Le mani della CIA in Yemen

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Le mani della CIA in Yemen
Le mani della CIA in Yemen
Sabato 01 Ottobre 2011 01:07
di Michele Paris
Il Ministero della Difesa yemenita venerdì mattina ha annunciato l’uccisione sul proprio territorio
del predicatore estremista islamico Anwar al-Awlaki. Nato negli Stati Uniti, Awlaki era da tempo
sulla lista nera di Washington con l’accusa di essere uno dei leader di Al-Qaeda in Yemen e di
essere coinvolto in numerosi attentati terroristici in Occidente. Nato nel 1971 in Nuovo Messico,
dove il padre stava completando un master universitario, Awlaki era finito nel mirino della
sicurezza statunitense in seguito alle sue accese prediche on-line inneggianti alla jihad. Grazie
al suo inglese fluente e alla cittadinanza americana, sembrava essere diventato uno strumento
importante per la propaganda di Al-Qaeda, contribuendo a diffondere l’ideologia integralista,
incitando attacchi terroristici e reclutando nuovi affiliati nei paesi occidentali.
La sua morte è stata subito confermata dalla Casa Bianca, anche se inizialmente le circostanze
dell’operazione non apparivano del tutto chiare. Il network saudita Al Arabiya, citando fonti
tribali, aveva per primo affermato che un gruppo di veicoli - su uno dei quali stava viaggiando
Awlaki - era stato colpito da due missili sparati da un drone statunitense in una provincia dello
Yemen settentrionale. Successivamente è arrivata anche la conferma di Washington che Awlaki
è finito vittima del fuoco americano.
Oltre al bersaglio principale, nell’attacco sarebbero state uccise alcune guardie del corpo e,
soprattutto, un secondo cittadino americano, il 25enne nativo dell’Arabia Saudita Samir Khan,
direttore del magazine on-line di Al-Qaeda in lingua inglese, Inspire. Ad annunciarlo è stato un
comunicato dell’agenzia di stampa ufficiale yemenita,
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SABA
, confermato da un funzionario del governo americano alla
Associated Press
.
La CIA conduce da tempo operazioni teoricamente segrete con i droni in territorio yemenita.
Obiettivo frequente di queste incursioni era proprio il predicatore di origine americana, il quale
già in due precedenti occasioni era stato dato per morto: nel dicembre del 2009 e nel novembre
dell’anno successivo. Lo scorso 5 maggio, infine, ad una manciata di giorni dall’assassinio di
Osama bin Laden in Pakistan, Awlaki era sfuggito all’ennesimo blitz americano che uccise
invece altri due presunti affiliati ad Al-Qaeda.
Anche in questa occasione, poche ore dopo l’annuncio del governo yemenita, si sono diffuse
alcune voci che hanno smentito l’uccisione di Awlaki. In particolare, l’agenzia di stampa cinese
Xinhua ha citato un’intervista telefonica del fratello, il quale avrebbe affermato che Awlaki non
faceva parte del convoglio colpito venerdì. La smentita, in ogni caso, appare questa volta come
una semplice operazione di propaganda.
Le autorità americane avevano messo in relazione Anwar al-Awlaki con svariate trame
terroristiche nel recente passato. La responsabilità di quest’ultimo sarebbe stata più che altro di
essere una fonte di ispirazione per gli attentatori, i quali avevano spesso soggiornato in Yemen
per essere presumibilmente addestrati e indottrinati dagli uomini di Al-Qaeda.
Tra gli episodi collegati ad Awlaki c’è la sparatoria del novembre 2009 presso la base militare di
Fort Hood, in Texas. In quell’occasione, il maggiore Nidal Malik Hasan, psichiatra dell’esercito
americano, uccise 13 persone e, secondo le indagini, avrebbe scambiato e-mail con Awlaki
poco prima della strage.
Awlaki avrebbe poi fornito un qualche appoggio sia al giovane nigeriano Umar Farouk
Abdulmutallab, che il giorno di Natale del 2009 tentò di far esplodere in volo un aereo della
Northwestern Airlines partito da Amsterdam e diretto a Detroit, sia a Faisal Shahzad,
protagonista di un fallito attentato con un’autobomba a Times Square nel maggio 2010.
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