GIOCO PUBBLICO E RACCORDI NORMATIVI
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GIOCO PUBBLICO E RACCORDI NORMATIVI
GIOCO PUBBLICO E RACCORDI NORMATIVI La riserva dello Stato e le competenze concorrenti; la questione fiscale; le azioni degli organi di controllo e il punto di vista dei comuni Prefazione – Avv. Paolo Leone Quando i promotori di questo volume decisero, dopo un importante convegno sul gioco, di raccogliere in un volume alcuni interventi, avvalendosi della disponibilità di autori prestigiosi, ho avuto qualche perplessità. Mi sembrava un azzardo in tempi di e-books e di archivi informatizzati! Ebbene “azzardo” è proprio il termine di cui si abusa impropriamente per descrivere il gioco legale autorizzato e su cui ruotano dicerie, leggende, sogni e delusioni; quindi, visto che il progetto doveva partire ho deciso di accogliere l’invito ed azzardare anche io qualche pensiero. Nei molti anni di avvocatura mi sono occupato, e tuttora continuo, del settore in posizione privilegiata, ossia studiare le regole e poi vivere la loro applicazione in diretta con le imprese. Imprese coraggiose quelle del gioco, per la tenacia dimostrata nonostante alcuni scossoni legislativi e le ingiuste campagne mediatiche ed i pregiudizi. Con l’introduzione nel 2009 delle Videolottery (VLT) mi accorsi inizialmente quanto gli operatori e gli investitori apprezzarono la regolamentazione specifica del settore giochi accompagnata da prescrizioni tecniche all’avanguardia e collocata, se così si può dire, all’interno di un ordinamento giuridico che godeva fama di affidabilità. Ciò comportò una rinnovata fiducia nel “sistema del gioco legale” italiano di cui andare fieri. In particolare, il raffronto avveniva con le nazioni dell’est europeo, il Sud America e l’Estremo Oriente, ed anche con qualche nazione occidentale. Infatti la certezza delle regole, e l’esistenza di un ente regolatore preposto (Monopoli di Stato) tecnologicamente attrezzato, fu la base della nuova era del gioco monitorato nella operatività dallo Stato, che si rivelò anche la più efficace delle armi contro il gioco sommerso gestito dalla malavita. La nostra Costituzione, tra i principi fondamentali, tutela i diritti di libertà e quelli di fare impresa senza discriminazioni. Discendono dalla nostra Carta Costituzionale e si ramificano, in materia di gioco ma non solo, una serie numerosa di leggi, regolamenti, decreti e circolari. In questo quadro generale si registrano da qualche anno - con una particolare accelerazione negli anni recenti - domande di chiarezza normativa da parte degli operatori del gioco che si trovano spaesati e spiazzati di fronte ai continui cambiamenti; aggiungo anche le contraddizioni ed i conflitti tra norme nazionali e quelle degli enti locali in genere che sono sempre più frequenti. Il legislatore aveva accelerato nel 2014, con opportuna legge delega, il progetto di racchiudere e razionalizzare tutte le norme sul gioco in un codice apposito; sarebbe stata un’opera meritoria che ricorda il virtuoso codice della navigazione del 1942 che ci vide primi nel mondo a disciplinare in modo sistematico il diritto marittimo ed aeronautico. Attendiamo di dare il benvenuto al codice del gioco! Con la legge di stabilità 2015 si è inciso in senso negativo su posizioni giuridiche già acquisite (concessioni di gioco del 2004 e degli anni seguenti della durata di molti anni) modificando le certezze degli operatori e dando luogo ad una retroattività “impropria”, con ciò vanificando ogni previsione economico finanziaria delle imprese stesse e dell’intero comparto. Non penso solo alle multinazionali che operano in scenari macroeconomici, ma penso anche alle piccole imprese come gli esercenti e la filiera collegata. Esistono allora dei limiti al potere discrezionale del legislatore? La risposta è affermativa se si vuole osservare scrupolosamente il dettato costituzionale; diversa è la risposta se prevalgono posizioni tese ad accontentare una piccola ma rumorosa parte di opinione pubblica. In passato, con l’articolo 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, approvate preliminarmente al codice civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262) il legislatore si era posto il problema della retroattività, prevedendo che «la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo». La Corte Costituzionale, dal lontano 1957, aveva sostenuto l’eccezionalità della deroga della retroattività, che dovrebbe essere dettata innanzitutto da “estrema necessità” e adeguatamente motivata. La Corte Costituzionale affermò anche che la retroattività, infatti, non deve contrastare con il principio di tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico, la quale, elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere lesa da norme aventi effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti (Corte Cost., 15 luglio 1994, n. 311; 2 luglio 1997, n. 211; 4 novembre 1999, n. 416). Deroghe a questi principi, purtroppo, ve ne sono state anche per necessità finanziarie dello Stato in piena legittimità ma, a mio parere, con alcune forzature non sempre rilevate o contrastate a dovere. Tutto ciò, come facilmente previsto, ha aperto la strada a molti contenziosi alcuni dei quali pendenti al vaglio della Corte Costituzionale. Spesso si è fatto riferimento - ed aggiungo che in alcuni casi gli enti locali ne hanno fatto uno scudo per varare provvedimenti ad alta visibilità per fini elettorali o di consenso - alla “ludopatia” dipingendolo come fenomeno devastante e criminalizzando gli operatori e lo stesso Stato. Il problema esiste ma in misura ridotta, come dimostrato dai dati ufficiali, e comunque molto ma molto distante da altre forme di dipendenza come, ad esempio, l’alcolismo e le tossicodipendenze. Gli esempi descritti, che sono solo una parte della complicata vita degli operatori del gioco, potrebbero ingenerare un giudizio di negatività generalizzata; e la crisi economica che ci perseguita dal 2008 induce al pessimismo facile. Tuttavia, ci viene spiegato, con una prospettiva scientifica e originale, dal Prof. Norbert Bolz (autore di un saggio “Chi non gioca è malato”) che “le regole del gioco garantiscono un ordine grazie al quale si sa sempre cosa si deve fare. Per questo il mondo del gioco è migliore della realtà perché mette il giocatore al centro dell’attenzione e ci fa vivere in modo assoluto l’appagamento di un attimo… e libera quelle sensazioni che altrimenti nella vita quotidiana non trovano più una collocazione. Se ti piace giocare fallo ma con giudizio”. Mi piace sintetizzare affermando che il gioco è intrattenimento e gioia di vivere e, quindi, farlo con giudizio non è peccato né reato; e ciò spiega anche il perché, nonostante le bufere economiche e il clima ostile di una parte della politica e dell’opinione pubblica, le persone giocano comunque ed il settore sopravvive tra molte difficoltà con sempre maggiore creatività e tenacia nel rispetto delle regole. Non posso infine fare a meno di rammentare, a me stesso per primo, che il gioco è una vera e propria industria che investe molto anche in ricerca tecnologica e occupa molte decine di migliaia di persone solamente in Italia e alimenta quotidianamente – ossia con entrate quotidiane - le finanze dello Stato italiano in misura notevole. Perché non trattarla come una rispettabile industria? Su questo tema ne sento di tutti i colori compresi i giudizi sprezzanti e diffamatori sui protagonisti. Questo è fuorviante, pericoloso e falso e tutti, a cominciare dai media, dovrebbero invece valutare che ogni volta che si attacca il gioco legale le società criminali brindano; il vero pericolo non è il gioco in sé, ma il rischio che si alimenti, seppure come effetto non voluto, l’illegalità. Non è difesa ad oltranza di interessi partigiani ma buon senso! Auspico, quindi, una maggiore attenzione alla comunicazione e diffusione capillare di informazioni oggettive. La domanda per il gioco esiste e va gestita attentamente senza cadere nella trappola del proibizionismo. Concludo con l’auspicio che si torni ad attivare il circuito virtuoso che ha reso grande l’Italia, ossia quello di non legiferare a tutti i costi ma gestire efficientemente le problematiche nell’interesse dei cittadini e nello spirito di osservanza alla Costituzione. Anche le risultanze della Conferenza Stato-Regioni potranno contribuire se terranno conto della realtà e della necessità di armonia legislativa. Con sapienza e rapidità perché il mondo non ci attende. Ad maiora! Ridurre le distanze – dott. Alessandro Aronica – vicedirettore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli Per quanto sommaria e del tutto preliminare rispetto ad approfondimenti che chiamano in causa diverse e differenziate competenze, la ricostruzione degli andamenti delle principali variabili del sistema legale del gioco apre a qualche riflessione utilmente spendibile nel contesto delle discussioni correnti, culturali e politiche. Un primo elemento su cui riflettere è il legame tra domanda e offerta di gioco. L’evoluzione che abbiamo descritta è compatibile con l’idea che domanda e offerta di gioco si abbraccino prima in segreto (se sia l’offerta illegale o la domanda a fare il primo passo non è di grande interesse); se così fosse, la legalizzazione dell’offerta avrebbe, almeno in parte importante e in prima battuta, il ruolo di far emergere una domanda compressa o sommersa, di acquisire risorse alla fiscalità generale, di garantire ai giocatori condizioni di trasparenza e correttezza. Le analisi sui moventi dei comportamenti individuali possono o meno consentire di confermare questa ipotesi di lavoro; tuttavia, alla luce delle vicende che abbiamo ricostruito, sostenere “sic et simpliciter” che l’offerta legale è il presupposto fondamentale di una domanda altrimenti inesistente appare discutibile; certo, in nessun settore le scelte e le preferenze dei consumatori possono formarsi al di fuori della gamma di prodotti realmente esistenti, ma qui il punto è che i prodotti spesso esistono già nel mercato parallelo. Naturalmente questa riflessione è interessante perché si riferisce direttamente alle dinamiche dei cosiddetti “giochi nuovi”, ovvero apparecchi da divertimento e giochi a distanza. Un secondo elemento di riflessione riguarda il volume di gioco e il volume delle perdite. Come abbiamo visto le due variabili conoscono un’evoluzione fortemente differenziata, soprattutto in relazione al prevalere (nell’offerta e nelle scelte dei consumatori all’interno dell’area legale) di giochi con un Pay Out elevato, quando non elevatissimo. È questa una caratteristica che accomuna le AWP, le VLT e il gioco a distanza. Nel caso delle AWP e del gioco a distanza la forte divaricazione tra la Raccolta e la Spesa può essere considerata il sintomo della riconduzione del gioco in una dimensione di divertimento in cui la sollecitazione dell’azzardo (o della speranza di un “colpo di fortuna” che cambi la vita) finisce sullo sfondo, a favore di una motivazione di puro svago, di impiego del tempo libero (e non mancano, per esempio nel settore “a distanza”, giochi senza vincite in denaro capaci di “garantire” un altissimo consumo di tempo con una spesa irrisoria). Nel caso delle VLT, invece, il Pay Out molto elevato non può essere considerato la garanzia del puro passatempo, dal momento che le puntate elevate e le asimmetrie di perdite e vincite collocano in primo piano proprio la dimensione dell’azzardo. Se si eccettuano le VLT, cui non è difficile associare la possibilità di perdite economiche anche ingenti in un breve lasso di tempo, il rischio di una spesa eccessiva attraverso gli altri canali del gioco legale sembra riconducibile più direttamente a una attitudine soggettiva del giocatore piuttosto che alle insidie intrinseche dei diversi giochi (e spesso si manifesta attraverso una combinazione di essi). Che di questa attitudine si possa parlare anche in termini medici, ovvero come di una patologia specifica, è un passo successivo che ormai viene compiuto pacificamente. Ciò che appare, tuttavia, paradossale sono le conseguenze che se ne traggono circa l’offerta legale. In base alle caratteristiche del gioco (la puntata massima è di 1 euro e la vincita massima è di 100 euro), nelle AWP prevale senz’altro in prima battuta la dimensione dell’intrattenimento (anche alla luce di un Pay Out superiore al 70 per cento). Tuttavia si tratta di giochi che è possibile realizzare semplicemente e in rapida successione, con il solo ausilio di una macchina, considerati a motivo di queste altre caratteristiche maggiormente suscettibili di agganciare vocazioni alla dipendenza. Si sostiene che un gioco ha “un alto contenuto di pericolosità oggettiva, con forti rischi di uso ossessivo compulsivo quando la sua stessa struttura ontica è connotata da… velocità nello svolgimento del gioco, minimo intervallo di tempo tra le giocate, assenza di intermediari, automatismo nell’esecuzione del gioco” (G. Imbucci “Mercato ed etica del gioco pubblico”, Marsilio, 2002, pag. 31). In realtà, dimostrare che esiste una patologia specifica e che esistono soggetti incapaci di controllarsi, causa una loro predisposizione individuale, dovrebbe alleggerire le responsabilità dell’offerta. Nel dibattito corrente, al contrario, la “medicalizzazione” funge spesso da premessa a una tesi sostanzialmente proibizionista. Tale proibizione, naturalmente, riguarderebbe oggi il gioco che si vede, quello legale. Come se, nell’individuare la chiave di questo problema, si scegliesse di cercarla in una zona illuminata, ben sapendo che potrebbe trovarsi con maggiore probabilità in una zona d’ombra delle coscienze e, anche, naturalmente, del contesto sociale. Orbene, accertato che nella famiglia delle dipendenze esiste anche la cosiddetta “ludopatia”, con una diffusione che travalica ormai la stretta cerchia di personaggi noti (e, solo per questo, un poco irreali) e coinvolge tutti i ceti, in particolare, categorie di cittadini molto fragili e con molto tempo libero (i giovani, i pensionati, i disoccupati), è un errore continuare a sottolineare i rischi associati alle grandi perdite economiche (rispetto ai quali il proibizionismo appare poi una tentazione irresistibile), non considerando che anche il divertimento insistito, ancorché esente da conseguenze irreversibili sul piano economico, è un problema meritevole di essere affrontato con serietà nell’ambito di un confronto culturale ed educativo che ha gli anni della storia del mondo e che i genitori responsabili conoscono benissimo da sempre, perché non si contano le volte che sono stati costretti a riprendere per le orecchie i “patiti” del flipper o, prima ancora, delle carte e dei dadi o, nell’antica Roma, degli astragali. Per tornare, infine, al tema del Convegno, vi è da chiedersi, allora, da questo punto di vista più ampio, non religioso né etico, ma culturale, se l’imposizione di distanze minime dai cosiddetti siti sensibili, così come è stata concepita sinora, non rappresenti, nei fatti, una fuga nel proibizionismo – una fuga che chiude gli occhi rispetto alle future rivincite del circuito illegale – mentre, invece, potrebbe diventare, se ragionevolmente concepita, parte di una politica che contribuisca a dimensionare il gioco con vincite in denaro (ma non solo quello) entro i confini di un proporzionato e controllato divertimento. Una recente sentenza del Consiglio di Stato15 sembra confortare questo punto di vista alternativo. La sentenza ha respinto il ricorso del Comune di Bologna contro una sala scommesse a cui era stata negata l’autorizzazione a un trasferimento di sede. Il Consiglio di Stato ha sì affermato che l’imposizione di una distanza di rispetto costituisce uno strumento idoneo per contribuire a limitare il diffondersi di fenomeni di dipendenza, ma ha anche sottolineato come “l’individuazione di una distanza piuttosto di un’altra discenda invece dall’esercizio di una discrezionalità amministrativa, che effettui la ponderazione con i contrapposti interessi allo svolgimento delle attività lecite di gioco e scommesse, alla luce dei canoni della adeguatezza e della proporzionalità”. Supponiamo che le distanze minime costituiscano, anziché una misura di sbarramento, una risorsa di ultima istanza nel caso di imprese che si sottraggano al rigoroso abito del gioco regolare e controllato, fissato in norme che stabiliscano elevatissimi standard qualitativi per chi offre gioco al pubblico (sia in sale dedicate, sia in pubblici esercizi). In una cornice normativa di questa chiarezza, i Comuni potrebbero utilizzare le distanze, anche molto significative, quasi come una sanzione. È evidente che in questo caso sarebbe più semplice dare concretezza, in via generale, a quella esigenza di adeguatezza e proporzionalità nell’utilizzo della discrezionalità dell’ente locale che il Consiglio di Stato ha voluto indicare. È questo, a nostro avviso, lo spazio logico entro il quale può individuarsi, in coerenza con una impostazione non proibizionista ma vigile, una soluzione equilibrata ai problemi che vanno emergendo e che la nostra società si va ponendo. Anche sul piano poi del più ampio confronto culturale ed educativo, si rinvengono norme specifiche nella più recente legge di stabilità laddove si afferma (articolo 1, comma 941, della legge 208/2015) che: “Il Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, anche attraverso l'utilizzo dei propri siti web, predispone campagne di informazione e sensibilizzazione, con particolare riferimento alle scuole di ogni ordine e grado, sui fattori di rischio connessi al gioco d'azzardo, al fine di aumentare la consapevolezza sui fenomeni di dipendenza correlati, nonché sui rischi che ne derivano per la salute, fornendo informazioni sui servizi predisposti dalle strutture pubbliche e del terzo settore per affrontare il problema della dipendenza da gioco d'azzardo”. Ma per confronto culturale si intende qualcosa di ulteriore e diverso, una capacità complessiva della nostra società di formare individui consapevoli, capaci di scegliere e di poter attraversare una sala scommesse così come altri luoghi di tentazione senza perdere la testa. È difficile oggi non convenire sul fatto che, al di là del gioco d’azzardo patologico e della spesa complessiva comunque impegnata dalle famiglie in questo settore, vi è un problema di tempo consumato (non rileva ai fini del ragionamento che sia sottratto alle attività produttive o che sia libero) che sembra possa configurarsi come eccessivo anche in relazione a chi è perfettamente in grado di tenere sotto controllo le conseguenze economiche del gioco. Si tratta quindi di trovare un equilibrio, di ridurre le distanze tra la posizione di Bernardino da Siena, che associava al gioco dei dadi “non meno di 15 differenti peccati” e, tra questi, annoverava la perdita di tempo, e quella di Carlo Rovelli che nell’incipit del capitolo dedicato alla relatività del suo “Sette brevi lezioni di fisica” ricorda: “Da ragazzo, Albert Einstein ha trascorso un anno a bighellonare oziosamente. Se non si perde tempo non si arriva da nessuna parte, cosa che i genitori degli adolescenti purtroppo dimenticano spesso”. Si tratta oggi di trovare un equilibrio, non di dettarlo. È evidente che il confronto culturale è aperto a tutto campo e non si “gioca” nello specifico settore, ma soprattutto altrove nell’economia e nella società. Vi è chi ritiene che lo Stato (quello centrale evidentemente in questa fase storica) non avrebbe titolo etico a concorrervi per il fatto di essere beneficiario, come abbiamo visto, di introiti che annualmente sono compresi tra gli 8 e i 9 miliardi di euro. Alla base del ragionamento vi è spesso una netta distinzione tra gli interessi della collettività e quelli del governo pro tempore, come se quest’ultimo si appropriasse per esigenze contingenti di un extra-profitto tributario, cui sarebbe bene, invece, in nome dello Stato etico, rinunciare. In realtà, come sappiamo, nel quadro restrittivo di finanza pubblica degli ultimi anni, le posizioni dello Stato e quella dei governi pro tempore, considerate in astratto e, in tesi, così lontane, hanno dovuto avvicinarsi, dovendosi considerare il cospicuo apporto del settore all’erario un contributo al finanziamento indistinto della spesa pubblica (meritevole quanto essa lo è nella media) difficilmente rinunciabile. Per quanto siamo venuti dicendo riteniamo che i due ruoli, quello di protagonista del dibattito culturale e quello di regolatore di un settore in cui, come in altri, vi è un problema di tutela dei soggetti deboli e di contrasto all’illegalità, siano compatibili. Al tema bisogna comunque avvicinarsi con umiltà. Prima del Papa Alessandro VII (1655-1667) i romani potevano giocare al lotto solo all’estero (Napoli, Modena, Genova); consentito da Clemente XI e Innocenzo XIII, il lotto fu proibito in perpetuo da Benedetto XIII, con editto che il suo successore, Clemente XII, prima confermò e poi abolì, perché non si riusciva a impedire che i romani continuassero a puntare sui lotti esteri. Tanto valeva che ne traessero vantaggio le finanze pontificie. Permesso il lotto a Roma, la minaccia di scomunica colpiva chi ardisse continuare a giocare sui lotti esteri. Riserva dello Stato e Competenze concorrenti – Prof. Giovanni Leone Non si comprende, invero, la ragione del coinvolgimento dei Comuni per la battaglia contro il gioco illegale “nella salvaguardia degli interessi dei minori e di tutela della salute”, quasi che i minori e la salute siano attaccabili in misura prevalente dai giochi illeciti e non, in genere, da tutti i giochi (allorquando, per gli adulti, esso prenda forme patologiche). Non si comprende, altresì, con quali mezzi e risorse finanziarie i Comuni possano esercitare questa nuova specifica delega (per contrastare il gioco illecito). In ogni caso, se un dipendente comunale, o meglio un vigile urbano ha notizia che in un locale si pratica un gioco illecito, è tenuto, a prescindere dal comma 1 dell’art. 13, in qualità di pubblico ufficiale, ad intervenire e a darne comunicazione agli organi di polizia giudiziaria (ed in particolare, ratione materiae, alla Guardia di Finanza), nonché alla magistratura: ma che sia prevista una sorta di istituzionalizzazione delle funzioni di vigilanza comunale, con la perdurante crisi della finanza locale, mi sembra, oltre tutto, paradossale. Maggiore pregnanza possiede il secondo comma dell’art. 13, anche se, come di qui a poco dirò, lascia molto delusi. Difatti, per quanto riguarda i giochi leciti, i Comuni esercitano le loro potestà regolamentari ed amministrative, secondo la disposizione in esame, “nel rispetto dei seguenti principi di coordinamento nazionale”. Tra questi, l’attenzione si ferma sulle lettere e) ed f). La prima (lettera e) così recita: “esclusione di limitazioni di distanza ed orarie nei riguardi dei punti di offerta di gioco che si conformano ai livelli organizzativi, di sicurezza e di legalità della rete fisica statale di raccolta del gioco con vincita in denaro previsti dal presente decreto e dai relativi provvedimenti di attuazione, rispettandone costantemente gli standard quantitativi e qualitativi”. La seconda (lettera f) statuisce la “esclusione di limitazioni in materia di arredo urbano tali da impedire totalmente la riconoscibilità dei punti di offerta di gioco”. Il tutto, ossia “l’insieme delle eventuali limitazioni…costituisce forma di pianificazione locale, da parte dei Comuni, dell’offerta di gioco”. Dette pianificazioni sono sottoposte ad intesa in sede di Conferenza Stato-Città e, successivamente, a valutazione delle medesima Conferenza con cadenza annuale. In poche parole, l’emananda norma sembra dire: non vi possono essere limitazioni di distanze e di orari ad libitum degli amministratori locali o dei parlamenti regionali, assecondando le varie suggestioni e/o pressioni del momento (richiamo qui le norme che definiscono luoghi sensibili gli obitori, i cimiteri, le caserme e quant’altro), ma il tutto deve essere regolato e conformato in modo omogeneo. Benissimo, ma come? In altre parole, l’imprenditore, aspirante concessionario da un canto, ed il dirigente comunale tenuto al rilascio degli atti autorizzativi, dall’altro, quali norme devono rispettare? O meglio quali nuove norme devono redigere i Comuni in sede di pianificazione locale? Non è affatto chiaro, in quanto la disposizione in esame richiama “livelli organizzativi, di sicurezza e di legalità della rete fisica statale di raccolta del gioco con vincita in denaro” che dovrebbero essere previsti dal decreto, ma non vengono affatto previsti; anzi la disposizione sembra rimandare l’individuazione di tali livelli a futuri “provvedimenti di attuazione”. Quindi, la bozza della norma in esame non indica tali standard, ma ne rimanda l’approvazione ad un successivo provvedimento, di cui non si conoscono l’autore e la natura giuridica (altro decreto legislativo, oppure decreto ministeriale e, in quest’ultimo caso, di quale ministero?). Altro paradosso consiste nel fatto che i Comuni sono tenuti ad adottare una specifica pianificazione che deve essere sottoposta alla “valutazione” della Conferenza Stato-Città (comma 3). Ci si chiede quale sia la natura di tale atto. Forse un parere, nel senso che la delibera del consiglio comunale, una volta “valutata” dalla Conferenza, deve essere vagliata anche dalle Regioni territorialmente competenti. Oppure un provvedimento di approvazione che conclude il procedimento? La norma è oscura. Come incongruo appare il termine di decadenza delle preesistenti disposizioni regolamentari comunali (e quelle legislative regionali?) “difformi dalle disposizioni del presente articolo”, fissato in sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo. Si badi che i Comuni italiani sono più di ottomila; a voler ammettere, per un solo momento, che tutti i Comuni si adeguino con grande tempestività e solerzia alla nuova (peraltro non ancora chiara e definita) normativa per evitare la decadenza ora richiamata, appare improbo il lavoro della Conferenza di esprimere la “valutazione” delle pianificazioni locali. Quale norma si adotterà? Il silenzio assenso della prossime riforme legislative della pubblica amministrazione (malgrado i problemi che attengono alla salute dei cittadini sono esclusi da tale forma di semplificazione)? Come si potrà rilevare, dopo la lettura di queste estremamente celeri e, quindi, necessariamente superficiali riflessioni, la conclusione non è affatto ottimistica e ritengo che la futura normativa debba essere sottoposta ad un vaglio più approfondito per tentare di eliminare o, quanto meno, l’attenuazione dei conflitti di competenza tra Stato, Regioni ed Enti locali. GLI AUTORI ALESSANDRO ARONICA - Romano, classe 1959, economista industriale, ricercatore e poi direttore del CER – il centro studi di politica economica - è stato docente universitario di economia delle istituzioni presso le Università di Genova e Cassino. È autore e curatore di numerose pubblicazioni in materia di politica economica e fiscale. Per quasi un decennio ha svolto il ruolo di direttore del personale dell’Agenzia delle Dogane, coordinando il processo di unificazione con l’ex amministrazione autonoma dei monopoli di stato (AAMS) e ricoprendo per un biennio la funzione di vicedirettore ad interim dell’Agenzia stessa. Da luglio 2015 è il Vicedirettore dell’ADM con la responsabilità dell’’Area Monopoli. GIANFRANCO BONANNO - Giornalista professionista e sociologo, ha collaborato come articolista e opinionista con alcune primarie testate nazionali, tra cui Il Giornale e Libero. Esperto in materia di gioco d’azzardo, è lo storico portavoce dell’Anit, l’associazione dei comuni turistici candidati all’apertura dei nuovi casinò. Nei primi anni ’90 ha fondato la prima rivista specializzata in Italia, Casino Magazine, e ha poi diretto vari periodici e siti di settore. Per il Censis ha svolto attività di ricerca e di analisi sull’industria del gioco pubblico, collaborando alla redazione del dossier Gioco ergo Sum. E’ membro dei tavoli tecnici istituiti in Anci e in Lega Autonomie in tema di gioco pubblico e relatore in vari convegni organizzati sul tema da enti, istituti di ricerca e Università. CASTRESE DE ROSA - Vice prefetto in servizio al Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, è attualmente Direttore dell’Ufficio per gli Affari della Polizia Amministrativa e Sociale. In passato è stato Direttore dell’Ufficio per le Relazioni Sindacali e prima ancore Responsabile dell’Ufficio Accasermamento dell’Arma dei Carabinieri e poi dell’Ufficio Impianti Tecnici, telecomunicazioni ed Informatica, nonché Responsabile di Obiettivo Operativo del Pon Sicurezza. E’ stato anche Capo di Gabinetto alla Prefettura di Terni e Commissario Prefettizio in vari Comuni nonché Direttore Generale alla Provincia di Terni. GIOVANNI LEONE - Avvocato. Professore ordinario di Diritto Processuale Amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Napoli “Federico II”. Autore, tra l’altro, del Codice delle Leggi della Giustizia Amministrativa, del Codice del Processo Amministrativo ed Elementi di Diritto Processuale Amministrativo PAOLO LEONE - Avvocato cassazionista e discendente di una dinastia di avvocati e giuristi (Leone Studio Legale fondato nel 1905). Laureato in Giurisprudenza (Diritto Costituzionale) con lode alla Università Federico II di Napoli, insegna Legislazione del Gioco nella Università di Salerno. Bilingue, ha maturato varie esperienze all’estero tra cui Londra e New York nel settore legale e finanziario con la Chase Manhattan Bank e consulente legale della Warner Bros. Relatore in molti convegni è, tra l’altro, consulente legale del gruppo Novomatic e autore di testi contrattuali innovativi nel settore del gioco. COSIMO NACCI - Laureato in Scienze della Sicurezza Economico-Finanziaria presso l’Università di Roma Tor Vergata, oggi è Comandante di Reparto alla Tenenza della Guardia di Finanza di Canicattì, in provincia di Agrigento. Subito dopo avere frequentato il 109° corso Cefalonia Corfù III, presso l’Accademia della Guardia di Finanza, nel 2014 fu assegnato al Primo gruppo di Roma quale Comandante della prima sezione operativa del terzo nucleo operativo, con compiti di tutela della spesa pubblica nazionale, del settore delle accise e delle altre imposte indirette sulla produzione e sui consumi e del Monopolio statale del gioco e delle scommesse. LIVIA SALVINI - Professore ordinario di diritto tributario all’Università LUISS di Roma. Avvocato. Autore di numerosi contributi scientifici. Esperto della fiscalità, tra l’altro, nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della grande distribuzione e dei giochi. FRANCESCO VERGINE - Vice segretario generale del Comune di Venezia dal 1997, è membro del Gruppo di lavoro sul gioco pubblico istituito dall’Anci, Associazione nazionale Comuni d’Italia. Laureato in Giurisprudenza nel 1986 all’Università di Padova, ha iniziato la sua carriera nella pubblica amministrazione come vicecommissario della Polizia di Stato, dove ha svolto incarichi operativi e si è distinto per avere gestito l’emergenza profughi del 1991 in Puglia. Dopo avere ricoperto diversi ruoli, tra l’altro alla Criminalpol e alla Digos, nel 1997 diventa vicecomandante della Polizia municipale del Comune di Venezia dove, successivamente, passerà a ricoprire altri incarichi fino a quello attuale. Direzione comunicazione [email protected] 06/69924549 348/5325969 Il Gruppo NOVOMATIC Italia è nato nel 2007, specializzandosi nella fornitura di Newslot e Videolottery, ed è presente sul mercato italiano con 150 sale da gioco, oltre 60 negozi di scommesse e la piattaforma di gioco a distanza AdmiralYES, oltre ad essere proprietario della concessionaria Admiral Gaming Network. L’organico di Novomatic Italia conta oggi oltre 1.800 unità. NOVOMATIC Italia fa parte del Gruppo NOVOMATIC con headquarters in Austria, fondato nel 1980, e vanta oggi società affiliate in 50 paesi nel mondo, esporta tecnologia ed apparecchi in 80 paesi ed ha fatto registrare un fatturato nel 2015 di 3,9 miliardi di euro. In totale vi lavorano 23.000 persone che gestiscono oltre 230.000 apparecchi da gioco. NOVOMATIC ha 13 impianti di produzione, ricerca e sviluppo in Austria, Germania, Gran Bretagna, Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Italia. TORO EDIZIONI è un gruppo editoriale giovane e dinamico operante nel settore dello Sport, dei Giochi a pronostico e delle Scommesse Sportive. Ha come missione quella di fornire informazioni esclusive, dati statistici e strategie di gioco di alto profilo. Rappresenta un network capace di veicolare l’informazione di qualità attraverso i più popolari e diffusi canali di comunicazione. Le attività si svolgono principalmente in ambito editoriale, coprendo l’intero territorio nazionale, e rappresentano un punto di riferimento nella stampa di questo settore, con i suoi periodici TOTOGUIDA SCOMMESSE e LA SCOMMESSA SPORTIVA.