L`Egnatia sul Canale di Otranto

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L`Egnatia sul Canale di Otranto
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14-20 luglio 2005
L'Egnatia sul Canale di Otranto
Il progetto Egnatia, complessa e articolata elaborazione reticolare tra ricercatori e
artisti, prevede per il mese di luglio in Salento un momento centrale di incontro,
scambio, presentazione al pubblico e dislocazione sul territorio delle attività svolte.
Qui infatti ci si ritroverà e si presenterà il progetto realizzato nelle diverse agenzie
europee, e da qui si partirà con tutti gli artisti e i lavori elaborati per il progetto,
realizzando una vera e propria Carovana lungo l'Egnatia per raggiungere Istanbul
dove il progetto si concluderà in autunno.
Eventi e Luoghi
-Martignano: Un Archivio aperto delle memorie raccolte nell'Istituto di Culture
Mediterranee.
Si tratta di una raccolta di documentazioni audio, video, fotografiche e testuali, di
cartografie e animazioni che raccontano i diversi laboratori di memorie, le storie di
persone e luoghi. Tale archivio diverrà un fondo accolto dall'Istituto in via
permanente.
-Cursi: La panchina - cartografia Egnatia.
E' uno spazio pubblico di memorie che verrà realizzato a Cursi, con quelle
chianche utilizzate nel progetto come pietre miliari di memoria e veicolate a tal
scopo nelle principali città europee e lungo tutta la via Egnatia.
-Ecomuseo: Lungo l'Egnatia, pietre miliari di memoria.
Allestimento di film installazione a carattere geografico, un percorso filmico
attraverso proiezioni di luoghi e momenti di memorie lungo la via Egnatia.
-Ecomuseo: Cafè Egnatia.
Tutte le sere dalle 20,00 alle 23,00 al Caffè Egnatia sarà possibile ascoltare incroci
musicali e letterari tra protagonisti delle diverse culture attraversate dalla via
Egnatia, il tutto accompagnato da gustosi assaggi di cibi dal Salento alla Turchia.
Il Café Egnatia sarà strutturato in un festival etnomusicale ed in una serie di
incontri, dibattiti e presentazioni realizzate dai membri dell'Osservatorio Nomade,
ricercatori e studiosi.
-Night shots, evocazioni notturne di memorie sul territorio
Dal Cafè Egnatia a Cursi ogni sera alle 23,00 si partirà con un pulmann e con le
macchine al seguito verso luoghi di memoria investiti dal progetto per animarli con
videoproiezioni di filmati e musica dal vivo, restituendo al pubblico quello che è
stato il prodotto artistico dei laboratori prodotti nel corso del progetto.
-Egnatia Network
Tutti gli eventi, assieme agli elaborati audio video del progetto saranno proposti
quotidiamanente in un palinsesto televisivo e radiofonico (in collaborazione con
Canale 8, Radio Paz-www.pazlab.net-e PrimaVera-107.3 mhz) di circa venti minuti
al giorno, per tutti i giorni della durata del progetto. La trasmissione televisiva sarà
inoltre ospitata su di un canale televisivo satellitare.
PROGRAMMA CAFFE' EGNATIA
13 Luglio ore 10,30 Porto di Gallipoli, Nave Mazzola
15 Luglio MUSICHE E STORIE DALLA MACEDONIA
Conferenza stampa progetto Egnatia
con l’intervento di Achille Bonito Oliva
Percorso di incontri e musiche lungo la frontiera fra la Grecia
e la Repubblica di Macedonia (FYROM).
13 Luglio ore 11,30 CIRCUMNAVIGAZIONE DEL
SALENTO DA GALLIPOLI A OTRANTO
16 Luglio FESTA DEL PANE
Libera tessitura di interventi artistici da parte dei
partecipanti al progetto
13 Luglio ore 22,30 PORTO DI OTRANTO, NAVE
MAZZOLA
Festa a bordo della nave
14 Luglio ore 18,30 Martignano, Istituto delle Culture
Mediterraneee
Inaugurazione Biblioteca dell'Istituto delle Culture
Mediterranee in occasione dell'allestimento dell'archivio
aperto del progetto Egnatia con la partecipazione
dell’assesore al mediterraneo prof. Silvia Godelli
14 Luglio ore 20,30 Cursi, Ecomuseo
Inaugurazione al pubblico del Caffe Egnatia, che resterà
aperto fino al 20 luglio con incontri/concerti/degustazioni
dalle ore 20 alle 23.
MUSICHE E STORIE TRA ITALIA E ALBANIA
Viaggio nella cultura albanese tra musica, arti visive, storia e
letteratura.
Nightshot: h. 24.00 incursione artistica notturna nel territorio
del Salento
I pani della via Egnatia
In occasione della festa tradizionale del pane sarà allestito un
laboratorio sul pane dedicato alle diverse tradizioni
panificatorie dei paesi attraversati dalla Via Egnatia
In serata musica e concerti
17 Luglio MEMORIE DI SALONICCO 01: I SEFARDITI
Gli ebrei sefarditi di Salonicco: cultura, memoria e tradizioni.
Nightshot: h. 24.00 incursione artistica notturna nel territorio
del Salento
18 Luglio LA DIASPORA CURDA
Proiezioni e dibattito sugli incroci culturali e cinematografici
prodotti dai curdi in diaspora e installazione video "Kurds on
the map".
19 Luglio LO SCAMBIO POPOLAZIONI GRECO-TURCO
Storia e storie dello scambio forzato di popolazioni tra Grecia
e Turchia.
Nightshot: h. 24.00 incursione artistica notturna nel territorio
del Salento
20 Luglio SERATA SALENTINA
Ascolti e contaminazioni dalla tradizione musicale salentina.
Nightshot: h. 24.00 incursione artistica notturna nel territorio
del Salento
egnatianews n.02
layout editor e graphic design: ellelab
editing: Lorenzo Romito, Francesca Recchia,
Silvia Biagi
traduzioni:Iacopo Gallico, Francesca
Recchia, Silvia Biagi
photos: Dall’archivio di osservatorio
nomade, Laurent Malone, A.A.A. (Atelier
d’Architecture Autogerée), t_spoon, Agenzia
di Atene.
errata corrige:
Ci scusiamo con Gianluca Riccio per non
averlo menzionato in Egnatia News 01 come
curatore della mostra “Presente Continuo” Napoli, settembre 2004.
www.egnatia.info
www.osservatorionomade.net
osservatorio nomade © 2005
|
o
www.osservatorionomade.net www.egnatia.info
egnatia news
Il nostro percorso lungo la via Egnatia è
ormai giunto a metà del suo cammino. Le
direzioni e le articolazioni del progetto si
sono spostate e ridefinite nel corso dei mesi,
attraverso una continua crisi e messa in
discussione dei punti di vista e dei possibili
orizzonti di riferimento. Sembra, dunque,
lecito chiedersi cosa sia diventato a questo
punto il progetto EGNATIA-Un percorso tra le
memorie disperse.
La sfida di fare di un finanziamento europeo,
con le sue rigidità e le sue limitazioni
burocratiche, la base di partenza per una
rielaborazione creativa della dimensione
progettuale istituzionale, si sta dimostrando
tanto
interessante
quanto
difficile.
L'operazione di traduzione e tradimento dei
dettami, delle definizioni e delle richieste di
un progetto comunitario richiede, infatti, una
continua negoziazione e interrogazione della
propria dimesione di soggetto creativo,
mettendo in discussione il senso e le
modalità della capacità di creare relazioni e
canali di comunicazione, che sono la base
stessa su cui il progetto Egnatia si
costruisce. Questa operazione e operatività
richiedono un grado di consapevolezza e
maturità che spesso intuiamo, a volte
incarniamo e non sempre siamo in grado di
mantenere.
Eppure,
la
dimensione
processuale della costruzione di un progetto
richiede e ha bisogno anche di questo: di
incertezze, battute d'arresto e passi falsi, sui
quali fermarsi a riflettere e a partire dai quali
riorientare la bussola e aggiustare le
coordinate del proprio percorso. Ed è qui, fra
entusiasmi e frustrazioni, che la scelta di
lavoro di gruppo e non da "battitore libero"
rappresenta il valore aggiunto. La
costruzione di una pratica artistica che è
frutto di un'intelligenza collettiva apre, infatti,
il campo alla possibilità di una fluidità che, se
a volte è la maschera delle incertezze, per lo
più incarna la svolta di genialità che
consente la risoluzione dei problemi e il
superamento degli ostacoli man mano che il
percorso si srotola e si costruisce.
La dimensione comunitaria e continentale
che apre l'accesso e la relazione con un
progetto europeo, poi, offre la possibilità di
una messa in questione dei confini e delle
profondità del concetto di sfera pubblica.
L'attitudine pubblica della pratica artistica è,
negli
ultimi
tempi,
un
argomento
abbondantemente discusso. Il progetto
EGNATIA - Un percorso tra le memorie
disperse la sta mettendo in pratica e in
discussione nel suo farsi ad un doppio livello:
da una parte, nel tentativo - stimolante e
farraginoso - di relazione con una serie di
istituzioni pubbliche (dalla stessa UE alla
Provincia di Lecce); dall'altra, nello sforzo di
costruire un linguaggio artistico e poetico
capace di comunicare i suoi contenuti
attraverso la costruzione stessa delle
relazioni che ne sostanziano il fare. La
dimensione pubblica assume così la
fisionomia di uno spazio, sia fisico che
relazionale, che consente la costruzione di
rapporti e legami interpersonali lasciandosi a
sua volta plasmare dai processi e le
dinamiche che accoglie.
Una delle domande più ricorrenti sin
dall'inizio del progetto e in qualche modo
legata a quanto detto finora, è stata se
l'Egnatia potesse o dovesse essere solo un
simbolo e una metafora oppure fosse il reale
punto di riferimento geografico per l'intero
percorso. L'esperienza dei viaggi di Matteo
Fraterno e Davide Barlertti, il workshop di
Salonicco, l'ascolto e il tentativo di riportare
in vita nel presente le memorie legate allo
scambio di popolazioni fra Grecia e Turchia
in seguito al Trattato di Losanna del 1923, ci
hanno fatto capire come la strada da seguire
non fosse nella scelta esclusiva di una delle
due possibilità. La complessità e la
stratificazione di livelli emotivi, socio-politici,
artistici e poetici nel corso dell'attività di
questi mesi ha dato una risposta semplice e
sorprendente allo stesso tempo: l'Egnatia ha
preso il corpo congiunto della dimensione
simbolica e di quella geografica, combinando
la fisicità della strada vera e propria che,
dopo aver attraversato il mare, percorre
cinque nazioni e lo spessore poetico di una
metafora fortemente evocativa.
Questa doppia valenza chiama in causa la
on n.02 gennaio - giugno 2005
on|fieldthessaloniki
ghostbustering thessaloniki 5-12 febbraio 2005
riflessione sulla dimensione etica, alla quale
questo modo di intendere la pratica artistica
deve fare costantemente riferimento. Il
costruire
il
proprio
agire
creativo
sull'interazione con altre persone, sulla
costruzione di relazioni che spesso implicano
un forte livello di emotività, sulla volontà di
mettere il dito su punti nevralgici per sfiorarli
con un'ombra poetica, richiede la capacità e la
volontà di fare del garbo, della sensibilità
umana
e
dell'attenzione
al
proprio
interlocutore lo strumento principale di cui ci si
serve. L'incontro e lo scambio intimo e
profondo che spesso si genera, crea nelle
persone che incrociano il nostro percorso e in
noi stessi desideri e aspettative che richiedono
cura e attenzione, che rifuggono la fretta e le
logiche produttive che costringono a chiudere
il prodotto nel più breve tempo possibile. Tutto
questo non è semplice da capire né da
metabolizzare, non c'è nessuna scuola che lo
insegna; si scopre solo facendo, con tutto il
margine di rischio e di errore che un simile
atteggiamento comporta.
Nel tentativo di fare un passo indietro e
guardare con occhio semi-esterno quello che
in realtà coinvolge da mesi la nostra
quotidianità, l'osservazione conclusiva può
essere
semplicemente
quella
della
monumentalità delle piccole cose. La
dimensione degli scopi che originariamente ci
si era preposti è cambiata: si è rimpicciolita e,
con risultati più o meno sorpendenti e
soddisfacenti, il progetto è approdato alla
scala della profondità e alla leggerezza dei
piccoli gesti intimi.
Francesca Recchia
CALENDARIO
27 novembre - 5 dicembre 2004
17 - 19 febbraio 2005
On|fieldMacedonia
Secondo viaggio lungo l’Egnatia fino alla Macedonia
On|networkVenezia
Citying - presentazione progetto Egnatia
20 - 22 dicembre 2004
15 - 17 marzo 2005
On|networkRome
Start up Agenzia Roma
On|networkRome
I Kalderasha di Campo Boario:
Culture, Memorie e Tradizioni.
15 gennaio - 27 febbraio 2005
On|networkBerlin
Kurds on the Map
7 - 11 febbraio 2005
On|fieldThessaloniki
Ghostbustering in Thessaloniki
11- 13 febbraio 2005
On|network
Thessaloniki - presentazione progetto Egnatia
11 - 19 febbraio 2005 2
On|networkParis
workshop a La Chapelle
23 - 31 marzo 2005
On|field
Terzo viaggio lungo l’Egnatia fino a Salonicco
7 Aprile 2005
On|network
Agnone, Samudaripen
22 - 24 Aprile 2005
On|networkParis
ECObox - Auto-organisations et micropolitiques
ies on|agencies on|agencies on|agencies on|agencie
On|Berlino
Stefano Guarino
Domenico Fraterno
Benedict Berna
Jan Ralske
Asako Iwama
Leka Dukagiini
Alma Suljevic
Mara Kolesas
Synnuve K. N. Bendixsen
Theodoros Chrysikos
Murat Kaygalak
Selda Asal
Daniela pastore
Bilgin Ayata
Bruno Quelennec
Iacopo Gallico
Sul divenire dell'Egnatia e dell'Osservatorio Nomade
Fino ad adesso il progetto Egnatia è avanzato attraverso contributi
frammentari e molteplici, così come frammentato e molteplice è il
costituirsi del network transnazionale dell'osservatorio nomade.
Vista l'ambizione degli obiettivi, l'ampiezza del progetto e la diversità
degli attori che lo agiscono, difficilmente avrebbe potuto essere
altrimenti.
Gli obiettivi proposti inizialmente dal progetto, includono la
realizzazione del progetto stesso così come la realizzazione del
soggetto transnazionale che lo agisce e quella degli strumenti per
realizzarlo. E sono:
a) un prodotto editoriale che contenga i risultati della ricerca e delle
attività di tutto l'anno (seminari, agenzie, interviste, repertori, biobibliografie, archivio ...).
b) un lavoro finale di contenuto creativo in grado di canalizzare in una
dimensione estetica e poetica la complessità del progetto
transnazionale e l'utilizzo di linguaggi diversi.
c) uno strumento di interazione, comunicazione e rappresentazione
delle dinamiche della rete dei soggetti implicati nel progetto.
Per questo fin dall'inizio si è individuata l'esigenza di avere un
tracciante, costituito dal sito web e dal giornale egnatia news che
mantenesse contestualizzate esperienze diverse per luogo, modalità
d'intervento e tema. Credo che questo corrisponda all'obiettivo del
progetto europeo costituito dalla creazione di uno strumento di
interazione, comunicazione e rappresentazione delle dinamiche della
rete, seppur nella difficoltà riscontrate di aggiornamento in tempo reale.
In merito alla comunicazione in tempo reale sicuramente la rete e-mail
"info" ha parzialmente aiutato perlomeno nella relazione e
comunicazione interna e nel ricevere contributi esterni, via sito web.
il sito, il giornale e "info" fanno parte di quell'armamentario già
sperimentato dall'ON a Corviale che va sotto il nome di ON/Network,
sistema di relazione e comunicazione a più livelli che si sta per
arricchire di due nuovi canali comunicativi: la radio e la televisione.
Infatti il prossimo incontro dal 13 al 20 luglio, in Salento, momento
centrale del progetto, vedrà l'apparizione di questi ulteriori strumenti
"Egnatia via radio" in collaborazione con Radio Paz e PrimaVera radio
e "tele Egnatia" con la collaborazione di Canale 8. Con questi strumenti
si intende anche allargare la comunicazione e indirizzarla ancora di più
verso l'esterno. Si tratta di rafforzare la costruzione di uno spazio
mediatico pubblico attraverso cui estendere e condividere la
azione/narrazione Egnatia, e quindi il farsi di quella sperimentale
identità transnazionale che il progetto rappresenta. La radio e la
televisione realizzeranno una messa in onda sperimentale per gli otto
giorni del passaggio salentino del progetto Egnatia.
Prima di analizzare lo stato di avanzamento rispetto agli altri obiettivi
globali del progetto, vorrei soffermarmi sul funzionamento e sulle
trasformazioni avvenute nelle strutture previste per la realizzazione di
tali obiettivi. Queste erano le agenzie, unità operative territoriali
organizzate autonomamente dai diversi partners, il think tank e una
rete di curatori, ovvero dei consessi più trasversali, in grado di
osservare criticamente, promuovere e direi "tradurre" il divenire del
progetto nel mondo accademico e universitario della ricerca e in quello
dell'arte.
D'altro canto mi sembra di poter dire con serenità che i partner del
progetto, pur svolgendo un importante ruolo nella costruzione del
progetto stesso, non intendano proporsi come articolazioni dell'ON ma
piuttosto come soggetti autonomi interessati a collaborare alla
realizzazione del progetto Egnatia più che al costituirsi della rete
transnazionale ON, che peraltro hanno contribuito a far nascere.
In questo senso ci stanno offrendo un valido contributo critico e
metodologico, utilissimo nell'articolazione del "think tank" e della "rete
di curatori", fornendo contributi di riflessione critica diretti e
convogliandone altri estremamente preziosi.
Per quanto riguarda le Agenzie, l'altra struttura di rete, credo ci sia da
registrare come l'interazione con i partners stia facendo evolvere
queste strutture in maniera forse più efficace allo sviluppo del progetto
stesso di quanto non fosse stato previsto. (segue a pag.10)
Paris
atelier d'architecture
autogérée
Réseau ON-Paris
Constantin Petcou(aaa)
Doina Petrescu(aaa)
Giada Mangiamelli(aaa)
Béatrice Rettig (artiste)
Marion Baruch (artiste)
Pascal Nicoals-Le Strat
(sociologue)
Jean-Baptiste Bayle
(artiste)
Roma
Francesco Careri
t_spoon (Nina Artioli,
Matteo Di Sora, Paola
Fusco, Alessandra
Glorialanza, Daniela
Pastore, David Rizzuti,
Davide Sacconi, Eliana
Saracino, Simone Stabile)
Simona Forconi
lens (Alessandro Baccari,
Pierluigi Barile, Mario
Casciu, Daniele
Ceccarelli,Simone De
Iacobis, Francesco
Fornaciari)
dalle
age
cies on|agencies on|agencies on|agencies on|agenci
On/egnatia coord.
Lorenzo Romito
coordinatore progetto
Barbara Galassi
ass. coordinatore progetto europeo
Matteo Fraterno
coordinatore lavoro sul campo
Celeste Nicoletti supervisor
Francesca Recchia ass.coord.progetto, attività di ricerca ed edizione
testi
Peter Lang
advisor
On/ egnatia prod.
On|Salento
Giorgio D'Ambrosio
(coordinamento Roma/Salento)
Antonio De Luca
(egnatia radio network e
allestimento cafè)
Ingrid Simon
(coordinamento salento)
Fernando Schiavano
(artista)
Davide Barletti
(regista)
Roberto Greco
(egnatia tv network)
Silvia Lodi
(attrice)
Mihalis Kiriazis
(coordinamento
Salento/Grecia)
Silvia Biagi
ass. coord progetto, attività gestionali e
organizzative
Pia Livia Di Tardo
web site
Laura Bardier
web designer
Lorenzo Castagnoli
web designer ass.
Michela Franzoso
egnatia tv network
Gianguido Palumbo
egnatia radio network
ellelab (Sara Braschi, Eleonora Costa, Maria Teresa Bruca)
egnatia news network
Manuela Ferrari
consulente gestione e amministrazione
Athina
Maria Chatzinikolaou
Theodoris Chrysikos
Marina Fokidis
Mariana Kotsanou
Tania Latarjet
Leonidas Liambeys
Lilian Lykiardopoulou
Ioannis Savvidis
Nikos Tranos
Tania Tsiridou
Kostas Tzimoulis
Daphne Vitali
Mary Zygouri
Patricia Yannolopoulou
Konstantinos Metaxas
nzie egnatia
ina on|agencyAthina on|agencyAthina on|agencyAth
P e r c h è Makronisos?
Fin dall'inizio dei contatti del nostro gruppo con il centro di
accoglienza per rifugiati politici di Lavrio abbiamo affrontato un
dilemma. Come creare un lavoro che, da una parte, non funzionasse
in modo descrittivo e, dall'altra, potesse creare un canale di contatto
e di comunicazione con i rifugiati da una posizione di parità? in
questo tentativo, riteniamo che sia fondamentale che ci sia uno
scambio di storie fra i rifugiati e noi. Questo doveva aver luogo in
uno spazio che fosse significativo a livello concettuale sia per le
nostre memorie collettive che per la storia politica dell'area. Questo
posto era l'isola di Makronisos, di fronte al porto di Lavrio, che brevemente - ha avuto le seguenti fiunzioni:
campo per i prigionieri di guerra turchi durante la guerra dei
Balcani, 1912-13
centro di raccolta e organizzazione dei rifugiati dall'Asia
Minore, 1923
centro di rieducazione per i dissidenti di sinistra durante e
dopo la guerra civile, 1947-52
La nostra proposta consisteva nella proiezione del centro di
accoglienza per rifugiati di Lavrio sull'isola di Makronisos. Questo è
un posto che conserva tutta la tensione della memoria storica che
racchiude e che ancora proietta sulla coscienza dei greci
contemporanei e su quella di coloro che con esso entrano in
contatto. La nostra intenzione era quella di mostrare il modo in cui
questo posto è nato e funziona, e come dipenda sul consenso e la
tolleranza sociale.
In un viaggio simbolico dall'edificio di Lavrio, che ospita i rifugiati
politici, all'isola di Makronisos abbiamo collegato in un percorso
spazio-temporale due posti con chiare connessioni metaforiche. Il
nostro gruppo insieme ad un gruppo di rifugiati del centro di
accoglienza si sono trovati insieme a Makronisos, hanno passato
un'intera giornata insieme, si sono raccontati le rispettive storie,
arricchiti anche dall’importanza e dell'interazione con il luogo. Allo
stesso tempo, sono state collocate qui due delle chianche del
monumento transnazionale della via Egnatia, una incisa da uno
degli ospiti del centro di Lavrio e una da Giorgos Hatzimihalis, un
vecchio dissidente di sinistra che era stato imprigionato a
Makronisos e che ora vive a Lavrio.
Agenzia di Atene
Lavrio Makronisos
Dalle finestre del campo per rifugiati di Lavrio si vede la vicina isola di Makronisos. Questa lunga isola esce
dall'acqua come la schiena di un antico delfino. Lungo la rocciosa linea di costa ci sono macchie di verde,
l'origano selvatico cresce fra le rocce. Sembra solitaria e abbandonata. Chi la guarda dalla terraferma sa che
questa era la tremenda prigione in cui erano confinati e torturati i dissidenti politici. Eppure, in questa isola in cui
nessuno vuole andare, c'e' l'idea quasi fantastica che un rigugiato decida di approdarvi, costruisca la sua casa
e nessuno gli dica di andare via.
La nuova autostrada per l'aereoporto internazionale mette in collegamento l'antico porto di Lavrio con Atene.
Avvicinandosi a Lavrio si incontrano miniere abbandonate, che sembrano strani incroci fra roivine industriali e
paleolitiche. La patina di polvere e decadenza ti riporta al tempo delle caverne, mentre il funzionalismo conico
brutale ti proietta nel futuro. Questo intreccio di tempi si ripete nell'architettura di Lavrio. La citta' e' qualcosa a
meta' fra i resti di un villaggio ottomano e un nuovo sobborgo marinaro, in cui non e' ben chiaro cosa fare delle
palme e delle insegne rosa delle discoteche che ne punteggiano la periferia, mentre il centro e' reclamato
prepotentemente dalla kefenia, con le pareti ingiallite dal tabacco e i tavoli di formica verde.
Nel centro civico sventolano orgogliosamente le bandiere. Sull'edificio della municipalita' quella bianca e azzurra
della Grecia si arrotola nella brezza del porto. Giusto accanto, sull'edifico adiacente svettano quella turca e quella
del Partito Comunista Turco. In mancamnza di altri pali, sostengono ache lo stemma di Ocalan. Le porte
dell'edificio della municipalita' sono aperte, e' in corso un'altra elezione locale. Il funzionario siede annoiato nel
seggio mezzo vuoto, fissando l'unica immagine sulla parete. Un ritratto pensoso di Gesu' con i capelli che gli
scendono sulle spalle, gli occhi liquidi e trasognati, una calma perseveranza che e' ancora di questo mondo.
Dall'uscita laterale del municipio ci si trova di fronte all'ingresso del campo per rifugiati. I cancelli di quelle che un
tempo erano baracche militari sono spalancati. All'interno c'e' un campo da pallavolo; e' appena finita una partita,
chissa' chi ha vinto, che importa! Importa ai giocatori e ai tifosi. C'e' una partita ogni giorno Athens vs Lavrio. Gli
uomini adesso sono sotto l'ombra dei chiostri; le donne sono sui balconi, troppo impegnate per accorgersi di noi.
"siamo qui per vedere Marina", dico.
Cerco di legittimare il nostro arrivo, ma non sembra necessario. Il loro sorriso resta lo stesso. Indicato dall'altra
parte, Marina ha lavorato con questi rifugiati per diversi mesi: stanotte e' rimasta qui per concludere la discussione
sul programma della giornata. Come entriamo nell'edificio e' subito chiaro che ci troviamo in una zona del PKK
curdo. Omaggi a Ocalan, mappe della partita curda, bandiere rosse del partito comunista turco. Nell'edificio
accanto c'e' un misto di rifugiati di Azerbaijan, Afghanistan e Iraq. Su tutti I balconi ci sono le parabole: immagino
che I segnali, cosi' come i loro viaggi, vengano da est.
Troviamo Marina e Iacopo in una stanza sul retro, ci invitano subito intorno ad un tavolo. Ci offrono un piatto di
plastica con riso pollo yogurt e insalata. Alcuni uomini mangiano metre parlano con Marina e Iacopo, altri
preparano, servono e puliscono. L'ambiente e' rustico, ma pulito. Il leader Greco del PKK e' al centro del gruppo
e discute con Iacopo di politica culturale. Le sue opinioni sul significato di una patria immaginaria in contrasto con
una territoriale, su un'identità' fluida piuttosto che radicata, su valori culturali ibridi piuttosto che assoluti, sono
accolti con gentilezza. Iacopo può parlare e parla, il capo con pazienza contesta e spiega le sue ragioni in un
modo che si intona perfettamente con la sua camicia stirata di fresco e la sue unghie bianchissime. Non ci sono
dubbi ne' esitazioni sulla sua autorità. Per il capo le discussioni culturali sono tollerabili, ma alla fine deve essere
Calendario dell'agenzia di Atene
Dicembre
Visita al centro per rifugiati di Lavrio in occasione di una festa del PKK.
Presentazione degli obiettivi dell'agenzia e proiezione di film curdi ai rifugiati curdi di lavrio.
Ricerca degli archivi delle testimonianze greche dello scambio di popolazione del 1923. Viaggio a Istanbul per
seguire l'archivio trovato delle testimonianze turche dello scambio di popolazione nel 1923.
Gennaio
Prima riunione con i rifugiati di nazionalità multiple (Afgani, Iracheni ed altri) nell'edificio del centro rifugiati di
Lavrio in cui risiedono.
Lavoro per la costruzione di una unica narrazione realizzata con le storie greche e turche dello scambio di
popolazione per l'incontro di Salonicco.
Organizzazione del meeting di Salonicco.
Febbraio
Meeting di Salonicco fra gli studiosi, architetti ed artisti, impegnati nella ricerca attorno alla dislocazione delle
persone con una attenzione particolare alla via Egnatia e alla Geni Camii (Geni Djami). Presentazione della
narrazione unica a Salonicco sotto forma di un'istallazione audio arricchita con la scrittura delle parole chiave dei
racconti sulle pareti.
Presentazione del film Lavrio Crossing.
Dibattito all'interno dell'agenzia di Atene su Lavrio.
Marzo
Parecipazione al nevroz, a Lavrio
Workshop sulla misurazione in passi del Centro con i bambini interviste e riprese video
Maggio
Pic nic al Parco Nazionale di Capo Sounio vicino Lavrio con alcuni abitanti del centro rifugiati di Lavrio
Programmazione della visita a Makronisos ed evento pubblico al centro rifugiati di lavorio. Numerose visite al
centro per aumentare la fiducia a partecipare alla visita a Makronisos
Giugno
La chianca di Irfan arriva al centro rifugiati di Lavrio
Abitazione temporanea nel centro rifugiati di Lavrio per assicurare la partecipazione degli abitanti alla visita a
Makronisos e per iniziare la preparazione della pietra da lasciare a Makronisos dai rifugiati politici di Lavrio
Visita a Makronisos di settantacinque rifugiati del centro rifugiati di Lavrio, membri dell'agenzia di Atene e altri
partecipanti al progetto Egnatia
thina on|agencyAthina on|agencyAthina on|agencyAt
chiaro: non c'e' cultura senza una nazione. I discorsi sulla diaspora sono solo un'ombra della lotta armata: il seme
della diaspora non e' libero di essere qualcos'altro, ma solo di riprodurre lo stesso albero su una terra diversa.
Iacopo ha le sue convinzioni e ripete le sue domande. Marina esce dalla stanza e il capo si distrae.
Marina ha già raggiunto il suo scopo. Gli artisti dell'agenza di Atene hanno organizzato una barca e un pranzo
per i rifugiati nella vicina isola di Makronissos, e il PKK ha consentito che vi partecipino tutti quelli di Lavrio. Io
seguo Lorenzo e Matteo che vanno nella stanza accanto per consegnare una lettera ad un vecchio
dall'Azerbaijan. È incredulo. Non perché uno straniero gli abbia scritto, ma che sia un marinaio. Come può una
nazione senza sbocco sul mare produrre dei marinai? E ancora, questo marinaio è attualmente confinato a bordo
di una nave abbandonata nel porto di Napoli? L'equipaggio ha abbandonato la nave ed egli è impossibilitato a
scendere. Parlano in italiano e inglese, noi traduciamo in greco. Attraverso le parole di un ragazzino afgano di
11 anni, che traduce per noi in Turco. L'Azero dal suo letto ascolta. Le lacrime sgorgano dalle borse profonde
sotto i suoi occhi. La nave che ci condurrà a Makronissos sta suonando la sirena. Giriamo l'angolo e siamo fra
gli ultimi ad imbarcarci.
È un viaggio breve! Grida Marina
Vuol dire che è quell'isola lì? mi intrometto.
Sì, proprio quella. Su, andiamo.
Ho sempre pensato che Makronissos debba il suo nome al fatto che è lontano dalla terraferma. La scena del film
di Volgari "Stone Years", dove due giovani amanti si guardano l'un l'altro dalle due estremità di una barca, mi ha
suggerito che il viaggio del loro esilio fosse lungo, come l'inverno. Makro significa anche lungo. È anche l'isola
dove si rifugiarono Paride ed Elena nella loro fuga da Troia.
Il Capitano della nostra barca conta le teste e ci grida di stare fermi. Ha visto la barca della polizia marittima che
incrocia alla bocca del porto ed ha paura di una multa. La barca è carica oltre il limite consentito. Ma chi deve
scendere, artisti o rifugiati? Ok, basta ironie gratuite, ci accordiamo per fare due viaggi, e ci dividiamo in due
gruppi.
Mentre la barca salpa io prendo posto su una panchina con un giovane di nome Alex. Scambiamo qualche
battuta sul Capitano e sull'arrivo dei rifugiati. Rabbrividisce mentre ricorda la scialuppa gonfiabile su cui è
arrivato. Alex ha addosso una maglietta del Manchester United e ha un tatuaggio con la croce greca ortodossa
sul braccio. Concordiamo sul fatto che Ryan Giggs sia un'ala notevole. Gli dico che io vengo dall'Australia e che
ho vissuto per molti anni a Manchester. Dice che gli sarebbe piaciuto andare in Australia ma che non ha osato
passare dall'Indonesia. È solo là che potrebbe trovare qualcuno disposto a trasportarlo in Australia. Il viaggio
attraverso il mare è troppo costoso e portare il denaro per un viaggio così lungo sarebbe un grosso rischio.
Invece Alex ha raccolto circa 12.000 € per pagare diversi passaggi attraverso l'Iran, la Turchia, la Bulgaria e poi
in Grecia. Ad ogni passaggio ha dovuto pagare una persona diversa per passare un diverso confine. Pagando
"paketo", "paketo". Qualche volta si è fermato per poco tempo, ma in altro casi, come in Bulgaria, ha docuto
aspettare un paio di mesi prima di trovare qualcuno che lo aiutasse ad arrivare a Salonicco. Da lì gli hanno
consigliato di prendere un treno per Atene, perché Salonicco è vicino al confine ed aveva paura di essere
rispedito indietro. Non gli ho chiesto che cosa sia successo alla scialuppa gonfiabile.
Alex ha vissuto in Grecia per sette anni. Mi mostra con fierezza la foto del suo padrino greco. Vive a Lavrio, ed
avendo ricevuto una serie di visti di 6 mesi, lavora facendo varie attività manuali e mette da parte abbastanza
soldi da aiutare sua madre e sua sorella in Afghanistan. Si è convertito al cristianesimo mentre era in una
prigione afgana. C'è la memoria amara dell'intolleranza Talebana verso tutte le altre fedi e il loro disprezzo per
le vite degli altri che non si attengono ai loro codici. Sulle sue braccia ci sono molti altri tatuaggi, la maggior parte
sembrano fatti a mano, i soli cuori, con il suo sorriso alla Willem Dafoe gli conferiscono un aspetto un po'
bizzarro. Quando la nostra barca è arrivata a Makronissos è stato il primo a scendere. Ha guardato indietro verso
di noi, mentre l'equipaggio annodava le cime, con un piccolo sorriso di compiacimento.
Makronissos è il nome più temuto per un'isola greca. Significa esilio, tortura e umiliazione. E tanto più crudele
in quanto la terra ferma era così vicina, così visibile e così crudelmente accanto. A ricordare a tutti quanto è lunga
la strada per l'inferno. Solo i bambini la vedono come un campo giochi all'aria aperta. E quelli i cui parenti sono
ancora in patria sono i primi a prendere una pietra e picchiare sull'erba.
I soli abitanti sono ora tre pastori Pakistani. Le pecore e le capre sono dappertutto sull'isola, e dove ci sono i
rifugi ci sono mucchi di letame. I pastori stessi sembrano essere svaniti nella loro solitudine eletta. Cominciamo
con alcune formalità. Uno di Nikos Tranos e un leader del PKK fanno un discorso, in cui annunciano l'ovvio
proposito di questo evento. Il racconto ha bisogno di poche parole in mezzo alle rovine dei teatri abbandonati,
della prigione abbattuta e ai frammenti di muro. Nikos suggerisce che si cominci pulendo un'area. Ognuno deve
raccogliere poche pietre.
Ai prigionieri veniva data una pietra che portavano su e giù lungo le colline di Sisifo.
Cominciamo a segnare un altro punto, facendo un'altra pila. Improvvisamente i curdi si uniscono a noi, sempre
più pietre si accumulano sul fango. È come un crescendo. Mhafouz mi dice che mentre I Cristriani raccoglievano
pietre per marcare un luogo, I Zoroastriani tiravano pietre per allontanare il diavolo. Questa pulizia ed esorcismo
sono come due facce della stessa medaglia, diverse strade per il paradiso.
Lungo tutti I venti metri del muro è stato steso un foglio di carta, come una lunga tovaglia. Pane, formaggio, olive,
pomodori, cetrioli, acqua e vino. Pane, formaggio, olive, pomodori, cetrioli, acqua e vino. Pane, formaggio, olive,
pomodori, cetrioli, acqua e vino…Gli uomini di Lavrio si accovacciano sulle anche. Sul lato più basso, noi stiamo
in piedi, tutti al livello dello sguardo, ma tutti che mangiano e scherzano tranquillamente. Avrebbe potuto essere
come un rituale, ma era più semplice, leggero e profondo. L'Egeo scintillante applaude schioccando contro la
riva.
Nikos Papastergiadis.
ris on|agencyParis on|agencyParis on|agencyParis
Egnatia / ECObox: u n a t e l i e r t r a n s l o c a l e
AAA porta avanti da quattro anni un lavoro di ricerca e di
intervento sulle strategie e sui dispositivi urbani, a partire
dalle pratiche quotidiane che permettono una
reinvenzione permanente dello spazio sociale e politico
della città contemporanea.
Per questo lavoro, AAA sviluppa degli spazi urbani aperti
alle dinamiche spontanee avviate dagli abitanti e alla
creazione di luoghi di sperimentazione di nuove forme
culturali e di socialità.
Sviluppato a partire dal 2001 nel contesto multiculturale
specifico del quartiere La Chapelle (un quartiere parigino
abitato per più del 35% da una popolazione di origine
straniera), il progetto ECObox ha realizzato uno di questi
luoghi urbani di transizione.
AAA partecipa al progetto Egnatia e al "monumento
transnazionale delle memorie disperse" con una versione
dislocata, dettagliata al livello delle pratiche quotidiane
delle popolazioni migranti nella città contemporanea: è un
"monumento al quotidiano" attivo, che prende delle forme
materiali, economiche, ma anche immateriali, portate
dalle reti, dai saperi e dalle pratiche di una popolazione
urbana multiculturale/transculturale e mobile, proveniente
dai diversi paesi e dai diversi tipi di migrazione (politica,
economica, post-comunista, post-coloniale, post-bellica,
ecc..)
In che modo questo "monumento al quotidiano" potrà
inscriversi all'interno della vita di tutti i giorni di questi
"migranti", considerati nella loro posizione di abitanti di un
quartiere, di una territorialità multipla e diffusa, ricca di
molteplici culture?
In che modo i loro spostamenti territoriali assurgono a
questa scala del quotidiano? Quali altri micro-spostamenti
a quali riterritorializzazioni operano a questa scala?
In che modo questi spostamenti marcano anche
l'immaginario e la soggettività individuale e collettiva ?
In che modo questi spostamenti modificano i saperi e i
saper-fare? In che modo questi stessi spostamenti (e
deterritorializzazioni) diventano dei "saper-fare"?
In che modo essi creano un altro quotidiano urbano, un
quotidiano mobile e translocale? In che modo mappare
questi territori mobili in quanto spazi mentali, sociali e fisici
che ci inglobano?
Noi abbiamo constatato che gli abitanti "migranti" passano
da una mobilità fisica a una mobilità economica e
culturale. Portano sempre delle dinamiche translocali
all'interno dei luoghi dove abitano o lavorano. In che
misura queste dinamiche possono divenire anche delle
dinamiche politiche ancorate al locale?
In che misura potranno realizzare un "terzo spazio" sociourbano nella città, condiviso, mobile, in evoluzione, ibrido,
trans-culturale, più "differenziale" - nel senso di Saussurre
- e meno "identitario"?
Quale "biodiversità di pratiche" e di modi di vivere insieme
sarà possibile nelle attuali città globalizzate?
E, infine, come questo "monumento del quotidiano,
transnazionale e degli attraversamenti territoriali"
partecipa di un ecologia socio-politica della città
contemporanea?
AAA si interessa all'auto-organizzazione di queste
popolazioni provenienti dai diversi paesi e dai diversi tipi
di migrazione a livello di quartiere.
In occasione del progetto Egnatia, vogliamo confrontare le
situazioni osservate su piccola scala e in un contesto
parigino con gli studi portati avanti dagli altri partners di
progetto. Noi utilizziamo ECObox come luogo di incontro
e di scambio fra le popolazioni che abitano il quartiere e i
"dispositivi urbani mobili" messi in azione all'interno del
progetto (cucina mobile, biblioteca mobile, network translocale, ecc), come dispositivi per il lavoro "sul campo"
portato avanti dal nostro gruppo in questo contesto di
ricerca multidisciplinare.
Sono stati organizzati a ECObox una serie di micro-eventi
locali, utilizzando questi dispositivi al fine di avviare delle
micro-dinamiche e di attivare delle reti translocali (incontri,
concerti, dibattiti, letture, discussioni, feste, pranzi in
comune, laboratori, …).
Sono state create situazioni di ricerca e di lavoro proprio
allo scopo di discutere il materiale documentario prodotto
nel corso di questi micro-eventi (discussioni
metodologiche, scambio d'esperienze, contatti).
L' atelier d'architecture autogérée (aaa) è una piattaforma
interdisciplinare che sviluppa delle "strategie" e delle
"tattiche" di ricerca e di intervento in materia di
organizzazione urbana da molteplici punti di vista:
architetti, urbanisti, artisti, studenti, attivisti, ricercatori,
politici, abitanti e futuri utilizzatori degli spazi.
(www.urbantactics.org).
Abbiamo preso il termine "tattiche" dalla sociologia di
Michel De Certeau che lo utilizza per descrivere le pratiche
del quotidiano, le arti del fare, le astuzie e le modalità
d'azione attraverso le quali " l'uomo ordinario " resiste alla
"società dei consumi".
cfr. Michel De Certeau, L'invention du quotidien 1. arts de
faire, Unions générale d'éditions, 1980.
Le tattiche urbane sono pertanto degli strumenti di
interrogazione e d'azione, che utilizzano diversi tipi di
intervento: reti trans-locali, strutture temporanee e flessibili,
architetture nomadi, dinamiche di transizione, spazi
collettivi autogestiti, produzioni culturali trans-locali. Esse
mettono in pratica degli spazi urbani transitori, dei luoghi
che permettono la sperimentazione di nuove forme culturali
e di socialità.
ris on|agencyParis on|agencyParis on|agency Paris
Due dei micro-eventi :
Che cosa mangiamo?
Pranzo a ECObox, 22 gennaio 2005
(raccolta di saper-fare culinari e letture incrociate - utilizzando
due dei moduli mobili di ECObox: cucina urbana e bibliotecamobile)
Partecipanti: AAA, partecipanti a ECObox e abitanti di La
Chapelle : Doina Petrescu, Constantin Petcu, Marion Baruch,
Béatrice Rettig, Giada Mangiamelli, Jean-Baptiste Bayle,
Myriam Rambach, Ousmane Sakho, Nathalie Magnan, Reine
Prat, Michelle Chevillon, Abdulaye Sy, Marcela Poucova, Arben
Iljazi, Fabienne Molinier, Leïla Charbi, Mireille Figeac,
Gwenaelle Sachet.
La rappresentazione dei luoghi, degli spostamenti e della
loro memoria nelle pratiche quotidiane.
La rappresentazione delle diverse territorialità attraverso la
cucina e l'intersezione fra questa attività e l'attività di lettura.
Mettere in evidenza gli spostamenti, gli incroci ed i viaggi
all'interno dei saperi. Trasmettere e scambiare storie soggettive,
ricette, saperi e saper-fare personali che hanno attraversato
spazi territoriali e generazionali. Riscrivere questa trasmissione,
questo spostamento, nella vita di tutti i giorni. Da un "qui ed ora"
verso un "altrove ed ora"; nuovi contesti economici, culturali e
sociali. In che modo questi saperi si integrano "nell'economia
quotidiana"?
Che cosa mangiamo? A volte mangiamo dei ricordi…mangiamo
quello che abbiamo mangiato una volta e che ci è piaciuto.
Mangiamo quello che ci ricorda dei momenti e dei luoghi.
Mangiamo dei desideri. Insieme con le carote, tagliamo anche
dei nuovi pensieri e delle domande, dei sapori e dei saperi.
Come dice Michel de Certau, "piuttosto che restare nell'ambito di
un discorso che mantiene la sua posizione di privilegio
invertendo il suo contenuto (…), possiamo tentare un'altra
strada: analizzare le pratiche micro-vitali, singolari e plurali". In
un'epoca dominata da dei processi mondializzati, questa microscala dei discorsi e delle interrogazioni multiple diviene il luogo
dove il translocale è ancora possibile. Conservare una
temporalità di scambio, resistere e opporsi al consumismo
attraverso la preservazione di pratiche di scambio translocale.
Geografie mobili dei saper-fare
Workshop e piattaforma radio mobile condivisa, 7-19
febbraio 2005
Partecipanti: AAA, partecipanti a ECObox e abitanti de La
Chapelle (Constantin Petcou, Doina Petrescu, Marion Baruch,
Béatrice Rettig, Giada Mangiamelli, Jean-Baptiste Bayle,
Myriam Rambach, Michelle Chevillon, Abdulaye Sy, Arben Iljazi,
Fabienne Molinier,…) ; ON-Stalker (Lorenzo Romito, Peter Lang,
Celeste Nicoletti) ; studenti (Thomas Huguen, Romain Parent,
Simon Le Rouic, Jerome Goyard, Baptiste Hamel, Camille
Aubry, Camille Tissier, Audrey Toribio, Elsa Lacombe, Sébastien
Vallat, Hervé Samin, Jaouida Zehou, Yanniq Loiseau, ecc.);
Alain Guez et Laurent Malone.
Il workshop, che coinvolgeva specificatamente studenti della
Scuola d'Architettura di Parigi Malaquais e alcuni abitanti del
quartiere, si proponeva di cartografare le molteplici territorialità
che si incrociano a La Chapelle. Una parte delle cartografie si
focalizzavano soprattutto sul piano terra, che contrasta per la
sua multiculturalità con i piani d'abitazione veri e propri, a
maggioranza francese.
Il "piano terra" è il luogo di enunciazione di una presenza
economica e culturale migrante, attivo nello stesso tempo alla
scala del quartiere e ad una scala globale. Altri territori lontani
partecipano così, a tutti gli effetti, allo scambio economico e
sociale di un quartiere. Il "piano terra" del quartiere è divenuto
dunque un "terzo spazio", come direbbe E. Soja, che attraversa
i territori sociali, politici e immaginari della città contemporanea.
La cartografie hanno messo in evidenza i poli culturali ed
economici minoritari, le dinamiche e le reti micro-locali e translocali, le riterritorializzazioni spaziali della città per
appropriazione simbolica (nomi di caffè, ristoranti, scritture
multiple, manifesti e comunicazione locale, …).
Esse hanno anche mappato le attività "visibili" delle popolazioni
arrivate recentemente nel quartiere e i saper-fare integrati
nell'economia locale, ma anche i saper fare emergenti e
"discreti" (parrucchiere, abbigliamento, cucina, lingue, …). La
cartografia è stata completata da una raccolta dei racconti legati
a queste attività: storie, progetti di vita, desideri … .
Problematiche sospese :
Frontiere e zone di conflitto; popolazioni emarginate;
mescolanza tra comunità; prostituzione; lavoro, commercio e
mercato nero, ... .
Fenomeni recenti (nuove attività, territorialità, progetti politici,
politiche immobiliari "classiche" e "minoritarie", ...).
Una prima zona :
Il villaggio Tamil (rue Saint Denis - Gare du Nord - La
Chapelle)
Una delle presenze visibili e costituite attraverso
riterritorializzazioni successive è il "villaggio tamil" (India e Sri
Lanka). L'immigrazione tamil è un'immigrazione innanzitutto
politica e solo in secondo luogo economica.
Il villaggio tamil è comparso e si è sviluppato negli ultimi 15 anni,
guadagnando una forte identità comunitaria negli ultimi 5 anni.
Attualmente è visibile una prosperità economica che porta con
sé anche un riconoscimento sociale.
Domande :
Quali tipi di rappresentazione? Da quale punto di vista
rappresentiamo questi fenomeni?
Queste cartografie hanno messo in discussione la posizione del
cartografo: mediatore, interprete... tra una dinamica territoriale e
culturale e la sua rappresentazione.
oma on|agencyRoma on|agencyRoma on|agencyRom
prima...
o
t
giovedì 2 dicembre 2004:
SGOMBERO DI CAMPO BOARIO t
o
b
r
6:30 e
Arrivo delle forze di polizia
_ingresso delle forze di polizia
(Polizia
di
Stato,
Polizia
Municipale e Carabinieri) e degli
operatori dell'AMA nel Campo
Boario
_le forze dell'ordine presidiano in
massa e chiudono al pubblico gli
accessi al Campo Boario
_gli abitanti delle baracche
vengono "invitati" ad abbandonare
in fretta le proprie case.
Inizio operazioni di smantellamento
_gli operatori dell'AMA iniziano a
smantellare pezzo per pezzo la
baracca-atelier di Antonio "il
pugliese"
_iniziano
le
operazioni
di
demolizione delle recinzioni
abusive delle stalle dei cavallari
_Rom e Kurdi assistono con
tranquilla
impotenza
alla
demolizione delle abitazioni dei
loro vicini
Entrano in azione le ruspe
_le
ruspe
cominciano
le
operazioni di demolizione delle
baracche costruite nell'area alle
spalle della torretta centrale
_inizia il via vai di camion
dell'AMA e della Nuova Superiride
che portano via le macerie
_gli sfollati, raccogliendo in fretta
e furia le proprie cose,
abbandonano le baracche e
cominciano a radunarsi nel
piazzale antistante il Campo
Boario
2
0
0
4
8:30 m
a
p
p
a
t
u
10:30 r
a
abitare
"Modalità insediative" è il termine con cui si è scelto di denominare
quella serie di processi creativi spontanei che hanno portato nel
tempo le comunità o le singole persone a trasformare lo spazio
originario del Campo Boario nel proprio spazio abitativo. Il
processo di riappropriazione dello spazio e di affermazione delle
proprie modalità abitative è uno degli elementi più interessanti
del patrimonio umano e culturale del Campo Boario. Le persone
nel tempo hanno trasformato uno spazio che era originariamente
destinato al deposito degli animali in un luogo dove vivere e
svolgere delle attività, ed ognuno ha scelto di farlo a suo modo,
rivelando il profondo legame con le proprie radici sociali e
culturali. Se questo aspetto è vero e particolarmente significativo
per quei soggetti che possono contare sul sostegno e
sull'organizzazione di una comunità (come ad esempio Curdi, Rom
Kalderasha, Villaggio Globale, ma anche "soggetti autonomi" come
Antonio, il falegname o il laboratorio Alchemia). Più complessa è
la situazione di coloro che vivono, in condizioni di emergenza
abitativa ed emarginazione sociale. Il Campo Boario costituisce
per queste persone un rifugio precario, un luogo dove la
soddisfazione delle necessità primarie è una condizione di
sopravvivenza.
relazioni
Il Campo Boario è un luogo in cui convivono quotidianamente più
di duecento persone che provengono da paesi e culture differenti.
La trasformazione dello spazio abbandonato in spazio abitato è
influenzata in maniera determinante non solo dalle esigenze e
dalle modalità insediative dei singoli e delle comunità, ma anche
dalle relazioni instaurate tra di essi. Soprattutto tra i soggetti più
stabili e forti, quelli che costituiscono delle comunità (Villaggio
Globale, Rom Kalderasha, Curdi), si sono stabiliti dei rapporti di
cooperazione (è il caso ad esempio dei Curdi che lavorano
saltuariamente per il Villaggio Globale), ma anche di esclusione:
sono accordi, più o meno espliciti, per i quali ognuna delle parti
circoscrive un proprio spazio di pertinenza attraverso limiti fisici e
virtuali che definiscono la propria autonomia (recinzioni, percorsi,
gestione degli spazi pubblici o semi pubblici). Questo sistema di
relazioni è stabilito però anche attraverso elementi meno
evidenti, come ad esempio la gestione di risorse fondamentali
come l'acqua e l'elettricità, che permettono ai soggetti più forti e
consolidati di esercitare un potere di controllo sugli altri o
comunque di mantenere una propria indipendenza. Una parte dei
soggetti, infine, soprattutto coloro che non abitano nel Campo ma
vi svolgono solo delle attività, ha interesse a mantenere la sua
totale autonomia, stabilendo dei rapporti soltanto con l'esterno (è
il caso ad esempio dei vetturini o dello Zoobar). In ogni caso le
relazioni che si sono stabilite tra i vari soggetti sono perlopiù tese
a definire una pacifica convivenza e il rispetto delle singole
autonomie: quasi mai si arriva ad una vera e propria
collaborazione, che potrebbe portare il Campo Boario ad essere
riconosciuto come una "comunità delle comunità".
ma on|agencyRoma on|agencyRoma on|agencyRoma
attività
Esiste una corrispondenza diretta tra le condizioni sociali, le radici
culturali e le attività che svolgono i soggetti che abitano il Campo
Boario. Tale rapporto influenza profondamente le varie modalità di
abitare e trasformare lo spazio, ed è anche il principale canale
attraverso il quale i soggetti e le comunità si relazionano tra di loro
e soprattutto verso l'esterno.
Le attività sono principalmente di tre tipi.
Vetturini e cavallari in primo luogo, ma più recentemente anche la
famiglia rumena con il suo maneggio di pony, portano avanti ancora
oggi, attraverso la loro attività, il legame ancestrale che quest'area
alle porte di Roma ha avuto da sempre con gli animali. In secondo
luogo le attività artigianali e artistiche, che sono espressione delle
identità e delle tradizioni culturali delle comunità (Curdi, Rom
Kalderasha, Villaggio Globale), o anche della creatività e della
passione di singoli (Antonio, il laboratorio Alchemia, il falegname
etc.). Infine le attività legate alla vocazione contemporanea
dell'area di Testaccio e Ostiense, quella di centro della cultura e
dello spettacolo (Villaggio Globale, Zoobar, Ararat).
Il lavoro è comunque, insieme all'emergenza abitativa, una delle
problematiche più sentite, soprattutto dai soggetti che vivono in
condizioni più disagiate, per i quali trovare un'occupazione è non
solo indispensabile per rimanere in Italia con un regolare permesso
di soggiorno, ma è spesso una questione di sopravvivenza.
storie
Il Campo Boario è uno di quei luoghi che, per le particolari
condizioni morfologiche e di utilizzo, accoglie tra le sue pieghe le
contraddizioni della città contemporanea. È prima di tutto un
rifugio, uno spazio di accoglienza per coloro che vivono per scelta
o per necessità ai bordi della civiltà urbanizzata. Esplorare questa
realtà significa prima di tutto entrare in contatto con le persone
che la vivono, e con il bagaglio di storie che si portano dietro. Il
futuro di queste persone, come quello del Campo Boario come
luogo di accoglienza, come città di città sovrapposte, si può
costruire a partire dal loro passato, dalle motivazioni che li hanno
spinti a cercare un riparo, una possibilità diversa di costruire il
proprio spazio.
In queste settimane ci siamo immersi nelle vicissitudini dei singoli
e nelle storie delle comunità, cercando di capire i problemi di ieri,
le necessità di oggi e le speranze per il domani. Restituire le
esperienze di persone in viaggio da paesi lontani non migliorerà
direttamente le condizioni di vita disagiate, ma può essere il primo
passo per comprendere e dare voce alle necessità, per costruire,
attraverso il dialogo e la conoscenza reciproca, una realtà
d'integrazione delle culture.
Workshop con la Università degli Studi Roma Tre Facoltà di Architettura, coordinatore Francesco Careri
t_spoon (Nina Artioli, Matteo Di Sora, Paola Fusco, Alessandra Glorialanza, Daniela Pastore, David Rizzuti, Davide
Sacconi, Eliana Saracino, Simone Stabile)
12:00
Comincia la disinfestazione
_iniziano le operazioni di
disinfestazione delle parti delle
baracche già demolite
_le persone sgomberate dalle
baracche affollano ormai il
piazzale esterno, in attesa di
conoscere
la
loro
nuova
destinazione dagli assistenti
sociali del Comune
_si cominciano a smantellare
anche le baracche costruite a
fianco di ARARAT
Le baracche sono rase al suolo
_nel giro di poche ore il grosso
delle baracche è ridotto ad un
cumulo di macerie
_gli operatori dell'AMA procedono
alla disinfestazione completa
dell'area demolita
_gli sfollati attendono ancora
notizie sulla loro sorte, si
prospetta per loro una notte
sotto le stelle
15:00
19:00
Conclusione delle operazioni
_arrivato il buio si concludono le
operazioni di questa prima giornata di
sgombero
_solo grazie all'intermediazione
di un gruppo di architetti e
studenti si riesce a fornire agli
sfollati un'assistenza alloggiativa
provvisoria.
_la polizia rimane a presidiare la
zona
in
previsione
delle
operazioni di demolizione e
bonifica dei giorni seguenti.
...dopo
cts on|projects on|projects on|projects on|projects
L'Egnatia e l'Osservatorio Nomade
E' difficile distinguere lo sviluppo del progetto Egnatia dallo sviluppo del soggetto che lo sta
realizzando, l'Osservatorio Nomade.
Entrambi si propongono come il costituirsi di identità transnazionali, molteplici e collettive allo stesso
tempo.
Il tentativo di agire tale progetto da parte dell'Osservatorio Nomade, costituisce esso stesso una azione
fondante di una possibile identità per chi ci si sta dedicando. Così come il progetto Egnatia è esso
stesso un fondamento di quell'attore sociale in fieri con mandato e strumenti pubblici, convocatosi alla
narrazione di una possibile comunità transnazionale, attraverso i confini d'Europa, lungo la Via
Egnatia.
Esiste una circolarità fra il costituirsi di un percorso/discorso, l'Egnatia, il suo espletarsi in un soggetto
agente ed in un progetto agito, e la creazione degli strumenti con cui realizzare il tutto.
Si sta cercando con impegno di raggiungere un livello di azione/narrazione condivisa, di tracciare i
confini, seppur aperti, di un soggetto comunitario transdisciplinare e transnazionale, l'Osservatorio
Nomade, e di uno spazio pubblico, il "monumento transnazionale Egnatia", immaginato come possibile
territorio/narrazione di una altrettanto auspicata comunità: una comunità inclusiva e non esclusiva,
fondata sullo sdradicamento piuttosto che sulle radici.
Infatti il progetto Egnatia, con la prospettiva di realizzare un monumento transnazionale, uno spazio
pubblico attuale per la condivisione delle memorie, intende contribuire alla costruzione di una possibile
comunità transnazionale; una nuova possibile identità, può sembrare una prospettiva ambiziosa
quanto velleitaria, ma in realtà risponde piuttosto ad una urgenza, più che un obiettivo è uno stimolo,
una possibilità a cui tentare di dar luogo.
Una identità possibile, costitutivamente altra rispetto alle identità uniche ed esclusive realizzate nella
modernità dagli stati nazionali attraverso le grandi narrazioni mitiche a cui appartengono solitamente i
monumenti. L'identità a cui si tende, attraverso la costruzione di una narrazione Egnatia, trova il proprio
fondamento inclusivo nell'esperienza, più o meno drammatica, della dislocazione. Ovvero nella
sempre più diffusa e attuale condizione di sdradicamento e di appartenenza molteplice a cui questo
progetto vuole dare voce.
On|Salento
La partecipazione e il
coordinamento di una
parte significativa del
Festival di Negroamaro
in Salento incarnano il
coronamento della
dimensione pubblica e di
apertura alle comunità
locali dell’intero
progetto. La Via Egnatia
sarà simbolicamente
ripercorsa in Salento
attraverso suoni,
immagini, voci e sapori.
L. R.
(continua da pag.2)
La focalizzazione di alcuni filoni di ricerca e di azione che vengono
portati avanti da collaborazioni di ricercatori ed artisti attraverso le
agenzie, piuttosto che non dalle agenzie stesse, sta portando al
costituirsi di quelle che potremmo chiamare delle "agenzie
transnazionali", ovvero collaborazioni tra artisti delle diverse agenzie
su tematiche specifiche.
Questo è ben evidente in tutte le ricerche, al di là dello stato di
avanzamento, nelle quali si sta canalizzando il progetto, e che dopo
otto mesi di lavoro sembrano ormai chiaramente identificate.
Lungo l'Egnatia tra confini e minoranze, un progetto portato avanti
attraverso una serie di viaggi dal Salento verso l'Albania, la Macedonia
e la Grecia. Il primo viaggio è stato presentato nel primo numero di
questo giornale, e altri due vengono presentati qui di seguito.
Le dinamiche della diaspora curda in Europa, unica ricerca
delocalizzata rispetto al percorso fisico dell'Egnatia e presentata nelle
pagine seguenti.
Salonicco per un riemergere pubblico delle memorie rimosse, un
progetto che prende le mosse dal workshop "ghostbustering in
Thessaloniki" realizzato durante l'incontro di Salonicco e presentato
anch'esso nelle pagine seguenti, sottoforma di gioco su base
cartografica.
Le traduzioni dello scambio, progetto che prende le mosse dalle
raccolte di storie, individuate da Marina Fokidis e presentate anch'esse
a Salonicco, con le quali si sono iniziati una serie di laboratori di
traduzione, che faranno transitare le storie, dal greco al turco e
viceversa, fino all'italiano, affidando le traduzioni a comunità di
minoranze linguistiche sospese tra le lingue che traducono.
Along the Egnatia
è un film ad episodi che
nasce dall’intuizione di
Matteo Fraterno, con la
collaborazione e la regia
di Davide Barletti (Fluid
Video Crew).
L’Osservatorio Nomade ha
attraversato l’Egnatia
con l’intenzione di
incontrare, scoprire e
lasciarsi sorprendere
dall’enorme partimonio di
intrecci e
stratificazioni che
costituiscono la storia
dei paesi e delle persone
che vivono lungo la Via
Egnatia.
Tralasciando l'obiettivo di una pubblicazione di tutte le attività del
progetto che non potrà che essere il naturale completamento
dell'ampio lavoro di resoconto fin qui svolto attraverso gli strumenti del
network sopra menzionati, vorrei, per concludere, affrontare quello che
credo essere il più importante e più impegnativo degli obiettivi, ovvero
la sintesi in una narrazione poetica unitaria dell'intero progetto.
L'elaborazione di una sintesi poetica del progetto non può ovviamente
procedere linearmente e per gradi. Il lavoro fin qui svolto, lo scambio e
l'interazione tra i soggetti che partecipano al progetto lascia ben
sperare nella possibilità di raggiungere tale sintesi. Sicuramente sarà
proprio l'incontro in Salento il momento in cui verificare la fattibilità di
tale sintesi.
Il prossimo incontro salentino è stato impostato affinché l'incontro tra gli
attori del progetto, l'incontro con i protagonisti e le loro storie raccolte
sul campo, quello con il pubblico possano trasformarsi in una comune
e continua azione/narrazione condivisa, premessa necessaria per
agire collettivamente un atto poetico di sintesi.
" Siamo entrati irreversibilmente in un mondo politeistico in cui i
linguaggi e i sistemi di riferimento sono sempre diversificati, ma in cui
occorre convivere mettendosi d'accordo sulle regole comuni. La
convivenza non è più garantita se non dalla nostra capacità di metterci
d'accordo. La ricerca essenzialista di basi stabili per la nostra identità
alimenta facilmente nuovi fondamentalismi che si traducono in
intolleranza e violenza. La possibilità di mantenere le nostre narrazioni
sufficientemente aperte perché possano essere luoghi di incontro è
una delle strade che abbiamo a nostra disposizione per ridurre questa
minaccia. Si tratta di fare di questa narrazione non solo un'esperienza
privata, ma uno spazio pubblico dove la diversità della parola possa
essere contenuta e ascoltata senza violenza" (A. Melucci, Culture in
gioco, differenze per convivere. Milano 2000).
Lorenzo Romito
ad un
proge
ts on|projects on|projects on|projects on|projects
Kurds on the map
è un progetto di
mappatura dinamica e
sensibile della geografia
delle identità culturali
europee. Attraverso
l’incontro e
l’osservazione della
diaspora della
popolazione curda, cerca
di mettere in evidenza lo
scambio e le reciproche
influenze fra le identità
culturali anatoliche e il
contesto europeo.
On|Thessaloniki
Il workshop e l’incontro
con la città di Salonicco
rappresentano il lavoro sul
campo come momento centrale
nella metodologia e nella
pratica dell’Osservatorio
Nomade, andando alla
ricerca del possibile punto
di contatto fra la
stratificazione storica e
culturale e il tessuto
vitale della città.
Scambio di popolazioni
Dopo aver messo per la
prima volta in
comunicazione, grazie a
Marina Fokidis, le
fondazioni che da anni
raccolgono le storie e le
memorie di coloro che
hanno vissuto in prima
persona il trauma dello
scambio di popolazioni fra
Grecia e Turchia in
seguito al Trattato di
Losanna del 1923, il tema
della conservazione della
memoria e della sua
importanza nel presente
rappresenta uno dei cardini
attorno al quale si
articola il progetto.
etto transnazionale
nia on|fieldMacedonia on|fieldMacedonia on|fieldMaced
Along the Egnatia
Seconda tappa
Diario di viaggio di Davide Barletti (Fluid Video Crew)
La seconda tappa del viaggio lungo la Via Egnatia comincia il pomeriggio del 27 novembre
2004 a Lecce.
La macchina di Geco, con la quale affronteremo il viaggio, è gia semipiena di masserizie: oltre
all'attrezzatura tecnica, a un litro di olio d'oliva e a una damigiana da 5 litri di vino nostrano,
spiccano per la loro pesantezza le due chianche in pietra leccese: anche questa volta
testimonieranno le storie che andremo a raccogliere al di là del mare, presenze cariche di
licheni che troveranno una loro collocazione lungo il tragitto della Via Egnatia.
Si parte alla volta di Bari, lì ad attenderci alla stazione troveremo il principe dell'accelerazione
relazionale, Matteo Fraterno, questa volta accompagnato dal fotografo francese Laurent
Malone. Il viaggio verso il capoluogo pugliese scorre tranquillo. Ripenso alla precedente tappa:
a guidare il nostro primo viaggio lungo la Via Egnatia, era stata la storia dell'attore italoalbanese Nicolino Gioia, questa volta pare che sia un libro, il faro da seguire: "Vite di confine"
di Piero Vereni, una sorta di ricerca antropologica nella zona di confine tra la regione greca di
Macedonia e la Repubblica di Macedonia. Tra le pagine del libro sembra che Fraterno abbia
individuato delle possibili "chianche", ovvero delle possibili storie: io mi fido a modo mio, Geco
stenta a capire, ma si fida anche lui.
Arriviamo alla stazione di Bari, eccoli là i due: Matteo e Laurent, ovvero una straordinaria
coppia televisiva stile anni '60, un duetto di detective del territorio, con il loro fascino un po'
retrò. Dopo una veloce cena a base di pesce, ci si incammina per il porto: la nave Adriatica ci
attende.
Sistemati nella cabina, rigorosamente con oblò e con doccia, ci lasciamo andare a un lungo
sonno sul canale d'Otranto. La mattina si arriva in terra albanese, porto di Durazzo. Io e
Fraterno ci sentiamo un po' a casa: ci fiondiamo dal buon vecchio Tafa, il nostro "portale" in
Durazzo, il proprietario dell'hotel Mediterraneo, amico di Nicolino Gioia. Tafa è il mare in
persona, vecchia pellaccia con il suo italiano stentato, gran cuoco di pesce: ci accoglie nel suo
hotel rifocillandoci con una ricca colazione e promettendoci una mangiata di pesce al nostro
rientro, da lì a una settimana. Lo salutiamo, si parte per la Macedonia, l'Albania questa volta
può attendere.
Il tragitto verso il confine è lungo: bisogna affrontare 180 km di strada messa un po' male e poi
ogni 15 km io e Malone obblighiamo gli altri a fermarci per catturare un po' di immagini;
insomma, un viaggio visivo ci accompagna verso le terre macedoni.
Piove, il cielo è grigio, passiamo per Elbasan e le sue fabbriche di cemento ormai chiuse:
enormi cattedrali erette per costruire povere case e tanti (800.000!!) bunker, simboli di una
paranoia da invasione, che ha accompagnato il regno di Enver Hoxa per 40 anni.
Ci affianchiamo al fiume Sciumpì, che risalirà l'Albania con noi per poi tuffarsi nelle acque del
lago di Ochrid, in Macedonia.
Frontiera albanese-macedone, paghiamo un dazio a noi sconosciuto, entriamo in un nuovo
paese, con un nuovo nome: qualcuno la chiama Macedonia, qualcun altro Repubblica di
Macedonia, qualcun altro ancora FYROM. Insomma, basta questo a farci capire quanto la
geografia politica sia un semplice punto di vista, appannaggio di chi decide le sorti di interi
popoli. Allo stesso modo, sia che a decidere siano i pascià turchi o i fascisti italiani, i
nazionalisti greci o i comunisti serbi, i baronetti inglesi o i selvaggi sognatori della Grande
Albania: a rimetterci è sempre la gente di confine.
È ormai pomeriggio inoltrato, Fraterno scopre le sue carte. Ad attenderci sul lago di Prespa -e
precisamente nel villaggio di Sirhan- ci sarànno Simone Uzuvnsokj e suo figlio Nikola (giovane
artista che ci aveva accompagnato nel precedente viaggio in Albania), verremo accolti nella
loro bellissima casa sulle rive del lago, un edificio in puro stile '70, in disuso però da circa un
anno. Eccolì là: li troviamo per la strada ad attenderci, sulle rive di uno dei più bei laghi
d'Europa, il lago delle tre frontiere, suddiviso tra Macedonia, Albania e Grecia.
Ci abbracciamo con Nikola, conosciamo il padre Simone, un grand'uomo, con una grande
barba e una grande tosse dovuta alle sue 100 sigarette quotidiane. Capiamo subito che
Simone sarà una delle due chianche: la sua storia rappresenta quella di una generazione
lungo la Via Egnatia. Originario della terra dei due laghi, macedone di sangue, studia a
Belgrado all'accademia di belle arti, esplorando tutte le forme artistiche dei primi settanta, si
"lancia" attraverso il mare Adriatico nel 1973 per un viaggio con destinazione Tunisi e -in realtàsi ferma a Capri dove, in un modo o nell'altro, ci rimarrà fino ad oggi. Per tutte le successive
stagioni estive, si inventerà una sua attività economica consistente nel dipingere
rappresentazioni dei panorami della bella isola che venderà dignitosamente ai tanti turisti,
americani e non. Questa sua attività gli permetterà di campare e di mantenere agli studi e alla
vita i suoi due figli:
-Nikola, artista concettuale, con la vocazione delle lingue, dell'informatica e dei panorami
nordici.
-Marco, giovane musicista, amante dei party transe, organizzatore di feste in giro per l'Europa
(in questo momento residente a Roma).
Inizia così la nostra residenza sul lago di Prespa, il lago delle grandi carpe.
Passata la prima notte, l'indomani siamo nella vicina cittadina di Resen, dove Simone ci
conduce tra i banchi del mercato ortofrutticolo; in esplorazione, conosciamo alcune venditrici
di cachi, di stoffe e dei magistrali panettieri: i loro volti ci ricordano quanto le etnie -da queste
parti- si siano mischiate, accoppiate e poi scontrate.
Dopo alcune ore ci separiamo, Simone proseguirà in solitario, a salutare vecchi amici e parenti;
noi proseguiamo per Bitola, nobile città macedone verso il confine greco, un tempo (durante
l'impero ottomano) sede di consolati e di ambasciate. La osserviamo dall'alto, la città, immersa
in una nebbiolina da fiaba, divisa in due: da una parte il quartiere cristiano ortodosso,dall'altra
il quartiere turco, con il suo mercato e la sua moschea abbandonata. Ci perdiamo tra le
stradine, veniamo attratti da un negozietto di frutta secca e di legumi, ascoltiamo musica ad un
banco che vende cd contraffatti, entriamo nelle rovine della moschea, ora adibita a deposito di
falegnameria. Fraterno disegna qualcosa su tavolo di compensato, io scivolo su una lastra di
ghiaccio, mi cadono numerosi pistacchi.
Dopo un po' di tempo, ci decidiamo a cercare tal Janis Zahariadis, citato nel libro di Vereni,
commerciante di pezzi di ricambio per automobili qui in Bitola, cittadino greco, residente a
Florina in terra ellenica. Attraversa tutte le mattine, da 18 anni, il confine greco-macedone per
venire a lavorare al suo negozio, per poi ritornare la sera a casa sua, in Grecia. Inizia la caccia,
ci spostiamo in periferia, attraversiamo vie, viali e piazze, chiediamo ai passanti informazioni
in strani idiomi, finchè troviamo un campo da basket, lì di fronte c'è il negozio di Janis e lui
stesso in persona: un omone alto 2 metri per il peso di oltre 100kg, simpaticissimo, un gigante
buono, disponibilissimo a scambiare il suo tempo con il nostro. Janis ci racconta la sua doppia
vita, le sue due tasche con le differenti monete, i suoi due orari differenti (tra Grecia e
Macedonia c'è un'ora di fuso orario), le due lingue che utilizza a secondo dei clienti, noi
speriamo anche che ci parli di due donne diverse, ci piace immaginarlo così. Passiamo
qualche ora così, in un anonimo caffè a guardare e ad ascoltare chi tutti i giorni passa questo
confine, trasportando marmitte e candele per auto, camminando sulla via Egnatia, ridando un
valore e un senso commerciale (in fondo era nata per questo) a questa strada. Ci separiamo,
promettendo di rivederci da lì a qualche giorno per attraversare il confine insieme.
Arriva l'alba del terzo giorno della residenza. Nel pomeriggio si andrà in Grecia, a Florina per
la precisione, per andare a prendere tal Michalis Kiriazis, giovane architetto di Salonicco ma
con trascorsi universitari veneziani, inviato dall'Agenzia del progetto Egnatia.
Prima di passare le dogane macedoni-greche, ci fermiamo ad Heraclea, il sito archeologico più
importante della Macedonia attuale, un interessante esempio di scavi integrati con il territorio,
libero da gabbiotti e da pullmans gran turismo. Al varco ci attende Tode Kulevski, una guida
piena di entusiasmo tipico degli anni '50: con lui visiteremo la zona. Tode parla, infervorandosi,
in tedesco, nonostante nessuno di noi pratichi la lingua. Fraterno, Malone e la simpatica guida
metteranno in scena, sulle rovine del teatro romano, cinque minuti di esilarante spettacolo, in
memoria dei tempi passati: la visita terminerà con un lungo applauso degli operai e
dell'archeologa Matavska Aneta alla Via Egnatia.
Si saluta, dopo qualche chilometro si passa il confine. A Nike, primo paese dopo la frontiera,
due carte geografiche, da scuola media, ai bordi del marciapiede della piccola piazza: Fraterno
le raccoglie e le dispiega per strada; Malone fotografa; andiamo via, il greco ci attende.
Tornati indietro di un'ora, arrivati a Florina, vediamo il bus proveniente da Salonicco, fa da
scenario una cittadina meno nobile ma carina della sua gemella Bitola. Eccolo qui il greco, alto,
parla un ottimo italiano, entusiasta, sveglio, anche se non ha capito subito quello che stiamo
facendo (per lui è la prima volta che viene dai suoi vicini macedoni, suo padre si è arrabbiato
molto quando gli ha comunicato che andava a fare una residenza in Macedonia: "Si dice
FYROM, Michalis mio…").
Dopo un po' di conoscenza, Fraterno comunica il possibile percorso: tornare verso Nike,
cercare una donna sui 60, con dei begli occhi blu, il suo nome è Maria, Vereni ne parla sul libro.
Maria, macedone di nascita ma greca di adozione, conserva un libro dove custodisce oltre 200
canzoni tradizionali, è contadina, guidatrice di trattore e cantante del villaggio, viene chiamata
i giorni dei matrimoni e dei fidanzamenti
Nike è un bel villaggio e i suoi abitanti disponibili ma troviamo difficoltà nella ricerca, soprattutto
perché scopriamo che Maria non si chiama Maria bensì Pareskevi, i suoi occhi blu ci sono e
sono belli e il suo sorriso ci accoglie nella sua aia tra le sue mucche e il suo trattore.
Passa il tempo, arriva la sera, andiamo via con la promessa di ritornare, Pareskevi è disposta
a passare un po' di altro tempo con noi, a spiegarci bene come queste canzoni, nate in lingua
macedone e poi riadattate in lingua greca, siano il collante fra due comunità.
Torniamo in Macedonia, sul lago, il greco e i due macedoni si conoscono, passiamo la serata
a mangiare trote del lago di Prespa, comprate dai ristoratori macedoni in terra albanese (lì non
esistono limitazioni alla pesca delle trote).
Un nuovo giorno inizia nella nostra residenza, la giornata prevede la posa della prima chianca,
abbiamo deciso che verrà collocata nell'aia della casa di Paraskevi, in terra greca.
Prima di partire si saluta il giovane Nikola, in partenza per Skopje, giriamo una piccola scena
di fronte alla casa:
Esterno giorno, alba.
Un signore con una lunga barba (Simone), lavora nel suo giardino su una lastra di pietra
(chianca), scartavetrandola con meticolosità e sapienza. Intorno a lui i colori e i tenui suoni
dell'alba. Un ragazzo con lunghi capelli e uno zaino tecnologico (Nikola) esce di casa, si
avvicina al signore con barba, osservandolo in silenzio mentre lavora. Il signore dopo un poco
alza lo sguardo, posa i suoi strumenti, si avvicina al ragazzo, scambia con lui alcune frasi in
una lingua sconosciuta, si abbracciano. Nikola si allontana per il vialetto della casa, Simone
ritorna a lavorare sulla sua chianca.
Ci ritroviamo in macchina: io, Fraterno, Geco, Malone e il greco Michalis. Destinazione Bitola,
negozio di Ianis. Arriviamo in tarda mattinata. Qui verremo accolti in maniera calorosa. Dopo
un poco dal nostro arrivo Ianis termina di lavorare ed è disposto ad attraversare il confine con
noi, per andare a casa di Paraskevi a posare la chianca. Si parte, arriviamo alla frontiera, Ianis
è conosciuto dalle guardie di entrambi i paesi, in fin dei conti fa questo tragitto due volte al
giorno da 18 anni, il suo passaporto è ormai un'unica macchia fatta di timbri.
Eccoci in Grecia, incrociamo lo sguardo della statua di Alessandro Magno, eroe conteso tra i
due stati: Alessandro il macedone! Ma macedone di dove? Io continuo a non capire, Michalis
ci dice che bisogna capire gli uni e gli altri, anche le ragioni dei nazionalisti greci: "E' come se
un giorno gli abitanti della costa azzurra decidono di chiamare la loro regione Piemonte, che
succederebbe?". Forse è per questa ragione che l'architetto continua a chiamarla FYROM.
Ci dirigiamo verso la casa di Paraskevi, entriamo nella sua aia, lei è lì, sta finendo di mungere
le sue vacche, veniamo accolti con un buon caffè e una dose massiccia di grappa. Dopo le
dovute presentazioni, sistemiamo un po' di sedie all'aperto, la donna dagli occhi blu prende il
suo prezioso quaderno di canzoni, lo sfoglia un po' timidamente, ha capito che il nostro
desiderio è sentirla cantare: sentire la sua voce lì a Nike, è per noi un momento essenziale del
lavoro relazionale creato. Il nostro progetto è costruire un ponte ideale tra la comunità di quel
villaggio di frontiera e la Grècia Salentina, tra Nike e Calimera, tra quella donna contadina e
un'altra donna, al di là del mare, Raffaella Aprile, cantante anche lei: creare un laboratorio
sonoro-etnografico lungo la Via Egnatia. Una rete che parta dal Salento, attraversi il canale,
passi tra le vallate di Lepardha in Albania, per giungere in questo villaggio e fermarsi in questo
piccolo cortile, per poi un giorno proseguire per Salonicco e arrivare a Istambul. Quando le
diciamo che la canzone che vorremmo sentire è dedicata ad un'altra donna, Paraskevi si siede,
guarda diritto verso la telecamera e lascia andare la sua voce. E' inutile dire che il tempo si
ferma. Ianis e la donna sono seduti su una mangiatoia di pietra, sembra quasi che si
conoscano da sempre: questa è la capacità di Fraterno di mettere in relazione persone che
apparentemente non c'entrano niente l'uno con l'altra. Prendiamo dal portabagagli della
macchina la prima chianca, Michalis con non poca fatica la poggia sulla mangiatoia. A turno,
edonia on|fieldMacedonia on|fieldMacedonia on|field
Piccolo resoconto
del secondo viaggio
lungo la via Egnatia
27 novembre - 5 dicembre 2004
Ringraziamenti, riflessioni, contatti, appunti di viaggio e...
ognuno scriverà il suo nome a testimonianza del passaggio. Lasciamo Nike e Paraskevi, con
l'augurio di rivederla presto a Calimera, in Salento, nel giardino di Giannino Aprile, a continuare
il laboratorio sonoro, creato da Fraterno e da Osservatorio Nomade l'anno passato.
Giunti a Florina lasciamo Loran, il bel fotografo a un pullman che lo porterà a Salonicco, le
nostre strade per ora si dividono.
La notte passa a Shiran, sulle acque del lago di Prespa, passiamo il tempo a pianificare con
Simone l'esplorazione del giorno dopo: ci porterà sulla strada che attraversa la montagna che
separa i due laghi, quello di Ocrhid e quello di Prespa. Simone vuole portarci anche in una
zona dove sa che è rifugiata da ormai 12 anni una comunità macedone che aveva il suo
villaggio nativo in terra albanese al di là del lago e che -dopo la caduta del regime comunistaha trovato rifugio da queste parti. In queste zone, sono tante le storie di comunità che i confini
e le successive spartizioni hanno diviso.
Di buon mattino ci mettiamo in marcia, come promesso Simone ci porta a casa dei "rifugiati".
La nostra macchina arriva davanti a un enorme costruzione (al tempo della Repubblica di
Yugoslavia, aveva la funzione di colonia estiva, adesso ospita più di 200 persone provenienti
dai villaggi macedoni-albanesi di Gorica, Tuminec, Shulin, Pustec, Leska, Zrmosko e Cersa).
Appena scesi, veniamo accolti da Jane Nicolovski, profugo macedone: lui è un po' il capo di
questa comunità che ha lasciato la propria terra per cercare fortuna nella terra dei propri
antenati. La loro ospitalità, pur nelle difficili condizioni, è sempre esemplare: nonostante la loro
vita adesso si svolga tra le camere di un casermone in stile funzionalista, non hanno
dimenticato le tradizioni dei villaggi fatti di pietra e legno.
Passiamo un po' di ore con loro e ci diamo appuntamento al giorno dopo, per approfondire
l'incontro. Ripartiamo, la strada per il lago di Ochrid ci attende, il vento quel giorno spira forte,
è lo stesso vento che attraversa il canale di Otranto per spazzare le pianure salentine (in poche
parole c'è una tramontana che pulisce il cielo, ma fa ghiacciare le mani).
Arriviamo sul punto più in alto e in un solo sguardo abbracciamo i due laghi, una
visione…Simone prende la chianca e inizia a scolpire alcune sue impressioni, ricordi e segni,
la pietra si trasforma in un piccolo taccuino di appunti. Andiamo giù verso Ochrid, passiamo per
un monastero dai bellissimi affreschi e arriviamo nel tardo pomeriggio nella cittadina delle
famose trote col punto rosso, una vera delizia. In serata, una volta rientrati a casa, si decide
che il giorno dopo porteremo un omaggio alla comunità dei rifugiati: optiamo per un litro di olio
d'oliva e per 5 litri di vino salentino.
Finalmente arriva il mattino, oggi si va in acqua, si va nel punto dove tre frontiere, tre culture,
tre lingue, tre popoli si incontrano, nel bel mezzo del lago. Prima di imbarcarci passiamo da
Jane a lasciare i nostri piccoli omaggi, lui ci aspetterà il pomeriggio per offrirci qualcosa che
ancora non sappiamo. Conosciamo il nostro traghettatore, si chiama Slavo Georgieveski,
pescatore del villaggio di Stenje, ha un volto familiare come quello dei nostri pescatori.
Partiamo, il sole splende, l'aria è buona, anche l'acqua -ci dice Slavo bevendone un po'- qui
l'inquinamento e gli scarichi non sono ancora arrivati. La direzione è quella per l'isola di Golem
Grad al centro del lago, a poche centinaia di metri dalla boa di confine. I nostri telefoni portatili
incominciano a dare i numeri, cambiando rapidamente operatore: una volta la Cosmos
macedone, un'altra volta un sms di benvenuto in terra ellenica, un'altra volta la linea albanese,
insomma una democrazia della telecomunicazione: Il motore della barca si spegne, stiamo in
mezzo, è il momento della seconda e ultima chianca. Simone finisce di scalpellare, lascia una
sua biografia su questa pietra, il museo delle chianche, per noi iniziato al largo di Durazzo, ha
una sua terza sede: le acque del lago. Simone e Michalis lasciano una dichiarazione alla
telecamera nelle loro rispettive lingue, le montagne dei tre paesi confinanti fanno da scenario.
La chianca viene presa da entrambi e gettata, fa un suono possente, il giallo della pietra si
confonde con il blu dell'acqua. Michalis e Simone si abbracciano e- per una volta- le rispettive
storie si uniscono.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a terra, Michalis deve essere riaccompagnato a Florina, un bus
per Salonicco lo riporterà a casa, Geco e io riaccompagniamo il greco a casa. In serata ci
rincontriamo tutti a casa. E' la nostra ultima notte in terra macedone, l'indomani si parte.
Fraterno in nostra assenza ha preso accordi con Jane per attraversare la frontiera macedonealbanese con lui e riportarlo al suo villaggio di Shulin, noi poi proseguiremo per Durazzo.
E cosi è: la mattina salutiamo Simone Uzuvnoskj e la sua casa -la nostra residenza senza il
suo aiuto sarebbe stata impossibile- recuperiamo ai bordi di una strada alberata Jane e un suo
amico, tutti e due con relativi doppi passaporti.
Dopo un poco di chilometri, prendiamo una strada sterrata e arriviamo ad un posto di frontiera
di altri tempi, lasciamo la terra macedone ed entriamo in terra albanese. Le guardie di questo
avamposto anni trenta stentano a credere che tre italiani con due locali stiano lì, sperduti tra i
monti. Fraterno tira fuori la sua cartella dedicata a Nicolino Gioia, fa vedere alle incredule
guardie la foto dell'attore e una copia del quotidiano Balkan, dove parla del nostro precedente
viaggio. Tutto questo, parlando lingue completamente differenti: loro ridono e si fanno
riprendere, la sbarra si alza, i bunker a presidio della montagna ci aspettano.
Proseguiamo nell'interno, arriviamo nel villaggio di Shulin, Jane ci porta subito da sua madre,
il linguaggio tra di noi continua ad essere altamente improvvistato, ci viene offerta della feta e
abbondante grappa, che a prima mattina sortisce strani effetti. Entano in casa vari personaggi,
qualcuno ansioso di dimostrarci le sue qualità canore. Il villaggio è immobile, fermo nel tempo,
incastonato tra le montagne, attraversato da ciucciarielli che portano fascine di legno.
Ad un certo punto, quando la comunicazione diventa un poco improbabile, il capovillaggio
chiama al telefono satellitare tal nativo di Shiulin ma residente a Roma, per la precisione a
Ponte Milvio. Tutto è divertente e bizzarro. La rete si estende. Ci salutiamo, veniamo omaggiati
con dell'ottimo the nero ed una quantità di feta.
Direzione Durazzo, abbiamo 6 ore per fare 150 chilometri. In serata ci troveremo al ristorante
di Tafa, in compagnia del buon vecchio Mimmo Gianfreda, venuto apposta per noi da Tirana.
Mimmo nella nostra precedente esplorazione era stata la "strana" guida. Ci dice che le cose in
questo periodo vanno male per il lavoro, ha difficoltà a organizzare il corteo storico su
Skandenberg e i soldi mancano. In compenso Tafa ci porta aragoste e triglie a quantità.
La nave Adriatica ci attende per riportarci in Puglia.
In viaggio da Bari per Durazzo: lunga la via Egnatia. Matteo Fraterno, Davide Barletti, Roberto
Greco, Laurent Malone. In residenza sul lago di Prespa: Uzuvnoski Nikola, Uzuvnoski Simone,
Michalis Kiriazis.
Piero Vereni: Antropologo, importante il suo libro "Vite di confine" sul confine tra Macedonia e
Grecia,è stato una sorta di guida.
Tafa: ristoratore, Hotel Mediterraneo, appena scesi dalla nave a Durazzo siamo stati suoi ospiti
per un'abbondante colazione prima di proseguire il viaggio verso la Macedonia
Simone Uzuvnoski: artista padre di Nikola. Siamo stati suoi ospiti nella sua bellissima casa a
Sirhan sul lago di Prespa. Fondamentale il suo contributo, coinvolto attivamente sul progetto si
è reso disponibile per tutto il tempo, relazionandosi, accompagnandoci, traducendo…
Slavco Georgieveski: pescatore del villaggio di Stenje sul lago di Prespa; la sua barca ci ha
permesso di mappare una parte del lago arrivando a i 3 confini Albania Macedonia e Grecia,
all'altezza dell'sola Golem Grad. Abbiamo lanciato la chianca simbolicamente in acqua, dopo
che Simone l’ aveva scolpita: è stato molto emozionante.
Nicolina Paceleka e Vllado: sono una coppia di anziani che da sempre vivono nel villaggio di
Konsko sul lago di Prespa dove si arriva solo con la barca. Sono la memoria storica del lago.
Siamo andati a trovarli in barca e ci hanno raccontato...il caffe offerto era alla turca.
Jane Nikolovski: profugo macedone rifugiato insieme alla sua famiglia nel villaggio di Carina
sul lago di Prespa, coordina le oltre 200 persone che nel 1992 sono scappate dal territorio
albanese dai villagi di G. Gorica, D. Gorica, Tuminec, Glloboceni, Shulin, Pustec, Leska,
Zrmosko, Cersa. Ci ha accompagnato a Sulin, il suo villaggio; la madre ci ha fatto una festa
regalandoci feta, grappa e un te pregiatissimo che cresce solo in quella zona. (importante e stato
vedere il filmato del suo matrimonio, una tradizione ancora intatta)
Janis Zahariadis: commerciante di pezzi di ricambio a Bitola. Laureato in economia e
commercio, da 18 anni attraversa il confine perchè residente a Florina (Grecia). Con lui abbiamo
attraversato il confine filmando e facendoci raccontare questa doppia vita. Con i suoi 100 kg e
passa per 2 metri di altezza ispira tanta simpatia.
Giorgio e Tania: sono i nonni di Nikola vivono e Bitola. La loro casa nella piazza principale è
stato il nostro punto di riferimento. Lei fermacista, lui giudice in pensione. Nella casa abbiamo
girato 5 minuti di film strepitosi. La città ci ha entusiasmati, c'è una moschea semi-abbandonata.
I negozi di leguminose,sono una tentazione.
Matavska Aneta: archeologa che abbiamo incontrato nel sito di Heraclea. È stato molto
interessante; gentilissima ci ha dedicato tempo a parlarci dello scavo.
Tode Kulevski: guida del sito di Heraclea; una persona simpaticissima, continuava a raccontarci
dell'area archeologica in tedesco anche se ripetutamente gli dicevamo che non capivamo,
abbiamo il suo biglietto da visita.
Paraskevi Ioannidis: di Niki, villaggio ai confini tra la Macedonia e la Grecia. Ha raccolto più di
200 canzoni traducendole in greco. Una donna bellissima che si avvia alla sessantina, occhi blu,
ci ha cantato 3 canti: siamo rimasti sbalorditi; la sua voce è limpida e commovente. Ci ha
suggerito di lasciare una chianca ai confini, simbolicamente, come momento di transito per tutti
quelli che attraversano. Pensavamo di invitarla a Kalimera per un laboratorio tra Grecia e Grecia
salentina.
Yannis Manos: antropologo e insegnante di ballo di Florina, Grecia. Simpaticissimo, vuole
essere aggiornato sul progetto dell'Egnatia, ci siamo ripromessi di tornare con Piero Vereni
Sistemi idrici dei laghi: i laghi di Prespa e quello di Ohrid. Il lago di Prespa è suddiviso in 3
parti: Albania, Macedonia, Grecia. È profondo solo 50 metri. Abbonda la carpa, unica risorsa per
i pescatori; le sue acque non sono inquinate: molti la bevono. Il paesaggio è incantevole. Dal
villaggio di Globocani sotterraneamente le acque confluiscono nel lago di Ohrid. Si attraversa la
montagna partendo dal villaggio di Carina; nel punto più alto si vedono i 2 laghi, una visione... Il
lago di Ohrid è molto più profondo, 200 metri; se lo contendono albanesi e macedoni. C'è la trota
dal punto rosso, pregiatissima, che non può essere pescata dai macedoni mentre il governo
albanese permette la pesca cosi i pescatori albanesi la vendono ai mercati ittici macedoni.
M'incuriosiva questo pesce un pò preistorico, rarissimo; finalmente ho capito da dove vengono
i famosi capitoni che molti napoletani mangiano a Natale: questa anguilla risale il fiume fino
Spruga poi arrivano al lago di Scutari e da lì nell'Adriatico.
sms-Un saluto da Celeste e dalla sua meravigliosa casertta parigina. Come vanno le
cose?1/12/2004,lorenzo sms-Buongiorno solo ieri ho letto la tua mail dove scrivi che anche a te
la parola "raccolta" di storie non piace. Scrivi anche altre cose che mi piacciono. Spero che il
vostro soggiorno macedone sia pieno di frutta buona e varia. Saluti dall'altra
sponda.2/12/2004,ingrid sms-Ci siamo appena ritrovati tutti a Losanna nella stazione. Abbiamo
sentito il pluff fino a qua con affetto e in rete,3/12/2004,lorenzo sms-Caro matteo, mi sento
stupido per non sapere scegliere il tempo del mio fare. Ti ho pensato li con gioia e malinconia.
Ma sono etimologicamente distratto. Un abbraccio, che ti prego di spargere,2/12/2004,vereni
sms-Suis dans le train pour Alexandropoli apres on verrà il confine grece turquie est
conplique,2/12/2004,malone sms-Jarrive a Istanbul,3/12/2004,malone sms-Appena arrivato a
Thessaloniki, sull'autobus ho visto il video già con un pò di nostalgia e tanta voglia di portare
avanti questo progetto, mi piace salutare le persone con un abbraccio forte, la prossima volta mi
raccomando. Saluti fraterni (ti mando la traduzione in greco) a tutti,3/12/2004,Michalis smsSono felice che a Niki sia andato tutto bene. Fammi sapere quando tornate. Un abbraccio,
4/12/2004, Vereni sms-Trovata ragazza che fa tesi sulle monete sulla via
Egnatia,5/12/2004,Davide
Riflessioni e note: L'altopiano che unisce Florina a Bitola, delimitato a ovest dal monte Vitsi e
dai Laghi di Prespa e Ohrid e a ovest dal monte Kaimaktsalan e dai laghi di Petres e Vegoritida
è il confine che mi piacerebbe attraversare insieme per andare a Salonicco.
Fraterno
iki on|fieldThessaloniki on|fieldThessaloniki on|fieldThe
Il quadrato è ormai interamente ricoperto di tarocchi e di racconti. Le
carte del mazzo sono tutte spiattellate sul tavolo. E la mia storia non c'è?
Non riesco a riconoscerla in mezzo alle altre tanto fitto è stato il loro
intrecciarsi simultaneo. Infatti, il compito di decifrare le storie una per una
m'ha fatto trascurare finora la peculiarità più saliente del nostro modo di
narrare, e cioè che ogni racconto corre intorno e mentre un commensale
avanza la sua striscia un altro dall'altro estremo avanza in senso
opposto, perché le storie raccontate da sinistra a destra o dal basso in
alto possono pure essere lette da destra a sinistra o dall'alto in basso, e
viceversa, tenendo conto che le stesse carte presentandosi in un diverso
ordine spesso cambiano significato, e il medesimo tarocco serve nello
stesso tempo a narratori che partono dai quattro punti cardinali.
Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati, p. 41.
Dal 5 al 12 febbraio 2005, l'Agenzia di Roma dell'Osservatorio
Nomade si è spostata a Salonicco per un workshop di 5 giorni.
L'intenzione fondamentale del progetto era quella di provare a
rivelare le memorie dimenticate della storia multiculturale della
città, andando in cerca dei fantasmi delle memorie abbandonate
e riportando alla luce dal passato le tracce e le persistenze di un
complesso mosaico di storie e popolazioni. Quella che viene
comunemente narrata come un'entità omogenea è, al contrario,
il risultato di un intricato scambio di culture e civiltà. Salonicco,
infatti, è stata per molto tempo considerata la madre di Israele
per la sua numerosissima comunità ebraica e per la fiorente
cultura che questa ha prodotto, pur essendo stata sotto il
dominio ottomano per quasi cinquecento anni. Le stratificazioni
culturali della sua storia sono state negate dalla retorica
generale di ellenizzazione, eppure qualche traccia ancora
resiste. L'Osservatorio Nomade - con una combinazione di
ricerca e intuizione - è andata a caccia di fantasmi a Salonicco
alla ricerca di questi "ritorni".
Per narrare l'esperienza del workshop e delle numerose
connessioni che si sono stabilite in quei giorni, l' Osservatorio
Nomade ha pensato di servirsi dello strumento dei tarocchi. Uno
dei principali produttori al mondo di queste carte è Modiano, una
famiglia ebraica oggi in Italia, ma originaria della Spagna e poi
trasferitasi a Salonicco dopo la dislocazione degli Ebrei in
seguito alla Reconquista. La famiglia è di origine Sefardita e ha
avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della città - il
principale mercato di Salonicco ancora porta il loro nome così
come la casa di riposo per anziani e una serie di ville.
La ricerca dello spirito dimenticato di Salonicco, insieme alle
potenzialità narrative dei tarocchi e al loro legame con la citta,
hanno rappresentato la commistione adatta per raccogliere la
sfida lanciata da Italo Calvino in Il castello dei destini incrociati,
dove ogni singola storia può essere raggiunta e rintracciata
attraverso le innumerevoli possibili combinazioni fra i tarocchi.
L'Osservatorio Nomade ha tentato in questo modo di costruire
una serie di piccoli elementi - che hanno preso la forma di carte
dei tarocchi - attraverso i quali sia il lettore che i partecipanti al
workshop hanno la possibilità di proporre la propria lettura
individuale della città.
Via Egnatia, Salonicco. È la prima
sera che l'Osservatorio Nomade è
in città e sono tutti eccitati all'idea di
camminare su quella stessa via che
porta ancora il nome dell'antica
strada romana. Un "progetto
intellettuale" che si materializza in
modo inatteso - è questo che il
cartello stradale ODOS EGNATIA
attaccato agli angoli degli edifici
finisce per sembrare a questo
gruppo che visita la città per la
prima volta. A camminare a fianco a
loro, mi sento come una donna
molto, molto vecchia… non riesco a
ghostbustering
thessaloniki
condividere il loro entusiasmo fino
in fondo, avendo camminato per
queste strade fin troppo. Quattro
sere dopo sono ancora con loro.
Siamo su un "treno fantasma" - che,
in realtà, è un autobus. Ora mi
sento molto diversa. Il freddo della
notte è irrilevante quando tutti i
nostri sensi sono allertati dall'attesa
(e quando, poi, stai condividendo
una bottiglia di ouzo): sarà
fantastico, lo so! E infatti lo è: in
questa notte non siamo turisti;
siamo attori e "le strade sono il
nostro teatro". La classe dell'Istituto
Italiano è viva come mai prima d'ora
- le mani dei miei amici puliscono
con cura gli archivi polverosi, le loro
voci leggono i nomi degli studenti
ebrei, una sagoma scompare nel
sole che inonda la stanza da una
porta aperta. Il tempo e lo spazio
della memoria collassano in
un'esperienza emozionale che
supera la necessità di spiegazioni.
Per questi momenti di incredibile
intensità alcuni viaggiano per miglia
- a me li ha portati la Via Egnatia.
Fyllio Karvounidou
hessaloniki on|fieldThessaloniki on|fieldThessaloniki o
Istanbul, dicembre 2004 gennaio 2005
da un dialogo fra Iacopo Gallico e Marina Fokidis
L´esodo dei Greci dall´Asia Minore, e il successivo trattato di
Losanna hanno avuto un fortissimo impatto sulla struttura
sociale della Grecia. 1.500.000 persone, un terzo della
popolazione greca di quel tempo, è stata sradicata dalle proprie
terre ed è giunta quasi in una notte in Grecia. Il dolore, la
perdita, la rabbia hanno trovato posto nella storiografia greca e,
com'è naturale che sia, la storia moderna greca - tanto quella
ufficiale quanto quella popolare - sono state fondate su
quell'evento. Il trattato di Losanna e questo spostamento di
massa sono diventati un argomento di ammirazione
leggendaria in Grecia, un esempio puro di lutto "nazionalistico",
rimasto fino ad oggi formalmente intoccabile e indiscusso. La
nostalgia per l´"heimat" (la patria) perduto, che viene fuori dai
racconti personali, dal cibo e dalla musica, dei rifugiati Greci e
dalla conservazione nella lingua parlata di molte espressioni di
lingua turca sono l´unica forma di contaminazione di questa
"purezza". Alla resa dei conti è stato un disastro. Ma i Greci non
furono i soli a pagarne le conseguenze. E´ stata la prima volta
nella storia che si è tentato un tale esperimento: di separare e
trasferire gruppi etnici da un posto ad un altro, basando questa
separazione sulla religione. Il solo fatto che ciò fu possibile
costituisce un grave problema per la storia mondiale. Il tempo
resta, comunque, il migliore arbitro. Saranno pur serviti 85
anni, ma alla fine l´argomento sembra essere ampiamente
rimesso in discussione, e ricercatori in entrambi i paesi stanno
reinterpretando l´evento con diversi criteri.
MARINA: Durante un viaggio ad Istanbul sono venuta a
conoscenza di un archivio di testimonianze orali di quella gente
di origine Turca che fu costretta ad abbandonare la Grecia,
paese in cui erano nati e avevano vissuto, a causa dello
scambio di popolazione avvenuto dopo il Trattato di Losanna
del 1923. Cresciuta da un nonno che era emigrato da Istanbul
e da una nonna che era dovuta scappare da Smirne per
salvarsi la vita, istintivamente la mia sensazione nei confronti di
questa scoperta fu confusa; una sensazione ambivalente
simile a quella che provo di tanto in tanto quando sono ad
Istanbul. Da un lato un luogo che rappresenta il rifugio dei
sogni della mia infanzia, così come l´ho percepita dai racconti
nostalgici dei miei nonni, e dall´altro la terra degli "altri", di quelli
che hanno torturato la famiglia di mia nonna. Questa scoperta,
ha creato una frattura per un nuovo consenso. L´ho
sperimentato da vicino, come terza generazione, l´effetto che
ha avuto questo spostamento di massa in Grecia e nei
sentimenti che ha suscitato negli abitanti più anziani. La mia
posizione è sempre stata quella di un osservatore coinvolto
sentimentalmente ad un´esperienza paranoica. Quella di una
persona che cresce tra l´animosità propria delle genti dell´est e
la razionalità più propriamente occidentale. Questo doppio
punto di vista è stato motivo di corto circuito e allo stesso
tempo, comunque, ha alimentato l'entusiasmo per rintracciare
alla fine questo ritrovamento accidentale. Iacopo ha seguito il
mio invito aperto a tutti. Siamo andati insieme ad Istanbul,
seguendo questo archivio di storie che ora ha dato vita anche
ad un nuovo indirizzo di ricerca all´interno del progetto della via
Egnatia.
IACOPO: Quando Marina mi ha invitato a fare questo viaggio
ad Istanbul, avevamo cominciato a condividere all´interno del
progetto Egnatia, un ambito di ricerca comune provando a
tracciare una direzione trasversale che non passasse
direttamente per Roma. All´inizio del nostro viaggio il nostro
obiettivo era così quello di recuperare le testimonianze raccolte
dalla parte Turca, ma questa non fu l´unica ragione della nostra
"missione". Il tema dello scambio di popolazioni del 1923,
divenne fin da subito il dispositivo che ci indicò la strada da
seguire, e che ci aiutò lungo il percorso. Ovunque abbiamo
avuto modo di introdurre questo argomento lungo il percorso,
ci siamo imbattuti in nuove storie e nuove relazioni possibili. Il
coinvolgimento personale di Marina su questo tema inoltre fece
la differenza. Nel momento in cui lei stessa comincio´ ad
accettare di avere a che fare con qualcosa inerente il suo
passato, si risvegliarono memorie accantonate e quelle voci
per me silenziose si trasformarono in un incredibile paesaggio
culturale trans-nazionale. Un unico scenario ricostruito dalle
frammentate storie di persone che hanno vissuto e si
riconoscono nello stesso trauma emotivo. Anche noi ci siamo
sentiti parte di questo paesaggio con una nuova storia da
raccontare e condividere e in qualche modo il motivo stesso del
nostro viaggio ci ha indicato la direzione indirizzata dalle
persone che ci hanno dato la possibilità di riscoprire e
accedere all´archivio di memorie della popolazione di origine
Turca. Siamo stati osservatori e protagonisti di un processo
interessante, difficile da definire ma direttamente connesso a
quella pratica diversa che ad oggi ci pone di fronte nuovi
interrogativi. Qual´è il limite tra il nostro coinvolgimento
personale e il contributo ad un dibattito pubblico? Come ci
poniamo nella mediazione di questo tipo di tematiche che sono
così intime? Perchè la rete dell´Osservatorio Nomade (ON) è
diversa dagli altri network-lobbies?
Salonicco - febbraio 2005
Salonicco, una città che per secoli ha rappresentato un
crocevia di scambio fra culture diverse lungo la Via Egnatia, è
stata scelta come il punto d'incontro principale fra tutti i
partecipanti al progetto Egnatia. Il nostro scopo, in quanto
ospiti di questo incontro, è stato quello di creare un panorama
aperto fra memorie e attualità, visitatori e località, politica e
sentimento, "produttori" e pubblico. Per il progetto Egnatia,
Salonicco si espande ben al di là dei limiti protettivi del suo
confine e incarna una più ampia gamma di luoghi, informazioni
e narrative personali. L'idea era quella di trasformare questo
appuntamento in una serie di investigazioni, confronti, dialoghi
e fantasmi, così da offrire, tanto ai partecipanti che al pubblico,
la possibilità di incontrare sia realmente che metaforicamente
la vita urbana passata e presente di Salonicco.
Uno "spazio comune" si realizza verosimilmente dagli effetti
prodotti da azioni differenti che forniscono ad un luogo una
scansione temporale e lo fanno funzionare come un'unità
polivalente capace di contenere anche prossimità conflittuali.
Lo schema di eventi paralleli all'interno di questo contesto ha
rappresentato la piattaforma ideale in cui coinvolgere tutti: la
comunità locale e i nuovi arrivati, l'approccio immediato e
aperto degli agenti creativi e quello dell'accademia. Lo scopo
era quello di coinvolgere e di creare alleanze sia con le
istituzioni e le autorità che con famiglie locali, come per
esempio la famiglia ebraica che è proprietaria dell'albergo dove
la maggior parte dei partecipanti è stata ospite.
Siamo riusciti ad ottenere un edificio storico e a renderlo il
punto di riferimento simbolico per l'interazione tra tutti noi e la
comunità locale. Yeni Djami - la moschea degli ebrei convertiti,
che ha anche ospitato nel 1922 i primi rifugiati greci - è stata
trasformata in un luogo d'incontro dove scambiare idee e
condividere ricordi. In questi giorni, infatti, ha avuto luogo una
conferenza interdisciplinare in cui sociologi, analisti culturali,
politici, artisti e architetti sia greci che stranieri, si sono
confrontati e hanno discusso la complessa tematica della
dislocazione sia reale che concettuale. Allo stesso tempo,
l'intervento sonoro Komvos-Yeni Djami - una registrazione
audio di un'ora di materiale editato proveniente da archivi greci
e turchi, per costituire una singola narrazione composta dalla
decostruzione e ricomposizione di dieci interviste di persone
coinvolte nello scambio di popolazione - ha sostenuto
l'allegoria spaziale riportando per la prima volta insieme a
Salonicco le memorie dislocate di greci e turchi. Sono stati
presentati, inoltre, diversi film riguardanti questioni
contemporanee relative alla Via Egnatia, come la questione
della Macedonia o dei rifugiati curdi.
Promuovere il cambiamento sociale attraverso il confronto
sullo spazio sembra piuttosto difficile. Nonostante i conflitti
all'interno del gruppo di lavoro, il contributo generoso dei
partecipanti alla conferenza e della comunità locale ha messo
in evidenza il desiderio di una "restituzione" di strutture fisse
che hanno occupato il "pensiero nazionale" greco per molto
tempo. Forse era anche giunto il momento giusto perché la
città di Salonicco si impegnasse in un progetto complesso
come questo. Forse era giunto il tempo che la città di Salonicco
ascoltasse l'esperienza turca dello scambio di popolazione
tanto attraverso le storie personali che attraverso il discorso del
prof. Aktar o il momento perché il prof. Nikos Papastergiadis
"legittimasse" (per i suoi colleghi accademici) l'efficienza con
cui gli agenti creativi interferiscono con la sfera sociale. Forse
era addirittura giunto il momento in cui, attraverso un film di
ON, si discutesse apertamente a Salonicco la questione delle
"molte Macedonie".
La forte dinamca di questo evento può essere rintracciata nella
sua natura binaria. L'incrocio in uno stesso luogo, la Yeni
Djami, di interventi "sensuali" con una conferenza più ordinata,
ha creato lo spazio per un vero confronto fra arti visive,
l'accademia, la politica e la società con un coinvolgimento del
pubblico non solo in quanto osservatore e collaboratore, ma
anche come autore e interlocutore diretto. Sabato e domenica
Yeni Djami è stata piena da mattina a sera per la conferenza
che, in entrambi i giorni, si è conclusa con un'accesa
discussione. In una città in cui i tassisti si rifiutano di imparare
il nome della Yeni Djami e ti portano lì solo dopo che chiedi per
il vecchio museo archeologico, questo incontro è stato un
grande successo. Molte persone hanno preferito essere lì
piuttosto che in biblioteca o in un caffè assolato. E poi tutti i
partecipanti sono intervenuti gratuitamente; Hylia (la figlia di
una famiglia di rifugiati turchi) è venuta da Smirne
appositamente per seguire le storie turche; molte scolaresche
hanno visitato lo spazio e gli studenti di una scuola superiore
sperimentale hanno tenuto le loro lezioni lì per tre giorni per
comprendere il concetto di dislocazione attraverso gli interventi
artistici. La città di Salonicco sta pensando di continuare
questo tipo di uso per lo spazio e il vice console turco, che ha
visitato Yeni Djami con "alcuni amici turchi" per contrastare i
lavori che distruggono la "morale nazionalistica turca", è
andato via senza i suoi amici, stringendoci la mano…
La cultura visiva sembra essere stata la chiave che ha aperto
la porta al dialogo e alla disseminazione. Abbiamo la
responsabilità di continuare con il tentativo di accostarci
all'intraducibile.
Marina Fokidis
L'intervento sonoro a Yeni Djami è di Iacopo Gallico (Gruppo Stalker) in
collaborazione con Selda Asal and Theodoris Chrysikos.
La cura e l'organizzazione degli eventi a Salonicco sono di Marina Fokidis,
Daphne Vitali - Oxymoron.
Relatori: Ayhan Aktar, professore di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali
all'Università di Marmara, Istanbul; Nikos Papastergiadis, professore associato
dell'Australian Center e dell'Università di Melburne; Efi Voutira, professore
associato presso il Dipartimento di Studi Slavi e Orientali, all'Università di
Macedonia, Salonicco; Chariklia Chari, architetto; Kostantinos Giannaris, regista;
Garifalia Karvoudinou, architetto; Maria Papadimitriou, artista; Spiros Pegas,
venditore di tappeti; Fotini Tsiribidou, antropologo.
Komvos-Yeni Djami e la conferenza sono stati resi possibili grazie al generoso
sostegno della Città di Salonicco; l'Istituto Italiano; Enzo Perara; The Historical
Archive of the Municipality of Kalamaria, Greece; The Lausanne Treaty
Emigrants Association, Istanbul; Mufide Pekin e tutti gli sponsors.
Vogliamo ringraziare tutti gli speakers che hanno cordialmente accettato di venire
in Grecia e hanno partecipato gratuitamente alla conferenza.
lin on|Berlin on|Berlin on|Berlin on|Berlin on|Berlin on
Kurds o n t h e M a p
Con l´esperienza di Gelsenkirchen e quella di Makronisos inizia un lavoro di collaborazione tra le agenzie
On di Berlino, Atene, Roma, che oggi si presenta come un tema di ricerca dell´Osservatorio Nomade sotto
forma di mappatura, cartografica e sensibile, di uno dei paesaggi culturali che abitano l´Europa e che si
potrebbe chiamare "Eurokurdistan".
Una mappatura capace di rappresentare un frammentato e dinamico scenario presente nella geografia
delle identità culturali europee, che mette a fuoco la complessità relazionale tra le minoranze anatoliche e
il processo di ibridazione del contesto Europeo che ne scaturisce.
Una ricerca che vuole praticare una modalità di investigazione in un paesaggio culturale, un laboratorio
aperto, trans e multi-disciplinare che usa dispositivi relazionali creativi ed innovativi che permettono di
comprendere e partecipare al processo di trasformazione in atto.
Kurds on the map che deve essere considerato come un processo cognitivo e relazionale itinerante, più
che un´opera compiuta, diventa il dispositivo per raccontare questo paesaggio ma al tempo stesso per
acquisire nuove informazioni.
Così come è stato proposto sotto forma di installazione al Kunstraum Bethanien di Berlino, kurds on the
map consiste in una videoproiezione continua delle esperienze dei vari attraversamenti che di volta in volta
vengono compiuti all´interno di questa realtà della diaspora kurda; di una cartografia dell´Europa, che indica
i luoghi e le relazioni che vengono scoperti con la ricerca; da quattro proiezioni, che raccontano
parallelamente i quattro kurdistan (turco, siriano, iracheno, iraniano), con dei cortometraggi realizzati da
registi kurdi.
Il lavoro, inteso come l´insieme di quattro archivi, distinti secondo i diversi piani di ricerca e di
rappresentazione, può essere presentato in maniera unitaria o separatamente, diventando la sede
d´incontri pubblici e workshop che possono integrare il lavoro stesso, legando per esempio i luoghi ai
network o contestualizzando di volta in volta la ricerca nei luoghi in cui viene presentata.
I quattro archivi sono:
L´archivio cartografico vuole riportare il maggior numero di luoghi ed eventi, istituzionali e non, presenti in
Europa che fanno riferimento alla cultura curda, e vuole essere anche il dispositivo con il quale interagire
durante gli incontri pubblici e i workshop
L´archivio degli attraversamenti si presenta come una narrazione continua di una serie di esperienze che
l´Osservatorio Nomade produce entrando in relazione con diversi contesti. Situazioni e realtà per lo più
ibride che raccontano soprattutto luoghi ed eventi in cui si verifica questo incontro tra identità diasporiche
diverse.
L´archivio cinematografico consiste invece in una raccolta di documentari e cortometraggi che viene
implementato rispetto alle produzioni cinematografiche grazie al network di attori e registi curdi che ruotano
intorno al festival internazionale del cinema curdo, e fa riferimento ad un circuito di organizzazioni
indipendenti.
L´archivio multimediale infine si arriccisce sia di tutto il materiale utile nel lavoro di mappatura, bliografico,
nozionistico, forografico etc..., sia accoglie i lavori ed i contributi di tutti quegli artisti o ricercatori che
vogliono partecipare a questa restituzione.
Iacopo Gallico
foto fatte durante il viaggio a Makronisos organizzate
dall’agenzia di Atene
on|Berlin on|Berlin on|Berlin on|Berlin on|berlin on|be
Verso un´agenzia transnazionale
L´agenzia ON/Berlino, che non rientrava nel finanziamento
europeo, si sarebbe dovuta attivare parallelamente rispetto alle
altre agenzie del progetto Egnatia e avrebbe dovuto garantirsi
un autonomia economica che gli avrebbe permesso di dare
continuità alla sua attività di ricerca, che inizialmente, utilizzando
il dispositivo della raccolta di storie, voleva essere una
mappatura del paesaggio anatolico berlinese. Il fatto che questo
finanziamento non sia mai arrivato, la relazione che lega
Stalker/On con la comunità curda, la costruzione del network
Egnatia, sono forse le cause o i fattori che hanno determinato in
corso d´opera una redifinizione di questi obiettivi, dando vita
piuttosto a quelle intersezioni e a quelle triangolazioni che
tuttavia oggi hanno animato in parte il progetto Egnatia e in parte
la rete.
Il filo conduttore che ha permesso questa operatività trasversale,
è quello della diaspora kurda, una realta´transnazionale appunto
con cui Stalker si confronta dal 1999 quando crea con i rifugiati
giunti a Roma a seguito di Ocalan, il centro socio-culturale
Ararat; uno spazio pubblico, in cui due comunità distinte trovano
nella gestione di un luogo il punto d´incontro fra due identita´in
diaspora: i Kurdi, rifugiati per una questione politica irrisolta, e un
gruppo di giovani architetti, artisti, ricercatori, rappresentanti di
una generazione in esilio da certi valori.
Un´esperienza che segna in modo significativo il percorso di
Stalker/On che quando lancia il progetto Egnatia nel 2003,
sceglie l´Ararat come il primo luogo in cui raccogliere le storie.
Saranno proprio le storie di quei rifugiati kurdi transitati
all´Ararat, che nel rimandarci lungo la via Egnatia e lungo il
percorso del loro viaggio, ci indicheranno la strada verso Berlino
e verso Lavrio, che con Roma sono i tre contesti d´indagine su
cui invece si sviluppera´ la ricerca di quella che può essere
definita come un’agenzia transnazionale del progetto Egnatia.
I lavori di questa agenzia cominciano con una collaborazione al
festival del cinema curdo di Berlino. La prima attività di
Stalker/On e´ quella di curare il backstage, nonche´una serie di
workshop in cui gestire degli incontri pubblici informali con i
protagonisti del festival. Un´attività che si dimostra
estremamente utile sia per la relazione con la comunità, sia per
l´attivazione della stessa agenzia dando il via ad una
dimensione pubblica del progetto. Infatti nasce una relazione
con la municipalità di Kreuzberg, il quartiere con maggiore
presenza anatolica, il cui sindaco ci offre uno spazio all´interno
del Bethanien, e soprattutto cresce una certa visibilita´ che
richiama singoli ricercatori e studenti.
Nascono così anche se in modo discontinuo dei laboratori in cui
vengono discussi i questionari delle interviste ed i temi degli
incontri, mentre una squadra si predispone in modo operativo
sugli aspetti tecnici e organizzativi. La raccolta delle storie
attraverso le interviste specialmente con gli artisti, attori e registi
propone subito degli aspetti critici interessanti rispetto al
progetto Egnatia. La disponibilità a raccontare le proprie storie è
molto diversa, soprattutto gli artisti della seconda generazione
faticano a parlare di se stessi come individui recriminando il
fatto che gia´ lo fanno come artisti, e in secondo luogo temono
di vedersi inseriti in un progetto-contenitore, confezionato da
giovani intellettuali europei, che parla di immigrazione.
E’ in questo contesto che nasce l´esigenza di capire come
l´attività di raccolta delle storie derivate dalla diaspora kurda
possa diventare un lavoro di mappatura di un paesaggio
culturale e il primo tentativo di impostare una cartografia in
questo senso viene realizzato con l´esperienza di
Gelsenkirchen, in una azione coordinata dall´agenzia On di
Roma e Berlino. Alla fine di Settembre infatti, a pochi chilometri
da Colonia, si tiene il dodicesimo festival internazionale della
cultura curda che richiama piu´di cento mila curdi da tutta
Europa e Stalker/On partecipa a questo evento di massa
andando a raccogliere le storie e seguendo le comunità di
Roma, Berlino e Venezia. Inizia così il lavoro in progress di
Kurds on the Map che verrà presentato prima al Festival Les
Urbaines di Losanna e in un secondo tempo, in una forma piu´
completa al Kunstraum Bethanien a Berlino.
L´altro contesto di ricerca che invece si apre sul fronte greco con
l´attivazione dell´agenzia di Atene, e´ il campo rifugiati di Lavrio,
dove abita una numerosa comunità curda. Lavrio è uno dei
luoghi lungo la via Egnatia nel quale una delle storie raccolte a
Roma all´Ararat vuole ritornare. Questa storia diventa la chiave
di accesso alla realta´del campo per avviare una serie di
relazioni che animano il lavoro condotto dall´Agenzia di Atene e
che si concretizzerà a giugno nell´evento organizzato sull´isola
di Makronyssos. L´isola di fronte Lavrio, che segna una pagina
buia della storia greca poiche´ utilizzata durante la dittatura
come campo di rieducazione per i dissidenti comunisti, diventa
la meta per una giornata d´incontro pubblico con la comunita´di
rifugiati e in questa occasione la pietra con la storia d´Irfan,
raccolta al centro socioculturale Ararat a Roma, viene riportata
nel luogo designato dallo stesso Irfan e viene realizzata dalla
comunità una nuova pietra che segnerà l´evento.
Iacopo Gallico
Mehmet Aktas
mitosfilm production
Stephane Bauer
Kunstraum Kreuzberg Bethanien
Christoph Tannert
Kunstlerhause Bethanien
Hilal Yaser
Kreuzberg Museum
Musa Aktas
Sprachenatelier
Cornelia Reinauer
Municipio di Friedrichshain
Kreuzberg
Doris Nahawandi
Bezirksant Friedrichshain
Kreuzberg
Francesca Fergusson
Urban Drift
Kamal
Associazione Malacurda
Kardo Kamo
Kurdishe volks haus
Ercan Ayboga
Kurdish Students Organization
Germany
Hasan Sezgin
Instituta Kurdi Berlin
Hevi Dilara
Centro Socioculturale Ararat
Natasha Anderes
Festival Les Urbaines-Circuit
Lausanne
iki on|fieldThessaloniki on|fieldThessaloniki on|fieldThe
Along
the
Egnatia
Odini-Idoni
terza tappa
Il canto e la musica ci hanno accompagnato lungo tutto il viaggio,
leggermente faticoso, ma intenso con momenti che ci hanno toccato
nel profondo.
Niki, Grecia 24 marzo 2005. Siamo al confine con la Macedonia
secondo me più Macedonia che Grecia. Paraskevi ci ha accolto con
affetto, ormai siamo di casa! L'incontro con Raffaella sul canto è stato
subito produttivo: si sono conosciute cantando, stare lì a sentirle è stata
una gioia immensa. A telecamere spente finalmente ha cantato anche
in macedone, cosi abbiamo capito cosa significa vivere ai confini, ci
siamo promessi di invitarla nel Salento a luglio per la presentazione del
progetto Egnatia: è d'accordo e vuole venire.
Kostas Politidhs è l'ex pròedros del villlaggio di Neos Kafkasos ai
confini con la Macedonia. Il terreno è sorto nel 1926 sul terreno di un
chiftlik per rifugiati del Caucaso - per saperne di più vedere pag. 144
del libro di Piero Vereni, Vite di confine. C'è un capitolo dedicato
interamente a lui, vi consiglio di leggerlo! Il tempo trascorso con lui è
stato veramente eccezzionale, i materiali prodotti insieme raccontano
un'esperienza unica: abbiamo quasi capito che cos'è il "canto
rembetico".
Arghirò Selemidu gestisce il cafè tv un locale sulla piazza principale di
Florina, una donna con una voce... un viso ellenidas! Siamo stati ospiti
di Kostas, la sera del 24, a cantare e suonare. Oltre a noi c'era anche
Stathis, un musicista che suonava il buzuki. Poi è successo di tutto
durante la serata, veramente unica (i materiali raccontano) ...Malone
stanco e andato a letto.
Panagiotidis Basilios e Papadimitrion Litsa, sono una coppia che vive
nella parte alta di Florina. Basilios è ginecologo, un signore molto
distinto e aperto; ci ha permesso di organizzare nella sua sontuosa villa
una parte del film, con la complicità di Litsa seconda moglie pittrice.
L'idea è quella di fare la prima chianca proprio nella loro casa ci è stata
suggerita dall'arredamento, sconvolgente, una fiction riuscita a regola
d'arte. (grazie Davide!)
Leonidas Khristopoulos quando siamo arrivati a Petres, era morto da
10 giorni (il libro di Vereni ruota attorno a questo signore e ai suoi
quaderni scritti durante la sua lunga vita nel villaggio sul lago di
Petres). Il nucleo centrale dei suoi appunti sono: la storia della
Macedonia, memorie autobiografiche, peripezie della sua famiglia e
questioni politiche passate e attuali. Gli abitanti sono rimasti sorpresi
dalla nostra presenza, curiosi di sapere come mai Leonidas fosse così
famoso. Si sono fermati insieme a noi a parlarci di lui nell'aia di quella
che era la sua casa che affaccia sul lago: abbiamo lasciato sul posto
una chianca con una poesia in griko del poeta Kokkaluto. È stato il
momento più intenso del viaggio. Nel ripartire Mery Zygouri ha preso
con sè l'ombrello di Leonidas, che era appeso, un gesto che ci è
sembrato... L'ombrello era nuovissimo, uno di quelli neri, con rifiniture
in alluminio leggero, con il bottoncino che fa scattare automaticamente
l'apertura e con un fodero, dello stesso tessuto. Mi chiedevo come mai
un ombrello tecnologicamente così avanzato si trovasse in quel luogo.
Rileggendo in seguito ancora il libro di Piero, Leonidas aveva un solo
braccio… tutto ritornava!
Komnina è un villaggio sulla strada per Kazani a sud dei laghi di Petres
e Vegoritida. Tutta l'area è abitata da rifugiati del Pondo "ormai integrati
al sistema". Scesi dal furgone come un piccolo esercito, ci siamo
sparpagliati per ritrovarci in una cappella adiacente a una chiesa
Ortodossa, la comunità celebrava una cerimonia funebre molto
complessa; ci siamo accomodati anche noi, registrando i vari passaggi:
ci è sembrato che le tradizioni fossero ancora molto forti - conserviamo
dei bellissimi cd di musica che ci hanno regalato.
Manekas Georgios è Vlahoi, cantore di lingua valacca, vive a Veria. La
sua voce limpida fa pensare al paesaggio montagnoso occidentale a
nord di Edessa. Siamo stati ospiti nel giorno della nostra Pasqua con
la sua comunità di Armani. Un'esperienza unica: un laboratorio e un
incontro tra il loro canto e quello griko. Anche qui abbiamo lasciato una
chianca, un momento molto cordiale, continuato nella trattoria del
quartiere dove ci hanno invitato a pranzo: buonissimo... Una Pasqua
così bella e intensa è difficile da dimenticare!
Thessaloniki, 28 marzo, ancora una volta alla Saoul Modiano. Il
laboratorio è iniziato nel pomeriggio: il canto sefardita e quello griko. Gli
ospiti della comunità ci hanno riconosciuti e sono stati affettuosissimi:
è stato un pomeriggio bellissimo, a tratti anche commovente per la
grande intensità. Ramona è il titolo del canto che più mi ha colpito; ci
hanno fatto i complimenti per il montaggio del video di Michela
Franzoso.
Tony Molho è professore al Department of History and Civilization, The
European University Institute di Firenze. L'incontro alla Saoul Modiano
era stato gia previsto, è un signore cordiale, disponibile a collaborare
al nostro progetto e molto incuriosito anche dai materiali scoperti al
tabacchificio, dalla storia degli ebrei italiani. Parlava tranquillamente
con noi in italiano e poi in francese e greco. Ci siamo accordati che
verrà a trovarci per una piccola discussione su quelle che sono state le
migrazioni sefardite nel Mediterraneo.
Thessaloniki, sul lungomare in un pomeriggio caldo: dopo una
passeggiata e alcune musiche composte sul momento da Antongiulio
per la fisarmonica, Mery ha lanciato in mare la chianca "Ghostbusting
in Thessaloniki ", una performance...
Thessaloniki, 31 marzo: il soldato Kalimera. La storia ci è stata
raccontata da Franco Corlianò di Kalimera prima di partire per la
Grecia. Succedeva verso gli anni 80, Franco andò in vacanza in Grecia
con la sua famiglia, a sud nel Peloponneso. Una volta si ferma per
strada a comprare della frutta ad una bancarella; sentendosi parlare in
griko, il venditore - un anziano signore - riconosce la lingua e gli
racconta di quando era bambino, che un militare italiano di Kalimera gli
salvò la vita dai Tedeschi che avevano ucciso la sua famiglia... Davide
Barletti racconterà gli sviluppi della coperta del soldato kalimera (il
nome del venditore di frutta secca lo conserva Mery).
Alcune piccole considerazioni: la presenza nel collettivo di Michalis e
Mery è stata fondamentale, facendo anche da tramite nelle relazioni
con noi e con le persone incontrate (grande lavoro!). Malone ha
scattato 3000 foto scannerizzando il viaggio e il paesaggio; ho visto le
foto in sequenza, il materiale è prezioso! Raffaella Aprile prima del
viaggio non mi era mai capitato di sentirla cantare: auguro a voi tutti di
ascoltarla al più presto! Antongiulio, invitato da Raffaella, in questo
viaggio si è sintonizzato subito, prima con noi e poi con tutti quelli che
abbiamo incontrato col canto con discrezione e maestria. Davide
Barletti ci ha confermato la sua grande passione per la regia. Il girato?
Spettacolare! C'é anche l'audio ed è pulito!
Fraterno
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