddo
numero non provoca empatia, vogliamo immedesimarci.
Il Kilimangiaro è lontano ma non lo sono due bravissimi attori che, armati solo di voce, raccontano
all’Italia una tragedia che non ha colore politico. «Ai bambini ruandesi, prima di andare a letto non
resta che domandare se torneranno mai gli uomini cattivi. La risposta è si, probabilmente, ma ci
saranno i buoni ad attenderli. Perché in fondo dal Ruanda, Dio, non s’è n’è mai andato».
graffiti - maggio 2015
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SETTIMANA CORTA, RIFORMA DELLA SCUOLA, FESTE DE L’UNITÀ
pedagogia corrente: o mangi ‘sta minestra...
di Bruno Bonafini
È certamente dignitosa la motivazione con cui
Gigi Mottinelli, presidente della nostra Grande Area -la rigenerata Provincia-, rafforza la
sua intenzione di arrivare alla settimana corta
in tutte le scuole del territorio bresciano per il
prossimo anno. Dicendo che è la proposta di
un modello di scuola che non deve essere assorbente di tutto, avere un valore educativo e
sociale. Ma dovendo naturalmente ammettere
che di mezzo c’è anche (anche?) un problema
di costi dei trasporti e del riscaldamento.
Che poi è la vera stringente motivazione della
proposta. Ne risulterà un giorno libero in più,
il sabato, per i nostri ragazzi e per le famiglie,
quindi una scuola “meno assorbente”. Ma se
una scuola meno assorbente non fosse proprio la prima e più urgente esigenza dell’oggi,
in una situazione in cui i giovani già sono presi da mille attività ed interessi extra scolastici?
Domanda che è bene non porsi, ovviamente,
come pure quella eventuale sulle mense che sarebbero da attivare per il conseguente orario
pomeridiano in talune giornate. Le domande e
le riflessioni sulle conseguenze e sui costi e benefici dell’operazione rischiano tutte l’inutilità, visto che l’argomento che taglia la testa al
toro di ogni considerazione (anche a quelle di
operatori e famiglie che Mottinelli vorrebbe
coinvolti) è quello del bilancio provinciale ridotto a tale stato di sofferenza, ci dice la cronaca come il pianto degli addetti ai lavori, da non
lasciare alternative al taglio del sabato per tutti.
La vicenda, pur se locale e nel suo piccolo,
esemplifica bene la cifra delle “riforme scolastiche” dell’ultimo decennio, e con la Gelmini si
toccò il massimo: quando ogni scelta nuova, di
orario, di materie e programmi, di organizzazione ecc.., vestita con le motivazioni più diverse, condivisibili o meno che fossero, copriva
o comportava un progressivo consistente taglio
di quanto si spendeva per la scuola. Non tutto
giustificato dalla crisi, visto che la tendenza
data da prima della crisi. Scelta politica, anche
ideologica sotto molti aspetti, che cadeva (disastrosamente) sulla scuola, non nasceva da esigenze interne alla scuola stessa o dalla società.
Tratto, quest’ultimo, che rimane un aspetto
forte anche della discussa riforma della scuola
Renzi-Giannini, denominata dagli autori “la
buona scuola” (quella degli altri, o semplicemente quella esistente, è cattiva, naturalmente, indistintamente). Fatte salve una maggiore
assegnazione di risorse, molto minore comunque di quanto vantato sui media, e la sistemazione di un apprezzabile numero di precari di
lungo corso, i due aspetti più contestati della
preannunciata riforma mostrano il senso del
renzismo calato sulla scuola. Sono il potenziamento oltremisura del potere del preside, destinato a essere il vero dominus della scuola,
«La cultura è ciò che rimane quando si è
dimenticato tutto». (Édouard Herriot)
che si sceglie gli insegnanti, li premia e li valuta a sua discrezione, li scarica o li conferma ad
ogni triennio. E la possibilità per ogni scuola
di godere del 5 per mille dei genitori dei propri alunni che la indicassero, lasciando libero
campo a scuole “ricche” perchè con genitori
“ricchi o benestanti e a scuole povere in realtà
economicamente povere, confermando o addirittura rafforzando un divario sociale che già
oggi incide molto e che la stessa scuola dovrebbe contribuire a colmare.
C’è dell’altro naturalmente nelle critiche diffuse che hanno accolto la riforma, ma bastano
questi due dati a dare il segno di una politica,
metodo e ideologia, che viene calata sulla
scuola. E che la scuola nemmeno dovrebbe discutere: chi l’ha elaborata ha accettato solo il
contributo (?) delle email di singoli, non ha
FUOCO FATUO
voluto confronto aperto con associazioni di
categoria o sindacati di settore.
Si veda, quasi a certificazione, l’accusa di
squadristi della ministra Giannini alla Festa
dell’Unità di Bologna, rivolto a chi non accettava che il dibattito sulla riforma fosse,
come da programma, tra due interlocutori
come la Giannini stessa e l’on. Francesca Puglisi, responsabile pd della scuola, che con lei
aveva strettamente collaborato alla stesura.
Un dibattito tra consenzienti, grottesco come
modello di confronto vero, ma sincero nel
dirci del nuovo corso che si vuol far passare:
c’è chi decide e chi deve solo “obbedire e
combattere”. (Impostazione che peraltro si
voleva ripetere qualche sera dopo, con il previsto dibattito sul job’s act tra Giuliano Poletti, ministro del lavoro, e Filippo Taddei,
responsabile economico del PD, suo consigliere di fatto, e come tale coautore con il ministro del provvedimento).
Un excursus su cose diverse, di ambiti e importanza diverse, dalla settimana corta alla discussa “riforma”, per finire alla Festa dell’Unità con suoi innovatori dibattiti, queste
veloci divagazioni. Per cogliere, attraverso segni diversi, tratti di involuzione democratica
che non dobbiamo abituarci a tacere e ad accettare. Nemmeno se l’innovazione ed il decisionismo fossero i migliori nel merito delle
scelte e nelle intenzioni di chi li fa. Che non
pare proprio il nostro caso
(a cura di Stefano Malosso)
torna “Generazione cultura”
Capita in svariati ambiti di trovare sul territorio gruppi di ragazzi preparati, intraprendenti,
pronti a dettare un nuovo passo al contesto sociale e culturale nel quale ci muoviamo. Spesso
si tratta però di episodi e situazioni isolate, che non riescono a trovare una soluzione di continuità nel loro operato, che non hanno possibilità di creare una rete salda attorno a loro. Non è
il caso dei ragazzi della ProLoco Giovani di Darfo Boario Terme, un gruppo ormai consolidato
che da un po’ sta facendo parlare di sé per la qualità delle iniziative messe in campo e per un
festival, chiamato Generazione Cultura, che quest’anno giunge alla seconda edizione candidandosi fra le iniziative culturali più interessanti della Valle Camonica.
Il ricordo della prima edizione è ancora vivo: il concerto dell’ex Timoria Omar Pedrini (oggi
testimonial Expo per Brescia), l’incontro con lo scrittore Fabio Cleto sulla cultura pop del
nostro tempo, gli interventi della rivista Zeus!, gli incontri sul tema dell’architettura e molto
altro ancora avevano animato una giornata densa di contenuti e spunti, che lasciava presagire
una continuazione. E infatti è arrivata la conferma: l’1 e il 2 giugno negli spazi dell’ex convento
di via Quarteroni a Darfo Boario Terme si animerà la nuova edizione del festival, che ha un
programma per ora solo in parte svelato ma che ha già rivelato alcune partecipazioni di assoluto valore: i concerti di Paletti e Beatrice Antolini, due artisti di fama nazionale che porteranno
anche qui la loro musica, in una serata che si preannuncia molto gustosa.
Anche gli altri dettagli fino ad ora svelati aumentano l’attesa di questo evento: gli aperitivi in
musica con Matteo Fiorini e il suo progetto McGuffin Electric e i Pianta Stabile, lo spazio
architettura, il reading poetico “Ti amo ma posso spiegarti” di Guido Catalano, il reading con i
ragazzi della Cooperativa Azzurra, lo spettacolo di danza della Maison di Silvia Dante, i concorsi letterari, fotografici e artistici, l’esposizione di editori e artisti... non manca proprio nulla, ogni visitatore troverà contenuti e temi arricchenti.
Manca infine un tassello che verrà svelato nei prossimi giorni: chi sarà l’autore letterario che sarà
protagonista dell’incontro col pubblico il pomeriggio del 2 giugno? Seguite il sito
www.festivalgenerazionecultura.it e la pagina facebook relativa al festival per scoprire il nome.
maggio 2015 - graffiti
10
LA SETTIMANA DELLA LEGALITÀ
venti liberi soffiano su tutta la valle
Che programma per i vent’anni di Libera. Nove amministrazioni comunali coinvolte, il patrocinio
della Comunità Montana, della Cgil e del Biodistretto, più una ventina di sponsor privati per una
settimana da incorniciare. Peccato che l’apertura prevista a Malegno con Giusy Nicolini sia stata
rinviata a data da destinarsi per evidenti impegni della sindaca di Lampedusa. Gli appuntamenti degni
di nota restano comunque tanti, fino alla chiusura al Centro Congressi di Boario, sabato 23 maggio,
con lo spettacolo teatrale “Limpida è la notte”. In mezzo Rita Borsellino (18 maggio a Costa Volpino), Nando dalla Chiesa (20 maggio a Berzo Demo), Giancarlo Caselli (21 maggio a Edolo).
Sul prossimo numero di Graffiti il racconto di questi importanti incontri. Già da ora vanno invece i
complimenti al gruppo camuno che si conferma una delle realtà più vive dell’associazionismo progressista in Valle. Complimenti per la qualità dei relatori, ma anche per la capacità di organizzare
una settimana di eventi diffusa sull’intero territorio camuno, uscendo anche dalla “capitale”
Malegno. Tita e compagni, avanti così! (mcc)
«No, non siamo ancora soddisfatti, e non lo
saremo finché la giustizia non scorrerà come
l’acqua e il diritto come un fiume possente».
Marthin Luther King
il camuno in America
Lontano dalla superficialità tutta leghista
del dialetto come folkloristica rievocazione
nostalgica del “come eravamo belli e bravi a
quei tempi”, c’è il valore indiscusso del dialetto camuno (o dei dialetti camuni) come
complesso sistema di regole e segni attorno
ai quali si organizzava e si trasmetteva la
tradizione di un intero territorio.
Lo scorso 9 aprile nella Biblioteca Civica
“Ai Caduti dei Lager” di Pian Camuno la
Professoressa Michela Cresci ha presentato
ad una sala curiosa il contenuto della sua
tesi di laurea specialistica, discussa all’università americana The Graduate Center
City University di New York, dal titolo
“La fonologia del Camuno: descrizione e
spiegazione in Evolutionary Phonology”:
una piacevole serata, sospesa tra la complessità della ricerca linguistica effettuata
dalla Cresci e il fondamentale apporto del
pubblico, che ha tratteggiato l’importanza
di una lingua che viene da lontano e che
continua, faticosamente, a sopravvivere.
E proprio nella contaminazione fra i tecnicismi linguistici della ricerca e l’apporto più
“popolare” del pubblico si è percepito il
successo dell’iniziativa: al termine della sua
esposizione la Professoressa Cresci ha pazientemente accolto istanze e osservazioni,
declamazioni di detti popolari e considerazioni storiche di varia natura, confrontandosi con il pubblico, scambiandosi opinioni e
osservazioni, creando un clima di dialogo
costruttivo che ha dato un senso completo
alla serata. Serata che è stata un tassello di
una più lunga serie all’interno di una rassegna chiamata “Appuntamenti Culturali di
Primavera”, organizzata dai comuni di Artogne, Gianico e Pian Camuno, che fino a
metà giugno terrà banco sul territorio dei tre
comuni coinvolti: prossimamente le serate
saranno dedicate a Kafka con lo spettacolo
teatrale del 23 maggio, alle nuove sfide del
Vietnam (il 26 maggio) e per finire ad un incredibile viaggio in Italia in sella ad una bicicletta (l’11 giugno). (s.m.)
premio “Basilio Mosca”
Il premio “Basilio Mosca”, promosso dagli
Incontri tra/montani e costituito da un contributo di mille euro (da destinarsi al finanziamento di un evento culturale riguardante
la cultura e la vita di montagna), ha visto la
partecipazione di ben 16 concorrenti provenienti da 4 regioni ed appartenenti sia ad enti
pubblici che ad associazioni ed organizzazioni culturali, alpinistiche e ricreative.
La giuria nominata dal coordinamento degli
ITM, presieduta da Giancarlo Maculotti e
composta da Giuliano Beltrami, Chiara Barbierato, Sergio Primo Del Bello e Graziano
Riccadonna, ha esaminato tutti i progetti
presentati che hanno ricevuto, dopo attenta
valutazione, un buon punteggio. Dopo una
prima selezione, sono state accettate 14 domande ed ammessi alla scelta definitiva sei
progetti. Tra di essi il punteggio maggiore è
stato attribuito a Le parole della montagna
(Luoghi, spiritualità, poesia, filosofia,
escursioni, arte, racconti, spettacoli), Smerillo (Fermo, Marche), 19-26 luglio 2015.
In finale anche due associazioni valligiane:
“Banda civica” di Ono S. Pietro (Campus
musicale Concarena) e Istituto per lo
studio delle tradizioni alpine di Breno
(Banditi e fuorilegge nelle Alpi).
RITRATTO (a cura di Beppe Bonino e Gianprimo Vielmi)
Antonio Savio
Antonio Savio lascia un ricordo indelebile e prezioso in quanti lo hanno conosciuto: i suoi
famigliari ed amici, i compagni di partito e di sindacato, la comunità di Plemo-Sacca-Esine.
Dagli anni sessanta, Antonio è stato una presenza costante nella vita sociale, politica e amministrativa del Comune di Esine.
Generosità ed innato senso della giustizia lo portarono da giovanissimo, a Plemo ed in fabbrica, a schierarsi dalla parte della gente umile e bisognosa e dei lavoratori. La passione politica fu
il passo naturale, passione che gli fece scegliere di iscriversi e militare nel Partito Comunista
Italiano. Dotato di capacità di coinvolgimento e di carisma (oggi lo definiremmo un leader!) fu
da subito punto di riferimento per i coetanei di Plemo, per i compagni di lavoro e di partito.
La sua intelligenza, la sua maturità, il suo equilibrio (doti unanimemente riconosciute ed ammirate sino a oggi) ne fecero il catalizzatore dell’attività di tante persone.
Fu così anche per noi e per tanti giovani esinesi che, alla fine degli anni sessanta, trovarono in
Savio un compagno da cui apprendere e un esempio da seguire. In quegli anni Antonio ci insegnò molto, facendolo con il ragionamento e con l’esempio. È da Savio che apprendemmo anche
le prime e più importanti “nozioni” dell’amministrazione pubblica comunale.
Eletto consigliere comunale (col massimo delle preferenze!) nei primi anni settanta, ricoprendo
anche la carica di vice-sindaco, diede un significativo contributo alle scelte e alle realizzazioni
dell’amministrazione comunale. Contributo che, fosse in maggioranza o all’opposizione, non è
mai venuto meno nei 20 anni in cui è stato consigliere comunale.
Il fatto che sia stato sempre eletto con il numero più alto di preferenze è indicativo del consenso e della stima che trovava anche al di là dell’elettorato comunista o di sinistra. Stima e
riconoscimento che non gli sono mai mancati anche da parte degli avversari politici, perché era
aperto al confronto e mai settario. Convinto che ciò che conta è risolvere i problemi della gente
che ha bisogno, non amava le chiacchiere e le discussioni fini a se stesse: era convinto che il
compito di chi “vuol stare dalla parte dei più deboli” fosse agire per migliorarne le condizioni e
non limitarsi a testimoniarne le sofferenze. Praticava quindi la “cultura del fare”: l’impegno
che Antonio Savio ha profuso è stato motivato da questa cultura, dal convincimento che “bisogna fare” per cambiare le cose che non vanno, da una passione politica lucidamente consapevole che non ci si può limitare a denunciare e gridare.
Sono tanti e preziosi gli insegnamenti che dalla sua vita e dalla sua intelligenza abbiamo
tratto ed è anche per questo, oltre che per la generosità e la coerenza del suo impegno, che
merita la nostra gratitudine riconoscente.
graffiti - maggio 2015
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dovrà essere indicata, con l’indirizzo).
11
recensione
di Alessio Domenighini
Titolo: Harture. Il mondo delle sarte
Autore: Vari
Editore: Comune di Darfo Boario Terme
Siamo in presenza di un apparente piccolo libretto, ma che porta con sé un forte senso innovativo ed uno sguardo complesso su un
mondo del lavoro piuttosto e volutamente
ignorato. Come dice il titolo stiamo osservando un aspetto del mondo femminile e di una
specifica attività lavorativa che riesce a coniugare molte peculiarità. Si tratta spesso di una
passione maturata addirittura nell’infanzia, e
che «ha espresso le caratteristiche più nobili
dell’artigianato quali la creatività, l’abilità manuale, la precisione e il gusto estetico...» come
precisato nella prefazione.
Si tratta appunto del lavoro delle “sarte”,
che per molti anni ha caratterizzato la citta-
DA MALONNO A RAI3, E ORA IN LIBRERIA
Lorenzo Raffaini ce l’ha fatta!
Mezza vetrina della Mondadori in piazza Duomo a Milano dedicata al nostro autore. Lo scrittore De Carlo che introduce e presenta il libro nella sala conferenze della più centrale libreria di
Milano. Un pubblico numeroso e non solo malonnese. Insomma un successo senza pari per il
nostro Lorenzo Raffaini e per il suo libro Amo troppo la vita per riuscire a viverla.
Quando in occasione del programma Masterpiece, un anno e mezzo fa, Lorenzo fu sostenuto da
tutta la valle per recuperarlo dopo l’esclusione, nessuno poteva sperare che il suo scritto riuscisse a
superare le forche caudine dell’editoria nazionale. Invece no: la Elisabetta Sgarbi è stata di parola ed
ora il romanzo-verità è stato stampato da Bompiani ed è in tutte le edicole e librerie italiane.
È una tristissima storia quella narrata da Lorenzo senza peli sulla lingua. Una vicenda di droga
e di abiezione arrivata ai più bassi livelli possibili. Ma oggi il suo racconto è il simbolo della
resurrezione dopo le esprienze d’inferno dell’eroina, di alcune comunità di recupero dedite al
malaffare e al sistematico imbroglio di chi soffre e quindi è debole, ed infine del carcere.
La mamma, a margine della presentazione ufficiale, mi confida che avrebbe molte cose da dire,
ma che non si è sentita di dirle in pubblico. Il libro di Lorenzo è un po’ anche la sua rinascita e
se volete quella dell’Associazione Famiglie Camune che, con coraggio e caparbietà, ha perseguito gli obiettivi e i tentativi di salvataggio di chi si era avviato sulla strada dell’autodistruzione e della distruzione di ogni equilibrio familiare: relazionale, economico, sociale.
Ora il libro è lì che vi attende. Bompiani. Quindici euro ben investiti in una lettura avvincente
che forse diventerà anche un film. E sostegno indiretto ad una causa che richiede ancora molte
energie e molto coraggio di dire la verità. Lorenzo ci ha provato. Ora spetta ai lettori far tesoro
di una testimonianza unica nel suo genere. (gim)
Nel novembre del 1991 (quasi 24 anni fa!) Graffiti pubblicava la seguente “lettera aperta ad un
ragazzo tossicodipendente” dell’alta Valcamonica:
«Appena ti conosco. Qualche volta ti vedo al bar o ti sfioro per strada. Non so nulla della tua
vita. So di certo però che soffri enormemente e fai soffrire i tuoi. So anche che hai tentato più
volte di liberarti dalla tua schiavitù ma non ci sei mai riuscito. Hai conosciuto il furto, la violenza,
il carcere. In paese nessuno ti stima e nessuno scommetterebbe cinque lire sul tuo avvenire.
“Farà la fine degli altri”, si sente spesso dire alludendo a chi è già morto. Qualcuno addirittura
afferma: “Speriamo che faccia presto la fine degli altri così non darà più fastidio a nessuno”.
Io che sono pessimista di natura ti dico invece che hai la possibilità di uscire dal baratro dove
ti sei cacciato. Devi certo recuperare un po’ di fiducia in te stesso. Devi essere disponibile a
farti aiutare. Ci sono diversi volontari che in Valcamonica possono occuparsi di te. C’è l’Associazione Famiglie Camune, c’è il gruppo “Proposta” di Malonno, “Il Seme” in alta Valle. C’è
anche la sede del PDS, se vuoi. Quando sei disperato, prima di farti per l’ennesima volta,
chiama aiuto. Potrebbe essere l’ultima volta che ne senti la necessità».
Non ha alcuna importanza sapere chi fosse il soggetto destinatario (quanti ne abbiamo visti in
questi anni?!), mentre ci pare estremamente importante dedicare quella ormai lontana lettera a
Lorenzo Raffaini, unitamente all’augurio che riesca finalmente a vivere la sua vita. (t.c.)
dina camuna di Darfo Boario Terme. Un lavoro, i cui prodotti venivano dedicati alle famiglie, a molte persone del paese e anche a
svariate presenze “esterne” che qui confluivano per le cure termali.
Attraverso alcune interviste il libro propone
degli spaccati di vita davvero oggi poco conosciuti: i tre anni di apprendistato, il lavoro per
ricompensare la “maestra” che forniva l’addestramento professionale e poi il lavoro specifico durato spesso decine di anni, esercitato
per lo più dentro le mura domestiche. Un’attività certo con esclusiva ma che conviveva con
l’accudimento della casa e la cura dei familiari.
Insomma, come sempre, l’attività lavorativa
delle donne riusciva a riempire completamente
la loro esistenza, pur in presenza di ben scarsi
riconoscimenti sociali.
Nella seconda parte questa ricerca presenta altri aspetti legati a questo mondo: i proverbi, i
modi di dire, gli oggetti legati al lavoro quali gli
strumenti, le stoffe, le tipologie degli abiti, le
parti dei vestiti, gli accessori... Il tutto, ovviamente e rigorosamente proposto nella lingua
“madre”: il dialetto camuno che qui si presenta con aspetti particolari e specifici. Si tratta
quindi non solo del recupero di un pezzo di
storia del lavoro, degli spaccati di vita di molte donne e delle relative famiglie, ma anche
dell’aspetto culturale e linguistico che si relaziona complessivamente al territorio.
Per concludere questa breve presentazione non
si possono non sottolineare almeno due aspetti. Da un lato il riconoscimento per il valore in
sè di questa operazione, legata anzitutto a due
donne facenti parte della nuova Amministrazione di Darfo: Luigina Gaioni e Alice Piccinelli
che, come sempre, hanno raccolto attorno a sé
la collaborazione di molte altre donne.
Il secondo aspetto riguarda il valore sociale
di quanto il libro propone. Oggi, parlando
del lavoro e dell’occupazione si pensa al
mondo giovanile che non riesce a trovare
sbocchi lavorativi. Ebbene, questo modello
femminile che si occupa dell’artigianato tradizionale, che coltiva la passione e l’impegno personale, la forza di non arrendersi e
di sentirsi valorizzate da questo lavoro potrebbero costituire aspetti significativi e
modelli di riferimento importanti. Per tutti,
maschi compresi, ovviamente.
«Forse in Italia, più che altrove, è ancora
vivo il secolo decimottavo, e con lui il tipo
del ciarlatano, del buffo chiacchierone così
caratteristico di quell’epoca: tale personaggio
è dato oggi incontrare solamente in Italia, in
esemplari abbastanza bene conservati. Nel
suo complesso, Cipolla aveva molto di quella storica razza, e l’impressione di buffoneria
fantastica e reclamistica inerente a quell’immagine fu richiamata dal fatto che quell’abito
pretenzioso gli stava addosso – o, per meglio
dire, gli stava appeso addosso – con false
tensioni e false pieghe...».
Thomas Mann, Mario e il mago
maggio 2015 - graffiti
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ROSSO DI SERA
(a cura di Giancarlo Maculotti)
autonomie: I have a dream
ZUCCHERO, PEPE E SALE
(a cura del cuoco)
ZUCCHERO
Nessuno può sapere quale esito potrà avere. C’è di mezzo una riforma costituzionale che dovrà
La ciliegina sulla torta non può che andare a
pur dire che cosa si intende per area vasta (in sostituzione della Provincia). Ci saranno le deleghe
Gino Boldini, partigiano, a cui in Parlamento
alle Regioni per le zonizzazioni. Potrà anche esserci un protagonismo dei Comuni e delle Comuè stata consegnata la medaglia d’oro per la
nità Montane? La Valle Camonica si sta già muovendo da tempo per rivendicare più autonomia.
sua partecipazione alla Resistenza. Ed è
Non si capisce infatti perché – come giustamente sottolinea Gian Bettino Polonioli, sindaco di
anche nostro lettore.
Cimbergo – l’acqua della Valtellina e quella del Trentino valgano per la popolazione locale diversi
milioni di euro, mentre l’acqua della Valle Camonica per i suoi abitanti valga zero.
PEPE
Gli enti comprensoriali stanno lavorando con spirito unitario per rivendicare ad una delle valli
Stefano Sandrinelli, presidente riconfermato
più popolose della Lombardia e ad una delle zone con la crisi economica più pesante, non prividella Pia Fondazione, c’ha preso gusto con i
legi o assistenzialismo, ma gli stessi diritti già forniti ad altri nostri simili.
social network. Un giorno sì e l’altro anche,
Non sta a noi definire quali debbano essere le aree vaste a cui appartenere. A noi preme sopratsta inviando foto e pensieri su tutto o quasi.
tutto avere garanzie di grande autonomia com’è giusto ed opportuno per le zone montane. Non
Onnipresente, dalla briscola all’ospedale, da
si tratta quindi in questa fase di dire se staremo con Brescia o con Sondrio o con Clusone. StareMalegno e da Roma. Un peperino.
mo, se spetta a noi decidere, con chi ci garantisce più autonomia e più risorse.
SALE
La Valcamonica ha una lunga tradizione di autogoverno. Nicola Stivala la fa risalire addirittura al
Non si capisce come ad un anno di distanza
periodo romano con la Tribù Quirina. Ma non c’è nemmeno bisogno di andare così lontano. Se
osserviamo gli ultimi cinquant’anni di amministrazione comprensoriale vediamo che la valle, sepdalla tragedia della croce di Cevo si possa
pure a fatica e sebbene frenata dai suoi mille ingiustificati campanilismi, ha saputo nei momenti
già pensare di rimetterla in piedi tale e quaprincipali stare unita e avere una visione del futuro più lungimirante di altre. I servizi comprenle, anche se con materiale più resistente. Il
soriali, senza i quali i comuni sarebbero paralizzati, sono lì a dimostrarlo.
sindaco Citroni ne è convinto. Forse ci saEd allora quale potrebbe essere il nuovo assetto istituzionale? Difficile prevederlo anche perché
rebbe bisogno di una più ampia riflessione
spesso sotto gli autonomisti si celano dei ferrei accentratori. E viceversa.
sull’opportunità e sui veri vantaggi in terPosso solo disegnare ciò che personalmente auspicherei ma che non so quali possibilità reali abbia
mini di riscontro economico.
di essere adottato. Il modello per il quale andrebbe la mia preferenza è il seguente: alle valli
(almeno a quelle più popolose e lontane dalle
VALCAMONICA ONLINE (a cura di Valerio Moncini)
città) vengono date tutte le deleghe che oggi ha
la Provincia ed anche qualcuna in più. Ad esempio quella sulle centrali e centraline. Ma vedrei
http://www.icdarfo2.it
bene anche un sistema scolastico più autonomo, come in Trentino. Tutti i consiglieri comuNonostante le “Morattinate” e le “Gelminate” l’abbiano resa abbastanza
nali eleggono i rappresentanti nell’ente di gomalconcia la “Buona Scuola”, per nostra fortuna, esiste ancora, nella speranverno valligiano che non debbano necessariaza che le “Gianninate” odierne non le diano il colpo di grazia.
mente essere membri del consiglio.
È di questi giorni lo sciopero della scuola; una scuola che in larga misura poggia sul lavoro precario di migliaia di supplenti che, alla faccia della continuità didattica, vengono rimpiazzati ad ogni
Le valli si associano in un’area vasta abbainizio di anno scolastico e che, se dovesse passare il modello Renzi-Giannini, sarebbero alla merstanza omogenea che si occupa dei problemi
cè di dirigenti, non sempre all’altezza, e già ora propensi ad usare il potere per ricatti contro chi
intervallivi (collegamenti stradali, sanità, scuoesercita capacità critica e favoritismi nei confronti di chi eufemisticamente chiameremo “yes
le intervallive e di livello universitario, reti inmen”. La forte mobilitazione messa in campo da chi la scuola la vive e fa vivere (lavoratori,
formatiche, rapporti con la Regione e con altre
studenti e famiglie) sembra che abbia indotto a riconsiderare gli aspetti più pericolosi contenuti
aree simili ecc.). L’assemblea dell’area vasta
nel disegno governativo, ma considerando con chi si ha a che fare è meglio non “stare sereni”.
risulta dall’insieme delle rappresentanze delle
Dice il ministro, quella che considera “squadristi” i cittadini che la contestano pur continuando a
comunità autonome delle valli e deve essere,
pagarle il “ricco stipendio”, di non capire il perché di tanta opposizione. Siamo d’accordo con lei
necessariamente, abbastanza snella. Imitando
sul fatto che non capisca che cos’é la scuola e di come si debba intervenire affinché diventi un
il Trentino Alto Adige che ha un consiglio reluogo sicuro (compresi i soffitti) dove una comunità di persone opera quotidianamente per migionale non elettivo ma costituito dall’unione
gliorarsi e migliorare questo “Paese derelitto”. Forse capirebbe qualcosa di più, signor ministro,
dei due consigli provinciali.
se si degnasse di dare un’occhiata almeno alla lettera inviata al governo dal Coordinamento dei
Di modelli intendiamoci ce ne possono essere
Presidenti dei Consigli d’Istituto della provincia di Bologna, ma che potrebbe essere fatta promolti. Ciò che mi pare necessario è ragionare
pria da tutte le scuole italiane (la trovate su https://comitatogenitoridarfo2.wordpress.com/).
fin da ora su qualcosa di più di una provincia
Si diceva della “Buona Scuola”; di essa abbiamo esempi anche in Valcamonica. L’Istituto Comcamuna che, nella prospettiva attuale – non me
prensivo Darfo 2, ad esempio, dove la finalità ultima della formazione integrale della persona
ne voglia Corrado Tomasi – non ha più nessun
passa attraverso il benessere nell’apprendimento-insegnamento e nella graduale interiorizzazione
senso (sempre che lo avesse nel passato quandel senso del dovere e della responsabilità personale di fronte all’ambiente ed alla società.
do si sono create a dismisura provinciole piccoEcco allora la sperimentazione di nuove forme organizzative della didattica quali le “settimane
le ed insignificanti in tutta Italia). Si va quindi
senza cartella” o le “Settimane dei talenti” quando, sostituendo temporaneamente la classe chiusa
nella direzione delle quattro Lombardie come
con “gruppi d’interesse”, gli alunni, guidati dai loro insegnanti e da esperti esterni, hanno l’occaha prospettato il sociologo doroteo Aldo Bosione di applicarsi ad attività che ne valorizzino le capacità personali con la finalità dell’autonomi? In parte sì, in parte no. Quattro Lombarorientamento e del futuro inserimento in situazioni sempre più complesse di relazione e di apdie sono davvero troppo poche, ma nemmeno
prendimento. Tutto questo in rete con le altre agenzie educative del territorio, anzitutto le famisi può pensare a una Lombardia per ogni picglie che, attraverso il Comitato Genitori, partecipano attivamente non solo proponendo e orgacola valle. E in questo quadro che fine farà la
nizzando iniziative di approfondimento con esperti di tematiche socio-educative, ma anche ricerRegione? Gestire meno e delegare di più assucando finanziamenti sostitutivi dei fondi pubblici soggetti da anni a tagli pesanti e ricorrenti tali
mendo un coordinamento forte e di prospettida compromettere o rendere impossibile il mantenimento dei “tre tempi pieni” o la realizzazione
va. Si tratta di un sogno. Ma la fase onirica non
di sperimentazioni e progetti innovativi propri della “Buona Scuola”.
è mai secondaria, né nella vita, né in politica.
la nostra buona scuola