LE NEOPLASIE PROFESSIONALI

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LE NEOPLASIE PROFESSIONALI
LE NEOPLASIE PROFESSIONALI
(Dr. Duccio Calderini*, Dr. Pierluigi Turtura*)
Nell’ambito delle malattie professionali, una particolare attenzione va riservata alle neoplasie di
possibile origine professionale.
Il tumore professionale è inteso come il tumore nella cui genesi l’attività lavorativa, che
espone ad agenti cancerogeni, può costituire fattore causale o concausale.
Lo scarso numero di segnalazioni inerenti i tumori professionali dipende, essenzialmente, da
due fattori: la lunga latenza di tali patologie, che vengono diagnosticate anche dopo venti,
trent’anni ed oltre dall’esposizione agli agenti cancerogeni e la multifattorialità, che comporta
la difficoltà da parte dei medici di stabilire agevolmente e con sufficiente attendibilità il nesso
causale tra lavoro e neoplasia, poiché sono intervenuti nel tempo, oltre che i riconosciuti fattori
genetici, concause quali, ad esempio, il fumo di sigaretta o, più in generale, altre abitudini e
stili di vita del singolo soggetto.
Pure assumendo, in ogni caso, la stima più prudente, i decessi per neoplasie professionale
risulterebbero mediamente più di 6.000
l’anno. Alla luce degli studi epidemiologici la
sottostima e, di fatto, la sottonotifica, riguarderebbe percentuali così distribuite: 85-90% per il
tumore polmonare, 75-85% per il tumore della vescica, 65% per i tumori dell’apparato
emolinfopoietico, 50% per i tumori naso-sinusali, 2-20% per i mesoteliomi.
Secondo i dati INAIL, in Italia si conterebbero oltre quattro milioni di casi di esposizione a
cancerogeni per i circa 20 milioni complessivi di lavoratori: 1/5 degli occupati. Inoltre ben 44
tra i 95 agenti cancerogeni “certi” per l’uomo, definiti dall’Agenzia Internazionale per la
Ricerca sul Cancro (IARC), sono riscontrabili nei luoghi di lavoro.
Storicamente il primo studio epidemiologico sulle neoplasie professionali è stato condotto negli
USA da Doll e Peto nel 1981; dall’analisi dei dati emerse già allora che oltre il 4% di tutti i
tumori poteva essere di natura professionale (con una stima dell’8% per gli uomini e l’1% per
le donne); peraltro, studi epidemiologici più recenti, quale quello realizzato nel 2001 in
Finlandia da Nurminnen e Karjalainen, considera invece come di possibile genesi professionale
addirittura l’8% delle neoplasie (il 14% per gli uomini e il 2% per donne).
E’ altresì da considerare che, secondo lo studio europeo Carex (sistema informativo
internazionale sulle esposizioni professionali a cancerogeni noti e sospetti) presentato nel
2002, il 23% dei lavoratori europei è potenzialmente esposto a sostanze cancerogene, mentre
l’ indagine francese Sumer del 2003 riduce la percentuale al 13,5%. In entrambi i casi,
comunque, è evidente che una cospicua percentuale di lavoratori è esposta a cancerogeni per
ragioni di lavoro; appare inoltre probabile che una notevole quota di lavoratori sia, o sia stata,
esposta a cancerogeni inconsapevolmente, nonostante la presenza obbligatoria delle cosiddette
frasi di rischio nelle etichettature dei vari preparati contenenti agenti cancerogeni utilizzati nei
cicli produttivi.
Classificazione utilizzata in passato ai sensi della Direttiva 67/548/CEE:
R45
R46
R49
Può provocare il cancro
Può provocare alterazioni
genetiche ereditarie
Può provocare il cancro
per inalazione
Attuale Riclassificazione secondo Regolamento CLP (CE) 1272/2008:
Categoria 1A e 1B: H350: Può provocare il cancro - H350i: Può provocare il cancro se inalato
Categoria 2
: H351: Sospettato di provocare il cancro
Identificare con certezza i tumori professionali è importante perché consente di sviluppare
politiche di prevenzione capillari e mirate, in modo da riuscire a diminuire sempre di più, in
futuro, il rischio di ammalarsi e morire a causa del proprio lavoro.
In Italia ogni anno vi sono circa 300.000 nuovi casi di neoplasie; se si attribuisce
all’occupazione una frazione attribuibile del 4%, ci si attendono circa 12.000
segnalazioni/anno, mentre ne risultano, in realtà, complessivamente, circa un migliaio.
Occorre però sottolineare che il fenomeno della sottodenuncia della possibile eziologia
lavorativa della neoplasia dipende essenzialmente, il più delle volte, dalla mancata raccolta di
una attenta anamnesi lavorativa e dalla non sempre adeguata sensibilità dei medici nei
confronti della problematica in questione.
Lo dimostra in effetti molto spesso il fatto che,
scorrendo l’anamnesi nelle cartelle cliniche di pazienti ricoverati per neoplasia, la parte relativa
alle attività svolte nella vita lavorativa si esaurisce in poche parole, se non, addirittura, ad
esempio, con la generica dizione di “operaio”.
Da un punto di vista medico-legale è, peraltro, da ricordare che l’omessa denuncia di malattia
professionale, rappresenta anche un ulteriore elemento che condiziona la possibile mancata
azione risarcitoria da parte competente istituto assicuratore (INAIL).
Altro elemento importante da ricordare è che per le neoplasie professionali non si deve
applicare il criterio del periodo massimo di indennizzabilità dalla cessazione dell’esposizione al
rischio; quindi, in sostanza, anche se sono trascorsi decenni tra la cessazione del rischio
lavorativo e la comparsa della patologia, e soddisfatti comunque anche altri requisiti necessari
(Criteri di Bradford Hill, 1965) la malattia può essere riconosciuta, ai fini assicurativi, come
tecnopatia.
La diagnosi di neoplasia professionale è inoltre importante anche a scopo preventivo: infatti
tramite il registro degli esposti a sostanze cancerogene, che la legge prevede di istituire a
livello aziendale per determinati tipi di attività produttive, è possibile risalire ad i colleghi di
lavoro del paziente, attuando così anche un programma di prevenzione secondaria.
Appare quasi ovvio ricordare che i tumori professionali sono tra i pochi tumori per cui risulta
possibile una efficace azione di prevenzione primaria (dispositivi di protezione individuale e
collettiva).
A titolo non esaustivo sono di seguito riportate le principali sedi dei tumori professionali ed i
principali agenti cancerogeni ad esse potenzialmente correlati, secondo i dati della corrente
letteratura in materia.
Cute:
i principali responsabili di neoplasie cutanee sono gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA)
contenuti nel catrame e nella pece (asfaltatori, addetti alla produzione di pece e catrame),
l’arsenico utilizzato come antiparassitario (viticoltori) ed i raggi ultravioletti delle radiazioni
solari (agricoltori, marinai).
Fegato:
di interesse praticamente ormai solo storico, almeno in Italia, è l’ angiosarcoma epatico in
lavoratori con pregressa esposizione a cloruro di vinile monomero (MCV).
Apparato urinario:
la vescica, in particolar modo, rappresenta la sede d’elezione di neoplasie causate da
cancerogeni i cui metaboliti vengono escreti attraverso l’apparato urinario.
Si tratta di uroteliomi con vari gradi di malignità, papillari o non papillari, con un tempo medio
di insorgenza di almeno 10 anni inferiore a quello delle neoplasie non professionali.
I principali responsabili dell’insorgenza di queste neoplasie sono le amine aromatiche. Tra esse
quelle con maggior potere cancerogeno risultano la 2-naftilamina, la benzidina ed il 4aminodifenile; queste sostanze, utilizzate in passato nella produzione di coloranti azoici e nella
produzione della gomma, oggi non possono più essere commercializzate.
Apparato emopoietico:
tra le principali sostanze responsabili di neoplasie a carico dell’apparato emopoietico ricordiamo
il benzene e le radiazioni ionizzanti. A seguito del miglioramento delle condizioni di lavoro
risultano, attualmente, in assoluta diminuzione.
Più recentemente è stato invece ipotizzato il ruolo dell’ossido di etilene (intermedio di reazione
in numerosi processi chimici e sterilizzante utilizzato in ambienti sanitari ) come responsabile di
tumori dell’apparato linfopoietico.
Apparato respiratorio:
l’apparato respiratorio (ed i polmoni in particolare) rappresenta, oggi, il bersaglio più frequente
delle neoplasie di origine professionale; infatti sono numerose le attività che espongono i
lavoratori ad agenti cancerogeni; inoltre attività lavorative particolarmente gravose da un
punto di vista fisico determinano ovviamente un aumento della ventilazione polmonare con una
conseguente maggior quantitativo di sostanze cancerogene inalate.
Comportano un aumento dell’incidenza di neoplasie professionali polmonari l’esposizione a:
a) Cromo esavalente (responsabile anche dell’insorgenza di neoplasie delle prime vie aeree)
negli addetti alla produzione di cromati e nella cromatura (ad esempio nell’ industria
galvanica).
b) Arsenico negli addetti alla produzione e all’utilizzo di insetticidi arsenicali.
c) Nichel negli addetti alla fusione del metallo (soprattutto in situazioni caratterizzate dall’uso
di tecnologie ed impianti mal funzionanti od obsoleti).
d) Idrocarburi Aromatici Policiclici (IPA) negli addetti alla produzione di alluminio, nei lavoratori
della metalmeccanica, delle cokerie e negli asfaltatori.
e) Bis(clorometil)etere negli addetti alla produzione di tale composto e nel suo impiego nei
laboratori.
f) Berillio in soggetti massivamente esposti (impianti ed apparati per conduzioni elettriche o
termiche, industria aerea e spaziale, impianti nucleari).
g) Silice cristallina, in particolare in soggetti già affetti da silicosi polmonare (miniere,
lavorazione delle pietre, industrie del vetro e della ceramica).
h) Radon e suoi prodotti di decadimento, minatori (notevole effetto sinergico, come per gli altri
cancerogeni, col fumo di sigaretta) ed addetti a lavorazioni in ambienti interrati e seminterrati.
i) vari studi epidemiologici, inoltre, hanno dimostrato un aumento dell’incidenza di neoplasie
polmonari (addetti alla fusione del ferro e dell’acciaio, verniciatori) senza che siano ancora
state definitivamente e chiaramente identificate con precisione le sostanze direttamente
responsabili.
Cavità nasali e paranasali:
neoplasie di queste sedi sono tipicamente determinate dall’esposizione a composti del cromo
esavalente (produzione di cromati), a polveri di legno duro (in particolare nelle lavorazioni del
legno) e al trattamento delle pelli (concia).
Una particolare attenzione è dovuta all’amianto:
con questo termine si indica un materiale che dal punto di vista mineralogico appartiene alla
famiglia degli asbesti. Le caratteristiche peculiari dell’abito asbestiforme sono la struttura
fibrillare (cioè con rapporto lunghezza/diametro > 3-5), la flessibilità, la resistenza meccanica
delle fibre e la notevole resistenza termica.
Il crisotilo (estratto da rocce di serpentino e con forma circonvoluta) rappresenta circa il 90%
dell’amianto utilizzato, mentre gli asbesti estratti da rocce di anfiboli (con forma rettilinea e
quindi con caratteristiche aerodinamiche tali da penetrare e depositarsi nelle parti più distali
dell’albero respiratorio) sono la crocidolite, l’amosite e l’antofillite.
Come noto, viste le sue molteplici caratteristiche, l’amianto è stato utilizzato in moltissimi
settori (in particolare edilizia, cantieri navali, mezzi di locomozione, industria tessile, lavori di
coibentazione termica, telecomunicazioni, industria chimica); successivamente, considerata la
sua pericolosità, ne è stato vietato l’utilizzo, ma residua oggi, ad esempio, il problema della
bonifica/rimozione dei manufatti contenenti tale elemento.
Tutti i tipi di amianto, oltre a determinare importanti patologie polmonari (asbestosi) e/o
alterazioni (placche pleuriche), sono in grado di indurre neoplasie.
In particolare il tumore polmonare può essere causato da tutti i tipi d’amianto ed ha una
latenza di almeno 20 anni. E’ una complicanza possibile dell’asbestosi polmonare ed ha una
notevole e riconosciuta sinergia col fumo di tabacco:
- soggetto non fumatore non esposto ad amianto, rischio 1
- soggetto fumatore non esposto ad amianto, rischio 5
- soggetto non fumatore esposto ad amianto, rischio 10
- soggetto fumatore esposto ad amianto, rischio 50
Il Mesotelioma pleurico (con quello pericardico e peritoneale in proporzione minore) è una
patologia rara nella popolazione generale, che colpisce più frequentemente gli uomini e in
Italia rappresenta lo 0,4% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo e lo 0,2% di quelli
diagnosticati nelle donne. Ciò equivale a dire che si verificano 3,4 casi di mesotelioma ogni
100.000 uomini e 1,1 ogni 100.000 donne. Una grande quantità di questi casi è comunque
riconducibile all’esposizione professionale ad amianto; contrariamente alla neoplasia polmonare
sono sufficienti anche esposizioni brevi e di intensità moderata per determinare, a notevole
distanza di tempo, l’insorgenza della malattia. I vari tipi di amianto hanno diverso potere
cancerogeno; la crocidolite ne ha il maggiore. La latenza varia dai 20 ai 40 anni, la diagnosi è
molto spesso tardiva e la prognosi infausta. Le stime prevedono che la massima incidenza di
neoplasie professionali conseguenti all’esposizione all’amianto avverrà intorno all’anno 2020,
ma è da sottolineare che tale termine si sta, di fatto, progressivamente spostando nel tempo.
Già da parecchi anni inoltre è stato segnalato un aumento dei casi di mesoteliomi pleurici nella
popolazione generale delle zone in cui in passato venivano fabbricati manufatti contenenti
amianto (in Italia il noto esempio di Casale Monferrato) a dimostrazione della pericolosità
dovuta all’inquinamento ambientale. In un’ottica di una ricerca attiva gli strumenti attualmente
a disposizione del medico del lavoro per la ricerca delle neoplasie professionali sono
essenzialmente rappresentati, in Regione Lombardia, dai Registri Tumori per le neoplasie
professionali ad “alta frazione eziologica” (ReNaM per i mesoteliomi, ReNaTuns per i tumori
delle fosse nasali) e dalla banca dati del progetto OCCAM (OCcupational CAncer Monitoring)
per le altre neoplasie definite a "frazione etiologica limitata”. OCCAM, in particolare, nasce da
una collaborazione tra Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro e Istituto
Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano: attraverso il “linkage” con gli archivi
informatizzati INPS, stima il rischio per i tumori di origine occupazionale per area geografica
(provincia, regione ecc.), sede d’insorgenza della malattia e comparto produttivo.
Tutti i registri funzionano nel rispetto delle modalità previste dall’ articolo 244 del D.Lgs.
n.81/2008 (cosiddetto Testo Unico in materia di Igiene e Sicurezza sul Lavoro).
In aggiunta alle considerazione sin qui espresse va detto che è comunque convinzione
consolidata degli addetti ai lavori, dopo anni di esperienza sul campo, che per favorire il più
possibile la tempestività di intervento, di analisi ed approfondimento e di efficacia di azione da
parte delle Unità Operative Ospedaliere di Medicina del Lavoro, dei Servizi di Prevenzione e
Sicurezza negli Ambienti di Lavoro e dell’INAIL, occorra aumentare la sensibilizzazione dei
medici ospedalieri e dei medici di famiglia affinché questi provvedano ad informare il prima
possibile, secondo criteri da concordarsi e previo consenso del soggetto interessato, gli enti
competenti nei casi di soggetti affetti da patologia tumorale. Sarà poi compito dei medici del
lavoro “screenare” i casi meritevoli di essere approfonditi e ricondotti ad una possibile, se non
probabile o certa, esposizione lavorativa ad agenti cancerogeni.
Nell’ottica di un recupero dei “tumori perduti”, come già in essere in altre zone della nostra
regione e sull’esempio di altre iniziative, è in ipotesi lo studio per l’elaborazione condivisa di un
modulo informativo sintetico da compilare e trasmettere, su base volontaria e, come già detto,
previo consenso del soggetto interessato, al Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di
Lavoro dell’ASL. Il modulo, con un criterio di massima semplificazione, dovrà contenere un
numero limitato ed essenziale di informazioni utili al medico del lavoro per la prosecuzione
degli accertamenti che discendono dai compiti istituzionali e la promozione, nei casi accertati,
dell’attivazione di procedure per il risarcimento da parte di INAIL, o, viceversa, per una
archiviazione motivata del caso esaminato.
L’ attività può, di fatto, rientrare in un progetto che coniughi epidemiologia e prevenzione, ad
adesione dei singoli su base volontaria e previa informazione e formazione dei medici.
Il coinvolgimento di più soggetti richiede ovviamente una preventiva e chiara indicazione su
chi 1. fornisce, 2. elabora, 3. detiene i dati personali dei pazienti.
Altro elemento importante, e strettamente legato a quanto già esposto, è che il lavoro
ipotizzato non si limiti a raccogliere le informazioni, ma venga altresì garantito l’ impegno
all‘elaborazione dei dati con cadenza regolare e rendicontazione dei risultati secondo i criteri di
trasparenza.
*ASL di Varese, Unità Operativa Complessa Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro
Principali fonti bibliografiche :
Prof. Roberto Vercellino “ Tumori Professionali”, SIM Medicina del Lavoro. 2008.
Dario Mirabelli “Stima del numero di lavoratori esposti a cancerogeni in Italia, nel contesto dello Studio Europeo
Carex”; Unità di Epidemiologia dei Tumori, Azienda Ospedaliera San
Giovanni Battista di Torino. 2002.
Nurminen M, Karjalainen A. “Epidemiologic estimate of the proportion of fatalities related to occupational factors in
Finland.” Scand J Work Environ Health 2001;27(3):161—213.
S. Porru, G. Muzi, L. Alessio “Le malattie da lavoro perdute” G. Ital Med Lav Erg 2008; 30:1, Suppl, 49-55.