Definizione e strategie terapeutiche della depressione resistente al

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Definizione e strategie terapeutiche della depressione resistente al
Rassegna
Definizione e strategie terapeutiche della depressione resistente
al trattamento: una revisione della letteratura
Definition and therapeutic strategies of treatment resistant depression:
a review
GIUSEPPE MAINA, FRANCESCA PORTALEONE, CHIARA PICCO, FILIPPO BOGETTO
Servizio per i Disturbi Depressivi e d’Ansia, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino
RIASSUNTO. Una significativa percentuale di pazienti affetti da depressione maggiore non risponde ad un trattamento adeguato con antidepressivi (depressione resistente al trattamento). Il presente lavoro si propone di analizzare questo fenomeno
attraverso una revisione completa della letteratura. Negli ultimi anni, molti Autori si sono occupati di fornire una definizione uniformemente accettata di depressione resistente al trattamento, di identificare fattori predittivi di scarsa risposta agli antidepressivi, diversi livelli di resistenza alla terapia ed infine di individuare strategie terapeutiche per affrontare tale condizione. Sono state proposte strategie di ottimizzazione, sostituzione, combinazione e potenziamento del trattamento in corso,
ed anche opzioni di trattamento non farmacologiche (terapia elettroconvulsivante, stimolazione del nervo vago). Saranno necessari ulteriori studi per valutare l’efficacia e la sicurezza di questi differenti approcci terapeutici alla depressione resistente al trattamento.
PAROLE CHIAVE: depressione resistente al trattamento, antidepressivi, ottimizzazione, sostituzione, combinazione, potenziamento.
SUMMARY. A significant rate of depressed patients is non responsive to an adequate trial with antidepressants (treatment resistant depression). The aim of this issue is to analyse this condition by a complete review of literature. Many Authors have been focused on treatment resistant depression in order to provide an homogeneous and well recognized definition, identify predictors of poor response to antidepressants, set different stages of treatment resistance and to characterize therapeutic strategies. They have been suggested many pharmacological strategies as optimization, switching,
combination and augmentation, and non pharmacological approaches as electroconvulsive therapy and vagus nerve stimulation. Further studies are needed to evaluate the efficacy and the safety of these different approaches to treatment resistant depression.
KEY WORDS: treatment resistant depression, antidepressants, optimization, switching, combination, augmentation.
INTRODUZIONE
Il termine di “depressione resistente al trattamento”(DRT) indica tutti i casi in cui i pazienti non rispondono in modo adeguato ai trattamenti antidepressivi. Tale condizione, sebbene priva di una definizione
soddisfacente e uniformemente accettata, ha ricevuto
negli ultimi anni un’attenzione crescente da parte di
clinici e ricercatori, così da diventare uno dei temi più
interessanti della psichiatria contemporanea.
I dati della letteratura riportano che il 30-50% circa
dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore non
risponde in maniera soddisfacente al primo trial con
antidepressivi (1-4). Studi di follow-up rivelano come
dal 10% al 25% dei pazienti risulti ancora sintomatico
a due anni dall’esordio del disturbo (5,6). Infine, anche
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dopo molteplici interventi terapeutici, fino al 10% dei
pazienti presenta sintomi depressivi residui (7).
DEFINIZIONI
Al fine di affrontare in modo organico la questione
nosografica della DRT, si rende necessario fornire alcune definizioni, ricavate dalla letteratura (1,2,7-10).
Con il termine remissione si indica la condizione in
cui il paziente è libero da sintomi depressivi. Sulla base della scala di Hamilton per la depressione (HAMD) a 17 items, la remissione è definita da un punteggio
≤ 7 e da un punteggio alla Clinical Global Impressions
(CGI) ≤ 2. Il raggiungimento di uno stato virtualmente asintomatico deve essere mantenuto per due mesi
consecutivi. Con il termine di guarigione viene definita una condizione di remissione presente da almeno
sei mesi consecutivi.
Quando instauriamo una terapia antidepressiva
(AD), si possono verificare diverse condizioni: possiamo avere una risposta, una non-risposta o una risposta
parziale. Intendiamo con il termine di risposta al trattamento la condizione in cui si ottiene la riduzione di almeno il 50% del punteggio basale alla scala HAM-D.
Ci troviamo di fronte ad una non-risposta qualora la
sintomatologia persista al punto da richiedere un cambiamento nel piano di trattamento: tale condizione
corrisponde ad una riduzione < al 25% alla scala
HAM-D. Viene definita come risposta parziale una categoria che si situa tra la risposta e la non risposta e
rappresenta la condizione in cui il paziente ha presentato un miglioramento clinico dall’inizio del trattamento, ma continua ad essere sintomatico. Tale condizione corrisponde ad una diminuzione dei punteggi di
partenza alla scala HAM-D compresa tra il 50% e il
25%.
Secondo l’intensità, la durata ed il numero di trattamenti effettuati alcuni Autori hanno proposto i concetti di resistenza relativa ed assoluta (7,11,12). Per resistenza relativa si intende una situazione in cui non si
è verificata risposta ad un primo trattamento con un
antidepressivo di provata efficacia, a dosi e per tempi
adeguati (almeno 6 settimane) e regolarmente assunto
dal paziente (compliance). Il termine di resistenza assoluta viene utilizzato per i casi in cui non si verifica alcuna risposta al trattamento ed i sintomi risultano immutati o peggiorati (13,14). Questa condizione è stata
definita da altri Autori con il termine di depressione refrattaria al trattamento (10).
Per stabilire con chiarezza nella pratica clinica se la
mancata risposta ad un trattamento antidepressivo sia
conseguenza di una resistenza vera e propria oppure se
ci si trovi di fronte ad una pseudoresistenza occorre
correlare le definizioni di cui sopra al concetto di trattamento adeguato ed alla definizione di durata idonea
della cura (11).
Si definisce pseudoresistenza una condizione di apparente resistenza al trattamento, ma che nasconde
aspetti di inadeguatezza del trattamento che possono
dipendere dal terapeuta e/o dal paziente stesso
(11,15).
Si possono verificare errori terapeutici che inevitabilmente condizionano l’efficacia della cura: è il caso,
ad esempio, di pazienti che vengono trattati con dosi
sub-terapeutiche di antidepressivi (più frequentemente
di triciclici, a causa della loro maggiore tossicità se utilizzati alle dosi terapeutiche). Molti pazienti vengono
trattati per periodi di tempo non adeguati, inferiori anche alle 4-6 settimane, in cui non è possibile valutare in
modo corretto e completo l’azione terapeutica di un
antidepressivo (1,16). Un’altra causa di pseudoresistenza è il mancato riconoscimento, da parte del medico, del sottotipo di disturbo depressivo presentato dal
paziente (11,15).
Occorre, infine, menzionare elementi di pseudoresistenza relativi al paziente, quali: variabili farmacocinetiche individuali (rapido metabolismo, malassorbimento), scarsa aderenza al trattamento (a causa di effetti
collaterali mal tollerati), errata assunzione della terapia prescritta (basso livello socio-culturale; ritardo
mentale) e l’eventuale presenza di malattie organiche
taciute allo specialista (15,17-23).
FATTORI DI RESISTENZA ALLA TERAPIA
ANTIDEPRESSIVA
Diversi Autori si sono occupati di individuare ed
analizzare eventuali fattori predittivi di mancata risposta al trattamento (1,10,15,24).
Pur tenendo presenti le difficoltà di interpretazione
di dati derivanti dalle diverse terapie impiegate e dai
criteri, spesso difformi, di selezione delle casistiche,
emergono con una certa costanza alcuni elementi predittivi di resistenza agli antidepressivi (Tabella 1). Tra i
fattori socio-demografici il sesso femminile si è dimostrato predittore negativo di risposta al trattamento
(15), mentre analizzando i fattori clinici si può notare
come influiscano sfavorevolmente sulla risposta alla
terapia l’età di insorgenza precoce (adolescenziale o
giovanile) o in tarda età, la familiarità per disturbi dell’umore, la gravità della sintomatologia (rappresentata
da punteggi elevati alle scale di valutazione specifiche
per la depressione- HAMD), ed infine la cronicità del
disturbo (durata superiore a due anni) (25-29).
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stimia e la depressione doppia (distimia con sovrapposizione di episodi depressivi maggiori) (25).
Un altro fattore responsabile della resistenza al trattamento è la presenza di altri disturbi di asse I in comorbidità: ansia generalizzata, disturbo di panico con
o senza agorafobia, fobie (47-49), disturbo ossessivocompulsivo (50,51), abuso di sostanze (52-56), disturbi
alimentari (57), disturbo da dismorfismo corporeo (26)
e disturbi da discontrollo degli impulsi (58). La condizione di comorbidità con disturbi di personalità influenza altresì negativamente il decorso della depressione, diminuendo la risposta al trattamento
(17,26,28,59-61).
Diversi Autori, infine, riportano come patologie organiche quali diabete, ipotiroidismo (62,63) ed altri disturbi endocrini e metabolici (25), collagenopatie, neoplasie, infezioni, patologie neurologiche, compromettano l’efficacia del trattamento (15,27,64,65).
Tabella 1. Fattori di resistenza agli antidepressivi.
Fattori socio-demografici: sesso (femminile)
Fattori clinici:
¢ età d’esordio del disturbo depressivo: < 30 anni e > 65 anni
¢ storia familiare di disturbi dell’umore
¢ gravità della sintomatologia depressiva;
¢ cronicità dell’episodio depressivo (durata > 2 anni)
¢ sottotipi sintomatologici:
- depressione bipolare (> tipo 2)
- depressione agitata
- depressione psicotica
- depressione atipica
- disturbi affettivi stagionali
- disturbo disforico premestruale
- distimia
- depressione doppia
¢
comorbidità psichiatria (abuso di sostanze, alcolismo, distimia, disturbi di personalità, DOC, panico, GAD, disturbi alimentari);
¢ comorbidità medica:
- endocrinopatie (ipotiroidismo. morbo di
- Addison)
- malattie neurodegenerative (Parkinson,
- demenza, sclerosi multipla...)
- infezioni (AIDS)
- collagenopatie (lupus sistemico)
- neoplasie
- traumi cranici
- nelle donne, condizioni associate alla fun- zione riproduttiva (sindrome premestrua- le, ecc.)
LIVELLI DI RESISTENZA AL TRATTAMENTO
ANTIDEPRESSIVO
Per quanto riguarda i sottotipi sintomatologici, si
osserva che la depressione bipolare (prevalentemente
di tipo II) non correttamente diagnosticata, presenta
un’incidenza elevata di resistenza alla terapia farmacologica (30-39) così come avviene per la depressione
con agitazione psicomotoria, da alcuni considerata uno
stato misto, che non risponde in modo adeguato agli
antidepressivi, mentre può risentire favorevolmente
del trattamento con stabilizzatori dell’umore, neurolettici tipici e atipici e terapia elettroconvulsivante. La
depressione psicotica non risponde adeguatamente ai
farmaci antidepressivi beneficiando, secondo diversi
autori, dell’aggiunta di farmaci antipsicotici e di cicli di
terapia elettroconvulsivante (40-43).
Vanno poi considerati come predittori di risposta
sfavorevole agli antidepressivi anche alcuni quadri depressivi atipici caratterizzati da: reattività dell’umore,
ipersonnia, iperfagia, alternanza diurna inversa, ipersensibilità al rifiuto interpersonale (21,23,44).
Anche i disturbi affettivi stagionali tendono a rispondere in modo incompleto agli antidepressivi (45)
così come il disturbo disforico premestruale (46), la di-
In letteratura sono stati proposti due principali sistemi di stadiazione della depressione resistente al
trattamento allo scopo di definire in modo più preciso
i livelli di resistenza alla terapia antidepressiva
(10,13,14).
Il sistema di stadiazione proposto da Thase & Rush
(13) suggerisce di considerare sei differenti stadi (da
stadio 0 a stadio V) in relazione alla risposta a differenti trial di trattamento, comprendenti l’utilizzo di diverse classi di antidepressivi di prima e seconda scelta, e di cicli di terapia elettroconvulsivante (ECT)
(Tabella 2). Lo stadio zero corrisponde al concetto di
pseudoresistenza: i pazienti sono considerati non responsivi, ma le dosi ed i tempi del trattamento non sono adeguati. Il primo stadio, che corrisponde al concetto di resistenza relativa, include soggetti che non
hanno risposto ad un primo trial di trattamento con antidepressivi della durata di almeno 6-8 settimane. Il secondo stadio configura la condizione di resistenza al
trattamento ed include i soggetti con resistenza a due
trial adeguati con antidepressivi di classi diverse. Il terzo stadio comprende i soggetti che presentano una resistenza a diversi trial con antidepressivi, compreso un
trial con un antidepressivo triciclico. Il quarto stadio
configura una condizione di resistenza al trattamento
in cui non si è ottenuta risposta a tre diversi trial, due
in monoterapia con antidepressivi di classi differenti
(tra cui un IMAO) ed il terzo che preveda una combinazione di due antidepressivi o un potenziamento di
un antidepressivo con un altro farmaco (depressione
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Tabella 2. Stadiazione della depressione resistente proposta da Thase & Rush (1997).
Stadio 0
(Pseudoresistenza)
Stadio I
Stadio II
Stadio III
Stadio IV
Stadio V
Non risposta ad un primo trial con AD di provata efficacia inadeguato per dosi e tempi
Non risposta ad un trial con AD a dosi e con modalità adeguate
Non risposta a due trials con AD di classe diversa
Non risposta a due o più trials di cui almeno uno con TCA
Non risposta a due o più trials di cui almeno uno con IMAO
Non risposta a due o più trials di cui almeno uno associato ad un ciclo di ECT bilaterale
AD= antidepressivi
refrattaria al trattamento). Al quinto livello di resistenza al trattamento antidepressivo corrisponde il concetto di resistenza assoluta: i pazienti non hanno risposto
a tre diversi trial con antidepressivi e ad un ciclo di
ECT bilaterale.
Un altro sistema di stadiazione elaborato da Souery
et al.(10) identifica tre gradi di resistenza al trattamento
nel disturbo depressivo maggiore; in questo caso sono
stati presi in considerazione il tipo di risposta ai differenti trial e la durata delle diverse fasi di trattamento
(Tabella 3). Il primo stadio identifica i casi in cui pazienti con diagnosi di depressione maggiore non hanno risposto ad un trattamento con farmaci antidepressivi di provata efficacia somministrati a dosi adeguate,
con compliance accertata, della durata di almeno 6-8
settimane, quali: triciclici (TCA), inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), inibitori delle
monoamino ossidasi (IMAO), inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI).
Tra i trattamenti antidepressivi sono compresi in questo stadio un ciclo di ECT bilaterale ed altri interventi
non farmacologici (es. stimolazione del nervo vago). Il
secondo stadio rappresenta la condizione di depressione resistente al trattamento (DRT) ed include i soggetti
con resistenza a due o più trial adeguati con antidepressivi di classi diverse, definendo cinque diversi livelli di resistenza a seconda della durata dei trial:
DRT1: 12-16 settimane; DRT2: 18-24 settimane;
DRT3: 24-32 settimane; DRT4: 30-40 settimane;
DRT5: 36 settimane- 1 anno. Il terzo stadio, definito
come stadio di depressione cronica resistente, comprende i soggetti che presentano una resistenza a diversi
trial con antidepressivi, comprese le strategie di potenziamento, per trial della durata di almeno 12 mesi.
TRATTAMENTO
Le opzioni di trattamento della depressione resistente includono: l’ottimizzazione della terapia in atto,
la sostituzione con un altro farmaco antidepressivo, la
combinazione di due o più farmaci antidepressivi ed
infine la strategia di potenziamento con farmaci non
primariamente antidepressivi (10,66-70) (Figura 1).
OTTIMIZZAZIONE
Tabella 3. Stadi di resistenza al trattamento proposti da
Souery et al. (1999).
Non-responsivo
- Non risposta ad un trial adeguato con AD e ECT
- Durata del trial: 6-8 settimane
A) Depressione resistente al trattamento (DRT)
- Non risposta a due o più trials adeguati con AD
- Durata dei trial
DRT1: 12-16 settimane
DRT2: 18-24 settimane
DRT3: 24-32 settimane
DRT4: 30-40 settimane
DRT5: 36 settimane- 1 anno
B) Depressione cronica resistente
- Resistenza a diversi trials con AD, comprese le strategie di potenziamento
- Durata del trial: almeno 12 mesi
Quando non si ottiene una risposta completa al
trattamento antidepressivo è necessario innanzi tutto
ottimizzare il trattamento antidepressivo in corso: valutare il dosaggio e i tempi di latenza della risposta per
poter determinare l’efficacia o meno della cura attuale. Il primo fattore da valutare nei casi di farmaco-resistenza è l’adeguamento del dosaggio della terapia antidepressiva alla sintomatologia presentata dal paziente: una mancata o scarsa risposta al dosaggio minimo
efficace suggerisce l’opportunità di incrementare i dosaggi fino al dosaggio massimo consentito per il farmaco utilizzato (Tabella 4), sempre che non compaiano effetti indesiderati non tollerabili dal paziente. Le
linee-guida del Depression Guideline Panel (1993)
considerano l’ottimizzazione la strategia di prima scel-
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Scarsa risposta al trattamento antidepressivo attuale
Trattamento combinato con
AD
x
x
x
x
x
x
Ottimizzazione del trattamento
x
x
x
x
Sostituzione
x
x
x
x
x
x
x
IMAO + TCA
SSRI + TCA/HCA
SSRI + SSRI
RIMA + TCA
RIMA + SSRI
BUPROPIONE + SSRI/
SNRI
NRI + SSRI
NASSA + TCA
NASSA + SSRI
SNRI + TCA
Potenziamento
IMAO
TCA
VENLAFAXINA
BUPROPIONE
NEFAZODONE
MIRTAZAPINA
REBOXETINA
Trattamento combinato con
altri farmaci
x
x
x
x
LITIO
ORMONI TIROIDEI
PINDOLOLO
AGENTI
DOPAMINERGICI
x PSICOSTIMOLANTI
x ANTIPSICOTICI
ATIPICI
x ANTICONVULSIVANTI
Figura 1. Schema di trattamento della depressione resistente
ta in pazienti che hanno presentato buona tollerabilità
ed adesione a trattamento antidepressivo condotto
con dosaggi terapeutici iniziali medio-bassi e sconsigliano il prolungamento della terapia oltre le sei settimane in pazienti che non hanno mostrato alcun miglioramento nella prima parte del trattamento.
I tempi di latenza della risposta al farmaco possono
essere più prolungati in diverse categorie di pazienti
quali: pazienti che hanno avuto ripetuti episodi depressivi (22); pazienti con tratti patologici di personalità ed eventi di vita stressanti (61); pazienti anziani in
cui una risposta tardiva agli antidepressivi (7-8 settimane) può essere dovuta al tardivo raggiungimento
del livello plasmatico terapeutico (20).
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Tabella 4. Dosaggi terapeutici massimi degli antidepressivi.
Da SSRI a TCA
Triciclici
Citalopram
Fluoxetina
Fluvoxamina
Paroxetina
Sertralina
Venlafaxina
Reboxetina
Mirtazapina
Sebbene negli ultimi anni i farmaci triciclici (TCA)
siano stati spesso accantonati, esistono alcuni studi
che osservano come una sostituzione da SSRI a TCA
possa rivelarsi utile (69,75,76). Lo studio di Thase et
al. (75) è stato effettuato su un campione di 117 pazienti che non avevano risposto ad un trattamento
iniziale con sertralina: il 44% ha poi risposto ad una
terapia di sostituzione con imipramina. Anche se la
sostituzione con triciclici è risultata efficace, tali farmaci sono associati ad importanti effetti collaterali,
come problemi cardiaci e morte in caso di overdose.
Un rapido cambiamento da fluoxetina o paroxetina
può inoltre causare alti livelli plasmatici di TCA e il
rischio di tossicità.
200-300 mg/die
60 mg/ die
80 mg/die
300 mg/die
60 mg/die
200 mg/die
300 mg/die
10 mg/die
60 mg/die
SOSTITUZIONE
La strategia di sostituzione o switching consiste
nella sostituzione dell’antidepressivo iniziale con un
antidepressivo della stessa classe o con un farmaco
appartenente ad una classe diversa (1,66,71).
I vantaggi sono rappresentati essenzialmente dal
non esporre il paziente al rischio di interazioni farmacologiche e/o ad effetti indesiderati secondari all’associazione tra diversi antidepressivi; questa strategia, inoltre, permette una più facile identificazione
dell’antidepressivo realmente efficace e garantisce
quindi una migliore adesione al trattamento, soprattutto a lungo termine (fase di mantenimento).
Tra gli svantaggi annoveriamo i tempi di remissione
più prolungati sia per la latenza di azione del nuovo
farmaco, sia per il raggiungimento del suo dosaggio ottimale. Possono poi allungare ulteriormente questi
tempi eventuali periodi di wash-out necessari per quei
farmaci con emivita piuttosto lunga (es. fluoxetina) che
rischiano di sommare la propria azione a quella del
farmaco sostituito. Le strategie di sostituzione più utilizzate nella pratica clinica comprendono:
Da SSRI a SSRI
Alcuni studi che hanno esaminato il trattamento di
sostituzione di antidepressivi all’interno della classe
degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (da SSRI ad un altro SSRI) riportando come pazienti che non avevano risposto o erano intolleranti
ad una prima terapia con SSRI potevano rispondere
positivamente ad un altro SSRI (13,72-74). In particolare, nello studio di Thase et al. (13) a 106 pazienti
con depressione maggiore e con una storia di intolleranza o non risposta al trattamento con sertralina è
stata somministrata una dose media di 37,2 mg/die di
fluoxetina: il 63% dei pazienti ha mostrato un miglioramento del 50% o più sulla scala di Hamilton per la
depressione (HAM-D).
Da SSRI a venlafaxina
Diversi Autori suggeriscono come la venlafaxina
sia una valida alternativa per i pazienti depressi che
non rispondono agli SSRI (77-81).
Nierenberg et al. (80) hanno preso in esame 84 pazienti che non avevano risposto ad almeno tre trials
con antidepressivi di almeno due classi diverse o a un
ciclo di ECT ed avevano provato una strategia di potenziamento almeno una volta: dopo dodici settimane
di trattamento la venlafaxina risultava efficace per
circa un terzo dei pazienti.
Lo studio di de Montigny et al. (79) è stato condotto su un vasto campione canadese di 152 pazienti
che avevano già fallito almeno un precedente trattamento antidepressivo: sostituendo con la venlafaxina
il 58% ha risposto al trattamento.
Poirer & Boyer (78) hanno realizzato uno studio in
doppio cieco confrontando venlafaxina (200-300
mg/die) e paroxetina (30-40 mg/die) su un campione
di 122 pazienti con depressione maggiore: l’indice di
risposta è stato del 52% con venlafaxina contro il
33% con paroxetina; la remissione si è avuta nel 42%
dei pazienti trattati con venlafaxina contro il 20% di
quelli in cura con paroxetina. Poiché la grande maggioranza dei pazienti era stata trattata precedentemente con SSRI, i risultati suggeriscono come una sostituzione con farmaco di altra classe possa essere
vantaggiosa.
Da SSRI a bupropione
Gli studi a questo proposito sono più limitati. McGrath et al. (82) hanno preso in considerazione un
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campione di 18 pazienti con depressione maggiore resistenti a trattamento con fluoxetina (40 mg/die o
più) che sono stati sottoposti a sostituzione con bupropione senza wash-out: il 28% dei pazienti ha registrato un miglioramento sulla HAM-D pari ad almeno il 50%.
Da SSRI a mirtazapina
La mirtazapina è un NaSSA (antidepressivo noradrenergico e serotonergico specifico); essa ha una
doppia azione che aumenta l’attività sia noradrenergica sia serotonergica, bloccando gli autorecettori e
gli eterorecettori a2-adrenergici ed i recettori serotonergici 5-HT2 e 5-HT3.
Dai dati di letteratura emerge come la mirtazapina
sia una valida e sicura alternativa quando falliscono
altri trattamenti antidepressivi.
Fava et al. (68) hanno condotto uno studio su 69
pazienti depressi resistenti al trattamento con fluoxetina, paroxetina o sertralina: il 48% di questi ha risposto alla mirtazapina. La mirtazapina non ha presentato differenze di efficacia, tolleranza e sicurezza
nei pazienti in cui la sostituzione dai vari SSRI è stata immediata rispetto a quelli che hanno avuto un
breve wash-out.
Thase et al. (83) hanno somministrato, a 410 pazienti con depressione resistente al trattamento, mirtazapina a dosi variabili tra 15 e 45 mg/die, per un periodo compreso tra le 8 e le 12 settimane. Durante la
fase acuta, il 56,3% dei pazienti ha riportato una riduzione almeno pari al 50% del punteggio sulla scala
HAM-D. Lo studio si è poi focalizzato sull’efficacia e
la sicurezza della mirtazapina anche come terapia di
mantenimento e di prevenzione delle ricadute: un
gruppo di 156 pazienti sui 178 del campione che avevano presentato una completa remissione (secondo i
punteggi delle scale HAM-D e CGI) è stato sottoposto ad una terapia di mantenimento di 40 settimane,
con uno studio in doppio cieco con placebo. I risultati hanno mostrato come la mirtazapina riducesse di
più di un terzo l’indice di ricaduta rispetto al placebo
(19,7% vs 43,8%). In questo studio è stata inoltre osservata anche una buona tollerabilità della mirtazapina, con l’assenza di effetti collaterali significativi.
COMBINAZIONE
Con questo termine si intende l’associazione di più
farmaci antidepressivi per migliorare la risposta al
trattamento nelle condizioni di resistenza (84).
La combinazione di antidepressivi per pazienti con
depressione resistente al trattamento è stata descritta
per la prima volta nei primi anni ’60, con l’associazione tra IMAO e TCA (85).
I clinici spesso erano contrari a combinare i vecchi
antidepressivi, sia perché i farmaci potevano presentare meccanismi d’azione simili (ad esempio combinando due TCA) sia perché potevano insorgere interazioni pericolose (combinando IMAO e TCA). I farmaci antidepressivi più recenti, invece, hanno azioni
neurochimiche differenti tra loro e permettono così
di unire meccanismi d’azione multipli per ottenere
una risposta in pazienti che non hanno tratto beneficio da un farmaco a meccanismo singolo d’azione.
Tra i vantaggi della combinazione tra antidepressivi, bisogna considerare la possibilità di proseguire il
primo trattamento antidepressivo evitando possibili
effetti dovuti alla sospensione del farmaco, nonché la
demoralizzazione del paziente di fronte al fallimento
della terapia. Può inoltre essere possibile usare dosi
minori di ciascun farmaco antidepressivo, riducendo
quindi eventuali effetti collaterali. È riportato inoltre
come l’aggiunta di un secondo antidepressivo renda
più rapida la risposta rispetto alla sostituzione con
un’altra monoterapia (67)
Gli svantaggi di una strategia di combinazione
comprendono il fatto che un paziente potrebbe anche
solo rispondere al secondo farmaco come se fosse
una monoterapia; l’utilizzo di due o più antidepressivi può inoltre ridurre la compliance, condurre ad una
somma di effetti collaterali o ad un’interazione tra i
farmaci (67).
Nonostante i possibili svantaggi ed il costo più elevato di una strategia di combinazione rispetto ad una
monoterapia, questo genere di trattamento sembra
essere sempre maggiormente usato nella gestione
della depressione resistente al trattamento (86).
Le strategie di combinazione più importanti sono:
IMAO + TCA
I primi studi in letteratura (87,88) riportano che oltre il 70% dei pazienti trattati con questa combinazione ha riportato miglioramenti clinici, ed effetti collaterali come se fossero in monoterapia. Uno studio
più recente (89) ha osservato una percentuale di risposta pari al 48% alla combinazione tra isocarbossacile ed amitriptilina; questo studio è stato uno dei pochi che ha analizzato i risultati nel lungo periodo, ed
un follow-up a 3 anni ha trovato che solo la metà dei
pazienti che aveva risposto alla combinazione continuava a rispondere.
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Uno studio naturalistico di Amsterdam et al. (90)
ha osservato che solo il 31% (5 su 16) dei pazienti resistenti agli IMAO mostrava una risposta alla combinazione con TCA; inoltre, 6 su 9 pazienti trattati con
IMAO più clomipramina aveva mostrato gravi effetti
collaterali serotoninergici che avevano imposto
un’interruzione del trattamento.
SSRI + TCA/HCA
Alcuni Autori hanno ipotizzato che gli alti indici di
risposta relativi a questa strategia di trattamento siano dovuti all’aumento dei livelli plasmatici dei TCA
indotto dagli SSRI.
Nello studio di Levitt et al. sono stati rilevati significativi aumenti nei livelli plasmatici della desipramina (anche 2,5 volte quanto ci si attendeva) dopo l’aggiunta di fluoxetina. Nei soggetti che rispondevano al
trattamento sono stati inoltre osservati livelli plasmatici di TCA maggiori di quelli riscontrati in pazienti
con risposta parziale o non risposta; in coloro che rispondevano alla terapia è stata rilevata una correlazione tra i livelli del TCA ed i punteggi alle scale per
la depressione (91).
Fava & Rosenbaum (60) hanno condotto uno studio su 41 pazienti che presentavano una parziale risposta o non risposta dopo 8 settimane di trattamento con fluoxetina (20 mg/die). I pazienti sono stati assegnati casualmente a tre differenti gruppi di trattamento per una durata di quattro settimane: al primo
gruppo è stata somministrata fluoxetina a dosi più
elevate (40-60 mg/die), al secondo gruppo 20 mg/die
di fluoxetina più 25-50 mg/die di desipramina, al terzo 20 mg/die di fluoxetina più 300-600 mg/die di litio.
Il gruppo con alto dosaggio di fluoxetina ha presentato la percentuale più alta di risposta (50%) rispetto
alla combinazione con desipramina (25%) e al potenziamento con litio (25%). Nelson & Price (92) hanno
suggerito che la risposta insufficiente sia da attribuire alla dose di desipramina inadeguata a raggiungere
il livello terapeutico. A questo proposito, Levitt et al.
(91) hanno riscontrato buoni indici di risposta e livelli plasmatici terapeutici di desipramina alle dosi di
38-68 mg/die.
Anche la clomipramina e la nortriptilina sono state combinate separatamente con SSRI per migliorare
la risposta antidepressiva, con risultati positivi
(90,93). Gli effetti collaterali sono stati generalmente
lievi, ad eccezione di un paziente trattato con clomipramina che ha sviluppato sintomi di una sindrome
serotoninergica (90). Utilizzando questa strategia di
combinazione, bisogna prestare particolare attenzio-
ne ai livelli plasmatici di TCA, con bassi dosaggi di
partenza di TCA ed un monitoraggio regolare che
permetta di evitare livelli plasmatici troppo elevati
che possono condurre ad effetti indesiderati quali fenomeni di tossicità a carico del sistema cardiovascolare (ipotensione e rischio di aritmia), crisi epilettiche
o delirium (94).
Nierenberg et al. (95) hanno studiato l’impiego di
un antidepressivo eterociclico (HCA), il trazodone, in
combinazione con fluoxetina in un piccolo gruppo di
pazienti che riportavano insonnia indotta da fluoxetina o parziale risposta al trattamento. I risultati sono
però stati poco incoraggianti: solo 3 degli 8 pazienti
presi in esame mostravano miglioramenti. È stato
ipotizzato che tale scarsa risposta potesse essere dovuta alle basse dosi di trazodone usate (minori di 100
mg/die).
SSRI + SSRI
La combinazione di due SSRI può rivelarsi particolarmente utile per pazienti resistenti al trattamento
che tollerano alti dosaggi del farmaco SSRI in terapia. L’aggiunta di un secondo SSRI permette inoltre
di conservare il guadagno terapeutico che si è già ottenuto con il primo farmaco.
Lo svantaggio di questa strategia terapeutica è da
ricercarsi nell’aumento dell’intensità degli effetti serotoninergici indesiderati, che potrebbero teoricamente portare anche ad una sindrome serotoninergica (96). In uno studio di Bondolfi et al., (97) è emerso, tuttavia, come l’aggiunta di fluvoxamina (50-100
mg/die) a pazienti resistenti già in trattamento con citalopram (40 mg/die) abbia dato una buona percentuale di risposta (6 pazienti su 7) a fronte di piccoli effetti indesiderati come nausea e tremore
RIMA + SSRI/TCA
La somministrazione di inibitori reversibili delle
monoamino ossidasi di tipo A (RIMA), come la moclobemide, unitamente ad altri farmaci serotoninergici può condurre al rischio di una sindrome serotoninergica (98). Alcuni studi controllati con placebo non
hanno osservato importanti effetti collaterali nel caso
in cui moclobemide ed SSRI venissero attentamente
somministrati (99). In uno studio condotto su 11 pazienti che non rispondevano a SSRI, 8 di essi presentavano una risposta al trattamento dopo l’aggiunta di
moclobemide (150-800 mg/die), senza riportare particolari effetti collaterali (100).
Rivista di psichiatria, 2003, 38, 5
232
Definizione e strategie terapeutiche della depressione resistente al trattamento
La moclobemide è stata anche utilizzata in combinazione con trimipramina, amitriptilina e maprotilina, efficace nel 57% dei pazienti (101).
I risultati di questa combinazione sono basati principalmente su studi anedottici (102-104).
Emerge uno svantaggio di questa strategia dovuto
al fatto che la combinazione tra bupropione e SSRI
può condurre a tremore o attacchi di panico
(103,105).
Un vantaggio significativo di questa combinazione
è invece rappresentato dall’effetto positivo sulle disfunzioni sessuali indotte dagli SSRI (106,107).
inizialmente, di un altro farmaco, non primariamente
antidepressivo, che ne dovrebbe potenziare l’effetto
(66,68).
Tra i vantaggi di tale strategia si possono annoverare la possibilità di proseguire il trattamento con il
farmaco iniziale, la presenza di un’ampia esperienza
clinica in letteratura rispetto alle altre strategie e
tempi di risposta più brevi.
Per quanto concerne gli svantaggi, si presentano il
rischio di bassa compliance, rischi più elevati di interazione tra farmaci, una maggiore letalità in caso di
sovradosaggio e scarse indicazioni sul trattamento a
lungo termine.
Le strategie di potenziamento più comunemente
adottate nella pratica clinica comprendono l’aggiunta
di:
Mirtazapina + SSRI
Litio
La combinazione con SSRI si è mostrata utile in
uno studio aperto su pazienti non rispondenti a SSRI
(108) ed in uno studio successivo in doppio cieco controllato con placebo (109). Uno studio recente ha osservato una percentuale di risposta significativamente maggiore in pazienti trattati con una combinazione
tra paroxetina e mirtazapina rispetto ai pazienti in
monoterapia (110). La combinazione tra mirtazapina
e SSRI è risultata valida anche per contrastare le disfunzioni sessuali indotte da SSRI (111).
Il vantaggio principale di questa strategia risiede
negli effetti indesiderati quali, l’aumento di peso e la
sedazione (108).
La strategia di potenziamento con litio è quella più
documentata in letteratura e le prime valutazioni della sua efficacia risalgono agli anni ottanta (116). Molti studi hanno mostrato che un’aggiunta di 600 mg/die
o più di litio, permette di ottenere una risposta in pazienti resistenti al precedente trattamento con TCA,
MAOI o SSRI (117-121). In letteratura si trovano undici studi in doppio cieco controllati sul potenziamento con litio: in dieci di questi è stato osservato un
indice di risposta in media intorno al 52%, su un totale di 135 pazienti trattati con litio (38).
È stata osservata una maggiore efficacia in pazienti
depressi non psicotici ed è considerato più efficace il
potenziamento dei TCA rispetto agli SSRI (22,38,60,
98,117,122-124).
Per quanto riguarda i tempi di risposta al trattamento, sebbene siano stati osservati effetti positivi
già entro le prime 48 ore, una risposta si ha più comunemente durante un periodo di due settimane. Alcuni studi hanno riportato ulteriori miglioramenti
con trattamenti fino a sei settimane (125,126).
Bisogna inoltre considerare il rischio di tossicità
del litio: una percentuale significativa di pazienti trattati con litio ha riportato fastidiosi effetti collaterali
quali: nausea, vomito, sedazione, astenia, difficoltà di
concentrazione, stitichezza, sudorazione, sete e diarrea. Raramente si sono registrati disturbi più seri
quali sindrome serotoninergica, confusione mentale,
convulsione, ipertermia. A causa della necessità di
monitorare i livelli ematici, del rischio di ipotiroidismo, dell’aumento di peso e della nefrotossicità, spesso la strategia di potenziamento con litio viene percepita negativamente sia dai pazienti sia dai clinici.
Bupropione + SSRI
Reboxetina + SSRI
La reboxetina assicura una selettiva inibizione della ricaptazione della noradrenalina (NRI) (112). Diversi studi hanno suggerito come la combinazione di
SSRI e reboxetina (a dosi fino a 8 mg/die) sia particolarmente utile nella cura di pazienti resistenti al
trattamento (98,113,114).
Uno studio sull’interazione tra farmaci, che ha preso in considerazione fluoxetina e reboxetina, ha dato
risultati positivi in relazione alla sicurezza di tale
combinazione (115).
POTENZIAMENTO
La strategia di potenziamento prevede l’impiego,
in associazione al farmaco antidepressivo prescritto
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233
Maina G, et al
Queste ragioni hanno sicuramente contribuito a diminuire la popolarità di questo trattamento negli ultimi anni (127).
Ormoni tiroidei
Un’altra strategia di potenziamento è quella che
prevede l’aggiunta di ormoni tiroidei al trattamento
antidepressivo con TCA o con SSRI, preferibilmente
T3 in relazione a vantaggi farmacocinetici e farmacodinamici (123,128-130).
Il potenziamento con T3, in dosi tra i 25 ed i 50
mg/die, ha avuto successo particolarmente nei pazienti resistenti a trattamento antidepressivo con
TCA (123,129).
Questa strategia terapeutica non è però attualmente molto popolare (131) sia poiché la gran parte
degli studi pubblicati si riferisce ai TCA piuttosto che
agli SSRI, sia poiché un potenziamento con ormoni
tiroidei può causare effetti collaterali quali agitazione
ed insonnia.
Si è altresì valutata l’efficacia di ormoni ipotalamici
e ipofisari in grado di aumentare la funzionalità tiroidea: TRH e TSH che hanno mostrato effetti transitori
ma in alcuni casi positivi sui sintomi depressivi (132).
Nello studio di Artigas et al. (142), in particolare, è
stato osservato un rapido (entro 3-7 giorni) e notevole miglioramento della risposta antidepressiva in pazienti trattati con pindololo in aggiunta a SSRI e
MAOI. Uno studio di Moreno et al. (143) non ha confermato i risultati emersi dagli studi sopra elencati,
ma è stato effettuato su un campione limitato di 10
pazienti depressi resistenti al trattamento; lo studio
successivo di Perez et al. (144) non ha rilevato differenze con il placebo, in un trial tuttavia molto limitato nel tempo di osservazione (10 giorni).
Antipsicotici atipici
Sia il risperidone (0,5-2 mg/die) sia l’olanzapina (510 mg/die) hanno dato buoni risultati in trials limitati
su pazienti che non rispondevano agli SSRI (145,146).
A causa delle rapide proprietà ansiolitiche e antiirritabilità di questi farmaci, il loro utilizzo è particolarmente diffuso per pazienti depressi resistenti al
trattamento che presentano agitazione e insonnia. Il
maggior svantaggio dell’impiego degli antipsicotici
atipici deriva dal rischio di sedazione e dall’aumento
di peso (147,148).
Agenti dopaminergici
Buspirone
Il potenziamento con buspirone è una strategia utilizzata piuttosto comunemente nel trattamento di pazienti resistenti (68). Il buspirone è un farmaco ansiolitico generalmente ben tollerato, con proprietà parzialmente agoniste della serotonina-1A.
Studi che hanno considerato dosi di buspirone
comprese tra 10 e 30 mg/die hanno mostrato significativi miglioramenti nei pazienti resistenti al trattamento (123,133-135).
La questione dell’efficacia del buspirone è ancora
aperta: l’unico studio controllato con placebo in pazienti resistenti al trattamento (136) non ha mostrato
particolari differenze tra i due trattamenti (51% vs
47%). Un possibile vantaggio dell’impiego del buspirone potrebbe essere il miglioramento delle disfunzioni sessuali indotte dagli SSRI.
Pindololo
Il pindololo è un farmaco -bloccante e 5-HT1A antagonista. In molti studi è stata utilizzata una dose di
7,5 mg/die (68). Il pindololo ha mostrato l’interessante proprietà di accelerare la risposta antidepressiva se
combinato con SSRI (137-141).
Il potenziamento con agenti dopaminergici risulta
essere una strategia interessante. Uno studio aperto
ha usato con un certo successo il farmaco antiparkinsoniano pergolide (in dosi tra 0,25 a 2 mg/die) (149).
Altri studi hanno osservato l’utilità di strategie di potenziamento con amantadina (200-400 mg/die) e pramipexolo (0,375-0,75 mg/die) (150,151).
Uno studio sulla strategia di potenziamento di
TCA e SSRI con pramipexolo (alla dose media di
0,84 mg/die) ha mostrato una percentuale di risposta
del 55% su 31 pazienti (152).
A causa della limitatezza dei campioni esaminati e
della impossibilità di avere studi controllati, rimane
ancora da verificare l’efficacia di questi agenti dopaminergici in strategia di potenziamento.
Psicostimolanti
I farmaci psicostimolanti, in particolare metilfenidato (10-40 mg/die) e dextroamfetamine (5-20
mg/die) sono stati utilizzati per aumentare l’effetto
antidepressivo di TCA, MAOI, SSRI e anche di venlafaxina. I problemi principali legati all’impiego di
psicostimolanti riguardano il rischio di abuso in pazienti che abbiano già una storia di abuso di sostanze
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234
Definizione e strategie terapeutiche della depressione resistente al trattamento
e la emivita relativamente breve. Sono stati anche riportati effetti collaterali quali, peggioramento dell’ansia e dell’irritabilità ed insonnia (153-155).
Un discorso a parte merita il modafinil, un nuovo
psicostimolante che ha un meccanismo d’azione farmacologico differente da quello delle anfetamine. In
uno studio retrospettivo è stata osservata l’utilità del
modafinil (dosi fino a 200 mg/die) in aggiunta ad antidepressivi nella cura della depressione resistente
(156). Un altro studio ha mostrato che il 57% di un
campione di pazienti, resistenti al trattamento in monoterapia con SSRI e venlafaxina, ha ottenuto notevoli miglioramenti in seguito al potenziamento con
dosi fino a 400 mg/die di modafinil (157).
STRATEGIE DI TRATTAMENTO NON
FARMACOLOGICO
Terapia elettroconvulsivante (ECT): l’efficacia antidepressiva della terapia elettroconvulsivante è ben
documentata in pazienti che si sono rivelati resistenti
a precedenti trattamenti con TCA e IMAO (158-161).
Alcuni studi non controllati hanno affermato che
la presenza di una condizione di resistenza al trattamento non riduce gli effetti terapeutici benefici dell’ECT, con indici di risposta che si attestano tra il 61
e l’88%. Tali studi erano però retrospettivi e basati su
criteri terapeutici inadeguati (162,163). Studi più recenti indicano che la presenza di TRD riduce la risposta al trattamento con ECT fino al 50% (164).
La terapia elettroconvulsivante è tuttavia un trattamento poco utilizzato nella pratica clinica, sia per le
difficoltà tecniche legate alla sua applicazione, sia per
l’atteggiamento discordante da parte dell’opinione
pubblica e dei clinici stessi. Nelle più moderne linee
guida e negli algoritmi, l’ECT viene quindi spesso
presentato come un trattamento “da ultima spiaggia”
(1,31,165-168).
Psicoterapia: gli studi e l’esperienza clinica suggeriscono che nelle forme di depressione grave e/o resistente ad un trattamento farmacologico, la psicoterapia cognitivo-comportamentale rappresenta una strategia ed una risorsa terapeutica che potrebbe essere
utilizzata anche nella fase acuta dell’episodio depressivo (169).
Molti dei sintomi propri dei disturbi dell’umore
cronici o resistenti al trattamento possono essere vantaggiosamente trattati con interventi psicologici. Infatti i tipici sintomi che compaiono in pazienti con depressione resistente al trattamento possono essere disperazione, idee di suicidio, bassa stima di sé, incapacità a risolvere i problemi (170,171).
Tutti questi sintomi possono essere affrontati con
tecniche cognitive e comportamentali, sia da sole sia
combinate con una terapia farmacologica. Inoltre, la
non aderenza alla cura, che si verifica in una percentuale di pazienti compresa tra il 20 ed il 50% (172) è
stata trattata con successo con approcci cognitivocomportamentali (165).
Stimolazione del nervo vago (Vagus Nerve Stimulation): questa tecnica (VNS) consiste nell’installazione
di un dispositivo simile ad un pacemaker cardiaco alla sinistra del torace, capace di stimolare il nervo vago, mediante un sistema computerizzato. Studi recenti su pazienti con depressione resistente sottoposti a
questo trattamento hanno dato risultati abbastanza
soddisfacenti. La durata del trattamento deve essere
di almeno due anni. I più comuni effetti collaterali osservati sono stati: dolore (imputabile all’installazione
chirurgica), alterazione della voce, riduzione dell’ampiezza del respiro, tosse stizzosa (173).
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