Solo per puri, di Josè Carlos Rodriguez

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Solo per puri, di Josè Carlos Rodriguez
SOLO PER PURI
di José Carlos Rodriguez
Questo articolo del missionario comboniano José Carlos Rodriguez è apparso sul suo blog En clave de Africa, ospitato
sul sito internet Religión. La traduzione italiana in Adista Contesti numero 10 del 2 febbraio 2008.
In buona parte delle comunità cristiane dell’Africa si verifica un fenomeno che non sfugge a nessuno
di coloro che hanno soggiornato a queste latitudini: le chiese traboccano di gente e – contrariamente a quanto
succede in Europa – soprattutto di giovani e adulti, ma al momento della comunione si avvicinano all’altare
in pochi. È un fatto, questo, al quale non mi sono mai abituato e contro il quale sento una ribellione sempre
maggiore.
L’origine di questo squilibrio è nella situazione matrimoniale in cui si trova la gran parte dei
partecipanti alla messa e, se si applica il Diritto Canonico in tutto il suo rigore, sono poche le persone che si
possono accostare ai sacramenti. Già lo diceva un vecchio vescovo ugandese ai cui ordini sono stato per un
paio d’anni, che quando ci sono più di 35 gradi all’ombra il Diritto Canonico funziona poco.
Potremmo spiegare il problema nel modo seguente: in Africa, soprattutto nelle zone rurali, la gente
suole sposarsi, secondo l’usanza tradizionale, abbastanza presto, ma una buona parte dei cristiani aspetta
molti anni prima di sposarsi in chiesa, se mai lo fa. Qui si intersecano motivi culturali e pratici. Nelle
tradizioni africane, il matrimonio è considerato un processo che comincia ad essere siglato con il pagamento
della dote alla famiglia della sposa e che tarda molti anni a concludersi. Naturalmente, a volte entrano qui
elementi che chiaramente fanno a pugni col vangelo, come può essere un inconfessato – ma reale – desiderio
di “lasciarsi la porta aperta” alla possibilità di prendere un giorno una seconda o terza moglie. Altre volte, la
gente pensa che un matrimonio in chiesa debba essere celebrato con tutto il fasto e per farlo manca il
denaro... E il momento di poter disporre della somma adeguata sembra non arrivare mai. E per quanto una
coppia possa andare a messa ogni giorno, essere impegnata nella propria parrocchia fino al midollo o che so
io, se non è passata per il vicariato non riceve i sacramenti, punto.
Altre volte si tratta di casi di cristiani che si sono avvicinati ad un tipo di vita considerato
“irregolare”, con poca scelta da parte loro. È il caso di una donna che diventa vedova e la pressione del clan e
la necessità di sopravvivere e poter alimentare i figli sono elementi che la spingono a diventare seconda
sposa del fratello o del cugino del marito defunto. O il caso di un uomo che inizia un’unione tradizionale con
una donna per poi separarsi – la necessità di emigrare in città per cercare lavoro influisce molto in questo – e
unirsi con un’altra donna con la quale si sposa in chiesa, e magari questa lo pianta nel giro di due giorni e
l’uomo – come ci si può aspettare – torna con la prima donna ma non può sposarsi in chiesa. E quando il
prete della sua parrocchia corre dal vescovo perché esamini la possibilità di dichiarare la nullità
matrimoniale, il vescovo archivia il caso e non risolve niente...
In alcune diocesi africane il legalismo arriva ad esagerazioni quali, per esempio, negare i sacramenti
ad una ragazza perché è rimasta incinta (e l’amante, per certo, ha preso il largo). Dove l’ipocrisia può
giungere all’estremo che magari lo stesso prete che nega i sacramenti ha sottomano tre o quattro ragazze con
le quali sfogarsi di quando in quando, ma di sicuro nessuno lo richiama all’ordine, fra l’altro perché è molto
probabile che il suo stesso vescovo sia passato per simili avventure alcuni anni prima e alla fine funziona la
“legge del silenzio”.
Dicevo al principio che non mi sono mai abituato a questo e mi suscita sempre più pena e ribellione.
Credo sia questa una delle peggiori debolezze che si trovano in questo momento nella Chiesa africana. In
questo continente, dove abbondano i rifugiati, la violenza, le tirannie e la miseria più assoluta, sarebbe
auspicabile che la Chiesa fosse un sacramento di misericordia e riconciliazione che sanasse le tante ferite che
devastano la gente. Purtroppo non è raro che nella sua prassi sacramentale la Chiesa si presenti più come
giudice che come madre, trasformando i sacramenti in una specie di premio per i puri. Il clero africano,
generalmente, è stato educato ad una mentalità molto legalista che si manifesta in questo tipo di situazioni e
non è solito mettere in questione questo ordine di cose.
Così penso a quel vescovo che quella volta mi diceva che di solito il Diritto canonico non funziona
molto bene a 35 gradi all’ombra e penso che avesse più ragione di un santo.