MEZ A LON - Comune di Livo

Transcript

MEZ A LON - Comune di Livo
PERIODICO SEMESTRALE DELLA COMUNITÀ DI LIVO
Anno III - N. 2/04 - N. progr. 6 - ottobre 2004
Aut. Trib. Trento N. 1118 del 06/03/2002 - Spedizione in A.P. 70% D.C.B. TN
Tassa pagata - Taxe Percue
Direttore
Carlo Alessandri
Direttore responsabile
Massimiliano Debiasi
Comitato
Massimo Betta
Erica Corradini
Pierluigi Fauri
Sede Redazione
Municipio di Livo - Via Marconi, 87 - 38020 Livo (Tn)
[email protected]
In Copertina:
“Paesaggio del Mezalon”: Dalla Brida Giuseppe Angelico (1874 – 1959)
di proprietà privata
Grafica e Stampa:
Tipolitografia ANDREIS s.n.c. - Zona Commerciale 4/A - 38027 Malé (Tn)
Tel. e Fax 0463.902098
Fotocomposizione: a cura della Redazione
MEZALON
COMITATO DI REDAZIONE
MEZALON
SOMMARIO
Editoriale............................................pag.
3
Me ricordi ..........................................pag. 23
A.S.U.C ..............................................pag.
4
La Fitoterapia:
Dalle Associazioni ..............................pag.
6
Star bene con le piante ......................pag. 32
La chiesa di San Martino ....................pag. 11
Orari e indirizzi utili............................pag. 34
La società “Agricola operaia cattolica”
Servizi di emergenza
di Livo, varollo e Scanna ....................pag. 14
sociale e sanitaria ...............................pag. 35
L’sas de le strie ..................................pag. 16
Piccolo mondo agricolo......................pag. 18
Personaggi .........................................pag. 19
3
EDITORIALE
che danno per una crescita sociale e culturale della nostra comunità e non è poco.
Ci fa piacere accogliere ancora, come nel
passato, articoli e considerazioni di persone
che vivono altrove ma che qui sono nate o
hanno dei legami particolari: è una grande
dimostrazione di affetto e soprattutto è un
segno evidente che queste nostre terre,
queste nostre genti sono riuscite a lasciare
un’impronta indelebile in chi è vissuto fra
loro.
Ancora una volta abbiamo accolto pensieri
di ragazzi e di persone
che hanno bisogno di
comprensione e anche questo, credo, vada nella giusta direzione.
In prossimità ormai
delle feste natalizie,
un pensiero a tutti, un
augurio: possa essere
anche il giornalino “ Mezalon” un supporto,
anche se piccolo, piccolo, per una crescita
solidale della nostra comunità, una scintilla
che possa tener vivo un mondo, il nostro
piccolo mondo, che ha saputo nel passato
essere officina di idee, di iniziative e di sentimenti profondi.
Buon Natale e Buon anno 2005.
Il Direttore
Carlo Alessandri
MEZALON
Care lettrici, cari lettori.
Ancora una volta entriamo nelle vostre case, nelle vostre famiglie con il nostro/vostro
giornalino, espressione del Mezzalone di
oggi e di un tempo.
Ci scusiamo per il ritardo nella pubblicazione; ci sono stati dei problemi, legati soprattutto alla difficoltà nel reperire scritti e testimonianze, nonché alle difficoltà del comitato di redazione, che
ha visto assotigliarsi il
numero dei componenti, dimissionari per
motivi diversi.
Ci dispiace che qualcuno abbia preso
spunto da tutto questo per creare polemiche varie ma per nulla
fondate: ognuno, ma
soprattutto chi è già
stato parte del comitato, dovrebbe capire
quanto sia difficile
concretizzare un giornalino.
E’ un impegno di certo oneroso, questo, reso ancora più difficile dalle difficoltà di trovare persone disposte a scrivere, a farsi parte attiva, per riempire con i loro scritti e le
loro esperienze delle pagine ben gradite,
poi, dai lettori.
Tuttavia, i componenti del comitato di redazione si sentono comunque gratificati, nell’esser riusciti anche questa volta a completare il giornalino grazie alla partecipazione
di diverse persone. E’ un grande contributo
4
A.s.u.c.
Ristrutturazione malga Preghena
di sotto
PREMESSA
L’Asuc di Preghena, Comune di Livo, ha incaricato il perito ind. ed. Dalla Torre Ivo, a predisporre un
progetto per la ristrutturazione degli edifici costituenti la malga bassa di Preghena denominata “Malgazza”. Il nucleo edilizio è composto dalla vecchia “casera”, dalla “casa dei pastori” e dallo “stallone”.
E’ intenzione dell’Amministrazione avviare un programma d’intervento organico al fine del recupero
strutturale e funzionale dei suddetti edifici e di adeguare le strutture come previsto dalla delibera della Giunta Provinciale n.° 1414 dell’8 giugno 2001.
La Giunta Provinciale, con detta delibera, ha approvato le direttive per la messa a norma delle casere annesse alle
malghe e adibite alla trasformazione
del latte prodotto.
Si tratta di un provvedimento che, tenuto conto di quanto previsto dalla
legge in materia di produzione di alimenti, cui nemmeno le produzioni tradizionali possono sfuggire, si avvale
delle deroghe strutturali e funzionali
previste per i prodotti tipici e locali, in
maniera tale da permettere non solo la
sopravvivenza di produzioni e tradizione che fanno parte della nostra storia
ed offerta turistica, ma anzi favorirne un
Veduta della malga dal laghetto
miglioramento qualitativo e conseguente apprezzamento, almeno questo risulta essere lo spirito della delibera della Giunta Provinciale.
D’altra parte il più puntuale quadro delle normative che oggi presiedono al controllo della produzione degli alimenti impone che anche nei confronti delle casere annesse alle malghe vengano messe in
atto tutte le disposizioni poste alla salvaguardia della produzione degli alimenti stessi.
Le casere dovranno essere conformi a quanto previsto dalla Direttiva della Giunta Provinciale entro il
31/12/2005.
MEZALON
Modalità di conduzione della Malga, prospettive di utilizzo e
obiettivi d’intervento.
Le strutture della Malgazza sono attualmente composte da tre manufatti così suddivisi:
Lo stallone identificato con numero di particella edificiale 192 destinato ad accogliere 100 capi da latte, caratterizzato dalla sua tipica forma rettangolare contiene al suo interno le poste lungo i lati lunghi
del fabbricato e centralmente la corsia di accesso e le canali per lo smaltimento del letame. Al suo interno è presente inoltre anche la sala mungitura.
La cascina identificata con P.ed. 149 risulta così destinata: al piano terra locali punto vendita e di ri-
5
Asuc di Preghena
MEZALON
storo per i pastori, locale di raffreddamento del latte e servizi igienici, al primo piano stanze per la residenza dei pastori.
La casera identificata con P.ed. 148 è destinata alla sala di lavorazione del latte, deposito per stagionatura del formaggio e deposito mangimi.
Lo stallone e la cascina risultano in discreto stato di manutenzione, mentre la casera risulta essere in
avanzato stato di degrado e pertanto abbisogna di urgente processo di ristrutturazione.
Mentre per quest’ultimo manufatto è deficitario il sistema costruttivo-strutturale, gli altri abbisognano
di riorganizzazione interna per una maggiore funzionalità delle attività a svolgersi ed un puntuale adeguamento alle normative igienico-sanitarie e di sicurezza degli impianti.
E’ intenzione dell’Amministrazione, viste le reali esigenze e necessità d’intervento in tempi brevi alla
realizzazione dei lavori di
miglioria, di formulare un
programma d’intervento di
seguito definito:
nello stallone lavori d’intervento e miglioria della sala
mungitura e sostituzione
delle tubazioni esistenti
per il trasporto del latte
con nuove in acciaio inox
in uso per i prodotti alimentari.
nella cascina si provvederà
alla sistemazione dei servizi igienico-sanitari, al rivestimento ceramico delle pareti ed all’adeguamento dell’impianto elettrico dell’intero manufatto.
indubbiamente di maggior rilievo ed impegno risulta essere la ristrutturazione della casera che allo stato attuale versa in precarie condizioni strutturali e igienico-sanitarie. Essendo vincolati dal rispetto delle norme urbanistiche in cui ricade l’edificio, l’intervento è mirato alla ristrutturazione dell’immobile
con il recupero delle murature esistenti, mediante il loro risanamento, la realizzazione di sottofondazioni, l’abbassamento del piano di calpestio e la completa sostituzione del tetto di copertura. Dopo di
che lo spazio interno ricavato sarà riorganizzato rispetto alle attuali sistemazioni, e da ciò si ricavano
dei locali più efficienti per lo sviluppo dell’attività produttiva. Centralmente si realizza un ampio locale di mq. 43,40 destinato alla sala lavorazione del latte e la salatura dei prodotti. A sinistra uno spazio destinato ad accogliere i locali di raffreddamento del latte, disimpegno, servizio igienico, disbrigo
e ripostiglio, per un totale complessivo di mq. 26,10. Nella parte rimanente due ampli locali della superficie cadauno di mq. 22,50 destinati al deposito e stagionatura prodotti caseari e punto vendita al
dettaglio degli stessi. E’ evidente che i locali così realizzati dovranno rispettare le norme in materia di
sicurezza degli impianti ed in materia igienico-sanitaria. Per quanto concerne la parte esterna dell’edificio, sarà adottata quella tipologia tipica dei manufatti rustici alpini, al fine di un puntuale rispetto
dell’ambiente circostante.
nelle strette vicinanze della cascina, si prevede anche la realizzazione di un manufatto accessorio da
adibire a legnaia, delle dimensioni esterne di mt. 4,00 x 3,00 costruita con struttura lignea e manto di
copertura in lamiera, nonché rivestimento delle facciate con grigliato di legno.
al fine di evitare che il bestiame pascoli negli anditi della casera e della cascina, è ritenuto opportuno
di realizzare una recinzione in tronchi di legno ancorata a muretti esistenti o nuove murature, ed in
prossimità degli accessi agli edifici si prevede la realizzazione di cancelli pedonali e carrabili.
Dalla realizzazione di suddette opere si auspica un notevole miglioramento alla conduzione dell’attività produttiva e zootecnica della malga. Da ciò si considera di aumentare il numero dei capi da latte
di venti unità rispetto all’attuale gestione, inoltre si migliorano le condizioni igieniche per la lavorazione dei prodotti caseari e funzionalità dei nuovi locali in relazione all’attività.
6
Dalle Associazioni
VVF Livo
MEZALON
Manovra SCAF
Domenica 06 giugno 2004 ad ore 08.00 il suono lacerante delle sirene dei Vigili del Fuoco ripetuto
tre volte lascia presagire una emergenza di grosse dimensioni.
Per fortuna stavolta era solo l’avvio di una imponente esercitazione che il Corpo dei Vigili del Fuoco
Volontari di Livo, in collaborazione con l’Unione dei Corpi dei Vigili del Fuoco Volontari del Distretto
di Cles, ha organizzato quale esercitazione di grossa portata.
La zona individuata per le operazioni è stata il Magazzino SCAF. La scelta di tale grosso impianto è
maturata in sede Distrettuale quale esercizio per poter meglio affinare le tecniche di intervento per
spegnimenti di grossi incendi coinvolgendo tutti i Corpi del Distretto, nonché, come specificheremo
in seguito, anche di quelli limitrofi ed oltre.
Il consorzio frutta di Livo è anche stato scelto per la sua nuova dotazione di presidio antincendio che
è considerata innovativa ed all’avanguardia per lo stato dell’arte delle impiantistiche antincendi. Il magazzino è dotato di un sistema a 42 telecamere a controllo remoto per garantire la protezione antintrusione e la prevenzione incendi. Se ci fosse anche il minimo innesco d’incendio scatterebbero, tramite la Centrale Operativa di Trento, gli allarmi per i nostri Vigili del Fuoco ed, in automatismo, si metterebbero a funzionare i 5 monitors che dal tetto bagnerebbero l’imponente deposito di cassoni. L’impianto, progettato dallo Studio C6 e realizzato per conto della SCAF dalla ditta Centro Servizi Impianti srl, protetto dal gelo perchè vuoto di liquido, in caso di necessità, mediante comando di una speciale valvola, si carica di acqua e comincia l’erogazione di copertura nei punti ove è segnalato l’incendio. Il rifornimento idrico è assicurato dalle tubazioni adduttrici dei Consorzi Irrigui e di Miglioramento Fondiario di Livo e Preghena.
All’arrivo della prima squadra dei Vigili del Fuoco la distribuzione antincendio dell’acqua può essere
arricchita da uno speciale schiumogeno che è collocato in apposita vasca centrale di riserva in stabilimento ed i monitori possono poi essere comandati manualmente dai Pompieri che con precisione
possono colpire i focolai d’incendio. Le ampie scale antincendio consentono facile accesso al tetto della struttura anche ai Vigili muniti di autoprotettore per difendersi dai fumi della combustione.
Tale impianto, assieme alla realizzazione di
bocche antincendio applicate su diversi collettori è stato realizzato dopo l’avvio di un
lavoro di grande collaborazione tra Consiglio
d’Amministrazione del Magazzino, Corpo
dei Vigili del Fuoco Volontari di Livo, tecnici
specialisti di settore.
Perché l’insieme possa perfettamente funzionare è indispensabile la preparazione tecnica del personale pompieristico.
Ecco allora che per l’attivazione delle squadre di emergenza si è provveduto, dopo
l’allerta del Corpo di Livo, quale competente territoriale, alla diramazione degli allarmi
da una centrale operativa sul campo e gestita in sintonia dal Comandante di Livo Martino Conter e
dall’Ispettore Distrettuale Pierluigi Fauri.
Via via sono stati allertati gli altri 17 Corpi del Distretto di Cles che in elenco riportiamo: Bresimo, Cis,
7
L’ISPETTORE DISTRETTUALE
IL COMANDANTE
p.a. Pierluigi Fauri
Martino Conter
MEZALON
Cles, Coredo Cunevo, Flavon, Nanno, Preghena, Rumo, Sfruz, Smarano, Taio, Tassullo, Terres, Tres,
Tuenno e Vervò, poi ancora i Corpi di Cagnò, Fondo e Revò del Distretto di Fondo, nonché Caldes e
Malè del Distretto di Malè. L’imponente forza arrivata sul posto ha consentito di schierare nei diversi
cantieri dello scenario d’emergenza le seguenti attrezzature:
- 6 grosse autobotti con potenti getti d’acqua, 3 autoscale, sul settore incendio cassoni all’esterno;
- 3 autobotti con le 2 squadre dotate di tuta protettiva contro acidi e basi forti per l’intervento sulla
rottura dell’impianto ammoniaca nonché per il recupero di feriti e personale coinvolto nel cedimento
di una cella frigorifera a causa del collassamento da irraggiamento dell’incendio;
- 18 motopompe per assicurare il rifornimento con condotte d’acqua che provenivano dal torrente
Barnes, dai collettori della zona Cros e Vanegge e dalla vasca di riserva dei Centi.
A completare lo spiegamento una speciale attrezzatura del Corpo Permanente dei Vigili del Fuoco di
Trento. Si tratta di un grosso ventilatore utilizzabile in bonifiche da fumo e calore in galleria e che è
stato impiegato per la bonifica da fumi e gas incandescenti dei locali interni del magazzino. Successivamente, grazie alla sua potenza, che fa arrivare la corrente d’aria generata a velocità superiori ai 100 Km/h ed all’aggiunta di acqua nebulizzata dal grande vento prodotto, tale attrezzatura è
stata con successo valutata quale protezione contro investimenti da irraggiamento a strutture vicine.
Fa piacere ricordare che all’esercitazione ha partecipato e lavorato anche una delegazione di
Freiwillige Feuerwehr di Eckarts in Allgäu Germania. Tali Pompieri, da anni in amicizia con il Corpo
di Livo, hanno effettuato in simultanea l’intervento con i colleghi di Livo e ci hanno fatto vedere
che neanche la lingua diversa ferma chi si impegna per il soccorso.
Visto che la manovra interessava un tratto trafficato della strada provinciale hanno dato dimostrazione di collaborazione i Carabinieri della Stazione di Rumo. Gli appartenenti all’Arma hanno poi anche
garantito il controllo della popolazione e dei beni coinvolti.
Al Corpo per gli Interventi Socio Sanitari di Cles è toccato il soccorso ed il trasporto dei feriti coinvolti nella struttura, nonché il supporto sanitario agli oltre 250 Vigili intervenuti.
Un particolare che merita rilievo è il ricordare che alla manovra hanno partecipato anche i componenti
del Gruppo Allievi del Corpo di Livo svolgendo attività addestrativa con la motopompa predisponendo una condotta rifornimento e coadiuvando la base operativa con mansioni di segreteria.
Pure l’Associazione dei Vigili del Fuoco Volontari Fuori Servizio del Distretto di Cles si è impegnata nel
coadiuvare la gestione del traffico e nel garantire il vettovagliamento.
Ci hanno onorato della loro presenza le autorità cittadine come il Sindaco, Franco Carotta, il Presidente SCAF Fabrizio Filippi, i Presidenti dei CMF Flavio Conter e Paolo Zorzi, Gli Ispettori Distrettuali Vincenzo Iori e Matteo Cattani, il Dirigente del Servizio Antincendi e Protezione Civile della PAT, nonché
Comandante dei VVF di Trento ing. Fabio Berlanda, il Vicecomandante VVF di Trento ing. Fabiano Dalmaso e anche, per un breve saluto, il Presidente della Federazione dei Corpi dei Vigili del Fuoco Volontari della Provincia di Trento Sergio Cappelletti e il Direttore della medesima, nonché Comandante
di Cles Nicola Leonardi.
Preme ricordare, alla fine dell’esercitazione, la valutazione tecnica operativa fatta con tutti i Comandanti dei Corpi intervenuti e, come commento generale, l’intervento dell’ing. Fabio Berlanda che ha
molto apprezzato i contenuti tecnici dell’esercitazione, la valutazione delle moderne tecnologie interventistiche, delle attrezzature ed in special modo l’impianto di presidio antincendio fisso del magazzino e l’imponente rifornimento idrico che mai ha utilizzato la rete antincendio dell’acqua potabile per
garantirne il risparmio per gli usi civili.
Dopo la manovra si è potuta apprezzare la capacità organizzativa del Cai Sat di Livo che assieme a
Proloco, Associazione dei Vigili Fuori Servizio e con la collaborazione di un cuoco in servizio attivo dei
Vigili del Fuoco Volontari ha garantito il confezionamento ed il servizio di ristoro con ben oltre 300 coperti per gli operatori tutti e per le autorità e rappresentanze.
Il bilancio non può che essere definito più che positivo per tutti.
8
Il quadrifoglio
Il nostro progetto scuola
Il progetto di animazione scolastica è nato per sensibilizzare al tema dell’handicap, per avvicinare i ragazzi
ad una realtà per loro spesso lontana. Un far conoscere le potenzialità e le difficoltà di una persona diversamente abile, attraverso il gioco e il confronto diretto.
Quest’anno il centro socio educativo CSE “Il Quadrifoglio”, servizio della Coop. GSH è stato coinvolto nelle attività con le scuole medie di Cles, di Tuenno e infine, come attività sperimentale, con la classe V elementare di Cles, col sostegno del maestro Corrrado Caracristi.
L’intervento all’interno delle scuole può essere proposto dalla cooperativa G.S.H. oppure richiesto direttamente dalla scuola.
Un giorno al progetto scuola di Cles con la classe II A
Mercoledì scorso con tutti i
ragazzi del CSE ”Il Quadrifoglio”, siamo andati alla
scuola media di Cles. Ci siamo ritrovati nella loro palestra ed insieme abbiamo
partecipato ai diversi giochi
divertenti preparati per noi
dagli alunni.
All’inizio, in cerchio, ci siamo presentati, l’insegnante
di musica ed alcuni studenti hanno suonato la chitarra
ed insieme abbiamo cantato. Il giochi erano veramente coinvolgenti: il gioco del cipollone,il gioco del cruciverba, attacca la coda all’asino, e altri.
Ci siamo scatenati nelle danze, con tanta bella musica. I giochi erano tanti e veramente tutti belli. I ragazzi
delle medie e sono stati bravi ad organizzarli. Io mi sono divertita tantissimo e mi è piaciuto molto ascoltare i ragazzi e l’insegnante suonare la chitarra. Grazie per la bella mattinata trascorsa insieme!!!
Sara Niederiaufner
MEZALON
La nostra attività sportiva con il Gruppo Andino
Anche quest’anno, come l’anno scorso, abbiamo collaborato con la Coop. Andino per l’organizzazione delle nostre attività sportive invernali. Andino è una piccola cooperativa sociale che si occupa di promuovere
le attività sportive, in particolare quelle in montagna, svolge la sua attività in particolare in Val di Non e Val
di Sole, ha sede nel paese di Tuenno. Andino offre vari servizi, quali attività ambientali e culturali, attività
sportive e culturali per promuovere l’integrazione e la sensibilizzazione verso la diversabilità.
L’attività viene svolta da personale qualificato, quali maestri di sci, istruttori di alpinismo, laureati in scien-
9
ze motorie, esperti in problematiche di organizzazioni in ambito diversabili, volontari che hanno seguito corsi di scii alpino nordico per disabili anche con monosci e bisci (www.andino.it)
I nostri venerdì sulla neve
Tutti i venerdì mattina siamo andati a sciare con il gruppo Andino in Predaia e in Val di Rabbi. Noi eravamo
seguiti da Andrea e Rodolfo e abbiamo fatto lo sci di fondo. Mentre i miei compagni andavano con gli sci,
io sono andata a camminare con le ciaspole lungo la pista di sci di fondo.
Abbiamo iniziato l’attività con Andrea che ci ha insegnato il passo alternato con gli sci di fondo. All’inizio
io avevo un po’ di paura nelle discese e allora abbiamo cambiato e mi sono messa le ciaspole invece degli
sci. Ci siamo divertiti tantissimo, a sciare con me c’erano Sara, Chiara, Mario, Marco, Valentina, Mariano,
Giorgio.
Siamo anche andati, qualche volta, a sciare da soli, come il giorno che abbiamo fatto la festa sulla neve in
Predaia. Dopo aver sciato tutta la mattina sull’anello ai Sette Larici,ci siamo fermati in Predaia a mangiare al
ristorante e al pomeriggio abbiamo slittato vicino alla pista di sci. Poi siamo ritornati al centro stanchi morti.
Marilena Alessandri
L’attività di ludoteca
Quest’anno, valutati alcuni bisogni presenti, si è pensato di offrire ad un gruppo di ragazzi, la possibilità di
fare un percorso musicale con la musicoterapista Maddalena Barbi. Ciò è stato possibile grazie alla collaborazione tra la coop. GSH, la scuola musicale Eccher di Cles, che ha allestito una ludoteca presso la scuola
materna di via Mattioli e il comune di Cles.
Gli obbiettivi generali dell’attività sono quelli di entrare in relazione con i partecipanti cercando di conoscerli
individualmente, di entrare in empatia con i ragazzi, di stimolare gli utenti all’espressione personale attraverso gli strumenti musicali cercando di aumentare i tempi di concentrazione, attenzione e sviluppare maggiormente la coordinazione motoria.
Intervista: Il mio percorso di musicoterapia
Ti piace partecipare all’attività di musicoterapia?
Sì, mi piace suonare.
Quali strumenti ti piace suonare?
Il metallofono con le bacchette.
Quando vai in ludoteca per suonare?
Il venerdì mattina.
Hai suonato ancora con altri strumenti musicali?
Sì, con il tamburo e il pianoforte.
MEZALON
Cosa suoni con il metallofono?
Ho suonato la canzone di Fra Martino, I due Gobbetti, Sapore di sale e Maddalena mi accompagna con il
pianoforte.
10
Qual è la cosa che ti piace di più fare in ludoteca?
Cantare le canzoni di montagna e dedicare le canzoni alla Stefania.
Chi viene con te in ludoteca?
Mariano, Mario, Valentina, Massimo.
Suoni da solo?
Sì, ma mi accompagna sempre la Maddalena con il pianoforte.
Quando termina l’attività di musicoterapia?
A fine maggio.
Ti dispiace?
Sì, un po’, perché mi piaceva tanto suonare con il metallofono e il pianoforte.
Franco Pancheri
Esprimersi con la poesia
Quindici anni fa nella struttura dove ho vissuto gran parte della mia vita, qualcuno che svolgeva il proprio
volontariato mi ha suggerito di esprimere le mie emozioni positive o negative per darmi la possibilità di riuscire a comunicare attraverso la modalità scritta il mio vissuto o la mia storia in una semplice poesia. Oggi invece ho scritto una poesia per i vostri lettori ai quali la vorrei dedicare…
Viaggiare con le rondini
MEZALON
E’ primavera…
a me piace sognare,
il mio sogno vorrebbe farmi raggiungere tutti gli amici che ho,
ma purtroppo è impossibile.
Ed è così che mi rivolgo ad uno dei tanti uccelli
che ci fanno compagnia durante la primavera,
la rondine,
che accoglie tutti i miei messaggi e li distribuisce ad ogni amico,
che si trova in ogni posto nel mondo.
Cristina Cipriani
11
LA CHIESA DI
SAN MARTINO
MEZALON
Le prime notizie storiche sulla Chiesa di san Martino risalgono al 1209, quando viene citata in un documento. Probabilmente la Chiesa primitiva (la parte più antica) venne, in un periodo imprecisato, alzata con l’aggiunta della volta. Nella seconda metà del 1600 venne ampliata con l’aggiunta della quarta e della quinta campata. Il 30 agosto 1727 bruciò il tetto del campanile che la tradizione ci tramanda essere stato nella classica forma a cuspide e che venne ricostruito nello stato attuale. Nel 1856
venne aggiunta l’attuale sacrestia. Non si sa quando venne abbattuto il corpo a settentrione e del quale rimangono solo delle labili tracce.
All’interno le prime e seconde campate presentano numerose tracce di affreschi, già rilevate nel
1924, quando l’allora parroco don Francesco Pasquazzo auspicò il loro scoprimento da parte della Sovrintendenza delle Belle Arti. Si tratta di decorazioni ad affresco databili al XV sec (s’intravede la figura di una Santa Incoronata e una Madonna con Bambino in Trono) alle quali sono sovrapposti dei
dipinti a tempera del XVII secolo.
Degno di nota è anche il san Sebastiano il quale è stati interrotto in alto dall’inserimento del peduccio della navata.
La volta del presbiterio fu affrescata
nel XVII sec. e vi sono raffigurati il Padre Eterno i quattro evangelisti con i
simboli di alcuni dottori della Chiesa.
Le pareti del Presbiterio erano anche
esse affrescate con una serie di pannelli sulla vita di Gesù, dei quali rimangono i due posti dietro l’altare
maggiore raffiguranti un entrata in
Gerusalemme e un’ultima cena. Un
terzo quadro, ancora visibile nel
1742, raffigurava Gesù nel giardino
degli olivi.
L’antico altare maggiore, dedicato a
san Martino era a portelle, costruito
nei primi decenni del 1500, il cui autore fu influenzato dalla bottega altoatesina di Silvester Miller. Di questo altare rimangono le statue di san Martino e della Madonna poste sopra le
portine del coro nonché due rilievi di
portella e una portellina, raffigurante
San Martino che resuscita un fanciullo
e un Ultima Cena, attualmente espoAltare del 1618, Madonna e Santi
ste al Museo Diocesano di Trento.
12
L’attuale altare maggiore è del 1649 ed è opera della bottega di G. Domenico Bezzi. A destra della
Pala sono raffigurati san Roco e san Marcello e a sinistra san Sebastiano e san Filippo L’altare si conclude con la statua di san Anna metterza accompagnata da due angeli adoranti.
La pala rappresenta la Madonna con Bambino, san Martino, san Antonio Abate e san Giacomo. E’ opera forse attribuibile a Carlo Pozzi.
L’altare dell’Addolorata attribuito a Johan Poder Junior è del 1742. Nel 1756 venne indorato da Bartolomeo Costanzi di Cembra. E’ caratterizzato dalle due colonne tortili marezzate con lacca blu stesa
in diverse tonalità e percorse da una spirale a foglie d’oro. Si distinguono le statue di san Giuseppe
con il Bambino, santa. Veronica con il sudario e i santi Giovanni e Maria Maddalena.
La pala del XVII secolo di autore ignoto rappresenta i sette Dolori della Vergine, san Simeone e gli Arcangeli Michele e Gabriele.
L’altare di san Rocco realizzato intorno al 1618 si caratterizza dalle piccole dimensioni e dalla sua semplice eleganza compositiva. Presenta sulla predella un “Ecce Homo” con la data 1618, semplici le colonne scannate e dorate con capitelli corinzi. La pala del XVII secolo rappresenta la Madonna con Bambino, san. Rocco e san Romedio
La via Crucis del XVII secolo proviene forse dalla scuola di Mattia Lampi
La chiesa conserva ancora, come in poche altre chiese, un arredo integro, tra cui, oltre all’armadio dei
gonfaloni, i due angeli ceroferari e i due candelabri processionali.
Di notevole valore storico è anche il pavimento seicentesco in battuto di calce: uno dei pochi esempi
ancora esistenti in trentino e pertanto tutelato dal Servizio Beni Culturali della Provincia Autonoma di
Trento.
Il presbiterio ospita anche due tele del XVIII secolo rappresentate la Madonna con san Floriano e “ I
sette dolori della Vergine”.
Nel mese di marzo sono iniziati i lavori di restauro finalizzati a conservare questo patrimonio artistico dall’inevitabile degrado dovuto alle infiltrazione d’umidità, recuperare ove possibile gli affreschi e
riportare nel loro splendore cromatico gli altari. Per finanziare il restauro, il cui costo è quantificato in
Euro 725.583,31 (80% è finanziato dal Servizio Beni Culturali della Provincia Autonoma di Trento) è
stato aperto presso la Cassa Rurale di Tuenno l’apposito conto corrente intestato a “Restauro Parrocchia Natività di Maria” conto 07/0250395 coordinate bancarie J 08282 34960.
Conter Luigi
MEZALON
Il restauro della chiesa
Una cultura del restauro fondata sulla convinzione che i risultati migliori debbano per forza stravolgere l’autentica immagine del monumento imponendogli un aspetto completamente rinnovato dal quale viene rimossa ogni traccia del suo trascorso storico e delle patine depositatesi nel corsi degli anni,
appare assolutamente pericolosa e snaturante.
Un restauro conservativo, un restauro attento cioè alla conservazione e trasmissione nel tempo di un
bene architettonico o artistico, può dirsi tanto più riuscito quanto più appare invisibile la mano dell’architetto e del restauratore.
Paradossalmente il restauro migliore dovrebbe risultare assolutamente invisibile.
Nello specifico della piccola chiesa di San Martino di Livo, giuntaci in condizioni conservative sufficientemente discrete e nella completezza dei propri arredi lignei e decorativi, il restauro in corso apparirà agli occhi dei più assolutamente discreto ed assai poco evidente.
Ciononostante i lavori ed i sondaggi preventivi estesi per il momento a tutta la superficie interna delle pareti e delle volte hanno già permesso una lettura attenta delle stratificazioni storiche dell’edificio,
l’individuazione critica dei livelli di finitura originali, la scoperta di significativi partiti decorativi ad af-
13
fresco e tempera.
In questa prima fase di lavoro lo sforzo maggiore è rivolto proprio alla fase critica di ricerca e di individuazione puntuale di tutti gli elementi decorativi ed architettonici in grado di dare risposte esaustive alle varie problematiche emerse nella fase progettuale.
Grazie alla competenza e professionalità dei restauratori presenti in cantiere, in pieno accordo con i
funzionari della Sovrintendenza provinciale, in un clima di grande collaborazione che certamente facilita il complesso lavoro di studio, gli esiti appaiono fin d’ora di grande interesse.
In particolare è emersa,
purtroppo mutila, una
splendida annunciazione
affrescata in corrispondenza dell’arco santo, ma appartenente alla chiesa medioevale precedente e sopravissuta limitatamente
alle parti più esterne in seguito alle demolizioni effettuate alla fine del Quattrocento per realizzare
l’attuale arco santo ed il
sistema voltato reticolare.
Ed ancora una decorazione perimetrale a finti costoloni che riprende con
un effetto sorprendentemente piacevole, gli elementi in pietra e riferibile
alla ricostruzione dell’attuale edificio di culto.
Durante il XVII secolo furono dipinte a tempera, lungo le pareti, delle grandi scene della passione di
Cristo inserite in cornici con elaborata cimasa a fiorami di modesta fattura ma tuttavia significative di
un periodo storico e degne di essere evidenziate.
Di grande interesse infine la presenza quasi integrale degli intonaci antichi di grande bellezza e morbidezza estesi sia in corrispondenza della porzione antica che di quella ampliata nel corso del Settecento.
Il restauro prevede dunque il recupero totale di tali elementi decorati, la manutenzione dello splendido pavimento in battuto di calce, ormai rarissimo e sopravvissuto in pochi casi, la pulitura degli altari
e di tutto il corredo ligneo di grande interesse per la completezza e la raffinata esecuzione.
Nei prossimi mesi saranno avviati la realizzazione del drenaggio perimetrale, il rifacimento del manto
di copertura che sarà riproposto in scandole di larice ed il riordino degli intonaci esterni che risultano
anch’essi per la maggior parte originali e coevi alla rifabbrica quattrocentesca della chiesa.
arch. Michele Anderle
MEZALON
14
MEZALON
LA SOCIETÀ “AGRICOLA
OPERAIA CATTOLICA” DI LIVO,
VAROLLO E SCANNA
Sul finire del XIX secolo si costituirono le “ Società Agricola ed operaia cattolica” con lo scopo
di favorire e tutelare gli interessi religiosi ed
economici degli agricoltori e degli operai, secondo i principi e lo spirito della Chiesa. La “Società Agricola operaia cattolica” di Livo, Varollo
e Scanna si costituì per iniziativa di don Giacomo Marini nel 1889 e fu riconosciuta dall’Imperial Regio Luogotenenza di Innsbruck il 07 ottobre 1891. La direzione era composta da sei
membri, cioè un presidente, un vicepresidente
e di quattro consiglieri, dal cui seno veniva eletto il segretario ed il cassiere. Della prima direzione facevano parte don Giacomo Marini presidente, don Quinto Concini vicepresidente, Silvio Filippi segretario, Zanotelli Luigi fu Giovanni
cassiere e Davide Agosti consigliere. La tassa
sociale d’iscrizione era di due soldi mensili.
Presto sorse la necessità di munirsi di un locale
per le adunanze e da destinarsi a magazzino e
nell’assemblea del 26 dicembre 1900 si stabilì
di fabbricarlo. Fu acquistato dalla Confraternità
del Santissimo Sacramento, la quale lo aveva
ereditato da Giacomo Agosti, un terreno sopra
la Chiesa Parrocchiale per una spesa di 400 Corone e costruito l’edificio in stile liberty (attuale
sede della cooperativa) dall’imprenditore Natale Chiezzi di Tuenno per una spesa di 1.293,37
fiorini. La Società Agricola, per far fronte alla
spesa, assunse un debito con la Cassa rurale,
debito che venne estinto solo nel 1926. Per far
fronte alla spesa i 55 soci si obbligarono ad effettuare delle giornate di lavoro o a versare una
quota di 12 fiorini per la società e di 5 corone
per la cantina. In una lettera scritta da Cunevo il
6 febbraio 1908 don Concini manifestava tutta la
sua ansia per questo debito. Infatti, dopo avere
“lodato assai l’amministrazione tenuta dal Dinot
per il suo triennio e anche quest’ultima del Giovanni Zanotelli che tanto hanno fatto per il buon
andamento della Società”, proponeva a ciascun
socio di versare 10 corone. In tal caso, proseguiva il Concini “io mi obbligo a pagare quanto
tutti assieme. Dovreste essere in cinquanta circa, se mettete assieme 500 corone, altre 500 le
do subito”. A tale proposta aderiva anche l’8
febbraio 1909 don Giacomo Marini da Ossana.
Tutto lascia supporre che questa proposta non
sia andata a buon fine, ma rimane in ogni caso a
testimonianza dell’attenzione che questi nutrivano per essa e per la gente di Livo.
La Società Agricola, come tutte le società, visse
dei momenti sociali critici. Ne dà una testimonianza una nota di don Concini, con la quale si
cercava di fissare alcune regole. In particolare
don Concini specificava in merito alla qualifica di
socio che “degli altri che diedero il nome alla
Società Agricola, come soci, molti sanno bene
di non aver lavorato o pagato per se stessi, ma
per la famiglia e quindi sono soci soltanto di nome, senza impegni, aventi solo il diritto di partecipare ai divertimenti, giochi e a adunanze.
Molti altri si ritirarono e non hanno diritto di sorta. Altri infine non si sono più lasciati vedere
come soci. Se vorranno aver diritto portino i pesi”. Prosegue ancora don Concini “s’intende
che ogni socio conta per uno e quindi morendo
non può trasmettere agli eredi che il diritto per
15
uno solo, anche se i figli sono due o tre o quattro o cinque. Perciò finché staranno insieme nella famiglia vecchia, saranno tutti insieme soci
dell’Agricola, ma se faranno famiglia nuova il diritto vecchio non può valere che per uno, e
quindi se tutti volessero essere ciascuno per
conto suo soci pari agli altri, dovranno comperarsi assieme il diritto per due, per tre, per quattro come se quando erano tutti assieme bastava
un sol paiolo per la polenta, dividendosi in più
la famiglia devono procurarsi per ogni famiglia
un paiolo nuovo e il vecchio resta ad una sola
famiglia”.
Altro momento critico fu vissuto dalla Famiglia
Cooperativa quando nel 1912 rischiò il fallimento e durante la prima guerra mondiale quando
gli amministratori della Cassa Rurale e della Famiglia Cooperativa furono tutti richiamata alle
armi.
La Società Agricola gestì anche un laboratorio di
tavolette di cemento e approntò uno proposta
per il riutilizzo delle miniere di “Port”. Per anni
un locale venne affittato al Comune che lo destino a scuola per i bambini di Varollo e Scanna.
Lo scopo della Società Agricola venne meno
con il crescere delle forme cooperativistiche
sorte dal suo seno (Cassa Rurale e Famiglia Cooperativa). Nella 1937 si decise di mantenere
ancora in vita la Società Agricola per la sola gestione dell’immobile. L’ultima seduta documen-
tata della direzione è del 30 novembre 1947. La
direzione composta da don Luigi Placchi - presidente, Zanotelli Bortolo – vicepresidente e dai
consiglieri Zanotelli Nicolò, Zanotelli Alessandro e Agosti Giuseppe fu Gervaso, riscontrato
che dal 1945 il teatrino non veniva più affittato
come magazzino di frutta e pertanto la Società
non aveva più entrate, invitava i presidenti della Cassa Rurale e della Famiglia Cooperativa a
provvedere a pagare la polizza assicurativa dell’immobile e a versare un congruo affitto nel
fondo cassa per la riparazione del tetto. Infine
nel 1981 l’immobile venne intavolato alla Cassa
Rurale, alla Famiglia Cooperativa e alla Parrocchia.
Circa l’efficacia di questo sodalizio, basti il giudizio di un suo contemporaneo, don Luigi Conter che nel suo libro “Fatti storici di Livo” afferma che “la Società Agricola abbi giovato, lo dimostra la migliorata coltura della campagna, la
introduzione parziale del sistema Solari, l’impianto di alberi da frutto e la coltivazione più razionale dei gelsi e delle viti”.
Conter Luigi
”La redazione invita tutti coloro che vivono all’estero o lontani dal mezzalone
a spedirci materiale fotografico e notizie che descrivono il luogo in cui vivono”
MEZALON
16
L’SAS DE LE STRIE
MEZALON
(Il sasso delle streghe)
Se trovi il tempo e la voglia di provare una nuova piccola emozione e vuoi arricchire il bagaglio della
tua conoscenza, ti invito a prendere la stradina che trovi a sinistra , salendo dopo il bivio di Scanna,
dove a salutarti ed a ricordarti l’effimero del mondo, e l’eterna attualità del suo messaggio, trovi un
grande Cristo crocifisso.
Puoi percorrere, allora la strada interpoderale che porta al bosco di Somargen, dopo poche centinaia
di metri, la strada asfaltata finisce assieme alle piante di melo, per passare bruscamente al bosco di
abeti e larici con un fitto sottobosco.
Ti invito a lasciare l’automobile alla piazzola di sosta asfaltata, per goderti il fresco del bosco ed il canto degli uccelli che ti accoglie improvviso come per volerti dare il benvenuto, e ti accompagnerà per
gran parte del tuo viaggio fino a quando non sarai sceso abbastanza al punto in cui il fragore del torrente Pescara non prenderà il sopravvento…
Ad un certo punto la strada si fa più stretta e scende come un ripido canalone, a quel punto sei arrivato ad un bivio con una strada che prosegue dritta, ed un'altra che svolta a destra di 180 gradi e prosegue nella stessa direzione del torrente che scende verso valle.
Ancora pochi minuti di cammino, e ti troverai presso una piccola radura dove davanti a sinistra vedi
un prato e sulla tua destra una traccia di stradina che sale ripida per poi morire nel bosco: sei arrivato!
Proprio lì sopra a destra troverai “L’sass delle strie“.
E’ un masso di notevoli dimensioni, probabilmente un masso erratico, dalle fattezze strane: sulla sua
superficie piatta sono impresse le forme di scarpe e di tacchi di varie forme e misure e disposte in ordine sparso come il risultato di una frenetica danza su un pavimento di argilla che poi si è rassodato
al sole.
Qui entra in gioco di prepotenza la fantasia popolare delle nostre popolazioni del medioevo che vollero attribuire queste impronte di scarpe alla danza notturna delle Streghe…
Facciamo così un salto indietro di cinque secoli, quando nel periodo medioevale delle povere donne,
quasi sempre in complicità di uomini, venivano tacciate di stregoneria o di essere delle streghe solo
perché portatrici di qualche scompenso psicofisico che le rendeva “diverse“ agli occhi delle persone
“normali“, miserie di una storia fatta di miseria e di abbandono della saggezza della cultura e dello studio e quindi del sapere, che tende a cercare ed a trovare nella logica della razionalità e della scienza,
la spiegazione più attendibile ad ogni stranezza ed ad ogni fantasia anomala della natura, che a volte
ci riserva dei misteri apparentemente inspiegabili.
Don Luigi Conter racconta così nel suo libro “Fatti storici di Livo”, il processo a delle donne accusate
di stregoneria, tenutosi nella cada della ”Fredaglia“ a Varollo (ora casa ITEA), conclusosi con l’assoluzione delle donne accusate da parte degli inquisitori venuti da Coredo.
“ al processo delle streghe tenuto nella casa della Fredaglia di Varollo il 19 marzo 1612: il famoso Gabriele Barbi di Coredo si era recato nel Mezzalone per assumere informazioni e poi processare certe
persone sospette di stregoneria che erano di Bresimo, di Preghena e di Cis. Era il giorno 19 marzo
1612 quando fra gli altri testimoni comparvero due testimoni di Bresimo, Giacomo Floriano e Antonio
Fabbri. Giacomo Floriano testificò di avere udito che la Gardenia vedova di Calovetto e suo figlio Paolo erano stregoni; le prove poi erano le seguenti: la Gardenia aveva fatto morire secco e distrutto un
bimbo, figlio di Giovanni Antonio del maso di Preghena con maleficio; la stessa Gardenia aveva dato
un pane di segala alle moglie ammalata del teste, la quale ben presto moriva secca e distrutta. Altri
stregoni erano Leonardo e sua madre Anna. La moglie Anna di Manfrè e suo fratello Simone R. erano
sospetti di stregoneria, poiché essendosi bastonata una gatta subito apparve una donna ammalata e
precisamente Giacoma moglie del Peder, la quale doveva essere nella gatta, quantunque questa Gia-
17
coma non fosse stata in voce di strega. Altra strega doveva essere anche Anna moglie di Manfrè, la
quale faceva correre i sorci su per la segosa, cioè la catena del focolare. Ne meno strabilianti erano le
prove del secondo teste Fabbri contro la Gardenia. Questa aveva con un maleficio fatto perdere il latte alle mucche di Giacomo Fabbri, il quale adirato percosso tanto le vacche quanto le secchie del latte ed ecco apparire la Gardenia colla faccia sanguinosa in causa delle ferite
prodotte dalle legnate. La
medesima Gardenia si era
seduta accanto ad un
bambino ed il bambino diventò tosto pazzo furioso,
ma fu presto liberato dal
maleficio col fargli mangiare un pane.
Che ne dite voi che leggete questa pagina? Non vi
pare di assistere ad un
convegno di sognatori, a
cui sta per dar di volta il
cervello?“
L’sas dele strie
E risalendo poi per la stradina immersa nel bosco, sulla via del ritorno, ti verrà spontaneo ripensare a quei tempi lontani, dove
il lume della ragione era stato spento dalla distorta fantasia popolare, come adesso viene alterato dalla televisione, il cui messaggio condiziona pesantemente il nostro pensiero, ti ritornerà in mente, allora, quel Cristo crocifisso, che come una contraddizione nella storia passata ed attuale, ti rammenta
di non giudicare, perché sarai giudicato, e ti invita, con una logica che da sempre è stata controcorrente, a credere in Lui, ed ad amare perfino i tuoi nemici…
Che abbia ancora ragione Lui?
Bruno Agosti
A.A.A. “GIORNALISTI” CERCASI !!
Avete idee, opinioni, storie, poesie, curiosità o altro da raccontare? Consegnate o inviate
il vostro materiale presso il Municipio di Livo. Saremo lieti di pubblicarlo!!
Per ulteriori informazioni rivolgersi a MASSIMO c/o Biblioteca di Rumo - tel. 0463.530113
MEZALON
COMUNE DI LIVO Via Marconi, 87 - 38020 LIVO (TN)
e-mail: [email protected]
fax 0463.533093
18
Piccolo mondo agricolo
Peronospera della patata e del pomodoro.
Si tratta di una malattia prodotta da un fungo invisibile, microscopico, che non risparmia nessuna delle parti verdi della patata e del pomodoro. Si manifesta in estate, con un disseccamento
parziale o totale delle foglie prima e di tutta la pianta poi. E' favorita da un clima umido e poco
ventilato, dalle temperature attorno ai 20 gradi e dalle irrigazioni mattutine e serali sulle foglie.
Quest’ultime allungano il periodo di bagnatura notturna prodotta dalla rugiada. Con clima favorevole alla malattia, noi vedremo (giugno-luglio), patate e pomodori annerire e disseccare anche totalmente. Il fungo è presente nell'aria, si deposita sulle foglie, sui fusti, sui frutti (pomodoro) ed aspetta (come la nebbia del melo),
che piova a sufficienza.
Dopo l'infezione, e nel giro di dodici giorni circa, le foglie dapprima ingialliscono a macchie
e poi si coprono di strisce scure. Il frutto (bacca) del pomodoro fa lo stesso e poi marcisce.
Il tubero della patata, sotto terra, viene raggiunto e infettato dalla radice stessa o dai semi
(conidi) che cadono a terra e vengono veicolati in profondità da acqua piovana o irrigua.
La cura è preventiva.Curare dopo non serve
più, specie se l'attacco è staito forte.
La prevenzione si attua così:
- non trapiantare o seminare su terra infetta dall'anno prima
- appena trapiantato il pomodoro, irrorarlo subito con Ossicloruro di rame al 50% nella dose di gr. 500 ettolitro (50 gr. su 10 litri). Se si usa Ossicloruro di rame al 30%, alzare la dose a 800 gr. ettolitro. La patata, appena esce dal terreno, va irrorata allo stesso modo. Non
è importan te la dose di prodotto ettolitro, ma il mantenere coperta la nuova vegetazione che si forma, cioè ogni 10- 12 giorni!
MEZALON
- In seguito ridurre le dosi e diradare i trattamenti a 15 giorni. A clima secco, la malattia
non può attaccare e basta proteggerla ogni 20 giorni circa.
- continuare la lotta a tutto luglio quando la pianta è ormai legnosa e si difende da sola.
Trat tandosi di patate, non usare seme infetto! Tagliando il tubero da seme, osservare che
la polpa non presenti nessuna venatura scura, perche quello è il segnale di patata infetta.
Se incappate in una patata malata, scartarla e cuocerla per il bestiame. Cambiare anche il
coltello sporco. Il tubero da seme infetto marcisce nel terreno già prima di produrre la
pianta. Non usare patate da seme prodotte in casa l'anno prima, soprattutto se sono state infettate sul campo !
Fabio Calovini
19
Personaggi
Presepio “nascosto”
Pancheri Amedeo
MEZALON
Si chiama Alessandro Rodegher, classe 1983 e
abita a Livo. Dopo aver conseguito il diploma
di Perito Industriale ha lavorato presso lo stabilimento Mondadori Printing s.p.a. di Cles
come lavoratore stagionale, successivamente
è stato assunto a tempo indeterminato per la
sua serietà e bravura. A fine anno ha lasciato il
lavoro a Cles per andare a lavorare presso il
Comune di Trento quale Assistente Tecnico,
dopo aver superato e vinto brillantemente un
concorso. Nel tempo libero coltiva varie passioni: le più importanti sono quelle delle macAlessandro accanto al suo presepio
chine e delle moto, poi il lavoro in campagna
ad aiutare i nonni e una particolare inscritta
probabilmente nel DNA della famiglia Rodegher che si tramanda da padre in figlio: la costruzione del presepio.
Anche per lo scorso Natale ha realizzato la sua opera che, date le dimensioni 5m x 3m, deve
per forza costruire nel garage della sua abitazione a Livo. Un presepio diciamo nascosto, "suo",
curato nei minimi particolari. Un cielo stellato
esalta montagne innevate dalle quali scende
un festoso ruscello dagli argini di "tovi" trovati "nele gradele" dal
papà Corrado e paesaggi nei quali si distinguono qua e là casette realizzate a copia
di qualche casa esistente nel comune con
le
caratteristiche
"spleuze e voti" al piano terra. Su di un colle svetta un castello medioevale, in un’ansa il mulino, varie baite "borei" sistemati a mo’ di "legnari" e la grotta di Gesù ricavata da vecchie radici contorte. Nel tutto, un’enorme quantità di statuine e di greggi accompagnate, in sottofondo, da una musica natalizia che infonde una sensazione di profonda armonia e serenità.
Sono davvero da ammirare l’attenzione, l’impegno, la cura e la passione che questo giovane,
coadiuvato dai suoi fratelli (Michael e Carlo), in silenzio esprime nelle sue costruzioni.
20
MEZALON
Mamma Teresa di Piazza di Pinè
La storia che ora voglio raccontare è una di quelle che sembrano uscite dal libro Cuore di Edmondo
De Amicis o da una di quelle telenovelas che la televisione spesso ci propone e che, nonostante la finzione, ti prendono e ti appassionano e fai di tutto per non perdere nemmeno una puntata, con la differenza che questa è una storia vera con molti protagonisti
ancora in vita ed ambientata nei nostri paesi.
Il 15 febbraio 1943, in pieno tempo di guerra, con i conseguenti disagi che purtroppo tutte le guerre si portano dietro,
nella clinica Santa Maria di Cles (la clinica del Dott. Professor
Enrico Nardelli), la signora Pancheri Celestina moglie del signor Facini Luigi residente in Preghena, Comune di Livo,
dava alla luce il suo quarto figlio Giovanni.
Fino qui il racconto potrebbe sembrare un normalissimo atto di nascita, ma proprio qui inizia la storia di Facini Giovanni, una storia fatta di eventi tragici e dolorosi, ma con un costante filo conduttore: il grande rispetto per la vita, la solidarietà e l’amore di persone materialmente povere, ma interiormente ricche di tanta carità cristiana.
Dopo tre giorni dal parto, la signora Celestina, mamma di
Giovanni muore di polmonite, lasciando il marito Luigi solo
con quattro bambini piccoli da accudire e mantenere, un
compito troppo difficile ed oneroso per un padre; in un primo tempo il signor Luigi affida il piccolo Giovanni alle cure
della signora Mary, zia del bambino, che abitava a Dres frazione di Cles per un periodo di circa due mesi.
Venuta a mancare l’assistenza della zia Mary, papà Luigi si trova a dover accudire di nuovo il figlio
più piccolo assieme agli altri tre: una cosa impossibile per un uomo che non riusciva ad avere il tempo materiale per assistere i bambini ed il lavoro di agricoltore. Il signor Luigi sente allora parlare di famiglie che nel Pinetano accolgono dei bambini di altre famiglie che si trovano in particolari situazioni
di disagio, come si trovava lui in quel momento .
In questa vicenda triste e dolorosa entra ora come protagonista la figura nobile e santa di mamma Teresa Valentini, moglie del signor Ambrosi Giacomo abitanti a Piazze di Pinè che con una decisione
spiegabile solo dall’istinto materno e da una fede incrollabile, assieme ai suoi famigliari decide di accogliere il piccolo Giovanni per il tempo necessario fino a quando non fosse stato più grandicello da
poter ritornare alla sua famiglia di origine.
Mamma Teresa aveva già di suoi undici figli ed insieme al signor Giacomo vivevano di agricoltura come la maggior parte della gente di allora, dove la povertà era la compagna stabile nelle famiglie rurali di quei tempi, assieme ai tanti figli, e non faceva eccezione nemmeno la famiglia Ambrosi; nonostante questa situazione mamma Teresa accolse nella sua casa, oltre al piccolo Giovanni, altri due
bambini di famiglie che si trovavano in gravi difficoltà. A rendere ancora più drammatica la vicenda ,
il 24 luglio 1943 moriva Giacomo Ambrosi. Così mamma Teresa rimase da sola a dover pensare alla
sua numerosa famiglia, tante bocche da sfamare e soprattutto tanti piccoli da accudire.
Giovanni Facini ricorda con sincera riconoscenza la figura dolce e semplice di mamma Teresa , ricorda
la sua infinita bontà e pazienza, in particolare con i bambini che aveva in affidamento, mai una parola
di troppo, mai uno schiaffo, anche se a volte dice che se lo sarebbe meritato… Giovanni trascorre così la sua vita di fanciullo nella Grande e numerosa famiglia Ambrosi sotto la tutela amorevole di mamma Teresa e dei suoi numerosi “fratelli“, fino all’età di sette anni, quando fu riportato a Preghena per
frequentare la scuola. Il 16 giugno 1966, mamma Teresa di Piazze di Pinè, lasciava questa valle di lacrime, per salire in Paradiso al cospetto di quel Dio al quale aveva dato in tutta la sua vita una prova
di profonda fede, con la sua esemplare carità cristiana .
La figura di Teresa Valentini ci ricorda quella generazione di mamme trentine ed italiane che nel se-
21
colo scorso hanno fatto della famiglia e della maternità una missione, svolta sempre in silenzio,
con immensi sacrifici, tanti figli e tanta tanta fedeltà.
Senza voler fare della retorica sulla vicenda narrata, mi sembra utile cogliere alcuni aspetti che si
prestano ad una riflessione :
La figura nobile di mamma Teresa ci ricorda, con
la generosità del suo gesto, che non serve poi
molto per fare del bene, le occasioni si presentano a noi tutti i giorni, sta ad ognuno di noi saperle
accettare o rifiutare. L’uomo di per sé non è ne
buono ne cattivo, sono le svariate occasioni della
vita che lo possono rendere talvolta buono e talvolta cattivo, a volte basta un non nulla per essere condizionati a fare il bene o a fare il male, ma
una cosa è certa per tutti: alla fine tutto quello che
resterà di noi sarà il ricordo del bene o del male
che abbiamo saputo e voluto fare in vita.
Bruno Agosti
Adriano mi racconta
MEZALON
Adriano Alessandri nasce a Preghena, frazione di Livo il 6 settembre de11914. Quest’anno ha compiuto 90 anni e con Giuseppe Facini, “el Paschet”, sono i più vecchi del paese. Abita al civico n° 56
in una ex casa nobile dei conti Zochel, aventi castello a Livo in località “Zòcol”. Probabilmente la discendenza ultima era nota a Preghena come “zoclari”. La vecchia casa medievale di Preghena conserva ancora l’antico portale e sopra ad esso lo stemma araldico.
Adriano, noto a Preghena come “Spalet”, ha frequentato le
elementari di Preghena ed ha avuto come insegnante la maestra Eleonora Preti di Smarano. Dopo gli otto anni d’obbligo
andò a lavorare come garzone di bottega alla falegnameria dei
“Pèpi”, quella di Romano e Adriano Vender oggi civico n° 31.
Lavora gratis per tre anni, come era d'uso a quel tempo, e dal
quarto anno percepisce otto lire al giorno, per una giornata di
dieci ore. Fatta la dovuta pratica e restando sempre in quella
bottega, si mette in proprio e si specializza come falegname
“rodar”, in altre parole costruttore e riparatore di carri agricoli
e soprattutto ruote. Aiuta anche il padre contadino, ma la sua
passione resta sempre quella di falegname e in bottega lavora
per molte ore, finché un giorno arriva la chiamata militare.
Viene arruolato e assegnato come alpino artigliere alla Divisio-
22
ne Tridentina a Bressanone. E’ il 15 giugno del 1934, un momento denso di incognite politiche e lo
sfortunato Adriano ne fa le spese. Ha compiuto vent'anni, è un bel giovane robusto alto m 1,80 e fra
leva militare d'obbligo, campagne militari all'estero e prigionia con russi, lo sfortunato ragazzo torna
a casa in congedo illimitato dopo 11 anni di naja! E’ il 14 ottobre del 1945.
Ha partecipato alla “campagna d’Africa” del 1936, quella
voluta da Mussolini e in quell’occasione guadagna anche
una medaglia al merito che conserva con religiosa cura: era
il 13 aprile del '37. Nel ‘40 è sul confine francese in Val
d’Aosta dove c’è allarme rosso per l’Italia fascista. Nel ‘41
è in Grecia, poi in Albania a fianco dei tedeschi di Hitler.
Nel 1942-43 la Tridentina è sul fronte russo, dove tutti sappiamo quale sventura toccò ai nostri alpini a Nickolajewka.
Soffre la lunga e penosa ritirata di Russia e finalmente ritorna in Italia ma a Dobbiaco viene fermato e sottoposto a
quarantena. Gli viene concessa una breve licenza, rientra in
famiglia ma per poco: deve presentarsi al corpo alpini a Vipiteno. Il 3 settembre cade il governo italiano e viene fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in Germania come
prigioniero di guerra a lavorare. Avanzarono i russi e gli
americani ed Hitler cade a sua volta. Adriano è prigioniero
dei russi, viene portato in Lituania e costretto a lavorare nei
campi, ma si ammala di polmonite. Viene messo in ospedale e, dapprima i russi, poi gli americani, lo hanno prigioniero fino al congedo illimitato, del 14.10.1945. Quattro
giorni dopo, Adriano è finalmente a casa. I compaesani lo festeggiano ma lui ha perso 11 anni della
sua gioventù. Passato il grande momento emozionale e ricostruite le forze fisiche, Adriano ritorna al
suo mestiere di “rodar”, aiuta il padre contadino e proprio alla vecchia bottega dei Vender conosce
la venticinquenne Adriana figlia del padrone che sposerà nel 1950. La coppia ha oggi una figlia di nome Chiara, che a sua volta sposando Fausto, gli ha regalato due gioiosi nipoti.
Caro Adriano, sarai stato sfortunato come militare, ma la bella famiglia che oggi ti fa corona ti ripaga
delle tante sofferenze subite. Auguri dai tutti i compaesani ai quali mi aggiungo mandandoti un cordiale arrivederci.
Calovini Fabio
MEZALON
CHE NE PENSATE DEL “MEZALON”?
Inviate le vostre idee e proposte a:
REDAZIONE MEZALON
c/o Municipio di Livo - Via Marconi, 87 - 38020 Livo (TN)
e-mail: [email protected]
23
Me ricordi...
...di Silvana Maninflor
La prima cosa che facciamo, arrivando quassù per le vacanze, è spalancare tutte le finestre che guardano la
nostra meravigliosa valle. Da qui guardo il paesaggio che ho tenuto nel cuore tutto l'anno. In lontananza,
sulla sinistra, la valle di San Romedio e la catena delle Forcole, di fronte il monte Faé.
Tanti anni fa, quando ero piccola e abitavamo ancora a Trento, per venire quassù prendevamo il trenino. Era
chiamato "la vaca de la Val de Non“, per il segnale che dava al suo passaggio, una specie di muggito.
Il "tram" allora era in legno marrone, con duri sedili e il tragitto da Trento a Mostizzolo durava tre ore. Alla
stazione, piccolissima, ci veniva a prendere il postino (credo si chiamasse Giovanni), col carro ed il cavallo;
ritirava la posta e ci portava fino a Preghena. Insomma, un lungo viaggio! Le mie piccole amiche di allora
erano la Rosy, la Gina dei Iori e le figlie del medico condotto, il Dott. Tenaglia, burbero e di poche parole.
Aveva l'ambulatorio e l'abitazione vicino a noi, si trovava dove ora c'è la bella casa dell'Afra. Quante capriole
nel nostro brolio! Quando mia madre non mi vedeva, levavo le scarpe: era bellissimo camminare a piedi
nudi nell'erba e arrampicarsi sui meli. Solo quando irrigavano non si poteva; con grosse pale di legno chiudevano il “lec” e l'acqua si spandeva per tutto il prato. Era un lavoro faticoso e andava fatto anche di notte. Ora c'è l'irrigazione a pioggia, che ha tolto tanta fatica ai proprietari dei prati ed è anche spettacolare,
specie quando ci batte il sole: è tutto un brillio di luci e arcobaleni. La nostra vecchia e amatissima casa di
quassù è rimasta quasi come allora. Una volta, però, c'erano pavimenti di assi in legno naturale, che venivano pulite con bruschino, sapone e candeggina. Per questo lavoro veniva la Minica, una cara persona, col
suo grembiulone scuro a fiorellini, una crocchia di capelli sulla nuca e le guance rosse come certe mele di
allora. Continuò a voler venire anche quando era molto anziana è dovemmo fare i pavimenti nuovi per interrompere questo suo lavoro senza offenderla.
Tutto il resto è immutato, perfino i lastroni di pietra dell'ingresso.
Quando mi affaccio al balcone di legno e guardo lontano, penso sempre che questa valle, coi suoi frutteti,
il lago in lontananza, i piccoli paesi e le bellissime montagne, mi riempie il cuore di dolcezza, di serenità e
anche di nostalgia per tutte quelle vacanze trascorse quassù, così attese, così amate.
Silvana Maninfior
...di Alessandro Sparapani
MEZALON
A voi tutti un grazie sincero per il vostro giornale che sta diventando sempre più una nostra identità,
un appuntamento semestrale che si attende con gioia. Fin ora mi sono limitato ad esprimere a voce il
consenso per il vostro lavoro, che ritengo di esemplare in esemplare sempre più riuscito. Così anch’io
mi congratulo al seguito di molti altri per il contributo informativo delle vostre pagine, perché insieme alle notizie degli ultimi mesi, con una filastrocca, qualche vecchia immagine, una storia, scostate
la tenda dei tempi passati lasciando così entrare in noi la luce dei ricordi.
Il Passato, che ognuno di noi lega ad un susseguirsi di eventi chiamato vita, lo culliamo con un rispetto
particolare, sia perché un tempo eravamo giovani, sia perché la vita era piena di domani che volevamo scoprire.
La nostra comunità, il nostro paese natale, aveva un aspetto forse più semplice ma ricco di quelle cose che oggi sentiamo raccontare, vediamo su vecchie fotografie, ci tornano in mente quando qualcuno ci dice, “te recordes?”
MEZALON
24
E’ così che soprattutto lontano dalla casa natia, sono le parole in dialetto che fanno abbozzare un sorriso, questa nostra ricchezza che ci permette di esprimerci in un modo completo, creando così un quadro che si apre davanti ai nostri occhi, dipingendo situazioni, emozioni.
Quando i primi fiocchi di neve iniziano incerti a volteggiare nel cielo, noi diciamo “l’faliva”. Avremmo
bisogno di più parole per dire in italiano che sta nevicando in modo appena accennato e anche tradurre alla lettera il significato di “nar for par le frosche” si rivela impossibile. Se penso “a nar par cloce” mi rivedo bambino sui “Gregi” con sacchi a volte più grandi di me che si riempivano pian piano,
perché a quei tempi era tanta la gente che raccoglieva “le cloce par n’pizar al foch”. Oppure “nar a far
farlet” con tutta la famiglia ed in quei giorni mangiar sotto gli abeti, con il profumo che il sottobosco,
come uno scrigno aperto, sprigionava dopo essere stato ripulito “coi restei”. Quel profumo si diffondeva poi ogni volta che durante l’inverno si spargeva nelle stalle, a fare da letto alle bestie che a quei
tempi portavano ancora un nome proprio, la Grisa, la Rossa. Ricordo come all’inizio dell’estate, in una
interminabile processione, le vacche, manzote, vedei, venissero accompagnate alle malghe in un reciproco aiutarsi di tutto il paese. Passando a Baselga, si invocava la Protezione della Madonna anche
per i preziosi animali, poi si attraversava Bresimo, la Val di Campo, “l’pont dal Ramon” e poi su verso
la meta alpestre. Prima di questo “soggiorno estivo” si portavano le mucche “a past”.
Rivedo ancora la loro sfrenata corsa verso la luce, dopo i lunghi mesi nella stalla e la loro esplosione
di gioia, finalmente all’aria, a brucare il primo tenero verde. Penso al festoso e concitato trambusto in
casa quando, una volta all’anno, si ammazzava il maiale. Tornano alla memoria le urla disperate del
“porchet” e quelle affannose di chi cercava di tenerlo fermo. Poi il guizzo del coltello, l’odore del sangue, il vapore dell’acqua bollente nella “panara”, il rumore delle catene e l’incantato ribrezzo di fronte allo spettacolo delle viscere penzolanti. Poi il forte profumo delle spezie e
dell’aglio tritato fine riempivano la casa. Le abili mani
del Silvio con la precisione
e l’esperienza di tanti anni,
tramutavano in due giorni
tutta quella carne, grasso,
ossa in prelibate “luiangie,
scodeini, mortandele, osocoi, pancete, peoti e costine”. Ricordo l’odore delle
“citole” e del “faitar”. Poi si
portava il tutto a “n’fungiar”, in vecchie annerite
cucine, da persone di fiducia che con l’accurata scelta
di legna e la giusta dose di
fumo davano alla scorta di
carne per la famiglia, quella inconfondibile nota, il tipico sapore.
Erano i tempi in cui d’inverno tornando di corsa da scuola con la “telara negra” e la cartella, passando con i compagni sotto le finestre delle case, si sentiva il buon odore di polenta e crauti, un profumo che riempiva il paese perché era il pasto di tutte le cucine.
Mi ricordo di inverni pieni di neve, come sulla copertina dell’ultimo numero, quando da “popi” si andava a “slizolarse” e la striscia lucida di ghiaccio che i piedi di noi piccoli a furia di scivolarci sopra,
avevano reso uno specchio, era il nostro divertimento. Poi arrivava qualcuno e con un po’ di segature cancellava il tranello che “la slizola” avrebbe rappresentato alla sera con la tenue illuminazione di
allora, per chi, munito di secchi di smalto bianco, portava “l’lat al ciasel”.
Ripenso al treno di slitte che facevamo, quattro o cinque, una attaccata all’altra. I più grandi di noi erano stesi in pancia sulle slitte, con i piedi che facevano da gancio per quella successiva. I piccoli salivano a cavalcioni sulle schiene dei grandi e poi, giù a capofitto per i “Chadrobi”, con l’ebbrezza della
velocità, nell’entusiasmo della corsa che finiva rallentando a Livo in un coro di “amò, amò, che bel che
25
MEZALON
le stà!” A quei tempi erano poche le auto per nostra fortuna, cosicché le strade erano libere.
Chi ha più anni di me, ricorda i filò nelle stalle e nelle “stue” di cui ho sentito tanti racconti, delle belle e allegre compagnie.
Tanti ricordano ancora le
estati di sacrifici sul “Mont”,
il duro e pericoloso lavoro e
anche i lati belli, le “uzzenade”, le amicizie, la loro gioventù, quel grande tesoro
che ogni generazione immancabilmente, scopre di
aver avuto quando è già
passata.
Tanti ricordi si vogliono lasciare dove sono, le Guerre
con il loro crudo spargere
di dolori ed il grande espatrio verso le Americhe ed in
altri Paesi del Mondo, durante i quali i nostri paesi si
sono dimezzati. C’era tanta
miseria, un manto oscuro
che aveva avvolto l’Italia e
I Chadrobi
costringeva così tanti a partire.
Io vivo ormai da 23 anni a Berlino. Se mi guardo indietro mi sembra ieri, quando con le mie poche
cose sono venuto a lavorare e a vivere qui.
I primi anni rientrando a Preghena, mi sembrava di ritrovare tutto com’era, poi progressivamente sono cambiate molte cose. I sentimentalismi non sempre vanno d’accordo con le esigenze di oggi. Nel
corso del tempo ci sono sempre stati cambiamenti, è così che è più bello e facile parteciparvi, quando tutti li vogliono; al contrario è triste accettarli, quando la loro causa non dipende da noi. Mi tornano in mente campagne con un aspetto ben diverso dal geometrico e ordinato susseguirsi di filari di
meli. Sento nostalgia di un paesaggio perduto. E’ consolante e motivo di orgoglio il fatto che il terreno e la posizione favorevole del Mezalon, siano le componenti che insieme all’operosità dei coltivatori, rendono i nostri “pomi, i pù boni de la Val de Non”.
L’uniformità di oggi ha tramutato l’aspetto della nostra terra. Un tempo ogni località era ben riconoscibile per il suo volto particolare e unico: “n’vaion, n’morar, i stropari sul confin con la strada, n’acal,
i perari spadoni o bona luigia, na pomelara o n’ciaresar”. Oggi è quasi una rarità un campo di patate,
per non parlare poi di cereali, biava, frumento, orzo. Ricordo il colore delle pannocchie appese a seccare sulle “late dele spleuze”, ricordo le “antane, i mucleti del fen” e le grandi corse di tutti quando si
annunciava un temporale per portare a casa i carri tirati da vacche o cavalli, il frutti di tanto duro lavoro.
Quando ero piccolo, l’arrivo del temporale era sempre un evento straordinario. Mentre i grandi, pregando, affidavano al fuoco i rami d’ulivo delle Palme per scongiurare la grandine, gli occhi di noi piccoli correvano già alla finestra per assistere alla corsa di uomini sotto le prime grosse gocce di pioggia, verso 4 o 5 postazioni intorno al paese. Sotto il braccio portavano oggetti lunghi e poi la nostra
attesa aveva un termine. Dalle apposite rampe partivano, accompagnati dal nostro conto alla rovescia,
gli oggetti della nostra ammirazione. Erano i razzi che saettavano con un sibilo sinistro, salivano a lacerare le nubi e con un cupo botto contribuivano ad allontanare l’incubo della grandine. Quando tempo dopo si andava in campagna o nel bosco, era facile trovare un pezzetto di plastica arancione che
prima dell’esplosione era stata una delle 4 alette direzionali del “missile”. Erano i tempi in cui gli Stati Uniti e la Russia concorrevano per arrivare per primi sulla Luna. Noi da bambini attendevamo con
un misto di rispetto e avventura le occasioni di un temporale per vivere così “in diretta” il lancio dei
razzi “live”!
MEZALON
26
Oggi quando vengo nel Mezalon, mi guardo intorno, ammiro l’operosità della gente, l’ordinata scacchiera delle coltivazioni, in primavera nello spettacolo della fioritura, in tarda estate-autunno, carica di
frutti, pullolante di colori.
Apprezzo i bellissimi lavori di restauro e valorizzazione di edifici sacri e pubblici ed in particolare nei
giorni di festa, penso alle Sagre dei nostri paesi, è la gente che con il sorriso sul volto completa questo quadro di tradizione e di comunità.
E’ soprattutto questo incontro con la gente che ha accompagnato i miei anni a Preghena che mi rende felice, scambiare insieme due parole, salutarsi ed apprezzarne, come più volte ho potuto constatare, la calorosa e cordiale solidarietà!
Leggendo l’ultimo
numero, mi commosse rivedere le foto degli emigranti in
Svizzera. Mi fa tornare indietro nel tempo, vedere il volto di
tante care persone
che conoscevo. Molti di loro non ci sono
più e con loro penso
anche a coloro che di
volta in volta al mio
rientro, non ritrovo
più. Se penso a
quanti hanno lasciato
l’Italia prima della
metà del secolo
scorso e non hanno
più avuto la fortuna
di ritornare anche
solo per una visita,
come io invece posS. Anna sotto l’arco durante la sagra del 2003
so fare, mi si stringe
il cuore. Erano tempi che noi non abbiamo conosciuto. Le parole “Sarosi tornà a pè, se no iera chel’aca” sono parole che riemergono pensando a vecchi racconti. “L’strani”. Come dev’essere stato straziante vivere la nostalgia, consapevoli che non c’era ritorno! L’unica possibilità allora era scrivere, inviare una foto che diventava l’unico appiglio per ricordare il volto amato, quello di persone care, sentir così, pulsare sotto la superficie di una foto il sangue della parentela, accarezzandola fino a sgualcirla ma conservandola come una reliquia. Oggi il telefono ci collega in un lampo, annulla le distanze.
Internet mi dà la possibilità di vedere il mio paese, di girarci virtualmente intorno, come se fossi lì.
Grazie e complimenti agli artefici di questo Sito www.preghena.it, è molto bello!
L’emigrazione è stata per molti l’unica via di scampo alla povertà. Alcuni hanno fatto “la fortuna”, quel
miraggio per cui si partiva. Altri hanno conosciuto i lati tristi della lontananza, la lingua straniera, la discriminazione. Penso allo sfruttamento dei bambini “Famei” pagati talvolta con un solo pasto per le loro giornate senza orario, lontani dalle loro mamme. Penso a chi ha lavorato in miniera, al buio, di fronte al nero del carbone, con negli occhi le immagini dei monti, dei prati fioriti, della moglie ed i figli,
sognando magari il sapore di una calda minestra “da orz o patate rostide”, seduto con la famiglia intorno al focolare, per ingannare così per un attimo il sapore tossico del silicio della cui polvere avevano piena la bocca e i polmoni. Penso alle lacrime di chi aveva dovuto lasciare tutto questo e mi rendo conto che le stesse cose succedono adesso a milioni di persone su questo nostro mondo.
Persone che lasciano la loro casa, vendono il loro poco per pagarsi il viaggio nei Paesi del benessere
tra i quali l’Italia, tante volte senza nemmeno la sicurezza di arrivarci vivi. Come si ripetono le storie
in questo mondo che non impara mai. Io vivo all’estero e so, riferendomi alla nostra storia, che in
ognuna delle nostre case ci sono o ci sono stati emigranti. Ognuno di noi ha figli, parenti, amici in un
27
latro Paese, lontano significa anche dentro i confini della nostra bella Italia.
Anche il Mezalon che tanti ani fa s’era svuotato accoglie ora persone di tante nazionalità. Alcuni restano, creano una nuova famiglia, diventano nuovi vicini di casa, nascono amicizie. Altri vengono e rimangono solo per la raccolta delle mele. Ho constatato con stupore quanto sia diventata cosmopolita la Trento-Malè che nel periodo di raccolta trasporta passeggeri che parlano russo, rumeno, cecoslovacco, albanese, polacco, diverse lingue dei Balcani e del Nord Africa. Durante questo spazio di
tempo c’è più gente per le strade e qualche casa deserta da ani, riaccende alla sera le sue finestre, dietro alle quali si svolgono scene di vita con usi e lingue differenti dalla nostra. Credo che l’ospitalità ed
il calore umano che molti di noi abitanti all’estero abbiamo ricevuto e conosciuto, nonostante difficoltà linguistiche e culturali, venga da chi nel Mezalon abita e vive, donata a chi si integra nella Comunità e a chi ne è ospite. L’esempio più bello e commovente che ricordo è stato l’addolorato sgomento
per la morte di Nico, il ragazzo albanese morto a Natale nel 1998, con la partecipazione generosa e
sincera di tutti per rendergli possibile il Riposo eterno nella sua terra d’origine.
Sono orgoglioso di avere le vostre stesse radici!
Esempi come questo mi dimostrano che la dottrina di alcuni pagliacci del circo politico che cerca invano di divertirci, nei nostri paesi non ha ancora trovato un traduttore.
I valori umani, arricchiti di esperienze familiari che rispecchiano la situazione di chi oggi bussa alla porta dei nostri paesi, mantengono acceso il buon cuore, che è uno dei preziosi aspetti della Gente e della Terra che amo.
A questo punto sarebbe un’imperdonabile mancanza non ricordarsi di chi nel nostro paese, con la sua
presenza ed il suo modo esemplare di vivere il S.Vangelo che predica, ci fa da Guida e ci è amico.
Grazie caro Don Pio!
Un caro saluto a tutti, Sparapani Alessandro
...come giocavamo
MEZALON
Quando ero piccola, l'Italia era appena uscita da una guerra: soldi ne giravano pochini, ma non era solo per
questo che non si usava viziare i ragazzini accontentandoli in ogni capriccio, era piuttosto la saggia consapevolezza che la vita non concede tutto e facilmente.
Imparavamo anche a risparmiare, a meritare ciò che desideravamo, a non chiedere troppo e, soprattutto,
ad usare fantasia e creatività. Al giorno d'oggi, i bambini hanno così tanti giocattoli che quasi non sanno più
cosa farsene e spesso stanno a stordirsi per ore con giochini elettronici assai poco costruttivi; dubito seriamente, però, che riescano ancora a divertirsi come noi.
Da bambina, erano gli anni Cinquanta, trascorrevo a Preghena tutti i tre mesi di vacanza dalla scuola, e non
aspettavo altro! Già da allora adoravo la mia antica casa di lassù, i magnifici prati a meli e peri, gli animali
della campagna - domestici o selvatici che fossero - i boschi e i torrenti; non mi sentivo sola neppure un
momento. Avevo comunque tanti amici, con i quali giocavo perfino in campagna. Durante la fienagione,
per esempio, l'erba veniva fatta asciugare in tre tempi: stesa su tutto il prato prima, poi disposta in lunghe
strisce, poi in monticelli, prima di sistemarla nei "linzoi" per il trasporto.
A noi bambini interessava la seconda fase, perché i nostri prati sono tutti in discesa e quelle strisce di fieno
somigliavano tanto agli ostacoli di una corsa di cavalli; così, partivamo dall'alto e giù a salti fino in fondo! Il
guaio era che all'inizio andava tutto bene, poi perdevamo il ritmo e finivamo per saltare giusto in mezzo al
fieno, destando le giuste ire del contadino che aveva tanto faticato; ci gridava dietro "Piazaroi, no seo boni
a star sodi?", ma poi ci perdonava sempre, forse perché da piccolo lo faceva anche lui...
Un altro gioco era "la Cooperativa"; il mio amico fisso era il Franco dei Mecli, un po' più piccolo di me; ci
mettevamo nel cortile della sua casa, nella buca della “grasa” (ovviamente vuota!) e disponevamo di traverso un’asse come banco di vendita; poi disponevamo in bell'ordine sassolini, sabbia, erbe varie che nella nostra fantasia diventavano le varie merci; si pagavano in cartamoneta, che in realtà era… carta e basta.
Con Miriam giocavamo a bolle di sapone, ma non certo usando i flaconcini già pronti di adesso: preparavamo un bicchiere d’acqua nel quale pazientemente scioglievamo un po' di sapone duro e là entrambe intingevamo le cannucce ricavate dagli steli cavi di certe piante di prato, che trovavamo nel fienile. Poche bolle riuscivano, ma erano splendide, quando specchiavano il mondo fra scintillii e iridescenze. Venne anche il
periodo "tecnologico": si giocava "alla moto", semplicemente impugnando a due mani un legno tagliato e
28
correndo; per il motore, si faceva "brum brummm" con la voce. Mio nonno mi fabbricò allora una… fuori
serie: il bastone aveva incastrati gli ingranaggi di una vecchia sveglia; un modello di lusso! Lo stesso vecchio orologio da cucina fornì anche il timone per un veliero che nonno Romano mi scolpì in legno; nonna
Lucia cucì le vele; con tanta fantasia, la vasca di una fontana può benissimo essere un oceano. Moltissimi
anni sono trascorsi da allora, ma non ho mai scordato la gioia di vivere, l'entusiasmo, la creatività di quei
giorni, il sorriso dei piccoli amici; nessuno era più ricco di noi! Qualche volta, vedendo in alta montagna il
fieno pettinato a strisce, mi viene ancora voglia di correre giù per il prato…
Non si diventa mai del tutto adulti... per fortuna!
Patrizia Maninfior
...dall’Argentina
Ricevo il giornalino Mezalon sempre ansiosa di sapere le notizie e vedere le foto del passato e del
presente, dei nostri paeselli e le loro genti.
Vedo il progresso in ogni aspetto. Maestoso il campanile in copertina dell’ultimo notiziario. Fantastica la Sagra di S.Anna e l’idea dei bravi ragazzi e miei cari nipoti, Massimo e Osvaldo, di creare a
Preghena la possibilità di scambiare comunicazioni a mezzo internet! Congratulazioni!!!
Autentica la descrizione “il suono degli zoccoli”. In omaggio a quei utili e umili esseri, dedico la
poesia che segue:
MEZALON
T’amo o pio bove
e mite un sentimento
di vigore e di pace nel cuor m’infondi
Oh che solenne come un monumento
guardi i campi liberi e fecondi
Tu, che al giogo soave inchinandoti taci
l’agil ombra dell’uom grave secondi
Dalla larga narice umida e nera
fuma il tuo spirito
e come un inno lieto il mugghio
nel sereno air si spande…
Allego la foto dei volontari e generosi giovani che in tempo di guerra, una domenica,
in poche ore, rasero al suolo il fieno dei miei
prati. Con pena devo dire che di loro solo
uno è in vita, Silvio Pancheri, che Dio lo conservi a lungo. Ma di loro è sempre vivo il ricordo.
Cito i loro nomi: in alto a sinistra Giovanni dei Nani, Silvio e Bepino Pancheri, Arturo Alessandri,
Camillo Pancheri. In basso da sinistra Luigi Zorzi, il fratello Silvio con un compagno d’armi.
Alessandri Silvia
29
...i maestri del
mestiere
MEZALON
Nella piccola comunità agricola e montana di Preghena non mancarono varie attività artigianali di
primaria importanza alla vita sociale, esercitate da
persone che facevano solo quel determinato mestiere o integrandolo con i lavori della campagna;
fornivano al paese autosufficienza a varie esigenze
e quando tali servizi vennero a mancare si crearono problemi e disagi alla popolazione.
Le mucche e i cavalli erano numerosi e avevano
bisogno di un maniscalco per fare i ferri agli zoccoli, non potevano affrontare le strade con le nude
unghie, troppo deboli e allora Sparapani Carlo dei
"Moreti" procurava loro un rinforzo. La sua fucina
era il "bait", adiacente alla canonica, tuttora degli
stessi familiari, poi ristrutturato: un locale buio, nero, affumicato, al suo interno un focolare aperto,
su quale c'era un mucchietto di carbone e sotto di
esso la brace sempre accesa, alimentata con un rudimentale mantice; accanto, un banco da lavoro
con l'incudine e sparsi dappertutto in modo disordinato, martelli, tenaglie, attrezzi vari. Carlo arroventava i ferri, li batteva, li modellava, li raffreddava per provarli e riprovarli sotto i piedi degli animali e quando era certo che erano perfetti, li fissava ai quadrupedi con i chiodi a sezione quadrata
che rimanevano ancorati per lungo tempo, fino alla loro usura. Altri lavori di carpenteria metallica e
d'idraulica erano eseguiti dal fabbro e idraulico
Maninfior Carlo "Balota". La sua officina si trovava a
Livo. Sono ancora presenti i suoi "coleti "dei comignoli delle case: dopo tanti anni sono ancora buoni, non lasciano passare l'acqua piovana e dei temporali nel sottotetto. Corazza Augusto, calzolaio,
riparava e faceva nuove le scarpe. Il suo primo laboratorio si trovava nella casa di Betta Remo e Betta Oreste dei " Barteudi". Modellava il cuoio martellandolo, immergendolo nell'acqua diverse volte
e con la tecnica che solo lui possedeva, creava vere scarpe artigianali, ben fatte e ben cucite, (oggi
non se ne trovano più come le sue). Era estroso, si
applicava al lavoro in modo incostante e forse era
proprio questo il "trucco "per ottenere migliori risultati.
Il mugnaio del paese era Facini Emanuele dei "Ricardi", aiutato nel trasporto dal fratello Giuseppe,
detto il Bepi, con il suo cavallo alto e bianco. Questo animale mordeva le persone, nessuno osava
avvicinarsi e quando Bepi cadeva per terra per la
stanchezza o per l'eccesso di qualche bicchiere di
vino, si dimenava per afferrarlo con la bocca e aiutarlo a sollevarsi. Possedevano un mulino ad acqua
presso il Barnes; venuta meno la sua funzione, rimase inutilizzato, poi subì un incendio che distrusse tutta la parte di legno. Oggi restano le mura di
sasso perimetrali, al suo interno le macine rivolte,
che sono delle grosse ruote di granito, la stalla ad
avvolto è ancora intatta. Il tutto è un'immobile in
rovina che porta con se ed esprime tuttora un pezzo di storia secolare caratteristico della civiltà agricola locale.
Maninfior Antonio “il Toni dei Sigoi”, cestaio, portava a casa dal bosco, sulle spalle, legni selezionati di nocciolo, toglieva loro la scorza, ricavava le
strisce o li lasciava rotondi, a seconda dell'uso. Con
tanta pazienza li intrecciava e prendevano la forma
di una cesta che serviva per contenere le patate o
la legna, di una gerla per il trasporto di materiali
vari sulla schiena, di una “bena”, gran contenitore
per il trasporto del letame, posta sul carro fra due
lunghi legni "i palanchi" e poi di qualche altro oggetto in vimini.
Alessandri Olivo “Livio dei Soleri” era falegname,
meccanico, elettricista; non è una dote comune
esercitare varie attività, eppure lui riusciva bene in
tutte. Mentre eseguiva i lavori elettrici sul palo dei
fili della luce, ha subìto un incidente per una scarica elettrica, poi, gli dovettero amputare l'avambraccio e con una mano sola continuava ad eseguire i suoi lavori preferiti e mestieri vari. Ultimamente si divertiva a costruire modelli di legno in
miniatura, delle famose "ruote da filare" di un tempo antico: molte persone desideravano averle, ma
non riusciva a soddisfare la richiesta di tutti. Livio
era simpatico, sempre contento e bastava poco
per scambiare una piacevole risata che ti dava una
carica d'allegria.
Datres Adriano "dei Mecli" e Alessandri Carlo "dei
Nani" erano muratori e facevano molti lavori nelle
vecchie case bisognose d'interventi di ristrutturazione e modifiche di primaria necessità. I locali
delle abitazioni erano imbiancati con tinte fatte da
disegni e fioriture varie, la tinta unica era poco usata e l'imbianchino del paese era Sparapani Arturo
“dei Camerli” che, con pazienza e maestria, li trasformava in veri salotti.
Vielmetti Antonio “dei Pimbi”, detto il perito, aiutava le famiglie a spartire l'eredità in modo equo,
evitando l'insorgere di contrasti e litigi, trovava
sempre la soluzione soddisfacente per gli eredi.
Stimato, la sua prestazione era richiesta da tutto il
Mezalon e anche dagli abitanti di Cis e Bresimo, fu
uno dei promotori della nascita della Cassa Rurale,
di cui aveva avvertito in tempo la necessità.
30
Sparapani Luigi “dei Mori”, falegname, ha seguito
in parte le orme del padre Giuseppe, il quale era
anche il campanaro; aveva la falegnameria a piano
terra nella casa ora di Betta Stefano, tutta ristrutturata. Luigi faceva serramenti, tetti delle case, mobili, oggetti vari di legno con incastri "a coda di
rondine" resistenti e indistruttibili nel tempo; la sua
specializzazione consisteva nel fare le botti: sceglieva il legno con la venatura adatta, tagliava, sagomava, piegava, incastrava, teneva unite le doghe con i cerchi metallici fatti manualmente, creava i detti contenitori che rimanevano sempre efficienti anche dopo molti anni: non perdevano mai
una goccia. Diceva che "è meglio bere il vino, piuttosto che perderlo "e forse era proprio questo il
motivo che lo stimolava a realizzarle in modo per-
fetto.
Alessandri Adriano “degli Spaleti”, falegname, ora
pensionato, faceva mobili, serramenti, botti, tetti
delle case, aratri, oggetti vari di legno; specializzato nella costruzione di ruote di legno a raggi che
duravano sempre, non si rompevano mai, era un
vero artigiano, ordinato, che si dedicava ai lavori
con passione, professionalità, precisione e curava
le rifiniture. Altri mestieri e simili erano fatti da altre persone e così il paese era ben servito, la ricompensa economica era scarsa, per il fatto che la
gente non possedeva soldi; gli stessi artigiani non
osavano chiedere molto o il giusto onorario e in
certi casi erano "pagati" dal cliente con "grazie intanto" e il denaro spettante non lo vedevano più.
Bruno Sparapani
...quando ero giovane
Bueno Aires - Argentina
Sono Giacomo Varesco di Preghena e ancora da bambino, 12 anni appena, sono stato nella
malga di Preghena per aiutare nei pascoli i vecchi pastori e loro mi hanno insegnato con questo bel racconto tutti i sacrifici che si dovevano compiere.
“Beati coloro che nel tempo d'estate
vengono eretti della malga pastori
si alzan la mattina privi di sposa
mungon le vacche e mangian la “mosa”
prendono il bastone e si mettono i “cospi”
per difendersi dalle rane dai vermi e dai rospi
e quando a mezzogiorno si aprono le porte dello stallone
arrivan le vacche in gran processione.
MEZALON
Montagne e mie vallate
Voi siete il mio tesor
foreste profumate
mai più vi scorderò”
Mille grazie per il vostro giornalino.
Varesco Giacomo
31
...sul mont
Era il lontano 1946. Una mattina di buon’ora io e mia sorella Sabina partimmo cariche di quello che ci
occorreva per una settimana su alle “Maràsse” del Pin1 per la fienagione. “I sejadori”2 erano i Toflini e
noi eravamo “le resteladore”3 . Passammo tre settimane di albe e tramonti, a dire il vero non tanto
belli per l’età che avevamo.
L’anno dopo, il 1947, durante la festa di S.Anna, il 26 luglio, andarono all’asta per essere tagliati i tre
“Colomei del Pin”4. Una squadra di
falciatori, di cui faceva parte anche
mio fratello Sandrino, aveva tagliato
poco fieno alle quote più basse. Decisero perciò di partecipare all’asta e
si aggiudicarono il primo ed il terzo
lotto, in più “el Toaz dela Minica”.
Queste località sono particolarmente impervie e ripide.
Fu così che anch’io venni coinvolta,
purtroppo ancora una volta, in questa particolare avventura. Pochi giorni dopo, al mercato di Cles del primo agosto, comprammo due capre
per il latte e decidemmo che la data
della partenza sarebbe stata il 6 agosto. Ci ritrovammo tutti in località
“S.Antoni” (sopra Preghena) e partimmo. Andammo da Livo fino al Pin a piedi, con dei grandi “prosachi”5 pieni di tutto l’occorrente che poteva starci. Oltre a me e mio fratello Sandrino c’erano alcuni
componenti delle famiglie dei Franzi, dei Boromei e dei Pluchjani.
Quanto lavoro e quante scivolate che facemmo mentre rastrellavamo! Dovevamo inoltre andare lontano a prendere l’acqua per cucinare. Dopo quindici giorni di avventure belle e brutte una sera ci fu
un temporale terribile. Era buio. Io e la mia amica Anetta ci mettemmo in cammino dal Toaz verso casa per provare, almeno per una notte, il dolce dormire in un letto e non sotto una tenda militare in
tredici persone. La mattina dopo, stanchissime, dovemmo fare ritorno lassù dove “volavano le aquile”. Il fieno veniva trasportato con la teleferica fino alla “viata dal Pin”6 . In quella località c’era lo zio
Sandro col bròz7. Il lavoro continuò fino all’8 settembre e fu un periodo pieno di avventure.
Non posso dire di avere un bel ricordo perché si faticava tanto, ma ugualmente sono affezionata a
queste vicende e mi piace raccontarle perché fanno parte anche quelle del mio passato nella mia indimenticabile Livo.
Giuliana Zanotelli
2
3
4
5
6
7
Le pendici sottostanti alla cima del monte Pin (m.2420 slm), che fa parte del gruppo delle Maddalene.
I falciatori.
Le rastrellatici: coloro che rastrellavano il fieno tagliato.
Zone in cui erano divise le pendici del monte Pin per lo sfalcio.
Gli zaini.
Il luogo in cui arriva la strada carrabile che sale verso il Pin.
Carro a due ruote, privo di sterzo.
MEZALON
1
32
LA FITOTERAPIA: STAR BENE
CON LE PIANTE
MEZALON
Le origini della Fitoterapia
L’uso delle erbe a scopo curativo trae origine
dalla preistoria, quando i nostri antenati impararono casualmente a scegliere e selezionare nel
tempo i vari frutti e tuberi con i quali alimentarsi, per poi individuare anche foglie e succhi di
piante in grado di mitigare il dolore causato dalle ferite.
Dell’uso terapeutico delle piante officinali c’è
traccia nei geroglifici egiziani e già circa 4 secoli prima della nascita di Cristo, Ippocrate il padre
della medicina moderna aveva individuato le
proprietà antidolorifiche della linfa estratta dalla
corteccia di salice, senza immaginare che questa azione era dovuta all’acido salicilico, che ancora oggi è la base della conosciuta aspirina.
Anche al di fuori del mondo mediterraneo, le civiltà dell’India, della Cina, del Tibet e dell’Arabia
conoscevano dai tempi più remoti le proprietà
curative delle erbe: un manoscritto cinese di
ben 4700 anni fa, il Pen-Tsao, già descriveva le
proprietà terapeutiche del Ginseng e dell’Efedra.
Nei secoli c’è stata poi una progressiva evoluzione fino alla disponibilità di vere e proprie pozioni di erbe dotate di specifici ma ancora grossolani
poteri:
calmanti,
purganti,filtri
d’amore,elisir di lunga vita, digestivi…
Un tempo il medico era
allo stesso tempo preparatore (botanico o
farmacista) e quindi era lui ad allestire i suoi rimedi, ma col progredire delle
scienze divenne necessaria
una divisione
dei ruoli che
portò
ad
una.maggiore
specializzazione .
Questo consentì di ottenere
preparati officinali sempre più puri
ed efficaci.
Verso la fine dell’ottocento gli sforzi si concentrarono sull’isolamento a partire dalle piante
medicinali del principio attivo responsabile dell’effetto curativo. Si tentò di isolare i”principi”
attivi da quelli”inerti” e di ricostruire per sintesi le molecole più potenti; ciò consentì non solo di preparare in laboratorio sostanze identiche
a quelle naturali ma anche di modificare le
loro strutture chimiche originali, per
potenziarne l’azione farmacologica o
migliorarne la tollerabilità.
Per
fare
degli
esempi dall’oppio
si estrasse uno dei
maggiori antidolorifici, la morfina, dal
caffè la caffeina,
dalla corteccia di
china un antimalarico ,la chinina, dimostrando che è a questa
sostanza che si deve la capacità di abbassare la febbre (riportato dalla tradizione popolare) della corteccia di china.
E’ evidente che i grandi progressi compiuti dalla farmacologia hanno segnato un po’ il declino
della fitoterapia.
La Fitoterapia moderna
Oggi, riconosciamo che il prolungamento della
vita media e anche una maggiore qualità della
vita stessa rappresenta una notevole vittoria ottenuta grazie anche a farmaci di sintesi chimica
molto efficaci quali antibiotici, chemioterapici e
i così detti farmaci salvavita.
Ciò nonostante dagli anni ottanta in poi ha cominciato ad emergere un rinnovato interesse
per le sostanze naturali e per la farmacologia dei
complessi vegetali, grazie anche a una maggiore attenzione del mondo scientifico per lo studio della pianta medicinale nel suo complesso.
La moderna fitoterapia si basa infatti sul concetto che la pianta medicinale è un organismo uni-
33
tario nel quale ogni costituente ha una propria
ragione d’essere ed esercita una determinata
funzione. Tutti i costituenti, sia quelli farmacologicamente attivi che quelli non attivi, concorrono a determinare l’attività terapeutica globale
della pianta medicinale. I primi svolgono l’azione principale i secondi ne modulano l’effetto, limitando gli effetti collaterali, o completandoli.
Così ad esempio nel caso della radice di rabarbaro, l’azione lassativa dei sennosidi (principio
attivo) è resa meno aggressiva dalla presenza
dei tannini (principio inerte) che hanno un leggero effetto astringente.
La pianta nel suo complesso talvolta manifesta
molteplici azioni farmacologiche dovute ai diversi componenti e ciò consente di curare con
un unico rimedio più patologie/problemi.
Un esempio ci viene fornito dall’aglio che è dotato di azione ipocolesterolemizzante e antiaggregante piastrinica, ma è anche caratterizzato
da azione ipotensiva e antibatterica.
Fitoterapia o Omeopatia
La fitoterapia è intesa
come cura e prevenzione delle malattie
mediante la somministrazione di farmaci vegetali. Come
tali interagiscono
con l’organismo e
pur essendo in genere ben tollerati
possono talvolta
avere degli effetti
collaterali o delle
controindicazioni.
Per questo la legislazione comunitaria
attuale considera i
prodotti fitoterapici
farmaci a tutti gli effetti, per cui la loro vendita
è autorizzata solo se.
Dott. Luca Ceschi
MEZALON
1) è dimostrata la loro sicurezza ed effi
cacia
2) sono fabbricati in ottemperanza alle
regole di buona qualità
3) sono confezionati ed etichettati se
condo le disposizioni vigenti nella CEE
4) sono prescritti e distribuiti da opera
tori sanitari qualificati (medico e farmaci
sta)
In conclusione la fitoterapia non deve essere vista come una medicina alternativa alla medicina
tradizionale, ma si pone come ramo della medicina ufficiale poiché, come abbiamo visto, ha gli
stessi principi e origini.
L’omeopatia, che spesso
viene confusa con la
fitoterapia perché
entrambe utilizzano droghe vegetali si basa su un
concetto detto
“similia similibus curentur”,
cioè i simili si
curano coi simili
e utilizza dosi
infinitesimali
della stessa sostanza responsabile del quadro sintomatologico. Ad esempio
per trattare l’eccessiva lacrimazione dell’occhio si utilizza, diluita a
dosi infenitisimalil la cipolla (alium cepa) che come sappiamo provoca la lacrimazione se tagliata a pezzettini. Al contrario, il preparato fitoterapico non subisce queste infinite diluizioni, ma
ne conserva le caratteristiche di partenza, garantendo così una concentrazione di principi attivi adeguata per l’ottenimento di un’efficacia
terapeutica.
Diversi sono i campi di applicazione delle piante officinali.
Nella prevenzione la fitoterapia può rappresentare un valido strumento in quanto consente
una terapia di lunga durata grazie alla ridotta
tossicità.
In alcuni casi si pone come rimedio adeguato e
sufficiente in alternativa al farmaco: per esempio numerosi studi clinici hanno dimostrato l’efficacia dell’iperico, paragonabile agli antidepressivi usati in terapia, nel trattamento di depressioni lievi o moderate.
Inoltre le piante possono costituire un complemento ai farmaci di sintesi che, in questo caso
sono il rimedio preponderante: per esempio nel
caso di una bronchite , che ovviamente deve essere curata con un antibiotico, le piante ad attività balsamica, antinfiammatoria ed emolliente,
possono rappresentare un valida associazione
per ottimizzare la terapia.
34
COMUNE DI LIVO
Provincia di Trento - C.A.P. 38020 - Via Marconi, 87
tel. 0463.533113 - fax 0463.533093
[email protected] - www.comunelivo.it
ORARIO DI APERTURA AL PUBBLICO DEGLI UFFICI COMUNALI
lunedì ......................................................08.30 - 12.30 ..........pom. chiuso
martedì ....................................................08.30 - 12.30 ..........pom. chiuso
mercoledì ................................................08.30 - 12.30 ..........13.30 - 17.30
giovedì ....................................................08.30 - 12.30 ..........pom. chiuso
venerdì ....................................................08.30 - 12.30 ..........pom. chiuso
IL SINDACO RICEVE
lunedì mattina..........................................08.30 - 12.00
mercoledì ................................................08.30 - 12.00 ..........15.00 - 17.00
AMBULATORIO MEDICO LIVO ...............tel. 0463.533418
dott. ERNESTO PINDO
lunedì e venerdì.......................................10.00 - 12.00
dott. NARCISO BERGAMO
lunedì ......................................................15.00
giovedì ....................................................09.00
dott.ssa MARIA CRISTINA TALLER
martedì ....................................................16.00 - 17.30
PEDIATRA dott.ssa ELVIRA DE VITA
2° giovedì del mese.................................16.00 - 17.00
FARMACIA DI LIVO ................................tel. 0463.535014
mattino ....................................................08.30 - 12.30
pomeriggio ..............................................15.30 - 19.30
MEZALON
Riposo infrasettimanale: sabato pomeriggio - Turno festivo come da calendario
CHIAMATE URGENTI NOTTURNE...........................tel. 328.6163342
UFFICIO POSTALE ....................................tel. e fax 0463.533116
orario al pubblico:
da lunedì a venerdì ..................................08.00 - 13.30
sabato ......................................................08.00 - 12.30
35
SERVIZI DI EMERGENZA
sociale e sanitaria
CARABINIERI....................................................tel. .......112
CARABINIERI - STAZIONE DI RUMO .................tel. .......0463.530116
POLIZIA ............................................................tel. .......113
POLIZIA STRADALE DI MALÉ ...........................tel. .......0463.909311
EMERGENZA SANITARIA ..................................tel. .......118
OSPEDALE CIVILE DI CLES - CENTRALINO........tel. .......0463.660111
GUARDIA MEDICA............................................tel. .......0463.660312
PRONTO SOCCORSO ........................................tel. .......0463.660227
VIGILI DEL FUOCO ...........................................tel. .......115
VIGILI DEL FUOCO VOLONTARI DI LIVO...........tel. .......0463.533575
VIGILI DEL FUOCO VOLONTARI DI PREGHENA.tel. .......0463.533433
STAZIONE FORESTALE DI RUMO ......................tel. .......0463.530126
CUSTODE FORESTALE DI LIVO ..........................tel. .......0463.533469
GUARDIA DI FINANZA .....................................tel. .......117
SCUOLA MATERNA DI LIVO .............................tel. .......0463.533522
SCUOLA ELEMENTARE DI VAROLLO ................tel. .......0463.533377
MEZALON
GUARDIA DI FINANZA DI CLES ........................tel. .......0463.421459