CAPITOLO II L`EDITORE COME AUTORE Teorie a confronto
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CAPITOLO II L`EDITORE COME AUTORE Teorie a confronto
SOMMARIO INTRODUZIONE I Presentazione della ricerca p. 4 II Un panorama del dibattito italiano p. 10 III. Uno sguardo al passato. La ricezione: madre delle teorie editoriali p. 16 Capitolo I: SEMANTICA EDITORIALE. TEORIE A CONFRONTO. 1.1 DONALD MCKENZIE 1.1.1 Il libro come forma espressiva p. 22 1.2 ROGER CHARTIER 1.2.1 L’ordine dei libri p. 27 Capitolo II: L’EDITORE COME AUTORE. TEORIE A CONFRONTO. 2.1 ALBERTO CADIOLI 2.1.1 Dalla parte del critico 2.1.2 Per un’«ermeneutica editoriale» 2.1.3 «Editore iperlettore» ed «intentio editionis» 2.1.4 Per una «cultura editoriale» p. 36 p. 37 p. 46 p. 54 2.2 ROBERTO CALASSO 2.2.1 Dalla parte dell’editore 2.2.2 L’editore come creatore 2.2.3 Bibliografia come «codice autobiografico» 2.2.4 L’editoria come genere letterario p. 69 p. 70 p. 79 p. 82 Capitolo III: L’EDITORE MILITANTE. TEORIE A CONFRONTO. 3.1 ANDRÉ SCHIFFRIN 3.1.1Una «nuova ideologia del mestiere» p. 95 3.2 JANINE, GREG BRÈMOND 3.2.1 Un’«editoria condizionata» p. 103 3.3 ALFREDO SALSANO 3.3.1 L’editore manager p. 111 3.4 GIOVANNI PERESSON 3.4.1La distribuzione come problema editoriale 3.4.2 La libreria come paratesto p. 116 p. 120 CONCLUSIONI p. 126 BIBLIOGRAFIA p. 138 3 INTRODUZIONE I. Presentazione della ricerca Il fine del presente lavoro è stato quello di individuare i “paradigmi editoriali contemporanei” a partire dall’analisi dei saggi che dall’inizio del nuovo millennio hanno affrontato la tematica dell’editoria dandole un’impronta teorica significativa, tanto da poter tracciare dei modelli di pensiero. Ma perché cercare di individuare dei paradigmi e soprattutto, perché circoscrivere la ricerca al nuovo millennio? Questa indagine nasce proprio come risposta al grande dibattito nato intorno agli anni ’70 in seguito alle grandi trasformazioni avvenute in seno all’editoria, il quale si è sviluppato in maniera crescente sino ad oggi interrogandosi su chi è l’editore, qual è la sua missione, qual è il suo ruolo nella società e nella letteratura e, qual è il suo futuro. Tale speculazione si sta facendo sempre più vivace e coinvolge letterati, critici, giornalisti e accademici sia in Italia che all’estero. Nel presente lavoro si è deciso di soffermarsi sui testi presenti nel dibattito italiano. Per poter comprendere le motivazioni che sono alla base degli interrogativi sopracitati e di conseguenza anche le fondamenta di questa ricerca, occorre fare una breve panoramica su quello che è accaduto all’editoria negli ultimi quarant’anni. Nel corso degli anni Settanta si è conclusa quella che Gian Carlo Ferretti 4 INTRODUZIONE ha definito l’«editoria dei protagonisti1», cioè quel lungo periodo in cui hanno predominato aziende editoriali a gestione familiare o dalla fisionomia personalizzata a causa del ruolo centrale ricoperto dai fondatori dell’azienda intitolata al loro nome; questo è stato il caso di Arnoldo Mondadori, Angelo Rizzoli, Valentino Bompiani e Giulio Einaudi, dei veri e propri “protagonisti” poiché nella loro azienda avevano l’ultima parola su qualsiasi decisione, sia di carattere culturale che economico. Questa situazione aveva permesso che ogni casa editrice avesse una propria identità ben definita, strettamente legata a quella del suo editore (Ferretti parla di «identità editorial-letteraria2»). A partire degli anni Ottanta all’interno della maggiori case editrici assumono un ruolo sempre più importante - anche relativamente alle scelte editoriali - alcuni funzionari dei settori amministrativi e commerciali, le cui esperienze lavorative si erano formate in industrie estranee alla produzione libraria. Tutto questo porta ad un graduale stravolgimento delle pratiche editoriali e del ruolo del libro e dell’editore. A partire degli anni Novanta sino ad arrivare ai giorni nostri, si è instaurato un rapporto sempre più stretto tra i prodotti dell’editoria libraria e gli altri media come la televisione e il cinema, sino a giungere alle tecnologie digitali, tanto da poter parlare di «integrazione dell’industria della stampa nel flusso multimediale3». Nel frattempo si è verificato un altro fenomeno a livello mondiale, 1 GIAN CARLO FERRETTI, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, cfr., pp. XI e 3. 2 Ivi, p. XI. 3 GIOVANNI RAGONE, Verso la quarta generazione, in L’editoria in Italia. Storia e scenari per il XXI secolo, contributi di Maria Liguori, Leonida Reitano, Luca Reitano, Fabio Tarzia, Napoli, Liguori, 2005, p. 7; corsivo nel testo. 5 INTRODUZIONE cioè la tendenza alla concentrazione proprietaria. In questo nuovo ambito il libro non ha più il posto che aveva sino a quarant’anni fa poiché, all’interno del processo multimediale il prodotto-libro viene considerato, dal punto di vista della produzione e del consumo, come un segmento, neppure troppo considerevole, del sistema della comunicazione. È proprio in questa situazione di mutamento che sorgono gli interrogativi sul ruolo dell’editore oggi. La letteratura in merito sta aumentando in modo interessante e rivela la grande attenzione prestata all’argomento. Nel presente lavoro si è deciso di prendere in considerazione quegli studiosi che hanno affrontato in modo sistematico tale argomento, creando, nel corso degli anni un vero e proprio sistema di pensiero intorno al concetto di editore ed editoria. Partendo da questo presupposto e considerando quei testi che hanno avuto un’importanza seria nel dibattito italiano, sono stati ricavati tre paradigmi che inquadrano i tre modelli di pensiero - tutt’ora in fieri - che tra loro presentano una certa continuità. Il lavoro è strutturato in tre capitoli afferenti ai tre paradigmi, precisamente: Semantica editoriale, L’editore come autore e L’editore militante. All’interno di ogni sezione vengono esposte e messe a confronto le teorie degli studiosi analizzati. In particolare nel primo capitolo, intitolato Semantica editoriale, si mostra come il lavoro dell’editore si manifesta nella materialità dell’oggetto libro, una materialità che non è mai sganciata da una significazione. In questa ottica ogni scelta dell’editore (formato, copertina, carta, collocazione di collana) porta con sé un senso preciso e fornisce all’opera 6 INTRODUZIONE stessa un surplus di senso. Questo paradigma è presente nei lavori di Donald F. McKenzie e Roger Chartier, ha inizio a partire dagli anni Sessanta e si è sviluppato sino ad oggi. L’importanza di questo capitolo risiede nel fatto che le considerazioni compiute da questi autori hanno suscitato molte riflessioni sul mondo editoriale in numerosi paesi. In Italia sono state più volte riprese da Alberto Cadioli, studioso che ha dedicato gran parte delle sue ricerche allo studio del pubblico, dello statuto di un testo in relazione al lavoro editoriale e al rapporto degli intellettuali con l’editoria. Ed è proprio con questo critico che si apre il secondo capitolo: L’editore come autore. In questa sezione, accanto al pensiero di Alberto Cadioli viene esposto quello di Roberto Calasso, che, pur con modalità differenti, da anni costruisce il suo modello di editoria conducendo la casa editrice Adelphi di cui è anche presidente. I due studiosi teorizzano l’editore come colui che attraverso il proprio operato, contribuisce alla creazione di un libro diventando a sua volta un autore. Attraverso le sue scelte, infatti, questi diviene granate del canone letterario del proprio tempo, tramite le operazioni di editing interviene direttamente sull’aspetto creativo del testo e con la scelta degli elementi paratestuali ne influenza la lettura e l’interpretazione da parte del lettore. Da questo si evince che nessuna edizione può essere definita neutra, poiché è frutto di un’intenzione e di una poetica editoriale. Queste considerazioni si concretizzano soprattutto nella personalità di Calasso che, al contempo autore ed editore, riversa nel suo progetto editoriale tutta la sua poetica. Cadioli 7 INTRODUZIONE ha un approccio da studioso e critico, che postulando concetti quali l’intento editionis, il patto editoriale, l’editore “iperlettore”, crea una teoria ben strutturata e in continua evoluzione. Calasso, invece, parla da editore e in particolare fa riferimento al suo caso particolare, cioè alla casa editrice Adelphi. Il suo approccio non parte dall’analisi del singolo libro, ma dell’insieme di libri della collana e sviluppa il concetto di «editoria come genere letterario». Un tale editore è un artista e la sua produzione può essere raffigurata come un unico ipotetico libro in cui ogni singola opera pubblicata può essere considerata come un capitolo di quel libro. L’editore viene rappresentato come un creatore. Sia Cadioli che Calasso, pur con metodi differenti, rivendicano l’autorialità dell’editore e le loro teorie, anche se non esplicitamente, si confermano a vicenda. Entrambi, infatti, mettono in luce anche la nuova condizione dell’editoria attuale, più incentrata sul profitto immediato del bestseller, con la perdita di centralità del ruolo dell’intellettuale. Eppure il loro tono non è apocalittico, in quanto riconoscono anche nel panorama attuale la presenza di buoni editori che realizzano il paradigma di cui si fanno portatori. Infine, l’ultimo capitolo è dedicato agli studiosi che si soffermano su un'altra peculiarità, cioè L’editore militante. In questa sezione si confrontano principalmente gli scritti di André Schiffrin e Janine e Greg Brémond che poi costituiscono la base di un grande dibattito a livello internazionale. Nella nostra ricerca abbiamo riportato la risposta di Alfredo Salsano e Giovanni Peresson, i due studiosi italiani che - a nostro avviso – 8 INTRODUZIONE hanno risposto in maniera più interessante alle considerazioni di Schiffrin e Brémond contribuendo a sviluppare questo paradigma anche in relazione al nostro Paese. André Schiffrin è stato tra i primi a lanciare l’allarme per rivendicare il ruolo fondamentale dell’editore nella difesa della cultura e della libertà di parola in risposta alle trasformazioni subite dall’editoria negli ultimi quarant’anni. Tracciando un quadro dettagliato dell’editoria americana ed europea dei nostri giorni, Schiffrin denuncia il fenomeno della concentrazione, cioè dell’accorpamento sotto un grande marchio (non necessariamente editoriale) di tante case editrici. Questo comporta una perdita di identità della singola casa, ma soprattutto un controllo della parola da parte dei grandi gruppi di potere economico. Egli parla di un’«editoria senza editori», mentre J. e G. Brémond utilizzano la definizione di «editoria condizionata». È in questo senso che si inserisce la missione dell’editore che deve essere necessariamente militante per difendere la libertà della diffusione del pensiero e della cultura. Anche gli studiosi italiani Salasno e Peresson sostengono questa tesi, tanto che Salsano, in merito all’Italia, parla dell’«editore manager», ma le loro tesi hanno un tono meno apocalittico rispetto a quello di Schiffrin e Brémond. In particolare Peresson, prendendo atto del ruolo sempre maggiore della distribuzione nel processo editoriale, la inserisce a pieno titolo nel processo di costituzione di senso di un’opera, tanto da parlare di «libreria come paratesto». Queste ultime considerazioni vanno a chiudere, confermandolo, il discorso 9 INTRODUZIONE avviato a partire dal primo capitolo. Infatti si va a ribadire l’importanza della forma data da un editore ad un testo, della semantica legata al suo lavoro, a sua volta conseguenza di una poetica che l’editore, anche in quanto creatore e autore deve perseguire. Ciò sarà possibile a seconda del luogo e del tempo in cui si trova ad agire. Anche se i nostri giorni sembrano mettere a repentaglio la buona editoria di cultura, l’editore è sollecitato a non scoraggiarsi, ma a combattere per la difesa del pensiero. II. Una panoramica del dibattito italiano In Italia gli studi sull’editoria si stanno sviluppando con frequenza crescente di anno in anno. Trattandosi di un settore molto vasto in cui interagiscono la dimensione economicoproduttiva e la dimensione culturale, elementi materiali ed elementi astratti, sono numerose le discipline che vengono coinvolte e che analizzano tale ambito con il proprio metodo e il proprio punto di vista. Nell’ultimo decennio sono state pubblicate numerose opere che pur con taglio diverso, trattano tale tema: storie di case editrici importanti, ritratti di editori e di intellettuali-editori4, ricostruzioni storiche e riflessioni sul 4 Cfr. Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri, a cura di Salvatore Silvano Nigro, Palermo, Sellerio, 2003. ERNESTO FERRERO, I migliori anni della nostra vita, Milano, Feltrinelli, 2005. Carlo Caracciolo. L’editore fortunato, a cura di NELLO AJELLO, Roma-Bari, Laterza, 2005. MARCO CASSINI, Refusi. Diario di un editore incorreggibile, Roma-Bari, Laterza, 2008. CESARE PAVESE, Officina Einaudi. Lettere editoriali 1940-1950, Torino, Einaudi, 2008. GIULIO EINAUDI, Frammenti di memoria, Roma, Edizioni nottetempo, 2009. PIERO LACAITA, Alla scoperta dell’editore ideale. Scritti autobiografici e giudizi critici, Manduria-Bari-Roma, 2009. CRISTINA 10 INTRODUZIONE lavoro dell’editore5 e dei suoi collaboratori6. Al contempo sono stati creati progetti che a lungo termine contribuiscono a costruire negli anni valutazioni e analisi sul mondo editoriale, come nel caso di Tirature7, l’ormai tradizionale annuario di fatti editoriali e letterari curato da Vittorio Spinazzola, o il bollettino semestrale «La Fabbrica del Libro8» curato da Gabriele Turi. Sono numerosi anche i numeri monografici di alcune riviste dedicati interamente all’editoria, come nel caso di Panta9 nel 2001 o de L’Ospite ingrato10 del 2004. Tale dibattito sta coinvolgendo sempre di più non solo i critici, ma anche i giornalisti, tanto da poterne constatare la ricorrente presenza sui quotidiani. Oltre alle interviste reperibili sulla stampa e nel web, sono uscite anche raccolte che rispondono ad un esigenza di ridefinire e collocare il ruolo dell’editore nella società attuale11. Un altro elemento da segnalare è la presenza di alcune case editrici che all’interno della loro produzione favoriscono una riflessione sistematica sull’editoria, come nel caso della casa milanese Sylvestre Bonnard, nota come la produttrice di “libri sui libri”, che ha il merito di annoverare nel suo catalogo TAGLIAFERRI, L’editore e l’Autore. Valentino Bompiani e Libero Bigiaretti, Pesaro, Metauro, 2010. 5 Cfr. DARIO MORETTI, Il lavoro editoriale, Roma-Bari, Laterza, 1999. Il mestiere di leggere, a cura di Annalisa Gimmi, Milano, il Saggiatore, 2002. ILARIO BERTOLETTI, Metafisica del redattore. Elementi di editoria, Pisa, Edizioni ETS, 2005. 6 Cfr. DARIO BIAGI, Il dio di carta. Vita di Erich Linder, Roma, Avagliano Editore, 2007. 7 Tirature, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, il Saggiatore- Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, (1999-2012). 8 La Fabbrica del libro, a cura di Gabriele Turi, Franco Angeli, (dal 1995). 9 Panta. Editoria, a cura di Laura Lepri, Elisabetta Sgarbi, Roberto Di Vanni, Milano, Bompiani 2001. 10 L’ospite ingrato. Editoria e industria culturale, Macerata, Quodlibet, VII, 2, , 2004. 11 FABIO GAMBARO, Dalla parte degli editori. Interviste sul lavoro editoriale, Milano, Unicopli, 2001. 11 INTRODUZIONE le opere di Donald F. McKenzie e Roger Chartier; o l’esempio della Collana Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori de ‘il Saggiatore’ che nel tempo sta favorendo lo studio della cultura editoriale attuale e del passato e che ha avuto l’ottima intuizione di dedicare numerose pubblicazioni all’argomento, nonché il volume Editoria libraria in Italia dal Settecento a oggi12 una raccolta bibliografica aggiornata che ricostruisce il discorso in atto sull’editoria presente e passata. Proprio all’inizio del suddetto volume viene spiegata la missione della collana che lo ospita: In uno dei momenti di più veloce trasformazione del settore editoriale, alla ricerca di nuovi equilibri che gli consentano di volgere a proprio vantaggio i risultati della sperimentazione ad alta tecnologia e quindi di allargare il pubblico dei lettori sempre sottodimensionato rispetto all’offerta, si pone con maggiore evidenza la necessità di riflettere sui cambiamenti in corso in una dimensione a lunga durata13. Nello spiegare la finalità della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, ne viene messa in evidenza sia la peculiarità di tutela della memoria del lavoro editoriale, sia quella di promozione di studi e ricerche, poiché: «se è vero infatti che l’interesse per questo settore è cresciuto anche in Italia negli ultimi anni molto rapidamente, è anche vero che, come recentemente affermava Ezio Raimondi proprio a proposito 12 Editoria libraria in Italia dal Settecento a oggi. Bibliografia 1980-1998, a cura di Luca Clerici, Bruno Falcetto, Gianfranco Tortorelli, Milano, il Saggiatore, 2000, p. 6. 13 Ibidem. 12 INTRODUZIONE degli studi sull’editoria, “una disciplina è adulta allorché ha chiaro e sicuro l’apparato euristico dei suoi strumenti”14». Rimanendo nell’ambito italiano, va precisato che le riflessioni sul ruolo dell’editore e sulle sue funzioni non sono limitate alla saggistica, ma coinvolgono anche il mondo della fiction. Da uno studio condotto precedentemente in occasione della tesi di laurea, ora raccolto in un saggio15, ho avuto occasione di constatare quanto tale tematica sia viva e trattata spesso dagli scrittori contemporanei, anche se non mancano esempi interessanti anche nel passato16. Quello che emerge, seppur a 14 Editoria libraria in Italia dal Settecento a oggi. Bibliografia 1980-1998, cit., p. 6. 15 ELISABETTA PICHETTI, Paolo Nori e la corsa dell’editoria, Milano, «Otto/Novecento», XXXIII, 3, 2009. Il presente saggio si sofferma su Paolo Nori, autore che ha fatto della tematica editoriale un leit motiv della sua opera, tanto da poter dire che è proprio l’editoria la vera protagonista dei suoi romanzi. Basti pensare che dal 1999, data del suo esordio, ben 13 romanzi trattano tale tematica, poiché il personaggio princiaple di gran parte di essi è Learco Ferrari (alter ego di Nori), uno scrittore agli inizi che narra tutte le disavventure di un autore agli esordi e che non risparmia dalle sue narrazioni riferimenti più o meno espliciti a noti editori, quali Einaudi, Feltrinelli, Derive Approdi e Fernandel. Nel panorama italiano, anche se meno sistematicamente di Paolo Nori, anche Stefano Benni, Ermanno Cavazzoni, e Paolo Colagrande hanno affrontato tale tematica. 16 Naturalmente la tematica editoriale anche se in espansione, non è propria solo dei nostri giorni, ma è presente anche nel passato, primo fra tutti nel Don Chisciotte di Cervantes. (ROGER CHARTIER, La stampa e le fonti. Don Chisciotte nella stamperia, inscrivere e cancellare. Cultura scritta e letteratura (dal XI al XVIII secolo), Roma-Bari, Laterza, 2006). Considerando la letteratura italiana del novecento, troviamo numerose opere che presentano aspetti pertinenti a tale ambito alcune delle quali addirittura quasi dimenticate e non più edite, come Gli ammonitori di Giovanni Cena (GIOVANNI CENA, Gli ammonitori, a cura di Folco Portinari, Torino, Einaudi, 1976. Prima edizione: Gli ammonitori, Edizioni L’impronta, Torino, 1928). Compiendo un salto negli anni troviamo l’opera di Luciano Bianciardi e la sua “trilogia della rabbia”: L’integrazione (1960), La vita agra (1962), Il lavoro culturale (1975) (LUCIANO BIANCIARDI, L’antimeridiano, Vol. 1: Opere Complete, a cura di L. Bianciardi, M. Coppola, A. Piccinini, Isbn Editore, 2005). Proseguendo si ha Lessico famigliare di Natalia Ginzburg: un prezioso riferimento all’Einaudi (NATALIA GINZBURG, Lessico famigliare, Einaudi, Torino, 1963), Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino (ITALO CALVINO, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Mondadori, 1979), Il pendolo di Foucault di Umberto Eco (UMBERTO ECO, Il pendolo di Foucault, Bompiani, Milano, 1988), L’editore di Nanni Balestrini (NANNI BALESTRINI, L’editore, Bompiani, 1989; nel 1999, è uscita per Bompiani una seconda edizione in La grande rivolta. È del 2006 l’ultima edizione riveduta: L’editore, DeriveApprodi, Roma), Lettere a nessuno e Gli esordi di Moresco Antonio Moresco, (Lettere a nessuno, Einaudi, Torino, 1997; è uscita una nuova edizione aggiornata e arricchita di passi inediti: Lettere a 13 INTRODUZIONE livello di finzione, è un’insoddisfazione profonda da parte degli scrittori; sono numerosi i topoi di critica all’editore, primo fra tutti è quello per cui la pubblicazione porta alla morte dell’opera, tanto che il sistema editoriale viene più volte ricondotto e paragonato a quello fognario, ad indicarne la corruzione e il marciume etico. Un altro concetto che affiora e svilisce tale sistema è quello secondo cui pubblicare è come prostituirsi. Risulta evidente che il ritratto che emerge risulta negativo e scoraggiante. L’editore è spesso associato a figure demoniache e luciferine, e la casa editrice - un paradiso agognato per tanti aspiranti scrittori - si rivela un inferno. Anche lo scrittore odierno sembra essere uno sbandato e soprattutto, un antieroe, rispetto all’accezione antica di eroe, che sono lontani da tutto l’apparato editoriale e lo criticano. Infatti questi scrittori sono intellettuali che si discostano dal sistema editoriale che permette che chiunque, anche se non scrittore, pubblichi, basta che assicuri un riscontro economico e un successo mediatico. Quindi vi è una forte critica all’omologazione e alla sovrabbondanza di produzione. Riportare queste considerazioni, seppur limitate all’ambito della finzione, è utile per introdurre il discorso relativo alla realtà dell’editoria attuale sia in Italia che all’estero17. Infatti nessuno, Einaudi, Torino, 2008; ANTONIO MORESCO, Gli esordi, Feltrinelli, Milano, 1998). Sono numerosi anche i romanzi stranieri che tematizzano tale argomento, come il noto Il meglio della vita di Rona Jaffe recentemente ristampato da Neri Pozza (RONA JAFFE, Il meglio della vita, Neri Pozza, Vicenza, 2007; opera originale: The best of Everything, 1958), o La petite marchande de prose di Daniel Pennac (DANIEL PENNAC, La petite marchande de prose, Gallimard, Parigi, 1989). 17 Da una prima analisi di alcune opere, la situazione dell’editoria estera appare ancor più scoraggiante di quella italiana. Questo, almeno, è quello che sembrano trasmettere Questo 14 INTRODUZIONE emergono temi quali l’omologazione della produzione, l’interesse al profitto e alla visibilità mediatica, che ci introducono ai saggi che invece costituiscono la base di questo lavoro. Inoltre va specificato che il lettore dei romanzi sopracitati è un “addetto ai lavori” e non un semplice lettore di romanzi, infatti le tematiche di cui si parla e la modalità con cui vengono trattate allontanano il lettore comune, che più che una storia, trova riflessioni sulla condizione dello scrittore e dell’editore. Infatti i ricchi riferimenti metatestuali, i richiami a critici e alla letteratura, rendono la lettura troppo impegnativa o poco interessante per un lettore comune. Tale aspetto non è di secondaria importanza poiché mostra l’interesse accordato al dibattito sul mondo editoriale dei giorni d’oggi. libro sarà un bestseller di Debra Ginsberg (DEBRA GINSBERG, Questo libro sarà un bestseller, Milano, Salani Editore, 2007) e Il gene del dubbio di Nicos Panayotopoulos, che mostrano come il lato commerciale sembra far da padrone nell’editoria straniera (NICOS PANAYOTOPOULOS, Il gene del dubbio, Milano, Ponte alle Grazie, 2005). Se poi si considera lo stile e l’impostazione di tali romanzi, salta agli occhi come non tutte, rispetto a quelle italiane, la maggior parte delle opere estere, abbia un approccio alla problematica più leggero e meno sofferente. Senza voler esagerare, ma quello dei nostri letterati sembra più lo sfogo, anche ironico, ma comunque uno sfogo, degli intellettuali di fronte alle angherie editoriali, mentre gli stranieri scivolano più sul lato comico-grottesco. Ne sono esempio Il diario di Bridget Jones di Helen Fielding (HELEN FIELDING, Il diario di Briget Jones, Milano, RCS Libri, 1998) e Quella stronza del mio capo di Clark Bridie (CLARK BRIDIE, Quella stronza del mio capo, Baldini Castaldi Dalai, 2007), romanzi che hanno come sfondo di ambientazione una casa editrice, ma che rappresentano la così detta “chick literature17”, certamente non una letteratura impegnata. Infine, uno dei pochi elogi alla figura dell’editore, quale portatore di crescita autoriale e di un movimento di idee, si ha in Il mio editore di Jean Echenoz (JEAN ECHENOZ, Il mio editore, Milano, Adelphi, 2008), dedicato a Jérôme Lindon, editore delle note Ěditions Minut. 15 INTRODUZIONE III. Uno sguardo al passato. La ricezione: madre delle teorie editoriali L’importanza dell’intervento editoriale nella costituzione del senso di un’opera letteraria ha cominciato ad essere sottolineata e studiata più sistematicamente a partire dagli anni ‘60, anche se non mancano accenni in ricerche precedenti. In particolare questa peculiarità emerge dagli studi sulla ricezione e viene messa in luce a partire da Robert Escarpit con Sociologia della letteratura18 e La rivoluzione del libro19, ove veniva invitata la critica letteraria a prendere in considerazione sia gli aspetti produttivi e distributivi del libro letterario, cioè il suo processo editoriale, sia il momento della ricezione in termini economicosociologici, cioè dal punto di vista del pubblico inteso come insieme di “consumatori”. Chi in Italia ha raccolto questo invito è stato Gian Carlo Ferretti che sul finire degli anni ’70 ha raccolto il dibattito suscitato da Escaprit in ambito di critica letteraria in Il mercato delle lettere20 e Il best seller all’italiana21, dove analizza le strategie editoriali che sono alla base della costruzione di alcuni successi letterari, pianificati e costruiti dalla sinergia tra editore e autore. Nell’introduzione alla rivista Pubblico22 (1977-1987), da lui stesso creata, Vittorio Spinazzola avanza la proposta di una «sociologia della 18 ROBERT ESCARPIT, Sociologia della letteratura, Napoli, Guida, 1970. ROBERT ESCAPRIT, La rivoluzione del libro, Padova, Marsilio, 1968. 20 GIAN CARLO FERRETTI, Il mercato delle lettere, Torino, Einaudi, 1979. 21 GIAN CARLO FERRETTI, Il best seller all’italiana, Roma-Bari, Laterza, 1983. 22 VITTORIO SPINAZZOLA, Il pubblico nella letteratura, in Id. (a cura di), Pubblico 77, Milano, il Saggiatore, 1977. 19 16 INTRODUZIONE ricezione» come studio della fortuna o sfortuna incontrata dal progetto letterario; ecco che acquista importanza l’analisi del pubblico in rapporto al progetto dell’autore, poiché «l’opera si costituisce in quanto tale nel suo socializzarsi23», cioè nel «passaggio da fatto privato a fenomeno pubblico24»; tale passaggio avviene proprio tramite l’intervento editoriale. Lo studioso sviluppa l’argomento anche in Generi letterari e successo editoriale25.Secondo Vittorio Spinazzola l’editoria ha il ruolo di creare lo spazio nel quale avviene l’incontro tra i testi degli scrittori e le esperienze dei singoli lettori. Nel suo testo Critica della lettura26, lo studioso sostiene che: il termine «opera letteraria» ha un senso riassuntivo, in quanto sintetizza due dimensioni fenomeniche distinte: da un lato il testo, quale è stato concepito dall’autore, e dall’altro il libro, quale è fruito dai lettori. La realizzazione dell’opera si concreta nell’unità necessaria fra i due stadi successivi di un processo dinamico, che determina il passaggio dall’ambito dei fatti privati a quello degli eventi pubblici. Fra il primo stadio e il secondo, interviene la mediazione economico-organizzativa degli apparati editoriali, indispensabile perché il manoscritto originario si moltiplichi in un numero indefinito di volumi a stampa27”. L’editoria potrà essere definita «il luogo principe in cui l’extraestetico si mescola indissolubilmente all’estetico, proprio per consentirgli di assumere presenza sociale e quindi esplicare 23 VITTORIO SPINAZZOLA, Il pubblico nella letteratura, cit., p. 20. Ibidem. 25 VITTORIO SPINAZZOLA, Generi letterari e successo editoriale, in Id. (a cura di), Pubblico 81, il Saggiatore, Milano, 1981. 26 VITTORIO SPINAZZOLA, Critica della lettura, Editori Riuniti, Roma, 1992. 27 Ivi, p. 95. 24 17 INTRODUZIONE la sua funzione, manifestando il suo valore28». Quindi l’editore mettendo un testo a contatto con i lettori lo fa vivere. Secondo Spinazzola è «indispensabile una critica dell’editoria, come parte integrante, non sostitutiva né subordinata, d’una critica complessiva della letterarietà29». Considerato che ogni edizione, oltre alla scrittura dell’autore, porta con se un surplus di senso, riconducibile anche “interpretazione ad un editoriale”: elemento il fondamentale paratesto. di Riprendendo l’insegnamento di Donald F. McKenzie, constatiamo come le informazioni che si traggono dalla lettura dei segni tipografici sono altrettanto preziose di quelle date dalle stesse parole. Sempre in seno agli studi sulla ricezione, Roger Chartier nel suo L’ordine dei libri30 effettua una distinzione tra “pubblico” e “comunità di lettori”; la prima categoria acquista una chiave sociologica- economica, mentre la seconda sta ad indicare un gruppo di individui accomunati non dall’atto dell’acquisto, ma dalle modalità della ricezione, quindi dalla comune condizione di lettura. Questa attenzione per la ricezione, partendo dal punto di vista della comunità di lettori (a cui Chartier titola un intero capitolo del suo libro), spinge a soffermarsi non solo sulle scelte dello scrittore, ma dell’editore e di tutto il processo che fa di un testo un libro. Questo passaggio si realizza attraverso il paratesto, definizione data da Gérard Genette nel saggio 28 I VITTORIO SPINAZZOLA, Critica della lettura, cit., p. 108. Ivi., p. 107. 30 ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, il Saggiatore, Milano, 1994. (I edizione: L’ordre des livres. Lecteures, auteurs, bibliothèques en Europe entre XIV et XVIII siècle, Editions ALINEA, Aix-en-Provence, 1992). 29 18 INTRODUZIONE Soglie31, espressione che sta ad indicare tutti quegli elementi scelti dall’editore, quali formato, copertina, prefazione ecc, che permettono la costituzione del libro. Il paratesto dovrà essere funzionale a quella comunità di lettori cui l’autore e l’editore vorrebbero rivolgersi. Prendendo in esame il noto caso della «Bibliothéque blue» - iniziativa editoriale francese dei secoli XVII e XVIII per cui alcune opere classiche vennero adattate ad un pubblico popolare e non colto attraverso di riduzione, semplificazione dei testi e introduzioni di immagini e titoletti – Chartier mette in luce come «le strutture stesse del libro sono regolate dalla modalità di lettura che gli editori ritengono propria della clientela cui mirano32». Alberto Cadioli nel volumetto La ricezione33 sottolinea l’importanza delle considerazioni di Chartier poiché consentono di «allargare l’orizzonte della critica letteraria interessata alla ricezione, introducendo nella riflessione la ‘storia editoriale’ del testo34». Lo studioso francese, infatti, utilizza un approccio che associa critica testuale, bibliography e storia culturale. Egli, riprendendo le espressioni di Paul Ricoeur35, si interroga sulle modalità di incontro tra «il mondo del testo» e «il mondo del lettore», consapevole che i significati dei testi «dipendono dalle forme attraverso cui sono recepiti e fatti propri dai lettori (o ascoltatori): i quali non sono mai posti di fronte a testi astratti, ideali, svincolati da ogni materialità; ma maneggiano o 31 GÉRARD GENETTE, Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino, 1989. ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 27. 33 ALBERTO CADIOLI, La ricezione, Laterza, Roma-Bari, 1998. 34 Ibidem, p. 44. 35 PAUL RICOEUR, Tempo e racconto, vol. III, Il tempo raccontato, Milano, Jaca Book, 1988, pp. 241-278. 32 19 INTRODUZIONE percepiscono oggetti e forme le cui strutture e modalità regolano la lettura (o l’ascolto), e quindi la possibile comprensione del testo letto (o ascoltato)36». Egli ribadisce che «le forme producono senso, e che un testo, stabile nella sua lettera, è investito di un significato e di uno statuto inediti allorché cambiano i dispositivi che lo propongono all’interpretazione37». Chartier, riprendendo quanto asserito da Donald F. McKenzie in Bibliografia e sociologia dei testi38, secondo cui «Nuovi lettori creano testi nuovi, i cui nuovi significati dipendono direttamente dalle loro nuove forme», sottolinea l’importanza della forma, quindi del lavoro editoriale che si manifesta in primis nella materialità che il testo assume: «bisogna ricordare che non esiste testo a prescindere dal supporto che permette di leggerlo (o ascoltarlo), e quindi che non esiste comprensione di uno scritto, qualunque esso sia, che non dipenda in parte dalle forme in cui raggiunge il suo lettore39». Egli esprime la necessità di distinguere due insiemi di dispositivi: quelli relativi all’autore e alle sue strategie, quelli conseguenti le decisioni editoriali: «Gli autori non scrivono libri: scrivono testi, che diventano oggetti scritti, manoscritti, incisi, stampati (e oggi informatizzati). Questo divario, che è appunto lo spazio in cui si costruisce il senso, è stato troppo spesso dimenticato40». Sappiamo bene che chi opera in questo spazio definito “divario” è l’editore, che adatta l’editore di un 36 ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 17. Ibidem. 38 DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, Milano, Sylvestre Bonnard, 1999. 39 ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 23. 40 Ivi, p. 24. 37 20 INTRODUZIONE testo sulle modalità di lettura che ritiene proprie della clientela cui mira. Robert Darnton nell’opera Il bacio di Lamourette41, dove unisce critica letteraria e studio della ricezione condotto dal punto di vista della storia della letteratura, sostiene che «ogni testo ha caratteristiche editoriali proprie che guidano la risposta al lettore42», tanto che «la veste esteriore di un libro può essere fondamentale per la ricezione del suo significato43», spiegando che secondo alcuni bibliografi e storici del libro, i lettori rispondono in maniera più diretta alla struttura esteriore dei testi che all’ambiente sociale che li circonda. Egli, inoltre, ha sottolineato che se la lettura è una pratica che mette in relazione da un lato il lettore e dall’altro il testo, è sempre più evidente la necessità di «affrontare il tema centrale dell’interconnessione tra le due parti in causa, spiegando come il mutare dei lettori abbia determinato mutamenti nei testi44». E questa “interconnessione” chi altri è se non l’editore, che acquista quindi un’importanza decisiva, tanto da essere indicato dallo studioso come un “tema centrale” da affrontare. 41 ROBERT DARNTON, Il bacio di Lamourette, Milano, Adelphi, 1994. Ivi, p. 148. 43 Ibiem. 44 Ivi, p. 152. 42 21 CAPITOLO I SEMANTICA EDITORIALE Teorie a confronto 1.1 DONALD F. MCKENZIE 1.1.1 Il libro come forma espressiva Il bibliologo neozelandese Donald F. McKenzie ha avuto il merito di generare sul finire degli anni ’60 una nuovo approccio allo studio del libro che ne valorizzasse aspetti sino ad allora ignorati, in primis la materialità intesa come portatrice di senso. Nel lavoro di questo studioso, secondo il critico Renato Pasta, è possibile individuare «le fondamenta teoriche e metodologiche unitarie della storia dell’editoria nell’età moderna e contemporanea, sinora, occorre dire, rimaste nel vago»45. Nei suoi lavori McKenzie ha cominciato a prendere in considerazione, in quanto «determinanti dei significati46», quegli elementi visivi dei libri stessi che non erano mai stati presi in considerazione in quanto portatori di senso, come il ruolo delle convenzioni editoriali nello scegliere un formato e uno stile tipografico in linea con l’argomento del libro, la 45 RENATO PASTA, Ciò che è passato è il prologo, in DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2001, p. 85. (I edizione: Bibliography and the sociology of texts. The Panizzi Lectures, 1985, The British Library, London, 1986) 46 DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p.12. 22 SEMANTICA EDITORIALE disposizione del testo sulla pagina per esigenze di chiarezza, la funzione della decorazioni e degli spazi bianchi, il nesso tra formato, qualità della carta, genere letterario e il pubblico di lettori. Lo studioso ha cominciato ad esporre il suo metodo di analisi attraverso la pubblicazione della sua tesi di dottorato in bibliografia svolta a Cambridge nel 1966, dal titolo The Cambridge University Press, 1696-171247. Come spiega Robert Darnton, questa pubblicazione rappresentò un’«eresia48» all’interno del mondo accademico, dove in quel periodo la bibliografia era stata messa in disparte a favore di tendenze di ricerca più recenti, come il New Criticism degli anni ’40, il decostruzionismo degli anni ’60 e il neostoricismo degli anni ’80, che hanno portato sempre di più a studiare i testi sganciandoli dalla loro incarnazione nell’oggetto libro. Nella sua analisi lo studioso introdusse il concetto di “produzione concomitante” per descrivere il lavoro nelle tipografie del tempo; questa definizione si andava ad opporre alla concezione avuta sin ora dai bibliografi, secondo cui la costituzione di un libro avveniva secondo un processo coerente e lineare. McKenzie, invece, mise in luce come la composizione di un libro avveniva in modo frammentario e irregolare, magari interrotto dalla stampa di un altro tipo di documento, per poi essere ripresa più tardi. Tale scoperta comportava uno 47 DONALD F. MCKENZIE, The Cambridge University Press, 1696-1712. A Bibliographical Study, Cambridge, Cambridge University Press, 3 voll, 1966. 48 ROBERT DARNTON, Il futuro del libro, Milano, Adelphi, 2011, p. 166. (Titolo originale: The case for Books. Past, Present, and Future, 2009). 23 SEMANTICA EDITORIALE spostamento di asse dallo studio bibliografico dal singolo libro, al complessivo lavoro in bottega. Come spiega lo stesso McKenzie «per la prima volta gli studiosi hanno potuto disporre di un modello dinamico dell’attività che portava alla pubblicazione dei libri49». Questa attenzione alle dinamiche interne alla tipografia ha portato a soffermarsi sul rapporto tra l’autore e il tipografo o l’editore e a mettere in evidenza come la forma finale con cui un testo si presenta al lettore è frutto di un’intenzione dell’autore e dell’editore che volevano conferirgli un senso ulteriore nel momento della realizzazione fisica dell’oggetto libro. Egli parte da un interrogativo volto a dare una profondità e una missione al lavoro del bibliografo, chiedendosi se, oltre a risolvere alcune questioni relative all’edizione critica di una determinata opera, tale disciplina possa offrire un contributo ulteriore alla comprensione della letteratura. In questo senso egli ridona un volto umano ad una disciplina che in quegli anni si stava affievolendo: «Il libro non è mai soltanto un oggetto degno di nota. Come accade per ogni altro prodotto tecnologico, è il risultato del lavoro umano entro contesti complessi e mutevoli, che uno studioso responsabile deve cercare di recuperare, se vogliamo comprendere meglio la creazione e la comunicazione del significato quale caratteristica essenziale delle società umane50». Infatti secondo McKenzie è il recupero della ricchezza dell’esperienza umana il fine principale del lavoro di uno studioso. 49 50 DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 11. Ivi, 12. 24 SEMANTICA EDITORIALE In Bibliografia e sociologia dei testi lo studioso spiega chiaramente che «se un medium produce in qualsiasi senso un messaggio, allora la bibliografia non può escludere dalle sue competenze la relazione tra la forma, la funzione e il significato simbolico51». Lo studioso vede in questa disciplina un’importanza del tutto nuova, anche in relazione alle altre materie che si stavano sviluppando in quel tempo, a partire dalle trasformazioni della teoria critica (ivi comprese la semiotica, la linguistica, la psicologia della lettura e della scrittura), della teoria dell’informazione e degli studi sulla comunicazione, del valore dei testi e della loro trasmissione. Nel ribadirne la rilevanza, questi ne dà una definizione nuova: «la bibliografia è la disciplina che studia i testi come forme registrate, e i processi della loro trasmissione, ivi comprese la produzione e la ricezione52». Come spiega egli stesso la carica innovativa di questa definizione va spiegata a partite dal concetto di “testi” e da quello di “forme”. La parola testo, infatti, ha un significato esteso, volto a comprendere tutte le forme di testo, non esclusivamente i libri o i segni su carta. L’attenzione alla forma fa sì che i bibliografi abbiano il compito di mostrare che le forme determino il significato e permette di descrivere non soltanto i processi tecnici, ma anche quelli sociali della trasmissione. È in questo senso che secondo l’autore sarebbe più utile definire la bibliografia come lo studio della 51 52 “sociologia dei testi”. A sostegno di questa DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 16. Ivi, p. 18. 25 SEMANTICA EDITORIALE denominazione lo studioso riprende in esame la parola”testo” e per giustificare l’estensione del suo significato dal manoscritto, alla stampa, sino a quello digitale, spiega che tale parola deriva dal latino texere, cioè tessere; quindi questo termine non si riferisce ad un tipo di materiale specifico, ma all’intreccio di materiali, in questo senso si indica un processo di costruzione materiale. L’approccio sociologico, secondo McKenzie, permette di prendere in considerazione le motivazioni e le interazioni umane che i testi implicano in ogni tappa della loro produzione, trasmissione e fruizione. In questo senso una «sociologia dei testi» si va a contrapporre a «una bibliografia confinata all’inferenza logica dai segni stampati, intesi quali caratteri arbitrari tracciati su pergamena o carta53». Inoltre egli spiega come l’aver ignorato l’inevitabile dipendenza di questa disciplina dalle strutture interpretative, ha oscurato il ruolo degli agenti umani. Lo scopo dello studioso è di «dimostrare che in alcuni casi dai segni tipografici, non meno che da quelli verbali, si possono recuperare letture informative; che la veste tipografica è un elemento di rilievo nel decidere come riprodurre un testo, e che una lettura di tali segni bibliografici può seriamente plasmare il nostro giudizio sull’opera di un autore54». Le forme, quindi, determinano un senso. Secondo quest’ottica il confine tra bibliografia, critica testuale, critica letteraria e storia letteraria non esiste. Egli spiega come «nuovi lettori creano naturalmente nuovi testi, e che i nuovi significati 53 DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 21. 54 Ivi, p. 23. 26 SEMANTICA EDITORIALE sono una funzione delle nuove forme55». In risposta a quelle discipline che avevano escluso l’intervento umano (che sia stato l’autore, l’editore o il lettore), McKenzie presenta questo approccio che può ««mostrare la presenza dell’uomo in ogni testo registrato56». 1.2 ROGER CHARTIER 1.2.1 L’ordine dei libri Roger Chartier57 è uno specialista di storia del libro e della lettura che nei suoi studi cerca di connettere prospettive che generalmente sono relegate ad ambiti e discipline fra loro distinte, come la storia delle mentalità, la storia del libro, la storia dei testi (non esclusivamente letterari). L’approccio dello studioso risponde all’esigenza di ricostruire la globalità di un discorso che negli anni stava diventando sempre più specialistico e frammentario, e di reintrodurre nella cultura la dimensione materiale ed economica che permette una storicizzazione del nostro rapporto con i testi. Naturalmente questo nuova prospettiva non può non tenere conto del ruolo e delle funzioni editoriali nella costituzione del senso e della materialità di ogni libro. Infatti lo studioso prende le distanze da alcune tendenze della critica letteraria, soprattutto quelle 55 DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 34. 56 Ibidem. 57 Roger Chartier (Lione, 1945), è Directeur d’Etudes all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. 27 SEMANTICA EDITORIALE tradizionali per cui il significato dell’opera è quasi esclusivamente legato alle intenzioni dell’autore, poiché oggi si prende consapevolezza del fatto che «l’autore è solamente uno degli attori che propongono il senso, poiché nello stesso tempo coesistono anche un senso proposto dal librario-editore, un senso suggerito dalla forma materiale dell’oggetto, un senso indicato dal critico (…) e, infine, un senso costruito dal lettore58». Al contempo si allontana anche dalla critica letteraria degli anni Sessanta e Settanta, come la critica strutturalista o gli studi della semiotica, ove si pensava che la produzione di senso dipendesse esclusivamente dal funzionamento linguistico del testo. In questo senso, non domina più l’intenzione dell’autore o del lettore, ma la lingua produce significato indipendentemente da essi, grazie alla meccanica impersonale e automatica dei segni che la compongono. Secondo Chartier la peculiarità della Storia della lettura è quella di evidenziare l’importanza del lettore al di fuori del testo, cioè - riprendendo le espressioni di Paul Ricoeur59 - ci si interroga sulle modalità di incontro tra «il mondo del testo» e «il mondo del lettore». Inoltre nel processo di comprensione della costituzione di senso, occorre tener conto dei tentativi di imposizione di senso, poiché, secondo lo studioso, ogni società, pur con dispositivi diversi, cerca di controllare la significazione. Nella raccolta di saggi L’ordine dei libri60, Chartier sviluppa bene questo concetto: «L’autore, il 58 ROGER CHARTIER, Storie di libri, lettori e editori, in FABIO GAMBARO, Dalla parte degli editori. Interviste sul lavoro editoriale, Milano, Unicopli, 2001, p. 199. 59 PAUL RICOEUR, Tempo e racconto, vol. III, Il tempo raccontato, Jaca Book, Milano, 1988, pp. 241-278. 60 ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit. 28 SEMANTICA EDITORIALE libraio-editore, il commentatore, il censore mirano a controllare il più rigorosamente possibile la produzione del senso e a far sì che il testo che hanno redatto, pubblicato, chiosato o autorizzato sia compreso senza scarti possibili rispetto alla loro volontà prescrittiva61»; a questo atteggiamento, però, il critico contrappone la risposta del lettore: «la lettura è per definizione ribelle e vagabonda. Infinite sono le astuzie cui i lettori ricorrono per procurarsi i libri proibiti, leggere tra le righe, sovvertire le lezioni imposte62». Questo punto di vista spiega il titolo dell’opera, in cui l’espressione “ordine dei libri” sta ad indicare due aspetti. In primis si sottolinea quanto appena accennato in merito al fatto che «il libro mira sempre a instaurare un ordine63» relativo alla significazione che però i lettori hanno sempre il potere di aggirare o reinterpretare. Secondo Chartier è proprio qui che si gioca il ruolo dello storico della lettura: «Questa dialettica tra imposizione appropriazione, tra restrizioni trasgredite e libertà imbrogliate, non è identica ovunque, sempre e per tutti. Riconoscerne le diverse modalità, le molteplici varietà, costituisce lo scopo primo di un progetto di storia della lettura volto a cogliere nelle loro differenze le comunità di lettori e la loro arte di leggere64». In secondo luogo con l’espressione “l’ordine dei libri” si intende porre l’accento sul fatto che i libri sono delle forme che condizionano il senso dei testi di cui costituiscono il supporto e 61 ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 10. Ibidem.. 63 Ibidem. 64 Ibidem. 62 29 SEMANTICA EDITORIALE gli usi che ne vengono fatti. Lo studioso mette in luce come in questi ultimi anni gli storici delle pratiche e delle differenziazioni culturali hanno preso consapevolezza del fatto che le forme materiali sono produttrici di senso; infatti «Le opere, i discorsi, esistono soltanto a partire dal momento in cui diventano realtà fisiche, sono iscritti nelle pagine di un libro, trasmessi da una voce». Già a partire dal saggio Letture e lettori nella Francia di Antico Regime65, lo studioso dedica un intero capitolo alla “Bibliothèque bleue”, famoso fenomeno editoriale per cui in Francia nel XII secolo, gli editori di Troyes riadattarono una serie numerosa di classici per poterli vendere ad un pubblico popolare, quindi diverso da quello di partenza. Questo esempio concretizza la tesi che Chartier svilupperà anche in studi successivi, come Storia della lettura66, ove critica il classico approccio utilizzato dagli studiosi di Storia del libro, i quali postulano implicitamente corrispondano che necessariamente «le a dicotomie classificazioni culturali sociali predeterminate67» e ci si basa su classificazioni aprioristiche. Egli propone un rovesciamento della prospettiva di studio, cioè di partire non più dalle classi o dai gruppi, ma dalla circolazione degli oggetti e dalle identità delle pratiche di lettura. Egli parla di “scarti culturali” di cui occorre prendere atto, come le appartenenze di genere o di generazione, le adesioni religiose, 65 ROGER CHARTIER, Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, Einaudi, Torino, 1988. (Titolo originale: Lectures et lecteurs dans la France d’Ancien Régime, Éditions du Seuil, Paris, 1987). 66 GUGLIELMO CAVALLO e ROGER CHARTIER (a cura di), Storia della lettura, Laterza, Roma-Bari, 1995. 67 Ivi, p. VIII. 30 SEMANTICA EDITORIALE le solidarietà comunitarie, ecc. Il caso emblematico di questo “scarto”, in particolare tra il testo in sé e la sua veste editoriale, è proprio quello della Bibliothèque bleue che raccoglie opere di diversi generi e periodi, ma sicuramente non create per una circolazione popolare e a buon mercato e il cui lettore ideale è di gran lunga diverso dall’acquirente pensato dagli editori di Troyes. Questo cambio di lettore è frutto di una precisa politica editoriale, che, data la varietà della produzione, non è certo rintracciabile nella scelta di uno specifico soggetto, quanto «nella scelta di una particolare struttura testuale68». Ecco che nella struttura del corpus dei libri crea una coerenza e un’unità altrimenti non ravvisabile a livello tematico- letterario: «Le somiglianze formali nella struttura dei testi fanno sì che tutte le pubblicazioni della Bibliothèque bleue, per quanto di genere diverso, possano essere individuate come appartenenti a un insieme unitario69». La forma rappresenta quindi il messaggio, o meglio “l’impronta” dell’editore. Nel paragrafo L’impronta degli editori, lo studioso dà una definizione di quello che può essere l’antesignano di un odierno catalogo editoriale, o di una collana: «Si creano così insiemi organici di testi, talora collegati esplicitamente gli uni agli altri, che rielaborano gli stessi motivi, riproposti, decontestualizzati o capovolti, e i cui rapporti non si differenziano, in fondo, da quelli che si instaurano tra le varie parti di un testo70». (Tale definizione che associa vari testi di una raccolta ben compaginata a quella delle 68 ROGER CHARTIER, Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. 218. Ivi, p. 219. 70 ROGER CHARTIER, L’impronta degli editori, in Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. 219. 69 31 SEMANTICA EDITORIALE varie parti di un testo è molto simile a quanto affermato da Calasso nel momento in cui descrive la produzione di una casa editrice ideale, dove «un libro sbagliato è come un capitolo sbagliato in un romanzo71»). Gli interventi degli editori di Troyes agiscono su tre piani: in primis sulla veste tipografica dell’opera, che viene diluita e suddivisa in capitoli e paragrafi, poi sulla riduzione del testo ed infine sulla semplificazione linguistica delle singole frasi. Tali operazioni ci permettono di immaginare la tipologia di lettori prevista dagli editori di Troyes e anche di appurare quale fosse la competenza linguistica e di lettura ad essi attribuita: «I titoli dei capitoli, i frequenti a capo, propongono una nuova scansione del testo, dalla quale traspare il tipo di lettura che gli editori ritengono sarà quella del libro – una lettura faticosa e discontinua, che si avvicina al testo per abbandonarlo subito dopo72». Sono due gli intenti degli editori: semplificare e, se necessario, moralizzare le opere. Queste operazioni creano quindi un nuovo pubblico il cui rapporto con la pubblicazione blu è fondamentalmente diversa da quella tra il lettore tradizionale e i suoi libri. Si può quindi parlare di una Formula editoriale73 «caratterizzata da una specifica impostazione sia nella forma dei suoi oggetti che nell’organizzazione tipografica dei testi74». Lo studioso ritiene impossibile analizzare questi libri senza soffermarsi sugli 71 ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, Milano, Adelphi, 2003, p. 21. 72 ROGER CHARTIER, L’impronta degli editori, in Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. 219. 73 ROGER CHARTIER, Una formula editoriale, in Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. 221. 74 Ivi, p. 222. 32 SEMANTICA EDITORIALE aspetti più materiali della produzione, poiché è proprio la veste tipografica, e non il testo, a rispondere alle esigenze e alle aspettative del pubblico del tempo; infatti la qualifica di «popolare» non è attribuibile alle opere in sé, che appartengono alla letteratura dotta, ma piuttosto alla forma di queste pubblicazioni, ideate per rispondere a due esigenze: un costo basso e una lettura facile. È interessante specificare che del repertorio blu non entrano a far parte esclusivamente opere classiche, ma anche quelle del tempo, che passano all’edizione economica non appena scaduti i privilegi della prima pubblicazione; questo fa si che il pubblico non sia limitato solo a quello delle campagne. Secondo Chartier ciò che caratterizza i libri blu non è tanto il pubblico, che sfugge a una rigida caratterizzazione sociale, quanto «la modalità di appropriazione di cui sono oggetto: la lettura che essi prevedono o suggeriscono è infatti, diversa da quella iscritta nelle edizioni dotte75». Lo studioso ricorre al concetto di “appropriazione” per «evitare l’identificazione dei diversi livelli culturali a partire dalla semplice descrizione degli oggetti ad essi ritenuti specifici76», come nel caso dei libri blu, i quali costituiscono un patrimonio comune ai diversi gruppi sociali, anche se il loro utilizzo non è lo stesso. Questo approccio di ricerca, basato sugli usi e sulle appropriazioni dei libri e delle modalità di lettura, si va a sostituire a quello di «una sociologia che 75 ROGER CHARTIER, Letture e lettori, in Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. 229. 76 Ivi, p. XI. 33 SEMANTICA EDITORIALE ingenuamente ha fatto della loro ineguale distribuzione il criterio primo della gerarchia culturale77». Nella raccolta In scena e in pagina. Editoria e teatro in Europa tra XVI e XVIII secolo78 Chartier si pone l’obiettivo di spiegare, partendo da testi e casi specifici, «un approccio alla letteratura in cui si ha ben presente che la pubblicazione delle opere implica sempre una pluralità di attori sociali, di luoghi e di dispositivi, di tecniche e di gesti79». Infatti è nel momento della produzione e della trasmissione di un testo che si costituiscono i suoi significati: «redazione o dettatura da parte dell’autore, trascrizioni manoscritte, decisioni editoriali, composizione tipografica, correzione, stampa, rappresentazione teatrale, letture. In questo senso le opere si possono intendere come produzioni collettive e come il risultato di “trattative” con il mondo sociale80». Questo libro riguarda la “sociologia dei testi”, definita da D. F. McKenzie (a cui è dedicato): «la disciplina che studia i testi come forme registrate, e i processi della loro trasmissione, ivi comprese la produzione e la ricezione81». Chartier, allontanandosi dalla tradizionale storia della letteratura troppo arroccata sulla posizione dell’autore e discostandosi dalla semiotica in quanto troppo incentrata sulla funzione impersonale e automatica del linguaggio, raccoglie l’invito di McKenzie di spostare l’attenzione sugli oggetti e 77 ROGER CHARTIER, Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. XI. ROGER CHARTIER, In scena e in pagina. Editoria e teatro in Europa tra XVI e XVIII secolo, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2001. 79 Ivi, p. 8. 80 Ibidem. 81 DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit.,p. 18. 78 34 SEMANTICA EDITORIALE sulle pratiche grazie alle quali le opere acquistano il loro significato. 35 CAPITOLO II L’EDITORE COME AUTORE Teorie a confronto 2.1 ALBERTO CADIOLI 2.1.1 Dalla parte del critico Il critico Alberto Cadioli attribuisce al lavoro editoriale una vocazione autoriale che fa sì che l’editore possa essere considerato un vero e proprio autore. Questi non contribuisce esclusivamente alla creazione del libro in quanto oggetto, ma, attraverso le operazioni di editing, va ad operare direttamente sul testo dell’autore, intervenendo sia su componenti sintattiche e semantiche, sia sui contenuti stessi. Ecco perché il critico parla della necessità di mettere sviluppare un vero e proprio campo di studi dedicato all’«ermeneutica editoriale», cosicché nel momento dello studio di un’opera accanto all’analisi delle varianti operate dall’autore su un testo si tenga conto delle varianti apportate dall’editore. Questo atteggiamento svela un tipo di lavoro editoriale, molto vicino a quello letterario, sinora poco analizzato e di cui gran parte dei lettori sono ancora poco consapevoli. Questa conoscenza, però, può essere rivelata solo da un tipo di studio sul testo che segua l’approccio indicato dal critico. L’intervento editoriale più esibito e con cui il lettore è 36 L’EDITORE COME AUTORE oramai avvezzo a rapportarsi in modo critico, è quello relativo alla creazione del paratesto, che è a sua volta un testo che si va a creare intorno a quello già esistente creato dall’autore. Nell’analizzare questo aspetto più manifesto del lavoro di un editore, Cadioli introduce le espressioni di «editore iperlettore» ed «intentio editionis» che esplicano quanto dietro ogni scelta di un editore ci sia un modello ideale di letteratura e un altrettanto ideale gruppo di lettori di cui lui si fa il primo portavoce. In questa ottica è facile capire quanto il lavoro di un editore possa influire seriamente sulla cultura del proprio tempo. Ecco che Cadioli esplica la necessità di un campo di studi dedicato proprio alla «cultura editoriale», ove si indaghi il contributo dato dai singoli editori a costituire il canone letterario e culturale del periodo in cui ha agito. In questo ambito si inserisce anche la riflessione sul lavoro degli intellettuali all’interno delle case editrici e sulla stretta relazione tra questi e la comunità di lettori di riferimento, il cui graduale venir meno sta portando anche alla perdita di rilevanza del ruolo del “letterato editore”. 2.1.2 Per un’«ermeneutica editoriale» Alberto Cadioli82 teorizza la necessità di effettuare uno studio dell’editoria con un taglio diverso da quello storiografico, 82 Il critico Alberto Cadioli, attualmente ordinario di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano, nella sua carriera si è dedicato con continuità allo studio della trasmissione del testo letterario in età moderna e contemporanea, soffermandosi sia sulla cultura editoriale, sia sulla filologia italiana, in particolare dei testi a stampa e lo studio delle loro edizioni. 37 L’EDITORE COME AUTORE economico o sociologico utilizzato sin ora dagli esperti della tematica, invitando ad affrontare la materia da un altro punto di vista, che valorizza il lato più letterario del lavoro editoriale, partendo dal presupposto che il lavoro d’interpretazione del testo pubblicato deve tenere conto anche delle operazioni effettuate all’interno della casa editrice: «Forse non sarebbe nemmeno troppo una forzatura sostenere che, nella lavorazione redazionale, si attua una sorta di “ermeneutica editoriale” del testo letterario»83. Ecco che il lavoro editoriale viene investito di un’importanza che sin ora non aveva mai avuto, esprimendo l’esigenza di uno studio filologico che tenga conto del sistema linguistico specifico di un editore che a sua volta si scambia e confronta con il sistema linguistico dell’autore, dando come risultato finale il prodotto libro: Un ulteriore punto di vista, con il quale interrogarsi sul lavoro compiuto, in casa editrice, direttamente sul testo che viene spesso o corretto o modificato e comunque reso omogeneo nei suoi caratteri in un continuo scambio tra il sistema letterario, linguistico, stilistico, eccetera, dell’editore, della sua redazione, dei suoi letterati editori (dei suoi «editori iperlettori» in senso generale). Questo punto di vista, che partecipa di quello della filologia dei testi novecenteschi è ancora scarsamente adottato, ma è di indubbia importanza…84 83 ALBERTO CADIOLI, Letterati editori, Milano, il Saggiatore, 2003. (I° ed. Milano, il Saggiatore, 1995), p. IV. 84 Ivi, p. V. 38 L’EDITORE COME AUTORE Addirittura si aprirebbe un filone dedicato alla variantistica85 editoriale, in cui acquista rilievo non più l’operazione di varianti attuata dall’autore sul suo manoscritto per ragioni di poetica o altro, ma per volontà di un redattore o di un editor. L’editore tedesco Siegfried Unseld nel libro L’autore e il suo editore86, nel capitolo I compiti dell’editore letterario, sostiene che l’editore è il primo collaboratore dello scrittore. Ecco perché secondo Cadioli potrebbe essere utile aprire un capitolo nuovo della ricerca filologica dedicato alle “varanti d’editore”, basato cioè sullo studio del paratesto che, citando Philippe Lejeune, è una «frangia del testo stampato, che, in realtà, guida tutta la lettura»87”: Lo studio degli interventi redazionali attuati in sede redazionale – che sono un carattere precipuo di tutta l’editoria novecentesca, soprattutto per quanto riguarda la narrativa – aprirebbe una serie di puntualizzazioni filologiche non trascurabili, con registrazioni di varianti che non appartengono all’autore e alla sua volontà, ma a quella di un redattore, quando addirittura non si tratta di errori di stampa stabilizzati a lezioni del testo88. Ed è proprio nella piena materialità di un testo che si manifesta l’interpretazione dell’editore ed è proprio per questo che, secondo Cadioli, il paratesto va interpretato più da un punto di vista ermeneutico che sociologico. 85 Si consulti ALBERTO CADIOLI, La materialità nello studio dei testi a stampa, in «Moderna», 2, 2008, pp. 21-39. 86 SIEGFRIED UNSELD, L’autore e il suo editore. Le vicende editoriali di Hesse, Brecht, Rilke e Walser, Adelphi-Edizioni Valonega, Milano-Verona, 1988. 87 PHILIPPE LEJEUNE, Il patto autobiografico, Bologna, Il Mulino, 1986. 88 Ivi, p. V. 39 L’EDITORE COME AUTORE Nell’articolo Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età contemporanea 89 il critico sviluppa questo concetto a partire dalle considerazioni in merito che il noto studioso Gianfranco Contini ha svolto nella voce “Filologia”, ora raccolta in Breviario di Ecdotica90 nel quale spiegava che «ogni edizione è interpretativa91» sottolineando l’importanza della componente editoriale nel lavoro d’interpretazione di un’opera. Introducendo le espressioni «Il testo nel tempo92» e «L’edizione nel tempo93», spiegava che «l’edizione è pure nel tempo, aprendosi nel pragma e facendo sottostare le sue decisioni a una teleologia variabile94». Alla luce di queste considerazioni egli sottolineava che «la mira di una ricerca ecdotica non è sempre di necessità la ricostruzione di un testo primitivo, ma quella di momenti della “fortuna” testuale95»; Dada qui la necessità di «salvaguardare (…) il materiale che faccia conoscere la fisionomia del testo in ogni frazione della sua storia culturale96». Cadioli sviluppa le considerazioni effettuate da Contini in riferimento al lavoro sul testo da parte di correttori o curatori in vista della stampa, estendendole a qualsiasi tipo di 89 ALBERTO CADIOLI, Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età contemporanea, «Bollettino di italianistica. Rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica», III, 1, Roma, Carocci, 2006. 90 GIANFRANCO CONTINI, Filologia, in Id., Breviario di ecdotica, Torino, Einaudi, 1990. (I° ed. Ricciardi, Milano-Napoli 1986). 91 Ivi, p. 14. 92 Ivi, p. 9. 93 Ivi, p. 14. 94 Ibidem. 95 Ivi, pp. 45-46. 96 GIANFRANCO CONTINI, Filologia, cit. p. 46. 40 L’EDITORE COME AUTORE pubblicazione anche di una casa editrice moderna senza un esplicito intervento di un editore. Infatti, anche se non è presente un curatore, la funzione dell’editore-filologo viene esercitata dal redattore nel momento stesso in cui verifica la coerenza sia dei contenuti che della lingua in relazione al modello stabilito dall’editore, corregge gli eventuali errori e uniforma i caratteri grafici e tipografici. L’insieme di tali interventi sul testo fa si che si crei una forma unitaria a cui è possibile ricondurre tutti i testi pubblicati da un medesimo editore. Questo avviene grazie alle “norme redazionali”: regole pratiche fissate da un editore che stabiliscono il carattere, non solo a livello grafico o tipografico, di un’opera. Infatti l’editore compie queste scelte sulla base di un modello ideale al quale concorre e che si rifà ad un modello letterario che ha in mente. Ed è proprio questa la peculiarità dell’editore: concepire il libro come supporto ove stabilizzare il testo secondo un modello ideale. L’esempio emblematico di questo atteggiamento è ravvisabile nella collezione degli “Scrittori d’Italia” ideata da Benedetto Croce allo scopo di ridefinire un canone della letteratura italiana nei primi anni del XX secolo. Proprio sulla volontà di Croce di fare uscire i volumi corretti e uniformi si fonda, secondo Cadioli, la prima “redazione editoriale”, anche se con un solo responsabile) allestita consapevolmente al fine di dare a tutti i testi la stessa impronta. Partendo da questo presupposto e considerando che in tutta l’editoria ottonovecentesca gli interventi sui testi sono stati una prassi costante, Cadioli ne ipotizza una possibile analisi per 41 L’EDITORE COME AUTORE l’approfondimento della storia della cultura editoriale considerata come studio della trasmissione dei testi letterari: Una storia delle norme redazionali otto-novecentesche e degli interventi ad esse ispirati potrebbe dire molto sull’evoluzione della grafia della lingua italiana, sull’uso della punteggiatura, addirittura sulle modifiche dell’idea stessa di scrittura, confermando la necessità di estendere ai secoli moderni gli studi sulla correzione delle bozze condotte per i secoli passati97. Il redattore impone al testo la propria fisionomia di lettore, tanto che, secondo Cadioli, non bisogna trascurare anche nell’ediizone dei testi contemporanei, quello che Segre chiamava «diasistema»: Un testo è una struttura linguistica che realizza un sistema. Ogni copista ha un proprio sistema linguistico, che viene a contatto con quello del testo nel corso della trascrizione. Se più scrupoloso, il copista cercherà di lasciare intatto il sistema del testo; ma è impossibile che il sistema del copista non s’imponga per qualche aspetto98. Cadioli, riportando questo discorso all’età contemporanea, sostiene che all’”ultima volontà dell’autore” spesso si sostituisce l’”ultima volontà del redattore” della casa editrice, o del direttore letterario o di collana o comunque di chi concorre 97 ALBERTO CADIOLI, Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età contemporanea, cit., p. 151. 98 CESARE SEGRE, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, p. 376. 42 L’EDITORE COME AUTORE alla pubblicazione. Di fronte alla situazione di un testo da predisporre alla stampa, egli tratteggia due possibili tipologie di redattore (estremi di una catena fatta da atteggiamenti intermedi), cioè il “filologo” e il “redattore come autore99”: entrambi imprimono la loro orma sul testo, il primo un’orma ben nascosta (ma recuperabile con un’attenta analisi), il secondo un’orma pesante, di fronte alla quale è altrettanto (e forse ancora più) utile l’esame critico. Il redattore che si pone come filologo ha il culto del testo (che vuole portare alla migliore perfezione con il contributo dello stesso scrittore, se possibile), il redattore che si pone come riscrittore coltiva un proprio forte modello (in genere è a sua volta uno scrittore), e un’idea di letteratura e d di lettura da diffondere100. Come esempio di “redattore come autore”, Cadioli cita il caso di Bassani e di Vittorini, quando interviene sui testi per ricondurli alla propria idea di narrativa101. 99 Cadioli specifica che l’espressione si rifà al titolo del volumetto di LUCIANO CANFORA, Il copista come autore (Palermo, Sellerio, 2002) e spiega che il concetto del copista che interpreta un testo è attualmente molto diffusa. 100 ALBERTO CADIOLI, Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età contemporanea, cit., p. 155. 101 È possibile riscontrare una certa analogia tra questa considerazione di Cadioli sul lavoro redazionale e quanto teorizzato in merito da Gian Carlo Ferretti in Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003 (Torino, Einaudi, 2004). Egli, parlando del lavoro redazionale compiuto dagli intellettuali nelle case editrici, ha individuato due modelli di intellettuale editore, riconducibili ai due modelli di editore protagonista a cui facevano riferimento. Il primo è quello di Vittorio Sereni per Mondadori: «porta un contributo di alta professionalità, intelligenza e cultura dentro la geniale ma ferrea strategia arnoldiana, che non gli chiede e non gli consente di andare oltre una certa soglia di partecipazione e di iniziativa» (p. 42), il secondo è rappresentato da Cesare Pavese, Elio Vittorini e Italo Calvino per Einaudi e Giacomo De Benedetti per Casa Saggiatore: «diventano parte integrante e al tempo stesso autonoma di case editrici che chiedono e consentono loro un coinvolgimento pieno nella direzione della ricerca, scoperta, sperimentazione, un contributo diretto alla costruzione di una politica editoriale, di un catalogo, di una immagine». (p. 42). 43 L’EDITORE COME AUTORE Cadioli specifica che il processo di interpretazione di un testo non deve essere compiuto mai astrattamente, ma occorre situarlo nell’ambito di una comunità letteraria e dei suoi codici, linguistici e culturali. A tal riguardo Cadioli parla di «figure retoriche editoriali102», poiché «come nessuna figura retorica può essere sottratta al contesto sociale nel quale nasce, così gli elementi paratestuali (…) non hanno senso se sono isolati dai lettori reali cui si rivolge l’editore103». È nella presentazione materiale del libro che si manifesta questa «retorica editoriale104», comune all’editore e al proprio lettore e fondata sulla riconoscibilità, a partire dal paratesto: titolo, collana, copertina, risvolto, nota dell’editore, caratteri, carta, ecc. È proprio attraverso il paratesto che l’editore può instaurare una comunicazione con il proprio lettore e senza questa retorica comune i lettori non capirebbero i riferimenti loro destinati. Nel libro Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di cultura editoriale105, Cadioli sviluppa questi concetti. In particolare, prendendo spunto da quanto detto da Chartier in Inscrivere e cancellare, egli sviluppa tre aspetti meritevoli di approfondimento rapportandoli alla letteratura italiana in cerca di conferme. Egli pone l’accento su tre necessità che espone ai filologi italiani: 102 ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, Bellinzona, Casagrande, 2000, p.54. 103 Ibidem. 104 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 23. 105 LUDOVICA BRAIDA, ALBERTO CADIOLI, Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di cultura editoriale, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2007. 44 L’EDITORE COME AUTORE arrivare a una definizione del testo secondo la volontà dell’autore, conoscere le modalità della trasmissione del testo (e quindi studiare i caratteri testuali e i caratteri materiali delle diverse edizioni), portare alla luce, infine, le letture di singoli lettori, quando possibile, utilizzando, per esempio, le annotazioni prese durante la lettura (le “postille”, tanto più importanti se il lettore che le ha appuntate è a sua volta uno scrittore)106. Secondo Cadioli gli studi filologici sin ora hanno posto l’accento singolarmente su l’uno o sull’altro di questi aspetti, ma, almeno come orizzonte teorico, lo studioso propone l’obiettivo di raggiungere la conoscenza di un testo e della sua storia attraverso lo studio di tutti e tre i tipi di ricerca nel loro insieme. Attraverso questo tipo di analisi è possibile «inserire il testo dentro una storia, sottraendolo a una visione astratta, collocandolo su un livello di conoscenza che – non c’è bisogno di insistervi troppo – può essere sempre spostato più in alto da nuove ricerche107». Un’applicazione di questa teoria si può riscontrare nel volume Prassi ecdotiche. Esperienze editoriali su testi manoscritti e testi a stampa108 a cura di Alberto Cadioli e Paolo Chiesa, ove l’oggetto della ricerca è dato dall’attenzione al testo e ai problemi che comporta una loro edizione “scientifica”. 106 ALBERTO CADIOLI, Tre sollecitazioni da “Inscrivere e cancellare”, in Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di cultura editoriale, cit., pp. 56-57. 107 Ivi, p. 57. 108 ALBERTO CADIOLI e PAOLO CHIESA, Prassi ecdotiche. Esperienze editoriali su testi manoscritti e testi a stampa, in «Quaderni di Acme», Milano, 7 giugno e 31 ottobre 2007, Bologna, Cisalpino Editore, 2007. 45 L’EDITORE COME AUTORE 2.1.3 «Editore iperlettore» ed «intentio editionis» L’editore (…) può essere definito come colui che trasforma il testo di uno scrittore (del presente e del passato, alla prima edizione o riproposto dopo innumerevoli altre volte) in un’entità materiale da esibire pubblicamente: si potrebbe dunque definire l’editore come colui che dà una forma al testo, trasformandolo in libro, dopo averlo selezionato per la pubblicazione. Da un altro punto di vista si potrebbe dire che l’editore è colui che suggerisce, in un determinato momento, cosa leggere e come leggere109. Non a caso Alfieri sosteneva che «chi lascia dei manoscritti non lascia mai dei libri110», infatti ogni scelta editoriale è espressione di un’interpretazione del testo. Resta facile comprendere quanto affermato da Roger Chartier: «il passaggio da una forma d’edizione a un’altra condiziona sia certe trasformazioni del testo sia la creazione di un nuovo pubblico111». Mentre la prima accezione privilegia la forma, quindi l’aspetto materiale del libro, la seconda pone l’accento sul lettore potenziale. L’editore non è più visto come un semplice mediatore tra uno scrittore e un lettore, ma è colui che con il suo operato, può polarizzare sulla produzione libraria, tendenze e richieste culturali anche di qualità, raccogliendole in un sistema più complesso. In una editoria strutturalmente avanzata non esiste un’editoria che possa prescindere da una comunità di riferimento, anche nel caso ti tenti di sperimentare forme nuove per costituire nuove comunità. Lo studioso spiega 109 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 6. 110 VITTORIO ALFIERI, Opere, t. I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1977, p. 269. 111 ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p.26. 46 L’EDITORE COME AUTORE che: «Prima ancora di essere mediazione tra scrittore e lettori, dunque, l’editore definisce in modo “pubblico” lo spazio di una comunità, allargandone i confini, stabilizzando i generi da essa privilegiati, perseguendo, con comunità ristrette, generi nuovi o un rinnovamento (a volte radicale) di quelli già noti112». Secondo Cadioli l’editore può, anzi deve essere un protagonista e deve essere colui che permette il passaggio dal “testo di uno scrittore” al “libro di un lettore” , cioè di «un lettore potenziale che deve inverarsi in un lettore reale113». L’espressione coniata da Cadioli per indicare questo ruolo è quella di “editore iperlettore” (dal greco upèr, “a nome di”) cioè di editore che parla a nome del lettore114; quindi questi contribuisce a definire l’orizzonte dentro il quale si colloca, in un determinato momento storico e culturale, la lettura e l’interpretazione di un testo115». Preso atto che il lavoro editoriale tiene sempre conto di una comunità di lettori di riferimento, va escluso il concetto di neutralità dell’edizione, ma anzi secondo Cadioli si dovrebbe paralare di intentio editionis, intesa come «l’intenzione interpretativa dell’editore affidata ai caratteri dell’edizione116», espressione da affiancare a quella di intentio auctoris 112 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 12. 113 Ivi, p. 13. 114 L’editore non va inteso necessariamente come il titolare dell’azienda, ma come una figura collettiva, che spazia dal comitato editoriale ai direttori di collana. 115 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 14. Cadioli porta l’esempio di Raffaele Mattioli, editore della casa editrice Ricciardi, che scrivendo ad Einaudi, si definisce: «lettore o portavoce di una cerchia più o meno larga di lettori». (La lettera è citata in LUISA MANGONI, Pensare i libri, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 97). 116 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 24. 47 L’EDITORE COME AUTORE (riconducibile all’intenzione frutto della volontà dell’autore), intentio lectoris (intesa come l’intenzione sviluppabile personalmente dal singolo lettore durante la lettura) e intentio operis (considerata come l’interpretazione che ogni opera porta con sé, autonomamente dall’autore)117. Quindi può accadere che un editore, nel pubblicare un testo, possa addirittura prevedere un pubblico diverso o non previsto dallo scrittore stesso. Cadioli riporta come esempio emblematico quello che Vittorini scrive nella nota editoriale del volume Musulmani in Sicilia (di Amari, Bompiani, 1942118) da lui sesso curato, affermando esplicitamente di rivolgersi ad un pubblico che l’Amari non aveva previsto. Logico che la scelta di un nuovo pubblico comporta che il testo stesso subisca una variazione anche a livello strutturale. Quindi in questo caso viene sottolineata l’importanza dell’intentio lectoris ed editoris, magari anche a discapito della intentio autoris119. Lo stesso editore può creare una comunità di lettori, come nel noto caso della «Bibliothèque 117 In un’altra sede il critico, anche se solo in nota, introduce un ulteriore concetto, quello di intentio machinae: «ci si potrebbe chiedere, un po’ paradossalmente, non sarà da tener presente, per le varianti di testi di fine Novecento, anche un intentio machinae che si esprime attraverso la correzione automatica, da aggiungere alle varie intentiones dell’autore, dell’opera, del lettore?» (Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età contemporanea, cit., p. 144, nota 4). Cadioli, nonostante esprima questo concetto in nota, quasi prendendone le distanze, anche nella pagina, accenna all’importanza dei refusi derivati dalla trasformazione dell’opera originaria in libro pubblicato: «È evidente che non è possibile invocare, dopo la critica delle varianti d’autore, la critica dei refusi d’editore, e tuttavia non c’è dubbio che anche l’errore di stampa (…) indica la necessità, per lo studioso di letteratura contemporanea attento alla critica del testo, di non trascurare un esame delle edizioni e un approfondimento del lavoro editoriale, nel senso proprio del processo di produzione del libro stampato» (Ivi, pp. 144-145). 118 MICHELE AMARI, I Musulmani in Sicilia, A cura di E. Vittorini, Milano, Bompiani, 1942 119 Si consulti PAOLA ITALIA, L’ultima volontà del curatore: alcune riflessioni sull’edizione di testi del Novecento, in «Per leggere», 9, 2005, pp. 169-198. 48 L’EDITORE COME AUTORE bleue»: collezione di libri risalente al sei-settecento, caratterizzata da una semplificazione e riduzione di testi al fine di raggiungere una vasta clientela, o delle semplificazioni che intorno agli anni venti i redattori editoriali italiani operavano nei romanzi polizieschi stranieri, perché convinti che la narrativa di questo tipo non dovesse avere pretese letterarie. Esponendo questi casi di intervento editoriale sul testo e a priori e tanto incisivo, Cadioli sostiene che si può parlare di «libri d’editore»120, concetto che si contrappone a quello di «libri d’autore»; a questo discorso si collega automaticamente quello già esposto di intentio editionis. Va sottolineato che la lettura dell’editore, rispetto a quella di tutti gli altri lettori, ha un valore paradigmatico, in quanto, grazie al suo ruolo, può manifestare le proprie scelte e opinioni, anche solo accentuando o diminuendo le motivazioni ideologiche insite nel testo, anche solo attraverso correzioni stilistiche o strutturali. Non a caso Calvino in una lettera “editoriale” scriveva: «…sono uno che lavora (oltre che hai propri libri) a fare sì che la cultura del suo tempo abbia un volto piuttosto che un altro121». In linea con la definizione di intentio editionis, Cadioli parla di “patto editoriale” visto come modo con cui «l’editore orienta l’atto della lettura, richiamando l’attenzione del lettore sulle 120 Come spiega lo stesso Cadioli, l’espressione «libro d’editore» viene utilizzato anche da Margherita di Fazio, riferendosi ai libri di largo consumo, in cui la comunità dei lettori non è certo letteraria, ma un segmento di mercato in attesa di alcuni prodotti standardizzati e dove la figura dell’autore spesso viene eliminata e assunta dal gruppo editoriale. (MARGHERITA DI FAZIO, Il titolo e la funzione paraletteraria, Nuova Eri, Torino, 1984, p. 31). 121 ITALO CALVINO, lettera del 22 aprile 1964 a Antonella Santacroce, in ITALO CALVINO, I libri degli altri, a cura di Giovanni Tesio, Einaudi, Torino, 1991, p. 465. 49 L’EDITORE COME AUTORE scelte dell’edizione e dei suoi caratteri, dando un suggerimento per l’uso del libro e la lettura del testo122». Lo studioso ricava questa espressione a partire da quella di “patto narrativo”, espressione che sta ad indicare quegli interventi inseriti dal narratore nel racconto per coinvolgere il lettore nella finzione letteraria: «sulla soglia del racconto, il narratore porge le istruzioni per l’uso, rende esplicito il codice normalizzatore, delinea la fisionomia del lettore-elettivo, ne orienta l’attenzione fruitiva, si confronta con i modelli e i canoni della tradizione, chiarisce i suoi intenti123». La differenza tra i due tipi di patto, spiega Cadioli, risiede nel fatto che mentre il “patto narrativo” è inserito all’interno delle strategie testuali attuate dall’autore, il “patto editoriale” proviene dall’esterno del testo. Inoltre, anche graficamente, mentre nel passato l’editore si serviva di prologhi, prefazioni, “avvisi al lettore” o della più moderna “nota dell’editore”, nel novecento attraverso i risvolti e le quarte di copertina, questo tipo di comunicazione dell’editore si è trasferito dall’interno all’esterno del libro. In questo contesto è interessante inserire, proprio per analogia al discorso di Cadioli (a cui poi si fa riferimento) quanto detto da Mariano D’ambrosio in Editoria e pubblicità: le copertine124 ove si effettua un collegamento tra la teoria della narrazione e il paratesto di un editore, in particolare nella copertina: 122 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 158. 123 GIOVANNA ROSA, Patto narrativo e civiltà del romanzo, in «Allegoria», 34-35, 2000. 124 MARIANO D’AMBROSIO, Editoria e pubblicità: le copertine, «Allegoria», XX, 57, 2008. 50 L’EDITORE COME AUTORE È interessante notare come siano iscritti nel paratesto librario tutti i momenti dello schema tipico della teoria della narrazione: esso infatti si fa carico della manipolazione, esercitando una funzione fàtica nei confronti del destinatario; della competenza, essendo investito da una valorizzazione che lo propone come lo strumento a cui congiungersi; della performance, poiché il compito previsto dal contratto narrativo è proprio l’acquisto del libro stesso; e infine, persino dalla sanzione, poiché continua ad assicurare il compratore sulla validità dell’acquisto fatto, sia con lo stesso paratesto esterno, sia con quello interno, attraverso gli apparati di introduzione e commento125. Secondo lo studioso lo schema proposto, utilizzato dalle narrazioni pubblicitarie, è riconducibile ad ogni copertina, poiché il libro ha la capacità, proprio grazie ad essa, di autopubblicizzarsi. Anzi, egli invita a riflettere sulla vicinanza semantica dei termini “pubblicare” e “pubblicizzare”. D’Ambrosio continua il parallelo con la teoria letteraria, rifacendosi al “Lettore modello”, che a suo avviso è assimilabile a quella di “Acquirente modello”, parente del “lettore elettivo” teorizzato da Cadioli: Vi è innanzitutto la definizione del target, del Destinatario Modello a cui proporre l’acquisto, che deve essere necessariamente inscritto nel paratesto dall’editore, così come è inscritto nel testo dell’autore: accanto alla categoria già accolta nella teoria letteraria di Lettore Modello, deve essere introdotta quella di Acquirente Modello, configurato dal paratesto, che è poi l’acquirente potenziale che condivide il codice usato dal messaggio paratestuale e che accetta o si identifica nei valori da esso 125 MARIANO D’AMBROSIO, Editoria e pubblicità: le copertine, cit., p. 140. 51 L’EDITORE COME AUTORE veicolati, e che, dunque, offre le maggiori possibilità di accettazione del contratto narrativo, ossia l’acquisto del libro126. È bene notare che l’interpretazione dell’editore cambia di volta in volta a seconda delle edizioni, anche del medesimo testo. Studiare questo cambiamento nel corso degli anni mette in luce l’intentio editionis insita in ogni opera pubblicata; tanto più alto è lo scarto tra l’ultima pubblicazione e la precedente, tanto più si manifesta l’intenzione dell’editore, allontanandosi da quella che aveva mosso l’autore (intentio autoris). Cadioli specifica che la comunicazione dell’editore che si realizza nell’atto di pubblicazione è volta ai lettori di quel determinato tempo storico: «L’intento editionis è legata alle convinzioni letterarie dell’editore, alle convenzioni letterarie del suo tempo, al contesto storico-culturale, ai dibattiti in corso e via dicendo127». Va specificato che non sempre sono gli editori a scrivere la “nota dell’editore”, ma anzi il compito è affidato ai curatori dei volumi o ai redattori o letterati che collaborano con la casa editrice, mentre il caso degli editori che la scrivono da soli è limitato a quelli che posseggono un buon bagaglio culturale. Fatta questa premessa lo studioso individua tre elementi ricorrenti nello scritto dell’editore rivolto al lettore: l’individuazione del lettore a cui si rivolge, l’esposizione dei principi ispiratori dell’edizione e le indicazioni sulle modalità di lettura. Questi tre elementi non sono sempre presenti 126 MARIANO D’AMBROSIO, Editoria e pubblicità: le copertine, cit., p. 141. 127 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 158. 52 L’EDITORE COME AUTORE contemporaneamente o con la stessa intensità eppure richiamano tutti l’idea dell’editore che parla a nome di una comunità (iperlettore). Cadioli individua nel riconoscimento di questi tre elementi un possibile studio sul rapporto tra editore e lettore. Parlando delle quarte di copertina, il critico scrive: «Ogni “quarta” ci può dunque dire come, in un certo tempo o in un certo ambiente, si sia letto un testo e come sia stato considerato il suo autore; e a quali lettori si siano rivolti gli editori e quali suggerimenti di lettura abbiano dato128». Naturalmente queste considerazioni sono riconducibili a quei risvolti scritti non in “modo editoriale”, cioè privi di annotazioni critiche, ma “personalizzati” dalla visione critica del direttore di collana. Ed è proprio questa personalizzazione che ha caratterizzato le quarte di copertina ed i risvolti scritti da tanti letterati che ne hanno fatto un genere particolare di scrittura critica. Ad esempio per Vittorini ogni risvolto era la tappa di un discorso critico militante che si sviluppava di volume in volume. Secondo Cadioli ogni risvolto è un “assaggio” del testo che si rivolge principalmente ai lettori più fedeli rispetto agli occasionali e che rappresentano il modo con cui lo scrittore vorrebbe che i propri libri fossero letti. 128 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 177. 53 L’EDITORE COME AUTORE 2.1.4 Per una «cultura editoriale» Nel testo Le forme del libro. Schede di cultura editoriale129, Alberto Cadioli sollecita l’approfondimento del mondo editoriale da parte degli studiosi. Infatti, anche se negli ultimi anni si è registrato un sempre maggiore interesse verso tale ambito, manca un’opera che raccolga in un unico grande disegno le varie ricerche effettuate sin ora, sul modello dell’Historie de l’édition française130 di Roger Chartier e HenriJean Martin. In particolare, Cadioli propone e teorizza uno «spazio di studio» che potrebbe chiamarsi di «cultura editoriale», il cui fine è quello di: interrogarsi sulle diversità e sulle specificità delle singole edizioni di ciascun titolo, sulla modalità della loro produzione, sulla loro destinazione, sulla loro diffusione, nella consapevolezza che ogni editore definisce le caratteristiche delle proprie edizioni, in rapporto al proprio tempo e ai gruppi di lettori che, almeno inizialmente, presuppone di raggiungere e che poi, stampato il libro, cercherà di raggiungere effettivamente con adeguati strumenti promozionali e commerciali131. Secondo il critico questo tipo di approccio dedicato alle condizioni nelle quali è stata realizzata un’edizione, si inserisce in modo autorevole alle altre aree di studio già consolidate dedicate alla storia del libro e della sua circolazione, 129 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, Liguori, Napoli, 2007. 130 ROGER CHARTIER, HENRI-JEAN MARTIN, Historie de l’édition française, Promodis, Paris, (1982-1986). 131 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 4. 54 L’EDITORE COME AUTORE dell’elaborazione e della diffusione delle idee, delle imprese e dei lettori. Se, riprendendo parte della definizione data da Cadioli, consideriamo l’editore come «colui che suggerisce, in un determinato momento, cosa leggere e come leggere132», comprendiamo anche come possa essere considerato responsabile del canone del proprio tempo, quindi della cultura. A sostegno di questa tesi, il critico riporta quanto scritto da Romano Luperini in Due nozioni di canone133, ove viene sottolineata l’importanza degli «indirizzi dell’editoria» nella costituzione del canone di un determinato periodo. Infatti, scegliendo specifici autori e testi, indicandone le chiavi di lettura, rivolgendosi a dei determinati gruppi di lettori, l’editore crea e segue dei modelli culturali. Questi gruppi che (almeno idealmente) comprano gli stessi libri e vi si accostano con le stesse modalità di lettura, possono essere chiamate «comunità di lettori». In particolare le case editrici definite «di cultura», hanno come modello di riferimento comunità capaci di cogliere la qualità di un testo e i valori dell’edizione. Come spiega Cesare Segre in Il canone e la culturologia134: «L’assieme dei testi letterari considerati fondamentali da una cultura offre [] gli elementi base che qualificano tale cultura» e consente di valutare «i cambiamenti di canone come mutazioni della cultura135». Riprendendo queste considerazioni, Cadioli esplica la relazione tra l’editoria e il canone di un periodo: 132 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 6. 133 ROMANO LUPERINI, Due nozioni di canone, in «Allegoria», 29-30, 1999. 134 Ibidem. 135 CESARE SEGRE, Il canone e la culturologia, cit., p. 102. 55 L’EDITORE COME AUTORE dentro le scelte editoriali, quando nate sulla base di una progettualità (qualunque essa sia) fondata su presupposti riconoscibili e destinata a un’altrettanto riconoscibile comunità di lettori, si può individuare l’automodello di una cultura, e, più in particolare, il modello sostenuto da gruppi intellettuali, da centri culturali, da spinte ideali, dei quali spesso gli editori si sono fatti portavoce136. Ecco che l’analisi dei cataloghi editoriali consente la ricostruzione di una storia degli interventi dell’editoria novecentesca sulla cultura e sui modelli di consumo culturale proposti. Inoltre Cadioli, ribadendo che l’editore non è un semplice mediatore tra scrittore e lettore, lo definisce «colui che polarizza sulla produzione libraria, raccogliendole in un sistema più complesso, tendenze e richieste culturali tra le più varie, anche come qualità137». Anzi, lo studioso sottolinea che «Prima ancora di essere mediazione tra scrittori e lettori, dunque, l’editore definisce in modo “pubblico” lo spazio di una comunità, allargandone i confini, stabilizzandone i generi da essa privilegiati, perseguendo, con comunità ristrette, generi nuovi o un rinnovamento (a volte radicale) di quelli già noti138». Chi negli anni ha perseguito questo ideale sono stati gli editori che hanno valorizzato il lavoro degli intellettuali all’interno delle case editrici e che lo erano in prima persona. Accanto ai letterati editori, vanno aggiunti quegli editori che «hanno 136 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 10. 137 Ivi, p. 11. 138 Ivi, p. 12. 56 L’EDITORE COME AUTORE ambito a loro volta a essere letterati», non soltanto perché hanno scritto testi creativi, ma perché «hanno cercato il più possibile di esprimere, attraverso il lavoro editoriale, una personale idea di letteratura e più in generale di cultura139». Naturalmente ciascun letterato editore e ciascun editore letterato dovrà tenere sempre lo sguardo fisso sulla propria comunità di lettori e sulla fisionomia della propria casa editrice. Con questa ottica, secondo il critico, si potrebbe cercare di ricostruire una «storia delle linee editoriali suggerite o influenzate dai letterati editori o dagli editori letterati140» e di conseguenza rileggere tanti degli avvenimenti letterari e culturali del Novecento. Cadioli sottolinea il fatto che proprio attraverso il lavoro editoriale ed in particolare la selezione dei titoli da pubblicare, si va configurando e definendo il territorio della letterarietà. Inoltre, questo intervento editoriale, si estende anche le caratteristiche linguistiche, stilistiche e narrative che un testo deve avere per essere pubblicato in una determinata casa editrice. Ma l’intervento editoriale, e in particolare la funzione dell’editore iperlettore, non è limitata alla celta dei titoli o alla revisione dei testi, ma «si estende ai caratteri che ogni testo esibisce diventando un libro stampato141», cioè nella sua materialità. Anzi, secondo Cadioli, la forte identità di un editore è ravvisabile anche dalla riconoscibilità dei suoi aspetti grafici, di fronte ai quali, il lettore fidelizzato, di fronte allo stesso titolo pubblicato da due case editrici diverse, sceglierà 139 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 16. 140 Ivi, p. 18. 141 Ivi, p. 20. 57 L’EDITORE COME AUTORE quello con il paratesto a lui più familiare e più vicino alle sue aspettative. Lo studioso spiega che «È evidente l’intreccio tra la funzione di scegliere un testo e quella di deciderne le forma materiali: entrambe nascono dentro lo stesso contesto culturale o letterario, e se la prima suggerisce il genere delle letture, la seconda predispone le possibili modalità di lettura e di interpretazione142». È proprio in questo senso che nell’editoria moderna i caratteri paratestuali sono fondamentali, poiché attraverso di essi l’autore e l’editore compiono la loro azione interpretativa sul testo e l’editore esercita la sua funzione pragmatica, come spiega lo stesso Gerard Genette nel celebre saggio dedicato al paratesto; egli definisce quest’ultimo «luogo privilegiato di una pragmatica e di una strategia, di un’azione sul pubblico, con il compito, più o meno ben compreso e realizzato, di far meglio accogliere il testo e di sviluppare una lettura più pertinente, agli occhi, si intende, dell’autore e dei suoi alleati143». Gli scrittori e gli editori ora hanno una consapevolezza maggiore delle funzioni paratestuali e gli stessi lettori sono più attenti a questo aspetto. In questo senso è interessante la riflessione che Cadioli svolge all’interno del volume Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento a oggi144 in cui riflette sullo “statuto dei testi”: 142 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 20. 143 GERARD GENETTE, Soglie. I dintorni del testo, a cura di C. M. CEDERNA, Torino, Einaudi, 1989. (I edizione: Seuil, 1987). 144 ALBERTO CADIOLI, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento a oggi, Milano, Unicopli, 1999. 58 L’EDITORE COME AUTORE Nella pratica editoriale, dunque, il testo non è sempre considerato un «unicum»: si è visto che può cambiare in relazione ai suoi potenziali lettori. Non c’è «il Testo», con la T maiuscola, ma ci sono dei testi con una storia, nella quale la storia editoriale, nel senso della storia delle diverse pubblicazioni, assume grande importanza (…) Lo statuto del testo è sempre in rapporto con il mondo della scrittura – cioè della sua genesi – e con quello della lettura – cioè con le sue interpretazioni -, ma è anche intimamente legato alle sue edizioni e all’editoria che, in età moderna in modo particolare, provvede alla sua trasmissione, alla sua conoscenza, alla sua diffusione 145 . Cadioli, riprendendo la definizione di Giulio Bollati di editoria come luogo per eccellenza di «produzione e di organizzazione della cultura», ribadisce l’importanza del lavoro editoriale. In particolare, alla luce di questa definizione, spiega che la funzione dell’editore “iperlettore” si concretizza nei singoli ruoli specifici, precisamente «nell’intreccio tra i pareri dell’editore, dei direttori, dei redattori, dei collaboratori che si viene configurando la fisionomia dell’editore iperlettore, in quanto istanza di selezione e di interpretazione dei testi da pubblicare146». In questo processo va inserito anche il lavoro 145 ALBERTO CADIOLI, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento a oggi, cit., p. 37. 146 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 112. I ruoli all’interno della casa editrice possono essere riassunti così: il braccio destro dell’editore è il direttore editoriale, con il quale elabora le strategie della casa editrice. A sua volta il direttore editoriale si avvale dell’aiuto del direttore letterario, il quale tratta con gli agenti, si reca alle Fiere del libro, esamina la pubblicabilità di un testo, entra in contatto con gli autori che sceglie. Questo ruolo così decisivo in passato è stato più volte affidato a letterati impegnati in attività critica o creativa; un esempio è stato Vittorio Sereni che ha ricoperto questa carica per tanti anni presso la Mondadori e di cui Franco Fortini, ad indicare la sua doppia natura, scriveva: «Poeta e di poeti funzionario/ prima componi quei tuoi versi esatti/ poi componi i colleghi nel sudario/ dei tuoi contratti». (Si consulti GIAN CARLO FERRETTI, Poeta e di poeti funzionario. Il lavoro editoriale di Vittorio Sereni, il saggiatore, Fondazione 59 L’EDITORE COME AUTORE redazionale, portato avanti dal caporedattore e dai singoli redattori. Secondo Cadioli questa fase lavorativa, che potrebbe sembrare in apparenza eminentemente tecnica, riveste un ruolo importante nella fase di costituzione di senso del prodotto-libro. Infatti con le fasi di revisione e uniformazione e con i successivi interventi sul paratesto, il lavoro redazionale interviene sull’interpretazione del testo e sulla diffusione di modelli stilistici, narrativi e linguistici. Come spiega lo studioso: «L’uniformazione testuale sulla base di criteri propri della casa editrice e dunque indirizzato alla rappresentazione di un modello sia linguistico sia letterario sia ideologico, che non sempre rappresenta l’intenzione dell’autore147». Questo è il caso delle parole scritte con la maiuscola, poi ridotta a minuscola in sede redazionale, o alle modifiche operate a livello di punteggiatura. Le operazioni di uniformazione possono essere considerate parte della poetica di un editore; ad esempio Valentino Bompiani indicava, tra i vari criteri di uniformazione, l’eliminazione dell’aggettivazione generica e degli avverbi approssimativi. Proprio per questo Cadioli propone una “storia delle norme redazionali novecentesche” come strumento per analizzare l’evoluzione dell’ortografia della lingua italiana e al contempo le modifiche nel tempo dell’idea stessa di scrittura. A Milano, Mondadori, 1999). Attualmente, anziché al direttore letterario, le diverse linee editoriali sono affidate a un “editor”, il quale è sempre più un funzionario e ha caratteristiche sempre meno riconoscibili al di fuori della casa editrice, come nel passato, ove erano presenti critici militanti, professori universitari, collaboratori di giornali o riviste, che con la loro competenza si facevano garanti della qualità di una collezione; nello specifico questo ruolo era ricoperto dal direttore di collana, molto spesso un intellettuale. 147 ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 209. 60 L’EDITORE COME AUTORE sostegno di questa proposta, lo studioso riporta quanto detto da Roger Chartier nella lezione dal titolo Il testo come performance in cui analizza questo aspetto nei secoli passati: «L’influenza esercitata da redattori e correttori di bozze sulla sistemazione grafica e ortografica delle lingue nazionali, e persino sulla punteggiatura, si rivelò assai più decisiva delle proposte di riforma ortografica avanzate da quegli scrittori che volevano imporre una “scrittura orale” interamente ispirata alla pronuncia148». Tracciati questi presupposti, lo studioso lancia la proposta alla critica letteraria, sollecitandola ad affrontare l’editoria esaminando il rapporto testo-libro-lettura dal punto di vista della genetica testuale e degli studi della ricezione. Questi evidenzia i legami tra editoria, cultura e letteratura soprattutto nel periodo che va dagli anni ’20 sino agli anni ’70, quando si ha un coinvolgimento consistente dei letterati nelle case editrici. Partendo dall’insegnamento di Roger Chartier secondo il quale «lo statuto e l’interpretazione di un’opera dipendono dalla sua materialità149» si comprende l’importanza del lavoro svolto dagli scrittori e dai critici nelle case editrici, che, a detta dello studioso, compiono «un intervento critico, non esibito, ma rilevante150». Facendo uno studio di questo tipo sarà possibile effettuare una prima correlazione tra l’attività editoriale e la storia della letteratura. Questa presenza va studiata poiché ha 148 ROGER CHARTIER, Il testo come performance, in in scena e in pagina. Editoria e teatro in Europa tra XVI e XVIII, cit., p. 27. 149 ROGER CHARTIER, Testi, forme, interpretazioni, in McKenzie, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p.103. 150 ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, Bellinzona, Casagrande, 2000, p.44. 61 L’EDITORE COME AUTORE permesso che l’editoria divenisse ancora di più un mezzo sistematico per portare avanti un progetto culturale e letterario: «Meno indagato è rimasto invece il rapporto che scrittori, critici, uomini di lettere in senso lato hanno intrattenuto con l’editoria per ragioni di “militanza” culturale e letteraria, avendo riconosciuto nel lavoro editoriale uno strumento efficace per affermare un’idea di cultura e di letteratura151». Cadioli sottolinea quindi la necessità di spostare il fulcro delle ricerche sull’intervento degli intellettuali nelle case editrici152, volto a diffondere, attraverso l’editoria, un’idea di letteratura perseguibile con la cura di programmi, collane, paratesti con i quali confrontare, in un dialogo a distanza, scrittori, critici e lettori: …i caratteri della cultura letteraria, la cui comprensione richiede di interrogarsi piuttosto su quanto il «prodotto editoriale» (…), pubblicato con la collaborazione degli uomini di lettere, influisca o determini le convenzioni della letterarietà (quelle, cioè, per le quali un testo è definibile sotto il segno della letteratura), la diffusione di particolari modelli testuali, la volontà di conservare o di innovare le forme letterarie. È più opportuno e importante, dunque, spostare l’asse della ricerca interrogandosi sul coinvolgimento di scrittori e di critici nell’editoria, sia che si trasformino direttamente in editori sia che intervengano a pieno titolo nelle scelte culturali e produttive di una casa editrice, soprattutto quando il coinvolgimento non è dettato solo da ragioni economiche, ma è accettato e 151 ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, cit., p. 10. Si consulti ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, in “Allegoria”, 56, 2007, pp. 145-157. ALBERTO CADIOLI, Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età contemporanea, in “Bollettino di italianistica”, 1, 2006, pp. 143-157. 152 62 L’EDITORE COME AUTORE perseguito per raggiungere un pubblico cui indirizzare il proprio impegno intellettuale153. Ed è proprio al venir meno di questa comunità di lettori che Cadioli attribuisce la “fine del letterato editore”, processo che ha inizio alla fine degli anni ’70 e ha il suo compimento negli anni ’80 sino ad oggi. Secondo il critico, infatti, non è stata tanto la crescita di importanza dei settori amministrativi e commerciali a indebolirne il ruolo all’interno della casa editrice, quanto la contrazione del numero di lettori assidui che si è registrata in quel periodo, lasciando spazio a die lettori occasionali. Quindi, «il letterato editore non ha più una funzione all’interno del mondo editoriale proprio perché ha perduto importanza la comunità letteraria della quale egli era espressione all’interno di una casa editrice»154. Questo non significa che il letterato editore non esista più, ma è relegato in settori specifici; come spiega Cadioli in Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia155: l’intellettuale ha assunto nell’editoria, un carattere di nicchia, perché se uno dei ruoli dell’intellettuale è di trasmettere la cultura del passato alla cultura del futuro, attraverso l’esperienza del presente, leggendola dentro al presente, la direzione attuale della produzione libraria più diffusa segue altre strade156. 153 ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, cit., p. 15. ALBERTO CADIOLI, Letterati editori, cit., p. 200. 155 ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit. 156 Ivi, p. 153. 154 63 L’EDITORE COME AUTORE Il critico mette in luce come oramai la lettura non è più vissuta a livello sociale come uno strumento essenziale per costruire la propria identità, ma come una delle tante possibili occasioni di evasione e distrazione. Proprio per questo la lettura è ormai legata alle esperienze portate dagli altri media: si ha la sensazione di assistere non tanto alla fine di progetti editoriali di qualità, quanto alla sostituzione di un modello culturale con un altro, generato fuori dal mondo dei libri e ad esso estraneo, ma più vicino al talk show ed ai reality show, all’idea che la parola poggia sull’effimero e vale solo per il (e nel) momento della sua enunciazione e della sua prima (e veloce) ricezione157. In questo contesto diviene naturale esibire dei paratesti «che hanno il carattere di soffietti pubblicitari158», poiché il lavoro stesso dell’editore si modifica dal momento in cui all’interno dei piani editoriali si pone come obiettivo primario quello di conquistare la più ampia fetta di mercato. A sostegno di questa tesi Cadioli compie una considerazione critica sulle risposte date da due dei maggiori responsabili delle scelte della Mondadori su un’intervista apparsa sul numero dell’«Ospite ingrato» dedicato all’editoria159. La posizione dei due intervistati è di difesa del ruolo dei letterati all’interno della 157 ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit., p. 153. 158 Ivi, p. 149. 159 AA.VV., «L’Ospite ingrato. Editoria e industria culturale», Macerata, Quodlibet, VII, 2, 2004. 64 L’EDITORE COME AUTORE casa editrice160. Secondo Cadioli queste risposte rivelano una scissione tra un modello culturale alto e la maggior parte dei titoli da loro pubblicati: Si potrebbe spiegare questa scissione con il fatto che, mentre l’intellettuale che era consulente per una o più linee editoriali – o che addirittura lavorava all’interno di una grande casa – apparteneva, per quanto in modi differenti, alla stessa comunità culturale cui facevano riferimento, da un lato l’editore, dall’altro i potenziali lettori, oggi il letterato quando è chiamato a scegliere quali titoli portare in libreria, deve tener conto di una comunità che non è più la sua, ma che deve a tutti i costi raggiungere; anzi, si potrebbe dire, a più comunità a cui dare soddisfazione: o meglio, a più segmenti di mercato, dalla fisionomia descrivibile solo in termini di comportamenti e consumi extralibrari161. Un altro soggetto che interviene a determinare la cultura letteraria a partire da quella editoriale è l’agente letterario. Con le sue attività di scouting, cioè di individuazione di nuovi autori, e di ricerca dell’editore per gli autori che si rivolgono a lui, l’agente letterario può essere a sua volta definito un editore iperlettore, anche se poi non è direttamente coinvolto nell’edizione finale del libro e nei processi che ne determinano la materialità. Il fatto che l’agente scelga quale autore o titolo segnalare ad un determinato editore ci sottolinea quanto il suo contributo sia fondamentale nell’affermazione di un’idea di 160 ANTONIO FRANCHINI, Identità e trasformazione degli editori italiani, e ANTONIO RICCARDI, Editoria e mutamenti sociali: il rapporto con l’”accademia”, «L’Ospite ingrato. Editoria e industria culturale», cit., rispettivamente pp. 153-156 e pp. 157-160. 161 ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit., pp. 153-154. 65 L’EDITORE COME AUTORE letteratura o di saggistica, in relazione alle specifiche sigle. Il suo agire può contribuire profondamente alla fortuna non solo di un autore, ma anche di un editore, come spiega Paola Dubini nel saggio Il ruolo dell’agente nella filiera editoriale162, contenuto nel volume L’Agente Letterario da Erich Linder ad oggi: Trovare l’editore giusto non è solo una questione di coerenza di gusti editoriali, ma anche una questione di comprensione profonda delle aspettative economiche di ciascun editore rispetto ai titoli del suo catalogo. Ogni titolo ha un suo potenziale di mercato, che si traduce in dinamiche economiche e finanziarie specifiche; proporre il titolo giusto significa anche individuare il titolo che esce al momento giusto, che allunga il ciclo di vita, che sostiene un altro titolo in catalogo, che permette all’editore di “ammiccare” ad un nuovo segmento di lettori163. Cadioli ricorda quanto detto da Gian Carlo Ferretti in Storia dell’editoria letteraria in Italia164 in merito all’operato di Erich Linder, lo ha definito garante «dell’identità editoriale e editorial-letteraria» delle varie case editrici con cui ha lavorato e a cui ha suggerito il libro adatto, cosa che contribuisce all’«elaborazione di una politica editoriale». L’identità di un editore è ravvisabile anche attraverso la collane che crea; Gérard Genette nel suo saggio Soglie le conferisce 162 PAOLA DUBINI, Il ruolo dell’agente nella filiera editoriale, in Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (a cura di), L’Agente Letterario da Erich Linder ad oggi, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2004. 163 PAOLA DUBINI, Il ruolo dell’agente nella filiera editoriale, in Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (a cura di), L’Agente Letterario da Erich Linder ad oggi, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2004. 164 GIAN CARLO FERRETTI, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004. 66 L’EDITORE COME AUTORE una grande importanza, definendola: «una specificazione più intensa, e talvolta più spettacolare, della nozione di marchio editoriale», precisamente «un raddoppiamento del marchio editoriale, che indica immediatamente al lettore potenziale con quale tipo, se non addirittura con quale genere di opera egli abbia a che fare165». Secondo Cadioli «il successo (soprattutto culturale, ma non solo) di un editore può essere riconosciuto nella capacità dimostrata di imprimere un’impronta originale (un’identità) a una o più collane, grazie alle quali è entrato nella “memoria” dei lettori166». Anche la copertina riveste un ruolo fondamentale nel comunicare le intenzioni dell’editore. Cadioli ipotizza una storia delle edizioni novecentesche che attraverso lo studio delle copertine evidenzi non solo l’aspetto grafico o la collaborazione tra gli artisti e gli editori, quanto le diverse letture che gli editori hanno dato dei singoli testi nel corso degli anni e conseguentemente le interpretazioni suggerite ai lettori nelle diverse edizioni167. Lo studioso riporta l’esempio interessante di quanto l’attenzione alla forma materiale del libro possa arrivare all’estremo, come nel caso dei “libri illeggibili” presentati da Alberto Mondadori in un’esposizione da lui curata e poi pubblicati dall’editore olandese Steendrukkerij de Jong nel 1953, con il nome di An Unreadable Quadrat-Print, cioè libri 165 GÉRARD GENETTE, Soglie. I dintorni del testo, cit. ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 20. 167 Si consulti MARIANO D’AMBROSI, Editoria e pubblicità: le copertine, in “Allegoria”, 57, 2008, pp. 137-149. 166 67 L’EDITORE COME AUTORE costituiti solo da carte bianche e rosse. La domanda alla base di questa creazione era: “il libro come oggetto, indipendentemente dalle parole stampate, può comunicare qualcosa?”. Queste soluzioni grafiche relative alla progettazione del libro, che molti artisti, primo fra tutti Bruno Munari, proponevano, erano un invito per il mondo editoriale a cercare nuove frontiere alla forma della pagina e nuove soluzioni per l’immagine editoriale. Da questa attenzione dell’arte novecentesca al mondo del libro, ne trae la conclusione che in quel periodo il libro è stato considerato dall’arte come oggetto estetico. Ma lo studio della materialità del libro investe aspetti anche molto settoriali, come ad esempio quello della legatura. La studiosa Mirjam M. Foot nell’opera La legatura come specchio della società168 evidenzia come dall’analisi delle tecniche di legatura e di decorazione dei libri si riflettano le modalità di produzione dei libri e lo sviluppo del mercato librario. Da questo è possibile anche ricavare informazioni in merito a lettori, autori, editori e collezionisti. Tale approccio evidenzia l’importanza della forma fisica di un testo per ricavare informazioni relative al rapporto con il testo e con il libro in una determinata epoca. 168 MIRJAM M. FOOT, La legatura come specchio della società, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2000. 68 L’EDITORE COME AUTORE 2.2 ROBERTO CALASSO 2.2.1 Dalla parte dell’editore La mia vita è schizofrenica. – dice Calasso – Ho due vocazioni e mi assorbono completamente. Essere uno scrittore significa ovviamente rendere pubblica ogni cosa di te. Fare il mestiere dell’editore è una avventura totale, una sorta di cronico caso di intensificazione dell’emozione. Essere nello stesso tempo uno scrittore e un editore è un po’ come essere le merce e il venditore, crea un contrasto che può essere qualche volta comico, altre volte irritante. Ma mai noioso169. Roberto Calasso, scrittore nonché presidente della casa editrice Adelphi170, costruisce una vera e propria teoria dell’editore come autore. Egli vede l’editore come un artista capace di dare alla vita una creatura unica e variegata e paragona il suo lavoro all’atto creativo dello scrittore. L’editore è un artista perché l’editoria è «l’arte dell’ecfrasi» e «l’arte di dire di no». Questi appare come un alchimista che riconosce nella letteratura e nell’editoria una componente magica. Inoltre Calasso esalta l’importanza di ogni singolo elemento del paratesto, tanto da postulare la necessità di una “teoria del risvolto” e da individuare nella bibliografia di alcune opere una sorta di “codice autobiografico” dell’autore. 169 ANDREA LEE, The Prince of Books, «The New Yorker», 26 aprile 1993, p. 44. La casa editrice Adelphi è stata fondata nel 1962 da Roberto Balzen, mentore di Roberto Calasso, e da Luciano Foà . Balzen è morto nel 1965, mentre Foà nel 2005. con quest’ultimo Roberto Calasso ha condiviso dal 1971 la direzione editoriale di Adelphi, prima di diventare consigliere delegato e presidente della casa editrice. 170 69 L’EDITORE COME AUTORE 2.2.2 L’editore come creatore …la mia proposta è che agli editori si chieda sempre il minimo, ma con durezza. E qual è questo minimo irrinunciabile? Che l’editore provi piacere a leggere i libri che pubblica. Ma non è forse vero che tutti i libri che ci hanno dato un qualche piacere formano nella nostra mente una creatura composita, le cui articolazioni sono però legate da un’invincibile affinità? Questa creatura, formata dal caso e dalla ricerca testarda, potrebbe essere il modello di una casa editrice171. Se ci soffermiamo su questa definizione, su questo modello teorico di casa editrice, possiamo individuare l’essenza della poetica autoriale ed editoriale di Roberto Calasso. Basterà fermarci all’ultima frase, per individuare ben tre espressioni che racchiudono il cuore del suo pensiero: “creatura”, “caso” e “ricerca testarda”. Il concetto di “creatura” attraversa tutta la sua produzione sia in quanto scrittore, sia in quanto editore. Se ci soffermiamo al ruolo dell’editore egli è un artista, quindi un creatore, ma a sua volta è l’artefice di una creatura assai particolare, mutevole e polimorfa, spesso associata alla figura del serpente, animale di per sé carico di significato. Questo gioco di rispecchiamenti tra creatore e creatura rivela chiaramente il ruolo anfibio di questo uomo: al contempo autore ed editore. Il simbolo del serpente è un concetto che attraversa tutta la produzione di Calasso e che, proprio come nella natura del rettile, a tratti si manifesta, a tratti 171 ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., p. 22. 70 L’EDITORE COME AUTORE si cela. Ecco un passo in cui lo scrittore esplica chiaramente il legame tra serpente e casa editrice: Che cos’è una casa editrice se non un lungo serpente di pagine? Ciascun segmento di quel serpente è un libro. Ma se si considerasse quella serie di segmenti come un unico libro? Un libro che comprende in sé molti generi, molti stili, molte epoche, ma dove si continua a procedere con naturalezza, aspettando sempre un nuovo capitolo, che ogni volta è di un altro autore. Un libro perverso e polimorfo, dove si mira alla poikilía, alla «variegatezza», senza rifuggire i contrasti e le contraddizioni, ma dove anche gli autori nemici sviluppano una sottile complicità, che magari avevano ignorato nella loro vita. In fondo, questo strano processo, per cui una serie di libri può essere letta come un unico libro. È già avvenuto nella mente di qualcuno, per lo meno di quell’entità anomala che sta dietro i singoli libri: l’editore172. Leggendo questa definizione, risulta immediato il collegamento tra l’uomo Calasso e l’editore Adelphi. Interessante quanto scrive Antonio Gnoli in un articolo a lui dedicato: «L’immagine di una creatura sinuosa, viva, in grado di svilupparsi può apparirci dotata di una segreta forza, che ci rimanda quasi fatalmente al doppio ruolo che quest’uomo svolge173». Il giornalista mette in luce il forte legame tra questa “entità anomala” che è l’editore e la sua “opera anomala” di scrittore”: In qualità di scrittore Calasso ha creato una vertiginosa costellazione di scritti. Un’opera anomala, composta da cinque libri anomali che hanno tutti 172 ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., pp. 20-21. ANTONIO GNOLI, “Roberto Calasso”, La Domenica di Repubblica, 29 ottobre 2006, p. 50. 173 71 L’EDITORE COME AUTORE una forte impronta narrativa ma al contempo tessono una rete di pensiero che si estende dalla Grecia degli Olimpi, all’India vedica, alla Rivoluzione francese, al Castello di Kafka. Per disperdersi al momento fra le nubi rosate dei soffitti di Tiepolo. (…) Ma a ben guardare è come se dietro quella ramificazione di opere si cogliesse un disegno ancora più fitto e grande che appartiene all’intera casa editrice. Non esisterebbe il Calasso scrittore senza il Calasso editore e viceversa. Nel senso che le due entità, pur separate nettamente, si corrispondono174» Tale convivenza di testi che spaziano dagli dei dell’antica Grecia, all’India, alla filosofia, sono parte integrante della produzione della casa editrice Adelphi. Ecco quanto scrive a proposito Valentino Cecchetti in un libro a lui dedicato: «I libri di Calasso, “ambiziosi, ironici, enigmatici”, il mosaico selvaggio di “citazioni, evocazioni, riflessioni e aneddoti” della sua scrittura, giocano a nascondersi nel grande libro Adelphi, perché Roberto Calasso, per predestinazione è Adelphi175». Tale senso di coerenza pur nell’eterogeneità della produzione, sembra essere racchiuso anche nel nome e nel logo della casa editrice: Il senso di «unitaria diversità» è stato il carattere distintivo di Adelphi sin dalla sua nascita nel 1962. lo suggerisce il nome stesso della casa editrice, simile alla parola greca che significa «fratelli» e, più ancora, il colphon, l’immagine che appare sulla copertina di ogni libro, un pre-ideogramma cinese, che mostra due piccole figure in equilibrio sopra una falce di luna crescente. Il simbolo suggerisce l’equilibrio tra due lati della vita. Nel caso 174 ANTONIO GNOLI, “Roberto Calasso”, La Domenica di Repubblica, 29 ottobre 2006, p. 50. 175 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, Firenze, Cadmo, 2006, p. 9. 72 L’EDITORE COME AUTORE di Calasso, inoltre, mostra l’intreccio indissolubile tra i due uomini del suo lavoro di scrittore e di editore176. Cecchetti, mettendo insieme una serie di impressioni avute negli anni da vari giornalisti e critici, mette in luce quanto sia stata sviluppata questa immagine del serpente relativamente all’editore Calasso e quanto abbia egli stesso contribuito a diffonderla. Molti hanno messo in luce la mutevolezza del suo carattere e dei suoi atteggiamenti che richiamano subito alla muta del serpente, il mutamento «non appare semplicemente nei suoi movimenti e nei suoi umori, ma anche nella carne che li esprime177». Inoltre «le parole che appaiono più spesso nel vocabolario di Calasso sono agile, mercuriale, anfibio178», «Guido Ceronetti parla di lui come del “serpente gnostico”». Lo stesso Cecchetti, nell’intervistare l’editore sottolinea continuamente questo aspetto tanto da intitolare un capitolo “Il patto col serpente”. Questi evidenzia quanto questo legame esclusivo investa tutti gli ambiti della sua persona, a partire dall’interazione con l’altro che si manifesta sia a livello fisico che psicologico; Cecchetti si sofferma sull’«abilità di Calasso nel trasformarsi, cambiare pelle e sembrare sempre uguale a sé stesso, un aspetto della sua personalità straordinariamente coerente con la sua scrittura179», inoltre «La conversazione di Roberto Calasso è poliedrica, ma legata a una sottile, spesso vertiginosa coerenza. Tende a tornare su sé stessa come il 176 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit.,p. 16. Ivi, p. 11. 178 Ibidem. 179 Ivi, p. 9. 177 73 L’EDITORE COME AUTORE serpente che si morde la coda180»; e ancora, parlando dei libri di Roberto Balzen presenti nell’ufficio di Calasso: «è il serpente di libri che si attorciglia attorno alle concezioni di vita e di lavoro e persino alla conversazione quotidiana di Calasso181. Il critico mostra il forte legame tra la scritture di Calasso e la produzione Adelphi, legame ravvisabile nella figura del serpente. Se si prende in considerazione la quadrilogia costituita da La rovina di Kasch (1983)182, Le nozza di Cadmo e Armonia (1988)183, Ka. (1996)184, K. (2002)185: Secondo un principio junghiano il numero quattro allude alla completezza e alla circolarità e corrisponde all’immagine del femminile e del serpente. La zona vuota al centro del serpente è richiamata alla misteriosa sillaba interrogativa Ka?, che è presente in ciascuno dei titoli della quadrilogia (oltre che nel nome dell’autore) e indica l’indistinzione della ousia, o, in sanscrito, della Prakriti, la sostanza originaria. Il tema principale delle quattro opere è, in gran caso, la metamorfosi, che si riflette nella infinita variazione narrativa del mito186. Il riferimento a Jung, al mutamento, al serpente, al mercurio, alla circolarità, non può non richiamare alla mente il pensiero alchemico. Questo aspetto investe anche il modo di concepire la 180 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit.,p. 20. Ivi, p. 21. 182 ROBERTO CALASSO, La rovina di Kasch, Milano, Adelphi, 1983. 183 ROBERTO CALASSO, Le nozza di Cadmo e Armonia, Milano, Adelphi, 1988. 184 ROBERTO CALASSO Ka., Milano, Adelphi, 1996. 185 ROBERTO CALASSO K., Milano, Adelphi, 2002. 186 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., 2006, p. 24. Va precisato che l’analisi del critico è limitata ai quattro romanzi sopracitati poiché si ferma al 2006. L’opera, però, si completa di altri tre romanzi pubblicati successivamente: Il rosa Tiepolo, Milano, Adelphi, 2006; La Folie Boudelaire, Milano, Adelphi, 2008; L’ardore, Milano, Adelphi, 2010. 181 74 L’EDITORE COME AUTORE scrittura e il senso della letteratura. Cecchetti, nell’analizzare la I Quarantanove gradini187, raccolta di saggi e scritti di Calasso che riflettono sulla questione dell’interpretazione, esplica il pensiero alchemico sotteso alle sue opere, che è poi estendibile a tutta la produzione della casa editrice: In questo senso il libro è ciò che Novalis chiamava un Gedankenspiel, una sorta di «teatro delle idee» (Manguel), in cui un pensiero alimenta e accende un altro pensiero, e la riflessione si spinge così lontano, da essere completamente sradicata dal suo contesto originario. Un’opera di trasformazione alchemica del testo, in cui, come il tessuto stesso della pagina (per mezzo della citazione stessa di interi paragrafi), anche l’opera e l’autore esaminati cambiano aspetto, assumendo, una «nuova pelle» e un «nuovo sistema osseo»188. Il titolo stesso dell’opera, I quarantanove gradini, sta ad indicare l’infinità del significato, che risiede oltre e al di là del testo. Egli si inserisce nel dibattito di fine secolo sul canone e teorizza l’assenza di canone come vuoto originario da cui l’«interpretazione inarrestabile prende forma189». Questo suo atteggiamento ha conseguenze concrete e tangibili che si realizzano anche sul lavoro editoriale, come ad esempio nel privilegiare l’uso di postfazioni a quello di prefazioni: è da questo «ofitismo» che discendono due corollari. Il primo è la preferenza da parte di Calasso per la postfazione (all’estrodurre e non all’introdurre), non soltanto per accordare, con «una scelta (…) elegante e 187 ROBERTO CALASSO, I quarantanove gradini, Milano, Adelphi, 1991. VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, Firenze, Cadmo, 2006, p. 174. 189 Ivi, p. 173. 188 75 L’EDITORE COME AUTORE piena di tatto», «la precedenza all’opera», ma per «sondare le forme di un luogo poco abituale: quello che si apre al di là del libro», le «pagine in più, che potrebbero non esserci», il significato infinitamente ulteriore del testo. Il secondo è la predilezione per il saggio e la sua lingua, «il continuo guizzare tra letteratura, filosofia, mistica, giornalismo, psicanalisi, mitologia»190. Ma come si collega questa “creatura”, questo serpente, al “caso” e alla “ricerca testarda”? Se ci si sofferma sulla raccolta di scritti La follia che viene dalle Ninfe191 si potrà comprendere meglio questa connessione. Infatti vi sono contenuti una serie di saggi, scritti in diversi periodi, di cui gli ultimi due dedicati al mondo dell’editoria: Confessioni bibliografiche, L’editoria come genere letterario. La chiave per aprire il cuore di questi ultimi due scritti risiede proprio nel saggio di apertura che poi dà il nome a tutta l’opera. In questo lavoro si parla delle “Ninfe” che vengono associate al “serpente” e alla “fonte”, nonché alla metamorfosi: Nell’era della pienezza di Zeus regnava la metamorfosi come statuto normale della manifestazione. (…) Ora la metamorfosi si sarebbe migrata nell’invisibile, nel regno sigillato della mente. Sarebbe divenuta conoscenza. E quella conoscenza metamorfica si sarebbe addensata in un luogo, che era insieme una fonte, un serpente e una Ninfa192. 190 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., pp. 177-178. ROBERTO CALASSO, La follia che viene dalle Ninfe, Milano, Adelphi, 2005. 192 Ivi, p. 16. 191 76 L’EDITORE COME AUTORE Il serpente viene descritto come un portatore di conoscenza, identificabile con una parte specifica del corpo: l’occhio. In questa immagine si può ravvisare quella dell’editore, inteso come colui che guarda avanti, legge la realtà: «Che cos’è un drago?». (…) «Un animale che guarda o osserva». Di fatto, drákōn deriva da dérkomai, che significa «avere vista acutissima». Ma qual è l’occhio del drago? Douglas risponde: la sorgente. Più che connessi, drago e sorgente sono parti di uno stesso corpo193. In questo atteggiamento di vigilanza e attenzione possiamo ravvisare l’atteggiamento dell’editore, sempre sveglio e attivo: «Perché mai le Ninfe dovrebbero akoímētoi, “insonni”? Ma perché tali sono appunto i draghi, perché la fonte sgorga senza interruzione e il suo sguardo non cessa di vegliare194». L’autore si sofferma anche sul termine nymphólēptos: «significa “preso, catturato, rapito dalle Ninfe”. E ascoltiamo la lingua: nymphólēptos è un anello di una catena di parole composte allo stesso modo195». Come non pensare immediatamente al lungo serpente di pagine a cui lo stesso Calasso paragona la casa editrice? Inoltre torna il collegamento al “caso”, alla “fortuna”: «La Ninfa o il divino o la fortuna sono potenze che agiscono improvvisamente, catturano e trasformano la loro preda196». Questa fortuna che è capace di trasformare la persona che vi si imbatte, è la stessa che, a detta di Calasso, ha guidato i suoi 193 ROBERTO CALASSO, La follia che viene dalle Ninfe, Milano, Adelphi, 2005, p. 17. Ivi, p. 19. 195 Ivi, p. 22. 196 Ivi, p. 25. 194 77 L’EDITORE COME AUTORE incontri e ha portato alla pubblicazione libri e autori in modo inaspettato. Ed ecco che si ripresenta il collegamento con il mondo alchemico: «Ninfa è dunque la materia mentale che fa agire e che subisce l’incantamento, qualcosa di molto affine a ciò che gli alchimisti chiameranno prima materia e che ancora risuona in Paracelos, là dove parla di “nymphididica natura”197». Il legame tra conoscenza tramite la possessione e la letteratura è ravvisabile anche nelle parole di Elias Canetti riportate da Calasso nel capitolo Confessioni bibliografiche. Questi parla dell’approccio avuto verso Memorie di un malato di nervi di Schreber, un libro che poi si rivelò fondamentale per la sua poetica: I libri sono per me una doppia avventura: la prima è la scoperta, quando li trovo da qualche parte, fiuto l’importanza che potranno avere in futuro per me e per così dire me ne approprio fisicamente. Dopodiché passano spesso molti anni fino alla seconda avventura, quando per un incomprensibile impulso li riprendo in mano e, escludendo qualsiasi altro interesse, mi ci getto sopra come in un delirio198. Calasso si rispecchia perfettamente in questo approccio e non a caso Canetti è uno degli autori che caratterizzano la biblioteca Adelphi. 197 198 ROBERTO CALASSO, La follia che viene dalle Ninfe, Milano, Adelphi, 2005, p. 32. Ivi, p. 110. 78 L’EDITORE COME AUTORE 2.2.3 Bibliografia come «codice autobiografico» Decisiva è la forma dei libri – così si dice, fin dall’inizio dei tempi. Ma ci sono certe parti dei libri che sembrano destinate a una iniqua oscurità, come se al libro non appartenessero, come se l’autore non le avesse pensate con la stessa cura ossessiva che ha dedicato a un capitolo, a un capoverso, a una frase, a una parola. Parlerò di uno di questi parenti poveri o illegittimi del libro: la bibliografia199. Calasso sembra dare una dignità, un’anima, ad ogni parte di un libro. Ogni forma porta con sé un significato. Egli parte dall’esempio di un autore, Elias Canetti, il quale nella sua opera del 1960 Massa e potere, non crea un apparato di note, secondo l’uso accademico, e anche nella sezione corrispondente alla bibliografia, che non a caso intitola con il termine «Letteratura», non riporta una bibliografia redatta secondo i classici criteri, ma un elenco di libri che hanno costituito la sua bibliografia personale, la cui attinenza al tema trattato dall’opera non è sempre così immediata all’occhio del lettore. In questa scelta di Canetti, Calasso individua un importante significato su cui si sofferma con attenzione. Egli spiega come questo “lasciar respirare la pagina” non interrompendola con le note e questa stesura bibliografica raccolta sotto il termine di «Letteratura», sono frutto di un motivo “più complesso e profondo” di quel che si possa immaginare. Calasso ribadisce così il concetto per cui dietro ogni forma materiale di un libro risiede una precisa scelta 199 ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, in La follia che viene dalle Ninfee, cit., p. 103. 79 L’EDITORE COME AUTORE autoriale ed editoriale, quindi anche dietro ad un titolo o ad un nome citati in una bibliografia si cela una grande tensione. Partendo dall’analisi di questa particolare bibliografia il critico crea una vera e propria teoria critico-letteraria attraverso cui sarà possibile individuare l’autobiografia di un autore: «Dovremmo scorrere gli autori e i titoli che compongono la bibliografia di Massa e potere seguendo lo spiraglio abbagliante che si è aperto dietro i nomi di Bleek e Lloyd. Ogni nome che leggiamo è una esperienza200». Egli parla di un vero e proprio “codice autobiografico201”, lasciato appositamente dallo scrittore: «l’elenco di libri che chiude Massa e potere è la prima forma – la più condensata – che ha assunto l’autobiografia nell’opera di Elias Canetti202». Infatti quell’elenco di libri non è funzionale, poiché non contiene unicamente testi che contengono i temi trattati all’interno del volume. Quella lista è una sorta di biblioteca personale dello scrittore, o come la definisce Calasso, «Una serie di segnali, che rimandano a esperienze di un lettore203». Naturalmente questo metodo di studio potrebbe essere esteso alla conoscenza di qualsiasi autore, come un vero e proprio metodo di analisi. Al contempo è interessante specificare come questo approccio alla bibliografia particolare costituita da Canetti in Massa e potere, riveli una forte affinità con la concezione che Calasso ha della letteratura e dell’editoria. Leggendo la descrizione che egli fa di quella lista, sembra di 200 ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, cit, p. 108. Ivi, p. 113. 202 Ivi, p. 108. 203 Ivi, p. 112. 201 80 L’EDITORE COME AUTORE intravedere la rappresentazione della produzione Adelphi ed, in trasparenza, individuare l’approccio di Calasso al suo lavoro di editore: «Mi è accaduto più volte di riprendere in mano quella lista, fantasticando. Ci sono autori classici, inevitabili. Ma ci sono anche libri trascurati, ignorati, il cui possesso fisico doveva essere legato, per Canetti, a storie analoghe a quella accennata nel caso di Schreber e degli Specimens of Bushman Folklore204». Ecco chi il libro acquista la valenza non solo di una possibile avventura intellettuale, ma in primis di un’avventura esistenziale: ogni incontro con un libro specifico, che prima di tutto si rivela a noi nella sua materialità (dal titolo alla copertina), ha una sua storia e storicità la cui importanza non va trascurata. Questo è lo stesso approccio che Calasso ha con il suo lavoro di editore, in cui unisce la sfida, il piacere della scoperta e, legata ad ogni libro, la promessa di felicità: «Per una sorta di cieca fiducia in quella lista, da anni cerco tutti quei libri – e mi piace sapere che ancora ve ne sono alcuni che mi sfuggono. Sono altrettante promesse di una scoperta205». Ecco perché rileggendo la descrizione di questa lista sembra rivedere il lavoro compiuto in questi anni da Roberto Calasso, nel creare, attraverso la “Biblioteca” Adelphi, una biblioteca ideale, personale, non costituita aprioristicamente, dove sono accostati libri noti ad altri sommersi e da lui stesso fatti riemergere. La sfida del raro, del difficile, dell’impossibile, sono anche la chiave del lavoro dell’editore: «anche la letteratura, se non cela 204 205 ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, cit, p. 113. Ibidem. 81 L’EDITORE COME AUTORE nel suo fondo l’impossibile, perde ogni magia. Qualcosa di analogo credo possa dirsi dell’editoria206» L’associazione della “magia” al mondo editoriale e quindi alla letteratura, ritorna anche nelle affermazioni lasciate da Calasso riguardo ai suoi scritti assemblati nella raccolta I quarantanove gradini207: «il soggetto del libro è la letteratura assoluta», cioè la letteratura che «si emancipa da tutto e tende ad avvolgere tutto in una sorta di mantello magico208». «I cento testi “disegnano (…) l’atlante della letteratura assoluta”, dove “conta la connessione evidente” e l’autobiografia della casa editrice con il suo progetto editoriale209». Ecco che ritorna il concetto di autobiografia, questa volta, però, associata non ad uno scrittore, ma ad un editore. 2.2.4 L’editoria come genere letterario Il risvolto è un umile e ardua forma letteraria che non ha ancora trovato il suo teorico e il suo storico210. Nel 2003 in occasione del quarantesimo anno dall’uscita del primo libro Adelphi e del numero cinquecento della «Piccola Biblioteca», Roberto Calasso, direttore editoriale della casa, ha deciso di raccogliere cento tra i 1068 risvolti scritti a partire dal 1965. 206 ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, cit, p. 119. ROBERTO CALASSO, I quarantanove gradini, cit. 208 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., p. 28. 209 Ibidem. 210 ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., p. 17. 207 82 L’EDITORE COME AUTORE In sede di prefazione lo studioso, introducendo l’arte del risvolto, formula delle vere e proprie teorie editoriali ed evidenzia la necessità di una “teoria del risvolto”, definito come una lettera verso l’ignoto pubblico, che nell’istante in cui prende il libro in mano «sta aprendo – senza saperlo – una busta: quelle poche righe, esterne al testo del libro, sono di fatto una lettera: la lettera a uno sconosciuto211». Ed è proprio in questa lettera, la cui antesignana è l’epistola dedicatoria , che l’editore, come a suo tempo l’autore, lascia trasparire la sua verità poiché questa sede rappresenta forse l’unica occasione per accennare esplicitamente ai motivi che lo hanno spinto a scegliere un certo libro e a manifestare la propria poetica: «sono parti anonime dell’aspetto esterno di un libro in cui metto cose importanti per me e per i miei saggi212». Parlare del risvolto significa parlare della missione dell’editore, della letteratura e della società in cui vengono prodotti, poiché «una civiltà letteraria si riconosce anche dal modo in cui i libri si presentano213». Calasso sostiene che nella storia dell’editoria regna l’imprevisto essendo ricca di perenni sorprese. Egli, parlando del suo caso, racconta di quanto nei primi anni della sua vita, l’Adelphi fosse caratterizzata in apparenza da una certa “sconnessione214”, poiché nella medesima collana, la «Biblioteca», comparivano testi eterogenei e di diversa natura, eppure «Che cosa teneva insieme tutto questo? Paradossalmente, dopo un certo numero di anni, lo sconcerto 211 ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., p. 18. VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., p. 14. 213 Ivi, p. 17. 214 Ivi, p. 19. In corsivo nel testo. 212 83 L’EDITORE COME AUTORE dinanzi alla sconnessione si è rovesciato nel suo opposto: il riconoscimento di una connessione evidente215». A supporto di questo apparente paradosso lo studioso spiega che nella norma il criterio che oggi spinge le scelte editoriali è dato dal produrre libri che corrispondano ciascuno ad uno spicchio di pubblico («Ci saranno così libri rozzi per i rozzi e libri squisiti per gli squisiti216»), ma al contempo è possibile costruire un programma editoriale perseguendo un criterio “palesemente contrario217”. La casa editrice non è vista quindi come un progetto pianificato aprioristicamente in vari comparti, ma un evento in fieri, un processo il cui elemento discriminante è quindi la forma: Se un libro è innanzitutto una forma, anche un libro composto da una sequenza di centinaia (o migliaia) di libri sarà innanzitutto una forma. All’interno di una casa editrice della specie che sto descrivendo, un libro sbagliato è come un capitolo sbagliato in un romanzo, una giuntura debole in un saggio, una chiazza di colore urtante in un quadro. Criticare quella casa editrice non sarà, a questo punto, nulla di radicalmente diverso dal criticare un autore. Quella casa editrice è paragonabile a un autore che scriva solo centoni218. In linea con questo pensiero si inserisce il concetto di “Libri unici”: «Immaginavamo una serie di libri che avessero ciascuno una fisionomia inconfondibile. La loro unicità non era tanto dovuta ai temi ma al fatto che quella forma si era manifestata 215 VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., p.19. Ivi, p. 20. 217 Ibidem. 218 Ivi, p. 21. 216 84 L’EDITORE COME AUTORE solo in quella circostanza, come una sorta di peculiarità ultima219». Spiegandone il significato, questi spiega che è il risultato di un’esperienza unica che ha investito il suo autore, trasformandolo: «In definitiva: libro unico è quello dove subito si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto». Parlando di Balzen, egli specifica: «il libro era per lui un risultato secondario, che presupponeva qualcos’altro. Occorreva che lo scrivente fosse stato attraversato da questo altro, che vi fosse vissuto dentro, che lo avesse assorbito nella fisiologia, eventualmente (ma non era obbligatorio) trasformandolo in stile220». In questo approccio alla scelta dei libri da pubblicare, quindi da diffondere, consacrandoli nel loro catalogo, si possono individuare chiaramente quegli elementi sviluppati precedentemente relativi alla letteratura assoluta e alla conoscenza tramite possessione: L’esempio più eloquente, ancora una volta, è il numero 1 della Biblioteca: L’altra parte di Alfred Kubin. Unico romanzo di un non-romanziere. Libro che si legge come entrando e permanendo in una allucinazione possente. Libro che fu scritto all’interno di un delirio durato tre mesi. Nulla di simile, nella vita di Kubin, prima di quel momento; nulla di simile dopo. Il romanzo coincide perfettamente con qualcosa che è accaduto, un’unica volta, all’autore. (…) In definitiva: libro unico è quello dove subito si 219 ANTONIO GNOLI, “Roberto Calasso”, La Domenica di Repubblica, 29 ottobre 2006, p. 50. 220 ROBERTO CALASSO, “Così inventammo i ‘libri unici’”, la Repubblica, 27 dicembre 2006, p. 56. 85 L’EDITORE COME AUTORE riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per depositarsi in uno scritto221. Di fronte a tali riflessioni sorge immediato il chiasmo che si va a creare tra “l’unico libro” che racchiude tutta la produzione Adelphi e il “libro unico” che ne costituisce l’essenza. Nel saggio L’editoria come genere letterario222 Calasso sviluppa questo concetto, descrivendo l’editore come il creatore di un ipotetico unico libro in cui può esser racchiusa la sua intera produzione: «In base a quali criteri si può giudicare della grandezza di un editore? (…) il primo e l’ultimo dei quali [criteri] è la forma: la capacità di dare forma a una pluralità di libri come se essi fossero i capitoli di un unico libro223». Il modello a cui Calasso si rifà è quello di Aldo Manuzio, il quale fu il primo ad immaginare una casa editrice in termini di forma: «E qui la parola “forma” va intesa in molti e disparati modi. In primo luogo la forma è decisiva nella scelta e nella sequenza dei titoli da pubblicare. Ma la forma riguarda anche i testi che accompagnano i libri, nonché il modo in cui il libro si presenta in quanto oggetto. Perciò include la copertina, la grafica, 221 ROBERTO CALASSO, “Così inventammo i ‘libri unici’”, la Repubblica, 27 dicembre 2006, p. 56. Interessante anche la riflessione riguardo al paratesto dei suddetti libri: «Per un certo periodo pensammo che i libri unici dovessero essere unici anche di aspetto. Ciascuno con un impianto diverso della copertina – e magari con formati diversi. Ma, quanto più ci si avvicinava alla pubblicazione, tanto più diventavano evidenti gli ostacoli. Fu la sapienza editoriale di Luciano Foà, a un certo punto, a pilotare i vari libri unici verso una sola collana: la Biblioteca. All’inizio ci sembrò quasi un ripiego, da accettare a malincuore, mentre era l’unica soluzione giusta. Ora occorreva trovare un nome – qualcosa di neutro e onnicomprensivo. (Ibidem). 222 Roberto Calasso, L’editore come genere letterario, in La follia che viene dalla Ninfe, cit. 223 Ivi, pp. 117-119-123. 86 L’EDITORE COME AUTORE l’impaginazione, i caratteri, la carta224». E nei brevi testi introduttivi che questi scriveva personalmente su ogni libro che pubblicava egli individua «il primo accenno al fatto che tutti i libri pubblicati da un certo editore potevano essere visti come anelli di un’unica catena, o segmenti di un serpente di libri, o frammenti di un singolo libro formato da tutti i libri pubblicati da quell’editore225». Calasso trova in Manuzio il modello e nella sua produzione anche l’archetipo del “libro unico” da lui teorizzato, cioè la Hypnerotomachia Poliphili. In questo suo descrivere l’editoria come «arte di pubblicare libri226», Calasso si rifà a quanto detto da Claude Lévi-Strauss definendo l’elaborazione di miti come una particolare forma di bricolage, poiché la maggior parte è costituita da elementi già pronti, molti dei quali derivati da altri miti; in questa ottica egli spiega «suggerisco sommessamente di considerare anche l’arte dell’editoria come una forma di bricolage»; egli invita ad immaginare una casa editrice come «un unico testo formato non solo dalla somma di tutti i libri che vi sono stati pubblicati, ma anche da tutti gli altri suoi elementi costitutivi, come le copertine, i risvolti, la pubblicità227». Partendo da questo presupposto sarà possibile arrivare al concetto di “Editoria come genere letterario”: «Immaginate una casa editrice in questo modo e vi troverete immersi in un paesaggio molto singolare, qualcosa che potreste considerare un’opera letteraria 224 Roberto Calasso, L’editoria come genere letterario, in La follia che viene dalla Ninfe, cit. pp. 118-119. 225 Roberto Calasso, L’editoria come genere letterario, in La follia che viene dalla Ninfe, cit., pp. 115-117. 226 Ivi. pp. 115. 227 Ivi, p. 124. 87 L’EDITORE COME AUTORE in sé, appartenente a un genere specifico. Un genere che vanta i suoi classici moderni: ad esempio i vasti domini di Gallimard che dalle tenebrose foreste e dalle paludi della “Série Noire” si estendono agli altopiani della “Pléiade”228». Dopo aver delineato questa mappa Calasso mette in luce un concetto fondamentale, quello del “rifiuto”, secondo cui l’editoria è anche l’arte del «dire no»: Considerate le case editrici in questa prospettiva, apparirà forse più chiaro uno dei punti più misteriosi del nostro mestiere: perché un editore rifiuta un certo libro? Perché si rende conto che pubblicarlo sarebbe come introdurre un personaggio sbagliato in un romanzo, una figura che rischierebbe di squilibrare l’insieme e snaturarlo229». Proprio in questa capacità si fonda il prestigio di un editore, nel saper esprimere un giudizio: «Non si dà marchio che non si fondi su una netta, recisa selettività e idiosincraticità delle scelte. Altrimenti la forza del marchio non riesce a elaborarsi e svilupparsi230». Nel recente discorso tenuto a Parigi alla giornata 228 Così prosegue il testo: «includendo però anche varie graziose città di provincia o insediamenti turistici che talvolta assomigliano ai villaggi Potēmkin di cartapesta eretti in questo caso non per la visita di Caterina ma per una stagione di premi letterari. E ben sappiamo che, quando giunge a espandersi in questo modo, una casa editrice può assumere un certo carattere imperiale. Così il nome Gallimard suona fin nei lembi più remoti dove si spinge la lingua francese.» (Ibidem. pp. 115-117). La definizione di una casa editrice come un impero è stata data anche da Gian Carlo Ferretti riferendosi a Rizzoli. Si consulti il paragrafo L’impero Rizzoli in GIAN CARLO FERRETTI, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, pp. 16-24. 229 Ivi, p. 125-126. 230 ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p. 44 88 L’EDITORE COME AUTORE sulle prospettive dell’editoria nell’era digitale, organizzato dal Bureau de l’édition française, Calasso ha ribadito questo concetto in opposizione all’omologazione in cui è immersa la produzione editoriale odierna. Nel descrivere il panorama del passato ritorna il concetto di “idiosincraticità”: E fu proprio nel primo decennio del Novecento che si manifestò la novità essenziale: l'idea della casa editrice come forma, come luogo altamente idiosincratico che avrebbe accolto opere reciprocamente congeniali, anche se a prima vista divergenti o addirittura opposte, e le avrebbe rese pubbliche perseguendo un certo stile precisamente delineato e ben distinto da ogni altro231. Tale descrizione sembra coincidere anche con quella della casa editrice Adelphi. Quello che Calasso critica dello stato attuale è la poca distinzione tra una casa editrice ed un'altra tanto da poter parlare di obliterazione dei profili editoriali232. Infatti, mentre nei primi decenni del novecento le case editrici avevano sviluppato «un profilo ben netto e inconfondibile, definito non soltanto dagli autori pubblicati e dallo stile delle pubblicazioni, ma dalle molte occasioni - in termini di autori e di stile - a cui quelle stesse case editrici avevano saputo dire no233», nel primo decennio del ventunesimo secolo si sta andando incontro ad un 231 ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p. 44. 232 Ibidem. 233 Ibidem. 89 L’EDITORE COME AUTORE fenomeno del tutto opposto, cioè «un progressivo appannamento delle differenze fra editori234»: A rigore, come ben sanno gli agenti più accorti, oggi tutti competono per gli stessi libri. (…) Tutto questo si avverte nei programmi e innanzitutto nei catalogues, quei bollettini assai significativi con i quali i libri vengono presentati ai librai - e che ormai hanno raggiunto un alto tasso di interscambiabilità, per il linguaggio, le immagini (incluse le foto degli autori) e le motivazioni suggerite per la vendita infine per l'aspetto fisico dei libri235. Calasso, però, sostiene che anche se da tempo non si vedono più nascere imprese ispirate a quelle «vecchie e sempre nuove idee236», quell’idea di editoria da lui illustrata, che ha caratterizzato il ventesimo secolo, non è obsoleta. Egli sottolinea l’importanza del giudizio portando come esempio la collana pubblicata da Kurt Wolff agli inizi del novecento intitolata «Der Jüngste Tag», non a caso «Il giorno del giudizio», che ospitò esordienti di prestigio, quali Franz Kafka. Nel motivare il perché questa collana ottenne subito il favore del pubblico, Calasso sostiene che c’era qualcosa di sotteso che «si poteva già percepire nel nome della collana: sottintendevano un giudizio, che è la vera prova del fuoco per l'editore. In mancanza di quella 234 ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p. 44. 235 Ibidem. 236 Ibidem. 90 L’EDITORE COME AUTORE prova, l'editore potrebbe anche ritirarsi dalla scena senza essere troppo notato e senza suscitare troppi rimpianti»237. Va precisato, però, che nel compiere questo discorso, Calasso, da vero editore, non si limita al mondo delle idee e degli ideali, ma anche alla concretezza, poiché pubblicare i libri è «un’arte in tutti i sensi, e sicuramente un’arte pericolosa perché, per esercitarla, il denaro è un elemento essenziale238». Logicamente, trattandosi comunque di un’impresa, un buon editore deve tener conto di entrambi gli aspetti, senza scendere a compromessi: Una buona casa editrice sarebbe – se mi è concessa la tautologia – quella che si suppone pubblichi, per quanto possibile, solo buoni libri. Quindi, per usare una definizione sbrigativa, libri di cui l’editore tende ad essere fiero, piuttosto che vergognarsene. Da questo punto di vista, una tale casa editrice difficilmente potrebbe rivelarsi di particolare interesse in termini economici. Pubblicare buoni libri non ha mai reso spaventosamente ricco nessuno239. Anche in base a queste considerazioni è possibile affrontare alcune scelte degli editori, quali il rifiuto o l’accettazione scelta di un libro nella propria “scuderia”. Come spiega Calasso sono due i criteri che muovono un editore, il primo è di natura letteraria: «Considerando le case editrici in questa prospettiva, apparirà forse più chiaro uno dei punti più misteriosi del nostro 237 ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p. 44. 238 ROBERTO CALASSO, L’editoria come genere letterario, in La follia che viene dalla Ninfe, cit., pp. 115-117. 239 Ivi, p. 115. 91 L’EDITORE COME AUTORE mestiere: perché un editore rifiuta un certo libro? Perché si rende conto che pubblicarlo sarebbe come introdurre un personaggio sbagliato in un romanzo, Il secondo, invece, è di natura commerciale: Un secondo punto riguarda il denaro e le copie: seguendo questa linea si sarà costretti a prendere in considerazione l’idea che la capacità di far leggere (o, per lo meno, comprare) certi libri è un elemento essenziale della qualità di una casa editrice. Il mercato – o la relazione con quello sconosciuto, oscuro essere che viene chiamato «il pubblico» - è la prima ordalia dell’editore, nell’accezione medioevale del termine: una prova del fuoco che può anche mandare in fumo considerevoli quantità di banconote240. È proprio su questo punto che si gioca l’abilità di un editore, cioè nella sua capacità comunicativa, nel suo saper cogliere sempre le esigenze e i gusti del pubblico, anche quando si discostano dal proprio gusto personale. Ecco che a volte per l’uomo di cultura è necessario il compromesso a fronte delle necessità economiche: Sulla capacità di intuire l’autenticità di un’esigenza del pubblico, e non sulla capacità di distinguere autori buoni da altri meno buoni, si gioca prima di tutto la scommessa di ogni editore. Il percorso della storia dell’editoria è lastricato dei cadaveri di editori geniali che, con istinto da ricercatori, anticipavano splendide idee di cui il pubblico non sentiva l’esigenza, e di questo sublime peccato sono professionalmente morti. (…) Il lavoro culturale di un editore consiste nel capire per tempo la cultura dei 240 Roberto Calasso, L’editore come genere letterario, in La follia che viene dalla Ninfe, cit. pp. 115-117. 92 L’EDITORE COME AUTORE lettori, anche quando essa non si evolve nella direzione che l’editore, come uomo di cultura, preferirebbe 241 . In conclusione Calasso riunisce quanto detto in poche parole: A questo punto la mia tesi dovrebbe apparire abbastanza chiara. Aldo Manuzio e Kurt Wolff non fecero nulla di sostanzialmente differente, a distanza di quattrocento anni l’uno dall’altro. Di fatto praticavano la stessa arte dell’editoria – benché quest’arte possa passare inosservata agli occhi dei più, editori inclusi242. Interessante questa frecciata lanciata nei confronti “dei più”, tra i quali annoverare anche la maggior parte degli editori. Inoltre egli sottolinea la necessità di una «cura appassionata e ossessiva della veste di ogni volume». Non a caso in un’intervista in cui spiegava le modalità di scelta delle copertine dei libri Adelphi, egli parla di questa fase del lavoro editoriale come “arte dell’ecfrasi”. Specificando che l’ecfrasi era il termine con cui nella Grecia antica si indicava per quel procedimento retorico che consiste nel tradurre in parole le opere d’arte, Calasso spiega: «Ora, l’ editore che sceglie una copertina – lo sappia o no – e l’ultimo, il più umile e oscuro discendente nella stirpe di coloro che praticano l’arte dell’ecfrasi, ma applicata questa volta a rovescio, quindi tentando di trovare l’equivalente o l’analogon di un testo in una 241 Dario Moretti, Il lavoro editoriale, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 10-11. ROBERTO CALASSO, L’editore come genere letterario, in La follia che viene dalla Ninfe,cit., pp. 115-117. 242 93 L’EDITORE COME AUTORE singola immagine243». In questo caso il giudice non sarà solo l’editore, ma il pubblico: «L’immagine che deve essere l’analogon del libro va scelta non da sé, ma anche e soprattutto in rapporto a un’entità indefinita e minacciosa che agirà da giudice: il pubblico244» Egli racconta quanto nella casa editrice avessero cura per la scelta della copertina di ogni singolo libro, senza mai delegarla a qualcuno, poiché: L’arte dell’ecfrasi a rovescio ha bisogno di tempo – di molto tempo – per svilupparsi, espandersi, respirare. La sua mira è un reticolato di immagini che non solo rispondano ciascuna a un singolo oggetto (il libro per il quale vengono usate), ma si rispondano fra loro, in modo non troppo dissimile da come i vari libri della collana possono rispondersi fra loro. Così si sono creati strani fenomeni di affinità irresistibile, per cui certi pittori venivano calamitati da certi autori245 243 ROBERTO CALASSO, “In copertina metteremo un Beardsley”, La Repubblica, 28 dicembre 2006, p. 54. 244 ROBERTO CALASSO, “In copertina metteremo un Beardsley”, La Repubblica, 28 dicembre 2006, p. 54. 245 Ibidem. 94 CAPITOLO III L’EDITORE MILITANTE Teorie a confronto 3.1 ANDRÉ SCHIFFRIN 3.1.1 Una «nuova ideologia del mestiere» André Schiffrin, figlio dell’editore Jaques Schiffrin246 e a sua volta editore in prima persona, sta conducendo da più di dieci anni una battaglia culturale a favore dell’editoria indipendente e di valore, denunciando il fenomeno sempre più rilevante delle concentrazioni, cioè dell’accorpamento di più case editrici sotto un unico marchio il cui fine è principalmente, se non esclusivamente il profitto. Il momento centrale che ha dato inizio al dibattito su queste tematiche è legato alla pubblicazione nel 1999 di Editoria senza editori247 in cui lo studioso affronta in modo diretto e incisivo tali problematiche che erano già state accennate, ma mai in modo così esplicito. Lo stesso titolo del libro riprende quello di un articolo248 di Jérôme Lindon pubblicato su “Le Monde” nel 1998, in cui già 246 Per un approfondimento delle vicende editoriali e politiche di Jaques Schiffrin si veda: ANDRÉ SCHIFFRIN, Libri in fuga. Un itinerario politico fra Parigi e New York, (a cura di Valentina Parlato), Roma, Voland, 2008. (I edizione: A political education. Coming of Age in Paris and New York, 2007). 247 ANDRÉ SCHIFFRIN, Editoria senza editori, Torino, Bollati Boringhieri, 2000. (Edizione originale: L’Édition sans éditeurs, La Fabrique- Éditions, Paris, 1999). 248 JÉRÔME LINDON, L’Édition sans éditeurs, in “Le Monde”, 9 giugno 1998. 95 L’EDITORE MILITANTE si affrontavano le medesime questioni. Il testo di Schiffrin analizza soprattutto il panorama statunitense senza però tralasciare il confronto con l’Europa, in particolare con la Francia. Negli anni l’analisi si è estesa anche all’Inghilterra, con qualche accenno all’Italia con la pubblicazione di altri due saggi: Il controllo della parola249, del 2005, e Il denaro e le parole250 edito nel 2010. L’editore che Schiffrin teorizza è una persona svincolata dai legami con gruppi di interesse economico e politico, che persegue i suoi ideali mantenendo l’indipendenza e combattendo per essa. In questo senso si può parlare di editore militante. La questione delle concentrazioni, secondo lo studioso è strettamente legata a quella della libertà di espressione. In questo sistema economico egli vede una minaccia per la libertà editoriale ed effettua una teoria del controllo della parola. Queste idee si sono sviluppate e ampliate di pubblicazione in pubblicazione, tanto che i tre saggi descritti potrebbero essere racchiusi in una sola opera. A partire da Editoria senza editori André Schiffrin disegna un quadro drammatico dell’editoria negli Stati Uniti e mette in allerta i paesi europei, come Francia e Italia, che a suo avviso, rischiano di cadere negli stessi errori. Partendo dalla storia della prestigiosa casa editrice Pantheon Books, l’autore ripercorre le vicende di numerose piccole case editrici americane che sono state distrutte dal fenomeno della 249 ANDRÉ SCHIFFRIN, Il controllo della parola, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. (I edizione: Le contrôle de la parole/Controlling the Media, Paris, Le Fabrique éditions, 2005). 250 ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, Roma, Voland, 2010. (Edizione originale: L’argent et les mots/Words & Money, La Fabrique- Éditions, Paris, 2010). 96 L’EDITORE MILITANTE concentrazione editoriale. Lo studioso spiega che in poco tempo l’editoria americana è passata da uno stato relativamente artigianale, ad un’industria dominata da grandi gruppi che svolgono attività non solo nel campo dell’informazione, ma anche del divertimento, o meglio dell’entertainment. Questo ha fatto sì che le case editrici acquistate sono state a poco a poco mutilate delle opere serie e destinate all’insegnamento (textbooks divisions), per lasciare spazio ai bestsellers. Secondo Schiffrin il vero problema risiede nella commercializzazione delle idee, nell’industrializzazione dell’editoria e nel controllo della cultura da parte di grandi gruppi internazionali che esigono un rendimento senza comune misura con le norme dell’editoria. Questo problema non è circoscrivibile solo agli Stati Uniti, basti pensare che delle cinque ditte che controllano l’80% del mercato americano, tre appartengono a gruppi europei: Bertelsmann ha il controllo di più del 30% della vendita di libri negli Usa, e i gruppi inglesi Pearson e Murdoch regnano su una fetta consistente della parte rimanente di mercato. Conseguenza di queste concentrazioni è la morte della piccola editoria indipendente, costretta a passare da un rendimento del 3 o 4 per cento, a richieste del 15 per cento. Spiega Schiffrin che l’editore tedesco Klaus Wagenbach definisce tale tasso di rendimento come la todes zone, cioè la zona mortale in cui nessuna editoria di valore può sopravvivere. Il problema risiede alla base, in quanto lo scopo finale dei grandi gruppi internazionali non è quello di pubblicare più libri, ma di raccogliere i titoli più redditizi delle varie case che hanno 97 L’EDITORE MILITANTE acquistato e magari eliminare i rimanenti. In questo caso non si tratta di un’operazione che bilancia qualità ed esigenze di mercato, ma volta esclusivamente al guadagno. Schiffrin a sostegno di questa teoria, ha studiato i cataloghi delle maggiori case editrici americane: HarperCollins, Simon & Schuster e Random House. Dall’analisi è emerso che prolificano i best sellers, mentre alcuni tipi di titoli che appartenevano a quegli editori in passato, ora sono letteralmente scomparsi dal catalogo: su 500 titoli pubblicati, non c’è un libro di storia serio, una traduzione, un’inchiesta scientifica, non ci sono testi di teologia, filosofia e storia dell’arte. È interessante una considerazione fatta dall’autore nel recente Il denaro e le parole251 in cui riprende la trattazione di questo fenomeno che purtroppo continua a sussistere: «Un giorno ho detto scherzando che si era passati dall’infanticidio, abbandonando nuovi titoli senza grandi speranza di vendite, all’aborto, rompendo contratti di titoli già esistenti e che non erano più considerati interessanti dal punto di vista finanziario. Oggi siamo arrivati alla contraccezione: si fa in modo che questo genere di titoli non entrino più nel processo produttivo252». In precedenza negli Stati Uniti le case editrici indipendenti erano numerose e attive, ora riescono a raggiungere solo il 20 per cento della produzione del paese. L’autore fa notare che anche la Francia presenta la stessa situazione, in quanto il 60 per cento 251 ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, Voland, Roma, 2010. 252 Ivi, p. 22. 98 L’EDITORE MILITANTE della produzione appartiene ai due colossi Vivendi e Lagardére, ma c’è una differenza che si gioca sulla qualità. Infatti Schriffin mette in evidenza che molti dei di libri di valore che vengono pubblicati provengono da case editrici autonome, spesso familiari, come Gallimard, Le Seuil, Minuit, Flammarion. Proprio queste case editrici di prestigio hanno un tasso di rendimento molto basso, ma sufficiente per realizzare un catalogo pregiato. La stessa situazione era presente negli Usa prima del fenomeno delle concentrazioni, dopo il quale i grandi gruppi hanno preteso dalle loro case editrici di moltiplicare gli introiti, quindi hanno alzato il tasso di rendimento al 15 per cento. Tale pretesa è nata dal fatto che questi gruppi facendo parte dell’industria dell’entertainment, si sono trovati a dover confrontare gli utili delle case editrici acquistate con quelle delle radio, delle televisioni, dei giornali e delle riviste (ambiti più remunerativi) e da qui e sorto il problema: come avrebbero potuto giustificarsi di sovvenzionare i loro editori di libri a spese di altre società del gruppo? Da qui la necessità di alzare il livello al 15 per cento. Per poter raggiungere una cifra così alta gli editori hanno snaturato il loro catalogo pubblicando bestsellers. Ma spesso questo non è bastato, quindi tante case editrici si sono sentite costrette a cercare nuove case editrici da comprare poiché un tale tasso di crescita non si poteva raggiungere con i soli libri del gruppo. Tale situazione ha trasformato anche il ruolo degli editori che sono divenuti degli investitori alla disperata ricerca di bestsellers o di case editrici da acquistare non solo per soddisfare i nuovi proprietari, ma 99 L’EDITORE MILITANTE anche le banche con cui si erano indebitati. Questo ha fatto si che tanti direttori abbiano subito una trasformazione, che lo studioso ha definito come una “nuova ideologia del mestiere”, secondo cui gli editori inglobati nel sistema dei grandi marchi si sono adattati a imitare lo stile di vita dei loro “omologhi di Hollywood”, hanno uffici lussuosi come quelli dei banchieri, si riuniscono in luoghi prestigiosi, tutto per mantenere un nuovo status sociale. Nel libro Il controllo della parola, riprendendo il tema, egli parla della “concentrazione come metodo”, spiegando come ormai tale sistema sia avvertito come una un’abitudine o addirittura una necessità. Egli inoltre postula un legame fondamentale tra produzione e diffusione, riprendendo la famosa considerazione di Pierre Bourdieu per cui «la diffusione determina la produzione» giungendo, così, all’uniformazione dell’offerta. Anche alla luce del pensiero di Henri Bergson, il quale sosteneva che «chi controlla la distribuzione controlla il mondo». Schiffrin evidenzia quanto il dominio dell’industria dei contenuti comporti un controllo sul cittadino. In questo testo, scritto a sei anni di distanza dal primo, l’autore dipinge un quadro sicuramente meno roseo rispetto al precedente, ove si intravedeva una speranza per l’Europa. In particolare, con la presa in esame del caso francese, dove nel 2003 si è compiuta la fusione degli ex uo polisti Hachette e Vivendi creando uno sbilanciamento pesante nel panorama editoriale francese. Anche la successiva vendita della casa editrice Seuil ha segnato un cambiamento negativo nella mappa dell’editoria francese. Lo 100 L’EDITORE MILITANTE studioso continua a sostenere e rafforzare le sue teorie nell’ultimo libro Il denaro e le parole, ove presenta aggiorna i dati e il quadro descritto dieci anni prima. Come aveva previsto la situazione non è migliorata: lo studioso prende come esempio la HarperCollins che negli anni ’60 era una valida casa editrice, mentre ora è di proprietà di Rupert Murdoch. Ecco come Schiffrin commenta il suo stato: “La produzione attuale giustifica appieno la loro pretesa di far parte dell’industria dell’intrattenimento (entertainment industry), dal momento che legano ogni volta che è possibile l’uscita di un libro a quella di un film o di una serie televisiva253”. Schriffin sottolinea anche i problemi relativi agli scrittori che sempre più raramente trovano un editore e nel caso in cui ci riescono non guadagnano granché. Inoltre la pressione per mantenere i profitti alti porta gli editori a soluzioni drastiche come i licenziamenti, problema attualissimo visto che con la recessione attuale centinaia di persone hanno perso il lavoro. La concentrazione porta anche a risultati stranianti a livello di produzione, prima impensabili, come nel caso del gruppo Knopf che ha acquistato due case editrici ai due poli opposti della proposta editoriale: Doubleday e Pantheon. Ora, visto che le redazioni sopravvissute sono state fuse in un’unica centralizzata, i loro libri vengono prodotti insieme, senza indicare l’editore originario, visto che ormai, nella nuova situazione, il marchio è divenuto inutile e ha perso il suo senso iniziale. 253 ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, cit., p. 22. 101 L’EDITORE MILITANTE Di fronte a tale situazione Schiffrin vede la salvezza nella piccola editoria indipendente che continua a proporre traduzioni e pubblicazioni di valore. Ma, visto il panorama che la circonda, questo tipo di editoria va assolutamente tutelata. Lo studioso propone varie soluzioni, in primis un aiuto pubblico, magari inserito all’interno del quadro generale del sostegno alle istituzioni culturali: “Insisto sugli aiuti regionali e locali perché in questi tempi difficili dal punto di vista economico, non ci si può aspettare granché dai governi centrali, spesso bloccati dal loro conservatorismo e dai tagli al budget. Molti editori inoltre temono le pressioni politiche che potrebbero accompagnarsi a un finanziamento statale254”. Nell’eventualità che gli aiuti regionali si interrompessero a causa di cambiamenti politici, le case editrici potrebbero sempre ricorrere ad organismi sullo stile del CNL (Centre National du Livre) francese, cioè un centro dipendente dal Ministero della Cultura, che destina una parte considerevole del suo bilancio alla salvaguardia del libro. Come esempio di governo che si è impegnato a mantenere un’editoria indipendente, l’autore ci presenta la Norvegia. L’autore pone fiducia anche nell’Università, prendendo in esempio il caso fortunato di Raison d’Agir, la casa editrice creata da Pierre Bourdieu nel suo ufficio al Collège de France che ha riscosso un grande successo nella produzione di testi politici, riuscendo a vendere centinaia di migliaia di copie mentre le grandi case editrici avevano da tempo abbandonato 254 ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, cit., p. 32. 102 L’EDITORE MILITANTE questo campo. Nonostante la positività dei risultati nessun’altra istituzione universitaria francese ha provato a ritentare l’esperienza, mentre secondo l’autore: “quasi tutte le grandi strutture universitarie hanno case editrici interne e potrebbero prestare o affittare uffici e attrezzature ai piccoli editori255”. Secondo l’autore bisogna anche creare una sensibilizzazione: «Ma in fondo la prima tappa del dibattito dovrebbe essere la pubblicazione di libri che studiano seriamente i problemi dell’editoria e propongano soluzioni adatte al quadro politico di ogni paese d’Europa256». 3.2 JANINE E GREG BRÉMOND 3.2.1 Un’«editoria condizionata» Nel 2002 esce “Editoria condizionata257” di Janine e Greg Brémond che sulla scia di Schiffrin denunciano la questione della concentrazione e di tutte le conseguenti problematiche in Francia. Gli autori mostrano che in Francia, come negli USA, sta sparendo il libro inteso come creazione intellettuale e ci si sta spostando sempre di più verso il prodotto. Quindi, considerato che un’editoria libera e valida è garanzia di democrazia, gli autori sostengono che il libro e la democrazia 255 256 ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, cit., p. 31. Ivi, p. 79. 257 JANINE e GREG BRÉMOND, Editoria condizionata, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2003. (I edizione: L’édition sous influence, Paris, Edition LIRIS, 2002). 103 L’EDITORE MILITANTE stessa sono in pericolo. Infatti sono il profitto e la logica di potere ad orientare la produzione dei libri e quindi l’editoria rispondendo a logiche mercantili sta perdendo il suo ruolo di diffusore delle idee. Questo comporta un utilizzo smodato del marketing che concepisce i lettori come “consumatori di libri” e ad una manipolazione occulta degli stessi poiché le major editoriali sono anche le major della comunicazione. Secondo questo sistema il ruolo della diffusione è divenuto preponderante rispetto a quello della domanda, di conseguenza si ha un processo di uniformazione del libro. Anche gli autori si rifanno alle parole di Bourdieu in Una rivoluzione conservatrice nell’editoria258 secondo cui “la diffusione determina la produzione259” con una conseguente “uniformazione dell’offerta”. Ecco che prolificano i “livresfrères” (libri fratelli) che, pur non cadendo nel plagio, si caratterizzano per contenuti del tutto similari. Inoltre, anche se esistono ancora piccoli e medi editori, spesso la loro indipendenza è illusoria e apparente, in quanto in qualche modo, o per la diffusione o per una collaborazione, sono legati ai grandi gruppi editoriali, in quanto il potere delle major si estende ben al di là delle case editrici da essa detenute. Come spiegano gli autori, il problema della concentrazione, che già aveva preso il via negli anni ’70 per poi svilupparsi negli ’80, era già stato denunciato da Gabriel Enkiri, nel suo libro 258 PIERRE BOURDIEU, Une révolution conservatrice dans l’édition, “Actes de la Recherche en sciences socilaes”, 1999. 259 PIERRE BOURDIEU, Contre-feux 2, Paris, Raisons d’agir editions, 2000, p. 78. 104 L’EDITORE MILITANTE Hachette, la pieuvre: témoignage d’un militant260. Tale fenomeno, però, è rimasto leggermente occultato dal fatto che i due più grandi gruppi editoriali francesi “Vivendi” e “Legardére” hanno avuto l’accortezza di conservare il nome delle società editrici acquistate, trasmettendo la sensazione che la sostanza e la diversità degli editori non è cambiata. Questa scelta che Janine e Greg Brémond hanno definito come una “concentrazione mascherata” è un’operazione molto fine in quanto il nome di una casa editrice è prezioso poiché racchiude ed esprime valori emotivi. Un’altra questione su cui gli studiosi mettono in allarme è quello della globalizzazione del libro, in particolare dell’editoria scolastica. Basti considerare che “Vivendi” detiene il 40% dell’insieme del mercato francese nel settore scolastico. Se si prende in considerazione anche “Legardére”, la quota dell’editoria scolastica controllata dai due colossi può essere valutata in tre quarti del mercato. Bisogna sottolineare che “Vivendi” è il secondo gruppo al mondo di libri educativi poiché non comprende solo marchi francesi (Nathan, Bordas, Larousse…), ma europei (Anaya in Spagna…) e americani (Attica e Scipione in Brasile…). Il rischio di questa situazione è che la formazione delle nuove generazioni entra nella globalizzazione. Internet stesso rafforza il dominio dei due giganti, come nel caso di “Vivendi” che ha investito 25 milioni 260 GABRIEL ENKIRI, Hachette, la pieuvre: témoignage d’un militant CFDT, Paris: Gitle-Coeur, 1972. 105 L’EDITORE MILITANTE di euro per realizzare il suo portale educativo education.com. Questa sinergia e complementarietà tra i manuali scolastici e i contenuti del portale porterà ad un isolamento dei piccoli editori che non possono sostenere le stesse spese dei grandi. Conseguenza di questo sarà una riduzione delle scelte pedagogiche offerte agli insegnanti. Gli autori spiegano come la ricerca spasmodica della redditività a breve termine ostacola la pubblicazione dei libri innovativi, in quanto in una grande impresa evita l’assunzione di rischi. Questo atteggiamento, però, porta anche al paradosso per cui vengono respinti anche manoscritti la cui pubblicazione sarebbe redditizia. Infatti i responsabili del marketing si guardano bene dall’esaminare il contenuto specifico di un manoscritto, mentre si soffermano soltanto sul rapporto tra l’argomento del libro e il possibile cliente, o meglio target e i mezzi di diffusione. Di conseguenza prolificano libri che trattano le stesse tematiche e la moltiplicazione del numero dei titoli maschera un’uniformazione profonda. Tale situazione è conseguenza del fatto che i critici, i librai, i lettori, prima indipendenti tra loro, oggi fanno parte di major che investono anche nella stampa, nella televisione e nel cinema, quindi hanno un potere di influenza sempre crescente e sfruttabile sul piano commerciale attraverso la promozione sui media. Ecco che se prima degli anni ’80 l’acquisto di un libro era condizionato essenzialmente da una questione di fiducia verso l’editore, verso la collana e verso l’autore, ora è condizionato da un’operazione di manipolazione del lettore, o meglio del consumatore di libri. 106 L’EDITORE MILITANTE Precedentemente l’editoria francese si basava su case editrici di natura familiare, il cui direttore coincideva con il fondatore della casa editrice o ne era un erede comunque cresciuto in quell’ambiente. Spesso si trattava di appassionati di libri e la scoperta di nuovi talenti era parte integrante del piacere della vita professionale di un editore; il rapporto tra il dirigente della casa editrice e l’autore era diretto. Naturalmente, trattandosi di un’impresa, si badava anche al profitto, ma non era certo l’obiettivo prioritario. Gli studiosi riportano come caso esemplare di passaggio dalla fase tradizionale a quella attuale l’esempio dell’editore “Hatier” che negli anni ’80 era ancora indipendente e che in quel periodo aveva cominciato ad avviare una serie di pratiche strategiche di influenza sugli acquisti sia tramite i librai, sia tramite il contatto con i mezzi di comunicazione. Ad esempio aveva distribuito ai librai degli espositori su cui esporre esclusivamente i suoi libri, oppure aveva curato l’ingresso dei suoi libri a più grande tiratura nella rete delle “grandi superfici”, cioè super e iper-mercati specializzati. Per quanto riguarda i nuovi rapporti con i media, “Hatier” organizzò vari incontri con i giornalisti e creò dei veri e propri eventi, ad esempio in occasione dell’uscita di un libro. Questo tipo di incontri ha una grande importanza poiché l’essere inviatati è una forma di riconoscimento sociale, quindi facilita i rapporti con la stampa e con i librai. Quindi tale strategia d’influenza consiste nel instaurare rapporti in cui i soggetti hanno interesse ad orientare il loro comportamento a vantaggio dell’editore. Naturalmente l’esempio di “Hatier” è 107 L’EDITORE MILITANTE modesto rispetto al nuovo panorama conseguente la concentrazione, dove il marketing, la pubblicità e lo scoop sono divenuti parte integrante del lavoro dell’editore. Inoltre la distribuzione massiccia del libro nei supermercati e nelle “grandi superfici” ha ridotto il ruolo di consigliere del libraio. Un altro cambiamento riguarda l’accorciamento delle distanze tra i responsabili editoriali ed il reparto commerciale, come spiega Fabrice Piault: “le concentrazioni si accompagnano a un passaggio di poteri all’interno della catena editoriale261”. Questa situazione porta ad un capovolgimento rispetto al classico approccio decisionale per la pubblicazione di un libro, dove la parola dei responsabili editoriali aveva un certo peso. Ora il personale di una grande casa editrice vive una situazione di insicurezza dovuta al fatto che ogni flessione nei risultati, ogni reticenza nell’aderire alla cultura del marketing, rischiano di portare ad una perdita di posizione all’interno del gruppo. Conseguenza di questa incertezza è la sottomissione dei responsabili editoriali alle leggi del marketing. Il problema dei grandi gruppi come “Vivendi” risiede nel fatto che, trattandosi della seconda impresa mondiale di comunicazione, ha un forte controllo dei mezzi d’influenza. In questo caso si può parlare di editoria integrata nella comunicazione. Addirittura il libro non è più percepito come un bene culturale, ma come una fonte di contenuto per le restanti attività di comunicazione all’interno del gruppo. Basti pensare che nel gruppo “Vivendi”, l’editoria, compresa la stampa di 261 FABRICE PIAULT, in L’édition française depuis 1945, a cura di Pascal Fouché, Paris, Cercle de la Librairie, 1998. 108 L’EDITORE MILITANTE periodici, rappresenta meno dell’8% del volume d’affari totale, mentre in “Lagardère” appena il 7% del totale. Un altro problema è quello delle alleanze tra questi gruppi; un esempio è quello del gruppo tedesco “Bertelsmann” che dopo l’acquisto dell’editore americano “Random House”, è il numero uno mondiale dell’editoria; il suo presidente Thomas Middelhoff nel 1999 figurava tra gli amministratori di “Vivendi”. Un altro potente mezzo di influenza è quello sulla stampa, infatti le major grazie al loro budget pubblicitario, effettuano una grande pressione, considerato che gli annunci rappresentano un’alta percentuale del volume d’affari della carta stampata. Chi soffre del potere dei grandi gruppi è anche il libro politico, al cui garanzia è rappresentata più che mai dalla piccola editoria indipendente. Gli studiosi hanno notato la tendenza nei leader politici a cercare la pubblicazione dai grossi marchi come “Vivendi”. Che un politico senta la necessità di venir pubblicato da una major per essere letto, secondo gli autori, è una vera e propria minaccia alla democrazia. Infatti significa dare alle major il potere di controllare quali voci sia opportuno o meno far sentire nel campo politico. L’editoria è una forma di oligopolio “a frangia”, perché accanto alle major si collocano editori meno potenti che costituiscono le “frange” dell’oligopolio. Gli studiosi spiegano che se si trattasse di un vero e proprio oligopolio le imprese coinvolte intratterrebbero solo rapporti di concorrenza. In Francia, invece, tra le major si hanno rapporti di collaborazione che amplificano gli effetti negativi della concentrazione sulla libertà di 109 L’EDITORE MILITANTE espressione. Inoltre per le varie major conservare i marchi editoriali delle case editrici acquistate, è uno stratagemma per mascherare la concentrazione: “più il numero dei marchi è importante, meno le opere di un editore nuovo potranno essere notate dal pubblico. Il mantenimento di diversi marchi protegge anche da eventuali reazioni negative di fronte a una situazione che può essere percepita come egemonica262”. Gli studiosi sottolineano che la situazione francese non ha raggiunto la gravità di quella statunitense grazie alla presenza di due editori generalisti di medie dimensioni, nonché di prestigio: Le Seuil e Gallimard. Nello stesso tempo, però, specificano che il loro carattere generalista è limitato in quanto sono praticamente assenti nel settore scolastico e in quello dei dizionari. Un altro fattore che ha aiutato sin ora l’editoria in Francia, sono stati gli aiuti statali a difesa dell’editoria indipendente e di conseguenza dei piccoli editori. La legge Lang sul prezzo unico del libro vieta gli sconti superiori al 5 per cento rispetto al prezzo consigliato dall’editore. Grazie a questa legge sono state salvaguardate le piccole e medie librerie che hanno potuto proporre i libri allo stesso prezzo delle grandi superfici. Riportando tale esempio gli studiosi sostengono quanto espresso da Schiffrin, cioè chelL’aiuto dello stato è fondamentale per l’editoria indipendente, che altrimenti secondo gli studiosi è letteralmente “strangolata” dalle major. 262 JANINE e GREG BRÉMOND, Editoria condizionata, cit., p. 94. 110 L’EDITORE MILITANTE 3.3 ALFREDO SALSANO 3.3.1 L’editore manager Chi in Italia ha colto gli avvertimenti lanciati da Schriffin è stato Alfredo Salsano, che, nella prefazione alla traduzione italiana di Editoria senza editori sottolinea come in Italia la concentrazione nel campo dell’editoria non ha raggiunto il livello degli Stati Uniti e come ci siano dei margini per poter mettere a frutto gli avvertimenti dello studioso americano. Certo, anche l’Italia non ha un panorama roseo, visto il passaggio di numerose case editrici di valore alla distribuzione di scadenti prodotti cinematografici, o la subordinazione della produzione a criteri di rendimento immediati. Tutti questi elementi rappresentano “l’avvento di una «editoria senza editori» liberale al punto di lasciare al solo mercato – lo stesso mercato del fast food e dell’entertainment – la decisione sulla pubblicabilità di quelle che un patetico arcaismo continua a designare come «opere dell’ingegno»263”. Quello che Salsano condanna non è la ricerca del profitto: “che l’editore lavori a scopo di lucro è un’ovvietà264”, anzi fa anche riferimento a Carmine Donzelli, quando a proposito del libro A scopo di lucro265, da lui stesso edito, spiega: “Un progetto editoriale in una società come la nostra è qualcosa, vale qualcosa solo se definisce un equilibrio con un proprio pubblico e dunque con un 263 ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XIX. Ibidem. 265 FRANCO TATÒ, A scopo di lucro. Conversazione con Giancarlo Bosetti sull’industria editoriale, Roma, Donzelli, 1995. 264 111 L’EDITORE MILITANTE mercato: e quando i conti non tornano, si fa forte il sospetto che anche il progetto editoriale sia caduco o incoerente o in declino266”. Quello che Salsano rifiuta è la caccia al catalogo altrui, lo svilimento del prodotto, la rinuncia al progetto a lungo termine per ottenere invece un rendimento immediato, tutti elementi che nel campo culturale rappresentano la risposta manageriale ad un problema squisitamente imprenditoriale. Secondo l’autore è proprio questo spostamento dell’editore da imprenditore a manager la causa del malessere dell’editoria odierna: “un intervento manageriale è indispensabile quando si passa dalla dimensione artigianale, familiare a quella di una industria razionalizzata; ma in questo come negli altri settori il manager non può sostituire l’imprenditore. E nel campo del libro l’imprenditore è l’editore, colui che schumpeterianamente innova: cambia l’organizzazione del processo di produzione innova (…), e soprattutto cambia il prodotto, quel delicato prodotto che è il libro per i suoi contenuti, per il suo rapporto con gli sviluppi della società267”. Il problema dei managers è legato al fatto che pur di triplicare o quadruplicare i profitti, non valutano il progetto editoriale nel suo complesso, concependo che ogni libro è collegato ad un altro della medesima collana, ma esaminano libro per libro, singolarmente. Succederà quindi che se un testo non presenta immediatamente le caratteristiche vincenti per catturare una buona fetta di lettori, verrà rifiutato, 266 FRANCO TATÒ, A scopo di lucro. Conversazione con Giancarlo Bosetti sull’industria editoriale, Roma, Donzelli, 1995, pp. VII. 267 ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XV. 112 L’EDITORE MILITANTE uscendo dalla mentalità imprenditoriale per cui anche se un libro inizialmente è deficitario, potrà sempre essere finanziato da altri più commerciali o già affermati all’interno del catalogo. Questo procedimento, che gli addetti ai lavori giustificano con il termine “razionalizzazione”, in realtà produce solo un appiattimento e un impoverimento del mestiere: “E il settore si riduce, si contrae, si impoverisce di passione, di talento, di speranze. Un management stupidamente caparbio continua allegramente a puntare sul sogno di un profitto purchessia da presentare al consiglio di amministrazione della holding di turno, un profitto risicato e con il fiato sempre più corto. Anche il libro, dopo anni di apparente immunità è vittima del capitalismo nella sua fase matura, basato sulla contrazione piuttosto che sullo sviluppo, sulla sistematica emarginazione di gruppi di operatori, sospinti alla periferia e infine espulsi dal settore produttivo268”. A riguardo è interessante l’immagine presentata da Salsano che parla di “desertificazione” come conseguenza della “monocoltura” dei bestsellers: “per analogia con quanto i grandi gruppi della biochimica realizzano nel campo dell’industria agroalimentare: dopo alcuni anni di uso di pesticidi e di concimi chimici su monocolture di cui si detiene il controllo delle sementi, il suolo si isterilisce e lascia il posto al deserto, negli stati Uniti (…). E tutto fa pensare che le biotecnologie (…) normalizzando e depauperando il patrimonio genetico – riducendo la biodiversità – porteranno a nuove catastrofi cui solo un’accresciuta dipendenza dalla tecnica potrà 268 L’importante è far finta di nulla, da “LN – libri Nuovi”, n. 8, inverno 1998, p. 38. 113 L’EDITORE MILITANTE porre temporaneo rimedio…269”. Fortunatamente l’Italia segue ancora con moderato entusiasmo l’editoria dei bestsellers, ma non ne è immune. Lo studioso vede un barlume di speranza nella piccola editoria, che fortunatamente in Italia continua a resistere e a proliferare, ma che in ogni modo è a rischio essendo stretta dalla morsa dei grandi gruppi editoriali, dalla stasi del mercato e dalla difficoltà della distribuzione e delle librerie indipendenti. Lo stesso Schiffrin nel suo ultimo saggio mette in evidenza la fioritura in Italia nell’ultimo decennio di centinaia di nuove case editrici confidando per esse in aiuti da parte del governo e delle regioni. Salsano, però, appare più scettico a riguardo, considerando Schiffrin “troppo fiducioso nei governi «socialdemocratici» europei”. La soluzione di Salsano consiste nel distinguere il libro come prodotto di massa dal libro di cultura, a cui corrisponderanno due economie distinte: l’una affidata ai managers, l’altra alla libera imprenditorialità, confortata dal mercato di editori e librai di cultura. Tra l’altro lo studioso evidenzia il fatto che questa separazione si sta già realizzando concretamente a livello fisico: per un bestseller si va direttamente al supermercato senza sentire l’esigenza di recarsi in libreria, che invece sarà indispensabile per l’acquisto di un saggio. Solo così sarà possibile allargare il mercato del libro di cultura, che in Italia esiste ed è forte, ma che a detta di Salsano, “soffre della confusione con l’altro, così come il prodotto Prada soffrirebbe 269 ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XIX. 114 L’EDITORE MILITANTE dall’essere distribuito alla Standa270”. L’autore, inoltre, ripone molta speranza nella collaborazione tra editori, librai e lettori, fiducia dimostrata anche con la creazione del progetto “Slow book”, che vede la collaborazione di tutti questi attori volta alla realizzazione del libro a “lenta rotazione”. Come è spiegato nella sezione “Progetto” del sito: “Come è accaduto per SlowFood, che ha saputo valorizzare il piacere e il gusto del “ben mangiare” anche Slow Book finalizza il proprio sforzo alla creazione di punti di contatto tra autori, editori, giornalisti, promotori, librai, lettori. Suo scopo principale è quello di garantire l’esistenza, e lo sviluppo potenziale, di un’editoria libera nelle sue scelte e dotata di un elevato “valore aggiunto”, dove per “valore aggiunto” si intende: “il lavoro contenuto in un libro in forma di ricerca, attività redazionale, traduzione, controllo delle fonti e rigore formale”271”. Secondo gli iniziatori del progetto il ritmo di rotazione del libro ha ormai raggiunto il parossismo. La produzione editoriale odierna consta di libri che “durano poco”, la cui vita media non supera i 3/6 mesi e che difficilmente supera i 15/20 giorni di esposizione sui banchi delle librerie. Si sta dunque assistendo a un processo che rende sempre più effimera l’esistenza del libro. Per i lettori diventa infine un’ardua impresa trovare un libro pubblicato non 6, ma addirittura 3 mesi prima. La permanenza di un testo in libreria è ormai inferiore ai tempi di sviluppo del ”ciclo dell’attenzione”, cioè il consiglio dell’amico che lo ha letto, il tempo di produzione delle recensioni, il ritmo lento dei percorsi di studio 270 271 ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XXIV. http://www.slowbook.org/il%20progetto%20slow%20book.pdf 115 L’EDITORE MILITANTE e di approfondimento individuali. Lo scopo del progetto è creare una sinergia tra editori, librai e lettori al fine di garantire una più lunga permanenza del libro di valore nelle librerie interessate. 3.4 GIOVANNI PERESSON 3.4.1 La distribuzione come problema editoriale Giovanni Peresson nell’opera Le forme del libro. Schede di cultura editoriale spiega come la distribuzione è un aspetto che investe direttamente la natura del libro, molto più di quanto comunemente si pensi, e tanto più oggi che ha acquistato una centralità fondamentalmente nuova e diversa rispetto al passato, tanto da poter parlare di «distribuzione come problema editoriale272». Lo studioso spiega che anche in questo settore, come in quelli merceologici, si è giunti a declinare il brand in base ai diversi tipi di canali commerciali: outlet, centri commerciali, grandi magazzini, ecc. L’aspetto della distribuzione del libro che consente il collegamento tra i diversi anelli della filiera (editore, le attività dalla pre- alla post-stampa, i magazzini di lancio e di rifornimento, i punti vendita, a partire dalle librerie, sino alle edicole) fino a giungere al cliente/lettore finale, presenta «fondamentali implicazioni con la specifica attività dell’editore: 272 GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 30. 116 L’EDITORE MILITANTE sugli elementi che contraddistinguono il suo essere impresa e ancor più sulla natura stessa del suo core business273». Secondo lo studioso la distribuzione oggi è sempre più funzionalmente e organicamente inglobata nella progettualità che concerne la vita di una casa editrice. A tal proposito Cesare De Michelis in L’editore è un operatore di logistica274 spiega come siamo di fronte all’«emergere di una identità più concreta e pragmatica, legata all’attività principale dell’editore che, nel suo piccolo, è un operatore di logistica: infatti trasferisce dei testi da un luogo a un altro, da una persona all’altra275». Secondo Peresson l’editore di oggi, posto di fronte alla crisi della sua tradizionale identità, conseguente al confronto con le tecnologie digitali, all’allargamento dei mercati e alla necessità relazionarsi con nuovi competitori, quali Microsoft, Google, Bit Toorent e Wikipedia, che non provengono più dalla tradizionale filiera del libro, ha la necessità di ripensare come questo suo essere da sempre un “operatore di logistica”, si coniughi oggi con la sua identità editoriale. Infatti «È nella distribuzione che si precisa e si definisce nel pubblico - in quello dei librai innanzitutto, poi dei lettori - il progetto editoriale della casa editrice276». Infatti è proprio tramite questa fase, troppo spesso considerata come un momento neutro di semplice cerniera di collegamento, che avviene il vero e proprio incontro tra editore e lettore. L’editore 273 GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 28. 274 CESARE DE MICHELIS, L’editore è un operatore di logistica, intervista a cura di Fabio Gambaro, in Dalla parte degli editori. Interviste sul lavoro editoriale, Milano, Unicopli, 2001. 275 Ivi, p. 111. 276 Ivi, p. 30. 117 L’EDITORE MILITANTE di oggi si trova ad affrontare sfide e situazioni assai nuove rispetto al passato. In primo luogo si trova a dover affiancare e integrare alla tradizionale tecnologia di distribuzione dei contenuti le tecnologie digitali, caratterizzate da un alto grado di flessibilità e da nuovi modi di distribuire e condividere i contenuti. A tal proposito lo studioso si interroga sulla possibile ideazione di un progetto editoriale non più costituito da libri, ma da file pdf distribuiti in rete. Questa ipotesi nasce dal confronto con il mercato della musica che in seguito all’introduzione della distribuzione digitale dei file musicali ha cambiato le politiche editoriali delle singole etichette; basti pensare alla possibilità di creare delle antologie personali e il conseguente cambiamento di impostazione lavorativa del musicista e del cantante, che per costruire il proprio discorso musicale non ha più la raccolta di canzoni, ma il singolo brano da scaricare e condividere attraverso i sistemi di p2p. Un’altra significativa trasformazione con cui si deve confrontare l’editore di oggi è quella relativa ai cambiamenti che i canali di vendita stanno avendo su vari fronti: nella dimensione (da libreria a multistore), nella collocazione urbana (dal centro storico, ai centri commerciali, alle stazioni e agli aereoporti), nelle formule (da semplici librerie a luoghi d’incontro con caffè e ristoranti) e nei processi economico-distributivi. Tutte queste varianti toccano profondamente le possibilità e le modalità con cui un editore entra in contatto con il suo lettore. Nonostante l’importanza che investe nella progettualità di una casa editrice, la fase della distribuzione è stata quella più ignorata e 118 L’EDITORE MILITANTE tralasciata dagli studiosi del libro. Peresson sottolinea che non esistono indagini esaustive circa i processi di trasformazione della distribuzione e della libreria tra il XIX e il XX secolo. Persino nel volume L’édition françasie depuis 1945 che aggiorna l’Historie de l’édition françasie, testo preso a modello di esaustività per molti studiosi del settore, soltanto in un capitolo si affronta tale tematica277. A tal proposito lo studioso parla di “appiattimento” della riflessione sulla distribuzione attorno a due livelli: uno legato all’annuncio di nuove aperture o rinnovo di librerie, o agli accordi tra le grandi catene, l’altro incentrato sulla problematicità che si trova ad affrontare la tradizionale libreria a gestione familiare di fronte alla nascita delle grandi catene di librerie. L’impostazione di questi studi, però, non ha mai un approccio speculativo volto ad interrogarsi su come si sta riorientando la distribuzione dei libri, sia a livello logistico e gestionale, sia in relazione ai nuovi format caratterizzanti le nuove librerie. Inoltre la trasformazione non ha riguardato solo le librerie, ma anche gli altri canali, come internet, l’edicola, gli spazi vendita temporanei, quali fiere, presentazioni, eventi e festival letterari, la vendita on line. Anche la grande distribuzione organizzata (Gdo), che opera nei supermercati, autogrill e grandi magazzini, ha acquistato sempre più importanza, basti pensare all’affermazione di vere e proprie librerie all’interno dei centri commerciali. 277 FRANÇOIS RICHAUDEAU, Le phénomène des club, in L’édition françasie depuis 1945, Parigi, Édition du Cercle de la Librairie, 1998, pp. 118-167. 119 L’EDITORE MILITANTE 3.4.2 La libreria come paratesto Peresson ribadisce l’importanza della distribuzione in relazione al progetto editoriale, tanto da parlare di «assoluta preminenza278» riguardo a questo momento della vita di un libro, la cui cura comporta un miglioramento dell’efficienza del sistema, la riduzione dei costi, un aumento dei margini economici e la maggiore efficacia nei processi; inoltre questa attenzione consente di prolungare il ciclo di vita del singolo libro in libreria e sui banchi della Gdo. L’importanza del punto vendita nel determinare l’acquisto di un libro è evidenziata anche dai dati che lo studioso riporta. Se è vero che oggi il 51,4 % delle persone entra in libreria già sapendo cosa comprare (in seguito alle pubblicità degli editori, alle recensioni, alle presentazioni degli autori in tv o in radio, al passaparola), il restante 48,6 % compie un acquisto d’«impulso279». Questo significa che anche se la metà degli acquisti è determinata dall’attività di comunicazione a cui fa capo l’ufficio stampa della casa editrice, la restante metà degli acquisti si gioca nel punto vendita. Ecco che acquista un’importanza significativa il luogo dove si decidere di distribuire un determinato libro e le modalità con cui verrà presentato. Come spiega Peresson «i canali vendita non sono né neutri né indifferenti rispetto al pubblico che li frequenta. Anzi selezionano lettori con caratteristiche socio demografiche e culturali molto diverse tra 278 GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 38. 279 Fonte: Demoskopea per Aie, 2005. 120 L’EDITORE MILITANTE loro. (…) i libri che vanno in libreria non sono gli stessi che vanno in edicola o su l banco libri della Gdo280». Secondo lo studioso il lettore prima di comprare un libro, “compra” il punto vendita in base al livello di servizio che gli viene offerto e che percepisce, ecco che «Insegna, arredo, layout, comunicazione, merchandising, segnaletica, attività newsletter, di presentazione, esposizione e illuminazione, articolazione dell’assortimento ecc. costituiscono né più né meno che una struttura paratestuale rispetto al progetto editoriale della casa editrice281». Certo è che un libro come Le vie dei canti di Chatwin non verrà letto allo stesso modo se il librario sceglierà di collocarlo nel reparto “narrativa”, o “turistica”, “saggistica”, o, addirittura “antropologia”. Questi compie un’interpretazione che si inserisce tra editore e lettore, tanto che per lo studioso non si può parlare di un rapporto diretto tra editore, il suo progetto editoriale e lettore. In un certo senso, si può dire che la distribuzione e le scelte del libraio attuino un ulteriore, se non nuovo, conferimento di senso al libro. Nel punto vendita «le proposte dell’editore e i suoi piani editoriali non hanno più lo stesso valore che quest’ultimo gli conferisce nelle stanze della sua casa editrice, e che ieri la libreria poteva ancora recepire dall’editore e trasferire al pubblico dei lettori282». Le trasformazioni intervenute possono far parlare di un nuovo paradigma interpretativo il cui punto di partenza è la 280 GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 41. 281 Ivi, pp. 41-42. 282 Ivi, p. 43. 121 L’EDITORE MILITANTE considerazione che il librario ha un suo prodotto a cui tiene sopra ogni cosa: il proprio punto vendita. È proprio in questo che si gioca la differenza tra editore e libraio: mentre per l’editore è il libro il primo oggetto d’interesse, per il librario è rappresentato dal negozio e dall’assortimento degli 800-900 editori selezionati. Inserito in questo nuovo contesto il libro mantiene parte degli elementi di marketing mix conferitigli dall’editore, ma altri vengono aggiunti e creati dalla libreria stessa, come la cortesia, la competenza, l’arredo, l’ubicazione, ecc. e soprattutto la collocazione e l’assortimento che il libraio crea tra titoli appartenenti a progetti editoriali ed editori diversi. Anche per il settore del libro, come è avvenuto in altri settori food e non food, si sono sviluppate queste strategie e politiche commerciali e di marketing chiamate trade marketing. A questo punto diviene sempre più difficile considerare – come è stato fatto sin ora – il processo distributivo come un semplice trasferimento del libro dalla casa editrice sino al proprio lettore, tanto da considerare tale momento nella prassi commerciale come una variabile manovrabile direttamente dall’editore. Secondo Peresson tale approccio è sempre meno adatto a gestire i tanti fattori critici che stanno intervenendo a modificare le regole del gioco tra l’editore e il suo pubblico. A sostegno di quanto detto basti pensare allo spostamento dei baricentri strategici di molteplici aziende verso la fase della distribuzione (Feltrinelli, il franchising Mondadori, Giunti) anche attraverso la vendita on line. Quello che caratterizza queste aziende è una forte identità d’insegna, risultato di format 122 L’EDITORE MILITANTE commerciali riconoscibili, layout innovativi, campagne di fidelizzazione, pubblicità e comunicazione. Proprio la questione della vendita on line e delle nuove tecnologie di rete che consentono di accedere ai contenuti editoriali è una questione con cui gli editori dovranno confrontarsi, non attraverso una sostituzione, ma un’integrazione. Si verrà a creare anche un nuovo modello di business: A un cliente/lettore che esprime una domanda di mercato – acquisto di servizi commerciali (cioè di nuove formule di librerie e di punti vendita) e di libri (o di contenuti accessibili tramite la rete) – variabile e in costante evoluzione non potrà che corrispondere un diverso modo di pensare al prodotto e al progetto editoriale. Forse lo stesso concetto di «progetto». È infatti la peculiarità del comportamento d’acquisto dei clienti e poi la lettura, a implicare assetti flessibili e coerenti rispetto al cambiamento e all’innovazione formale283. Nella capacità di saper leggere le trasformazioni della distribuzione e dei bisogni di lettura del pubblico che si rivela una parte importante della capacità innovativa dell’editore. Basti pensare al caso degli Oscar Mondadori, distribuiti tramite l’edicola e pensati per un pubblico nuovo che cercava autori contemporanei ad un prezzo contenuto e creati con un packaging e una campagna pubblicitaria coerenti con il progetto 283 GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 46. 123 L’EDITORE MILITANTE editoriale per cui erano nati. A proposito del packaging è interessante notare come un nuovo canale distributivo determini anche una nuova estetica del prodotto, legato anche a un nuovo tipo di lettore, come spiegava Albe Steiner negli anni ’60, dicendo che i nuovi canali di vendita (in quel caso stazioni aeree, ferroviarie, treni e addirittura distributori automatici), avrebbero comportato una «nuova estetica», nata da nuove «esigenze distributive» e da «un rapporto di collaborazione con lettori di tipo nuovo284». In relazione ai cambiamenti degli ultimi anni, per cui è possibile presentare al proprio pubblico i contenuti in formati sempre più variegati (dal libro al cd-rom, dall’articolo pubblicato sulla rivista cartacea e quella on-line), lo studioso mette in luce la necessità per l’editore di rivedere la propria posizione e la propria immagine, riconducibile non più soltanto a un “creatore”, ma anche ad una banca dati e a un gestore di contenuti da offrire in maniera diversificata cercando la maggiore penetrazione possibile nel mercato. Il modello editoriale che prima poteva essere rappresentato da una linea che connetteva i contenuti giunti nella casa editrice, la lavorazione e la pubblicazione sul formato di distribuzione, ora è raffigurabile con «una rete al cui centro sono i contenuti stessi, che vengono trattati, modificati, elaborati e pubblicati contemporaneamente su più piattaforme di destinazione285». Per 284 ALBE STEINER, Intervento al convegno del libro di Modena, in Il mestiere di grafico, Torino, Einaudi, 1978, pp. 195-197; l’intervento è del 1963. 285 GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale, cit., p. 198. 124 L’EDITORE MILITANTE permettere una gestione più accurata dei contenuti sono stati creati i sistemi di content management (CMS, Content management System). Questa tipologia di strumenti sarà necessaria per un settore di editoria specializzato in alcuni settori professionali che richiedono un continuo aggiornamento e la declinazione dei contenuti su vari fronti (cartaceo, cd-rom, sito, newsletter), mentre per la saggistica e le narrativa potrebbe risultare addirittura svantaggioso da un punto di vista economico. 125 CONCLUSIONI Il panorama che si configura al termine di questa ricerca rivela quanto la tematica sul ruolo e le funzioni editoriali è tutt’ora in continua evoluzione e gli studi in merito non si può dire che abbiano raggiunto uno stato definito e completo. Quello che è emerso maggiormente è sicuramente che il ruolo dell’editore si sta trasformando anche se il panorama non è così apocalittico come potrebbe sembrare. Anche se si tratta di un argomento tuttora in corso di analisi, alla conclusione di questo lavoro è interessante mettere in luce i punti in comune tra tutti i ricercatori poiché ci permettono di delineare un profilo dell’editoria e dell’editore oggi a prescindere dai punti di vista del singolo critico. Primo fra tutti troviamo il tema dell’omologazione del prodotto editoriale. Cadioli parla di questo fenomeno come conseguenza dell’assenza degli intellettuali nei posti chiave della filiera editoriale; Calasso ha definito la questione con l’espressione «obliterazione dei profili editoriali»; Janine e Greg Brémond parlano di «libri fratelli». Tutto questo per esplicare che, anche se con definizioni diverse, gli studiosi evidenziano lo stesso concetto. Sicuramente quello che emerge è che l’editore di oggi, anche se concettualizzato come un autore, un creatore con la propria poetica e il proprio stile che lo rende riconoscibile al lettore fidelizzato, è a rischio, soprattutto a livello di grande editoria. Per quanto riguarda la situazione delle case editrici di cultura, generalmente , anche se gli studiosi precisano non esclusivamente, di piccole 126 CONCLUSIONI dimensioni, la questione che si apre è quella relativa alla loro sopravvivenza in confronto alle grandi concentrazioni. Per quanto concerne le eventuali soluzioni per supportare questo tipo di editori, troviamo un dibattito ancora in corso e ancora irrisolto. Infatti Schiffrin basa tutta la sua fiducia nel sostegno economico da parte dei governi e delle regioni sia alla piccola editoria, che alle biblioteche. Meno fiduciosi sembrano i critici nostrani, i quali prospettano soluzioni che vengano dalla collaborazione tra editori, librai e lettori, come nel caso di Salsano, o di Cadioli. Questi, riprendendo la tesi proposta da «Allegoria» nel 2002 in cui si invitavano gli intellettuali ad impegnarsi nella ricostruzione e nella tutela delle forme e dei contenuti «di un sentire e di un sapere comuni sottratti al dispotismo della chiacchiera e del mondo così com’è286», compie una riflessione confrontandosi anche con il pensiero di Schiffrin: “Con i soldi di chi l’intellettuale dovrebbe fare questo?”, si potrebbe obiettare. Forse, più che le istituzioni pubbliche, come vorrebbe André Schffrin, o più che la ancora debole, in Italia, realtà delle University Press, occorre coinvolgere, valorizzandone l’attività, quegli editori che, pur sentendosi imprenditori, guardano alla cultura e non solo al mercato, e per questo erano stati bollati, già nel 1995, da Franco Tatò, come «benefattori», non ponendosi come primo (se non unico) obiettivo quello di pubblicare libri «a scopo di lucro287». 286 Dodici tesi sulla responsabilità della critica, in «Allegoria», XIV, 42, 2002, p. 7. ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit., p. 135. Il riferimento a Franco Tatò è relativo al pamphlet da questi pubblicato nel 1995. Cfr. FRANCO TATÒ, A scopo di lucro: conversazione con Giancarlo Bosetti sull’industria editoriale, Roma, Donzelli, 1995. 287 127 CONCLUSIONI Se, a conclusione del lavoro, ci chiediamo chi è questo editore contemporaneo, possiamo ben concludere che, nonostante si trovi ad affrontare situazioni economiche e sociali diverse dal passato e si debba confrontare con le nuove tecnologie, l’editore di oggi, se fa il suo mestiere con cura e non solo per profitto, per ideali e finalità non è molto diverso da Aldo Manuzio o da Piero Gobetti. Questo è quanto si può evincere soprattutto dalla posizione di Calasso e Cadioli. Certo è che i problemi reali quali la globalizzazione della cultura, l’uniformazione della produzione, il predominio della logica del marketing a discapito della qualità, la scomparsa del librario tradizionale e il proliferare delle catene distributive non agevolano certo l’editore, tanto più se piccolo ed indipendente. Eppure, soprattutto per quanto riguarda il pensiero critico italiano, questo non rappresenta un ostacolo insormontabile per l’editore che vuole difendere la cultura. Per concludere il discorso occorre però guardare al futuro, partendo dal presente. Accenniamo quindi alla discussione in atto sul futuro dell’editore poiché si sta costituendo proprio negli ultimi tempi una letteratura dedicata al futuro di questo mestiere. In questa sede non è stato affrontato questo dibattito poiché la letteratura è ampia e in divenire e non è possibile ancora stabilire un paradigma, al massimo si sarebbe potuto tracciare un “paradigma potenziale” dell’editore del futuro. Questa potrebbe essere un’interessante prospettiva di ricerca. A tal proposito occorre fare un accenno a Giovanni Ragone che prospetta 128 CONCLUSIONI l’avvento di un’editoria di “quarta generazione288”, dopo la prima dei protagonisti, la seconda dei funzionari, la terza tutt’ora in corso - del libro collocato nel flusso multimediale. In questo quarto tipo di editoria le case editrici sono industrie che affidano contemporaneamente i medesimi contenuti a prodotti diversi: e libro è solo uno di questi. In questa “industria dei contenuti” non sussiste più la contrapposizione tra editoria libraria ed editoria digitale poiché la produzione su carta e quella multimediale si salderanno in un unico progetto. In questa prospettiva si modifica anche il compito dell’editore del futuro che dovrà acquisire il contenuto di un autore (testi, immagini, suoni, video) per elaborarlo in modo che venga affidato in modo autonomo e parallelo su supporti diversi. L’editore più abile sarà quello che potrà agire su più media, offrendo quindi più prodotti. Il dibattito accennato da Ragone in merito allo scontro tra editoria di vecchia generazione e digitale è molto attivo, in particolare il motivo ricorrente è legato alla domanda relativa al futuro dell’editore e a come la sua figura dovrà adattarsi ai nuovi cambiamenti portati dalla digitalizzazione. Jason Epstein considera il passaggio al digitale “un cambiamento tecnologico maggiore per ordini di grandezza rispetto alla pur importantissima evoluzione dagli scriptoria dei monaci alla stampa a caratteri mobili avviata sei secoli fa da Gutenberg nella città tedesca di Mainz”. Anche Roger Chartier 288 GIOVANNI RAGONE, L’editoria in Italia. Storia e scenari per il XXI secolo, Napoli, Liguori, 2005. 129 CONCLUSIONI è della stessa linea di pensiero: “La rivoluzione che viviamo ai giorni nostri è, con ogni evidenza, più radicale di quella di Gutenberg, in quanto non modifica solo la tecnica di riproduzione del testo, ma anche le strutture e le forme stesse del supporto che lo comunica ai lettori289”. Secondo Gino Roncaglia si tratta della “quarta rivoluzione290” che interessa il mondo della testualità, considerando “il passaggio da oralità a scrittura come la prima, fondamentale rivoluzione nella storia dei supporti e delle forme di trasmissione della conoscenza, il passaggio dal volumen al codex, dalla forma-rotolo alla formalibro, come una seconda tappa essenziale di questo cammino, e la rivoluzione gutenberghiana come suo terzo momento291”. Ciò che accomuna gli autori è il sottolineare la necessità e l’urgenza che gli editori prendano consapevolezza dei cambiamenti in corso e si adattino. A detta degli studiosi questa sembra essere la condizione essenziale per la sopravvivenza dell’editoria. Un testo particolarmente interessante, sia per la natura che per la modalità con cui è affrontato l’argomento, è Il Manifesto dell’Editore del XXI secolo di Sara Lloyd, editrice della “Pan Macmillan Digital Publishing292”. In questo saggio, disponibile anche on-line, l’autrice getta un guanto di sfida agli editori del futuro, dedicandolo “Agli editori che tra cinque anni ci saranno ancora”, ma al contempo lancia anche un grido di allarme, in 289 ROGER CHARTIER, Cultura scritta e società, cit., p. 23. GINO RONCAGLIA, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, RomaBari, Laterza, 2010. 291 Ivi, p. X-XI. 290 292 SARA LLOYD, Manifesto dell'editore del XXI secolo, Rimini, Guaraldi, 2008. 130 CONCLUSIONI quanto chi parla è un addetta ai lavori. Come sottolinea Antonio Tombolini, curatore della traduzione italiana, si tratta di un testo “scritto da un editore per gli editori”. Lloyd ricostruendo il panorama attuale, parte dalla domanda: ha ancora senso il mestiere dell’editore? Ma non si limita a provocare, anzi, offre delle ipotetiche vie da seguire, come specifica nel sottotitolo: Ovvero di come gli editori tradizionali possono riposizionarsi nel flusso cangiante dei media ai tempi della rete. Il suo appello alla categoria risiede in una vera è propria rivoluzione: «dovremo trovare il modo di posizionare il libro nel mezzo di una rete invece che di preoccuparci di come distribuirlo alla fine di una catena293». Secondo l’autrice internet ha sconvolto il classico sistema lineare di produzione di un libro, introducendo i concetti di circolarità e interconnettività, anzi «ha introdotto la reale possibilità di togliere di mezzo l’editore, più o meno rimuovendo l’ostacolo costituito dal fin qui unico asset critico proprio dell’editore: la distribuzione294». Occorrerà ripensare la natura stessa del libro, addirittura rivedere se la centralità del testo non debba essere messa in discussione di fronte alle mashups multimediali. Secondo Lloyd occorre capire come vendere questi nuovi “libri” e capire quale può essere il valore aggiunto specifico dell’editore in questo nuovo contesto interconnesso. Se gli editori continueranno a limitarsi alla produzione e alla distribuzione del libro tradizionale, si taglieranno fuori dal futuro della creazione e diffusione dei contenuti. L’autrice 293 SARA LLOYD, Manifesto dell'editore del XXI secolo, cit., p. 10. 294 Ivi, p. 9. 131 CONCLUSIONI riporta esempi di una minoranza di editori che già si sono messi in gioco in questo nuovo ambiente virtuale. È il caso del libro di Chris Anderson The long Tail295, scritto “in pubblico” attraverso un blog, o il servizio di pre-pubblicazione Rough Cuts296. Un caso esemplare è quello di Gamer Theory di McKenzie Wark che fu pubblicato in un blog prima di essere prodotto in forma di libro. In questa occasione i lettori hanno inviato commenti durante la produzione del libro e hanno inviato suggerimenti anche sul formato da adottare per la pubblicazione. In questo caso si è trattato di “un libro destinato a contenere la conversazione che genera e da cui viene generato. Nel sito www.futureofthebook.org/mckenziewark/ è possibile consultare sia le versione originale del testo che le varie versioni complete di annotazioni dei lettori. È come se si creasse una tassonomia di lettura sociale. Secondo Lloyd questi sono esempi fondamentali per capire che gli editori si devono trasformare in facilitatori della lettura e dei processi che con essa hanno a che fare (discussione, ricerca, annotazione, scrittura, navigazione tra referenze). L’autrice specifica che internet non ha creato un approccio più attivo alla lettura, ma lo ha arricchito, forse realizzando in maniera tangibile le teorie di Roland Barthes presentate in La morte dell’Autore, in cui l'autore non è più il centro dell'azione creativa, ma soltanto uno scrittore, ed ogni opera viene “eternamente scritta qui ed ora”, 295 Chris Anderson, The Long Tail, Why the Future of Business is Selling Less of More, 2006 http://www.longtail.com Tr. it. La coda lunga, Da un mercato di massa a una massa di mercati, 2007. 296 http://www.oreilly.com/roughcuts/ 132 CONCLUSIONI ad ogni sua ri-lettura, perché l'“origine” del significato risiede solo ed esclusivamente “nel linguaggio stesso” e nei suoi effetti sul lettore297. Oramai sono sempre più frequenti i siti di social bookmarking in cui si condividono libri e discussioni. Secondo l’autrice gli editori, se vogliono salvaguardare il proprio ruolo, devono collocarsi nel mezzo di queste conversazioni digitali. Bob Stein, dello Institute for the Future of the Book (http://www.futureofthebook.org), parla di “networked book. … il libro come luogo, come social software – ma soprattutto ... il libro nella sua più intima essenza, come esperienza intellettuale strutturata e persistente, un generatore di idee, reinventato in funzione di una ecologia governata dal peer-to-peer298”. Chris Meade, nel suo libro Not Drowning but Waving299, sollecita gli editori a non aggrapparsi a tutti i costi alla riva, mentre tutto il resto del mondo si sta preparando a salpare per acque future. Secondo l’autrice in questi nuovi orizzonti, l’intervento e il commento del lettore diventeranno parte integrante dell’opera d’arte. Nel suo libro Print is Dead300 Jeff Gomez sostiene che l'emergente generazione di “nativi digitali” è rapidamente passata dal livello di “Generation Download” a quello di “Generation Upload”, una generazione che “sta cominciando a definire se stessa mescolando, integrando, combinando elementi disparati tratti da ciò che trovano in Internet per cambiarli in 297 298 ROLAND BARTHES, La morte dell’Autore, 1967. Bob Stein, The Social life of Books, Library Journal.com, 15th May 2006. 299 Chris Meade, Not Drowning but Waving, if:book blog, 20, Novembre 2007 http://www.futureofthebook.org/blog/archives/2007/11/not_ 300 JEFF GOMEZ, Print is Dead, 2007, Palgrave Macmillan 133 CONCLUSIONI qualcosa d'altro301”. Secondo lo studioso gli editori che vogliono offrire un'esperienza di lettura che sia interessante anche per la “Generation Upload”, dovranno fornire a questi nuovi “prosumers” i mezzi necessari e adeguati a personalizzare i testi pubblicati, a creare gratuitamente i propri contenuti complementari e a collegarli al nucleo di testo originario. Secondo l’autore la convergenza di tutti questi contenuti genererà una “Saggezza dei Popoli”. La questione di una eventuale “Saggezza dei popoli” che va a sostituire la mediazione editoriale, è molto interessante e discussa. Gino Roncaglia sostiene che le forme della mediazione editoriale cambieranno, ma non si può parlare della morte del libro. Secondo lo studioso il discorso della condivisone dei saperi ha senso all’interno di una comunità scientifica, costituita da esperti che magari condividono una ricerca. La situazione cambia se dalla ricerca specialistica si passa alla divulgazione, alla saggistica, alla narrativa. In questo caso è necessario un lavoro di mediazione editoriale che richiede professionalità specifiche: “è difficile immaginare che questo ruolo possa essere assunto direttamente da una sorta di auto-organizzazione intelligente degli utenti in rete302”. In ogni modo secondo l’autore la digitalizzazione è uno strumento che affiancherà e integrerà il lavoro editoriale, senza sostituirlo. Il problema 301 JEFF GOMEZ, Print is Dead, 2007, Palgrave Macmillan. 302 GINO RONCAGLIA, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, cit., p. 173. 134 CONCLUSIONI principale risiede non sulla scomparsa del ruolo dell’editore, ma su quali meccanismi adottare per remunerare sia l’autore che l’editore. Un punto di vista molto interessante è quello di Jason Epstein, che nel libro Il futuro di un mestiere303, sostiene che, pur nelle difficoltà, c’è un futuro per questo mestiere, anzi, invita i giovani ad addentarsi in tale avventura. Egli, come Sara Lloyd, prende atto della resistenza degli editori contemporanei ad affrontare la digitalizzazione: “With the earth trembling beneath them, it is no wonder that publishers with one foot in the crumbling past and the other seeking solid ground in an uncertain future hesitate to seize the opportunity that digitization offers them to restore, expand, and promote their backlists to a decentralized, worldwide marketplace. New technologies, however, do not await permission. They are, to use Schumpeter’s overused term, disruptive, as nonnegotiable as earthquakes304”. Egli ritiene che la loro resistenza dipende dal timore della propria obsolescenza e dalla consapevolezza della complessità legata alla trasformazione digitale. Inoltre l’editore si trova ad affrontare un modo, quello virtuale, in cui chiunque può dirsi autore o editore. L’autore, pur vedendo il potenziale enorme legato alla digitalizzazione, ribadisce che il libro stampato non morirà, ma anzi sarà i depositario di quella “saggezza collettiva” che tanto si spera di poter creare nel web: “E-books will be a significant factor in this uncertain future, but 303 JASON EPSTEIN, Il futuro di un mestiere : libri reali e libri virtuali, Milano, Sylvestre Bonnard, 2001. 304 Ibidem. 135 CONCLUSIONI actual books printed and bound will continue to be the irreplaceable repository of our collective wisdom305”. Davvero interessante la soluzione che l’autore prospetta in relazione al problema del turnover dei librai: “Tra le tante dittature che saranno sconfitte dal World Wilde Web, vi sarà quella delle esigenze di turnover dei librai. Sulle scaffalature espandibili all’infinito del Web, ci sarà spazio per una varietà praticamente illimitata di libri che potranno essere stampati a richiesta o riprodotti su lettori portatili o dispositivi analoghi. L’invenzione della stampa a caratteri mobili creò per gli scrittori opportunità impossibili da prevedere ai tempi di Gutenberg. Le opportunità che attendono gli scrittori e i loro lettori nel prossimo futuro sono incommensurabilmente maggiori306”. L’autore è consapevole del fatto che il villaggio globale non sarà paradisiaco, ma anzi indisciplinato, polimorfo e poliglotta, in ogni modo ha una grande fiducia in esso: «Il mio pronostico è che le future strutture editoriali saranno piccole, anche se potranno essere legate a una fonte finanziaria centrale. (…) L’editoria libraria potrà così tornare ad essere un’industria a conduzione familiare di unità creative diversificate e autonome: o almeno c’è, oggi, motivo di crederlo307». L’immagine di questo villaggio polimorfo con tante unità diverse e autonome pur se parte della stessa entità, richiama subito l’immagine della casa editrice tracciata da Calasso. 305 306 307 . JASON EPSTEIN, Il futuro di un mestiere : libri reali e libri virtuali, cit. Ivi, p. 120. Ivi, p. 121. 136 CONCLUSIONI Questo dimostra quanto il discorso sull’editoria, pur affrontato da autori diversi e con angolazioni diverse presenta sempre dei tratti comuni da scoprire, ci auguriamo anche in nuove ricerche. 137 BIBLIOGRAFIA308 AA.VV L’agente letterario da Erich Linder a oggi, a cura della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Milano, Sylvestre Bonnard, 2004. AA.VV., «L’Ospite ingrato. Editoria e industria culturale», Macerata, Quodlibet, VII, 2, 2004. ALFIERI VITTORIO, Opere, t. I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1977. AMARI MICHELE, I Musulmani in Sicilia, a cura di E. Vittorini, Milano, Bompiani, 1942. ANTONICELLI FRANCO, L’editore ideale, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1966. 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