Le coliche del lattante

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Nr. 267
ottobre 2015
Le coliche del lattante
Nei primi mesi di vita un bambino piange spesso: col pianto comunica se ha fame, sonno, freddo o se
è annoiato, stanco. Il pianto, oltre ad esprimere bisogni, può essere l'espressione di dolore, come quello
provocato dalla colica. La colica infantile è un disturbo che interessa circa un neonato su tre e consiste
in contrazioni dolorose della muscolatura intestinale con crisi di pianto che durano più di 3 ore al giorno,
per almeno 3 giorni la settimana, per 3 settimane consecutive1. Il pianto insorge tipicamente nel tardo
pomeriggio e si protrae sino a sera. Il neonato comincia a piangere in maniera acuta e improvvisa,
diventando rosso in volto e raggomitolandosi su se stesso: inarca la schiena, stringe i pugni e solleva
le gambe verso l’addome, irrigidendosi; l'emissione di gas produce un sollievo temporaneo1. Le
caratteristiche parossistiche del pianto in un bambino senza altri sintomi, che cresce bene, sono
risolutive per la diagnosi. Le cause restano sconosciute. Una delle ipotesi avanzate attribuisce il dolore
addominale ad una esagerata risposta delle terminazioni nervose intestinali2; un'altra imputa all'alterato
equilibrio tra i batteri componenti la microflora intestinale (con prevalenza dei coliformi sui lattobacilli)
l'aumentata produzione di gas2. Un bambino ha maggiori probabilità di avere le coliche se è
primogenito, se la madre fuma o è relativamente avanti negli anni; non sembrano invece fattori di rischio
il tipo di allattamento (al seno o artificiale), l'ansia dei genitori o una inadeguata interazione bambinogenitori1. Il pianto incessante e inspiegabile in un neonato apparentemente sano crea forte
preoccupazione e stress nei genitori. E' importante perciò rassicurarli sulla transitorietà del disturbo,
incoraggiandoli a cercare aiuto in altri membri della famiglia per assistere il bambino e consentire loro
di riposare, suggerendo semplici accorgimenti come ridurre gli stimoli esterni (luce, rumori), evitare
pasti troppo abbondanti o troppo frequenti, non mettere il bambino in posizione orizzontale subito dopo
il pasto e cullarlo affettuosamente. Sulle varie opzioni terapeutiche sono stati condotti numerosi studi,
in gran parte di bassa qualità e su casistiche esigue, con limiti metodologici che mettono in dubbio la
validità dei risultati3. Per prima cosa non va sospeso l’allattamento al seno, né vanno effettuati cambi
di latte a ripetizione. Laddove il medico sospetti una intolleranza alle proteine del latte vaccino, in
presenza di coliche gravi e/o di altri sintomi associati (eczema), si può fare una prova per una settimana
eliminando dalla dieta materna latte e derivati (eventualmente anche uova e frutta secca) nei bambini
allattati al seno e passando ad un latte ipoallergenico idrolizzato nei bambini alimentati col biberon4.
Abbassare il contenuto di lattosio nel latte con l'aggiunta di galattosidasi o arricchire il latte di fibre non
serve3,4, mentre il latte di soia è sconsigliato per la presenza di fitoestrogeni e per il potenziale
allergenico delle sue proteine5. Il percorso dei farmaci non pare percorribile per la documentata inutilità
di alcuni (simeticone) e la potenziale pericolosità (rischio di convulsioni e ostruzione respiratoria) di altri
pur efficaci (cimetropio)3. Altrettanto sconsigliati i prodotti di erboristeria come l'estratto di finocchio e il
tè alle erbe che possono migliorare i sintomi, ma al prezzo di svariati effetti indesiderati quali vomito,
sonnolenza, stitichezza, inappetenza (con conseguente ridotta assunzione di latte)6. Quando,
nonostante le rassicurazioni, la frustrazione dei genitori risulti destabilizzante e sia importante prendere
un provvedimento, nei bambini allattati al seno la scelta può ragionevolmente cadere sul probiotico
Lactobacillus reuteri, sapendo che è privo di inconvenienti e che servono almeno sette giorni di
trattamento per verificare se funziona7-9. Nei bambini allattati artificialmente, i dati sono invece
insufficienti7. Somministrato per tutto il primo trimestre di vita, il Lactobacillus reuteri ha ridotto anche
l'insorgenza delle coliche9, ma questo uso preventivo dovrà essere valutato più rigorosamente sia sotto
il profilo dei benefici reali che della sicurezza a lungo termine.
A cura del dott. M. Miselli
Bibliografia
1. Hall B et al. Infantile colic: a systematic review of medical and conventional therapies. J Paediatr Child H 2012; 48:128-37. 2. Savino F et
al. New treatments of infantile colic. Curr Opin Pediatr 2010; 22:791-7. 3. Management of infantile colic. DTB 2013; 51:6-9. 4. Jacovou M et
al. Dietary management of infantile colic: a systematic review. Matern Child Health 2012; 16:1319-31. 5. Canadian Paediatric Society.
Infantile colic: is there a role for dietary interventions? Paediatr Child Health 2011; 16:47-9. 6. Perry R et al. Nutritional supplements and
other complementary medicines for infantile colic: a systematic review. Pediatrics 2011; 127:720-33. 7. Anabrees J et al. Probiotics for infantile
colic: a systematic review. BMC Pediatr 2013;13:186. 8. Chau K et al. Probiotics for infantile colic: a randomized, double-blind, placebocontrolled trial investigating Lactobacillus reuteri DSM 17938. J Pediatr 2015;166:74-8. 9. Indrio F. Prophylactic use of a probiotic in the
prevention of colic, regurgitation, and functional constipation: a randomized clinical trial. JAMA Pediatr published online January 13, 2014.
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Statine negli anziani: una mossa azzeccata?
Secondo l'ultima indagine ISTAT, la vita media degli italiani supera gli 84 anni nella donna e i 79 anni
nell'uomo. Di questa aumentata longevità occorre tenere conto anche nella pianificazione degli
interventi sanitari perché agli anziani non venga negato alcun trattamento in grado di migliorarne
l'aspettativa di vita. Ogni scelta terapeutica deve essere però attentamente soppesata perché gli anziani
sono i maggiori utilizzatori di farmaci (2/3 degli ultra65enni ne assume minimo uno al giorno e 1/3 degli
ultra70enni è in terapia cronica con almeno quattro farmaci1) e al tempo stesso sono i più esposti ai
loro effetti indesiderati. Dopo i 65 anni la frequenza degli eventi avversi è più che doppia rispetto ai
pazienti di mezza età2 e nell'arco di 5 anni un anziano su quattro viene ospedalizzato per problemi
conseguenti ai farmaci assunti3, responsabili di oltre il 10% dei ricoveri, la metà dei quali evitabili4. Negli
anziani, la prescrizione di farmaci dovrebbe perciò basarsi su evidenze scientifiche molto solide, ma gli
anziani, specie se fragili con comorbilità o insufficienza d'organo, vengono esclusi dagli studi clinici e
l'uso di farmaci in questa fascia di popolazione deriva spesso dalla sola presunzione di utilità o da prove
di efficacia deboli e contraddittorie, come nel caso della nuova Nota AIFA 135. La Nota estende la
rimborsabilità dei farmaci ipolipemizzanti ai pazienti di età >65 anni con aumentato rischio
cardiovascolare, ma nessun trattamento diverso dalle statine è mai stato sperimentato
specificatamente su pazienti anziani ed esiste un unico studio di confronto tra una statina (pravastatina
40mg) e placebo realizzato sugli anziani (PROSPER, PROspective Study of Pravastatin in the Elderly
at Risk, 5.804 pazienti con età media di 75 anni)6. Lo studio, durato 3 anni, pur rilevando risultati positivi
sull'esito composito di morte coronarica o da ictus, infarto e ictus non fatali, peraltro clinicamente
significativi solo nei pazienti già sofferenti di cardiopatia coronarica, malattia vascolare o diabete
(prevenzione secondaria), non ha prolungato la sopravvivenza. Per avere un quadro prospettico più
ampio, sono stati recuperati i dati di mortalità di oltre 5.000 pazienti reclutati nello studio PROSPER
attraverso collegamenti con archivi amministrativi, portando il periodo di osservazione complessivo a
8,6 anni7. Il risultato dell'uso di una statina in ultra70enni è stato deludente. Rispetto al placebo la
mortalità totale non è infatti cambiata: a fronte di meno decessi per cause cardiache, nel gruppo trattato
con pravastatina si sono registrati più decessi per ictus e per cancro. Nella estensione della
rimborsabilità degli ipolipemizzanti, la Nota 13 parla di pazienti di età >65 anni con aumentato rischio
cardiovascolare, ma non precisa come vada quantificato questo incremento di rischio. A differenza dei
pazienti con cardiopatia o diabete (prevenzione secondaria), verosimilmente già in trattamento,
l'individuazione dell'aumentato rischio cardiovascolare nei pazienti in prevenzione primaria (senza cioè
segni di malattia) è incerta in quanto le carte del rischio proposte nella Nota sono tarate per pazienti
sino ai 65 anni. Paradossalmente, è probabile che proprio in questo gruppo di pazienti in cui i benefici
di un trattamento sono più discutibili si determinerà il maggior utilizzo di statine. Sarebbe perciò
auspicabile che la decisione sulla opportunità di iniziare una terapia fosse discussa e condivisa col
paziente correttamente informato del fatto che assumendo una statina non vivrà più a lungo e potrebbe
veder compromessa la qualità di vita per l'insorgenza di disturbi muscolari (dolore, debolezza, crampi),
frequenti negli anziani.
A cura del dott. M. Miselli
Bibliografia
1. Zuccaro SM. Anziani e farmaci. Quaderni Ministero della Salute 2011. 2. Budnitz DS et al. National surveillance of emergency department
visits for outpatient adverse drug events. JAMA 2006; 296:1858-66. 3. Kongkaev C et al. Hospital admissions associated with adverse drug
reactions: a systematic review of prospective observational studies. Ann Pharmacother 2008; 42:1017-25. 4. Chan M et al. Adverse drug
events as a cause of hospital admission in the elderly. Int Med J 2001; 31:199-205. 5. Nota AIFA 13 anno 2014. Gazzetta Ufficiale n.156,
pag.66-79. 6. Shepherd J et al. Pravastatin in elderly individuals at risk of vascular disease (PROSPER): a randomised controlled trial. Lancet
2002; 360:1623-30. 7. Lloyd SM et al. Long-term effects of statin treatment in elderly people: extended follow-up treatment of the PROspective
Study of Pravastatin in the Elderly at Risk (PROSPER). PLOS One 2013; 8:e72642.
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