I diritti di cittadinanza nell`esperienza delle migrazioni

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I diritti di cittadinanza nell`esperienza delle migrazioni
Oltre la cittadinanza-nazione
Seminario di studio
Roma, 18 giugno 2009
Spunti di riflessione (p. Graziano Tassello)
I diritti di cittadinanza nell’esperienza delle migrazioni
Lettura da un’ottica storica: i nazionalismi dell’Ottocento
La vita collettiva è organizzata dentro gli orizzonti degli stati nazionali.
L’impegno è tutto rivolto a consolidare l’identità nazionale all’interno di un preciso ambito
geografico: spazi chiusi e distinti. La sacralità dei confini.
Scarsa attenzione alle minoranze.
In ambito migratorio troviamo negli USA il Nativismo, che screma l’immigrazione, vuole solo
persone culturalmente affini (il mito della WASP society), spinge per processi di assimilazione e
sostiene la teoria della non integrabilità di alcuni migranti, considerati come una realtà temporanea
e pertanto senza diritti e sicurezza sociale.
È soltanto all’interno dello Stato nazionale a cui si appartiene che è possibile esercitare la
cittadinanza attiva.
Lettura da un’ottica migratoria
Gli inizi
Votare con i piedi, come avrebbe detto l’economista Charles Tiebout: una bocciatura che si
sostanzia nella scelta di abbandonare la propria terra per andare a vivere altrove: per l’emigrato
sembra questo l’unico esercizio di cittadinanza possibile!
La realtà iniziale dell’emigrazione: volti anonimi, lingue tagliate, senza diritti civili e religiosi,
persone viste con sospetto.
Possiamo ricordare una citazione presa da un articolo apparso sul giornale cattolico “Times-Union”
di Jacksonville, Florida il 4.6.1891 per comprendere meglio la situazione:
“Soprattutto gli italiani non sono assimilabili, e si dovrebbero adottare misure per controllare l’invasione degli
immigrati da quella nazione... La nostra nazione deve smettere di essere il ricettacolo di quella che è la più
degradata e criminale popolazione d’Europa. Il mercato del lavoro americano è più che saturo attraverso
l’importazione di manodopera a basso costo. È nostro dovere come nazione prendere misure per proteggere noi
stessi e la nostra civiltà superiore da ogni troppo pericolosa contaminazione” (mia traduzione dall’inglese).
Spesso i migranti non sono considerati persone, ma oggetti su cui riversare gesti di carità.
Spesso ci imbattiamo in un’ottica di lettura pauperistica del fenomeno, anche nei documenti della
Chiesa. Un’ottica che continua nel tempo (cfr. ad es. recente documento del COMECE in occasione
delle elezioni europee).
L’emigrazione è vista solo come forza lavoro, anche se “abbiamo chiesto braccia; sono invece
giunti tra noi uomini”, commenta Jean Ziegler sociologo e politico svizzero.
Il comportamento del migrante: tacere e lavorare: uno status di non cittadinanza.
Al di là dello sportello: il trattamento che i funzionari dei consolati riservano ai connazionali.
Il pericolo dello sviluppo del familismo a-comunitario in emigrazione
(Si può prendere spunto dal saggio dell’antropologo americano Edward Banfield, pubblicato nel 1958 – “The
moral basis of a backward society” – traduzione italiana del 1976 “Le basi morali di una società arretrata”.
Secondo l’A. il “familismo amorale” è quella tendenza tipica mediterranea, secondo la quale gli individui di
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una comunità cercano di massimizzare solamente i vantaggi materiali e immediati del proprio nucleo familiare,
supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo. Il familismo è "amorale" perché manca di morale
pubblica, nel senso che i principi di bene e di male rimangono e vengono applicati soltanto e unicamente nei
rapporti familiari. L'amoralità non è quindi relativa ai comportamenti interni alla famiglia, ma all'assenza di
ethos comunitario).
Evoluzione nel tempo
Gli emigrati si organizzano: due sono i filoni principali su cui si muovono, quello della solidarietà e
quello della preservazione della lingua.
Il ruolo delle missioni e delle parrocchie nazionali (il ruolo della religione ignorato dagli studiosi
italiani): dal regionale al nazionale... preti tuttofare... opera di supplenza
L’arrivo dei partiti: la partitocrazia impone la sua legge e i suoi sistemi.
La nascita degli organismi consultivi e partecipativi.
Il ruolo delle associazioni nazionali e regionali di emigrazione.
Il voto in loco per corrispondenza: una “conquista” arrivata tardi e in un contesto di elevata
impreparazione socio-politica. Come traghettare il migrante da uno status di assistito ad un status di
protagonista?
Una serie di impegni basati sul volontariato, ma senza una chiara visione, spunti innovativi, una
formazione dei quadri: è mancata una coscienza critica e si è preferita la conquista di posti... ma per
immettere che cosa?
Analisi del grado di partecipazione alle elezioni politiche e amministrative italiane, alle elezione al
PE, alle elezioni in loco: percentuali piuttosto basse.
Si sono concluse alle ore 20 del 6 giugno le operazioni di voto presso i 580 seggi istituiti dalla rete diplomatico
– consolare nei 26 Paesi dell’Unione Europea. L’affluenza media e’ stata del 6,56%, rispetto al 10,8% del
2004, (79.594 votanti rispetto ai 118.924 del 2004).
Il calo dell’affluenza è anche da correlare, da un punto di vista tecnico, a due specifici fattori:
a) forte incremento del numero di elettori che hanno optato per il voto per i candidati locali (da 70.000 a
113.600);
b) affinamento dei dati dell’anagrafe, che – assieme ad un modesto incremento dei residenti italiani nella UE ha portato ad un allargamento della base elettorale (da 1.098.000 a 1.213.700 aventi diritto).
Le ACLI in emigrazione
Non mi addentro in questo ambito perché non ho elementi sufficienti a disposizione, mancando una
storia completa della presenza delle ACLI in emigrazione.
Si potrebbe però riflettere su alcuni temi o episodi emblematici, come
In Belgio P Sartori investe le sue speranze acliste nei minatori
In Germania vi è “competizione” tra ACLI e Caritas
Alcuni aclisti non sono immuni dal fascino dei partito del potere in loco (Comites, ecc.)
L’impegno predominante a livello di patronato
Molto impegno nei corsi di formazione professionale
È andato scemando considerevolmente l’investimento nel campo della formazione ecc.
Anche se in recenti documenti, come in quello prodotto dalle ACLI Svizzera, si registra una presa
di posizione interessante. Leggo dalle Agenzie:
Zurigo - Il Consiglio nazionale delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori internazionali), eletto dal Congresso
nazionale dello scorso 19 ottobre, si è riunito sabato scorso nella sede centrale di Zurigo per decidere la
composizione della Presidenza nazionale per il quadriennio 2008-2012.
La nuova Presidenza nazionale delle Acli della Svizzera è così composta: Ennio Carint, presidente nazionale
e presidente del Patronato AcliLuigi Zanolli, vice presidente Formazione e relazioni internazionaliLuciano
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Alban, vice presidente Rapporti con le associazioni e i partitiFrancesco Plutino, vice presidente e Presidente
dell'EnaipGiuseppe Però, segretario amministrativoAntonio Cartolano, delegato ai rapporti con le Chiese, le
Missioni e i sindacati.Maria Alonso-Ricci, responsabile del Coordinamento donne Acli.
MOZIONE FINALE
Le ACLI nazionali della Svizzera, riunite nel loro X Congresso sul tema "Abitare il presente, servire il futuro. Le
Acli nel XXI secolo", approvano la relazione del Presidente uscente Ennio Carint e accolgono pienamente l'invito
ad entrare nel XXI secolo con audacia e coraggio, nel segno della speranza.
Le ACLI svizzere vogliono consegnare al futuro le tre storiche fedeltà - alla democrazia, al mondo del lavoro, alla
Chiesa -, confermando la vocazione di essere Movimento di educazione e di promozione sociale ed impegnandosi
a stare accanto ai bisogni delle donne e degli uomini del nostro tempo.
Esse intendono dar vita a nuove forme di presenza e di azione sociale secondo gli insegnamenti della Dottrina
sociale della Chiesa.
Per le ACLI della Svizzera "abitare il presente" significa operare per far uscire i più deboli dalla povertà, dalla
solitudine e dalla frammentazione sociale, vivendo la cultura della prossimità fondata sulle relazioni, sull'ascolto,
sull'accoglienza.
"Servire il futuro" significa operare a partire dalla famiglia, il luogo dove nascono primariamente le relazioni a
l'accoglienza della vita, l'apertura alla genitorialità, l'alleanza tra i generi e le generazioni, ma a partire anche dai
luoghi in cui si sviluppa una più ampia socialità, quali il lavoro, le reti di solidarietà, la partecipazione
democratica.
Le ACLI sono pienamente consapevoli che nella nostra "società individualizzata" le persone che stanno male e
che soffrono per mancanza di relazioni umane e comunitarie sono sempre più numerose e che spesso la solitudine
diventa la prima forma di povertà.
Esse si propongono pertanto di curare in modo significativo l'adozione di programmi e strategie comuni in grado
di esprimere la ricchezza del Movimento e dei servizi (Patronato Acli e Enaip) per mantenere al centro di tutte le
iniziative "la persona".
L'incertezza della vita materiale e il logoramento dei riferimenrti valoriali, che investono anche i progetti di vita e
le prospettive di futuro, in particolare per le giovani generazioni, diventano per le ACLI della Svizzera impegno
per contrastare l'individualismo radicale e il materialismo consumista che dilagano nella caduta dei valori.
Di fronte al senso di disorientamento e di precarietà generato dalla mancanza di senso e di una speranza su cui
costruire il proprio futuro, le ACLI vogliono riappropriarsi, sul terreno della quotidianità e del proprio agire nella
complessità dei tempi, del compito importantissimo di riprendere una "sfida educativa", che costituisce il primo e
principale motivo di presenza e di azione sociale per contrastare la "morte del sociale", ricostruendo legami di
solidarietà, energie per uno spirito di servizio, valori condivisi e prospettive di futuro, caratterizzate da
un'autonomia che è garanzia di un libero e gratuito servizio al bene comune.
Le ACLI sono convinte che, per raggiungere questo scopo, occorra continuare nella costruzione della rete che
aiuti a rafforzare la loro presenza articolata e plurale, creando occasioni d'incontro e di collaborazione con gli altri
soggetti operanti sul territorio e che condividano gli stessi ideali.
Convinte che la cultura e la formazione non sono elementi accessori, ma fondamentali del progresso sociale, della
stessa difesa e diffusione della legalità, di una cittadinanza attiva, consapevole e responsabile, le ACLI della
Svizzera intendono impegnarsi per sviluppare con forza il diritto alla formazione e alla cultura, consapevoli che
così si attua quel patto di civiltà che può portare a una nuova cittadinanza generatrice di coesione sociale.
Di fronte alle profonde trasformazioni culturali, religiose, politiche, del lavoro, del "welfare", dei processi di
mobilità delle persone, le ACLI si impegnano a promuovere cammini formativi costanti, per incidere con più
determinazione e coraggio nel tessuto della società che cambia.
La fedeltà alla Chiesa e il radicamento nel Vangelo costituiscono per le ACLI della Svizzera, in cammino nel XXI
secolo, le ragioni più radicali della speranza, che agisce e opera e che supera ogni concreto prodotto del nostro
impegno.
Come Movimento di laici credenti e impegnati nella realtà, le ACLI - segnalate "tra le 100 cose di eccellenza in
Italia" - vogliono contribuire a rendere la Dottrina sociale della Chiesa feconda e capace di rispondere alle nuove
sfide del nostro tempo.
La Chiesa continuerà ad essere la bussola che indirizzerà il cammino delle ACLI nel futuro "da servire".
Oggi nella società
La crisi della società nazionale avviene quando le tre sfere, quella economica, quella politica e
quella culturale, iniziano a non coincidere più. L’economia comincia a travalicare i confini dello
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Stato nazionale, i mercati sono spesso sovranazionali e nessun governo è più in grado di controllare
da solo i processi economici. Lo stesso avviene per i processi culturali: viene superata l'illusione
dello Stato nazionale di poter detenere il monopolio della cultura. La politica entra in crisi: ogni
Stato deve fare i conti con altri Stati e con altre sfide che sono al di fuori del suo potere.
Questa crisi (il processo di globalizzazione) mette in questione la regolazione delle tre sfere
(economia, cultura e politica) a livello internazionale. La democrazia è nata associata all'idea della
nazionalità: ma se questa entra in crisi, dove va a finire la cittadinanza attiva?
Nasce quindi l’esigenza di individuare un nuovo tipo di partecipazione, una nuova forma di
cittadinanza attiva nell’era della globalizzazione.
La globalizzazione ci fa individui che devono imparare a vivere in un mondo che è molto più
confuso, molto più indistinto, contraddittorio e incerto. Oggi c'è un clima di paura che tende alla
chiusura in mondi piccoli, alla diffidenza, alla creazione di nuovi confini. In queste incertezze ci
chiediamo chi sono gli altri a cui ci sentiamo legati e quali i valori in cui credere. (dalla relazione di
Lyon).
Viviamo in società dalle identità fragili. La reazione istintiva è quella di erigere steccati, difendere
quello che resta delle identità religiose e sociali. Nella società attuale, in cui spesso, sembra venir
meno la speranza del dialogo e dell'incontro tra le diversità, c’è profondo bisogno di persone capaci
di aiutare a fare sintesi nella ricerca di senso 1 .
Siamo gente alla deriva o persone che fanno appello ad una fede per interpretare e vivere in
pienezza questo “nostro” tempo?
Oggi in emigrazione
Nonostante le idealità (“Il migrante di sua natura ha perseguito un progetto di speranza: una vita più
umana per sé e per i suoi familiari. Per attuare questo disegno, ha varcato le antiche frontiere che
rendevano ancora immaturo il sogno di una casa comune. Carlo Levi, in un noto quadro, ha dipinto
il migrante come colui che cancella i confini dalla carta geografica”. “Sebbene inconsciamente, gli
emigrati sono stati degli apripista, persone che con la loro umile ma preziosa presenza – del resto la
Bibbia ci ricorda che i messaggi più autentici provengono sempre dai «poveri» – hanno saputo
lentamente ma inesorabilmente debellare le tentazioni di gretti nazionalismi, hanno invocato la
difesa di ogni persona a prescindere dalla sua nazionalità e dalla sua cultura, hanno obbligato le
istituzioni locali a chiarire il concetto di accettazione del culturalmente diverso e a puntare sulla
convivenza armoniosa e sul dialogo. Hanno anticipato i tempi e la loro esperienza è divenuta
paradigma di quanto tutti i cittadini europei sono chiamati a vivere nell’Unione”), si registrano
segni di stanchezza un po’ ovunque.
MCI sono sotto tiro e vivono l’angoscia del non ricambio (cfr. l’appello del Delegato
nazionale di Germania).
Patronati: attenzione rivolta prevalentemente ad anziani e pensionati: fino a quando?
I bollettini regionali o provinciali e i giornali delle associazioni: spesso un amarcord
sponsorizzato.
L’assenza di una strategia governativa: l’emarginazione della diaspora (lingua e cultura,
organismi rappresentativi, strutture di supporto: tutto viene smantellato in nome
dell’efficienza e senza una reale strategia innovativa)
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Cfr. Luigi Ghia, Globalizzazione e relazione, in: “Il Gallo”, luglio-settembre 2008, p. 126.
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L’investimento in emigrazione diventa impegno residuale?
I segnali negativi provenienti dalla chiesa italiana, francese, svizzera, che indicano un chiaro
deficit di cattolicità.
Elementi di disturbo nella ricerca di una “nuova” cittadinanza
L’onnipresente controllo dei partiti.... gli interessi di parte che sviliscono la creatività del terzo
settore.
Quale il motivo per una presenza capillare nei Comites, nel CGIE, nelle segreterie di partito
all’estero: esserci per rendere più dignitosa la vita dei migranti o per contare?
Non esiste nessuna “scuola di cittadinanza” in emigrazione.
Si registra una scarsa partecipazione degli emigrati italiani alla vita socio-politica locale.
Ci siamo chiusi dentro l’arca di Noé perché si sta bene.
Associazioni che trovano difficoltà a rinnovarsi.
Quello che era paradigmatico nella vita: andare verso il nuovo, varcare frontiere si è arrestato. Da
stranieri in cammino siamo diventati stanziali: l’invecchiamento morale dell’emigrazione?
Sono stati veramente proposti progetti innovativi che potessero calamitare l’interesse?
Occorre insomma fare qualche cosa che ci destabilizzi, lasciar perdere certe cose per pensare ad
altre. Non bisogna mai sprecare una crisi...
I contesti in cui ci muoviamo e in cui iniettare “novità di vita”
I giovani in emigrazione: analisi di documenti recenti e di risultati di ricerche (IREF): alla ricerca di
qualche cosa di nuovo? Chi lo offre loro?
Le ACLI in emigrazione: Oggi –domani. Che cosa significa fedeltà al futuro?
Varcare le frontiere: apertura del servizio dei patronati/associazioni anche a persone di altri gruppi
nazionali.
Solidarietà e contagio (progetti condivisi)
Il servizio civile in emigrazione
La formazione
Occorre promuovere l’informazione e la formazione delle persone alla cittadinanza attiva. Si tratta di un
compito essenziale per le nostre organizzazioni che può essere svolto a vari livelli e nella diversità e specificità
di ogni istituzione. Occorre provvedere alla diffusione di informazioni e di formazione per conoscere i propri
diritti come cittadini europei all’estero e poter esercitare il voto nelle elezioni amministrative dei paesi
ospitanti. Ma è anche importante promuovere la scelta della doppia cittadinanza e la partecipazione in
associazioni locali. È necessaria una formazione integrale della persona che non trascuri l’educazione religiosa
e civile.
I grandi temi etici di oggi - le migrazioni internazionali, la convivenza tra le diversità, l’ambiente, la giustizia,
le biotecnologie – oppure temi sociali più locali – le povertà del quartiere, gli anziani, l’accoglienza e
l’integrazione in loco dei nuovi immigrati e rifugiati - potrebbero diventare nuclei di interesse che attraggono
giovani e adulti verso la formazione alla cittadinanza attiva e verso un impegno sociale e politico in dialogo
con le altre religioni e culture.
L’incontro con le religioni diverse, la loro conoscenza e anche il contatto con persone di altre fedi sono un
tema ritenuto importante nella formazione alla cittadinanza attiva. Altri nuclei di interesse sono la possibilità di
allargare diritti di cittadinanza anche a quegli immigrati che non sono comunitari, ma che vivono sul territorio
europeo e l’attenzione alle nuove povertà.
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Coinvolgere i pensionati in uno novo stile di vita
Contatti e progetti con altri gruppi di emigrati (riprendere il progetto iniziato a Stoccolma...)
Contatti con la società locale: campi di inter-azione
Ponte fra missione e parrocchia locale:
Da missione a comunità
Da presenza “residuale-parziale” a impegno a tutto campo
Da migranti italiani a cittadini del mondo
Possibili cammini per andare oltre la cittadinanza-nazione
Non voglio invadere il terreno delle due relatrici che seguiranno.
Conclusioni
Dall’incontro di Lione:
“È il tempo dell'uomo vertebrato che non si lascia definire da due categorie opposte e ormai
superate: l'uomo delle radici, ancorato al passato di una tradizione rigida, incapace di dialogare con
le persone e la società del nostro tempo, e l'uomo delle antenne, perso e confuso in forme di
intercultura superficiale, di sincretismo che scadono nel relativismo e nell'assenza di orientamenti 2 .
L'uomo vertebrato è colui che fa propria, in modo personale ed originale, la tradizione dinamica
della fede cristiana e la riattualizza nel presente, diventando identità aperta e non polemica, capace
di costruire ovunque comunione e di camminare e di dialogare con ogni persona, accolta nella sua
diversità. Si tratta anche di interrogarsi sui percorsi formativi necessari affinché il cristiano di oggi,
giovane o adulto, sia dotato di questa "colonna vertebrale".
La caratteristica propria dei cristiani, cittadini di un mondo globale in contesti interculturali e
interreligiosi, dovrebbe essere la centralità dell'altro, il primato della persona, dell'altro concreto in
carne ed ossa. Se il cristianesimo non vuole essere una religione che si oppone semplicemente alle
altre religioni deve dialogare con esse, mettendo al centro il tema dell'altro. “L’universalità della
fede cristiana non consiste nella pretesa di assolutezza di una verità collocata unicamente
nell’ambito della conoscenza, della quale poter disporre opponendola alle altre religioni. La verità
del cristianesimo è esattamente il contrario di esclusione e polarizzazione, affermazione di sé e
intolleranza. Infatti, se Gesù dice di se stesso: ‘Io sono la verità’, allora è chiaro che la verità di cui
parliamo è amore” 3 . La fede ha “una dimensione pubblica e politica e ha contenuti molto importanti
da comunicare riguardo a questioni decisive come l’immigrazione, la fame nel mondo, la
salvaguardia del creato… Questa è una strada essenziale per incontrare le persone oggi: l’impegno
per la formazione delle coscienze… A questo livello credenti e non credenti trovano delle
problematiche collettive da affrontare” 4 . Questo potenziale si realizzerà se ci saranno tanti luoghi
piccoli, concreti e reali, in cui questa alterità verrà sperimentata come arricchimento; dove si
praticherà l'ospitalità vera, si troveranno i modi in cui le diversità possano conciliarsi e dialogare
nella concretezza. Da questo punto di vista il piccolo coincide con l'universale: non c'è nessuna
universalità se non nel piccolo. Tutto questo ci interpella come cristiani e come cittadini.
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Cfr. Antonio Perotti, Coesione sociale e rispetto delle identità culturali, 4° Incontro Astea, Stoccarda, 19 marzo 1999.
Intervista al Vescovo di Basilea Mons. Kurt Koch “Il primato di Cristo”, in: “Sulle strade dell’esodo”, maggio-giugno
2008, p. 27.
4
Ibidem, p. 31.
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