Dimensioni organizzative della scuola italiana e
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Dimensioni organizzative della scuola italiana e
Dimensioni organizzative della scuola italiana e apprendimenti degli studenti di Daniela Molino Paper for the Espanet Conference “Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa” Milano, 29 Settembre — 1 Ottobre 2011 Daniela Molino Università di Torino Dipartimento di Scienze Sociali Via Sant’Ottavio 50, Torino 10124 [email protected] 1 «La ricerca, non meno dell’osservazione empirica, mostra che il capo di istituto è uno dei più importanti fattori, se non il principale, nel determinare l’efficienza della scuola. Un buon capo d’istituto che sia capace di stabilire un efficace lavoro di gruppo e che sia visto come competente e aperto, ottiene spesso importanti miglioramenti nella qualità della scuola» (Delors 1997: 144). Introduzione Lo studio si inserisce in un filone di ricerca che, a partire da fine anni ‘90, in linea con un trend di studi internazionali già in atto da tempo, si propone di studiare i cambiamenti organizzativi che in seguito alla riforma dell’autonomia scolastica stanno caratterizzando il sistema educativo nazionale. Gran parte delle ricerche, realizzate in Italia nell’ultimo decennio (Fischer, Masuelli 1998; Cavalli 2000; Susi 2000; Fischer, et. al. 2002; Butera et. al. 2002; Benadusi 2003; Benadusi, Consoli 2004; Artini 2004; Campione et. al. 2005), parlano di un sistema scolastico “a macchia di leopardo”, con molte luci ed ombre, impegnato in un processo di profonde e complesse trasformazioni. Nel nostro paese, la riforma dell’autonomia scolastica, con fatica, ha cercato più volte e invano di decollare. Pur non trovando una completa attuazione, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle risorse finanziarie, del personale e della valutazione, fattori cardine di un reale decentramento, l’evoluzione da un sistema centralistico e gerarchico a uno basato sull’autonomia ha comportato un radicale mutamento della figura del capo d’istituto. Il “preside” profilandosi come orchestratore dei processi di cambiamento, da burocrate amministrativo si trasforma in dirigente, imprenditore, manager con il compito di coordinare un’organizzazione articolata e fornire la migliore risposta ai bisogni del territorio; e con l’obiettivo di raggiungere con efficacia ed equità le migliori perfomance degli studenti. Questi mutamenti radicali impongono l’assunzione di maggiori responsabilità e poteri decisionali da parte dei capi d’istituto, i quali, pur valutando favorevolmente le conseguenze derivanti dai provvedimenti sull’autonomia (Fischer et.al. 2002), sono coinvolti in un processo di implementazione né facile né rapido, che richiede pratiche gestionali diverse rispetto al passato La relazione che intercorre tra le pratiche organizzative e gestionali del Dirigente Scolastico e le performance degli studenti rappresenta una sfida per il sistema educativo italiano: nel nostro paese raramente i livelli di apprendimento raggiunti sono stati trattati dal punto di vista del management e della leadership e ancor più raramente con metodologie quantitative. Pertanto, da un lato la relativamente recente riforma strutturale della scuola, in parte incompleta e ancora ingessata da una logica burocratica (Cipollone, Sestito 2010: 128) che modifica radicalmente l’organizzazione degli istituti; dall’altro lato i risultati delle indagini comparative (PISA, TIMSS, PIRLS) che evidenziano una varianza elevata delle performance fra le scuole italiane – che invece è relativamente bassa al loro interno – rispetto agli altri paesi, inducono a posizionare una “lente d’ingrandimento” sugli istituti e sulla loro organizzazione. Suggestioni e spinte in tal senso provengono anche dal Quaderno Bianco della Scuola, che nell’edizione del 2007 insiste ripetutamente sull’importanza di comprendere che cosa renda le scuole tanto simili o tanto diverse tra loro, indipendentemente dal contesto geografico. Altresì l’OECD ha esortato l’Italia a considerare che l’accountability ha bisogno di essere introdotta a diversi livelli, così che i responsabili decisionali di questioni chiave come il reclutamento degli insegnanti, la formazioni delle classi e i metodi di insegnamento dispongano delle informazioni appropriate sulle quali valutare i risultati e predisporre gli incentivi di miglioramento (OECD 2009). Perché performance così eterogenee tra gli istituti? Se questa variabilità non può essere totalmente imputabile alle disuguaglianze fra gli studenti, a quali fattori può essere attribuita? Questi sono in principali interrogativi che hanno animato l’interesse di ricerca. Indagare come gli istituti sono 2 gestiti costituisce lo scopo prioritario di questo lavoro, individuandone le principali dimensioni organizzative; la relazione tra queste e gli apprendimenti, un approfondimento esplorativo. D’altro canto le riflessioni teoriche, che hanno permesso di definire con maggiore precisione l’obiettivo del lavoro, consentono di stabilire i confini della ricerca. Il lavoro vuole prendere le distanze dalla valutazione dell’efficacia di un istituto in senso stretto, che comporterebbe l’utilizzo di altri strumenti di analisi rispetto a quelli impiegati e un insieme di output non riconducibili unicamente alle performance. 2. Il quadro teorico di riferimento Il quadro teorico in cui si colloca la ricerca fa riferimento a due principali filoni di studio: rispettivamente la Schoool Effectiveness Research e la School Improvement Research, sviluppatesi dalla fine degli anni ’70, prevalentemente negli Stati Uniti e nel Regno Unito. La Schoool Effectiveness (Edmonds 1979, Brookover et. al. 1979, Rutter et. al. 1979) sviluppa modelli, con tecniche di analisi quantitative, per studiare le variabili che a, diversi livelli, condizionano gli apprendimenti e stimarne l’impatto sui risultati. La scuola, in questo senso, costituisce un fattore che esercita la sua influenza sulle performance intervenendo nella relazione studente-apprendimento. Può produrre il suo effetto in quanto variabile interveniente, oppure antecedente o concomitante, o secondo alcun studi, come fattore che direttamente agisce sui risultati. Questo paradigma di ricerca produce schemi di analisi molto articolati che non sempre riescono a trovare una traduzione nell’analisi empirica. Tale complessità induce a volte a risultati ambivalenti, lasciando aperte una serie di questioni e di interrogativi, in particolare rispetto al tipo di associazione che intercorre tra i diversi livelli di analisi. Scheerens, negli anni ‘90, mette a punto un modello integrato di analisi che tiene in considerazione simultaneamente il contesto, gli input, i processi a livello di scuola e di classe e gli output. Le variabili di contesto costituiscono il quadro entro cui operano le variabili relative alla scuola, alle classi e agli studenti. Tale modello multilivello ha ispirato la maggior parte degli studi, prevalentemente econometrici, volti a indagare l’efficacia delle variabili di scuola e di classe sui risultati degli studenti, al netto di variabili individuali, di background socio-economico e di contesto (Scheerens 2000). Una delle principali critiche mosse a questo filone di studio, riguarda la mancanza di interesse verso implicazioni manageriali delle informazioni che emergono dai modelli statistici. Questioni legate alla possibilità di miglioramento della scuola, dei processi educativi, degli insegnanti sono rimaste largamente marginali. In antitesi al filone di matrice quantitativa, la School Improvement Research (Hopkins 1987, Teddlie, Stringfield 1993), con tecniche di analisi qualitative, prende in esame la leadership scolastica quale elemento che crea le condizioni in grado di facilitare il processo di apprendimento, per poi proporre strategie di miglioramento. Non entra nel merito della relazione tra organizzazione e acquisizione delle competenze, e soprattutto lascia da parte ogni tentativo di quantificarne l’impatto. L’enfasi è posta sul clima e sulle condizioni lavorative che il dirigente è in grado di creare, per incentivare quelle condizioni che risultano maggiormente favorevoli all’apprendimento. I due approcci, nati con obiettivi e metodi di studio diversi, negli anni più recenti si sono progressivamente integrati e hanno ottenuto ampio spazio nell’ambito della sociologia e dell’economia dell’istruzione (Leithwood, Levin 2005). Essi concordano sull’importanza del dirigente e delle pratiche organizzative da lui messe in atto nel favorire risultati scolastici migliori, ma mostrano alcune divergenze e la necessità di approfondire ulteriormente la relazione d’indagine. La sistematizzazione degli elementi teorici ha portato all’individuazione delle criticità e delle difficoltà che, in diversa misura, emergono studiando l’ “effetto istituto”. Entrambi gli approcci fanno da cornice teorica alla ricerca. La School Effectiveness fornisce le coordinate teoriche di riferimento e il modello di analisi, proposto da Scheerens (1990), del quale si propone un’applicazione parziale. Per contro, lo studio non si pone l’obiettivo di valutare il “valore 3 aggiunto” della scuola rispetto alle caratteristiche individuali, ma di fornire un’analisi descrittiva volta a individuare le pratiche di gestione che “potenzialmente” potrebbero contribuire al miglioramento dell’apprendimento, avvicinandosi in questo modo alla prospettiva teorica ed empirica della School Improvement. 3. La ricerca empirica Il disegno di ricerca si articola a partire da una prima domanda cognitiva, dal carattere generale, e da due interrogativi più precisi, che si sviluppano come specificazioni della meta-domanda cognitiva. La scuola, intesa come organizzazione, ha una relazione con le performance degli studenti? Questa, a sua volta, si articola in due quesiti puntuali. Il primo di carattere descrittivo che porta alla individuazione di alcune pratiche organizzative rintracciabili nelle scuole italiane del primo ciclo: quali sono le dimensioni organizzative che caratterizzano la scuola italiana? L’altro di tipo analitico, il cui obiettivo è di esplorare la relazione tra queste dimensioni e gli apprendimenti: quali dimensioni sono correlate con gli apprendimenti, al netto delle caratteristiche di background individuale? Al fine di poter perseguire entrambi gli obiettivi è stato necessario costruire un disegno di ricerca piuttosto articolato e complesso, che ha comportato alcuni limiti connessi alla qualità dei dati e ha mostrato alcune delle criticità che caratterizzano lo studio dell’“effetto istituto”. Perseguendo gli obiettivi sopra descritti, si sono studiate le scuole primarie e secondarie di primo grado del nostro paese. Per poter disporre di informazioni riguardanti sia gli studenti sia la scuola, si è costruito un database intersecando due matrici: i dati TIMSS 2007 e i dati Invalsi sulla Valutazione del Sistema Scuola 2006-2007. I dati sulla valutazione di sistema hanno consentito di ricostruire, per ciascun istituto il contesto, l’organizzazione e le risorse umane disponibili. Le informazioni concernenti le risorse finanziarie e strutturali, seppur di cruciale importanza, non sono state prese in considerazione. Per l’anno 2007, oltre alle scuole campionate, alla rilevazione Invalsi hanno partecipato tutti gli istituti coinvolti nei programmi dei Fondi Strutturali Europei e del Fondo per le Aree Sottoutilizzate. Ciò ha comportato una «sovra-rappresentazione indotta» delle scuole del Sud: più della metà del campione è costituito da istituti collocati nelle regioni FAS e FES, che percepiscono, per questa ragione, risorse aggiuntive. Quanto detto, oltre a rappresentare una delle criticità più evidenti della ricerca, limita l’utilizzo di alcuni indicatori, come quelli finanziari appunto, influenzati dalla collocazione geografica. Dall’indagine compartiva TIMSS, invece, sono state raccolte informazioni sulle caratteristiche individuali degli studenti, sul loro background socio-culturale e sulle loro performance in matematica e scienze. Queste ultime presentano la potenzialità di essere misurate mediante score standardizzati, e pertanto comparabili a livello internazionale e nazionale con i risultati di altre indagini, quali PISA e PIRLS. A partire dal nuovo campione, ricavato da un merge dei due data-set, a due livelli di unità di osservazione – alunni e scuole – creato appositamente per rispondere agli interrogativi di questo studio, si è proceduto secondo il seguente schema di lavoro. Intanto, è stato operativizzato il concetto di dimensione organizzativa attraverso alcuni indicatori considerati salienti per il funzionamento del sistema scolastico. Si sono individuate le pratiche gestionali e organizzative implementate e incentivate dal Dirigente Scolastico nel proprio istituto, attraverso un procedimento teorico deduttivo, a partire da una precedente ricerca (Paletta 2007) che delinea cinque modelli organizzativi che a seconda del territorio di riferimento sembrerebbero dare risultati più o meno efficaci1. Nel presente lavoro, dati i limiti del campione e dei dati disponibili, non si ha la pretesa di definire veri e propri modelli, bensì di estrapolare alcune dimensioni trasversali, che possono essere diversamente combinate tra di loro. 1 Per un approfondimento sui cinque modelli organizzativi individuati si veda Paletta 20007. 4 In una seconda fase, a partire dagli stessi indicatori, sono state estrapolate le dimensioni latenti che caratterizzano gli istituti scolastici italiani, con l’ausilio di uno specifico modello di analisi (Rasch Model). In questo modo si è avuto la possibilità di indagare le pratiche organizzative utilizzando due approcci di ricerca, quello deduttivo e quello induttivo, in modo complementare. Alla luce dei risultati precedenti, sono stati elaborati i composite indicator per “misurare” ciascuna dimensione nelle scuole del campione. La creazione di indici lineari compositi ha comportato una serie di scelte per certi aspetti arbitrarie, sia nell’individuazione degli indicatori più adatti sia nella loro aggregazione e, soprattutto, nell’attribuzione di diversi pesi semantici a ciascuna componente. D’altro canto gli indici sintetici hanno permesso di operativizzare concetti complessi e articolati, rendendoli così misurabili. Infine, è stata esplorata, attraverso la tecnica di regressione multilivello, la variabilità delle performance degli studenti, al netto delle variabili individuali, in relazione ad una particolare dimensioni organizzativa: la valutazione. 4. Le dimensioni organizzative della scuola Dall’elaborazione dei dati emergono tre principali dimensioni, che caratterizzano l’organizzazione del lavoro dei dirigenti e del personale docente, implementate in modo differente a seconda dell’area geografica2. La prima è la collaborazione interna, intesa sia come lavoro di gruppo tra gli insegnanti, sia come leadership distribuita. L’autonomia scolastica necessita per i dirigenti, in un quadro di finalità generali, la presa in carico di decisioni che vanno condivise con tutti i docenti, soprattutto con quelli che svolgono compiti gestionali (Fischer 2006: 163). Ecco perché si è scelto di inserire tra gli indicatori di questa misura quelle variabili che hanno a che fare con la propensione del dirigente a condividere e a distribuire ai docenti incarichi. In questo senso, il leader viene valutato positivamente in base alla sua capacità di incentivare la collaborazione delle “figure intermedie” che ricoprono ruoli gestionali e organizzativi, ma non solo. Nella prospettiva della leadership distribuita, la leadership si espande in tutta l’organizzazione ed è condivisa dai suoi attori. Questo non vuol dire che il ruolo di chi dirige venga meno, ma parte di questo consiste nel «distribuire responsabilità» (Early, Weindling 2004: 15). Inoltre, si è scelto di rilevare quanto, in ciascuna scuola, il lavoro di gruppo tra docenti sia effettivamente un’ attività consolidata e quanto sia, invece, episodica e non continuativa. Una leadership condivisa favorisce l’esperienza collegiale tra i docenti, una visione comune e uniformità di intenti che si rendono evidenti anche all’esterno, comprese le famiglie. La collaborazione interna presuppone che la leadership non riguardi solo il dirigente, bensì l’intreccio della sua attività con quella degli altri attori, in un processo di interazione continua. Infine, si è considerata, nella misura della collaborazione interna, la formazione del personale, sia in termini di auto-aggiornamento condiviso con il team di lavoro, sia di partecipazione a momenti formativi collettivi istituzionalizzati. In questo senso il dirigente scolastico si propone come promotore di una leadership diffusa, di una propria vision da condividere con i docenti, e come sostenitore di un ambiente di formazione all’interno della scuola. Le strategie utilizzate dai dirigenti sono rivolte principalmente a motivare professionalmente i docenti: coinvolgerli nelle scelte organizzative, fornire linee chiare di governo, premere sul senso di appartenenza alla comunità della scuola, sostenerli nei rapporti difficili con le famiglie, promuoverne e supportare la formazione continua e le iniziative innovative, fare proposte di lavoro 2 In questa fase di lavoro, con finalità prevalentemente analitico-descrittive, le analisi sono state condotte sul campione rappresentativo delle scuole italiane che hanno partecipato all’indagine INVALSI. I risultati messi in luce, pertanto, possono essere inferiti all’intera popolazione. 5 al collegio dei docenti, riconoscerne i meriti individuali e coinvolgerli nella preparazione e successiva predisposizione del piano dell’offerta formativa della scuola. Figura 1: Composit indicators relativo alla collaborazione interna In un sistema caratterizzato da rapidi cambiamenti e da un continuo incremento di informazioni la scuola deve far fronte a nuovi bisogni che si vengono a creare, cercando di fornire ai giovani gli strumenti per rispondere alle nuove sfide globali e locali che l’incremento dei flussi economici e culturali propone. Inoltre, la rapida trasformazione degli scenari e dei contesti impone di considerare l’acquisizione di competenze non più come un’attività limitata alla formazione iniziale, ma di ragionare secondo una logica di formazione continua. In questo scenario la scuola si propone come “sistema formativo integrato”, ossia come un sistema che promuove reciprocità, integrazione, interrelazione tra le diverse agenzie educative presenti sul territorio. La scuola dell’autonomia nasce per rispondere a questa esigenza di prossimità tra scuola, territorio, famiglie, mondo del lavoro e sistema educativo non formale. In questo scenario la seconda dimensione, definita collaborazione esterna, si riferisce pertanto all’apertura della scuola verso il territorio, verso gli altri istituti, e al coinvolgimento delle famiglie. Si è scelto di considerare i genitori come soggetti esterni e misurare, non tanto quanto la scuola li sensibilizzi alla partecipazione ad attività di normale amministrazione, ma quanto il dirigente favorisca un rapporto costruttivo con le famiglie basato sulla collaborazione attiva, coinvolgendole nella didattica, nell’elaborazione del Piano dell’Offerta Formativa e nelle riunioni per il raggiungimento di comuni obiettivi. Rispetto alla collaborazione con il territorio, si è rilevato l’inserimento della scuola in “reti interistituzionali” (Schizzerotto, Barone 2006: 53), l’attivazione di collaborazioni con altri istituti scolastici e la numerosità delle reti. Questa dimensione è stata altresì misurata tenendo conto dell’importanza che l’apertura verso l’esterno ricopre all’interno del Piano dell’ Offerta Formativa dell’Istituto. Un ultimo indicatore considera, inoltre, la rilevanza concessa dalla scuola alla soddisfazione dei soggetti esterni nei confronti di tale attività. Figura 2: Composit indicators relativo alla collaborazione esterna 6 Infine, la terza dimensione concerne la questione della valutazione, aspetto particolarmente critico per la scuola italiana. La valutazione, che emerge con evidenza dall’analisi di Rasch3 come dimensione che non può essere inglobata nella pratica organizzativa più generale riferita alla collaborazione interna, ma che va trattata a sé, polarizza gli istituti. La valutazione, intesa sia nel senso di condivisione tra i docenti dei criteri di giudizio comuni rispetto agli studenti sia nell’accezione di autovalutazione d’istituto e infine di rilevazione del clima scolastico, è uno strumento che divide le scuole: un gruppo significativo la rifiuta, un altro la accoglie favorevolmente. Mentre, infatti, le prime due dimensioni mostrano un andamento «normale» nel nostro paese, la collaborazione interna maggiormente concentrata verso l’alto e quella esterna verso il basso, la valutazione presenta un andamento divergente: o prassi consolidata o ipotesi rifiutata. Sono le scuole che si collocano in una posizione intermedia, rispetto a questa pratica, a costituire il gruppo meno numeroso. Questa tendenza contraddittoria è una prerogativa dell’ “autonomia scolastica” all’italiana (Fondazione Agnelli 2009: 260), in ritardo nell’affrontare la questione della valutazione. Solo da pochi anni si sta facendo strada, con persistente fatica e molte resistenze, la richiesta di un sistema di valutazione della scuola e dei suoi risultati. Attività che deve essere strutturata ed efficace nelle sue conseguenze a tutto campo: dall’offerta formativa al raggiungimento degli obiettivi, dal lavoro dei docenti ai risultati degli studenti, dalla soddisfazione del personale al clima scolastico. 3 Inizialmente si era pensato di trattare la valutazione come una dimensione della collaborazione interna in quanto a diversi livelli implica il coinvolgimento di più soggetti in un gruppo di lavoro, talvolta presieduto dal capo d’istituto. In realtà, attraverso un’analisi esplorativa condotta prima attraverso il metodo di Rasch, poi attraverso un’analisi fattoriale esplorativa, è emerso come la valutazione non solo costituisca un concetto latente a sé, ma spieghi la maggior parte della varianza. Questo è stato un esempio di chiaro feedback empirico che ha permesso di orientare e perfezionare, in un processo di adattamento progressivo, l’interpretazione teorica di partenza. 7 Figura 3: Composit indicators relativo alla Valutazione In un sistema improntato sull’autonomia, l’accountability rappresenta il necessario e complementare strumento di governo e di progresso per le scuole. Essa, per essere efficace, deve, in primo luogo, essere una funzione specializzata che coinvolge il personale docente, il dirigente e gli esterni che a diverso titolo partecipano ai gruppi di lavoro formalizzati. In secondo luogo, è necessario che si traduca in interventi concreti e non si riduca a mere azioni burocratiche. Al contempo, per evitare i rischi intrinseci (strumento di controllo e di ricentralizzazione mascherata), la valutazione deve combinare contemporaneamente l’efficacia tecnica (di strumenti, azioni, risultati ed effetti) e l’efficacia culturale rivolta a stimolare e diffondere un’etica della responsabilità verso la scuola e la società nel suo complesso (Moscati, Vaira 2008: 309). Occorre considerare la valutazione come «uno strumento formativo volto a stimolare nei docenti un effettivo miglioramento del proprio lavoro» (Fischer 2006: 188). Una pratica per certi versi nuova per la scuola e il personale che vi lavora, ma da cui il nostro sistema scolastico non può più prescindere. Al fine di completare il quadro descrittivo delle principali dimensioni organizzative della scuola italiana, si è verificata la distribuzione di ciascuna di queste rispetto all’area geografica. In estrema sintesi si riportano le considerazioni principali. La collaborazione interna, pur essendo in generale la pratica più diffusa nelle scuole, trova maggior consenso nelle scuole del Sud, mentre nelle regioni del Nord, ed in particolare del Nord-Ovest mediamente riporta bassi punteggi. La collaborazione esterna che si distribuisce nel campione con un andamento normale, mediamente traslato verso il basso, trova maggior riscontro nelle scuole del Nord-Est a indicare che un territorio e un contesto favorevole incentivano la creazione di reti tra scuole, e soprattutto tra scuole ed enti locali, categorie imprenditoriali, centri di formazione e associazioni di varia natura. Il dato che per certi aspetti colpisce di più è la tendenza del Nord-Ovest, rispetto alla collaborazione esterna, ad assumere un andamento simile al Sud e Sud-Isole. Poche scuole attivano con continuità reti interistituzionali e forme di coinvolgimento delle famiglie in attività didattiche, scelte educative o approfondimenti formativi. Infine, la valutazione che, come si è detto, divide le scuole, pare essere una pratica organizzativa messa in atto più al Sud che al Nord. Questo dato, riferito all’anno dell’indagine – 2006-2007 – si presta a molteplici osservazioni e va trattato con cautela. Una delle ragioni risiede nel fatto che le 8 scuole del Sud devono fornire una rendicontazione delle loro attività per accedere ai Fondi Strutturali Europei e per le Aree Sottoutilizzate. Ciò non si accompagna necessariamente ad una piena condivisione della pratica. Una seconda motivazione che ci induce a trattare con riguardo la dimensione della valutazione, che par alcuni versi è quella che nella definizione del lavoro è emersa come la più interessante, è la desiderabilità sociale che aleggia attorno ad una questione al centro del dibattito istituzionale. 5. Valutazione e apprendimenti degli studenti: un’analisi esplorativa Nel tentativo di rispondere al secondo interrogativo di ricerca, è stata esplorata, attraverso la tecnica di regressione multilivello, la variabilità delle performance degli studenti, al netto delle variabili individuali, in relazione alle dimensione organizzative dell’istituto. Nello specifico si presenteranno di seguito i risultati dell’analisi riferiti alla valutazione. La valutazione, in quanto strumento diagnostico e non mero elemento di controllo, svolge un ruolo sotteso alle altre due dimensioni. È attraverso un approccio informato alla gestione che il Dirigente può raccogliere elementi e spunti per pianificare efficacemente la sua azione: un monitoraggio attento e completo mette in evidenza le debolezze e le criticità dell’istituzione, indirizzando al contempo l’azione verso il miglioramento. Tra valutazione e miglioramento sembra intercorrere una relazione, assodata negli altri paesi, poco frequentata in Italia. Secondo una tripartizione nota: la valutazione come tecnica di gestione rappresenta uno strumento utile per valutare il funzionamento scolastico e migliorarne la produttività; la valutazione come fase del processo di miglioramento rappresenta lo strumento diagnostico funzionale all’implementazione di un processo di innovazione; infine la valutazione come strategia di miglioramento in se stessa rappresenta una modalità di promozione del cambiamento volta a produrre sia una maggiore consapevolezza professionale dei singoli individui sia delle modalità di lavoro organizzativo e di progettazione collegiale, sia della qualità dei processi di insegnamento-apprendimento (Bollen 1987). Valutazione e miglioramento sono considerati un binomio indissolubile, rafforzato dall’autonomia scolastica. Si è deciso, per queste ragioni, di presentare l’output del modello di regressione gerarchica che stima l’effetto della dimensione relativa alla valutazione sui risultati in matematica degli studenti, al netto di alcune variabile di controllo quali il backgroud medio della scuola, l’ubicazione della scuola, il genere, lo status socio-culturale, l’origine etnica, il possesso di determinati home possession. Prima di entrare nel merito dei risultati dello studio, si riportano alcune riflessioni d’insieme sulle performance in matematica e scienze degli studenti italiani, che frequentano la scuola dell’obbligo, per tracciarne un quadro descrittivo di riferimento. È inutile ribadire la posizione dell’Italia rispetto agli altri sistemi nazionali europei nella classifica dei risultati; ma è importante sottolineare che la scuola primaria, riportando punteggi vicini alla media internazionale e in alcuni casi superiore, consegue risultati nettamente migliori rispetto alla scuola di secondo grado inferiore. Si conferma, inoltre, la tendenza dei maschi in matematica a ottenere punteggi superiori rispetto alle femmine. L’andamento dei risultati in riferimento alla macroarea geografica conferma i divari territoriali: il Nord-Est si distingue rispetto alle altre aree per una migliore prestazione dei sui studenti, in matematica e scienze, sia nella scuola primaria sia nella secondaria di primo grado. Essa fra l’altro è l’unica area che in matematica, in “terza media”, ottiene un punteggio di alcuni punti superiore alla media TIMSS. I risultati peggiori si rilevano nel Sud e Isole: performance inferiori al resto del paese in entrambe le materie. Pur nel persistente gap territoriale tra Nord e Sud l’aspetto che emerge quale più interessante riguarda l’eterogeneità tra le singole scuole all’interno di ciascuna area geografica. Tale risultato indebolisce, rendendo non del tutto adeguata, seppur fondata, la rappresentazione dell’Italia come un paese a due velocità, mostrando un’immagine della penisola più articolata rispetto alla generica bipartizione Nord-Sud. 9 Definite le dimensioni organizzative e tracciato un quadro delle performance degli studenti, si è proceduto con l’analisi della loro relazione. I dati utilizzati per questo scopo presentano dei limiti analitici dovuti all’intersezione di due indagini distinte – TIMSS e INVALSI – e, come si è detto sopra, al campione delle scuole sovra-rappresentato per le regioni del Sud. Questi aspetti hanno consentito un’analisi descrittiva, ma non rappresentativa. Ciononostante, i risultati del modello multilivello esplorativo, se da una parte confermano che le variabili individuali – come la classe sociale di provenienza e il genere – continuano ad avere una forte influenza sugli apprendimenti, dall’altra mettono in luce che una percentuale di varianza nelle performance potrebbe derivare dalla scuola e da come questa è gestita. L’analisi è stata condotta sul campione di studenti di secondo grado inferiore, tralasciando la scuola primaria4. Tale scelta per due ragioni principali: in prima istanza, come si è mostrato in precedenza, la “scuola media” rappresenta l’anello debole della scuola italiana riportando, in entrambe le materie, risultati decisamente inferiori alla “scuola elementare”. In secondo luogo il dataset riferito ai ragazzi della scuola di secondo grado restituisce una serie di indicazioni più precise rispetto al background socio-economico. Per la scuola primaria le informazioni sulla condizione culturale e sociale della famiglia sono meno puntuali; per esempio, manca la variabile concernente il titolo di studio dei genitori, che per questo tipo di analisi è di fondamentale importanza (Brunello, Checchi 2006; Carneiro, Heckman 2003; Marks, Cresswell, Ainley 2006). Si è deciso, inoltre, di adottare come variabile dipendente lo score degli apprendimenti in matematica: disciplina fortemente condizionata dal genere e che riporta risultati tendenzialmente più bassi rispetto alle scienze. Definito il campione di riferimento e la variabile dipendente, si è effettuata la selezione delle variabili indipendenti, sia per il primo livello di analisi (gli studenti) sia per il secondo livello (le scuole). La letteratura in tema di istruzione, insieme alle analisi descrittive preliminari sui dati secondari disponibili, sono risultati elementi di indubbia utilità per orientare la scelta delle variabili esplicative5. Inoltre, le analisi multilivello, condotte principalmente sui dati PISA, ci hanno offerto ulteriori elementi di riflessione per la definizione del modello(Oecd 2007; Martini e Ricci 2007; Benadusi et. al. 2010). Uno schema riassuntivo delle variabili viene riportato nella tabella 1. 4 Il campione di riferimento si compone di 1627 studenti e 67 scuole. Sono state escluse dal campione le scuole che presentavano dati mancanti. Il modello tiene in considerazione la natura gerarchica dei dati, ma si pone pretese solo descrittive e non esplicative. I casi sono stati pesati per riportare gli studenti alla popolazione. Poiché gli studenti entro ciascuna nazione sono stati selezionati attraverso procedure di campionamento probabilistico, la probabilità di ciascun soggetto di essere selezionato è nota. Il peso di campionamento è dato dall’inverso di tale probabilità. È stato utilizzato il peso TOTWGT normalizzato. 5 Alcune variabili sopra elencate sono state selezionate in quanto risultate significative nell’output della regressione stepwise sui risultati in matematica. Prima di procedere con la modellizzazione è stata effettuata l’analisi delle correlazioni tra le variabili, al fine di individuare possibili sovrapposizioni degli effetti dei fattori in gioco. La correlazione tra le dimensioni organizzative è significativa a un livello di 0,01, si è pertanto deciso di presentare il modello per una sola misura (la valutazione). Gli stessi modelli di analisi multilivello sono stati effettuati anche per ciascuna altra dimensione. 10 Tabella 1. Variabili utilizzate nelle analisi Variabili Variabile dipendente Punteggio in matematica Fattori primo livello Genere Tipo Indice: livello istruzione più alto dei genitori Ordinale Genitori nati in Italia Dummy Uso computer in casa Dummy Dizionario in casa Dummy Numero di libri in casa Ordinale Fattori secondo livello Dimensione valutazione Ordinale Codifica Cardinale Dummy Grado di “svantaggio socioeconomico” della scuola Ordinale Dimensione contesto Dummy Uomo = 0 Donna = 1 Non terminata la scuola secondaria inferiore =1 Qualifica secondaria inferiore =2 Diploma secondaria superiore=3 Diploma post-secondaria non terziaria=4 Laurea (primo stadio istruzione terziaria)=5 Post laurea (secondo stadio terziaria)=6 No = 0 Sì =1 No = 0 Sì =1 No = 0 Sì =1 0-10 = 0 11-25 =1 26-100 =2 101-200 = 3 più di 200 =4 Bassa = 0 Medio bassa = 1 Medio alta =2 Alta= 3 0-10% =0 11-25% =1 26-50% =2 più di 50% =3 Inferiore a 50.000 =0 Maggiore 50.000 =1 Entrando nel merito della costruzione del modello6, in una prima fase, gli effetti delle variabili inserite nei diversi blocchi sono stati stimati singolarmente. In altre parole, sia al primo livello sia al secondo livello, si sono calcolati diversi modelli, uno per ciascuna variabile. Infine, l’analisi si è conclusa con la stima di un modello «saturo» comprendente contemporaneamente le variabili di primo e di secondo livello. La tabella 2 riporta una sintesi dei risultati di ciascun modello. Nel rispetto della prassi consolidata in tema di analisi multilivello, l’elaborazione di questi modelli è stata preceduta dal calcolo di un modello privo di regressori di primo e di secondo livello e, per questa ragione, detto «nullo». Nell’equazione che definisce il modello nullo non figurano variabili esplicative e la variabile dipendente risulta uguale alla somma di una media generale (intercetta), un effetto casuale a livello di gruppo (tra le scuole poiché l’analisi è a due livelli) e un effetto casuale a livello individuale (nelle scuole). Nel nostro caso la variabile dipendente è costituita dal punteggio 6 Il modello è stato stimato con il software HLM, la numerosità delle osservazioni è pari a 1627 studenti e 67 scuole, è stato applicato il peso studenti normalizzato e si considera il modello con gli errori standard robusti. Per un confronto il modello è stato stimato anche con STATA 9, con metodo “xtmixed command”. I risultati dei due modelli convergono 11 ottenuto da ogni studente nella prova TIMSS in matematica del 2007. L’analisi qui illustrata è un’applicazione del modello multilivello ad intercetta casuale7. In tutti i modelli utilizzati, le variabili saranno considerate a effetti fissi, ciò implica che i parametri vengono trattati come una intercetta ovvero come se tra le variabili di primo livello e quelle di secondo livello si verificasse sempre lo stesso tipo di associazione. In ciascuno dei modelli parziali, saranno considerati: la significatività dei coefficienti delle variabili introdotte; il peso del coefficiente; il modificarsi dei coefficiente e della significatività delle variabili già presenti nei modelli; la proporzione di varianza spiegata a livello studente e a livello scuola8. Tabella 2. Modello multilivello per le performance in matematica degli studenti della scuola secondaria di primo grado Intercetta MODELLO EMPTY MODELLO 2 MODELL0 3 MODELLO 4 MODELLO SATURO 471,5 471,5 471,5 461,1 365,2 10,5 9,8* 8,9* 8,7* -5,6* -7,6 -6,3* 32,2* 22,8* Livello scuola Dimensione valutazione Grado di “svantaggio socioeconomico” della scuola Ubicazione scuola (contesto) Livello studente Livello istruzione genitori 8** Genere -7,8* Genitori nati in Italia 27,4** Uso computer in casa 19,8** Dizionario in casa 59** Numero di libri in casa 9,9 ** Componenti casuali Varianza within school (between pupils) 4545,7 4545,8 4544,9 4545 4114,4 Varianza between school 1987,5 1856,2 1793,7 1596,2 1389,8 Quota di varianza attribuita alle scuole sul totale 30% 7 In tutti i modelli stimati, le pendenze delle rette di regressione sono state mantenute fisse sul loro valore medio e solo le intercette sono state lasciate libere di variare casualmente (random intercept model). 8 Come stima dei modelli si riporta la riduzione percentuale della varianza between e within ottenuta in ogni modello rispetto al modello nullo. 1. Riduzione Between = 1- (Varianza Between scuole MODn / Varianza Between scuole MOD0) 2. Riduzione Within = 1- (Varianza Within scuole MODn / Varianza Within scuole MOD0) 12 Proporzione di varianza spiegata tra studenti (entro le scuole) Proporzione di varianza spiegata tra le scuole 0% 0% 0% 10% 7% 10% 20% 30% Parametri significativi: ** p < 0,01; * p < 0,05 Numero osservazioni valide individui 1627 Peso normalizzato TOTWGT (studenti) Si entrerà ora nel dettaglio dei principali risultati dell’analisi9 al fine di verificare l’ipotesi di una correlazione tra la dimensione organizzativa relativa alla valutazione e le performance in matematica degli studenti, al netto degli effetti di contesto e di background individuale. Il primo modello consente di rilevare quanta parte della variabilità nella competenza in matematica sia dovuta alla scuola frequentata (varianza tra le scuole) e quanto alle caratteristiche individuali dello studente (varianza entro le scuole), escludendo ogni variabile interveniente. Il coefficiente di correlazione intraclasse (quota di varianza attribuita alle scuole) è calcolato in corrispondenza del modello nullo e costituisce il passaggio preliminare all’analisi multilivello. Questo coefficiente determina la proporzione di varianza assegnabile alle unità di secondo livello (le scuole). Il dato relativo al modello nullo indica che il 30% delle differenze nelle performance si riferisce alle scuole, mentre il restante 70% è da attribuire al primo livello e dipende dalle caratteristiche individuali, come illustrato nella figura 5. Questo stesso risultato legittima l’utilizzo di questa tecnica di analisi, poiché quasi un terzo della variabilità nelle prestazioni in matematica non è imputabile alle caratteristiche individuali dei singoli studenti, ma a fattori a livello scuola. D’altro canto, l’alta proporzione di varianza tra scuole (between school) non è semplicemente un mezzo per avvalorare il ricorso all’analisi multilivello, ma è anche un’utile chiave di lettura del sistema scolastico. Il fatto che molta della variabilità della competenza in matematica sia da attribuire alla scuola frequentata suggerisce che gli studenti iscritti in uno stesso istituto tendono a essere fra loro simili, ma diversi da quelli iscritti in un’altra scuola. In corrispondenza dell’intercetta, leggiamo il punteggio mediamente ottenuto dagli studenti in matematica per il campione di riferimento TIMSS-INVALSI. Nel modello nullo questo valore è pari a 471,510. Figura 5. Scomposizione della varianza nei due livelli di strutturazione dei dati. Modello nullo 9 L’output mostra che il valore di significatività di LR è significativo per il modello: (LR test vs. linear regression: chibar2 (01) =245.92 Prob >= chibar2 = 0.0000) 10 Confrontando questo valore con la media del campione TIMSS emerge una sottostima della media rappresentativa per la popolazione italiana di quasi 10 punti (479). Ovviamente questo risultato è l’effetto della composizione del campione fortemente sovrarappresentato dalle regioni del Sud. 13 Si procede con l’analisi inserendo una alla volta le variabili scuola e studenti (regressori o predittori) per spiegare la proporzione di variabilità dei risultati tra scuole e tra studenti. Nel primo modello si inserisce immediatamente il fattore di maggior interesse per gli scopi di questo lavoro: la dimensione riguardante la valutazione, che rientra tra le tre pratiche organizzative che emergono dall’analisi empirica, ma che ha mostrato di caratterizzare maggiormente le scuole italiane. Inoltre, si è scelto di mostrare come la valutazione si correli con gli apprendimenti proprio per la rilevanza che questa pratica assume nella gestione e organizzazione di un istituto. Partendo dall’autovalutazione, da un’attenta analisi dei risultati e del clima organizzativo e si possono trarre utili indicazioni di miglioramento. Procedendo con ordine si legge prima il valore dell’intercetta che, pur continuando a indicare il voto medio dello studente, si carica di un significato incrementale, poiché la variabile presa in esame concorre a specificare nel dettaglio il profilo dello «studente tipo». In altre parole, in tutti i modelli proposti, il valore dell’intercetta esprime la competenza mediamente conseguita da uno studente che, rispetto alle variabili considerate, si colloca nella categoria zero nel caso di variabili dicotomiche e assume un valore pari alla media generale nel caso delle variabili cardinali11. I parametri stimati in corrispondenza di ogni singolo regressore sono coefficienti che suggeriscono di quanti punti – in positivo o in negativo – la competenza in matematica di uno studente tipo, descritto in base a quanto detto sopra, cambia, rispetto al valore dell’intercetta, quando lo stato del regressore viene sottoposto a un incremento unitario. Detto in altre parole, il parametro stimato in corrispondenza della dimensione organizzativa indica che, al variare di un’unità (passando cioè da una modalità bassa ad una medio-bassa e così via), il punteggio medio in matematica aumenta di 10 punti. In corrispondenza di questo predittore leggiamo la proporzione di varianza spiegata: il 7% della variabilità dei risultati in matematica si può attribuire alla misura che si riferisce alla valutazione, con una significatività accettabile. Nel terzo modello, si è inserito l’indicatore del livello socio economico medio della scuola12. Passando da una situazione di disagio molto bassa, meno del 10%, ad una stima del disagio compresa tra il 10% e il 25%, lo score medio in matematica diminuisce di circa 6 punti, riducendo lievemente il parametro relativo al regressore della valutazione che passa da 11 a 10 punti. Plausibilmente, la porzione di varianza spiegata tra le scuole nel secondo modello è aumentata. Infine, nel quarto modello, è stata inserita la dimensione del contesto in cui è ubicato l’istituto. La porzione di varianza spiegata aumenta al 32 %, registrando un effetto positivo sui risultati: il contesto urbano sembra avere una relazione favorevole sui risultati medi degli studenti. A livello studente, nel modello saturo, sono stati inseriti alcuni indicatori che si riferiscono alle caratteristiche socio-culturali ed economiche degli individui, che tradizionalmente giocano un ruolo molto importante sui livelli di apprendimento conseguiti, fino dai primi anni di scuola (EspingAndersen 2003, Wossman 2008). Il background ha un considerevole valore predittivo sui risultati conseguiti dagli allievi. È noto, e regolarmente dimostrato dalle indagini comparative13, che gli allievi che vivono in condizioni di maggiore vantaggio economico, ma anche sociale e culturale, hanno migliori possibilità di conseguire risultati più soddisfacenti durante il loro percorso formativo. Nel modello in discussione, si conferma questo dato con il livello di istruzione dei genitori che mette in luce un effetto positivo sull’apprendimento, ma il predittore più apprezzabile a questo proposito è quello relativo alle home possession. Aumentando di un’unità nella scala ordinale del numero di libri posseduti in casa aumenta di 10 punti il punteggio individuale, ma maggiori aumenti 11 Un esempio può aiutare a comprendere meglio quanto detto: il valore dell’intercetta 471 è il punteggio riportato mediamente in matematica da uno che frequenta una scuola in cui la dimensione organizzativa “valutazione” è pari alla media delle scuole del campione. 12 Lo stesso modello di analisi è stato calcolato inserendo anziché lo stato di svantaggio socio-culturale, l’indice di vantaggio. I risultati sono pressappoco identici, ma con un segno positivo. 13 Come richiamato in precedenza, anche le ricerche IEA-TIMSS e OCSE-PISA confermano a diversi livelli, questo legame sia a livello internazionale sia nazionale (Martini e Ricci: 2007, 2010) 14 nei risultati si associano al possesso del dizionario in casa, e all’uso del computer. La variabile relativa al dizionario (dicotomica) va letta con cautela proprio per la sua natura molto selettiva: non possedere un dizionario nelle scuole medie può essere un indicatore di grave disagio. Dall’analisi si conferma che le variabili che fanno riferimento ai beni culturali posseduti nelle case degli studenti hanno, dunque, una relazione significativa e positiva con le loro performance. Guardando alla provenienza degli studenti, si nota che essere figli di genitori entrambi italiani influenza positivamente i risultati, confermando il divario non solo tra nativi e non nativi, evidenziato da alcune ricerche nell’ambito dell’educazione, ma anche tra gli stranieri di prima e seconda generazione. Questo risultato, riferito alla condizione degli immigrati, tuttavia, richiederebbe un ulteriore approfondimento, per comprendere quali possano essere le ragioni di questo gap e come esso possa variare fra diversi gruppi di immigrati, qui non considerati distintamente. Notoriamente, in matematica le differenze di genere risultano significative. Il modello conferma i risultati attesi: le performance delle studentesse si associano ad una diminuzione di quasi 10 punti rispetto ai risultati dei compagni maschi. Guardando al modello saturo, che comprende tutti i regressori contemporaneamente, individuali e di scuola, si nota che, mentre diminuisce l’inclinazione dei due coefficienti connessi allo svantaggio socio-economico e alla dimensione del contesto, la dimensione relativa alla valutazione rimane costante e continua a influire per circa 8 punti sugli score di matematica. Il modello saturo «spiega» il 30%, ovvero permette una riduzione della varianza di secondo livello del 30% rispetto al modello vuoto. Ciò non è affatto marginale. La qualità delle prestazioni in matematica, rilevabili all’interno delle diverse scuole, può essere spiegata solo in parte dagli attributi che qualificano i singoli studenti. Interpretazioni più precise sulle differenze tra le performance si possono ottenere analizzando anche le variabili di secondo livello che concorrono a caratterizzare le scuole, tra le quali quelle organizzative. L’analisi multilivello illustrata ha cercato di fare maggiore chiarezza sulle determinanti dei risultati conseguiti in matematica dai ragazzi della scuola media e, soprattutto, sulla relazione tra tali risultati e alcune caratteristiche dell’istituto. I fattori che concorrono a definire la prestazione scolastica di uno studente sono, pertanto, molteplici e riconducibili a diversi livelli di analisi: l’acquisizione delle competenze scolastiche risente non solo delle caratteristiche che qualificano lo studente, ma anche degli attributi che definiscono il contesto scolastico e la sua organizzazione. La capacità esplicativa del modello è relativa; ma visti i limiti dei dati e la possibilità di inserire nell’analisi una sola misura organizzativa, a causa degli effetti di multicollinearità, si può apprezzare come la dimensione costruita attorno alla valutazione, sia significativa e vada nella direzione attesa di migliori performance. Per concludere, si ritiene ancor più stimolante l’analisi proposta se si considera che la popolazione di riferimento della ricerca è costituita da scuole dell’obbligo che non prevedono percorsi distinti, come le scuole secondarie di secondo grado. 6. Conclusioni Emerge dall’analisi presentata che oltre un quarto della variabilità dei risultati è da ricondurre a differenze interne al singolo istituto. Conferme, a tal riguardo, provengono anche dai dati riportati sui documenti OCSE-PISA che mostrano un Italia ai primi posti nella graduatoria internazionale per quanto riguarda l’incidenza della varianza inter-scolastica sulla varianza totale. Peraltro, trattandosi, in questa ricerca, di scuole dell’obbligo è possibile escludere che i risultati siano influenzati dall’appartenenza alle diverse filiere che caratterizzano le scuole superiori e che tradizionalmente influenzano le performance degli studenti. In Italia la scelta (da parte dell’individuo o della sua famiglia) di un certo tipo di scuola o di un certo istituto produce una forte effetto di clusterizzazione degli studenti, in base al loro status socioeconomico e culturale, con ricadute sia sugli 15 apprendimenti. Per esempio, i punteggi dei liceali sono sistematicamente più alti di quelli degli altri indirizzi di studio. Viceversa, nel sistema della scuola dell’obbligo, tenute sotto controllo variabili di contesto, individuali e di indice socio-culturale medio della scuola, la varianza è imputabile prevalentemente all’istituto e alla sua gestione. Pertanto, si può ragionevolmente legittimare la rilevanza di studi orientati a indagare le pratiche organizzative che maggiormente sono responsabili nel multidimensionale processo di apprendimento. Collaborazione interna, collaborazione esterna e, soprattutto, valutazione sono tre esempi di dimensioni organizzative che, nella ricerca, hanno mostrato una relazione con le performance, ma certamente non sono le uniche. La ricerca, inoltre, per i limiti del campione a disposizione non ha avuto la possibilità di inferire statisticamente a tutta la popolazione i risultati dell’analisi multilivello e non ha potuto tenere sotto controllo le aree geografiche che, come noto, costituiscono un fattore cruciale nella determinazione degli apprendimenti. Il sovra campionamento del Sud induce a pensare che, nelle regioni dove tradizionalmente si ottengono risultati peggiori, riflettere sulle modalità organizzative per incrementarne le buone pratiche potrebbe contribuire positivamente. Secondo l’ipotesi sostenuta nella ricerca, questo significa che gli attori che posseggono gli strumenti di sviluppo, dovrebbero essere consapevoli delle dimensioni organizzative che nelle diverse circostanze funzionano, al fine di promuovere azioni tese al miglioramento degli apprendimenti. La complessità del disegno di ricerca ha consentito dunque di indagare il ruolo e il peso delle variabili organizzative e sociali nella spiegazione della varianza tra gli studenti e le scuole all’interno di alcune realtà territoriali. Rimane però da verificare se queste considerazioni possono essere inferite alla popolazione delle scuole italiane e se, in base all’area geografica di riferimento, o ancor meglio, in base a ciascuna regione, l’implementazione di una dimensione piuttosto che un’altra produca differenti effetti. Se così fosse, il dirigente e i suoi collaboratori dovrebbero identificare in quale misura favorire ciascuna dimensione, sostenendo a seconda del contesto pratiche collaborative e di valutazione differenti. Le differenze di contesto tra gli studi finora condotti, insieme alla complessità della definizione delle keyword di questa ricerca (quali dimensioni organizzative, leadership educativa), e alla difficoltà di tenere sotto controllo la multidimensionalità del processo di apprendimento hanno costituito limiti e problemi nell’affrontare la questione. A questi problemi di carattere teorico, se ne sono accompagnanti altri di ordine metodologico, in parte strettamente connessi ai primi: la difficoltà di definire operativamente le dimensioni e gli indicatori; la complessità di individuare le variabili intervenienti nella relazione tra scuola e apprendimento o ancora, la difficoltà a reperire i dati secondari più adatti e a utilizzare le appropriate tecniche di analisi per studiare tale relazione. Tra i punti di forza, tuttavia, la possibilità di disporre di dati secondari raccolti per scopi diversi, ma completi di informazioni per entrambi i livelli di analisi di nostro interesse (scuola e studenti) e, grazie alla collaborazione dell’Istituto Invalsi, l’opportunità di aggregarli per ciascuna scuola. Il campione costruito ad hoc per questa ricerca ha permesso così di analizzare prima le caratteristiche delle scuole, poi le performance e infine di esplorare la relazione tra le due. Gli spunti di ricerca e le suggestioni emerse per approfondire maggiormente la questione non mancano, ma certamente rimane di indubbia difficoltà una definizione esaustiva dell’effetto scuola e una misurazione incontrovertibile del suo impatto sugli output. Leithwood e Levin (2005), data la complessità della questione, giungono alla conclusione che qualsiasi tentativo ulteriore di progettare e condurre un’analisi esaustiva del modo in cui le attività di gestione determinano e favoriscono il successo dei risultati, richiede vengano prese un gran numero di decisioni circa i metodi e le procedure, le quali possono ragionevolmente essere messe in discussione. Le analisi proposte in questo lavoro cercano di fare i conti con i cambiamenti che stanno attraversando il sistema d’istruzione dell’obbligo del nostro paese, in modo tale da offrire alcuni incipit per ulteriori approfondimenti in senso organizzativo. Ciò rischia di spingerci oltre l’effettiva evidenza empirica raccolta, ma consente anche di individuare future prospettive di ricerca e a fare 16 alcune considerazioni di portata più generale. Se la scuola e la sua organizzazione hanno un potere esplicativo rispetto all’output, in questo lavoro misurato attraverso le performance, ma certamente non l’unica possibilità, diventa sempre più rilevante approfondire in quale direzione il capo d’istituto deve indirizzare la sua attività e individuare quali pratiche gestionali e organizzative siano in grado di produrre cambiamenti positivi nel sistema formativo. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Artini, A. (2004), I leader educativi. La dirigenza scolastica nelle scuole dell’autonomia, Milano, Franco Angeli. Ballarino, G., Bernardi, F., Requena, M., Schadee, H. (2009), Persistent Inequalities? Expansion of Education and Class Inequality in Italy and Spain, in «European sociological review», 18. Ballarino, G., Checchi, D. 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