Scheda da Film discussi insieme 2007
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Scheda da Film discussi insieme 2007
24 The Queen regia: Stephen Frears (Gran Bretagna 2006) sceneggiatura: Peter Morgan fotografia: Alfonso Beato montaggio: Lucia Zucchetti musica: Alexandre Desplat interpreti: Helen Mirren (Elisabetta II), Michael Sheen (Tony Blair), James Cromwell (Principe Filippo), Sylvia Syms (Regina Madre) produzione: Pathè Pictures International, Scoot Rudin, distribuzione: BIM durata: 1h 40’ Stephen Frears Leicester (Gran Bretagna) - 20.06.1941 2006 The Queen 2002 Piccoli affari sporchi 2000 Liam 2000 Alta fedeltà 1998 The Hi-Lo Country 1996 Due sulla strada 1995 Mary Reilly 1992 Eroe per caso 1990 Rischiose abitudini 1988 Le relazioni pericolose 1987 Sammy e Rosie vanno a letto 1987 Pick Up - l'importanza di essere Joe 1986 Walter and June 1985 My Beautiful Laundrette 1984 Vendetta 216 THE QUEEN 1979 Bloody Kids 1971 Gumshoe 1968 The burning LA STORIA Sono i primi giorni di maggio del 1997. Tony Blair, appena eletto al ruolo di Primo Ministro si reca dalla Regina per ricevere l’incarico. Con lui la moglie, avvocato. La curiosità di Elisabetta su quell’uomo che è stato preceduto da una campagna elettorale centrata soprattutto sul bisogno di modernizzare le vecchie istituzioni si esprime con dubbi e perplessità. Intanto come da protocollo, i Blair si preparano all’incontro con la Regina d’Inghilterra. A dar loro le istruzioni necessarie per quella visita tanto importante è il cerimoniere di corte. Quindici minuti dopo, il tempo per dire sì in ginocchio alla Regina, marito e moglie discendono lo scalone reale. Siamo ormai in piena estate. In tv passano tra cronaca e mondanità le immagini di Diana in giro per il mondo e a fianco di personaggi famosi. Tra le ultime quelle che la fotografano, in atteggiamento che spinge ben oltre la semplice amicizia, al fianco di Dodi Al-Fayed. Così fino alla notte del 30 agosto quando irrompe nella residenza estiva di Elisabetta a Balmoral la telefonata dell’incidente d’auto a Parigi. In pochi minuti residenza reale e casa di Tony Blair sono avvisati dell’accaduto: Elisabetta, il marito, la regina madre in vestaglia davanti al televisore commentano i primi flash d’agenzia trasmessi alla stampa e affrontano le cose da farsi. Elisabetta esclude una cerimonia ufficiale. Diana da un anno non fa più parte della famiglia, dunque esequie private. Tony Blair invece capisce immediatamente che quella terribile tragedia si ripercuoterà inevitabilmente sulla corte d’Inghilterra e prepara una prima dichiarazione che restituisce a Diana la popolarità e l’affetto con cui gli inglesi l’hanno sempre circondata. Il principe Carlo, sapendo della poco simpatia che sua madre nutriva negli ultimi anni per la sua ormai ex moglie, timidamente avanza il suo programma. Il principe Filippo, come da indicazioni reali, pensa ad allontanare i nipoti per cercare di distrarli. Il giorno dopo, ascoltate le dichiarazioni alla televisione del signor Spencer, fratello di Diana, Blair prende sempre più convinto posizione. Dichiara in tv la stima che il popolo inglese nutriva per Diana, che definisce “principessa del popolo”. Ormai gli avvenimenti sovrappongono dichiarazioni pubbliche a decisioni private. Carlo riporta a casa Diana con l’aereo reale concessogli dalla madre e la necessità di mettere a punto la cerimonia appare subito in tutta la sua difficoltà. L’obiezione numero uno è che non ci sono precedenti. Si potrebbe fare riferimento al funerale giù studiato per la morte della regina madre, ma vanno considerate le notevoli differenze: niente rappresentanze militari, ma piuttosto la partecipazioni delle associazioni benefiche di cui Diana era presidente e se mai attori, cantanti e stilisti. A rendersi conto della popolarità che continua ad avere la casa reale e di come gli inglesi la ritengano insostituibile è Tony Blair. “Sarebbe inimmaginabile che questo paese diventi una repubblica”, dice Blair alla moglie. “perché?”. “Perché non ci starebbe nessuno, nessuno lo vuole”. Il mercoledì i giornali popolari escono con titoli che non lasciano dubbi su quello che il popolo pensa della Regina e di quello che è stato fino allora il suo comportamento ufficiale: disapprovazione completa. Blair si preoccupa e chiama la regina. Superando l’iniziale diffidenza passa ai consigli: bandiera a mezz’asta su Buckingham Palace e immediato ritorno a Londra. Ma i consigli non sembrano ottenere successo. A quel punto interviene Robin Janvrin, l’uomo più vicino a Elisabetta, colui che subito dopo suo figlio, il principe Carlo, si prende a cuore le risposte da dare alla gente che aspetta. La Regina continua a prendere tempo uscendo al volante del sua Range Rover nella campagna che circonda il castello e guardandosi intorno in cerca di un cervo imperiale che è stato da poco avvistato. Giovedì i giornali alzano il tono. Tony Blair chiama la Regina e le comunica l’ondata di rimprovero che si è alzata dal paese. “Settanta su cento sono ormai contrari alla Monarchia”. Non è più tempo di aspettare, dopo un breve consulto con sua madre, che continua a disapprovare ogni cedimento, Elisabetta parte per Londra e prima di entrare a Buckingham Palace sosta davanti alla cancellata dove si sono ammassati migliaia di mazzi di fiori. I giornali registrano immediatamente il suo ritorno a Londra e Tony Blair tira un sospiro di sollievo, confortato anche dall’aver saputo del discorso annunciato di Elisabetta in tv. In diretta, su tutti i canali l’omaggio della Regina alla Principessa Diana ha una premessa: “Quello che vi dico da Regina e da nonna ve lo dico con il cuore” e poi “condivido la risolutezza con cui avete deciso di onorare il ricordo di Diana e spero che domani noi tutti potremo unirci nel dividere il nostro dolore per la sua perdita e tanta gratitudine per la sua vita troppo breve”. Per qualche ora il silenzio a cui seguono le ore della cronaca fino alla messa e al discorso in chiesa del fratello. Due mesi dopo, Tony Blair incontra la Regina e si tratta ormai di un colloquio su altri argomenti. Il Primo Ministro non rinuncia però a complimentarsi ancora una volta per l’esempio che ha saputo dare in quella tragica settimana di fine agosto. Ma nella testa di Elisabetta c’è ormai il dubbio che l’amore che un tempo la univa al suo popolo si sia incrinato. (LUISA ALBERINI) LA CRITICA La tentazione era troppo forte. Raccontare cosa accadde nella Corte inglese all’indomani dell’incidente automobilistico che uccise Lady Diana, ancora più pericolosa da morta che da viva. Mostrare insomma i retroscena, veri e presunti, di una settimana di passione capace di scuotere le fondamenta della monarchia britannica. A raccogliere la sfida è Stephen Frears, già autore di The Deal, film tv sull’ascesa di Tony Blair. In The Queen tutto comincia proprio con il trionfo elettorale laburista il 2 maggio 1997 e con l’investitura del primo ministro, dopo quasi vent’anni di governo Tory. «Chiamatemi Tony», dice il neoeletto premier in vena di modernizzazione, ma al cospetto della regina il polveroso protocollo è obbligaTHE QUEEN 217 torio. Fin qui si ride, e tanto. Poi arriva la peggiore delle notizie. Diana, la “principessa del popolo”, come la definirà Blair, è morta. Elisabetta II, incapace di comprendere la portata e la “volgarità” di quel lutto collettivo e mediatico, si ritira nella magione scozzese di Balmoral con marito, figlio e nipoti. Niente lacrime in famiglia per la regina, se non quelle versate per un magnifico cervo braccato e ucciso. A salvare la Corona sarà proprio l’astuto primo ministro, veloce nel fiutare l’umore del popolo indignato per il silenzio dei reali e leale verso la sua regina. Edipo ci cova. Sceneggiato come un perfetto congegno a orologeria da Peter Morgan che ha potuto contare su parecchie “gole profonde”, il film scava nelle motivazioni dei personaggi fotografando persino l’umanità che si nasconde sotto i foulard dell’algida Elisabetta II ed Helen Mirren, sovrana dell’ultima Mostra di Venezia, ci regala una performance da standing ovation. (ALESSANDRA DE LUCA, Ciak, ottobre 2006) Dio salvi Stephen Frears. Solo un inglese come lui, rotto a tutti i generi (cinema e tv, in patria e a Hollywood, ad alto e a basso costo) poteva riuscire un’operazione spregiudicata come quella di The Queen. Che nei trailer sembra un docudrama pettegolo sui reali inglesi, mentre in realtà, come ogni film sofisticato e popolare insieme, è molto di più. È un film in costume girato al presente (paradosso solo apparente). È un saggio corrosivo sui meccanismi della politica-spettacolo, colti dalla prospettiva rivelatrice della casa regnante inglese durante la settimana di fuoco che seguì la scomparsa di Lady Diana, imbarazzante in vita ma ancora più pericolosa da morta. È un accurato ritratto “dall’interno”, affettuoso e sfacciato al contempo, di un’istituzione cui in Gran Bretagna nessuno sembra voler rinunciare. Ed è la ricostruzione in larga parte congetturale, ma documentata e convincente, dell’insidiosa crisi politica innescata dalla morte di Lady D. Perché, come tutti ricordano, la fine precoce e crudele di un personaggio così popolare scatenò uno sconcertante lutto di massa, cinicamente alimentato dai media (che avevano molto da farsi perdonare). Mentre la regina, che certo non vedeva di buon occhio l’ex-nuora, ci mise un pezzo a capire che doveva venire incontro ai sudditi, piegarsi a quella "barbarie" 218 THE QUEEN (mediatica o meno che fosse) e abbandonare lo splendido isolamento di Balmoral, il castello scozzese dove si era ritirata con i famigliari per difendersi dai media. Anzi, fu salvata dal neoprimo ministro Tony Blair che in quell’occasione giocò con molta abilità e qualche voltafaccia la sua prima importante partita politica, convincendo pian piano la regina a esternare il suo dolore e ricucire il rapporto con quel popolo che si vantava di conoscere e amare più di chiunque altro. Detta così la faccenda può sembrare fredda, astratta. Ma alternando dramma e commedia, finzione e materiali d’archivio (tutto ciò che riguarda Lady D), Frears, lo sceneggiatore Peter Morgan e il magnifico cast rendono tutto vivo, quotidiano, intimo anzi domestico, e sempre molto credibile; che ci si trovi nei palazzi della famiglia reale o che invece si faccia capolino a casa Blair. Il risultato, ironicamente, rischia di cambiare per sempre l’immagine contemporanea del potere: una regina in vestaglia e un principe consorte in pantofole (viventi, ripetiamolo), non si erano ancora mai visti. Che poi la radiosa e perfetta Helen Mirren sia molto più bella, più delicata, più “nobile” dell’originale, fa parte di quella cosmesi discreta che probabilmente ha reso possibile questo film. Da vedere assolutamente sottotitolato per non perdere il gioco di accenti che dà ai dialoghi un colore e una profondità semplicemente impossibili nel doppiaggio. (FABIO FERZETTI, Il Messaggero, 29 settembre 2006) Gli avvocati che, secondo voci poi smentite, la Casa Reale di Londra minacciava di spedire a visionare The Queen, se erano davvero al Lido, erano ben mimetizzati. A Venezia gli unici inglesi riconoscibili sono gli inviati dei tabloid, molto incuriositi da un film che in Gran Bretagna sarà ovviamente un caso politico. The Queen racconta la drammatica settimana successiva alla morte di Lady Diana, e lo scontro istituzionale tra Buckingham Palace e Downing Street. II tutto mettendo in scena i personaggi reali in un ardito gioco di «sosia», di attori che si sforzano di assomigliare agli originali. Un’operazione rischiosissima: il pericolo della parodia, o delle caratterizzazioni alla Noschese, era altissimo. Beh, non ci crederete: il film è bello, anzi, più che bello. È un capolavoro di equilibrismo politico, di ironia e di analisi antropologica su un’istituzione, la monarchia britannica, che noi co- nosciamo solo nei suoi aspetti rituali e/o scandalistici, ma per la quale il popolo d’Inghilterra, di Scozia e di Galles prova rispetto ed affetto. Peter Morgan ha scritto un copione serrato e divertente, Stephen Frears l’ha diretto con mano abilissima, una mirabile squadra di attori l’ha ottima mente interpretato. E se è giustissimo elogiare Michael Sheen (Blair), James Cromwell (il principe Filippo, marito di Elisabetta), Sylvia Syms (la leggendaria Regina Madre), Alex Jennings (il principe Carlo), Helen McCroiy (Cherie Blair) e Roger Allam (il capo del cerimoniale, Sir Robin Janvrin), è ancora più giusto affermare che The Queen non esisterebbe senza il talento e, sì, la bellezza di un’attrice come Helen Mirren che ritrae la regina rispettandone ogni tic, ogni solennità, ogni asprezza, ma facendo anche trasparire l’umanità nascosta dietro la corazza istituzionale. Ieri, alla conferenza stampa, Helen Mirren ha avuto una «standing ovation» di svariati minuti. Non accade spesso. Siamo a livello non tanto di Coppa Volpi, quanto di Oscar, forse di Nobel. Helen Mirren era una splendida attrice già negli anni ’60, ha avuto candidature all’Oscar, premi a Cannes, premi Tony, premi Emmy. È anche una Dame, il corrispondente femminile del titolo di Sir. Conosce bene la regina: «E, certo, ero un po’ spaventata nell’interpretarla. Ho lavorato come la ritrattista che sognavo di essere da ragazza: ho studiato il soggetto dall’esterno poi sono andata in profondità». Rispetto alla laconicità di Frears e dei produttori, è anche l’unica a dire la sua su possibili ritorsioni regali: «C’è libertà di parola in Inghilterra, no? I Windsor sono sempre stati liberali, e si sono ribellati solo quando su di loro sono state scritte bugie, o insulti. Cosa che noi non facciamo. Il nostro film è uno sguardo umano su una famiglia speciale». Vero, ma è anche molto di più. The Queen è una lucida analisi sul potere. Raccontando i 7 giorni tra la morte di Diana a Parigi e i suoi funerali a Londra, il film mostra come due istituzioni – la monarchia e il governo – vengano totalmente spiazzate dall’impatto emotivo e mediatico provocato dalla tragedia. II «modernizzatore» Blair capisce che l’onda va cavalcata, mentre la regina rimane inizialmente a Balmoral, nella residenza estiva in Scozia, perché i funerali «sono un affare privato della famiglia Spencer». Dopo lunghe (e a tratti esilaranti) schermaglie, i reali scendono a Londra ed Elisabet- ta comprende, di fronte alla folla e ai mazzi di fiori che assediano Buckingham Palace, che nel mondo è successo qualcosa a cui non è preparata. Ma sarà la sua umanità a vincere, rispetto alle astuzie politiche di Blair: il senso finale del film sembra essere che i primi ministri passano e la monarchia resta, ma anche che dopo Lady D nulla sarà più come prima e che tutto un apparato di potere ha dovuto rivedere le proprie strategie. The Queen è il grande film sull’Inghilterra postmoderna. La regina dovrebbe esserne orgogliosa. (ALBERTO CRESPI, L’Unità, 3 settembre 2006) L’ottantenne Regina Elisabetta, pur dalla sua aristocratica lontananza, potrebbe sentirsi lusingata, il principe Carlo, sbiadito ormai dalle cronache in quanto felicemente accasato, potrebbe raccattare un po’ di nostalgica simpatia, il sempre meno amato primo ministro Tony Blair potrebbe ricevere un giovamento elettorale nel ricordo di quanto neppure dieci anni fa fosse giovane e vincente e amato: forse solo il principe Filippo, lui così elegante e snob, si scoccerà nel vedersi impersonato dall’allampanato attore che fu il rustico allevatore di Babe il maialino. Per ora, nel terreno neutro, internazionale e repubblicano della Mostra del cinema e alla sua prima mondiale, The Queen, il film di Stephen Frears, nella sua perfetta concisione, nel fascino di una rievocazione e di una verosomiglianza ammirevoli, è piaciuto moltissimo e ha suscitato interminabili ovazioni. Ritorna con documenti d’epoca a quella prima settimana del settembre 1997 in cui il mondo si fermò per piangere l’inaccettabile morte di Diana, la bellissima principessa mediatica, quei sette giorni di lutto oceanico, dal tragico incidente parigino al suo solenne funerale; racconta con una sceneggiatura avvincente di un primo ministro giovane e bello eletto con una valanga di voti, il primo laburista dopo 18 anni di governi conservatori, che, costretto dalla moglie a lavare i piatti e a discutere di politica in cucina, capì subito che anche il popolo inglese aveva ceduto all’esibizionismo dei sentimenti e bisognava dargli corda. Ed esplora soprattutto l’inferno di una famiglia, quella reale, oppressa da 400 anni di formalismi, di protocolli, di doveri dinastici, che cercò dapprima di difendersi da quel cordoglio alieno, da quello strazio impudico, rinchiudendosi nel castello di Balmoral in Scozia. Poi Blair appoggiato da Carlo THE QUEEN 219 e dai più svelti tra i dignitari di corte, riuscirono a convincere la regina a vincere la polverosa etichetta, l’orgoglio verso il suo ruolo, i suoi stessi rancori verso Diana, per ascoltare l’autentico dolore dei suoi sudditi: sull’asta vuota in cima a Buckingham Palace fu issato a mezz’asta lo stendardo dei Windsor, la regina in lutto e perle tornò con tutta la famiglia, accostandosi dopo decenni al suo popolo, fu organizzato il più solenne dei funerali di Stato, usando il protocollo già organizzato per l’eventuale decesso della regina madre, per la cosa seccatissima. Blair, piangendo in pubblico la scomparsa della “Principessa del popolo” raggiunge il massimo della sua popolarità, la Regina, in tre minuti in televisione (“Vi parlo come regina e come nonna, e col cuore”) salvò la monarchia. Un’attrice meravigliosa, Helen Mirren (ha appena vinto un Emmy per la sua interpretazione televisiva di Elisabetta I) è una Elisabetta II magnifica per dignità, lieve arroganza, intuito, autorità, sperdimento davanti all’infrangersi di ogni tradizione e sicurezza. La somiglianza, impressionante, non è data tanto dalla grigia e dura pettinatura, dai grandi occhiali, da quel camminare sgraziato, dalle mani appoggiate al grembo che paiono immobili e invece continuano a tormentare gli anelli: è la voce senza emozioni, è il labbro superiore che appena si alza, è lo sguardo fermo, distante. Il geniale sceneggiatore Peter Morgan assicura di aver intervistato decine di persone per mettere insieme dialoghi ed eventi possibili sia in Downing Street che nelle residenze dei Windsor. La Regina in vestaglia rosa e boule dell’acqua calda la notte in cui viene svegliata con la notizia dell’incidente, il tè con la cinica vecchia regina madre che sconsiglia ogni cedimento, i goffi inchini di Cherie Blair, l’infelice sottomissione alla madre del principe Carlo, Blair (Michael Sheen), che, laburista, ama la Regina perché ha l’età di sua madre, la Regina in impermeabile e foulard intorno al viso che guida la jeep nelle sue riserve di caccia e per un guasto deve fermarsi: sola nell’immensità brulla del paesaggio scozzese, le appare il cervo imperiale che i cacciatori stanno braccando, resta incantata dalla sua maestosa grazia, lo sprona a fuggire. Inutilmente, il giorno dopo andrà a vederne il corpo appeso e decapitato, la sua immensa corona di corna deposta. Se, come dice il film, non sentendosi più in sintonia col suo popolo, Elisabetta pensò di 220 THE QUEEN abdicare, non lo sappiamo. Comunque sono passati quasi dieci anni, la regina è più regina che mai e l’erede al trono, a 58 anni, aspetta ancora. (NATALIA ASPESI, La Repubblica, 3 settembre 2006) I COMMENTI DEL PUBBLIOCO DA PREMIO David Rogers - Avendo vissuto quella settimana a Londra, trovo una ripresa accuratissima e alcune spiegazioni abbastanza credibili per le perplessità di quei giorni. Però rimane la tristezza di due cose aspettate, ma mai capitate: Diana come Regina e Tony Blair come Primo Ministro di gran successo. OTTIMO Ennio Sangalli - Gran bel film. Ben Fatto, ben recitato e avvincente anche se la storia raccontata era già conosciuta negli aspetti “esterni”. Michele Zaurino - The Queen è un film intelligente, forse troppo intelligente per poterne cogliere tutte le implicazioni e sottolineature. Ci sono diversi piani di lettura indipendenti dalla vicenda vera e propria che consiste nella cronistoria dei sette giorni successivi alla tragica morte della Principessa Diana Spencer. Con un serrato alternarsi di scene girate con fotografia iperreale e le immagini di repertorio di Diana caratterizzate dalla tecnologia digitale del mezzo televisivo, assistiamo ad un’analisi lucida anche se talvolta ironica dei ruoli istituzionali e dei reali rapporti di forza nel sistema di governo britannico. Tutto questo viene sconvolto dall’avvento di una nuova forma di potere mediatico innescato dalla tragedia e che ha in Diana, con tutto il suo glamour, l’icona ideale. Anche la scelta di attori somiglianti ma non troppo ai veri protagonisti è talvolta spiazzante e ci obbliga a riflettere sulle contrapposizioni vero-falso, reale-virtuale, giustoingiusto. Helen Mirren, nella parte di Elisabetta II è straordinaria riuscendo nell’impresa di rendere simpatica e umana la Regina nonostante la durezza di carattere e la rigidità di un protocollo imposto da centinaia di anni di tradizione. Anche se in misura minore rispetto al precedente “Le relazioni pericolose”, questo film conferma il talento registico di Stephen Frears. BUONO Alessandra Casnaghi - Un film equilibrato e non fazioso, con un perfetto humor inglese e parecchio sarcasmo. Non un capolavoro, ma una pellicola comunque gradevolissima e ben costruita. Paola Niola - Il film mi è piaciuto perché pur affrontando un tema inflazionato dai media, ha saputo resistere al taglio della telenovela, proponendo invece la pratica della ritualità “liturgica” come segno d’appartenenza ad una autentica civiltà e ai suoi valori. Ottima la sceneggiatura, un po’ ingessata la recitazione. DISCRETO Silvano Bandera - Ma, in fin dei conti, il regista cosa ci fa conoscere che già non sapevamo? Mi sembra un film osannato oltre misura a tutti i livelli. Caterina Parmigiani - Film confezionato in modo splendido: ottimi gli attori, sceneggiatura accattivante, fotografia accurata, montaggio efficace; tuttavia talora annoia perché non aggiunge nulla a quanto già si sapeva o si immaginava dalle cronache. Ugo Pedaci - Mi riesce difficile dare un senso a questo film. Ci viene riproposto il particolare momento venutosi a creare nel mondo, ed in particolare nella monarchia inglese, dopo la morte della ex principessa Diana. Il regista contrappone le due ragioni: da una parte, con immagini tutte rigorosamente vere (solo documentari) la isteria collettiva che aveva caratte- rizzato l’opinione pubblica del mondo occidentale e dall’altra, con immagini rigorosamente false (attori e fiction) la posizione, invero molto tirata per i capelli, della famiglia reale britannica e dei suoi diretti collaboratori. Alcuni particolari sono addirittura da burletta: la regina che corre a vedere il cervo ammazzato da un “ospite pagante”; quasi tutti gli atteggiamenti di Filippo che lo rendono più simile ad un cretino che ad un principe-consorte. Ne ho riportato l’impressione che l’argomento, tutto sommato, sia stato trattato con leggerezza e tanto per “fare spettacolo”. Si può pensare di sollecitare un giudizio sulla monarchia inglese con queste argomentazioni? Non credo e non basta la “sparata” del sedicente Blair al collaboratore. Infine, era in grado il regista di conoscere il pensiero reale di quel momento? MEDIOCRE Luisa Alberini - Il primo impatto è con la presunta verosimiglianza di chi è chiamato a interpretare personaggi che non corrono certo il rischio di essere sconosciuti: regina, marito, figlio e madre, e più che mai primo ministro. E il confronto è impietoso. Si può allora prendere in considerazione il fatto che non si tratta di cronaca, che l’evento è troppo recente per poter ancora essere raccontato. E che la presenza “in casa”, in vestaglia, in cucina, in uno spazio riservato, spiega fin troppo bene che l’oggetto di attenzione è il loro comportamento privato, non solo da immaginare, ma da riscrivere. Tenendo però saldi quei dati su cui è stato possibile mettere le mani e che vanno presi per autentici. In altre parole: tutto quello che avreste voluto sapere sui fatti di quella terribile settimana e che nessuno vi ha ancora raccontato. Ma è possibile, a chi guarda, fare continuamente questa conversione, distinguere tra finzione e realtà, quando i due piani sono così lontani da escludere ogni possibilità di equivoco? O il rischio è quello di una più facile e diversa lettura: il fogliettone su un fatto che ha coinvolto televisioni e giornali, il più raccontato della cronaca mondana degli ultimi anni. E se questa fosse più di una ipotesi anche la pur celebrata interpretazione dell’attrice protagonista rischierebbe di passare in secondo luogo. THE QUEEN 221