CAPITOLO II L`EDITORE COME AUTORE Teorie a confronto

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CAPITOLO II L`EDITORE COME AUTORE Teorie a confronto
SOMMARIO
INTRODUZIONE
I Presentazione della ricerca
p. 4
II Un panorama del dibattito italiano
p. 10
III. Uno sguardo al passato. La ricezione: madre delle teorie editoriali
p. 16
Capitolo I: SEMANTICA EDITORIALE. TEORIE A CONFRONTO.
1.1 DONALD MCKENZIE
1.1.1 Il libro come forma espressiva
p. 22
1.2 ROGER CHARTIER
1.2.1 L’ordine dei libri
p. 27
Capitolo II: L’EDITORE COME AUTORE. TEORIE A CONFRONTO.
2.1 ALBERTO CADIOLI
2.1.1 Dalla parte del critico
2.1.2 Per un’«ermeneutica editoriale»
2.1.3 «Editore iperlettore» ed «intentio editionis»
2.1.4 Per una «cultura editoriale»
p. 36
p. 37
p. 46
p. 54
2.2 ROBERTO CALASSO
2.2.1 Dalla parte dell’editore
2.2.2 L’editore come creatore
2.2.3 Bibliografia come «codice autobiografico»
2.2.4 L’editoria come genere letterario
p. 69
p. 70
p. 79
p. 82
Capitolo III: L’EDITORE MILITANTE. TEORIE A CONFRONTO.
3.1 ANDRÉ SCHIFFRIN
3.1.1Una «nuova ideologia del mestiere»
p. 95
3.2 JANINE, GREG BRÈMOND
3.2.1 Un’«editoria condizionata»
p. 103
3.3 ALFREDO SALSANO
3.3.1 L’editore manager
p. 111
3.4 GIOVANNI PERESSON
3.4.1La distribuzione come problema editoriale
3.4.2 La libreria come paratesto
p. 116
p. 120
CONCLUSIONI
p. 126
BIBLIOGRAFIA
p. 138
3
INTRODUZIONE
I. Presentazione della ricerca
Il fine del presente lavoro è stato quello di individuare i
“paradigmi editoriali contemporanei” a partire dall’analisi dei
saggi che dall’inizio del nuovo millennio hanno affrontato la
tematica dell’editoria dandole un’impronta teorica significativa,
tanto da poter tracciare dei modelli di pensiero. Ma perché
cercare di individuare dei paradigmi e soprattutto, perché
circoscrivere la ricerca al nuovo millennio? Questa indagine
nasce proprio come risposta al grande dibattito nato intorno agli
anni ’70 in seguito alle grandi trasformazioni avvenute in seno
all’editoria, il quale si è sviluppato in maniera crescente sino ad
oggi interrogandosi su chi è l’editore, qual è la sua missione,
qual è il suo ruolo nella società e nella letteratura e, qual è il suo
futuro. Tale speculazione si sta facendo sempre più vivace e
coinvolge letterati, critici, giornalisti e accademici sia in Italia
che all’estero. Nel presente lavoro si è deciso di soffermarsi sui
testi presenti nel dibattito italiano.
Per poter comprendere le motivazioni che sono alla base degli
interrogativi sopracitati e di conseguenza anche le fondamenta
di questa ricerca, occorre fare una breve panoramica su quello
che è accaduto all’editoria negli ultimi quarant’anni. Nel corso
degli anni Settanta si è conclusa quella che Gian Carlo Ferretti
4
INTRODUZIONE
ha definito l’«editoria dei protagonisti1», cioè quel lungo
periodo in cui hanno predominato aziende editoriali a gestione
familiare o dalla fisionomia personalizzata a causa del ruolo
centrale ricoperto dai fondatori dell’azienda intitolata al loro
nome; questo è stato il caso di Arnoldo Mondadori, Angelo
Rizzoli, Valentino Bompiani e Giulio Einaudi, dei veri e propri
“protagonisti” poiché nella loro azienda avevano l’ultima parola
su qualsiasi decisione, sia di carattere culturale che economico.
Questa situazione aveva permesso che ogni casa editrice avesse
una propria identità ben definita, strettamente legata a quella del
suo editore (Ferretti parla di «identità editorial-letteraria2»). A
partire degli anni Ottanta all’interno della maggiori case editrici
assumono un ruolo sempre più importante - anche relativamente
alle
scelte
editoriali
-
alcuni
funzionari
dei
settori
amministrativi e commerciali, le cui esperienze lavorative si
erano formate in industrie estranee alla produzione libraria.
Tutto questo porta ad un graduale stravolgimento delle pratiche
editoriali e del ruolo del libro e dell’editore. A partire degli anni
Novanta sino ad arrivare ai giorni nostri, si è instaurato un
rapporto sempre più stretto tra i prodotti dell’editoria libraria e
gli altri media come la televisione e il cinema, sino a giungere
alle tecnologie digitali, tanto da poter parlare di «integrazione
dell’industria della stampa nel flusso multimediale3». Nel
frattempo si è verificato un altro fenomeno a livello mondiale,
1
GIAN CARLO FERRETTI, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino,
Einaudi, 2004, cfr., pp. XI e 3.
2
Ivi, p. XI.
3
GIOVANNI RAGONE, Verso la quarta generazione, in L’editoria in Italia. Storia e
scenari per il XXI secolo, contributi di Maria Liguori, Leonida Reitano, Luca Reitano,
Fabio Tarzia, Napoli, Liguori, 2005, p. 7; corsivo nel testo.
5
INTRODUZIONE
cioè la tendenza alla concentrazione proprietaria. In questo
nuovo ambito il libro non ha più il posto che aveva sino a
quarant’anni fa poiché, all’interno del processo multimediale il
prodotto-libro viene considerato, dal punto di vista della
produzione e del consumo, come un segmento, neppure troppo
considerevole, del sistema della comunicazione. È proprio in
questa situazione di mutamento che sorgono gli interrogativi sul
ruolo dell’editore oggi. La letteratura in merito sta aumentando
in modo interessante e rivela la grande attenzione prestata
all’argomento. Nel presente lavoro si è deciso di prendere in
considerazione quegli studiosi che hanno affrontato in modo
sistematico tale argomento, creando, nel corso degli anni un
vero e proprio sistema di pensiero intorno al concetto di editore
ed editoria. Partendo da questo presupposto e considerando quei
testi che hanno avuto un’importanza seria nel dibattito italiano,
sono stati ricavati tre paradigmi che inquadrano i tre modelli di
pensiero - tutt’ora in fieri - che tra loro presentano una certa
continuità. Il lavoro è strutturato in tre capitoli afferenti ai tre
paradigmi, precisamente: Semantica editoriale, L’editore come
autore e L’editore militante. All’interno di ogni sezione
vengono esposte e messe a confronto le teorie degli studiosi
analizzati. In particolare nel primo capitolo, intitolato
Semantica editoriale, si mostra come il lavoro dell’editore si
manifesta nella materialità dell’oggetto libro, una materialità
che non è mai sganciata da una significazione. In questa ottica
ogni scelta dell’editore (formato, copertina, carta, collocazione
di collana) porta con sé un senso preciso e fornisce all’opera
6
INTRODUZIONE
stessa un surplus di senso. Questo paradigma è presente nei
lavori di Donald F. McKenzie e Roger Chartier, ha inizio a
partire dagli anni Sessanta e si è sviluppato sino ad oggi.
L’importanza di questo capitolo risiede nel fatto che le
considerazioni compiute da questi autori hanno suscitato molte
riflessioni sul mondo editoriale in numerosi paesi. In Italia sono
state più volte riprese da Alberto Cadioli, studioso che ha
dedicato gran parte delle sue ricerche allo studio del pubblico,
dello statuto di un testo in relazione al lavoro editoriale e al
rapporto degli intellettuali con l’editoria. Ed è proprio con
questo critico che si apre il secondo capitolo: L’editore come
autore. In questa sezione, accanto al pensiero di Alberto Cadioli
viene esposto quello di Roberto Calasso, che, pur con modalità
differenti, da anni costruisce il suo modello di editoria
conducendo la casa editrice Adelphi di cui è anche presidente. I
due studiosi teorizzano l’editore come colui che attraverso il
proprio operato, contribuisce alla creazione di un libro
diventando a sua volta un autore. Attraverso le sue scelte,
infatti, questi diviene granate del canone letterario del proprio
tempo, tramite le operazioni di editing interviene direttamente
sull’aspetto creativo del testo e con la scelta degli elementi
paratestuali ne influenza la lettura e l’interpretazione da parte
del lettore. Da questo si evince che nessuna edizione può essere
definita neutra, poiché è frutto di un’intenzione e di una poetica
editoriale. Queste considerazioni si concretizzano soprattutto
nella personalità di Calasso che, al contempo autore ed editore,
riversa nel suo progetto editoriale tutta la sua poetica. Cadioli
7
INTRODUZIONE
ha un approccio da studioso e critico, che postulando concetti
quali
l’intento
editionis,
il
patto
editoriale,
l’editore
“iperlettore”, crea una teoria ben strutturata e in continua
evoluzione. Calasso, invece, parla da editore e in particolare fa
riferimento al suo caso particolare, cioè alla casa editrice
Adelphi. Il suo approccio non parte dall’analisi del singolo
libro, ma dell’insieme di libri della collana e sviluppa il
concetto di «editoria come genere letterario». Un tale editore è
un artista e la sua produzione può essere raffigurata come un
unico ipotetico libro in cui ogni singola opera pubblicata può
essere considerata come un capitolo di quel libro. L’editore
viene rappresentato come un creatore. Sia Cadioli che Calasso,
pur con metodi differenti, rivendicano l’autorialità dell’editore e
le loro teorie, anche se non esplicitamente, si confermano a
vicenda. Entrambi, infatti, mettono in luce anche la nuova
condizione dell’editoria attuale, più incentrata sul profitto
immediato del bestseller, con la perdita di centralità del ruolo
dell’intellettuale. Eppure il loro tono non è apocalittico, in
quanto riconoscono anche nel panorama attuale la presenza di
buoni editori che realizzano il paradigma di cui si fanno
portatori. Infine, l’ultimo capitolo è dedicato agli studiosi che si
soffermano su un'altra peculiarità, cioè L’editore militante. In
questa sezione si confrontano principalmente gli scritti di André
Schiffrin e Janine e Greg Brémond che poi costituiscono la base
di un grande dibattito a livello internazionale. Nella nostra
ricerca abbiamo riportato la risposta di Alfredo Salsano e
Giovanni Peresson, i due studiosi italiani che - a nostro avviso –
8
INTRODUZIONE
hanno risposto in maniera più interessante alle considerazioni di
Schiffrin e Brémond contribuendo a sviluppare questo
paradigma anche in relazione al nostro Paese. André Schiffrin è
stato tra i primi a lanciare l’allarme per rivendicare il ruolo
fondamentale dell’editore nella difesa della cultura e della
libertà di parola in risposta alle trasformazioni subite
dall’editoria negli ultimi quarant’anni. Tracciando un quadro
dettagliato dell’editoria americana ed europea dei nostri giorni,
Schiffrin denuncia il fenomeno della concentrazione, cioè
dell’accorpamento
sotto
un
grande
marchio
(non
necessariamente editoriale) di tante case editrici. Questo
comporta una perdita di identità della singola casa, ma
soprattutto un controllo della parola da parte dei grandi gruppi
di potere economico. Egli parla di un’«editoria senza editori»,
mentre J. e G. Brémond utilizzano la definizione di «editoria
condizionata». È in questo senso che si inserisce la missione
dell’editore che deve essere necessariamente militante per
difendere la libertà della diffusione del pensiero e della cultura.
Anche gli studiosi italiani Salasno e Peresson sostengono questa
tesi, tanto che Salsano, in merito all’Italia, parla dell’«editore
manager», ma le loro tesi hanno un tono meno apocalittico
rispetto a quello di Schiffrin e Brémond. In particolare
Peresson, prendendo atto del ruolo sempre maggiore della
distribuzione nel processo editoriale, la inserisce a pieno titolo
nel processo di costituzione di senso di un’opera, tanto da
parlare
di
«libreria
come
paratesto».
Queste
ultime
considerazioni vanno a chiudere, confermandolo, il discorso
9
INTRODUZIONE
avviato a partire dal primo capitolo. Infatti si va a ribadire
l’importanza della forma data da un editore ad un testo, della
semantica legata al suo lavoro, a sua volta conseguenza di una
poetica che l’editore, anche in quanto creatore e autore deve
perseguire. Ciò sarà possibile a seconda del luogo e del tempo
in cui si trova ad agire. Anche se i nostri giorni sembrano
mettere a repentaglio la buona editoria di cultura, l’editore è
sollecitato a non scoraggiarsi, ma a combattere per la difesa del
pensiero.
II. Una panoramica del dibattito italiano
In Italia gli studi sull’editoria si stanno sviluppando con
frequenza crescente di anno in anno. Trattandosi di un settore
molto vasto in cui interagiscono la dimensione economicoproduttiva e la dimensione culturale, elementi materiali ed
elementi astratti, sono numerose le discipline che vengono
coinvolte e che analizzano tale ambito con il proprio metodo e
il proprio punto di vista. Nell’ultimo decennio sono state
pubblicate numerose opere che pur con taglio diverso, trattano
tale tema: storie di case editrici importanti, ritratti di editori e di
intellettuali-editori4, ricostruzioni storiche e riflessioni sul
4
Cfr. Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri, a cura di Salvatore
Silvano Nigro, Palermo, Sellerio, 2003. ERNESTO FERRERO, I migliori anni della
nostra vita, Milano, Feltrinelli, 2005. Carlo Caracciolo. L’editore fortunato, a cura di
NELLO AJELLO, Roma-Bari, Laterza, 2005. MARCO CASSINI, Refusi. Diario di un
editore incorreggibile, Roma-Bari, Laterza, 2008. CESARE PAVESE, Officina Einaudi.
Lettere editoriali 1940-1950, Torino, Einaudi, 2008. GIULIO EINAUDI, Frammenti di
memoria, Roma, Edizioni nottetempo, 2009. PIERO LACAITA, Alla scoperta dell’editore
ideale. Scritti autobiografici e giudizi critici, Manduria-Bari-Roma, 2009. CRISTINA
10
INTRODUZIONE
lavoro dell’editore5 e dei suoi collaboratori6. Al contempo sono
stati creati progetti che a lungo termine contribuiscono a
costruire negli anni valutazioni e analisi sul mondo editoriale,
come nel caso di Tirature7, l’ormai tradizionale annuario di fatti
editoriali e letterari curato da Vittorio Spinazzola, o il bollettino
semestrale «La Fabbrica del Libro8» curato da Gabriele Turi.
Sono numerosi anche i numeri monografici di alcune riviste
dedicati interamente all’editoria, come nel caso di Panta9 nel
2001 o de L’Ospite ingrato10 del 2004. Tale dibattito sta
coinvolgendo sempre di più non solo i critici, ma anche i
giornalisti, tanto da poterne constatare la ricorrente presenza sui
quotidiani. Oltre alle interviste reperibili sulla stampa e nel
web, sono uscite anche raccolte che rispondono ad un esigenza
di ridefinire e collocare il ruolo dell’editore nella società
attuale11. Un altro elemento da segnalare è la presenza di alcune
case editrici che all’interno della loro produzione favoriscono
una riflessione sistematica sull’editoria, come nel caso della
casa milanese Sylvestre Bonnard, nota come la produttrice di
“libri sui libri”, che ha il merito di annoverare nel suo catalogo
TAGLIAFERRI, L’editore e l’Autore. Valentino Bompiani e Libero Bigiaretti, Pesaro,
Metauro, 2010.
5
Cfr. DARIO MORETTI, Il lavoro editoriale, Roma-Bari, Laterza, 1999. Il mestiere di
leggere, a cura di Annalisa Gimmi, Milano, il Saggiatore, 2002. ILARIO BERTOLETTI,
Metafisica del redattore. Elementi di editoria, Pisa, Edizioni ETS, 2005.
6
Cfr. DARIO BIAGI, Il dio di carta. Vita di Erich Linder, Roma, Avagliano Editore,
2007.
7
Tirature, a cura di Vittorio Spinazzola, Milano, il Saggiatore- Fondazione Arnoldo e
Alberto Mondadori, (1999-2012).
8
La Fabbrica del libro, a cura di Gabriele Turi, Franco Angeli, (dal 1995).
9
Panta. Editoria, a cura di Laura Lepri, Elisabetta Sgarbi, Roberto Di Vanni, Milano,
Bompiani 2001.
10
L’ospite ingrato. Editoria e industria culturale, Macerata, Quodlibet, VII, 2, , 2004.
11
FABIO GAMBARO, Dalla parte degli editori. Interviste sul lavoro editoriale, Milano,
Unicopli, 2001.
11
INTRODUZIONE
le opere di Donald F. McKenzie e Roger Chartier; o l’esempio
della Collana Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori de ‘il
Saggiatore’ che nel tempo sta favorendo lo studio della cultura
editoriale attuale e del passato e che ha avuto l’ottima intuizione
di dedicare numerose pubblicazioni all’argomento, nonché il
volume Editoria libraria in Italia dal Settecento a oggi12 una
raccolta bibliografica aggiornata che ricostruisce il discorso in
atto sull’editoria presente e passata. Proprio all’inizio del
suddetto volume viene spiegata la missione della collana che lo
ospita:
In uno dei momenti di più veloce trasformazione del settore editoriale, alla
ricerca di nuovi equilibri che gli consentano di volgere a proprio vantaggio
i risultati della sperimentazione ad alta tecnologia e quindi di allargare il
pubblico dei lettori sempre sottodimensionato rispetto all’offerta, si pone
con maggiore evidenza la necessità di riflettere sui cambiamenti in corso
in una dimensione a lunga durata13.
Nello spiegare la finalità della Fondazione Arnoldo e Alberto
Mondadori, ne viene messa in evidenza sia la peculiarità di
tutela della memoria del lavoro editoriale, sia quella di
promozione di studi e ricerche, poiché: «se è vero infatti che
l’interesse per questo settore è cresciuto anche in Italia negli
ultimi anni molto rapidamente, è anche vero che, come
recentemente affermava Ezio Raimondi proprio a proposito
12
Editoria libraria in Italia dal Settecento a oggi. Bibliografia 1980-1998, a cura di Luca
Clerici, Bruno Falcetto, Gianfranco Tortorelli, Milano, il Saggiatore, 2000, p. 6.
13
Ibidem.
12
INTRODUZIONE
degli studi sull’editoria, “una disciplina è adulta allorché ha
chiaro e sicuro l’apparato euristico dei suoi strumenti”14».
Rimanendo nell’ambito italiano, va precisato che le riflessioni
sul ruolo dell’editore e sulle sue funzioni non sono limitate alla
saggistica, ma coinvolgono anche il mondo della fiction. Da
uno studio condotto precedentemente in occasione della tesi di
laurea, ora raccolto in un saggio15, ho avuto occasione di
constatare quanto tale tematica sia viva e trattata spesso dagli
scrittori contemporanei, anche se non mancano esempi
interessanti anche nel passato16. Quello che emerge, seppur a
14
Editoria libraria in Italia dal Settecento a oggi. Bibliografia 1980-1998, cit., p. 6.
15
ELISABETTA PICHETTI, Paolo Nori e la corsa dell’editoria, Milano,
«Otto/Novecento», XXXIII, 3, 2009. Il presente saggio si sofferma su Paolo Nori, autore
che ha fatto della tematica editoriale un leit motiv della sua opera, tanto da poter dire che è
proprio l’editoria la vera protagonista dei suoi romanzi. Basti pensare che dal 1999, data
del suo esordio, ben 13 romanzi trattano tale tematica, poiché il personaggio princiaple di
gran parte di essi è Learco Ferrari (alter ego di Nori), uno scrittore agli inizi che narra
tutte le disavventure di un autore agli esordi e che non risparmia dalle sue narrazioni
riferimenti più o meno espliciti a noti editori, quali Einaudi, Feltrinelli, Derive Approdi e
Fernandel. Nel panorama italiano, anche se meno sistematicamente di Paolo Nori, anche
Stefano Benni, Ermanno Cavazzoni, e Paolo Colagrande hanno affrontato tale tematica.
16
Naturalmente la tematica editoriale anche se in espansione, non è propria solo dei nostri
giorni, ma è presente anche nel passato, primo fra tutti nel Don Chisciotte di Cervantes.
(ROGER CHARTIER, La stampa e le fonti. Don Chisciotte nella stamperia, inscrivere e
cancellare. Cultura scritta e letteratura (dal XI al XVIII secolo), Roma-Bari, Laterza,
2006). Considerando la letteratura italiana del novecento, troviamo numerose opere che
presentano aspetti pertinenti a tale ambito alcune delle quali addirittura quasi dimenticate e
non più edite, come Gli ammonitori di Giovanni Cena (GIOVANNI CENA, Gli ammonitori, a
cura di Folco Portinari, Torino, Einaudi, 1976. Prima edizione: Gli ammonitori, Edizioni
L’impronta, Torino, 1928). Compiendo un salto negli anni troviamo l’opera di Luciano
Bianciardi e la sua “trilogia della rabbia”: L’integrazione (1960), La vita agra (1962), Il
lavoro culturale (1975) (LUCIANO BIANCIARDI, L’antimeridiano, Vol. 1: Opere Complete,
a cura di L. Bianciardi, M. Coppola, A. Piccinini, Isbn Editore, 2005). Proseguendo si ha
Lessico famigliare di Natalia Ginzburg: un prezioso riferimento all’Einaudi (NATALIA
GINZBURG, Lessico famigliare, Einaudi, Torino, 1963), Se una notte d’inverno un
viaggiatore di Italo Calvino (ITALO CALVINO, Se una notte d’inverno un viaggiatore,
Mondadori, 1979), Il pendolo di Foucault di Umberto Eco (UMBERTO ECO, Il pendolo di
Foucault, Bompiani, Milano, 1988), L’editore di Nanni Balestrini (NANNI BALESTRINI,
L’editore, Bompiani, 1989; nel 1999, è uscita per Bompiani una seconda edizione in La
grande rivolta. È del 2006 l’ultima edizione riveduta: L’editore, DeriveApprodi, Roma),
Lettere a nessuno e Gli esordi di Moresco Antonio Moresco, (Lettere a nessuno, Einaudi,
Torino, 1997; è uscita una nuova edizione aggiornata e arricchita di passi inediti: Lettere a
13
INTRODUZIONE
livello di finzione, è un’insoddisfazione profonda da parte degli
scrittori; sono numerosi i topoi di critica all’editore, primo fra
tutti è quello per cui la pubblicazione porta alla morte
dell’opera, tanto che il
sistema editoriale viene più volte
ricondotto e paragonato a quello fognario, ad indicarne la
corruzione e il marciume etico. Un altro concetto che affiora e
svilisce tale sistema è quello secondo cui pubblicare è come
prostituirsi. Risulta evidente che il ritratto che emerge risulta
negativo e scoraggiante. L’editore è spesso associato a figure
demoniache e luciferine, e la casa editrice - un paradiso
agognato per tanti aspiranti scrittori - si rivela un inferno.
Anche lo scrittore odierno sembra essere uno sbandato e
soprattutto, un antieroe, rispetto all’accezione antica di eroe,
che sono lontani da tutto l’apparato editoriale e lo criticano.
Infatti questi scrittori sono intellettuali che si discostano dal
sistema editoriale che permette che chiunque, anche se non
scrittore, pubblichi, basta che assicuri un riscontro economico e
un successo mediatico. Quindi vi è una forte critica
all’omologazione e alla sovrabbondanza di produzione.
Riportare queste considerazioni, seppur limitate all’ambito della
finzione, è utile per introdurre il discorso relativo alla realtà
dell’editoria attuale sia in Italia che all’estero17. Infatti
nessuno, Einaudi, Torino, 2008; ANTONIO MORESCO, Gli esordi, Feltrinelli, Milano, 1998).
Sono numerosi anche i romanzi stranieri che tematizzano tale argomento, come il noto Il
meglio della vita di Rona Jaffe recentemente ristampato da Neri Pozza (RONA JAFFE, Il
meglio della vita, Neri Pozza, Vicenza, 2007; opera originale: The best of Everything,
1958), o La petite marchande de prose di Daniel Pennac (DANIEL PENNAC, La petite
marchande de prose, Gallimard, Parigi, 1989).
17
Da una prima analisi di alcune opere, la situazione dell’editoria estera appare ancor più
scoraggiante di quella italiana. Questo, almeno, è quello che sembrano trasmettere Questo
14
INTRODUZIONE
emergono temi quali l’omologazione della produzione,
l’interesse al profitto e alla visibilità mediatica, che ci
introducono ai saggi che invece costituiscono la base di questo
lavoro. Inoltre va specificato che il lettore dei romanzi
sopracitati è un “addetto ai lavori” e non un semplice lettore di
romanzi, infatti le tematiche di cui si parla e la modalità con cui
vengono trattate allontanano il lettore comune, che più che una
storia, trova riflessioni sulla condizione dello scrittore e
dell’editore. Infatti i ricchi riferimenti metatestuali, i richiami a
critici e alla letteratura, rendono la lettura troppo impegnativa o
poco interessante per un lettore comune. Tale aspetto non è di
secondaria importanza poiché mostra l’interesse accordato al
dibattito sul mondo editoriale dei giorni d’oggi.
libro sarà un bestseller di Debra Ginsberg (DEBRA GINSBERG, Questo libro sarà un
bestseller, Milano, Salani Editore, 2007) e Il gene del dubbio di Nicos Panayotopoulos,
che mostrano come il lato commerciale sembra far da padrone nell’editoria straniera
(NICOS PANAYOTOPOULOS, Il gene del dubbio, Milano, Ponte alle Grazie, 2005). Se poi si
considera lo stile e l’impostazione di tali romanzi, salta agli occhi come non tutte, rispetto
a quelle italiane, la maggior parte delle opere estere, abbia un approccio alla problematica
più leggero e meno sofferente. Senza voler esagerare, ma quello dei nostri letterati sembra
più lo sfogo, anche ironico, ma comunque uno sfogo, degli intellettuali di fronte alle
angherie editoriali, mentre gli stranieri scivolano più sul lato comico-grottesco. Ne sono
esempio Il diario di Bridget Jones di Helen Fielding (HELEN FIELDING, Il diario di Briget
Jones, Milano, RCS Libri, 1998) e Quella stronza del mio capo di Clark Bridie (CLARK
BRIDIE, Quella stronza del mio capo, Baldini Castaldi Dalai, 2007), romanzi che hanno
come sfondo di ambientazione una casa editrice, ma che rappresentano la così detta “chick
literature17”, certamente non una letteratura impegnata. Infine, uno dei pochi elogi alla
figura dell’editore, quale portatore di crescita autoriale e di un movimento di idee, si ha in
Il mio editore di Jean Echenoz (JEAN ECHENOZ, Il mio editore, Milano, Adelphi, 2008),
dedicato a Jérôme Lindon, editore delle note Ěditions Minut.
15
INTRODUZIONE
III. Uno sguardo al passato. La ricezione: madre delle teorie
editoriali
L’importanza dell’intervento editoriale nella costituzione del
senso di un’opera letteraria ha cominciato ad essere sottolineata
e studiata più sistematicamente a partire dagli anni ‘60, anche
se non mancano accenni in ricerche precedenti. In particolare
questa peculiarità emerge dagli studi sulla ricezione e viene
messa in luce a partire da Robert Escarpit con Sociologia della
letteratura18 e La rivoluzione del libro19, ove veniva invitata la
critica letteraria a prendere in considerazione sia gli aspetti
produttivi e distributivi del libro letterario, cioè il suo processo
editoriale, sia il momento della ricezione in termini economicosociologici, cioè dal punto di vista del pubblico inteso come
insieme di “consumatori”. Chi in Italia ha raccolto questo invito
è stato Gian Carlo Ferretti che sul finire degli anni ’70 ha
raccolto il dibattito suscitato da Escaprit in ambito di critica
letteraria in Il mercato delle lettere20 e
Il best seller
all’italiana21, dove analizza le strategie editoriali che sono alla
base della costruzione di alcuni successi letterari, pianificati e
costruiti dalla sinergia tra editore e autore. Nell’introduzione
alla rivista Pubblico22 (1977-1987), da lui stesso creata, Vittorio
Spinazzola avanza la proposta di una «sociologia della
18
ROBERT ESCARPIT, Sociologia della letteratura, Napoli, Guida, 1970.
ROBERT ESCAPRIT, La rivoluzione del libro, Padova, Marsilio, 1968.
20
GIAN CARLO FERRETTI, Il mercato delle lettere, Torino, Einaudi, 1979.
21
GIAN CARLO FERRETTI, Il best seller all’italiana, Roma-Bari, Laterza,
1983.
22
VITTORIO SPINAZZOLA, Il pubblico nella letteratura, in Id. (a cura di),
Pubblico 77, Milano, il Saggiatore, 1977.
19
16
INTRODUZIONE
ricezione» come studio della fortuna o sfortuna incontrata dal
progetto letterario; ecco che acquista importanza l’analisi del
pubblico in rapporto al progetto dell’autore, poiché «l’opera si
costituisce in quanto tale nel suo socializzarsi23», cioè nel
«passaggio da fatto privato a fenomeno pubblico24»; tale
passaggio avviene proprio tramite l’intervento editoriale. Lo
studioso sviluppa l’argomento anche in Generi letterari e
successo editoriale25.Secondo Vittorio Spinazzola l’editoria ha
il ruolo di creare lo spazio nel quale avviene l’incontro tra i testi
degli scrittori e le esperienze dei singoli lettori. Nel suo testo
Critica della lettura26, lo studioso sostiene che:
il termine «opera letteraria» ha un senso riassuntivo, in quanto sintetizza
due dimensioni fenomeniche distinte: da un lato il testo, quale è stato
concepito dall’autore, e dall’altro il libro, quale è fruito dai lettori. La
realizzazione dell’opera si concreta nell’unità necessaria fra i due stadi
successivi di un processo dinamico, che determina il passaggio
dall’ambito dei fatti privati a quello degli eventi pubblici. Fra il primo
stadio e il secondo, interviene la mediazione economico-organizzativa
degli apparati editoriali, indispensabile perché il manoscritto originario si
moltiplichi in un numero indefinito di volumi a stampa27”.
L’editoria potrà essere definita «il luogo principe in cui
l’extraestetico si mescola indissolubilmente all’estetico, proprio
per consentirgli di assumere presenza sociale e quindi esplicare
23
VITTORIO SPINAZZOLA, Il pubblico nella letteratura, cit., p. 20.
Ibidem.
25
VITTORIO SPINAZZOLA, Generi letterari e successo editoriale, in Id. (a cura
di), Pubblico 81, il Saggiatore, Milano, 1981.
26
VITTORIO SPINAZZOLA, Critica della lettura, Editori Riuniti, Roma, 1992.
27
Ivi, p. 95.
24
17
INTRODUZIONE
la sua funzione, manifestando il suo valore28». Quindi l’editore
mettendo un testo a contatto con i lettori lo fa vivere. Secondo
Spinazzola è «indispensabile una critica dell’editoria, come
parte integrante, non sostitutiva né subordinata, d’una critica
complessiva della letterarietà29». Considerato che ogni edizione,
oltre alla scrittura dell’autore, porta con se un surplus di senso,
riconducibile
anche
“interpretazione
ad
un
editoriale”:
elemento
il
fondamentale
paratesto.
di
Riprendendo
l’insegnamento di Donald F. McKenzie, constatiamo come le
informazioni che si traggono dalla lettura dei segni tipografici
sono altrettanto preziose di quelle date dalle stesse parole.
Sempre in seno agli studi sulla ricezione, Roger Chartier nel
suo L’ordine dei libri30 effettua una distinzione tra “pubblico” e
“comunità di lettori”; la prima categoria acquista una chiave
sociologica- economica, mentre la seconda sta ad indicare un
gruppo di individui accomunati non dall’atto dell’acquisto, ma
dalle modalità della ricezione, quindi dalla comune condizione
di lettura. Questa attenzione per la ricezione, partendo dal punto
di vista della comunità di lettori (a cui Chartier titola un intero
capitolo del suo libro), spinge a soffermarsi non solo sulle
scelte dello scrittore, ma dell’editore e di tutto il processo che fa
di un testo un libro. Questo passaggio si realizza attraverso il
paratesto, definizione data da Gérard Genette nel saggio
28
I VITTORIO SPINAZZOLA, Critica della lettura, cit., p. 108.
Ivi., p. 107.
30
ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, il Saggiatore, Milano, 1994. (I edizione:
L’ordre des livres. Lecteures, auteurs, bibliothèques en Europe entre XIV et XVIII
siècle, Editions ALINEA, Aix-en-Provence, 1992).
29
18
INTRODUZIONE
Soglie31, espressione che sta ad indicare tutti quegli elementi
scelti dall’editore, quali formato, copertina, prefazione ecc, che
permettono la costituzione del libro. Il paratesto dovrà essere
funzionale a quella comunità di lettori cui l’autore e l’editore
vorrebbero rivolgersi. Prendendo in esame il noto caso della
«Bibliothéque blue» - iniziativa editoriale francese dei secoli
XVII e XVIII per cui alcune opere classiche vennero adattate ad
un pubblico popolare e non colto attraverso di riduzione,
semplificazione dei testi e introduzioni di immagini e titoletti –
Chartier mette in luce come «le strutture stesse del libro sono
regolate dalla modalità di lettura che gli editori ritengono
propria della clientela cui mirano32». Alberto Cadioli nel
volumetto
La
ricezione33
sottolinea
l’importanza
delle
considerazioni di Chartier poiché consentono di «allargare
l’orizzonte della critica letteraria interessata alla ricezione,
introducendo nella riflessione la ‘storia editoriale’ del testo34».
Lo studioso francese, infatti, utilizza un approccio che associa
critica
testuale,
bibliography
e
storia
culturale.
Egli,
riprendendo le espressioni di Paul Ricoeur35, si interroga sulle
modalità di incontro tra «il mondo del testo» e «il mondo del
lettore», consapevole che i significati dei testi «dipendono dalle
forme attraverso cui sono recepiti e fatti propri dai lettori (o
ascoltatori): i quali non sono mai posti di fronte a testi astratti,
ideali, svincolati da ogni materialità; ma maneggiano o
31
GÉRARD GENETTE, Soglie. I dintorni del testo, Einaudi, Torino, 1989.
ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 27.
33
ALBERTO CADIOLI, La ricezione, Laterza, Roma-Bari, 1998.
34
Ibidem, p. 44.
35
PAUL RICOEUR, Tempo e racconto, vol. III, Il tempo raccontato, Milano, Jaca Book,
1988, pp. 241-278.
32
19
INTRODUZIONE
percepiscono oggetti e forme le cui strutture e modalità
regolano la lettura (o l’ascolto), e quindi la possibile
comprensione del testo letto (o ascoltato)36». Egli ribadisce che
«le forme producono senso, e che un testo, stabile nella sua
lettera, è investito di un significato e di uno statuto inediti
allorché
cambiano
i
dispositivi
che
lo
propongono
all’interpretazione37». Chartier, riprendendo quanto asserito da
Donald F. McKenzie in Bibliografia e sociologia dei testi38,
secondo cui «Nuovi lettori creano testi nuovi, i cui nuovi
significati dipendono direttamente dalle loro nuove forme»,
sottolinea l’importanza della forma, quindi del lavoro editoriale
che si manifesta in primis nella materialità che il testo assume:
«bisogna ricordare che non esiste testo a prescindere dal
supporto che permette di leggerlo (o ascoltarlo), e quindi che
non esiste comprensione di uno scritto, qualunque esso sia, che
non dipenda in parte dalle forme in cui raggiunge il suo
lettore39». Egli esprime la necessità di distinguere due insiemi
di dispositivi: quelli relativi all’autore e alle sue strategie, quelli
conseguenti le decisioni editoriali: «Gli autori non scrivono
libri: scrivono testi, che diventano oggetti scritti, manoscritti,
incisi, stampati (e oggi informatizzati). Questo divario, che è
appunto lo spazio in cui si costruisce il senso, è stato troppo
spesso dimenticato40». Sappiamo bene che chi opera in questo
spazio definito “divario” è l’editore, che adatta l’editore di un
36
ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 17.
Ibidem.
38
DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, Milano, Sylvestre
Bonnard, 1999.
39
ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 23.
40
Ivi, p. 24.
37
20
INTRODUZIONE
testo sulle modalità di lettura che ritiene proprie della clientela
cui mira.
Robert Darnton nell’opera Il bacio di Lamourette41, dove unisce
critica letteraria e studio della ricezione condotto dal punto di
vista della storia della letteratura, sostiene che «ogni testo ha
caratteristiche editoriali proprie che guidano la risposta al
lettore42», tanto che «la veste esteriore di un libro può essere
fondamentale per la ricezione del suo significato43», spiegando
che secondo alcuni bibliografi e storici del libro, i lettori
rispondono in maniera più diretta alla struttura esteriore dei testi
che all’ambiente sociale che li circonda. Egli, inoltre, ha
sottolineato che se la lettura è una pratica che mette in relazione
da un lato il lettore e dall’altro il testo, è sempre più evidente la
necessità di «affrontare il tema centrale dell’interconnessione
tra le due parti in causa, spiegando come il mutare dei lettori
abbia
determinato
mutamenti
nei
testi44».
E
questa
“interconnessione” chi altri è se non l’editore, che acquista
quindi un’importanza decisiva, tanto da essere indicato dallo
studioso come un “tema centrale” da affrontare.
41
ROBERT DARNTON, Il bacio di Lamourette, Milano, Adelphi, 1994.
Ivi, p. 148.
43
Ibiem.
44
Ivi, p. 152.
42
21
CAPITOLO I
SEMANTICA EDITORIALE
Teorie a confronto
1.1
DONALD F. MCKENZIE
1.1.1 Il libro come forma espressiva
Il bibliologo neozelandese Donald F. McKenzie ha avuto il
merito di generare sul finire degli anni ’60 una nuovo approccio
allo studio del libro che ne valorizzasse aspetti sino ad allora
ignorati, in primis la materialità intesa come portatrice di senso.
Nel lavoro di questo studioso, secondo il critico Renato Pasta, è
possibile individuare «le fondamenta teoriche e metodologiche
unitarie
della
storia
dell’editoria
nell’età
moderna
e
contemporanea, sinora, occorre dire, rimaste nel vago»45. Nei
suoi
lavori
McKenzie
ha
cominciato
a
prendere
in
considerazione, in quanto «determinanti dei significati46»,
quegli elementi visivi dei libri stessi che non erano mai stati
presi in considerazione in quanto portatori di senso, come il
ruolo delle convenzioni editoriali nello scegliere un formato e
uno stile tipografico in linea con l’argomento del libro, la
45
RENATO PASTA, Ciò che è passato è il prologo, in DONALD F. MCKENZIE,
Bibliografia e sociologia dei testi, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2001, p. 85. (I
edizione: Bibliography and the sociology of texts. The Panizzi Lectures, 1985, The
British Library, London, 1986)
46
DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p.12.
22
SEMANTICA EDITORIALE
disposizione del testo sulla pagina per esigenze di chiarezza, la
funzione della decorazioni e degli spazi bianchi, il nesso tra
formato, qualità della carta, genere letterario e il pubblico di
lettori. Lo studioso ha cominciato ad esporre il suo metodo di
analisi attraverso la pubblicazione della sua tesi di dottorato in
bibliografia svolta a Cambridge nel 1966, dal titolo The
Cambridge University Press, 1696-171247. Come spiega Robert
Darnton,
questa
pubblicazione
rappresentò
un’«eresia48»
all’interno del mondo accademico, dove in quel periodo la
bibliografia era stata messa in disparte a favore di tendenze di
ricerca più recenti, come il New Criticism degli anni ’40, il
decostruzionismo degli anni ’60 e il neostoricismo degli anni
’80, che hanno portato sempre di più a studiare i testi
sganciandoli dalla loro incarnazione nell’oggetto libro. Nella
sua analisi lo studioso introdusse il concetto di “produzione
concomitante” per descrivere il lavoro nelle tipografie del
tempo; questa definizione si andava ad opporre alla concezione
avuta sin ora dai bibliografi, secondo cui la costituzione di un
libro avveniva secondo un processo coerente e lineare.
McKenzie, invece, mise in luce come la composizione di un
libro avveniva in modo frammentario e irregolare, magari
interrotto dalla stampa di un altro tipo di documento, per poi
essere ripresa più tardi. Tale scoperta comportava uno
47
DONALD F. MCKENZIE, The Cambridge University Press, 1696-1712. A
Bibliographical Study, Cambridge, Cambridge University Press, 3 voll, 1966.
48
ROBERT DARNTON, Il futuro del libro, Milano, Adelphi, 2011, p. 166. (Titolo
originale: The case for Books. Past, Present, and Future, 2009).
23
SEMANTICA EDITORIALE
spostamento di asse dallo studio bibliografico dal singolo libro,
al complessivo lavoro in bottega. Come spiega lo stesso
McKenzie «per la prima volta gli studiosi hanno potuto disporre
di un modello dinamico dell’attività che portava alla
pubblicazione dei libri49». Questa attenzione alle dinamiche
interne alla tipografia ha portato a soffermarsi sul rapporto tra
l’autore e il tipografo o l’editore e a mettere in evidenza come
la forma finale con cui un testo si presenta al lettore è frutto di
un’intenzione dell’autore e dell’editore che volevano conferirgli
un senso ulteriore nel momento della realizzazione fisica
dell’oggetto libro. Egli parte da un interrogativo volto a dare
una profondità e una missione al lavoro del bibliografo,
chiedendosi se, oltre a risolvere alcune questioni relative
all’edizione critica di una determinata opera, tale disciplina
possa offrire un contributo ulteriore alla comprensione della
letteratura. In questo senso egli ridona un volto umano ad una
disciplina che in quegli anni si stava affievolendo: «Il libro non
è mai soltanto un oggetto degno di nota. Come accade per ogni
altro prodotto tecnologico, è il risultato del lavoro umano entro
contesti complessi e mutevoli, che uno studioso responsabile
deve cercare di recuperare, se vogliamo comprendere meglio la
creazione e la comunicazione del significato quale caratteristica
essenziale delle società umane50». Infatti secondo McKenzie è il
recupero della ricchezza dell’esperienza umana il fine
principale del lavoro di uno studioso.
49
50
DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 11.
Ivi, 12.
24
SEMANTICA EDITORIALE
In Bibliografia e sociologia dei testi lo studioso spiega
chiaramente che «se un medium produce in qualsiasi senso un
messaggio, allora la bibliografia non può escludere dalle sue
competenze la relazione tra la forma, la funzione e il significato
simbolico51».
Lo
studioso
vede
in
questa
disciplina
un’importanza del tutto nuova, anche in relazione alle altre
materie che si stavano sviluppando in quel tempo, a partire
dalle trasformazioni della teoria critica (ivi comprese la
semiotica, la linguistica, la psicologia della lettura e della
scrittura), della teoria dell’informazione e degli studi sulla
comunicazione, del valore dei testi e della loro trasmissione.
Nel ribadirne la rilevanza, questi ne dà una definizione nuova:
«la bibliografia è la disciplina che studia i testi come forme
registrate, e i processi della loro trasmissione, ivi comprese la
produzione e la ricezione52». Come spiega egli stesso la carica
innovativa di questa definizione va spiegata a partite dal
concetto di “testi” e da quello di “forme”. La parola testo,
infatti, ha un significato esteso, volto a comprendere tutte le
forme di testo, non esclusivamente i libri o i segni su carta.
L’attenzione alla forma fa sì che i bibliografi abbiano il compito
di mostrare che le forme determino il significato e permette di
descrivere non soltanto i processi tecnici, ma anche quelli
sociali della trasmissione. È in questo senso che secondo
l’autore sarebbe più utile definire la bibliografia come lo studio
della
51
52
“sociologia
dei
testi”.
A
sostegno
di
questa
DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 16.
Ivi, p. 18.
25
SEMANTICA EDITORIALE
denominazione lo studioso riprende in esame la parola”testo” e
per giustificare l’estensione del suo significato dal manoscritto,
alla stampa, sino a quello digitale, spiega che tale parola deriva
dal latino texere, cioè tessere; quindi questo termine non si
riferisce ad un tipo di materiale specifico, ma all’intreccio di
materiali, in questo senso si indica un processo di costruzione
materiale.
L’approccio
sociologico,
secondo
McKenzie,
permette di prendere in considerazione le motivazioni e le
interazioni umane che i testi implicano in ogni tappa della loro
produzione, trasmissione e fruizione. In questo senso una
«sociologia dei testi» si va a contrapporre a «una bibliografia
confinata all’inferenza logica dai segni stampati, intesi quali
caratteri arbitrari tracciati su pergamena o carta53». Inoltre egli
spiega come l’aver ignorato l’inevitabile dipendenza di questa
disciplina dalle strutture interpretative, ha oscurato il ruolo
degli agenti umani. Lo scopo dello studioso è di «dimostrare
che in alcuni casi dai segni tipografici, non meno che da quelli
verbali, si possono recuperare letture informative; che la veste
tipografica è un elemento di rilievo nel decidere come
riprodurre un testo, e che una lettura di tali segni bibliografici
può seriamente plasmare il nostro giudizio sull’opera di un
autore54». Le forme, quindi, determinano un senso. Secondo
quest’ottica il confine tra bibliografia, critica testuale, critica
letteraria e storia letteraria non esiste. Egli spiega come «nuovi
lettori creano naturalmente nuovi testi, e che i nuovi significati
53
DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 21.
54
Ivi, p. 23.
26
SEMANTICA EDITORIALE
sono una funzione delle nuove forme55». In risposta a quelle
discipline che avevano escluso l’intervento umano (che sia stato
l’autore, l’editore o il lettore), McKenzie presenta questo
approccio che può ««mostrare la presenza dell’uomo in ogni
testo registrato56».
1.2 ROGER CHARTIER
1.2.1 L’ordine dei libri
Roger Chartier57 è uno specialista di storia del libro e della
lettura che nei suoi studi cerca di connettere prospettive che
generalmente sono relegate ad ambiti e discipline fra loro
distinte, come la storia delle mentalità, la storia del libro, la
storia dei testi (non esclusivamente letterari). L’approccio dello
studioso risponde all’esigenza di ricostruire la globalità di un
discorso che negli anni stava diventando sempre più
specialistico e frammentario, e di reintrodurre nella cultura la
dimensione materiale ed economica che permette una
storicizzazione del nostro rapporto con i testi. Naturalmente
questo nuova prospettiva non può non tenere conto del ruolo e
delle funzioni editoriali nella costituzione del senso e della
materialità di ogni libro. Infatti lo studioso prende le distanze da
alcune tendenze della critica letteraria, soprattutto quelle
55
DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit., p. 34.
56
Ibidem.
57
Roger Chartier (Lione, 1945), è Directeur d’Etudes all’Ecole des Hautes Etudes en
Sciences Sociales.
27
SEMANTICA EDITORIALE
tradizionali
per
cui
il
significato
dell’opera
è
quasi
esclusivamente legato alle intenzioni dell’autore, poiché oggi si
prende consapevolezza del fatto che «l’autore è solamente uno
degli attori che propongono il senso, poiché nello stesso tempo
coesistono anche un senso proposto dal librario-editore, un
senso suggerito dalla forma materiale dell’oggetto, un senso
indicato dal critico (…) e, infine, un senso costruito dal
lettore58». Al contempo si allontana anche dalla critica letteraria
degli anni Sessanta e Settanta, come la critica strutturalista o gli
studi della semiotica, ove si pensava che la produzione di senso
dipendesse esclusivamente dal funzionamento linguistico del
testo. In questo senso, non domina più l’intenzione dell’autore o
del lettore, ma la lingua produce significato indipendentemente
da essi, grazie alla meccanica impersonale e automatica dei
segni che la compongono. Secondo Chartier la peculiarità della
Storia della lettura è quella di evidenziare l’importanza del
lettore al di fuori del testo, cioè - riprendendo le espressioni di
Paul Ricoeur59 - ci si interroga sulle modalità di incontro tra «il
mondo del testo» e «il mondo del lettore». Inoltre nel processo
di comprensione della costituzione di senso, occorre tener conto
dei tentativi di imposizione di senso, poiché, secondo lo
studioso, ogni società, pur con dispositivi diversi, cerca di
controllare la significazione. Nella raccolta di saggi L’ordine
dei libri60, Chartier sviluppa bene questo concetto: «L’autore, il
58
ROGER CHARTIER, Storie di libri, lettori e editori, in FABIO GAMBARO, Dalla
parte degli editori. Interviste sul lavoro editoriale, Milano, Unicopli, 2001, p. 199.
59
PAUL RICOEUR, Tempo e racconto, vol. III, Il tempo raccontato, Jaca Book,
Milano, 1988, pp. 241-278.
60
ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit.
28
SEMANTICA EDITORIALE
libraio-editore, il commentatore, il censore mirano a controllare
il più rigorosamente possibile la produzione del senso e a far sì
che il testo che hanno redatto, pubblicato, chiosato o autorizzato
sia compreso senza scarti possibili rispetto alla loro volontà
prescrittiva61»; a questo atteggiamento, però, il critico
contrappone la risposta del lettore: «la lettura è per definizione
ribelle e vagabonda. Infinite sono le astuzie cui i lettori
ricorrono per procurarsi i libri proibiti, leggere tra le righe,
sovvertire le lezioni imposte62». Questo punto di vista spiega il
titolo dell’opera, in cui l’espressione “ordine dei libri” sta ad
indicare due aspetti. In primis si sottolinea quanto appena
accennato in merito al fatto che «il libro mira sempre a
instaurare un ordine63» relativo alla significazione che però i
lettori hanno sempre il potere di aggirare o reinterpretare.
Secondo Chartier è proprio qui che si gioca il ruolo dello
storico della lettura: «Questa dialettica tra imposizione
appropriazione, tra restrizioni trasgredite e libertà imbrogliate,
non è identica ovunque, sempre e per tutti. Riconoscerne le
diverse modalità, le molteplici varietà, costituisce lo scopo
primo di un progetto di storia della lettura volto a cogliere nelle
loro differenze le comunità di lettori e la loro arte di leggere64».
In secondo luogo con l’espressione “l’ordine dei libri” si
intende porre l’accento sul fatto che i libri sono delle forme che
condizionano il senso dei testi di cui costituiscono il supporto e
61
ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p. 10.
Ibidem..
63
Ibidem.
64
Ibidem.
62
29
SEMANTICA EDITORIALE
gli usi che ne vengono fatti. Lo studioso mette in luce come in
questi
ultimi
anni
gli
storici
delle
pratiche
e
delle
differenziazioni culturali hanno preso consapevolezza del fatto
che le forme materiali sono produttrici di senso; infatti «Le
opere, i discorsi, esistono soltanto a partire dal momento in cui
diventano realtà fisiche, sono iscritti nelle pagine di un libro,
trasmessi da una voce».
Già a partire dal saggio Letture e lettori nella Francia di Antico
Regime65,
lo
studioso
dedica
un
intero
capitolo
alla
“Bibliothèque bleue”, famoso fenomeno editoriale per cui in
Francia nel XII secolo, gli editori di Troyes riadattarono una
serie numerosa di classici per poterli vendere ad un pubblico
popolare, quindi diverso da quello di partenza. Questo esempio
concretizza la tesi che Chartier svilupperà anche in studi
successivi, come Storia della lettura66, ove critica il classico
approccio utilizzato dagli studiosi di Storia del libro, i quali
postulano
implicitamente
corrispondano
che
necessariamente
«le
a
dicotomie
classificazioni
culturali
sociali
predeterminate67» e ci si basa su classificazioni aprioristiche.
Egli propone un rovesciamento della prospettiva di studio, cioè
di partire non più dalle classi o dai gruppi, ma dalla circolazione
degli oggetti e dalle identità delle pratiche di lettura. Egli parla
di “scarti culturali” di cui occorre prendere atto, come le
appartenenze di genere o di generazione, le adesioni religiose,
65
ROGER CHARTIER, Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, Einaudi,
Torino, 1988. (Titolo originale: Lectures et lecteurs dans la France d’Ancien Régime,
Éditions du Seuil, Paris, 1987).
66
GUGLIELMO CAVALLO e ROGER CHARTIER (a cura di), Storia della lettura,
Laterza, Roma-Bari, 1995.
67
Ivi, p. VIII.
30
SEMANTICA EDITORIALE
le solidarietà comunitarie, ecc. Il caso emblematico di questo
“scarto”, in particolare tra il testo in sé e la sua veste editoriale,
è proprio quello della Bibliothèque bleue che raccoglie opere di
diversi generi e periodi, ma sicuramente non create per una
circolazione popolare e a buon mercato e il cui lettore ideale è
di gran lunga diverso dall’acquirente pensato dagli editori di
Troyes. Questo cambio di lettore è frutto di una precisa politica
editoriale, che, data la varietà della produzione, non è certo
rintracciabile nella scelta di uno specifico soggetto, quanto
«nella scelta di una particolare struttura testuale68». Ecco che
nella struttura del corpus dei libri crea una coerenza e un’unità
altrimenti non ravvisabile a livello tematico- letterario: «Le
somiglianze formali nella struttura dei testi fanno sì che tutte le
pubblicazioni della Bibliothèque bleue, per quanto di genere
diverso, possano essere individuate come appartenenti a un
insieme unitario69». La forma rappresenta quindi il messaggio,
o meglio “l’impronta” dell’editore. Nel paragrafo L’impronta
degli editori, lo studioso dà una definizione di quello che può
essere l’antesignano di un odierno catalogo editoriale, o di una
collana: «Si creano così insiemi organici di testi, talora collegati
esplicitamente gli uni agli altri, che rielaborano gli stessi
motivi, riproposti, decontestualizzati o capovolti, e i cui
rapporti non si differenziano, in fondo, da quelli che si
instaurano tra le varie parti di un testo70». (Tale definizione che
associa vari testi di una raccolta ben compaginata a quella delle
68
ROGER CHARTIER, Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. 218.
Ivi, p. 219.
70
ROGER CHARTIER, L’impronta degli editori, in Letture e lettori nella Francia di
Antico Regime, cit., p. 219.
69
31
SEMANTICA EDITORIALE
varie parti di un testo è molto simile a quanto affermato da
Calasso nel momento in cui descrive la produzione di una casa
editrice ideale, dove «un libro sbagliato è come un capitolo
sbagliato in un romanzo71»). Gli interventi degli editori di
Troyes agiscono su tre piani: in primis sulla veste tipografica
dell’opera, che viene diluita e suddivisa in capitoli e paragrafi,
poi sulla riduzione del testo ed infine sulla semplificazione
linguistica delle singole frasi. Tali operazioni ci permettono di
immaginare la tipologia di lettori prevista dagli editori di
Troyes e anche di appurare quale fosse la competenza
linguistica e di lettura ad essi attribuita: «I titoli dei capitoli, i
frequenti a capo, propongono una nuova scansione del testo,
dalla quale traspare il tipo di lettura che gli editori ritengono
sarà quella del libro – una lettura faticosa e discontinua, che si
avvicina al testo per abbandonarlo subito dopo72». Sono due gli
intenti degli editori: semplificare e, se necessario, moralizzare
le opere. Queste operazioni creano quindi un nuovo pubblico il
cui rapporto con la pubblicazione blu è fondamentalmente
diversa da quella tra il lettore tradizionale e i suoi libri. Si può
quindi parlare di una Formula editoriale73 «caratterizzata da
una specifica impostazione sia nella forma dei suoi oggetti che
nell’organizzazione tipografica dei testi74». Lo studioso ritiene
impossibile analizzare questi libri senza soffermarsi sugli
71
ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, Milano, Adelphi, 2003, p.
21.
72
ROGER CHARTIER, L’impronta degli editori, in Letture e lettori nella Francia di
Antico Regime, cit., p. 219.
73
ROGER CHARTIER, Una formula editoriale, in Letture e lettori nella Francia di
Antico Regime, cit., p. 221.
74
Ivi, p. 222.
32
SEMANTICA EDITORIALE
aspetti più materiali della produzione, poiché è proprio la veste
tipografica, e non il testo, a rispondere alle esigenze e alle
aspettative del pubblico del tempo; infatti la qualifica di
«popolare» non è attribuibile alle opere in sé, che appartengono
alla letteratura dotta, ma piuttosto alla forma di queste
pubblicazioni, ideate per rispondere a due esigenze: un costo
basso e una lettura facile. È interessante specificare che del
repertorio blu non entrano a far parte esclusivamente opere
classiche, ma anche quelle del tempo, che passano all’edizione
economica non appena scaduti i privilegi della prima
pubblicazione; questo fa si che il pubblico non sia limitato solo
a quello delle campagne. Secondo Chartier ciò che caratterizza i
libri blu non è tanto il pubblico, che sfugge a una rigida
caratterizzazione sociale, quanto «la modalità di appropriazione
di cui sono oggetto: la lettura che essi prevedono o
suggeriscono è infatti, diversa da quella iscritta nelle edizioni
dotte75». Lo studioso ricorre al concetto di “appropriazione” per
«evitare l’identificazione dei diversi livelli culturali a partire
dalla semplice descrizione degli oggetti ad essi ritenuti
specifici76», come nel caso dei libri blu, i quali costituiscono un
patrimonio comune ai diversi gruppi sociali, anche se il loro
utilizzo non è lo stesso. Questo approccio di ricerca, basato
sugli usi e sulle appropriazioni dei libri e delle modalità di
lettura, si va a sostituire a quello di «una sociologia che
75
ROGER CHARTIER, Letture e lettori, in Letture e lettori nella Francia di Antico
Regime, cit., p. 229.
76
Ivi, p. XI.
33
SEMANTICA EDITORIALE
ingenuamente ha fatto della loro ineguale distribuzione il
criterio primo della gerarchia culturale77».
Nella raccolta In scena e in pagina. Editoria e teatro in Europa
tra XVI e XVIII secolo78 Chartier si pone l’obiettivo di spiegare,
partendo da testi e casi specifici, «un approccio alla letteratura
in cui si ha ben presente che la pubblicazione delle opere
implica sempre una pluralità di attori sociali, di luoghi e di
dispositivi, di tecniche e di gesti79». Infatti è nel momento della
produzione e della trasmissione di un testo che si costituiscono i
suoi significati: «redazione o dettatura da parte dell’autore,
trascrizioni manoscritte, decisioni editoriali, composizione
tipografica, correzione, stampa, rappresentazione teatrale,
letture. In questo senso le opere si possono intendere come
produzioni collettive e come il risultato di “trattative” con il
mondo sociale80». Questo libro riguarda la “sociologia dei
testi”, definita da D. F. McKenzie (a cui è dedicato): «la
disciplina che studia i testi come forme registrate, e i processi
della loro trasmissione, ivi comprese la produzione e la
ricezione81». Chartier, allontanandosi dalla tradizionale storia
della letteratura troppo arroccata sulla posizione dell’autore e
discostandosi dalla semiotica in quanto troppo incentrata sulla
funzione impersonale e automatica del linguaggio, raccoglie
l’invito di McKenzie di spostare l’attenzione sugli oggetti e
77
ROGER CHARTIER, Letture e lettori nella Francia di Antico Regime, cit., p. XI.
ROGER CHARTIER, In scena e in pagina. Editoria e teatro in Europa tra XVI e
XVIII secolo, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2001.
79
Ivi, p. 8.
80
Ibidem.
81
DONALD F. MCKENZIE, Bibliografia e sociologia dei testi, cit.,p. 18.
78
34
SEMANTICA EDITORIALE
sulle pratiche grazie alle quali le opere acquistano il loro
significato.
35
CAPITOLO II
L’EDITORE COME AUTORE
Teorie a confronto
2.1 ALBERTO CADIOLI
2.1.1 Dalla parte del critico
Il critico Alberto Cadioli attribuisce al lavoro editoriale una
vocazione autoriale che fa sì che l’editore possa essere
considerato un vero e proprio autore. Questi non contribuisce
esclusivamente alla creazione del libro in quanto oggetto, ma,
attraverso le operazioni di editing, va ad operare direttamente
sul testo dell’autore, intervenendo sia su componenti sintattiche
e semantiche, sia sui contenuti stessi. Ecco perché il critico
parla della necessità di mettere sviluppare un vero e proprio
campo di studi dedicato all’«ermeneutica editoriale», cosicché
nel momento dello studio di un’opera accanto all’analisi delle
varianti operate dall’autore su un testo si tenga conto delle
varianti apportate dall’editore. Questo atteggiamento svela un
tipo di lavoro editoriale, molto vicino a quello letterario, sinora
poco analizzato e di cui gran parte dei lettori sono ancora poco
consapevoli. Questa conoscenza, però, può essere rivelata solo
da un tipo di studio sul testo che segua l’approccio indicato dal
critico. L’intervento editoriale più esibito e con cui il lettore è
36
L’EDITORE COME AUTORE
oramai avvezzo a rapportarsi in modo critico, è quello relativo
alla creazione del paratesto, che è a sua volta un testo che si va
a creare intorno a quello già esistente creato dall’autore.
Nell’analizzare questo aspetto più manifesto del lavoro di un
editore, Cadioli introduce le espressioni di «editore iperlettore»
ed «intentio editionis» che esplicano quanto dietro ogni scelta
di un editore ci sia un modello ideale di letteratura e un
altrettanto ideale gruppo di lettori di cui lui si fa il primo
portavoce. In questa ottica è facile capire quanto il lavoro di un
editore possa influire seriamente sulla cultura del proprio
tempo. Ecco che Cadioli esplica la necessità di un campo di
studi dedicato proprio alla «cultura editoriale», ove si indaghi il
contributo dato dai singoli editori a costituire il canone
letterario e culturale del periodo in cui ha agito. In questo
ambito si inserisce anche la riflessione sul lavoro degli
intellettuali all’interno delle case editrici e sulla stretta relazione
tra questi e la comunità di lettori di riferimento, il cui graduale
venir meno sta portando anche alla perdita di rilevanza del
ruolo del “letterato editore”.
2.1.2 Per un’«ermeneutica editoriale»
Alberto Cadioli82 teorizza la necessità di effettuare uno studio
dell’editoria con un taglio diverso da quello storiografico,
82
Il critico Alberto Cadioli, attualmente ordinario di Letteratura italiana contemporanea
presso l’Università degli Studi di Milano, nella sua carriera si è dedicato con continuità
allo studio della trasmissione del testo letterario in età moderna e contemporanea,
soffermandosi sia sulla cultura editoriale, sia sulla filologia italiana, in particolare dei
testi a stampa e lo studio delle loro edizioni.
37
L’EDITORE COME AUTORE
economico o sociologico utilizzato sin ora dagli esperti della
tematica, invitando ad affrontare la materia da un altro punto di
vista, che valorizza il lato più letterario del lavoro editoriale,
partendo dal presupposto che il lavoro d’interpretazione del
testo pubblicato deve tenere conto anche delle operazioni
effettuate all’interno della casa editrice: «Forse non sarebbe
nemmeno troppo una forzatura sostenere che, nella lavorazione
redazionale, si attua una sorta di “ermeneutica editoriale” del
testo letterario»83. Ecco che il lavoro editoriale viene investito
di un’importanza che sin ora non aveva mai avuto, esprimendo
l’esigenza di uno studio filologico che tenga conto del sistema
linguistico specifico di un editore che a sua volta si scambia e
confronta con il sistema linguistico dell’autore, dando come
risultato finale il prodotto libro:
Un ulteriore punto di vista, con il quale interrogarsi sul lavoro compiuto,
in casa editrice, direttamente sul testo che viene spesso o corretto o
modificato e comunque reso omogeneo nei suoi caratteri in un continuo
scambio tra il sistema letterario, linguistico, stilistico, eccetera,
dell’editore, della sua redazione, dei suoi letterati editori (dei suoi «editori
iperlettori» in senso generale). Questo punto di vista, che partecipa di
quello della filologia dei testi novecenteschi è ancora scarsamente
adottato, ma è di indubbia importanza…84
83
ALBERTO CADIOLI, Letterati editori, Milano, il Saggiatore, 2003. (I° ed. Milano,
il Saggiatore, 1995), p. IV.
84
Ivi, p. V.
38
L’EDITORE COME AUTORE
Addirittura si aprirebbe un filone dedicato alla variantistica85
editoriale, in cui acquista rilievo non più l’operazione di
varianti attuata dall’autore sul suo manoscritto per ragioni di
poetica o altro, ma per volontà di un redattore o di un editor.
L’editore tedesco Siegfried Unseld nel libro L’autore e il suo
editore86, nel capitolo I compiti dell’editore letterario, sostiene
che l’editore è il primo collaboratore dello scrittore. Ecco
perché secondo Cadioli potrebbe essere utile aprire un capitolo
nuovo della ricerca filologica dedicato alle “varanti d’editore”,
basato cioè sullo studio del paratesto che, citando Philippe
Lejeune, è una «frangia del testo stampato, che, in realtà, guida
tutta la lettura»87”:
Lo studio degli interventi redazionali attuati in sede redazionale – che
sono un carattere precipuo di tutta l’editoria novecentesca, soprattutto per
quanto riguarda la narrativa – aprirebbe una serie di puntualizzazioni
filologiche non trascurabili, con registrazioni di varianti che non
appartengono all’autore e alla sua volontà, ma a quella di un redattore,
quando addirittura non si tratta di errori di stampa stabilizzati a lezioni del
testo88.
Ed è proprio nella piena materialità di un testo che si manifesta
l’interpretazione dell’editore ed è proprio per questo che,
secondo Cadioli, il paratesto va interpretato più da un punto di
vista ermeneutico che sociologico.
85
Si consulti ALBERTO CADIOLI, La materialità nello studio dei testi a stampa, in
«Moderna», 2, 2008, pp. 21-39.
86
SIEGFRIED UNSELD, L’autore e il suo editore. Le vicende editoriali di Hesse, Brecht,
Rilke e Walser, Adelphi-Edizioni Valonega, Milano-Verona, 1988.
87
PHILIPPE LEJEUNE, Il patto autobiografico, Bologna, Il Mulino, 1986.
88
Ivi, p. V.
39
L’EDITORE COME AUTORE
Nell’articolo
Le
diverse
carte.
Osservazioni
sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età
contemporanea
89
il critico sviluppa questo concetto a partire
dalle considerazioni in merito che il noto studioso Gianfranco
Contini ha svolto nella voce “Filologia”, ora raccolta in
Breviario di Ecdotica90 nel quale spiegava che «ogni edizione è
interpretativa91» sottolineando l’importanza della componente
editoriale
nel
lavoro
d’interpretazione
di
un’opera.
Introducendo le espressioni «Il testo nel tempo92» e «L’edizione
nel tempo93», spiegava che «l’edizione è pure nel tempo,
aprendosi nel pragma e facendo sottostare le sue decisioni a una
teleologia variabile94». Alla luce di queste considerazioni egli
sottolineava che «la mira di una ricerca ecdotica non è sempre
di necessità la ricostruzione di un testo primitivo, ma quella di
momenti della “fortuna” testuale95»; Dada qui la necessità di
«salvaguardare (…) il materiale che faccia conoscere la
fisionomia del testo in ogni frazione della sua storia
culturale96». Cadioli sviluppa le considerazioni effettuate da
Contini in riferimento al lavoro sul testo da parte di correttori o
curatori in vista della stampa, estendendole a qualsiasi tipo di
89
ALBERTO CADIOLI, Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e
la trasmissione del testo in età contemporanea, «Bollettino di italianistica. Rivista di
critica, storia letteraria, filologia e linguistica», III, 1, Roma, Carocci, 2006.
90
GIANFRANCO CONTINI, Filologia, in Id., Breviario di ecdotica, Torino, Einaudi,
1990. (I° ed. Ricciardi, Milano-Napoli 1986).
91
Ivi, p. 14.
92
Ivi, p. 9.
93
Ivi, p. 14.
94
Ibidem.
95
Ivi, pp. 45-46.
96
GIANFRANCO CONTINI, Filologia, cit. p. 46.
40
L’EDITORE COME AUTORE
pubblicazione anche di una casa editrice moderna senza un
esplicito intervento di un editore. Infatti, anche se non è
presente un curatore, la funzione dell’editore-filologo viene
esercitata dal redattore nel momento stesso in cui verifica la
coerenza sia dei contenuti che della lingua in relazione al
modello stabilito dall’editore, corregge gli eventuali errori e
uniforma i caratteri grafici e tipografici. L’insieme di tali
interventi sul testo fa si che si crei una forma unitaria a cui è
possibile ricondurre tutti i testi pubblicati da un medesimo
editore. Questo avviene grazie alle “norme redazionali”: regole
pratiche fissate da un editore che stabiliscono il carattere, non
solo a livello grafico o tipografico, di un’opera. Infatti l’editore
compie queste scelte sulla base di un modello ideale al quale
concorre e che si rifà ad un modello letterario che ha in mente.
Ed è proprio questa la peculiarità dell’editore: concepire il libro
come supporto ove stabilizzare il testo secondo un modello
ideale. L’esempio emblematico di questo atteggiamento è
ravvisabile nella collezione degli “Scrittori d’Italia” ideata da
Benedetto Croce allo scopo di ridefinire un canone della
letteratura italiana nei primi anni del XX secolo. Proprio sulla
volontà di Croce di fare uscire i volumi corretti e uniformi si
fonda, secondo Cadioli, la prima “redazione editoriale”, anche
se con un solo responsabile) allestita consapevolmente al fine di
dare a tutti i testi la stessa impronta. Partendo da questo
presupposto e considerando che in tutta l’editoria ottonovecentesca gli interventi sui testi sono stati una prassi
costante, Cadioli ne ipotizza una possibile analisi per
41
L’EDITORE COME AUTORE
l’approfondimento
della
storia
della
cultura
editoriale
considerata come studio della trasmissione dei testi letterari:
Una storia delle norme redazionali otto-novecentesche e degli interventi
ad esse ispirati potrebbe dire molto sull’evoluzione della grafia della
lingua italiana, sull’uso della punteggiatura, addirittura sulle modifiche
dell’idea stessa di scrittura, confermando la necessità di estendere ai secoli
moderni gli studi sulla correzione delle bozze condotte per i secoli
passati97.
Il redattore impone al testo la propria fisionomia di lettore,
tanto che, secondo Cadioli, non bisogna trascurare anche
nell’ediizone dei testi contemporanei, quello che Segre
chiamava «diasistema»:
Un testo è una struttura linguistica che realizza un sistema. Ogni copista
ha un proprio sistema linguistico, che viene a contatto con quello del testo
nel corso della trascrizione. Se più scrupoloso, il copista cercherà di
lasciare intatto il sistema del testo; ma è impossibile che il sistema del
copista non s’imponga per qualche aspetto98.
Cadioli, riportando questo discorso all’età contemporanea,
sostiene che all’”ultima volontà dell’autore” spesso si
sostituisce l’”ultima volontà del redattore” della casa editrice, o
del direttore letterario o di collana o comunque di chi concorre
97
ALBERTO CADIOLI, Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e
la trasmissione del testo in età contemporanea, cit., p. 151.
98
CESARE SEGRE, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985, p.
376.
42
L’EDITORE COME AUTORE
alla pubblicazione. Di fronte alla situazione di un testo da
predisporre alla stampa, egli tratteggia due possibili tipologie di
redattore (estremi di una catena fatta da atteggiamenti
intermedi), cioè il “filologo” e il “redattore come autore99”:
entrambi imprimono la loro orma sul testo, il primo un’orma ben nascosta
(ma recuperabile con un’attenta analisi), il secondo un’orma pesante, di
fronte alla quale è altrettanto (e forse ancora più) utile l’esame critico. Il
redattore che si pone come filologo ha il culto del testo (che vuole portare
alla migliore perfezione con il contributo dello stesso scrittore, se
possibile), il redattore che si pone come riscrittore coltiva un proprio forte
modello (in genere è a sua volta uno scrittore), e un’idea di letteratura e d
di lettura da diffondere100.
Come esempio di “redattore come autore”, Cadioli cita il caso
di Bassani e di Vittorini, quando interviene sui testi per
ricondurli alla propria idea di narrativa101.
99
Cadioli specifica che l’espressione si rifà al titolo del volumetto di LUCIANO
CANFORA, Il copista come autore (Palermo, Sellerio, 2002) e spiega che il concetto del
copista che interpreta un testo è attualmente molto diffusa.
100
ALBERTO CADIOLI, Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale
e la trasmissione del testo in età contemporanea, cit., p. 155.
101
È possibile riscontrare una certa analogia tra questa considerazione di Cadioli sul lavoro
redazionale e quanto teorizzato in merito da Gian Carlo Ferretti in Storia dell’editoria
letteraria in Italia. 1945-2003 (Torino, Einaudi, 2004). Egli, parlando del lavoro
redazionale compiuto dagli intellettuali nelle case editrici, ha individuato due modelli di
intellettuale editore, riconducibili ai due modelli di editore protagonista a cui facevano
riferimento. Il primo è quello di Vittorio Sereni per Mondadori: «porta un contributo di alta
professionalità, intelligenza e cultura dentro la geniale ma ferrea strategia arnoldiana, che
non gli chiede e non gli consente di andare oltre una certa soglia di partecipazione e di
iniziativa» (p. 42), il secondo è rappresentato da Cesare Pavese, Elio Vittorini e Italo
Calvino per Einaudi e Giacomo De Benedetti per Casa Saggiatore: «diventano parte
integrante e al tempo stesso autonoma di case editrici che chiedono e consentono loro un
coinvolgimento pieno nella direzione della ricerca, scoperta, sperimentazione, un
contributo diretto alla costruzione di una politica editoriale, di un catalogo, di una
immagine». (p. 42).
43
L’EDITORE COME AUTORE
Cadioli specifica che il processo di interpretazione di un testo
non deve essere compiuto mai astrattamente, ma occorre
situarlo nell’ambito di una comunità letteraria e dei suoi codici,
linguistici e culturali. A tal riguardo Cadioli parla di «figure
retoriche editoriali102», poiché «come nessuna figura retorica
può essere sottratta al contesto sociale nel quale nasce, così gli
elementi paratestuali (…) non hanno senso se sono isolati dai
lettori reali cui si rivolge l’editore103». È nella presentazione
materiale del libro che si manifesta questa «retorica
editoriale104», comune all’editore e al proprio lettore e fondata
sulla riconoscibilità, a partire dal paratesto: titolo, collana,
copertina, risvolto, nota dell’editore, caratteri, carta, ecc. È
proprio attraverso il paratesto che l’editore può instaurare una
comunicazione con il proprio lettore e senza questa retorica
comune i lettori non capirebbero i riferimenti loro destinati.
Nel libro Testi, forme e usi del libro. Teorie e pratiche di
cultura editoriale105, Cadioli sviluppa questi concetti. In
particolare, prendendo spunto da quanto detto da Chartier in
Inscrivere e cancellare, egli sviluppa tre aspetti meritevoli di
approfondimento rapportandoli alla letteratura italiana in cerca
di conferme. Egli pone l’accento su tre necessità che espone ai
filologi italiani:
102
ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, Bellinzona, Casagrande, 2000,
p.54.
103
Ibidem.
104
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 23.
105
LUDOVICA BRAIDA, ALBERTO CADIOLI, Testi, forme e usi del libro. Teorie e
pratiche di cultura editoriale, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2007.
44
L’EDITORE COME AUTORE
arrivare a una definizione del testo secondo la volontà dell’autore,
conoscere le modalità della trasmissione del testo (e quindi studiare i
caratteri testuali e i caratteri materiali delle diverse edizioni), portare alla
luce, infine, le letture di singoli lettori, quando possibile, utilizzando, per
esempio, le annotazioni prese durante la lettura (le “postille”, tanto più
importanti se il lettore che le ha appuntate è a sua volta uno scrittore)106.
Secondo Cadioli gli studi filologici sin ora hanno posto
l’accento singolarmente su l’uno o sull’altro di questi aspetti,
ma, almeno come orizzonte teorico, lo studioso propone
l’obiettivo di raggiungere la conoscenza di un testo e della sua
storia attraverso lo studio di tutti e tre i tipi di ricerca nel loro
insieme. Attraverso questo tipo di analisi è possibile «inserire il
testo dentro una storia, sottraendolo a una visione astratta,
collocandolo su un livello di conoscenza che – non c’è bisogno
di insistervi troppo – può essere sempre spostato più in alto da
nuove ricerche107».
Un’applicazione di questa teoria si può riscontrare nel volume
Prassi ecdotiche. Esperienze editoriali su testi manoscritti e
testi a stampa108 a cura di Alberto Cadioli e Paolo Chiesa, ove
l’oggetto della ricerca è dato dall’attenzione al testo e ai
problemi che comporta una loro edizione “scientifica”.
106
ALBERTO CADIOLI, Tre sollecitazioni da “Inscrivere e cancellare”, in Testi,
forme e usi del libro. Teorie e pratiche di cultura editoriale, cit., pp. 56-57.
107
Ivi, p. 57.
108
ALBERTO CADIOLI e PAOLO CHIESA, Prassi ecdotiche. Esperienze editoriali
su testi manoscritti e testi a stampa, in «Quaderni di Acme», Milano, 7 giugno e 31
ottobre 2007, Bologna, Cisalpino Editore, 2007.
45
L’EDITORE COME AUTORE
2.1.3 «Editore iperlettore» ed «intentio editionis»
L’editore (…) può essere definito come colui che trasforma il testo di uno
scrittore (del presente e del passato, alla prima edizione o riproposto dopo
innumerevoli altre volte) in un’entità materiale da esibire pubblicamente:
si potrebbe dunque definire l’editore come colui che dà una forma al testo,
trasformandolo in libro, dopo averlo selezionato per la pubblicazione. Da
un altro punto di vista si potrebbe dire che l’editore è colui che suggerisce,
in un determinato momento, cosa leggere e come leggere109.
Non a caso Alfieri sosteneva che «chi lascia dei manoscritti non
lascia mai dei libri110», infatti ogni scelta editoriale è
espressione di un’interpretazione del testo. Resta facile
comprendere quanto affermato da Roger Chartier: «il passaggio
da una forma d’edizione a un’altra condiziona sia certe
trasformazioni del testo sia la creazione di un nuovo
pubblico111». Mentre la prima accezione privilegia la forma,
quindi l’aspetto materiale del libro, la seconda pone l’accento
sul lettore potenziale. L’editore non è più visto come un
semplice mediatore tra uno scrittore e un lettore, ma è colui che
con il suo operato, può polarizzare sulla produzione libraria,
tendenze e richieste culturali anche di qualità, raccogliendole in
un sistema più complesso. In una editoria strutturalmente
avanzata non esiste un’editoria che possa prescindere da una
comunità di riferimento, anche nel caso ti tenti di sperimentare
forme nuove per costituire nuove comunità. Lo studioso spiega
109
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 6.
110
VITTORIO ALFIERI, Opere, t. I, Milano-Napoli, Ricciardi, 1977, p. 269.
111
ROGER CHARTIER, L’ordine dei libri, cit., p.26.
46
L’EDITORE COME AUTORE
che: «Prima ancora di essere mediazione tra scrittore e lettori,
dunque, l’editore definisce in modo “pubblico” lo spazio di una
comunità, allargandone i confini, stabilizzando i generi da essa
privilegiati, perseguendo, con comunità ristrette, generi nuovi o
un rinnovamento (a volte radicale) di quelli già noti112».
Secondo Cadioli l’editore può, anzi deve essere un protagonista
e deve essere colui che permette il passaggio dal “testo di uno
scrittore” al “libro di un lettore” , cioè di «un lettore potenziale
che deve inverarsi in un lettore reale113». L’espressione coniata
da Cadioli per indicare questo ruolo è quella di “editore
iperlettore” (dal greco upèr, “a nome di”) cioè di editore che
parla a nome del lettore114; quindi questi contribuisce a definire
l’orizzonte dentro il quale si colloca, in un determinato
momento storico e culturale, la lettura e l’interpretazione di un
testo115».
Preso atto che il lavoro editoriale tiene sempre conto di una
comunità di lettori di riferimento, va escluso il concetto di
neutralità dell’edizione, ma anzi secondo Cadioli si dovrebbe
paralare di intentio editionis, intesa come «l’intenzione
interpretativa dell’editore affidata ai caratteri dell’edizione116»,
espressione da affiancare a quella di intentio auctoris
112
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 12.
113
Ivi, p. 13.
114
L’editore non va inteso necessariamente come il titolare dell’azienda, ma come una
figura collettiva, che spazia dal comitato editoriale ai direttori di collana.
115
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 14. Cadioli porta l’esempio di Raffaele Mattioli, editore della
casa editrice Ricciardi, che scrivendo ad Einaudi, si definisce: «lettore o portavoce di
una cerchia più o meno larga di lettori». (La lettera è citata in LUISA MANGONI,
Pensare i libri, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 97).
116
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 24.
47
L’EDITORE COME AUTORE
(riconducibile all’intenzione frutto della volontà dell’autore),
intentio
lectoris
(intesa
come
l’intenzione
sviluppabile
personalmente dal singolo lettore durante la lettura) e intentio
operis (considerata come l’interpretazione che ogni opera porta
con sé, autonomamente dall’autore)117. Quindi può accadere che
un editore, nel pubblicare un testo, possa addirittura prevedere
un pubblico diverso o non previsto dallo scrittore stesso.
Cadioli riporta come esempio emblematico quello che Vittorini
scrive nella nota editoriale del volume Musulmani in Sicilia (di
Amari, Bompiani, 1942118) da lui sesso curato, affermando
esplicitamente di rivolgersi ad un pubblico che l’Amari non
aveva previsto. Logico che la scelta di un nuovo pubblico
comporta che il testo stesso subisca una variazione anche a
livello strutturale. Quindi in questo caso viene sottolineata
l’importanza dell’intentio lectoris ed editoris, magari anche a
discapito della intentio autoris119. Lo stesso editore può creare
una comunità di lettori, come nel noto caso della «Bibliothèque
117
In un’altra sede il critico, anche se solo in nota, introduce un ulteriore concetto, quello
di intentio machinae: «ci si potrebbe chiedere, un po’ paradossalmente, non sarà da tener
presente, per le varianti di testi di fine Novecento, anche un intentio machinae che si
esprime attraverso la correzione automatica, da aggiungere alle varie intentiones
dell’autore, dell’opera, del lettore?» (Le diverse carte. Osservazioni sull’intermediazione
editoriale e la trasmissione del testo in età contemporanea, cit., p. 144, nota 4). Cadioli,
nonostante esprima questo concetto in nota, quasi prendendone le distanze, anche nella
pagina, accenna all’importanza dei refusi derivati dalla trasformazione dell’opera
originaria in libro pubblicato: «È evidente che non è possibile invocare, dopo la critica
delle varianti d’autore, la critica dei refusi d’editore, e tuttavia non c’è dubbio che anche
l’errore di stampa (…) indica la necessità, per lo studioso di letteratura contemporanea
attento alla critica del testo, di non trascurare un esame delle edizioni e un
approfondimento del lavoro editoriale, nel senso proprio del processo di produzione del
libro stampato» (Ivi, pp. 144-145).
118
MICHELE AMARI, I Musulmani in Sicilia, A cura di E. Vittorini, Milano, Bompiani,
1942
119
Si consulti PAOLA ITALIA, L’ultima volontà del curatore: alcune riflessioni
sull’edizione di testi del Novecento, in «Per leggere», 9, 2005, pp. 169-198.
48
L’EDITORE COME AUTORE
bleue»:
collezione
di
libri
risalente
al
sei-settecento,
caratterizzata da una semplificazione e riduzione di testi al fine
di raggiungere una vasta clientela, o delle semplificazioni che
intorno agli anni venti i redattori editoriali italiani operavano
nei romanzi polizieschi stranieri, perché convinti che la
narrativa di questo tipo non dovesse avere pretese letterarie.
Esponendo questi casi di intervento editoriale sul testo e a priori
e tanto incisivo, Cadioli sostiene che si può parlare di «libri
d’editore»120, concetto che si contrappone a quello di «libri
d’autore»; a questo discorso si collega automaticamente quello
già esposto di intentio editionis. Va sottolineato che la lettura
dell’editore, rispetto a quella di tutti gli altri lettori, ha un valore
paradigmatico, in quanto, grazie al suo ruolo, può manifestare
le proprie scelte e opinioni, anche solo accentuando o
diminuendo le motivazioni ideologiche insite nel testo, anche
solo attraverso correzioni stilistiche o strutturali. Non a caso
Calvino in una lettera “editoriale” scriveva: «…sono uno che
lavora (oltre che hai propri libri) a fare sì che la cultura del suo
tempo abbia un volto piuttosto che un altro121».
In linea con la definizione di intentio editionis, Cadioli parla di
“patto editoriale” visto come modo con cui «l’editore orienta
l’atto della lettura, richiamando l’attenzione del lettore sulle
120
Come spiega lo stesso Cadioli, l’espressione «libro d’editore» viene utilizzato anche
da Margherita di Fazio, riferendosi ai libri di largo consumo, in cui la comunità dei
lettori non è certo letteraria, ma un segmento di mercato in attesa di alcuni prodotti
standardizzati e dove la figura dell’autore spesso viene eliminata e assunta dal gruppo
editoriale. (MARGHERITA DI FAZIO, Il titolo e la funzione paraletteraria, Nuova
Eri, Torino, 1984, p. 31).
121
ITALO CALVINO, lettera del 22 aprile 1964 a Antonella Santacroce, in ITALO
CALVINO, I libri degli altri, a cura di Giovanni Tesio, Einaudi, Torino, 1991, p. 465.
49
L’EDITORE COME AUTORE
scelte dell’edizione e dei suoi caratteri, dando un suggerimento
per l’uso del libro e la lettura del testo122». Lo studioso ricava
questa espressione a partire da quella di “patto narrativo”,
espressione che sta ad indicare quegli interventi inseriti dal
narratore nel racconto per coinvolgere il lettore nella finzione
letteraria: «sulla soglia del racconto, il narratore porge le
istruzioni per l’uso, rende esplicito il codice normalizzatore,
delinea la fisionomia del lettore-elettivo, ne orienta l’attenzione
fruitiva, si confronta con i modelli e i canoni della tradizione,
chiarisce i suoi intenti123». La differenza tra i due tipi di patto,
spiega Cadioli, risiede nel fatto che mentre il “patto narrativo” è
inserito all’interno delle strategie testuali attuate dall’autore, il
“patto editoriale” proviene dall’esterno del testo. Inoltre, anche
graficamente, mentre nel passato l’editore si serviva di
prologhi, prefazioni, “avvisi al lettore” o della più moderna
“nota dell’editore”, nel novecento attraverso i risvolti e le
quarte di copertina, questo tipo di comunicazione dell’editore si
è trasferito dall’interno all’esterno del libro.
In questo contesto è interessante inserire, proprio per analogia
al discorso di Cadioli (a cui poi si fa riferimento) quanto detto
da Mariano D’ambrosio in Editoria e pubblicità: le copertine124
ove si effettua un collegamento tra la teoria della narrazione e il
paratesto di un editore, in particolare nella copertina:
122
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 158.
123
GIOVANNA ROSA, Patto narrativo e civiltà del romanzo, in «Allegoria», 34-35,
2000.
124
MARIANO D’AMBROSIO, Editoria e pubblicità: le copertine, «Allegoria», XX, 57,
2008.
50
L’EDITORE COME AUTORE
È interessante notare come siano iscritti nel paratesto librario tutti i
momenti dello schema tipico della teoria della narrazione: esso infatti si fa
carico della manipolazione, esercitando una funzione fàtica nei confronti
del destinatario; della competenza, essendo investito da una valorizzazione
che lo propone come lo strumento a cui congiungersi; della performance,
poiché il compito previsto dal contratto narrativo è proprio l’acquisto del
libro stesso; e infine, persino dalla sanzione, poiché continua ad assicurare
il compratore sulla validità dell’acquisto fatto, sia con lo stesso paratesto
esterno, sia con quello interno, attraverso gli apparati di introduzione e
commento125.
Secondo lo studioso lo schema proposto, utilizzato dalle
narrazioni pubblicitarie, è riconducibile ad ogni copertina,
poiché il libro ha la capacità, proprio grazie ad essa, di autopubblicizzarsi. Anzi, egli invita a riflettere sulla vicinanza
semantica
dei
termini
“pubblicare”
e
“pubblicizzare”.
D’Ambrosio continua il parallelo con la teoria letteraria,
rifacendosi al “Lettore modello”, che a suo avviso è
assimilabile a quella di “Acquirente modello”, parente del
“lettore elettivo” teorizzato da Cadioli:
Vi è innanzitutto la definizione del target, del Destinatario Modello a cui
proporre l’acquisto, che deve essere necessariamente inscritto nel
paratesto dall’editore, così come è inscritto nel testo dell’autore: accanto
alla categoria già accolta nella teoria letteraria di Lettore Modello, deve
essere introdotta quella di Acquirente Modello, configurato dal paratesto,
che è poi l’acquirente potenziale che condivide il codice usato dal
messaggio paratestuale e che accetta o si identifica nei valori da esso
125
MARIANO D’AMBROSIO, Editoria e pubblicità: le copertine, cit., p. 140.
51
L’EDITORE COME AUTORE
veicolati, e che, dunque, offre le maggiori possibilità di accettazione del
contratto narrativo, ossia l’acquisto del libro126.
È bene notare che l’interpretazione dell’editore cambia di volta
in volta a seconda delle edizioni, anche del medesimo testo.
Studiare questo cambiamento nel corso degli anni mette in luce
l’intentio editionis insita in ogni opera pubblicata; tanto più alto
è lo scarto tra l’ultima pubblicazione e la precedente, tanto più
si manifesta l’intenzione dell’editore, allontanandosi da quella
che aveva mosso l’autore (intentio autoris). Cadioli specifica
che la comunicazione dell’editore che si realizza nell’atto di
pubblicazione è volta ai lettori di quel determinato tempo
storico: «L’intento editionis è legata alle convinzioni letterarie
dell’editore, alle convenzioni letterarie del suo tempo, al
contesto storico-culturale, ai dibattiti in corso e via dicendo127».
Va specificato che non sempre sono gli editori a scrivere la
“nota dell’editore”, ma anzi il compito è affidato ai curatori dei
volumi o ai redattori o letterati che collaborano con la casa
editrice, mentre il caso degli editori che la scrivono da soli è
limitato a quelli che posseggono un buon bagaglio culturale.
Fatta questa premessa lo studioso individua tre elementi
ricorrenti
nello
scritto
dell’editore
rivolto
al
lettore:
l’individuazione del lettore a cui si rivolge, l’esposizione dei
principi ispiratori dell’edizione e le indicazioni sulle modalità di
lettura. Questi tre elementi non sono sempre presenti
126
MARIANO D’AMBROSIO, Editoria e pubblicità: le copertine, cit., p. 141.
127
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 158.
52
L’EDITORE COME AUTORE
contemporaneamente
o
con
la
stessa
intensità
eppure
richiamano tutti l’idea dell’editore che parla a nome di una
comunità (iperlettore). Cadioli individua nel riconoscimento di
questi tre elementi un possibile studio sul rapporto tra editore e
lettore. Parlando delle quarte di copertina, il critico scrive:
«Ogni “quarta” ci può dunque dire come, in un certo tempo o in
un certo ambiente, si sia letto un testo e come sia stato
considerato il suo autore; e a quali lettori si siano rivolti gli
editori e quali suggerimenti di lettura abbiano dato128».
Naturalmente queste considerazioni sono riconducibili a quei
risvolti scritti non in “modo editoriale”, cioè privi di
annotazioni critiche, ma “personalizzati” dalla visione critica
del direttore di collana. Ed è proprio questa personalizzazione
che ha caratterizzato le quarte di copertina ed i risvolti scritti da
tanti letterati che ne hanno fatto un genere particolare di
scrittura critica. Ad esempio per Vittorini ogni risvolto era la
tappa di un discorso critico militante che si sviluppava di
volume in volume. Secondo Cadioli ogni risvolto è un
“assaggio” del testo che si rivolge principalmente ai lettori più
fedeli rispetto agli occasionali e che rappresentano il modo con
cui lo scrittore vorrebbe che i propri libri fossero letti.
128
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 177.
53
L’EDITORE COME AUTORE
2.1.4 Per una «cultura editoriale»
Nel testo Le forme del libro. Schede di cultura editoriale129,
Alberto Cadioli sollecita l’approfondimento del mondo
editoriale da parte degli studiosi. Infatti, anche se negli ultimi
anni si è registrato un sempre maggiore interesse verso tale
ambito, manca un’opera che raccolga in un unico grande
disegno le varie ricerche effettuate sin ora, sul modello
dell’Historie de l’édition française130 di Roger Chartier e HenriJean Martin. In particolare, Cadioli propone e teorizza uno
«spazio di studio» che potrebbe chiamarsi di «cultura
editoriale», il cui fine è quello di:
interrogarsi sulle diversità e sulle specificità delle singole edizioni di
ciascun titolo, sulla modalità della loro produzione, sulla loro
destinazione, sulla loro diffusione, nella consapevolezza che ogni editore
definisce le caratteristiche delle proprie edizioni, in rapporto al proprio
tempo e ai gruppi di lettori che, almeno inizialmente, presuppone di
raggiungere e che poi, stampato il libro, cercherà di raggiungere
effettivamente con adeguati strumenti promozionali e commerciali131.
Secondo il critico questo tipo di approccio dedicato alle
condizioni nelle quali è stata realizzata un’edizione, si inserisce
in modo autorevole alle altre aree di studio già consolidate
dedicate alla storia del libro e della sua circolazione,
129
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, Liguori, Napoli, 2007.
130
ROGER CHARTIER, HENRI-JEAN MARTIN, Historie de l’édition française,
Promodis, Paris, (1982-1986).
131
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 4.
54
L’EDITORE COME AUTORE
dell’elaborazione e della diffusione delle idee, delle imprese e
dei lettori. Se, riprendendo parte della definizione data da
Cadioli, consideriamo l’editore come «colui che suggerisce, in
un determinato momento, cosa leggere e come leggere132»,
comprendiamo
anche
come
possa
essere
considerato
responsabile del canone del proprio tempo, quindi della cultura.
A sostegno di questa tesi, il critico riporta quanto scritto da
Romano Luperini in Due nozioni di canone133, ove viene
sottolineata l’importanza degli «indirizzi dell’editoria» nella
costituzione del canone di un determinato periodo. Infatti,
scegliendo specifici autori e testi, indicandone le chiavi di
lettura, rivolgendosi a dei determinati gruppi di lettori, l’editore
crea e segue dei modelli culturali. Questi gruppi che (almeno
idealmente) comprano gli stessi libri e vi si accostano con le
stesse modalità di lettura, possono essere chiamate «comunità
di lettori». In particolare le case editrici definite «di cultura»,
hanno come modello di riferimento comunità capaci di cogliere
la qualità di un testo e i valori dell’edizione. Come spiega
Cesare Segre in Il canone e la culturologia134: «L’assieme dei
testi letterari considerati fondamentali da una cultura offre [] gli
elementi base che qualificano tale cultura» e consente di
valutare «i cambiamenti di canone come mutazioni della
cultura135». Riprendendo queste considerazioni, Cadioli esplica
la relazione tra l’editoria e il canone di un periodo:
132
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 6.
133
ROMANO LUPERINI, Due nozioni di canone, in «Allegoria», 29-30, 1999.
134
Ibidem.
135
CESARE SEGRE, Il canone e la culturologia, cit., p. 102.
55
L’EDITORE COME AUTORE
dentro le scelte editoriali, quando nate sulla base di una progettualità
(qualunque essa sia) fondata su presupposti riconoscibili e destinata a
un’altrettanto riconoscibile comunità di lettori, si può individuare
l’automodello di una cultura, e, più in particolare, il modello sostenuto da
gruppi intellettuali, da centri culturali, da spinte ideali, dei quali spesso gli
editori si sono fatti portavoce136.
Ecco che l’analisi dei cataloghi editoriali consente la
ricostruzione di una storia degli interventi dell’editoria
novecentesca sulla cultura e sui modelli di consumo culturale
proposti. Inoltre Cadioli, ribadendo che l’editore non è un
semplice mediatore tra scrittore e lettore, lo definisce «colui che
polarizza sulla produzione libraria, raccogliendole in un sistema
più complesso, tendenze e richieste culturali tra le più varie,
anche come qualità137». Anzi, lo studioso sottolinea che «Prima
ancora di essere mediazione tra scrittori e lettori, dunque,
l’editore definisce in modo “pubblico” lo spazio di una
comunità, allargandone i confini, stabilizzandone i generi da
essa privilegiati, perseguendo, con comunità ristrette, generi
nuovi o un rinnovamento (a volte radicale) di quelli già noti138».
Chi negli anni ha perseguito questo ideale sono stati gli editori
che hanno valorizzato il lavoro degli intellettuali all’interno
delle case editrici e che lo erano in prima persona. Accanto ai
letterati editori, vanno aggiunti quegli editori che «hanno
136
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 10.
137
Ivi, p. 11.
138
Ivi, p. 12.
56
L’EDITORE COME AUTORE
ambito a loro volta a essere letterati», non soltanto perché
hanno scritto testi creativi, ma perché «hanno cercato il più
possibile di esprimere, attraverso il lavoro editoriale, una
personale idea di letteratura e più in generale di cultura139».
Naturalmente ciascun letterato editore e ciascun editore
letterato dovrà tenere sempre lo sguardo fisso sulla propria
comunità di lettori e sulla fisionomia della propria casa editrice.
Con questa ottica, secondo il critico, si potrebbe cercare di
ricostruire una «storia delle linee editoriali suggerite o
influenzate dai letterati editori o dagli editori letterati140» e di
conseguenza rileggere tanti degli avvenimenti letterari e
culturali del Novecento. Cadioli sottolinea il fatto che proprio
attraverso il lavoro editoriale ed in particolare la selezione dei
titoli da pubblicare, si va configurando e definendo il territorio
della letterarietà. Inoltre, questo intervento editoriale, si estende
anche le caratteristiche linguistiche, stilistiche e narrative che
un testo deve avere per essere pubblicato in una determinata
casa editrice. Ma l’intervento editoriale, e in particolare la
funzione dell’editore iperlettore, non è limitata alla celta dei
titoli o alla revisione dei testi, ma «si estende ai caratteri che
ogni testo esibisce diventando un libro stampato141», cioè nella
sua materialità. Anzi, secondo Cadioli, la forte identità di un
editore è ravvisabile anche dalla riconoscibilità dei suoi aspetti
grafici, di fronte ai quali, il lettore fidelizzato, di fronte allo
stesso titolo pubblicato da due case editrici diverse, sceglierà
139
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 16.
140
Ivi, p. 18.
141
Ivi, p. 20.
57
L’EDITORE COME AUTORE
quello con il paratesto a lui più familiare e più vicino alle sue
aspettative. Lo studioso spiega che «È evidente l’intreccio tra la
funzione di scegliere un testo e quella di deciderne le forma
materiali: entrambe nascono dentro lo stesso contesto culturale
o letterario, e se la prima suggerisce il genere delle letture, la
seconda predispone le possibili modalità di lettura e di
interpretazione142». È proprio in questo senso che nell’editoria
moderna i caratteri paratestuali sono fondamentali, poiché
attraverso di essi l’autore e l’editore compiono la loro azione
interpretativa sul testo e l’editore esercita la sua funzione
pragmatica, come spiega lo stesso Gerard Genette nel celebre
saggio dedicato al paratesto; egli definisce quest’ultimo «luogo
privilegiato di una pragmatica e di una strategia, di un’azione
sul pubblico, con il compito, più o meno ben compreso e
realizzato, di far meglio accogliere il testo e di sviluppare una
lettura più pertinente, agli occhi, si intende, dell’autore e dei
suoi alleati143». Gli scrittori e gli editori ora hanno una
consapevolezza maggiore delle funzioni paratestuali e gli stessi
lettori sono più attenti a questo aspetto.
In questo senso è interessante la riflessione che Cadioli svolge
all’interno del volume Dall’editoria moderna all’editoria
multimediale. Il testo, l’edizione, la lettura dal Settecento a
oggi144 in cui riflette sullo “statuto dei testi”:
142
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 20.
143
GERARD GENETTE, Soglie. I dintorni del testo, a cura di C. M. CEDERNA,
Torino, Einaudi, 1989. (I edizione: Seuil, 1987).
144
ALBERTO CADIOLI, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo,
l’edizione, la lettura dal Settecento a oggi, Milano, Unicopli, 1999.
58
L’EDITORE COME AUTORE
Nella pratica editoriale, dunque, il testo non è sempre considerato un
«unicum»: si è visto che può cambiare in relazione ai suoi potenziali
lettori. Non c’è «il Testo», con la T maiuscola, ma ci sono dei testi con
una storia, nella quale la storia editoriale, nel senso della storia delle
diverse pubblicazioni, assume grande importanza (…) Lo statuto del testo
è sempre in rapporto con il mondo della scrittura – cioè della sua genesi –
e con quello della lettura – cioè con le sue interpretazioni -, ma è anche
intimamente legato alle sue edizioni e all’editoria che, in età moderna in
modo particolare, provvede alla sua trasmissione, alla sua conoscenza, alla
sua diffusione
145
.
Cadioli, riprendendo la definizione di Giulio Bollati di editoria
come luogo per eccellenza di «produzione e di organizzazione
della cultura», ribadisce l’importanza del lavoro editoriale. In
particolare, alla luce di questa definizione, spiega che la
funzione dell’editore “iperlettore” si concretizza nei singoli
ruoli specifici, precisamente «nell’intreccio tra i pareri
dell’editore, dei direttori, dei redattori, dei collaboratori che si
viene configurando la fisionomia dell’editore iperlettore, in
quanto istanza di selezione e di interpretazione dei testi da
pubblicare146». In questo processo va inserito anche il lavoro
145
ALBERTO CADIOLI, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale. Il testo,
l’edizione, la lettura dal Settecento a oggi, cit., p. 37.
146
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 112. I ruoli all’interno della casa editrice possono essere
riassunti così: il braccio destro dell’editore è il direttore editoriale, con il quale elabora
le strategie della casa editrice. A sua volta il direttore editoriale si avvale dell’aiuto del
direttore letterario, il quale tratta con gli agenti, si reca alle Fiere del libro, esamina la
pubblicabilità di un testo, entra in contatto con gli autori che sceglie. Questo ruolo così
decisivo in passato è stato più volte affidato a letterati impegnati in attività critica o
creativa; un esempio è stato Vittorio Sereni che ha ricoperto questa carica per tanti anni
presso la Mondadori e di cui Franco Fortini, ad indicare la sua doppia natura, scriveva:
«Poeta e di poeti funzionario/ prima componi quei tuoi versi esatti/ poi componi i
colleghi nel sudario/ dei tuoi contratti». (Si consulti GIAN CARLO FERRETTI, Poeta
e di poeti funzionario. Il lavoro editoriale di Vittorio Sereni, il saggiatore, Fondazione
59
L’EDITORE COME AUTORE
redazionale, portato avanti dal caporedattore e dai singoli
redattori. Secondo Cadioli questa fase lavorativa, che potrebbe
sembrare in apparenza eminentemente tecnica, riveste un ruolo
importante nella fase di costituzione di senso del prodotto-libro.
Infatti con le fasi di revisione e uniformazione e con i
successivi interventi sul paratesto, il lavoro redazionale
interviene sull’interpretazione del testo e sulla diffusione di
modelli stilistici, narrativi e linguistici. Come spiega lo
studioso: «L’uniformazione testuale sulla base di criteri propri
della casa editrice e dunque indirizzato alla rappresentazione di
un modello sia linguistico sia letterario sia ideologico, che non
sempre rappresenta l’intenzione dell’autore147». Questo è il caso
delle parole scritte con la maiuscola, poi ridotta a minuscola in
sede redazionale, o alle modifiche operate a livello di
punteggiatura. Le operazioni di uniformazione possono essere
considerate parte della poetica di un editore; ad esempio
Valentino Bompiani indicava, tra i vari criteri di uniformazione,
l’eliminazione dell’aggettivazione generica e degli avverbi
approssimativi. Proprio per questo Cadioli propone una “storia
delle norme redazionali novecentesche” come strumento per
analizzare l’evoluzione dell’ortografia della lingua italiana e al
contempo le modifiche nel tempo dell’idea stessa di scrittura. A
Milano, Mondadori, 1999). Attualmente, anziché al direttore letterario, le diverse linee
editoriali sono affidate a un “editor”, il quale è sempre più un funzionario e ha
caratteristiche sempre meno riconoscibili al di fuori della casa editrice, come nel
passato, ove erano presenti critici militanti, professori universitari, collaboratori di
giornali o riviste, che con la loro competenza si facevano garanti della qualità di una
collezione; nello specifico questo ruolo era ricoperto dal direttore di collana, molto
spesso un intellettuale.
147
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 209.
60
L’EDITORE COME AUTORE
sostegno di questa proposta, lo studioso riporta quanto detto da
Roger Chartier nella lezione dal titolo Il testo come
performance in cui analizza questo aspetto nei secoli passati:
«L’influenza esercitata da redattori e correttori di bozze sulla
sistemazione grafica e ortografica delle lingue nazionali, e
persino sulla punteggiatura, si rivelò assai più decisiva delle
proposte di riforma ortografica avanzate da quegli scrittori che
volevano imporre una “scrittura orale” interamente ispirata alla
pronuncia148».
Tracciati questi presupposti, lo studioso lancia la proposta alla
critica
letteraria,
sollecitandola
ad
affrontare
l’editoria
esaminando il rapporto testo-libro-lettura dal punto di vista
della genetica testuale e degli studi della ricezione. Questi
evidenzia i legami tra editoria, cultura e letteratura soprattutto
nel periodo che va dagli anni ’20 sino agli anni ’70, quando si
ha un coinvolgimento consistente dei letterati nelle case editrici.
Partendo dall’insegnamento di Roger Chartier secondo il quale
«lo statuto e l’interpretazione di un’opera dipendono dalla sua
materialità149» si comprende l’importanza del lavoro svolto
dagli scrittori e dai critici nelle case editrici, che, a detta dello
studioso, compiono «un intervento critico, non esibito, ma
rilevante150». Facendo uno studio di questo tipo sarà possibile
effettuare una prima correlazione tra l’attività editoriale e la
storia della letteratura. Questa presenza va studiata poiché ha
148
ROGER CHARTIER, Il testo come performance, in in scena e in pagina. Editoria e
teatro in Europa tra XVI e XVIII, cit., p. 27.
149
ROGER CHARTIER, Testi, forme, interpretazioni, in McKenzie, Bibliografia e
sociologia dei testi, cit., p.103.
150
ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, Bellinzona, Casagrande, 2000,
p.44.
61
L’EDITORE COME AUTORE
permesso che l’editoria divenisse ancora di più un mezzo
sistematico per portare avanti un progetto culturale e letterario:
«Meno indagato è rimasto invece il rapporto che scrittori,
critici, uomini di lettere in senso lato hanno intrattenuto con
l’editoria per ragioni di “militanza” culturale e letteraria,
avendo riconosciuto nel lavoro editoriale uno strumento
efficace per affermare un’idea di cultura e di letteratura151».
Cadioli sottolinea quindi la necessità di spostare il fulcro delle
ricerche sull’intervento degli intellettuali nelle case editrici152,
volto a diffondere, attraverso l’editoria, un’idea di letteratura
perseguibile con la cura di programmi, collane, paratesti con i
quali confrontare, in un dialogo a distanza, scrittori, critici e
lettori:
…i caratteri della cultura letteraria, la cui comprensione richiede di
interrogarsi piuttosto su quanto il «prodotto editoriale» (…), pubblicato
con la collaborazione degli uomini di lettere, influisca o determini le
convenzioni della letterarietà (quelle, cioè, per le quali un testo è definibile
sotto il segno della letteratura), la diffusione di particolari modelli testuali,
la volontà di conservare o di innovare le forme letterarie. È più opportuno
e importante, dunque, spostare l’asse della ricerca interrogandosi sul
coinvolgimento di scrittori e di critici nell’editoria, sia che si trasformino
direttamente in editori sia che intervengano a pieno titolo nelle scelte
culturali e produttive di una casa editrice, soprattutto quando il
coinvolgimento non è dettato solo da ragioni economiche, ma è accettato e
151
ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, cit., p. 10.
Si consulti ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria
in Italia, in “Allegoria”, 56, 2007, pp. 145-157. ALBERTO CADIOLI, Le diverse
carte. Osservazioni sull’intermediazione editoriale e la trasmissione del testo in età
contemporanea, in “Bollettino di italianistica”, 1, 2006, pp. 143-157.
152
62
L’EDITORE COME AUTORE
perseguito per raggiungere un pubblico cui indirizzare il proprio impegno
intellettuale153.
Ed è proprio al venir meno di questa comunità di lettori che
Cadioli attribuisce la “fine del letterato editore”, processo che
ha inizio alla fine degli anni ’70 e ha il suo compimento negli
anni ’80 sino ad oggi. Secondo il critico, infatti, non è stata
tanto la crescita di importanza dei settori amministrativi e
commerciali a indebolirne il ruolo all’interno della casa
editrice, quanto la contrazione del numero di lettori assidui che
si è registrata in quel periodo, lasciando spazio a die lettori
occasionali. Quindi, «il letterato editore non ha più una
funzione all’interno del mondo editoriale proprio perché ha
perduto importanza la comunità letteraria della quale egli era
espressione all’interno di una casa editrice»154.
Questo non significa che il letterato editore non esista più, ma è
relegato in settori specifici; come spiega Cadioli in Gli
intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia155:
l’intellettuale ha assunto nell’editoria, un carattere di nicchia, perché se
uno dei ruoli dell’intellettuale è di trasmettere la cultura del passato alla
cultura del futuro, attraverso l’esperienza del presente, leggendola dentro
al presente, la direzione attuale della produzione libraria più diffusa segue
altre strade156.
153
ALBERTO CADIOLI, L’editore e i suoi lettori, cit., p. 15.
ALBERTO CADIOLI, Letterati editori, cit., p. 200.
155
ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit.
156
Ivi, p. 153.
154
63
L’EDITORE COME AUTORE
Il critico mette in luce come oramai la lettura non è più vissuta
a livello sociale come uno strumento essenziale per costruire la
propria identità, ma come una delle tante possibili occasioni di
evasione e distrazione. Proprio per questo la lettura è ormai
legata alle esperienze portate dagli altri media:
si ha la sensazione di assistere non tanto alla fine di progetti editoriali di
qualità, quanto alla sostituzione di un modello culturale con un altro,
generato fuori dal mondo dei libri e ad esso estraneo, ma più vicino al talk
show ed ai reality show, all’idea che la parola poggia sull’effimero e vale
solo per il (e nel) momento della sua enunciazione e della sua prima (e
veloce) ricezione157.
In questo contesto diviene naturale esibire dei paratesti «che
hanno il carattere di soffietti pubblicitari158», poiché il lavoro
stesso dell’editore si modifica dal momento in cui all’interno
dei piani editoriali si pone come obiettivo primario quello di
conquistare la più ampia fetta di mercato. A sostegno di questa
tesi Cadioli compie una considerazione critica sulle risposte
date da due dei maggiori responsabili delle scelte della
Mondadori su un’intervista apparsa sul numero dell’«Ospite
ingrato» dedicato all’editoria159. La posizione dei due
intervistati è di difesa del ruolo dei letterati all’interno della
157
ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit., p.
153.
158
Ivi, p. 149.
159
AA.VV., «L’Ospite ingrato. Editoria e industria culturale», Macerata, Quodlibet, VII, 2,
2004.
64
L’EDITORE COME AUTORE
casa editrice160. Secondo Cadioli queste risposte rivelano una
scissione tra un modello culturale alto e la maggior parte dei
titoli da loro pubblicati:
Si potrebbe spiegare questa scissione con il fatto che, mentre l’intellettuale
che era consulente per una o più linee editoriali – o che addirittura
lavorava all’interno di una grande casa – apparteneva, per quanto in modi
differenti, alla stessa comunità culturale cui facevano riferimento, da un
lato l’editore, dall’altro i potenziali lettori, oggi il letterato quando è
chiamato a scegliere quali titoli portare in libreria, deve tener conto di una
comunità che non è più la sua, ma che deve a tutti i costi raggiungere;
anzi, si potrebbe dire, a più comunità a cui dare soddisfazione: o meglio, a
più segmenti di mercato, dalla fisionomia descrivibile solo in termini di
comportamenti e consumi extralibrari161.
Un altro soggetto che interviene a determinare la cultura
letteraria a partire da quella editoriale è l’agente letterario. Con
le sue attività di scouting, cioè di individuazione di nuovi
autori, e di ricerca dell’editore per gli autori che si rivolgono a
lui, l’agente letterario può essere a sua volta definito un editore
iperlettore, anche se poi non è direttamente coinvolto
nell’edizione finale del libro e nei processi che ne determinano
la materialità. Il fatto che l’agente scelga quale autore o titolo
segnalare ad un determinato editore ci sottolinea quanto il suo
contributo sia fondamentale nell’affermazione di un’idea di
160
ANTONIO FRANCHINI, Identità e trasformazione degli editori italiani, e ANTONIO
RICCARDI, Editoria e mutamenti sociali: il rapporto con l’”accademia”, «L’Ospite
ingrato. Editoria e industria culturale», cit., rispettivamente pp. 153-156 e pp. 157-160.
161
ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit.,
pp. 153-154.
65
L’EDITORE COME AUTORE
letteratura o di saggistica, in relazione alle specifiche sigle. Il
suo agire può contribuire profondamente alla fortuna non solo
di un autore, ma anche di un editore, come spiega Paola Dubini
nel saggio Il ruolo dell’agente nella filiera editoriale162,
contenuto nel volume L’Agente Letterario da Erich Linder ad
oggi:
Trovare l’editore giusto non è solo una questione di coerenza di gusti
editoriali, ma anche una questione di comprensione profonda delle
aspettative economiche di ciascun editore rispetto ai titoli del suo
catalogo. Ogni titolo ha un suo potenziale di mercato, che si traduce in
dinamiche economiche e finanziarie specifiche; proporre il titolo giusto
significa anche individuare il titolo che esce al momento giusto, che
allunga il ciclo di vita, che sostiene un altro titolo in catalogo, che
permette all’editore di “ammiccare” ad un nuovo segmento di lettori163.
Cadioli ricorda quanto detto da Gian Carlo Ferretti in Storia
dell’editoria letteraria in Italia164 in merito all’operato di Erich
Linder, lo ha definito garante «dell’identità editoriale e
editorial-letteraria» delle varie case editrici con cui ha lavorato
e a cui ha suggerito il libro adatto, cosa che contribuisce
all’«elaborazione di una politica editoriale».
L’identità di un editore è ravvisabile anche attraverso la collane
che crea; Gérard Genette nel suo saggio Soglie le conferisce
162
PAOLA DUBINI, Il ruolo dell’agente nella filiera editoriale, in Fondazione
Arnoldo e Alberto Mondadori (a cura di), L’Agente Letterario da Erich Linder ad oggi,
Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2004.
163
PAOLA DUBINI, Il ruolo dell’agente nella filiera editoriale, in Fondazione
Arnoldo e Alberto Mondadori (a cura di), L’Agente Letterario da Erich Linder ad oggi,
Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2004.
164
GIAN CARLO FERRETTI, Storia dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003,
Torino, Einaudi, 2004.
66
L’EDITORE COME AUTORE
una grande importanza, definendola: «una specificazione più
intensa, e talvolta più spettacolare, della nozione di marchio
editoriale», precisamente «un raddoppiamento del marchio
editoriale, che indica immediatamente al lettore potenziale con
quale tipo, se non addirittura con quale genere di opera egli
abbia a che fare165». Secondo Cadioli «il successo (soprattutto
culturale, ma non solo) di un editore può essere riconosciuto
nella capacità dimostrata di imprimere un’impronta originale
(un’identità) a una o più collane, grazie alle quali è entrato nella
“memoria” dei lettori166».
Anche la copertina riveste un ruolo fondamentale nel
comunicare le intenzioni dell’editore. Cadioli ipotizza una
storia delle edizioni novecentesche che attraverso lo studio delle
copertine evidenzi non solo l’aspetto grafico o la collaborazione
tra gli artisti e gli editori, quanto le diverse letture che gli editori
hanno dato dei singoli testi nel corso degli anni e
conseguentemente le interpretazioni suggerite ai lettori nelle
diverse edizioni167.
Lo
studioso
riporta
l’esempio
interessante
di
quanto
l’attenzione alla forma materiale del libro possa arrivare
all’estremo, come nel caso dei “libri illeggibili” presentati da
Alberto Mondadori in un’esposizione da lui curata e poi
pubblicati dall’editore olandese Steendrukkerij de Jong nel
1953, con il nome di An Unreadable Quadrat-Print, cioè libri
165
GÉRARD GENETTE, Soglie. I dintorni del testo, cit.
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 20.
167
Si consulti MARIANO D’AMBROSI, Editoria e pubblicità: le copertine, in
“Allegoria”, 57, 2008, pp. 137-149.
166
67
L’EDITORE COME AUTORE
costituiti solo da carte bianche e rosse. La domanda alla base di
questa creazione era: “il libro come oggetto, indipendentemente
dalle parole stampate, può comunicare qualcosa?”. Queste
soluzioni grafiche relative alla progettazione del libro, che molti
artisti, primo fra tutti Bruno Munari, proponevano, erano un
invito per il mondo editoriale a cercare nuove frontiere alla
forma della pagina e nuove soluzioni per l’immagine editoriale.
Da questa attenzione dell’arte novecentesca al mondo del libro,
ne trae la conclusione che in quel periodo il libro è stato
considerato dall’arte come oggetto estetico.
Ma lo studio della materialità del libro investe aspetti anche
molto settoriali, come ad esempio quello della legatura. La
studiosa Mirjam M. Foot nell’opera La legatura come specchio
della società168 evidenzia come dall’analisi delle tecniche di
legatura e di decorazione dei libri si riflettano le modalità di
produzione dei libri e lo sviluppo del mercato librario. Da
questo è possibile anche ricavare informazioni in merito a
lettori, autori, editori e collezionisti. Tale approccio evidenzia
l’importanza della forma fisica di un testo per ricavare
informazioni relative al rapporto con il testo e con il libro in una
determinata epoca.
168
MIRJAM M. FOOT, La legatura come specchio della società, Milano, Edizioni
Sylvestre Bonnard, 2000.
68
L’EDITORE COME AUTORE
2.2 ROBERTO CALASSO
2.2.1 Dalla parte dell’editore
La mia vita è schizofrenica. – dice Calasso – Ho due vocazioni e mi
assorbono completamente. Essere uno scrittore significa ovviamente
rendere pubblica ogni cosa di te. Fare il mestiere dell’editore è una
avventura totale, una sorta di cronico caso di intensificazione
dell’emozione. Essere nello stesso tempo uno scrittore e un editore è un
po’ come essere le merce e il venditore, crea un contrasto che può essere
qualche volta comico, altre volte irritante. Ma mai noioso169.
Roberto Calasso, scrittore nonché presidente della casa editrice
Adelphi170, costruisce una vera e propria teoria dell’editore
come autore. Egli vede l’editore come un artista capace di dare
alla vita una creatura unica e variegata e paragona il suo lavoro
all’atto creativo dello scrittore. L’editore è un artista perché
l’editoria è «l’arte dell’ecfrasi» e «l’arte di dire di no». Questi
appare come un alchimista che riconosce nella letteratura e
nell’editoria una componente magica. Inoltre Calasso esalta
l’importanza di ogni singolo elemento del paratesto, tanto da
postulare la necessità di una “teoria del risvolto” e da
individuare nella bibliografia di alcune opere una sorta di
“codice autobiografico” dell’autore.
169
ANDREA LEE, The Prince of Books, «The New Yorker», 26 aprile 1993, p. 44.
La casa editrice Adelphi è stata fondata nel 1962 da Roberto Balzen, mentore di
Roberto Calasso, e da Luciano Foà . Balzen è morto nel 1965, mentre Foà nel 2005. con
quest’ultimo Roberto Calasso ha condiviso dal 1971 la direzione editoriale di Adelphi,
prima di diventare consigliere delegato e presidente della casa editrice.
170
69
L’EDITORE COME AUTORE
2.2.2 L’editore come creatore
…la mia proposta è che agli editori si chieda sempre il minimo, ma con
durezza. E qual è questo minimo irrinunciabile? Che l’editore provi
piacere a leggere i libri che pubblica. Ma non è forse vero che tutti i libri
che ci hanno dato un qualche piacere formano nella nostra mente una
creatura composita, le cui articolazioni sono però legate da un’invincibile
affinità? Questa creatura, formata dal caso e dalla ricerca testarda,
potrebbe essere il modello di una casa editrice171.
Se ci soffermiamo su questa definizione, su questo modello
teorico di casa editrice, possiamo individuare l’essenza della
poetica autoriale ed editoriale di Roberto Calasso. Basterà
fermarci all’ultima frase, per individuare ben tre espressioni
che racchiudono il cuore del suo pensiero: “creatura”, “caso” e
“ricerca testarda”.
Il concetto di “creatura” attraversa tutta la sua produzione sia in
quanto scrittore, sia in quanto editore. Se ci soffermiamo al
ruolo dell’editore egli è un artista, quindi un creatore, ma a sua
volta è l’artefice di una creatura assai particolare, mutevole e
polimorfa, spesso associata alla figura del serpente, animale di
per sé carico di significato. Questo gioco di rispecchiamenti tra
creatore e creatura rivela chiaramente il ruolo anfibio di questo
uomo: al contempo autore ed editore. Il simbolo del serpente è
un concetto che attraversa tutta la produzione di Calasso e che,
proprio come nella natura del rettile, a tratti si manifesta, a tratti
171
ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., p. 22.
70
L’EDITORE COME AUTORE
si cela. Ecco un passo in cui lo scrittore esplica chiaramente il
legame tra serpente e casa editrice:
Che cos’è una casa editrice se non un lungo serpente di pagine? Ciascun
segmento di quel serpente è un libro. Ma se si considerasse quella serie di
segmenti come un unico libro? Un libro che comprende in sé molti generi,
molti stili, molte epoche, ma dove si continua a procedere con naturalezza,
aspettando sempre un nuovo capitolo, che ogni volta è di un altro autore.
Un libro perverso e polimorfo, dove si mira alla poikilía, alla
«variegatezza», senza rifuggire i contrasti e le contraddizioni, ma dove
anche gli autori nemici sviluppano una sottile complicità, che magari
avevano ignorato nella loro vita. In fondo, questo strano processo, per cui
una serie di libri può essere letta come un unico libro. È già avvenuto nella
mente di qualcuno, per lo meno di quell’entità anomala che sta dietro i
singoli libri: l’editore172.
Leggendo questa definizione, risulta immediato il collegamento
tra l’uomo Calasso e l’editore Adelphi. Interessante quanto
scrive Antonio Gnoli in un articolo a lui dedicato: «L’immagine
di una creatura sinuosa, viva, in grado di svilupparsi può
apparirci dotata di una segreta forza, che ci rimanda quasi
fatalmente al doppio ruolo che quest’uomo svolge173». Il
giornalista mette in luce il forte legame tra questa “entità
anomala” che è l’editore e la sua “opera anomala” di scrittore”:
In qualità di scrittore Calasso ha creato una vertiginosa costellazione di
scritti. Un’opera anomala, composta da cinque libri anomali che hanno tutti
172
ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., pp. 20-21.
ANTONIO GNOLI, “Roberto Calasso”, La Domenica di Repubblica, 29 ottobre 2006,
p. 50.
173
71
L’EDITORE COME AUTORE
una forte impronta narrativa ma al contempo tessono una rete di pensiero
che si estende dalla Grecia degli Olimpi, all’India vedica, alla Rivoluzione
francese, al Castello di Kafka. Per disperdersi al momento fra le nubi rosate
dei soffitti di Tiepolo. (…) Ma a ben guardare è come se dietro quella
ramificazione di opere si cogliesse un disegno ancora più fitto e grande che
appartiene all’intera casa editrice. Non esisterebbe il Calasso scrittore senza
il Calasso editore e viceversa. Nel senso che le due entità, pur separate
nettamente, si corrispondono174»
Tale convivenza di testi che spaziano dagli dei dell’antica
Grecia, all’India, alla filosofia, sono parte integrante della
produzione della casa editrice Adelphi. Ecco quanto scrive a
proposito Valentino Cecchetti in un libro a lui dedicato: «I libri
di Calasso, “ambiziosi, ironici, enigmatici”, il mosaico
selvaggio di “citazioni, evocazioni, riflessioni e aneddoti” della
sua scrittura, giocano a nascondersi nel grande libro Adelphi,
perché Roberto Calasso, per predestinazione è Adelphi175». Tale
senso di coerenza pur nell’eterogeneità della produzione,
sembra essere racchiuso anche nel nome e nel logo della casa
editrice:
Il senso di «unitaria diversità» è stato il carattere distintivo di Adelphi sin
dalla sua nascita nel 1962. lo suggerisce il nome stesso della casa editrice,
simile alla parola greca che significa «fratelli» e, più ancora, il colphon,
l’immagine che appare sulla copertina di ogni libro, un pre-ideogramma
cinese, che mostra due piccole figure in equilibrio sopra una falce di luna
crescente. Il simbolo suggerisce l’equilibrio tra due lati della vita. Nel caso
174
ANTONIO GNOLI, “Roberto Calasso”, La Domenica di Repubblica, 29 ottobre 2006,
p. 50.
175
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, Firenze, Cadmo, 2006, p. 9.
72
L’EDITORE COME AUTORE
di Calasso, inoltre, mostra l’intreccio indissolubile tra i due uomini del suo
lavoro di scrittore e di editore176.
Cecchetti, mettendo insieme una serie di impressioni avute
negli anni da vari giornalisti e critici, mette in luce quanto sia
stata sviluppata questa immagine del serpente relativamente
all’editore Calasso e quanto abbia egli stesso contribuito a
diffonderla. Molti hanno messo in luce la mutevolezza del suo
carattere e dei suoi atteggiamenti che richiamano subito alla
muta del serpente, il mutamento «non appare semplicemente
nei suoi movimenti e nei suoi umori, ma anche nella carne che
li esprime177». Inoltre «le parole che appaiono più spesso nel
vocabolario di Calasso sono agile, mercuriale, anfibio178»,
«Guido Ceronetti parla di lui come del “serpente gnostico”». Lo
stesso
Cecchetti,
nell’intervistare
l’editore
sottolinea
continuamente questo aspetto tanto da intitolare un capitolo “Il
patto col serpente”. Questi evidenzia quanto questo legame
esclusivo investa tutti gli ambiti della sua persona, a partire
dall’interazione con l’altro che si manifesta sia a livello fisico
che psicologico; Cecchetti si sofferma sull’«abilità di Calasso
nel trasformarsi, cambiare pelle e sembrare sempre uguale a sé
stesso, un aspetto della sua personalità straordinariamente
coerente con la sua scrittura179», inoltre «La conversazione di
Roberto Calasso è poliedrica, ma legata a una sottile, spesso
vertiginosa coerenza. Tende a tornare su sé stessa come il
176
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit.,p. 16.
Ivi, p. 11.
178
Ibidem.
179
Ivi, p. 9.
177
73
L’EDITORE COME AUTORE
serpente che si morde la coda180»; e ancora, parlando dei libri di
Roberto Balzen presenti nell’ufficio di Calasso: «è il serpente di
libri che si attorciglia attorno alle concezioni di vita e di lavoro
e persino alla conversazione quotidiana di Calasso181. Il critico
mostra il forte legame tra la scritture di Calasso e la produzione
Adelphi, legame ravvisabile nella figura del serpente. Se si
prende in considerazione la quadrilogia costituita da La rovina
di Kasch (1983)182, Le nozza di Cadmo e Armonia (1988)183,
Ka. (1996)184, K. (2002)185:
Secondo un principio junghiano il numero quattro allude alla completezza
e alla circolarità e corrisponde all’immagine del femminile e del serpente.
La zona vuota al centro del serpente è richiamata alla misteriosa sillaba
interrogativa Ka?, che è presente in ciascuno dei titoli della quadrilogia
(oltre che nel nome dell’autore) e indica l’indistinzione della ousia, o, in
sanscrito, della Prakriti, la sostanza originaria. Il tema principale delle
quattro opere è, in gran caso, la metamorfosi, che si riflette nella infinita
variazione narrativa del mito186.
Il riferimento a Jung, al mutamento, al serpente, al mercurio,
alla circolarità, non può non richiamare alla mente il pensiero
alchemico. Questo aspetto investe anche il modo di concepire la
180
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit.,p. 20.
Ivi, p. 21.
182
ROBERTO CALASSO, La rovina di Kasch, Milano, Adelphi, 1983.
183
ROBERTO CALASSO, Le nozza di Cadmo e Armonia, Milano, Adelphi, 1988.
184
ROBERTO CALASSO Ka., Milano, Adelphi, 1996.
185
ROBERTO CALASSO K., Milano, Adelphi, 2002.
186
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., 2006, p. 24. Va precisato che
l’analisi del critico è limitata ai quattro romanzi sopracitati poiché si ferma al 2006.
L’opera, però, si completa di altri tre romanzi pubblicati successivamente: Il rosa Tiepolo,
Milano, Adelphi, 2006; La Folie Boudelaire, Milano, Adelphi, 2008; L’ardore, Milano,
Adelphi, 2010.
181
74
L’EDITORE COME AUTORE
scrittura e il senso della letteratura. Cecchetti, nell’analizzare la
I Quarantanove gradini187, raccolta di saggi e scritti di Calasso
che riflettono sulla questione dell’interpretazione, esplica il
pensiero alchemico sotteso alle sue opere, che è poi estendibile
a tutta la produzione della casa editrice:
In questo senso il libro è ciò che Novalis chiamava un Gedankenspiel, una
sorta di «teatro delle idee» (Manguel), in cui un pensiero alimenta e
accende un altro pensiero, e la riflessione si spinge così lontano, da essere
completamente sradicata dal suo contesto originario. Un’opera di
trasformazione alchemica del testo, in cui, come il tessuto stesso della
pagina (per mezzo della citazione stessa di interi paragrafi), anche l’opera
e l’autore esaminati cambiano aspetto, assumendo, una «nuova pelle» e un
«nuovo sistema osseo»188.
Il titolo stesso dell’opera, I quarantanove gradini, sta ad
indicare l’infinità del significato, che risiede oltre e al di là del
testo. Egli si inserisce nel dibattito di fine secolo sul canone e
teorizza l’assenza di canone come vuoto originario da cui
l’«interpretazione inarrestabile prende forma189». Questo suo
atteggiamento ha conseguenze concrete e tangibili che si
realizzano anche sul lavoro editoriale, come ad esempio nel
privilegiare l’uso di postfazioni a quello di prefazioni:
è da questo «ofitismo» che discendono due corollari. Il primo è la
preferenza da parte di Calasso per la postfazione (all’estrodurre e non
all’introdurre), non soltanto per accordare, con «una scelta (…) elegante e
187
ROBERTO CALASSO, I quarantanove gradini, Milano, Adelphi, 1991.
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, Firenze, Cadmo, 2006, p. 174.
189
Ivi, p. 173.
188
75
L’EDITORE COME AUTORE
piena di tatto», «la precedenza all’opera», ma per «sondare le forme di un
luogo poco abituale: quello che si apre al di là del libro», le «pagine in più,
che potrebbero non esserci», il significato infinitamente ulteriore del testo.
Il secondo è la predilezione per il saggio e la sua lingua, «il continuo
guizzare tra letteratura, filosofia, mistica, giornalismo, psicanalisi,
mitologia»190.
Ma come si collega questa “creatura”, questo serpente, al
“caso” e alla “ricerca testarda”? Se ci si sofferma sulla raccolta
di scritti La follia che viene dalle Ninfe191 si potrà comprendere
meglio questa connessione. Infatti vi sono contenuti una serie di
saggi, scritti in diversi periodi, di cui gli ultimi due dedicati al
mondo dell’editoria: Confessioni bibliografiche, L’editoria
come genere letterario. La chiave per aprire il cuore di questi
ultimi due scritti risiede proprio nel saggio di apertura che poi
dà il nome a tutta l’opera. In questo lavoro si parla delle
“Ninfe” che vengono associate al “serpente” e alla “fonte”,
nonché alla metamorfosi:
Nell’era della pienezza di Zeus regnava la metamorfosi come statuto
normale della manifestazione. (…) Ora la metamorfosi si sarebbe migrata
nell’invisibile, nel regno sigillato della mente. Sarebbe divenuta
conoscenza. E quella conoscenza metamorfica si sarebbe addensata in un
luogo, che era insieme una fonte, un serpente e una Ninfa192.
190
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., pp. 177-178.
ROBERTO CALASSO, La follia che viene dalle Ninfe, Milano, Adelphi, 2005.
192
Ivi, p. 16.
191
76
L’EDITORE COME AUTORE
Il serpente viene descritto come un portatore di conoscenza,
identificabile con una parte specifica del corpo: l’occhio. In
questa immagine si può ravvisare quella dell’editore, inteso
come colui che guarda avanti, legge la realtà:
«Che cos’è un drago?». (…) «Un animale che guarda o osserva». Di fatto,
drákōn deriva da dérkomai, che significa «avere vista acutissima». Ma
qual è l’occhio del drago? Douglas risponde: la sorgente. Più che connessi,
drago e sorgente sono parti di uno stesso corpo193.
In questo atteggiamento di vigilanza e attenzione possiamo
ravvisare l’atteggiamento dell’editore, sempre sveglio e attivo:
«Perché mai le Ninfe dovrebbero akoímētoi, “insonni”? Ma
perché tali sono appunto i draghi, perché la fonte sgorga senza
interruzione e il suo sguardo non cessa di vegliare194». L’autore
si sofferma anche sul termine nymphólēptos: «significa “preso,
catturato, rapito dalle Ninfe”. E ascoltiamo la lingua:
nymphólēptos è un anello di una catena di parole composte allo
stesso modo195». Come non pensare immediatamente al lungo
serpente di pagine a cui lo stesso Calasso paragona la casa
editrice? Inoltre torna il collegamento al “caso”, alla “fortuna”:
«La Ninfa o il divino o la fortuna sono potenze che agiscono
improvvisamente, catturano e trasformano la loro preda196».
Questa fortuna che è capace di trasformare la persona che vi si
imbatte, è la stessa che, a detta di Calasso, ha guidato i suoi
193
ROBERTO CALASSO, La follia che viene dalle Ninfe, Milano, Adelphi, 2005, p. 17.
Ivi, p. 19.
195
Ivi, p. 22.
196
Ivi, p. 25.
194
77
L’EDITORE COME AUTORE
incontri e ha portato alla pubblicazione libri e autori in modo
inaspettato. Ed ecco che si ripresenta il collegamento con il
mondo alchemico: «Ninfa è dunque la materia mentale che fa
agire e che subisce l’incantamento, qualcosa di molto affine a
ciò che gli alchimisti chiameranno prima materia e che ancora
risuona in Paracelos, là dove parla di “nymphididica
natura”197». Il legame tra conoscenza tramite la possessione e la
letteratura è ravvisabile anche nelle parole di Elias Canetti
riportate da Calasso nel capitolo Confessioni bibliografiche.
Questi parla dell’approccio avuto verso Memorie di un malato
di nervi di Schreber, un libro che poi si rivelò fondamentale per
la sua poetica:
I libri sono per me una doppia avventura: la prima è la scoperta, quando li
trovo da qualche parte, fiuto l’importanza che potranno avere in futuro per
me e per così dire me ne approprio fisicamente. Dopodiché passano spesso
molti anni fino alla seconda avventura, quando per un incomprensibile
impulso li riprendo in mano e, escludendo qualsiasi altro interesse, mi ci
getto sopra come in un delirio198.
Calasso si rispecchia perfettamente in questo approccio e non a
caso Canetti è uno degli autori che caratterizzano la biblioteca
Adelphi.
197
198
ROBERTO CALASSO, La follia che viene dalle Ninfe, Milano, Adelphi, 2005, p. 32.
Ivi, p. 110.
78
L’EDITORE COME AUTORE
2.2.3 Bibliografia come «codice autobiografico»
Decisiva è la forma dei libri – così si dice, fin dall’inizio dei tempi. Ma ci
sono certe parti dei libri che sembrano destinate a una iniqua oscurità,
come se al libro non appartenessero, come se l’autore non le avesse
pensate con la stessa cura ossessiva che ha dedicato a un capitolo, a un
capoverso, a una frase, a una parola. Parlerò di uno di questi parenti
poveri o illegittimi del libro: la bibliografia199.
Calasso sembra dare una dignità, un’anima, ad ogni parte di un
libro. Ogni forma porta con sé un significato. Egli parte
dall’esempio di un autore, Elias Canetti, il quale nella sua opera
del 1960 Massa e potere, non crea un apparato di note, secondo
l’uso accademico, e anche nella sezione corrispondente alla
bibliografia, che non a caso intitola con il termine «Letteratura»,
non riporta una bibliografia redatta secondo i classici criteri, ma
un elenco di libri che hanno costituito la sua bibliografia
personale, la cui attinenza al tema trattato dall’opera non è
sempre così immediata all’occhio del lettore. In questa scelta di
Canetti, Calasso individua un importante significato su cui si
sofferma con attenzione. Egli spiega come questo “lasciar
respirare la pagina” non interrompendola con le note e questa
stesura bibliografica raccolta sotto il termine di «Letteratura»,
sono frutto di un motivo “più complesso e profondo” di quel che
si possa immaginare. Calasso ribadisce così il concetto per cui
dietro ogni forma materiale di un libro risiede una precisa scelta
199
ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, in La follia che viene dalle Ninfee,
cit., p. 103.
79
L’EDITORE COME AUTORE
autoriale ed editoriale, quindi anche dietro ad un titolo o ad un
nome citati in una bibliografia si cela una grande tensione.
Partendo dall’analisi di questa particolare bibliografia il critico
crea una vera e propria teoria critico-letteraria attraverso cui sarà
possibile individuare l’autobiografia di un autore: «Dovremmo
scorrere gli autori e i titoli che compongono la bibliografia di
Massa e potere seguendo lo spiraglio abbagliante che si è aperto
dietro i nomi di Bleek e Lloyd. Ogni nome che leggiamo è una
esperienza200». Egli parla di un vero e proprio “codice
autobiografico201”,
lasciato
appositamente
dallo
scrittore:
«l’elenco di libri che chiude Massa e potere è la prima forma –
la più condensata – che ha assunto l’autobiografia nell’opera di
Elias Canetti202». Infatti quell’elenco di libri non è funzionale,
poiché non contiene unicamente testi che contengono i temi
trattati all’interno del volume. Quella lista è una sorta di
biblioteca personale dello scrittore, o come la definisce Calasso,
«Una serie di segnali, che rimandano a esperienze di un
lettore203». Naturalmente questo metodo di studio potrebbe
essere esteso alla conoscenza di qualsiasi autore, come un vero e
proprio metodo di analisi. Al contempo è interessante specificare
come questo approccio alla bibliografia particolare costituita da
Canetti in Massa e potere, riveli una forte affinità con la
concezione che Calasso ha della letteratura e dell’editoria.
Leggendo la descrizione che egli fa di quella lista, sembra di
200
ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, cit, p. 108.
Ivi, p. 113.
202
Ivi, p. 108.
203
Ivi, p. 112.
201
80
L’EDITORE COME AUTORE
intravedere la rappresentazione della produzione Adelphi ed, in
trasparenza, individuare l’approccio di Calasso al suo lavoro di
editore: «Mi è accaduto più volte di riprendere in mano quella
lista, fantasticando. Ci sono autori classici, inevitabili. Ma ci
sono anche libri trascurati, ignorati, il cui possesso fisico doveva
essere legato, per Canetti, a storie analoghe a quella accennata
nel caso di Schreber e degli Specimens of Bushman Folklore204».
Ecco chi il libro acquista la valenza non solo di una possibile
avventura intellettuale, ma in primis di un’avventura esistenziale:
ogni incontro con un libro specifico, che prima di tutto si rivela a
noi nella sua materialità (dal titolo alla copertina), ha una sua
storia e storicità la cui importanza non va trascurata. Questo è lo
stesso approccio che Calasso ha con il suo lavoro di editore, in
cui unisce la sfida, il piacere della scoperta e, legata ad ogni
libro, la promessa di felicità: «Per una sorta di cieca fiducia in
quella lista, da anni cerco tutti quei libri – e mi piace sapere che
ancora ve ne sono alcuni che mi sfuggono. Sono altrettante
promesse di una scoperta205». Ecco perché rileggendo la
descrizione di questa lista sembra rivedere il lavoro compiuto in
questi anni da Roberto Calasso, nel creare, attraverso la
“Biblioteca” Adelphi, una biblioteca ideale, personale, non
costituita aprioristicamente, dove sono accostati libri noti ad altri
sommersi e da lui stesso fatti riemergere.
La sfida del raro, del difficile, dell’impossibile, sono anche la
chiave del lavoro dell’editore: «anche la letteratura, se non cela
204
205
ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, cit, p. 113.
Ibidem.
81
L’EDITORE COME AUTORE
nel suo fondo l’impossibile, perde ogni magia. Qualcosa di
analogo credo possa dirsi dell’editoria206»
L’associazione della “magia” al mondo editoriale e quindi alla
letteratura, ritorna anche nelle affermazioni lasciate da Calasso
riguardo ai suoi scritti assemblati nella raccolta I quarantanove
gradini207: «il soggetto del libro è la letteratura assoluta», cioè la
letteratura che «si emancipa da tutto e tende ad avvolgere tutto in
una sorta di mantello magico208». «I cento testi “disegnano (…)
l’atlante della letteratura assoluta”, dove “conta la connessione
evidente” e l’autobiografia della casa editrice con il suo progetto
editoriale209». Ecco che ritorna il concetto di autobiografia,
questa volta, però, associata non ad uno scrittore, ma ad un
editore.
2.2.4 L’editoria come genere letterario
Il risvolto è un umile e ardua forma letteraria che non ha ancora trovato il
suo teorico e il suo storico210.
Nel 2003 in occasione del quarantesimo anno dall’uscita del
primo libro Adelphi e del numero cinquecento della «Piccola
Biblioteca», Roberto Calasso, direttore editoriale della casa, ha
deciso di raccogliere cento tra i 1068 risvolti scritti a partire dal
1965.
206
ROBERTO CALASSO, Confessioni bibliografiche, cit, p. 119.
ROBERTO CALASSO, I quarantanove gradini, cit.
208
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., p. 28.
209
Ibidem.
210
ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., p. 17.
207
82
L’EDITORE COME AUTORE
In sede di prefazione lo studioso, introducendo l’arte del
risvolto, formula delle vere e proprie teorie editoriali ed
evidenzia la necessità di una “teoria del risvolto”, definito come
una lettera verso l’ignoto pubblico, che nell’istante in cui
prende il libro in mano «sta aprendo – senza saperlo – una
busta: quelle poche righe, esterne al testo del libro, sono di fatto
una lettera: la lettera a uno sconosciuto211». Ed è proprio in
questa lettera, la cui antesignana è l’epistola dedicatoria , che
l’editore, come a suo tempo l’autore, lascia trasparire la sua
verità poiché questa sede rappresenta forse l’unica occasione
per accennare esplicitamente ai motivi che lo hanno spinto a
scegliere un certo libro e a manifestare la propria poetica: «sono
parti anonime dell’aspetto esterno di un libro in cui metto cose
importanti per me e per i miei saggi212». Parlare del risvolto
significa parlare della missione dell’editore, della letteratura e
della società in cui vengono prodotti, poiché «una civiltà
letteraria si riconosce anche dal modo in cui i libri si
presentano213». Calasso sostiene che nella storia dell’editoria
regna l’imprevisto essendo ricca di perenni sorprese. Egli,
parlando del suo caso, racconta di quanto nei primi anni della
sua vita, l’Adelphi fosse caratterizzata in apparenza da una certa
“sconnessione214”,
poiché
nella
medesima
collana,
la
«Biblioteca», comparivano testi eterogenei e di diversa natura,
eppure
«Che
cosa
teneva
insieme
tutto
questo?
Paradossalmente, dopo un certo numero di anni, lo sconcerto
211
ROBERTO CALASSO, Cento lettere e uno sconosciuto, cit., p. 18.
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., p. 14.
213
Ivi, p. 17.
214
Ivi, p. 19. In corsivo nel testo.
212
83
L’EDITORE COME AUTORE
dinanzi alla sconnessione si è rovesciato nel suo opposto: il
riconoscimento di una connessione evidente215». A supporto di
questo apparente paradosso lo studioso spiega che nella norma
il criterio che oggi spinge le scelte editoriali è dato dal produrre
libri che corrispondano ciascuno ad uno spicchio di pubblico
(«Ci saranno così libri rozzi per i rozzi e libri squisiti per gli
squisiti216»), ma al contempo è possibile costruire un
programma editoriale perseguendo un criterio “palesemente
contrario217”. La casa editrice non è vista quindi come un
progetto pianificato aprioristicamente in vari comparti, ma un
evento in fieri, un processo il cui elemento discriminante è
quindi la forma:
Se un libro è innanzitutto una forma, anche un libro composto da una
sequenza di centinaia (o migliaia) di libri sarà innanzitutto una forma.
All’interno di una casa editrice della specie che sto descrivendo, un libro
sbagliato è come un capitolo sbagliato in un romanzo, una giuntura debole
in un saggio, una chiazza di colore urtante in un quadro. Criticare quella
casa editrice non sarà, a questo punto, nulla di radicalmente diverso dal
criticare un autore. Quella casa editrice è paragonabile a un autore che
scriva solo centoni218.
In linea con questo pensiero si inserisce il concetto di “Libri
unici”: «Immaginavamo una serie di libri che avessero ciascuno
una fisionomia inconfondibile. La loro unicità non era tanto
dovuta ai temi ma al fatto che quella forma si era manifestata
215
VALENTINO CECCHETTI, Roberto Calasso, cit., p.19.
Ivi, p. 20.
217
Ibidem.
218
Ivi, p. 21.
216
84
L’EDITORE COME AUTORE
solo in quella circostanza, come una sorta di peculiarità
ultima219». Spiegandone il significato, questi spiega che è il
risultato di un’esperienza unica che ha investito il suo autore,
trasformandolo: «In definitiva: libro unico è quello dove subito
si riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa
ha finito per depositarsi in uno scritto». Parlando di Balzen, egli
specifica: «il libro era per lui un risultato secondario, che
presupponeva qualcos’altro. Occorreva che lo scrivente fosse
stato attraversato da questo altro, che vi fosse vissuto dentro,
che lo avesse assorbito nella fisiologia, eventualmente (ma non
era obbligatorio) trasformandolo in stile220». In questo
approccio alla scelta dei libri da pubblicare, quindi da
diffondere, consacrandoli nel loro catalogo, si possono
individuare
chiaramente
quegli
elementi
sviluppati
precedentemente relativi alla letteratura assoluta e alla
conoscenza tramite possessione:
L’esempio più eloquente, ancora una volta, è il numero 1 della Biblioteca:
L’altra parte di Alfred Kubin. Unico romanzo di un non-romanziere. Libro
che si legge come entrando e permanendo in una allucinazione possente.
Libro che fu scritto all’interno di un delirio durato tre mesi. Nulla di simile,
nella vita di Kubin, prima di quel momento; nulla di simile dopo. Il
romanzo coincide perfettamente con qualcosa che è accaduto, un’unica
volta, all’autore. (…) In definitiva: libro unico è quello dove subito si
219
ANTONIO GNOLI, “Roberto Calasso”, La Domenica di Repubblica, 29 ottobre 2006,
p. 50.
220
ROBERTO CALASSO, “Così inventammo i ‘libri unici’”, la Repubblica, 27 dicembre
2006, p. 56.
85
L’EDITORE COME AUTORE
riconosce che all’autore è accaduto qualcosa e quel qualcosa ha finito per
depositarsi in uno scritto221.
Di fronte a tali riflessioni sorge immediato il chiasmo che si va
a creare tra “l’unico libro” che racchiude tutta la produzione
Adelphi e il “libro unico” che ne costituisce l’essenza. Nel
saggio L’editoria come genere letterario222 Calasso sviluppa
questo concetto, descrivendo l’editore come il creatore di un
ipotetico unico libro in cui può esser racchiusa la sua intera
produzione: «In base a quali criteri si può giudicare della
grandezza di un editore? (…) il primo e l’ultimo dei quali
[criteri] è la forma: la capacità di dare forma a una pluralità di
libri come se essi fossero i capitoli di un unico libro223». Il
modello a cui Calasso si rifà è quello di Aldo Manuzio, il quale
fu il primo ad immaginare una casa editrice in termini di forma:
«E qui la parola “forma” va intesa in molti e disparati modi. In
primo luogo la forma è decisiva nella scelta e nella sequenza
dei titoli da pubblicare. Ma la forma riguarda anche i testi che
accompagnano i libri, nonché il modo in cui il libro si presenta
in quanto oggetto. Perciò include la copertina, la grafica,
221
ROBERTO CALASSO, “Così inventammo i ‘libri unici’”, la Repubblica, 27 dicembre
2006, p. 56. Interessante anche la riflessione riguardo al paratesto dei suddetti libri: «Per un
certo periodo pensammo che i libri unici dovessero essere unici anche di aspetto. Ciascuno
con un impianto diverso della copertina – e magari con formati diversi. Ma, quanto più ci
si avvicinava alla pubblicazione, tanto più diventavano evidenti gli ostacoli. Fu la sapienza
editoriale di Luciano Foà, a un certo punto, a pilotare i vari libri unici verso una sola
collana: la Biblioteca. All’inizio ci sembrò quasi un ripiego, da accettare a malincuore,
mentre era l’unica soluzione giusta. Ora occorreva trovare un nome – qualcosa di neutro e
onnicomprensivo. (Ibidem).
222
Roberto Calasso, L’editore come genere letterario, in La follia che viene dalla
Ninfe, cit.
223
Ivi, pp. 117-119-123.
86
L’EDITORE COME AUTORE
l’impaginazione, i caratteri, la carta224». E nei brevi testi
introduttivi che questi scriveva personalmente su ogni libro che
pubblicava egli individua «il primo accenno al fatto che tutti i
libri pubblicati da un certo editore potevano essere visti come
anelli di un’unica catena, o segmenti di un serpente di libri, o
frammenti di un singolo libro formato da tutti i libri pubblicati
da quell’editore225». Calasso trova in Manuzio il modello e
nella sua produzione anche l’archetipo del “libro unico” da lui
teorizzato, cioè la Hypnerotomachia Poliphili. In questo suo
descrivere l’editoria come «arte di pubblicare libri226», Calasso
si rifà a quanto detto da Claude Lévi-Strauss definendo
l’elaborazione di miti come una particolare forma di bricolage,
poiché la maggior parte è costituita da elementi già pronti, molti
dei quali derivati da altri miti; in questa ottica egli spiega
«suggerisco sommessamente di considerare anche l’arte
dell’editoria come una forma di bricolage»; egli invita ad
immaginare una casa editrice come «un unico testo formato non
solo dalla somma di tutti i libri che vi sono stati pubblicati, ma
anche da tutti gli altri suoi elementi costitutivi, come le
copertine, i risvolti, la pubblicità227». Partendo da questo
presupposto sarà possibile arrivare al concetto di “Editoria
come genere letterario”: «Immaginate una casa editrice in
questo modo e vi troverete immersi in un paesaggio molto
singolare, qualcosa che potreste considerare un’opera letteraria
224
Roberto Calasso, L’editoria come genere letterario, in La follia che viene dalla Ninfe,
cit. pp. 118-119.
225
Roberto Calasso, L’editoria come genere letterario, in La follia che viene dalla
Ninfe, cit., pp. 115-117.
226
Ivi. pp. 115.
227
Ivi, p. 124.
87
L’EDITORE COME AUTORE
in sé, appartenente a un genere specifico. Un genere che vanta i
suoi classici moderni: ad esempio i vasti domini di Gallimard
che dalle tenebrose foreste e dalle paludi della “Série Noire” si
estendono agli altopiani della “Pléiade”228». Dopo aver
delineato questa mappa Calasso mette in luce un concetto
fondamentale, quello del “rifiuto”, secondo cui l’editoria è
anche l’arte del «dire no»:
Considerate le case editrici in questa prospettiva, apparirà forse più chiaro
uno dei punti più misteriosi del nostro mestiere: perché un editore rifiuta
un certo libro? Perché si rende conto che pubblicarlo sarebbe come
introdurre un personaggio sbagliato in un romanzo, una figura che
rischierebbe di squilibrare l’insieme e snaturarlo229».
Proprio in questa capacità si fonda il prestigio di un editore, nel
saper esprimere un giudizio: «Non si dà marchio che non si
fondi su una netta, recisa selettività e idiosincraticità delle scelte.
Altrimenti la forza del marchio non riesce a elaborarsi e
svilupparsi230». Nel recente discorso tenuto a Parigi alla giornata
228
Così prosegue il testo: «includendo però anche varie graziose città di provincia o
insediamenti turistici che talvolta assomigliano ai villaggi Potēmkin di cartapesta eretti
in questo caso non per la visita di Caterina ma per una stagione di premi letterari. E ben
sappiamo che, quando giunge a espandersi in questo modo, una casa editrice può
assumere un certo carattere imperiale. Così il nome Gallimard suona fin nei lembi più
remoti dove si spinge la lingua francese.» (Ibidem. pp. 115-117). La definizione di una
casa editrice come un impero è stata data anche da Gian Carlo Ferretti riferendosi a
Rizzoli. Si consulti il paragrafo L’impero Rizzoli in GIAN CARLO FERRETTI, Storia
dell’editoria letteraria in Italia. 1945-2003, Torino, Einaudi, 2004, pp. 16-24.
229
Ivi, p. 125-126.
230
ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro
l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p.
44
88
L’EDITORE COME AUTORE
sulle prospettive dell’editoria nell’era digitale, organizzato dal
Bureau de l’édition française, Calasso ha ribadito questo
concetto in opposizione all’omologazione in cui è immersa la
produzione editoriale odierna. Nel descrivere il panorama del
passato ritorna il concetto di “idiosincraticità”:
E fu proprio nel primo decennio del Novecento che si manifestò la novità
essenziale: l'idea della casa editrice come forma, come luogo altamente
idiosincratico che avrebbe accolto opere reciprocamente congeniali, anche
se a prima vista divergenti o addirittura opposte, e le avrebbe rese pubbliche
perseguendo un certo stile precisamente delineato e ben distinto da ogni
altro231.
Tale descrizione sembra coincidere anche con quella della casa
editrice Adelphi. Quello che Calasso critica dello stato attuale è
la poca distinzione tra una casa editrice ed un'altra tanto da poter
parlare di obliterazione dei profili editoriali232. Infatti, mentre
nei primi decenni del novecento le case editrici avevano
sviluppato «un profilo ben netto e inconfondibile, definito non
soltanto dagli autori pubblicati e dallo stile delle pubblicazioni,
ma dalle molte occasioni - in termini di autori e di stile - a cui
quelle stesse case editrici avevano saputo dire no233», nel primo
decennio del ventunesimo secolo si sta andando incontro ad un
231
ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro
l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p.
44.
232
Ibidem.
233
Ibidem.
89
L’EDITORE COME AUTORE
fenomeno del tutto opposto, cioè «un progressivo appannamento
delle differenze fra editori234»:
A rigore, come ben sanno gli agenti più accorti, oggi tutti competono per gli
stessi libri. (…) Tutto questo si avverte nei programmi e innanzitutto nei
catalogues, quei bollettini assai significativi con i quali i libri vengono
presentati ai librai - e che ormai hanno raggiunto un alto tasso di
interscambiabilità, per il linguaggio, le immagini (incluse le foto degli
autori) e le motivazioni suggerite per la vendita infine per l'aspetto fisico
dei libri235.
Calasso, però, sostiene che anche se da tempo non si vedono più
nascere imprese ispirate a quelle «vecchie e sempre nuove
idee236», quell’idea di editoria da lui illustrata, che ha
caratterizzato il ventesimo secolo, non è obsoleta. Egli sottolinea
l’importanza del giudizio portando come esempio la collana
pubblicata da Kurt Wolff agli inizi del novecento intitolata «Der
Jüngste Tag», non a caso «Il giorno del giudizio», che ospitò
esordienti di prestigio, quali Franz Kafka. Nel motivare il perché
questa collana ottenne subito il favore del pubblico, Calasso
sostiene che c’era qualcosa di sotteso che «si poteva già
percepire nel nome della collana: sottintendevano un giudizio,
che è la vera prova del fuoco per l'editore. In mancanza di quella
234
ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro
l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p.
44.
235
Ibidem.
236
Ibidem.
90
L’EDITORE COME AUTORE
prova, l'editore potrebbe anche ritirarsi dalla scena senza essere
troppo notato e senza suscitare troppi rimpianti»237. Va precisato,
però, che nel compiere questo discorso, Calasso, da vero editore,
non si limita al mondo delle idee e degli ideali, ma anche alla
concretezza, poiché pubblicare i libri è «un’arte in tutti i sensi, e
sicuramente un’arte pericolosa perché, per esercitarla, il denaro è
un elemento essenziale238». Logicamente, trattandosi comunque
di un’impresa, un buon editore deve tener conto di entrambi gli
aspetti, senza scendere a compromessi:
Una buona casa editrice sarebbe – se mi è concessa la tautologia – quella
che si suppone pubblichi, per quanto possibile, solo buoni libri. Quindi,
per usare una definizione sbrigativa, libri di cui l’editore tende ad essere
fiero, piuttosto che vergognarsene. Da questo punto di vista, una tale casa
editrice difficilmente potrebbe rivelarsi di particolare interesse in termini
economici. Pubblicare buoni libri non ha mai reso spaventosamente ricco
nessuno239.
Anche in base a queste considerazioni è possibile affrontare
alcune scelte degli editori, quali il rifiuto o l’accettazione scelta
di un libro nella propria “scuderia”. Come spiega Calasso sono
due i criteri che muovono un editore, il primo è di natura
letteraria: «Considerando le case editrici in questa prospettiva,
apparirà forse più chiaro uno dei punti più misteriosi del nostro
237
ROBERTO CALASSO, “Il segreto dell'editoria è l'arte di «dire no». Contro
l'omologazione culturale, riscopriamo la critica”, 1 dicembre 2011, Corriere della Sera, p.
44.
238
ROBERTO CALASSO, L’editoria come genere letterario, in La follia che viene
dalla Ninfe, cit., pp. 115-117.
239
Ivi, p. 115.
91
L’EDITORE COME AUTORE
mestiere: perché un editore rifiuta un certo libro? Perché si
rende conto che pubblicarlo sarebbe come introdurre un
personaggio sbagliato in un romanzo, Il secondo, invece, è di
natura commerciale:
Un secondo punto riguarda il denaro e le copie: seguendo questa linea si
sarà costretti a prendere in considerazione l’idea che la capacità di far
leggere (o, per lo meno, comprare) certi libri è un elemento essenziale
della qualità di una casa editrice. Il mercato – o la relazione con quello
sconosciuto, oscuro essere che viene chiamato «il pubblico» - è la prima
ordalia dell’editore, nell’accezione medioevale del termine: una prova del
fuoco che può anche mandare in fumo considerevoli quantità di
banconote240.
È proprio su questo punto che si gioca l’abilità di un editore,
cioè nella sua capacità comunicativa, nel suo saper cogliere
sempre le esigenze e i gusti del pubblico, anche quando si
discostano dal proprio gusto personale. Ecco che a volte per
l’uomo di cultura è necessario il compromesso a fronte delle
necessità economiche:
Sulla capacità di intuire l’autenticità di un’esigenza del pubblico, e non
sulla capacità di distinguere autori buoni da altri meno buoni, si gioca
prima di tutto la scommessa di ogni editore. Il percorso della storia
dell’editoria è lastricato dei cadaveri di editori geniali che, con istinto da
ricercatori, anticipavano splendide idee di cui il pubblico non sentiva
l’esigenza, e di questo sublime peccato sono professionalmente morti. (…)
Il lavoro culturale di un editore consiste nel capire per tempo la cultura dei
240
Roberto Calasso, L’editore come genere letterario, in La follia che viene dalla
Ninfe, cit. pp. 115-117.
92
L’EDITORE COME AUTORE
lettori, anche quando essa non si evolve nella direzione che l’editore,
come uomo di cultura, preferirebbe
241
.
In conclusione Calasso riunisce quanto detto in poche parole:
A questo punto la mia tesi dovrebbe apparire abbastanza chiara. Aldo
Manuzio e Kurt Wolff non fecero nulla di sostanzialmente differente, a
distanza di quattrocento anni l’uno dall’altro. Di fatto praticavano la stessa
arte dell’editoria – benché quest’arte possa passare inosservata agli occhi
dei più, editori inclusi242.
Interessante questa frecciata lanciata nei confronti “dei più”, tra
i quali annoverare anche la maggior parte degli editori. Inoltre
egli sottolinea la necessità di una «cura appassionata
e
ossessiva della veste di ogni volume». Non a caso in
un’intervista in cui spiegava le modalità di scelta delle
copertine dei libri Adelphi, egli parla di questa fase del lavoro
editoriale come “arte dell’ecfrasi”. Specificando che l’ecfrasi
era il termine con cui nella Grecia antica si indicava per quel
procedimento retorico che consiste nel tradurre in parole le
opere d’arte, Calasso spiega: «Ora, l’ editore che sceglie una
copertina – lo sappia o no – e l’ultimo, il più umile e oscuro
discendente nella stirpe di coloro che praticano l’arte
dell’ecfrasi, ma applicata questa volta a rovescio, quindi
tentando di trovare l’equivalente o l’analogon di un testo in una
241
Dario Moretti, Il lavoro editoriale, Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 10-11.
ROBERTO CALASSO, L’editore come genere letterario, in La follia che viene
dalla Ninfe,cit., pp. 115-117.
242
93
L’EDITORE COME AUTORE
singola immagine243». In questo caso il giudice non sarà solo
l’editore, ma il pubblico: «L’immagine che deve essere
l’analogon del libro va scelta non da sé, ma anche e soprattutto
in rapporto a un’entità indefinita e minacciosa che agirà da
giudice: il pubblico244» Egli racconta quanto nella casa editrice
avessero cura per la scelta della copertina di ogni singolo libro,
senza mai delegarla a qualcuno, poiché:
L’arte dell’ecfrasi a rovescio ha bisogno di tempo – di molto tempo – per
svilupparsi, espandersi, respirare. La sua mira è un reticolato di immagini
che non solo rispondano ciascuna a un singolo oggetto (il libro per il quale
vengono usate), ma si rispondano fra loro, in modo non troppo dissimile da
come i vari libri della collana possono rispondersi fra loro. Così si sono
creati strani fenomeni di affinità irresistibile, per cui certi pittori venivano
calamitati da certi autori245
243
ROBERTO CALASSO, “In copertina metteremo un Beardsley”, La Repubblica, 28
dicembre 2006, p. 54.
244
ROBERTO CALASSO, “In copertina metteremo un Beardsley”, La
Repubblica, 28 dicembre 2006, p. 54.
245
Ibidem.
94
CAPITOLO III
L’EDITORE MILITANTE
Teorie a confronto
3.1 ANDRÉ SCHIFFRIN
3.1.1 Una «nuova ideologia del mestiere»
André Schiffrin, figlio dell’editore Jaques Schiffrin246 e a sua
volta editore in prima persona, sta conducendo da più di dieci
anni una battaglia culturale a favore dell’editoria indipendente e
di valore, denunciando il fenomeno sempre più rilevante delle
concentrazioni, cioè dell’accorpamento di più case editrici sotto
un unico marchio il cui fine è principalmente, se non
esclusivamente il profitto. Il momento centrale che ha dato
inizio al dibattito su queste tematiche è legato alla
pubblicazione nel 1999 di Editoria senza editori247 in cui lo
studioso affronta in modo diretto e incisivo tali problematiche
che erano già state accennate, ma mai in modo così esplicito.
Lo stesso titolo del libro riprende quello di un articolo248 di
Jérôme Lindon pubblicato su “Le Monde” nel 1998, in cui già
246
Per un approfondimento delle vicende editoriali e politiche di Jaques Schiffrin si veda:
ANDRÉ SCHIFFRIN, Libri in fuga. Un itinerario politico fra Parigi e New York, (a cura
di Valentina Parlato), Roma, Voland, 2008. (I edizione: A political education. Coming of
Age in Paris and New York, 2007).
247
ANDRÉ SCHIFFRIN, Editoria senza editori, Torino, Bollati Boringhieri, 2000.
(Edizione originale: L’Édition sans éditeurs, La Fabrique- Éditions, Paris, 1999).
248
JÉRÔME LINDON, L’Édition sans éditeurs, in “Le Monde”, 9 giugno 1998.
95
L’EDITORE MILITANTE
si affrontavano le medesime questioni. Il testo di Schiffrin
analizza soprattutto il panorama statunitense senza però
tralasciare il confronto con l’Europa, in particolare con la
Francia. Negli anni l’analisi si è estesa anche all’Inghilterra,
con qualche accenno all’Italia con la pubblicazione di altri due
saggi: Il controllo della parola249, del 2005, e Il denaro e le
parole250 edito nel 2010. L’editore che Schiffrin teorizza è una
persona svincolata dai legami con gruppi di interesse
economico e politico, che persegue i suoi ideali mantenendo
l’indipendenza e combattendo per essa. In questo senso si può
parlare di editore militante. La questione delle concentrazioni,
secondo lo studioso è strettamente legata a quella della libertà
di espressione. In questo sistema economico egli vede una
minaccia per la libertà editoriale ed effettua una teoria del
controllo della parola.
Queste idee si sono sviluppate e ampliate di pubblicazione in
pubblicazione, tanto che i tre saggi descritti potrebbero essere
racchiusi in una sola opera. A partire da Editoria senza editori
André Schiffrin disegna un quadro drammatico dell’editoria
negli Stati Uniti e mette in allerta i paesi europei, come Francia
e Italia, che a suo avviso, rischiano di cadere negli stessi errori.
Partendo dalla storia della prestigiosa casa editrice Pantheon
Books, l’autore ripercorre le vicende di numerose piccole case
editrici americane che sono state distrutte dal fenomeno della
249
ANDRÉ SCHIFFRIN, Il controllo della parola, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. (I
edizione: Le contrôle de la parole/Controlling the Media, Paris, Le Fabrique éditions,
2005).
250
ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, Roma, Voland, 2010. (Edizione
originale: L’argent et les mots/Words & Money, La Fabrique- Éditions, Paris, 2010).
96
L’EDITORE MILITANTE
concentrazione editoriale. Lo studioso spiega che in poco tempo
l’editoria americana è passata da uno stato relativamente
artigianale, ad un’industria dominata da grandi gruppi che
svolgono attività non solo nel campo dell’informazione, ma
anche del divertimento, o meglio dell’entertainment. Questo ha
fatto sì che le case editrici acquistate sono state a poco a poco
mutilate delle opere serie e destinate all’insegnamento
(textbooks divisions), per lasciare spazio ai bestsellers. Secondo
Schiffrin il vero problema risiede nella commercializzazione
delle idee, nell’industrializzazione dell’editoria e nel controllo
della cultura da parte di grandi gruppi internazionali che
esigono un rendimento senza comune misura con le norme
dell’editoria. Questo problema non è circoscrivibile solo agli
Stati Uniti, basti pensare che delle cinque ditte che controllano
l’80% del mercato americano, tre appartengono a gruppi
europei: Bertelsmann ha il controllo di più del 30% della
vendita di libri negli Usa, e i gruppi inglesi Pearson e Murdoch
regnano su una fetta consistente della parte rimanente di
mercato. Conseguenza di queste concentrazioni è la morte della
piccola editoria indipendente, costretta a passare da un
rendimento del 3 o 4 per cento, a richieste del 15 per cento.
Spiega Schiffrin che l’editore tedesco Klaus Wagenbach
definisce tale tasso di rendimento come la todes zone, cioè la
zona mortale in cui nessuna editoria di valore può sopravvivere.
Il problema risiede alla base, in quanto lo scopo finale dei
grandi gruppi internazionali non è quello di pubblicare più libri,
ma di raccogliere i titoli più redditizi delle varie case che hanno
97
L’EDITORE MILITANTE
acquistato e magari eliminare i rimanenti. In questo caso non si
tratta di un’operazione che bilancia qualità ed esigenze di
mercato, ma volta esclusivamente al guadagno. Schiffrin a
sostegno di questa teoria, ha studiato i cataloghi delle maggiori
case editrici americane: HarperCollins, Simon & Schuster e
Random House. Dall’analisi è emerso che prolificano i best
sellers, mentre alcuni tipi di titoli che appartenevano a quegli
editori in passato, ora sono letteralmente scomparsi dal
catalogo: su 500 titoli pubblicati, non c’è un libro di storia
serio, una traduzione, un’inchiesta scientifica, non ci sono testi
di teologia, filosofia e storia dell’arte. È interessante una
considerazione fatta dall’autore nel recente Il denaro e le
parole251 in cui riprende la trattazione di questo fenomeno che
purtroppo continua a sussistere: «Un giorno ho detto
scherzando che si era passati dall’infanticidio, abbandonando
nuovi titoli senza grandi speranza di vendite, all’aborto,
rompendo contratti di titoli già esistenti e che non erano più
considerati interessanti dal punto di vista finanziario. Oggi
siamo arrivati alla contraccezione: si fa in modo che questo
genere di titoli non entrino più nel processo produttivo252». In
precedenza negli Stati Uniti le case editrici indipendenti erano
numerose e attive, ora riescono a raggiungere solo il 20 per
cento della produzione del paese. L’autore fa notare che anche
la Francia presenta la stessa situazione, in quanto il 60 per cento
251
ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, Voland, Roma, 2010.
252
Ivi, p. 22.
98
L’EDITORE MILITANTE
della produzione appartiene ai due colossi Vivendi e Lagardére,
ma c’è una differenza che si gioca sulla qualità. Infatti Schriffin
mette in evidenza che molti dei di libri di valore che vengono
pubblicati provengono da case editrici autonome, spesso
familiari, come Gallimard, Le Seuil, Minuit, Flammarion.
Proprio queste case editrici di prestigio hanno un tasso di
rendimento molto basso, ma sufficiente per realizzare un
catalogo pregiato. La stessa situazione era presente negli Usa
prima del fenomeno delle concentrazioni, dopo il quale i grandi
gruppi hanno preteso dalle loro case editrici di moltiplicare gli
introiti, quindi hanno alzato il tasso di rendimento al 15 per
cento. Tale pretesa è nata dal fatto che questi gruppi facendo
parte dell’industria dell’entertainment, si sono trovati a dover
confrontare gli utili delle case editrici acquistate con quelle
delle radio, delle televisioni, dei giornali e delle riviste (ambiti
più remunerativi) e da qui e sorto il problema: come avrebbero
potuto giustificarsi di sovvenzionare i loro editori di libri a
spese di altre società del gruppo? Da qui la necessità di alzare il
livello al 15 per cento. Per poter raggiungere una cifra così alta
gli editori hanno snaturato il loro catalogo pubblicando
bestsellers. Ma spesso questo non è bastato, quindi tante case
editrici si sono sentite costrette a cercare nuove case editrici da
comprare poiché un tale tasso di crescita non si poteva
raggiungere con i soli libri del gruppo. Tale situazione ha
trasformato anche il ruolo degli editori che sono divenuti degli
investitori alla disperata ricerca di bestsellers o di case editrici
da acquistare non solo per soddisfare i nuovi proprietari, ma
99
L’EDITORE MILITANTE
anche le banche con cui si erano indebitati. Questo ha fatto si
che tanti direttori abbiano subito una trasformazione, che lo
studioso ha definito come una “nuova ideologia del mestiere”,
secondo cui gli editori inglobati nel sistema dei grandi marchi si
sono adattati a imitare lo stile di vita dei loro “omologhi di
Hollywood”, hanno uffici lussuosi come quelli dei banchieri, si
riuniscono in luoghi prestigiosi, tutto per mantenere un nuovo
status sociale.
Nel libro Il controllo della parola, riprendendo il tema, egli
parla della “concentrazione come metodo”, spiegando come
ormai tale sistema sia avvertito come una un’abitudine o
addirittura una necessità. Egli inoltre postula un legame
fondamentale tra produzione e diffusione, riprendendo la
famosa considerazione di Pierre Bourdieu per cui «la diffusione
determina la produzione» giungendo, così, all’uniformazione
dell’offerta. Anche alla luce del pensiero di Henri Bergson, il
quale sosteneva che «chi controlla la distribuzione controlla il
mondo». Schiffrin evidenzia quanto il dominio dell’industria
dei contenuti comporti un controllo sul cittadino. In questo
testo, scritto a sei anni di distanza dal primo, l’autore dipinge un
quadro sicuramente meno roseo rispetto al precedente, ove si
intravedeva una speranza per l’Europa. In particolare, con la
presa in esame del caso francese, dove nel 2003 si è compiuta la
fusione degli ex uo polisti Hachette e Vivendi creando uno
sbilanciamento pesante nel panorama editoriale francese. Anche
la successiva vendita della casa editrice Seuil ha segnato un
cambiamento negativo nella mappa dell’editoria francese. Lo
100
L’EDITORE MILITANTE
studioso continua a sostenere e rafforzare le sue teorie
nell’ultimo libro Il denaro e le parole, ove presenta aggiorna i
dati e il quadro descritto dieci anni prima. Come aveva previsto
la situazione non è migliorata: lo studioso prende come esempio
la HarperCollins che negli anni ’60 era una valida casa editrice,
mentre ora è di proprietà di Rupert Murdoch. Ecco come
Schiffrin commenta il suo stato: “La produzione attuale
giustifica appieno la loro pretesa di far parte dell’industria
dell’intrattenimento (entertainment industry), dal momento che
legano ogni volta che è possibile l’uscita di un libro a quella di
un film o di una serie televisiva253”. Schriffin sottolinea anche i
problemi relativi agli scrittori che sempre più raramente trovano
un editore e nel caso in cui ci riescono non guadagnano
granché. Inoltre la pressione per mantenere i profitti alti porta
gli editori a soluzioni drastiche come i licenziamenti, problema
attualissimo visto che con la recessione attuale centinaia di
persone hanno perso il lavoro. La concentrazione porta anche a
risultati stranianti a livello di produzione, prima impensabili,
come nel caso del gruppo Knopf che ha acquistato due case
editrici ai due poli opposti della proposta editoriale: Doubleday
e Pantheon. Ora, visto che le redazioni sopravvissute sono state
fuse in un’unica centralizzata, i loro libri vengono prodotti
insieme, senza indicare l’editore originario, visto che ormai,
nella nuova situazione, il marchio è divenuto inutile e ha perso
il suo senso iniziale.
253
ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, cit., p. 22.
101
L’EDITORE MILITANTE
Di fronte a tale situazione Schiffrin vede la salvezza nella
piccola editoria indipendente che continua a proporre traduzioni
e pubblicazioni di valore. Ma, visto il panorama che la
circonda, questo tipo di editoria va assolutamente tutelata. Lo
studioso propone varie soluzioni, in primis un aiuto pubblico,
magari inserito all’interno del quadro generale del sostegno alle
istituzioni culturali: “Insisto sugli aiuti regionali e locali perché
in questi tempi difficili dal punto di vista economico, non ci si
può aspettare granché dai governi centrali, spesso bloccati dal
loro conservatorismo e dai tagli al budget. Molti editori inoltre
temono le pressioni politiche che potrebbero accompagnarsi a
un finanziamento statale254”. Nell’eventualità che gli aiuti
regionali si interrompessero a causa di cambiamenti politici, le
case editrici potrebbero sempre ricorrere ad organismi sullo
stile del CNL (Centre National du Livre) francese, cioè un
centro dipendente dal Ministero della Cultura, che destina una
parte considerevole del suo bilancio alla salvaguardia del libro.
Come esempio di governo che si è impegnato a mantenere
un’editoria indipendente, l’autore ci presenta la Norvegia.
L’autore pone fiducia anche nell’Università, prendendo in
esempio il caso fortunato di Raison d’Agir, la casa editrice
creata da Pierre Bourdieu nel suo ufficio al Collège de France
che ha riscosso un grande successo nella produzione di testi
politici, riuscendo a vendere centinaia di migliaia di copie
mentre le grandi case editrici avevano da tempo abbandonato
254
ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, cit., p. 32.
102
L’EDITORE MILITANTE
questo campo. Nonostante la positività dei risultati nessun’altra
istituzione universitaria francese ha provato a ritentare
l’esperienza, mentre secondo l’autore: “quasi tutte le grandi
strutture universitarie hanno case editrici interne e potrebbero
prestare o affittare uffici e attrezzature ai piccoli editori255”.
Secondo l’autore bisogna anche creare una sensibilizzazione:
«Ma in fondo la prima tappa del dibattito dovrebbe essere la
pubblicazione di libri che studiano seriamente i problemi
dell’editoria e propongano soluzioni adatte al quadro politico di
ogni paese d’Europa256».
3.2 JANINE E GREG BRÉMOND
3.2.1 Un’«editoria condizionata»
Nel 2002 esce “Editoria condizionata257” di Janine e Greg
Brémond che sulla scia di Schiffrin denunciano la questione
della concentrazione e di tutte le conseguenti problematiche in
Francia. Gli autori mostrano che in Francia, come negli USA,
sta sparendo il libro inteso come creazione intellettuale e ci si
sta spostando sempre di più verso il prodotto. Quindi,
considerato che un’editoria libera e valida è garanzia di
democrazia, gli autori sostengono che il libro e la democrazia
255
256
ANDRÉ SCHIFFRIN, Il denaro e le parole, cit., p. 31.
Ivi, p. 79.
257
JANINE e GREG BRÉMOND, Editoria condizionata, Milano, Edizioni Sylvestre
Bonnard, 2003. (I edizione: L’édition sous influence, Paris, Edition LIRIS, 2002).
103
L’EDITORE MILITANTE
stessa sono in pericolo. Infatti sono il profitto e la logica di
potere ad orientare la produzione dei libri e quindi l’editoria
rispondendo a logiche mercantili sta perdendo il suo ruolo di
diffusore delle idee. Questo comporta un utilizzo smodato del
marketing che concepisce i lettori come “consumatori di libri” e
ad una manipolazione occulta degli stessi poiché le major
editoriali sono anche le major della comunicazione. Secondo
questo
sistema
il
ruolo
della
diffusione
è
divenuto
preponderante rispetto a quello della domanda, di conseguenza
si ha un processo di uniformazione del libro. Anche gli autori si
rifanno
alle
parole
di
Bourdieu
in
Una
rivoluzione
conservatrice nell’editoria258 secondo cui “la diffusione
determina
la
produzione259”
con
una
conseguente
“uniformazione dell’offerta”. Ecco che prolificano i “livresfrères” (libri fratelli) che, pur non cadendo nel plagio, si
caratterizzano per contenuti del tutto similari. Inoltre, anche se
esistono ancora piccoli e medi editori, spesso la loro
indipendenza è illusoria e apparente, in quanto in qualche
modo, o per la diffusione o per una collaborazione, sono legati
ai grandi gruppi editoriali, in quanto il potere delle major si
estende ben al di là delle case editrici da essa detenute.
Come spiegano gli autori, il problema della concentrazione, che
già aveva preso il via negli anni ’70 per poi svilupparsi negli
’80, era già stato denunciato da Gabriel Enkiri, nel suo libro
258
PIERRE BOURDIEU, Une révolution conservatrice dans l’édition, “Actes de la
Recherche en sciences socilaes”, 1999.
259
PIERRE BOURDIEU, Contre-feux 2, Paris, Raisons d’agir editions, 2000, p. 78.
104
L’EDITORE MILITANTE
Hachette, la pieuvre: témoignage d’un militant260. Tale
fenomeno, però, è rimasto leggermente occultato dal fatto che i
due più grandi gruppi editoriali francesi “Vivendi” e
“Legardére” hanno avuto l’accortezza di conservare il nome
delle società editrici acquistate, trasmettendo la sensazione che
la sostanza e la diversità degli editori non è cambiata. Questa
scelta che Janine e Greg Brémond hanno definito come una
“concentrazione mascherata” è un’operazione molto fine in
quanto il nome di una casa editrice è prezioso poiché racchiude
ed esprime valori emotivi.
Un’altra questione su cui gli studiosi mettono in allarme è
quello
della
globalizzazione
del
libro,
in
particolare
dell’editoria scolastica. Basti considerare che “Vivendi” detiene
il 40% dell’insieme del mercato francese nel settore scolastico.
Se si prende in considerazione anche “Legardére”, la quota
dell’editoria scolastica controllata dai due colossi può essere
valutata in tre quarti del mercato. Bisogna sottolineare che
“Vivendi” è il secondo gruppo al mondo di libri educativi
poiché non comprende solo marchi francesi (Nathan, Bordas,
Larousse…), ma europei (Anaya in Spagna…) e americani
(Attica e Scipione in Brasile…). Il rischio di questa situazione è
che la formazione delle nuove generazioni entra nella
globalizzazione. Internet stesso rafforza il dominio dei due
giganti, come nel caso di “Vivendi” che ha investito 25 milioni
260
GABRIEL ENKIRI, Hachette, la pieuvre: témoignage d’un militant CFDT, Paris: Gitle-Coeur, 1972.
105
L’EDITORE MILITANTE
di euro per realizzare il suo portale educativo education.com.
Questa sinergia e complementarietà tra i manuali scolastici e i
contenuti del portale porterà ad un isolamento dei piccoli editori
che non possono sostenere le stesse spese dei grandi.
Conseguenza di questo sarà una riduzione delle scelte
pedagogiche offerte agli insegnanti.
Gli autori spiegano come la ricerca spasmodica della redditività
a breve termine ostacola la pubblicazione dei libri innovativi, in
quanto in una grande impresa evita l’assunzione di rischi.
Questo atteggiamento, però, porta anche al paradosso per cui
vengono respinti anche manoscritti la cui pubblicazione sarebbe
redditizia. Infatti i responsabili del marketing si guardano bene
dall’esaminare il contenuto specifico di un manoscritto, mentre
si soffermano soltanto sul rapporto tra l’argomento del libro e il
possibile cliente, o meglio target e i mezzi di diffusione. Di
conseguenza prolificano libri che trattano le stesse tematiche e
la
moltiplicazione
del
numero
dei
titoli
maschera
un’uniformazione profonda. Tale situazione è conseguenza del
fatto che i critici, i librai, i lettori, prima indipendenti tra loro,
oggi fanno parte di major che investono anche nella stampa,
nella televisione e nel cinema, quindi hanno un potere di
influenza sempre crescente e sfruttabile sul piano commerciale
attraverso la promozione sui media. Ecco che se prima degli
anni ’80 l’acquisto di un libro era condizionato essenzialmente
da una questione di fiducia verso l’editore, verso la collana e
verso l’autore, ora è condizionato da un’operazione di
manipolazione del lettore, o meglio del consumatore di libri.
106
L’EDITORE MILITANTE
Precedentemente l’editoria francese si basava su case editrici di
natura familiare, il cui direttore coincideva con il fondatore
della casa editrice o ne era un erede comunque cresciuto in
quell’ambiente. Spesso si trattava di appassionati di libri e la
scoperta di nuovi talenti era parte integrante del piacere della
vita professionale di un editore; il rapporto tra il dirigente della
casa editrice e l’autore era diretto. Naturalmente, trattandosi di
un’impresa, si badava anche al profitto, ma non era certo
l’obiettivo prioritario. Gli studiosi riportano come caso
esemplare di passaggio dalla fase tradizionale a quella attuale
l’esempio dell’editore “Hatier” che negli anni ’80 era ancora
indipendente e che in quel periodo aveva cominciato ad avviare
una serie di pratiche strategiche di influenza sugli acquisti sia
tramite i librai, sia tramite il contatto con i mezzi di
comunicazione. Ad esempio aveva distribuito ai librai degli
espositori su cui esporre esclusivamente i suoi libri, oppure
aveva curato l’ingresso dei suoi libri a più grande tiratura nella
rete delle “grandi superfici”, cioè super e iper-mercati
specializzati. Per quanto riguarda i nuovi rapporti con i media,
“Hatier” organizzò vari incontri con i giornalisti e creò dei veri
e propri eventi, ad esempio in occasione dell’uscita di un libro.
Questo tipo di incontri ha una grande importanza poiché
l’essere inviatati è una forma di riconoscimento sociale, quindi
facilita i rapporti con la stampa e con i librai. Quindi tale
strategia d’influenza consiste nel instaurare rapporti in cui i
soggetti hanno interesse ad orientare il loro comportamento a
vantaggio dell’editore. Naturalmente l’esempio di “Hatier” è
107
L’EDITORE MILITANTE
modesto
rispetto
al
nuovo
panorama
conseguente
la
concentrazione, dove il marketing, la pubblicità e lo scoop sono
divenuti parte integrante del lavoro dell’editore. Inoltre la
distribuzione massiccia del libro nei supermercati e nelle
“grandi superfici” ha ridotto il ruolo di consigliere del libraio.
Un altro cambiamento riguarda l’accorciamento delle distanze
tra i responsabili editoriali ed il reparto commerciale, come
spiega Fabrice Piault: “le concentrazioni si accompagnano a un
passaggio di poteri all’interno della catena editoriale261”. Questa
situazione porta ad un capovolgimento rispetto al classico
approccio decisionale per la pubblicazione di un libro, dove la
parola dei responsabili editoriali aveva un certo peso. Ora il
personale di una grande casa editrice vive una situazione di
insicurezza dovuta al fatto che ogni flessione nei risultati, ogni
reticenza nell’aderire alla cultura del marketing, rischiano di
portare ad una perdita di posizione all’interno del gruppo.
Conseguenza di questa incertezza è la sottomissione dei
responsabili editoriali alle leggi del marketing.
Il problema dei grandi gruppi come “Vivendi” risiede nel fatto
che,
trattandosi
della
seconda
impresa
mondiale
di
comunicazione, ha un forte controllo dei mezzi d’influenza. In
questo caso si può parlare di editoria integrata nella
comunicazione. Addirittura il libro non è più percepito come un
bene culturale, ma come una fonte di contenuto per le restanti
attività di comunicazione all’interno del gruppo. Basti pensare
che nel gruppo “Vivendi”, l’editoria, compresa la stampa di
261
FABRICE PIAULT, in L’édition française depuis 1945, a cura di Pascal Fouché,
Paris, Cercle de la Librairie, 1998.
108
L’EDITORE MILITANTE
periodici, rappresenta meno dell’8% del volume d’affari totale,
mentre in “Lagardère” appena il 7% del totale. Un altro
problema è quello delle alleanze tra questi gruppi; un esempio è
quello del gruppo tedesco “Bertelsmann” che dopo l’acquisto
dell’editore americano “Random House”, è il numero uno
mondiale dell’editoria; il suo presidente Thomas Middelhoff nel
1999 figurava tra gli amministratori di “Vivendi”. Un altro
potente mezzo di influenza è quello sulla stampa, infatti le
major grazie al loro budget pubblicitario, effettuano una grande
pressione, considerato che gli annunci rappresentano un’alta
percentuale del volume d’affari della carta stampata.
Chi soffre del potere dei grandi gruppi è anche il libro politico,
al cui garanzia è rappresentata più che mai dalla piccola editoria
indipendente. Gli studiosi hanno notato la tendenza nei leader
politici a cercare la pubblicazione dai grossi marchi come
“Vivendi”. Che un politico senta la necessità di venir pubblicato
da una major per essere letto, secondo gli autori, è una vera e
propria minaccia alla democrazia. Infatti significa dare alle
major il potere di controllare quali voci sia opportuno o meno
far sentire nel campo politico.
L’editoria è una forma di oligopolio “a frangia”, perché accanto
alle major si collocano editori meno potenti che costituiscono le
“frange” dell’oligopolio.
Gli studiosi spiegano che se si
trattasse di un vero e proprio oligopolio le imprese coinvolte
intratterrebbero solo rapporti di concorrenza. In Francia, invece,
tra le major si hanno rapporti di collaborazione che amplificano
gli effetti negativi della concentrazione sulla libertà di
109
L’EDITORE MILITANTE
espressione. Inoltre per le varie major conservare i marchi
editoriali delle case editrici acquistate, è uno stratagemma per
mascherare la concentrazione: “più il numero dei marchi è
importante, meno le opere di un editore nuovo potranno essere
notate dal pubblico. Il mantenimento di diversi marchi protegge
anche da eventuali reazioni negative di fronte a una situazione
che può essere percepita come egemonica262”.
Gli studiosi sottolineano che la situazione francese non ha
raggiunto la gravità di quella statunitense grazie alla presenza di
due editori generalisti di medie dimensioni, nonché di prestigio:
Le Seuil e Gallimard. Nello stesso tempo, però, specificano che
il loro carattere generalista è limitato in quanto sono
praticamente assenti nel settore scolastico e in quello dei
dizionari. Un altro fattore che ha aiutato sin ora l’editoria in
Francia, sono stati gli aiuti statali a difesa dell’editoria
indipendente e di conseguenza dei piccoli editori. La legge
Lang sul prezzo unico del libro vieta gli sconti superiori al 5 per
cento rispetto al prezzo consigliato dall’editore. Grazie a questa
legge sono state salvaguardate le piccole e medie librerie che
hanno potuto proporre i libri allo stesso prezzo delle grandi
superfici. Riportando tale esempio gli studiosi sostengono
quanto espresso da Schiffrin, cioè chelL’aiuto dello stato è
fondamentale per l’editoria indipendente, che altrimenti
secondo gli studiosi è letteralmente “strangolata” dalle major.
262
JANINE e GREG BRÉMOND, Editoria condizionata, cit., p. 94.
110
L’EDITORE MILITANTE
3.3 ALFREDO SALSANO
3.3.1 L’editore manager
Chi in Italia ha colto gli avvertimenti lanciati da Schriffin è
stato Alfredo Salsano, che, nella prefazione alla traduzione
italiana di Editoria senza editori sottolinea come in Italia la
concentrazione nel campo dell’editoria non ha raggiunto il
livello degli Stati Uniti e come ci siano dei margini per poter
mettere a frutto gli avvertimenti dello studioso americano.
Certo, anche l’Italia non ha un panorama roseo, visto il
passaggio di numerose case editrici di valore alla distribuzione
di scadenti prodotti cinematografici, o la subordinazione della
produzione a criteri di rendimento immediati. Tutti questi
elementi rappresentano “l’avvento di una «editoria senza
editori» liberale al punto di lasciare al solo mercato – lo stesso
mercato del fast food e dell’entertainment – la decisione sulla
pubblicabilità di quelle che un patetico arcaismo continua a
designare come «opere dell’ingegno»263”. Quello che Salsano
condanna non è la ricerca del profitto: “che l’editore lavori a
scopo di lucro è un’ovvietà264”, anzi fa anche riferimento a
Carmine Donzelli, quando a proposito del libro A scopo di
lucro265, da lui stesso edito, spiega: “Un progetto editoriale in
una società come la nostra è qualcosa, vale qualcosa solo se
definisce un equilibrio con un proprio pubblico e dunque con un
263
ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XIX.
Ibidem.
265
FRANCO TATÒ, A scopo di lucro. Conversazione con Giancarlo Bosetti
sull’industria editoriale, Roma, Donzelli, 1995.
264
111
L’EDITORE MILITANTE
mercato: e quando i conti non tornano, si fa forte il sospetto che
anche il progetto editoriale sia caduco o incoerente o in
declino266”. Quello che Salsano rifiuta è la caccia al catalogo
altrui, lo svilimento del prodotto, la rinuncia al progetto a lungo
termine per ottenere invece un rendimento immediato, tutti
elementi che nel campo culturale rappresentano la risposta
manageriale ad un problema squisitamente imprenditoriale.
Secondo l’autore è proprio questo spostamento dell’editore da
imprenditore a manager la causa del malessere dell’editoria
odierna: “un intervento manageriale è indispensabile quando si
passa dalla dimensione artigianale, familiare a quella di una
industria razionalizzata; ma in questo come negli altri settori il
manager non può sostituire l’imprenditore. E nel campo del
libro l’imprenditore è l’editore, colui che schumpeterianamente
innova: cambia l’organizzazione del processo di produzione
innova (…), e soprattutto cambia il prodotto, quel delicato
prodotto che è il libro per i suoi contenuti, per il suo rapporto
con gli sviluppi della società267”. Il problema dei managers è
legato al fatto che pur di triplicare o quadruplicare i profitti, non
valutano il progetto editoriale nel suo complesso, concependo
che ogni libro è collegato ad un altro della medesima collana,
ma esaminano libro per libro, singolarmente. Succederà quindi
che se un testo non presenta immediatamente le caratteristiche
vincenti per catturare una buona fetta di lettori, verrà rifiutato,
266
FRANCO TATÒ, A scopo di lucro. Conversazione con Giancarlo Bosetti
sull’industria editoriale, Roma, Donzelli, 1995, pp. VII.
267
ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XV.
112
L’EDITORE MILITANTE
uscendo dalla mentalità imprenditoriale per cui anche se un
libro inizialmente è deficitario, potrà sempre essere finanziato
da altri più commerciali o già affermati all’interno del catalogo.
Questo procedimento, che gli addetti ai lavori giustificano con
il termine “razionalizzazione”, in realtà produce solo un
appiattimento e un impoverimento del mestiere: “E il settore si
riduce, si contrae, si impoverisce di passione, di talento, di
speranze. Un management stupidamente caparbio continua
allegramente a puntare sul sogno di un profitto purchessia da
presentare al consiglio di amministrazione della holding di
turno, un profitto risicato e con il fiato sempre più corto. Anche
il libro, dopo anni di apparente immunità è vittima del
capitalismo nella sua fase matura, basato sulla contrazione
piuttosto che sullo sviluppo, sulla sistematica emarginazione di
gruppi di operatori, sospinti alla periferia e infine espulsi dal
settore produttivo268”. A riguardo è interessante l’immagine
presentata da Salsano che parla di “desertificazione” come
conseguenza della “monocoltura” dei bestsellers: “per analogia
con quanto i grandi gruppi della biochimica realizzano nel
campo dell’industria agroalimentare: dopo alcuni anni di uso di
pesticidi e di concimi chimici su monocolture di cui si detiene il
controllo delle sementi, il suolo si isterilisce e lascia il posto al
deserto, negli stati Uniti (…). E tutto fa pensare che le
biotecnologie (…) normalizzando e depauperando il patrimonio
genetico – riducendo la biodiversità – porteranno a nuove
catastrofi cui solo un’accresciuta dipendenza dalla tecnica potrà
268
L’importante è far finta di nulla, da “LN – libri Nuovi”, n. 8, inverno 1998, p. 38.
113
L’EDITORE MILITANTE
porre temporaneo rimedio…269”. Fortunatamente l’Italia segue
ancora con moderato entusiasmo l’editoria dei bestsellers, ma
non ne è immune. Lo studioso vede un barlume di speranza
nella piccola editoria, che fortunatamente in Italia continua a
resistere e a proliferare, ma che in ogni modo è a rischio
essendo stretta dalla morsa dei grandi gruppi editoriali, dalla
stasi del mercato e dalla difficoltà della distribuzione e delle
librerie indipendenti. Lo stesso Schiffrin nel suo ultimo saggio
mette in evidenza la fioritura in Italia nell’ultimo decennio di
centinaia di nuove case editrici confidando per esse in aiuti da
parte del governo e delle regioni. Salsano, però, appare più
scettico a riguardo, considerando Schiffrin “troppo fiducioso
nei governi «socialdemocratici» europei”. La soluzione di
Salsano consiste nel distinguere il libro come prodotto di massa
dal libro di cultura, a cui corrisponderanno due economie
distinte: l’una affidata ai managers, l’altra alla libera
imprenditorialità, confortata dal mercato di editori e librai di
cultura. Tra l’altro lo studioso evidenzia il fatto che questa
separazione si sta già realizzando concretamente a livello fisico:
per un bestseller si va direttamente al supermercato senza
sentire l’esigenza di recarsi in libreria, che invece sarà
indispensabile per l’acquisto di un saggio. Solo così sarà
possibile allargare il mercato del libro di cultura, che in Italia
esiste ed è forte, ma che a detta di Salsano, “soffre della
confusione con l’altro, così come il prodotto Prada soffrirebbe
269
ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XIX.
114
L’EDITORE MILITANTE
dall’essere distribuito alla Standa270”. L’autore, inoltre, ripone
molta speranza nella collaborazione tra editori, librai e lettori,
fiducia dimostrata anche con la creazione del progetto “Slow
book”, che vede la collaborazione di tutti questi attori volta alla
realizzazione del libro a “lenta rotazione”. Come è spiegato
nella sezione “Progetto” del sito: “Come è accaduto per
SlowFood, che ha saputo valorizzare il piacere e il gusto del
“ben mangiare” anche Slow Book finalizza il proprio sforzo
alla creazione di punti di contatto tra autori, editori, giornalisti,
promotori, librai, lettori. Suo scopo principale è quello di
garantire l’esistenza, e lo sviluppo potenziale, di un’editoria
libera nelle sue scelte e dotata di un elevato “valore aggiunto”,
dove per “valore aggiunto” si intende: “il lavoro contenuto in
un libro in forma di ricerca, attività redazionale, traduzione,
controllo delle fonti e rigore formale”271”. Secondo gli iniziatori
del progetto il ritmo di rotazione del libro ha ormai raggiunto il
parossismo. La produzione editoriale odierna consta di libri che
“durano poco”, la cui vita media non supera i 3/6 mesi e che
difficilmente supera i 15/20 giorni di esposizione sui banchi
delle librerie. Si sta dunque assistendo a un processo che rende
sempre più effimera l’esistenza del libro. Per i lettori diventa
infine un’ardua impresa trovare un libro pubblicato non 6, ma
addirittura 3 mesi prima. La permanenza di un testo in libreria è
ormai inferiore ai tempi di sviluppo del ”ciclo dell’attenzione”,
cioè il consiglio dell’amico che lo ha letto, il tempo di
produzione delle recensioni, il ritmo lento dei percorsi di studio
270
271
ALFREDO SALSANO, Presentazione, in Editoria senza editori, cit., p. XXIV.
http://www.slowbook.org/il%20progetto%20slow%20book.pdf
115
L’EDITORE MILITANTE
e di approfondimento individuali. Lo scopo del progetto è
creare una sinergia tra editori, librai e lettori al fine di garantire
una più lunga permanenza del libro di valore nelle librerie
interessate.
3.4 GIOVANNI PERESSON
3.4.1 La distribuzione come problema editoriale
Giovanni Peresson nell’opera Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale spiega come la distribuzione è un aspetto che
investe direttamente la natura del libro, molto più di quanto
comunemente si pensi, e tanto più oggi che ha acquistato una
centralità fondamentalmente nuova e diversa rispetto al passato,
tanto da poter parlare di «distribuzione come problema
editoriale272». Lo studioso spiega che anche in questo settore,
come in quelli merceologici, si è giunti a declinare il brand in
base ai diversi tipi di canali commerciali: outlet, centri
commerciali, grandi magazzini, ecc.
L’aspetto della distribuzione del libro che consente il
collegamento tra i diversi anelli della filiera (editore, le attività
dalla pre- alla post-stampa, i magazzini di lancio e di
rifornimento, i punti vendita, a partire dalle librerie, sino alle
edicole) fino a giungere al cliente/lettore finale, presenta
«fondamentali implicazioni con la specifica attività dell’editore:
272
GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in ALBERTO
CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura editoriale,
cit., p. 30.
116
L’EDITORE MILITANTE
sugli elementi che contraddistinguono il suo essere impresa e
ancor più sulla natura stessa del suo core business273». Secondo
lo studioso la distribuzione oggi è sempre più funzionalmente e
organicamente inglobata nella progettualità che concerne la vita
di una casa editrice. A tal proposito Cesare De Michelis in
L’editore è un operatore di logistica274 spiega come siamo di
fronte all’«emergere di una identità più concreta e pragmatica,
legata all’attività principale dell’editore che, nel suo piccolo, è
un operatore di logistica: infatti trasferisce dei testi da un luogo
a un altro, da una persona all’altra275». Secondo Peresson
l’editore di oggi, posto di fronte alla crisi della sua tradizionale
identità, conseguente al confronto con le tecnologie digitali,
all’allargamento dei mercati e alla necessità relazionarsi con
nuovi competitori, quali Microsoft, Google, Bit Toorent e
Wikipedia, che non provengono più dalla tradizionale filiera del
libro, ha la necessità di ripensare come questo suo essere da
sempre un “operatore di logistica”, si coniughi oggi con la sua
identità editoriale. Infatti «È nella distribuzione che si precisa e
si definisce nel pubblico - in quello dei librai innanzitutto, poi
dei lettori - il progetto editoriale della casa editrice276». Infatti è
proprio tramite questa fase, troppo spesso considerata come un
momento neutro di semplice cerniera di collegamento, che
avviene il vero e proprio incontro tra editore e lettore. L’editore
273
GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura
editoriale, cit., p. 28.
274
CESARE DE MICHELIS, L’editore è un operatore di logistica, intervista a cura di
Fabio Gambaro, in Dalla parte degli editori. Interviste sul lavoro editoriale, Milano,
Unicopli, 2001.
275
Ivi, p. 111.
276
Ivi, p. 30.
117
L’EDITORE MILITANTE
di oggi si trova ad affrontare sfide e situazioni assai nuove
rispetto al passato. In primo luogo si trova a dover affiancare e
integrare alla tradizionale tecnologia di distribuzione dei
contenuti le tecnologie digitali, caratterizzate da un alto grado
di flessibilità e da nuovi modi di distribuire e condividere i
contenuti. A tal proposito lo studioso si interroga sulla possibile
ideazione di un progetto editoriale non più costituito da libri,
ma da file pdf distribuiti in rete. Questa ipotesi nasce dal
confronto con il mercato della musica che in seguito
all’introduzione della distribuzione digitale dei file musicali ha
cambiato le politiche editoriali delle singole etichette; basti
pensare alla possibilità di creare delle antologie personali e il
conseguente cambiamento di impostazione lavorativa del
musicista e del cantante, che per costruire il proprio discorso
musicale non ha più la raccolta di canzoni, ma il singolo brano
da scaricare e condividere attraverso i sistemi di p2p. Un’altra
significativa trasformazione con cui si deve confrontare
l’editore di oggi è quella relativa ai cambiamenti che i canali di
vendita stanno avendo su vari fronti: nella dimensione (da
libreria a multistore), nella collocazione urbana (dal centro
storico, ai centri commerciali, alle stazioni e agli aereoporti),
nelle formule (da semplici librerie a luoghi d’incontro con caffè
e ristoranti) e nei processi economico-distributivi. Tutte queste
varianti toccano profondamente le possibilità e le modalità con
cui un editore entra in contatto con il suo lettore. Nonostante
l’importanza che investe nella progettualità di una casa editrice,
la fase della distribuzione è stata quella più ignorata e
118
L’EDITORE MILITANTE
tralasciata dagli studiosi del libro. Peresson sottolinea che non
esistono indagini esaustive circa i processi di trasformazione
della distribuzione e della libreria tra il XIX e il XX secolo.
Persino nel volume L’édition françasie depuis 1945 che
aggiorna l’Historie de l’édition françasie, testo preso a modello
di esaustività per molti studiosi del settore, soltanto in un
capitolo si affronta tale tematica277. A tal proposito lo studioso
parla di “appiattimento” della riflessione sulla distribuzione
attorno a due livelli: uno legato all’annuncio di nuove aperture
o rinnovo di librerie, o agli accordi tra le grandi catene, l’altro
incentrato sulla problematicità che si trova ad affrontare la
tradizionale libreria a gestione familiare di fronte alla nascita
delle grandi catene di librerie. L’impostazione di questi studi,
però, non ha mai un approccio speculativo volto ad interrogarsi
su come si sta riorientando la distribuzione dei libri, sia a livello
logistico e gestionale, sia in relazione ai nuovi format
caratterizzanti le nuove librerie. Inoltre la trasformazione non
ha riguardato solo le librerie, ma anche gli altri canali, come
internet, l’edicola, gli spazi vendita temporanei, quali fiere,
presentazioni, eventi e festival letterari, la vendita on line.
Anche la grande distribuzione organizzata (Gdo), che opera nei
supermercati, autogrill e grandi magazzini, ha acquistato
sempre più importanza, basti pensare all’affermazione di vere e
proprie librerie all’interno dei centri commerciali.
277
FRANÇOIS RICHAUDEAU, Le phénomène des club, in L’édition françasie depuis
1945, Parigi, Édition du Cercle de la Librairie, 1998, pp. 118-167.
119
L’EDITORE MILITANTE
3.4.2 La libreria come paratesto
Peresson ribadisce l’importanza della distribuzione in relazione
al
progetto
editoriale,
tanto
da
parlare
di
«assoluta
preminenza278» riguardo a questo momento della vita di un
libro, la cui cura comporta un miglioramento dell’efficienza del
sistema, la riduzione dei costi, un aumento dei margini
economici e la maggiore efficacia nei processi; inoltre questa
attenzione consente di prolungare il ciclo di vita del singolo
libro in libreria e sui banchi della Gdo. L’importanza del punto
vendita nel determinare l’acquisto di un libro è evidenziata
anche dai dati che lo studioso riporta. Se è vero che oggi il 51,4
% delle persone entra in libreria già sapendo cosa comprare (in
seguito alle pubblicità degli editori, alle recensioni, alle
presentazioni degli autori in tv o in radio, al passaparola), il
restante 48,6 % compie un acquisto d’«impulso279». Questo
significa che anche se la metà degli acquisti è determinata
dall’attività di comunicazione a cui fa capo l’ufficio stampa
della casa editrice, la restante metà degli acquisti si gioca nel
punto vendita. Ecco che acquista un’importanza significativa il
luogo dove si decidere di distribuire un determinato libro e le
modalità con cui verrà presentato. Come spiega Peresson «i
canali vendita non sono né neutri né indifferenti rispetto al
pubblico che li frequenta. Anzi selezionano lettori con
caratteristiche socio demografiche e culturali molto diverse tra
278
GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura
editoriale, cit., p. 38.
279
Fonte: Demoskopea per Aie, 2005.
120
L’EDITORE MILITANTE
loro. (…) i libri che vanno in libreria non sono gli stessi che
vanno in edicola o su l banco libri della Gdo280». Secondo lo
studioso il lettore prima di comprare un libro, “compra” il punto
vendita in base al livello di servizio che gli viene offerto e che
percepisce, ecco che «Insegna, arredo, layout, comunicazione,
merchandising,
segnaletica,
attività
newsletter,
di
presentazione,
esposizione
e
illuminazione,
articolazione
dell’assortimento ecc. costituiscono né più né meno che una
struttura paratestuale rispetto al progetto editoriale della casa
editrice281». Certo è che un libro come Le vie dei canti di
Chatwin non verrà letto allo stesso modo se il librario sceglierà
di collocarlo nel reparto “narrativa”, o “turistica”, “saggistica”,
o, addirittura “antropologia”. Questi compie un’interpretazione
che si inserisce tra editore e lettore, tanto che per lo studioso
non si può parlare di un rapporto diretto tra editore, il suo
progetto editoriale e lettore. In un certo senso, si può dire che la
distribuzione e le scelte del libraio attuino un ulteriore, se non
nuovo, conferimento di senso al libro. Nel punto vendita «le
proposte dell’editore e i suoi piani editoriali non hanno più lo
stesso valore che quest’ultimo gli conferisce nelle stanze della
sua casa editrice, e che ieri la libreria poteva ancora recepire
dall’editore e trasferire al pubblico dei lettori282». Le
trasformazioni intervenute possono far parlare di un nuovo
paradigma interpretativo il cui punto di partenza è la
280
GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura
editoriale, cit., p. 41.
281
Ivi, pp. 41-42.
282
Ivi, p. 43.
121
L’EDITORE MILITANTE
considerazione che il librario ha un suo prodotto a cui tiene
sopra ogni cosa: il proprio punto vendita. È proprio in questo
che si gioca la differenza tra editore e libraio: mentre per
l’editore è il libro il primo oggetto d’interesse, per il librario è
rappresentato dal negozio e dall’assortimento degli 800-900
editori selezionati. Inserito in questo nuovo contesto il libro
mantiene parte degli elementi di marketing mix conferitigli
dall’editore, ma altri vengono aggiunti e creati dalla libreria
stessa, come la cortesia, la competenza, l’arredo, l’ubicazione,
ecc. e soprattutto la collocazione e l’assortimento che il libraio
crea tra titoli appartenenti a progetti editoriali ed editori diversi.
Anche per il settore del libro, come è avvenuto in altri settori
food e non food, si sono sviluppate queste strategie e politiche
commerciali e di marketing chiamate trade marketing. A questo
punto diviene sempre più difficile considerare – come è stato
fatto sin ora – il processo distributivo come un semplice
trasferimento del libro dalla casa editrice sino al proprio lettore,
tanto da considerare tale momento nella prassi commerciale
come una variabile manovrabile direttamente dall’editore.
Secondo Peresson tale approccio è sempre meno adatto a
gestire i tanti fattori critici che stanno intervenendo a
modificare le regole del gioco tra l’editore e il suo pubblico. A
sostegno di quanto detto basti pensare allo spostamento dei
baricentri strategici di molteplici aziende verso la fase della
distribuzione (Feltrinelli, il franchising Mondadori, Giunti)
anche attraverso la vendita on line. Quello che caratterizza
queste aziende è una forte identità d’insegna, risultato di format
122
L’EDITORE MILITANTE
commerciali riconoscibili, layout innovativi, campagne di
fidelizzazione, pubblicità e comunicazione. Proprio la questione
della vendita on line e delle nuove tecnologie di rete che
consentono di accedere ai contenuti editoriali è una questione
con cui gli editori dovranno confrontarsi, non attraverso una
sostituzione, ma un’integrazione. Si verrà a creare anche un
nuovo modello di business:
A un cliente/lettore che esprime una domanda di mercato –
acquisto di servizi commerciali (cioè di nuove formule di
librerie e di punti vendita) e di libri (o di contenuti accessibili
tramite la rete) – variabile e in costante evoluzione non potrà
che corrispondere un diverso modo di pensare al prodotto e al
progetto editoriale. Forse lo stesso concetto di «progetto». È
infatti la peculiarità del comportamento d’acquisto dei clienti e
poi la lettura, a implicare assetti flessibili e coerenti rispetto al
cambiamento e all’innovazione formale283.
Nella capacità di saper leggere le trasformazioni della
distribuzione e dei bisogni di lettura del pubblico che si rivela
una parte importante della capacità innovativa dell’editore.
Basti pensare al caso degli Oscar Mondadori, distribuiti tramite
l’edicola e pensati per un pubblico nuovo che cercava autori
contemporanei ad un prezzo contenuto e creati con un
packaging e una campagna pubblicitaria coerenti con il progetto
283
GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di
cultura editoriale, cit., p. 46.
123
L’EDITORE MILITANTE
editoriale per cui erano nati. A proposito del packaging è
interessante notare come un nuovo canale distributivo determini
anche una nuova estetica del prodotto, legato anche a un nuovo
tipo di lettore, come spiegava Albe Steiner negli anni ’60,
dicendo che i nuovi canali di vendita (in quel caso stazioni
aeree, ferroviarie, treni e addirittura distributori automatici),
avrebbero comportato una «nuova estetica», nata da nuove
«esigenze distributive» e da «un rapporto di collaborazione con
lettori di tipo nuovo284».
In relazione ai cambiamenti degli ultimi anni, per cui è
possibile presentare al proprio pubblico i contenuti in formati
sempre più variegati (dal libro al cd-rom, dall’articolo
pubblicato sulla rivista cartacea e quella on-line), lo studioso
mette in luce la necessità per l’editore di rivedere la propria
posizione e la propria immagine, riconducibile non più soltanto
a un “creatore”, ma anche ad una banca dati e a un gestore di
contenuti da offrire in maniera diversificata cercando la
maggiore penetrazione possibile nel mercato. Il modello
editoriale che prima poteva essere rappresentato da una linea
che connetteva i contenuti giunti nella casa editrice, la
lavorazione e la pubblicazione sul formato di distribuzione, ora
è raffigurabile con «una rete al cui centro sono i contenuti
stessi, che vengono trattati, modificati, elaborati e pubblicati
contemporaneamente su più piattaforme di destinazione285». Per
284
ALBE STEINER, Intervento al convegno del libro di Modena, in Il mestiere di
grafico, Torino, Einaudi, 1978, pp. 195-197; l’intervento è del 1963.
285
GIOVANNI PERESSON, La distribuzione come problema editoriale, in
ALBERTO CADIOLI, GIOVANNI PERESSON, Le forme del libro. Schede di cultura
editoriale, cit., p. 198.
124
L’EDITORE MILITANTE
permettere una gestione più accurata dei contenuti sono stati
creati i sistemi di content management (CMS, Content
management System). Questa tipologia di strumenti sarà
necessaria per un settore di editoria specializzato in alcuni
settori professionali che richiedono un continuo aggiornamento
e la declinazione dei contenuti su vari fronti (cartaceo, cd-rom,
sito, newsletter), mentre per la saggistica e le narrativa potrebbe
risultare addirittura svantaggioso da un punto di vista
economico.
125
CONCLUSIONI
Il panorama che si configura al termine di questa ricerca rivela
quanto la tematica sul ruolo e le funzioni editoriali è tutt’ora in
continua evoluzione e gli studi in merito non si può dire che
abbiano raggiunto uno stato definito e completo. Quello che è
emerso maggiormente è sicuramente che il ruolo dell’editore si
sta trasformando anche se il panorama non è così apocalittico
come potrebbe sembrare. Anche se si tratta di un argomento
tuttora in corso di analisi, alla conclusione di questo lavoro è
interessante mettere in luce i punti in comune tra tutti i
ricercatori poiché ci permettono di delineare un profilo
dell’editoria e dell’editore oggi a prescindere dai punti di vista
del singolo critico. Primo fra tutti troviamo il tema
dell’omologazione del prodotto editoriale. Cadioli parla di
questo fenomeno come conseguenza dell’assenza degli
intellettuali nei posti chiave della filiera editoriale; Calasso ha
definito la questione con l’espressione «obliterazione dei profili
editoriali»; Janine e Greg Brémond parlano di «libri fratelli».
Tutto questo per esplicare che, anche se con definizioni diverse,
gli studiosi evidenziano lo stesso concetto. Sicuramente quello
che emerge è che l’editore di oggi, anche se concettualizzato
come un autore, un creatore con la propria poetica e il proprio
stile che lo rende riconoscibile al lettore fidelizzato, è a rischio,
soprattutto a livello di grande editoria. Per quanto riguarda la
situazione delle case editrici di cultura, generalmente , anche se
gli
studiosi
precisano
non
esclusivamente,
di
piccole
126
CONCLUSIONI
dimensioni, la questione che si apre è quella relativa alla loro
sopravvivenza in confronto alle grandi concentrazioni. Per
quanto concerne le eventuali soluzioni per supportare questo
tipo di editori, troviamo un dibattito ancora in corso e ancora
irrisolto. Infatti Schiffrin basa tutta la sua fiducia nel sostegno
economico da parte dei governi e delle regioni sia alla piccola
editoria, che alle biblioteche. Meno fiduciosi sembrano i critici
nostrani, i quali prospettano soluzioni che vengano dalla
collaborazione tra editori, librai e lettori, come nel caso di
Salsano, o di Cadioli. Questi, riprendendo la tesi proposta da
«Allegoria» nel 2002 in cui si invitavano gli intellettuali ad
impegnarsi nella ricostruzione e nella tutela delle forme e dei
contenuti «di un sentire e di un sapere comuni sottratti al
dispotismo della chiacchiera e del mondo così com’è286»,
compie una riflessione confrontandosi anche con il pensiero di
Schiffrin:
“Con i soldi di chi l’intellettuale dovrebbe fare questo?”, si potrebbe
obiettare. Forse, più che le istituzioni pubbliche, come vorrebbe André
Schffrin, o più che la ancora debole, in Italia, realtà delle University Press,
occorre coinvolgere, valorizzandone l’attività, quegli editori che, pur
sentendosi imprenditori, guardano alla cultura e non solo al mercato, e per
questo erano stati bollati, già nel 1995, da Franco Tatò, come
«benefattori», non ponendosi come primo (se non unico) obiettivo quello
di pubblicare libri «a scopo di lucro287».
286
Dodici tesi sulla responsabilità della critica, in «Allegoria», XIV, 42, 2002, p. 7.
ALBERTO CADIOLI, Gli intellettuali e le trasformazioni dell’editoria in Italia, cit., p.
135. Il riferimento a Franco Tatò è relativo al pamphlet da questi pubblicato nel 1995. Cfr.
FRANCO TATÒ, A scopo di lucro: conversazione con Giancarlo Bosetti sull’industria
editoriale, Roma, Donzelli, 1995.
287
127
CONCLUSIONI
Se, a conclusione del lavoro, ci chiediamo chi è questo editore
contemporaneo, possiamo ben concludere che, nonostante si
trovi ad affrontare situazioni economiche e sociali diverse dal
passato e si debba confrontare con le nuove tecnologie, l’editore
di oggi, se fa il suo mestiere con cura e non solo per profitto,
per ideali e finalità non è molto diverso da Aldo Manuzio o da
Piero Gobetti. Questo è quanto si può evincere soprattutto dalla
posizione di Calasso e Cadioli. Certo è che i problemi reali
quali la globalizzazione della cultura, l’uniformazione della
produzione, il predominio della logica del marketing a discapito
della qualità, la scomparsa del librario tradizionale e il
proliferare delle catene distributive non agevolano certo
l’editore, tanto più se piccolo ed indipendente. Eppure,
soprattutto per quanto riguarda il pensiero critico italiano,
questo non rappresenta un ostacolo insormontabile per l’editore
che vuole difendere la cultura. Per concludere il discorso
occorre però guardare al futuro, partendo dal presente.
Accenniamo quindi alla discussione in atto sul futuro
dell’editore poiché si sta costituendo proprio negli ultimi tempi
una letteratura dedicata al futuro di questo mestiere. In questa
sede non è stato affrontato questo dibattito poiché la letteratura
è ampia e in divenire e non è possibile ancora stabilire un
paradigma, al massimo si sarebbe potuto tracciare un
“paradigma potenziale” dell’editore del futuro. Questa potrebbe
essere un’interessante prospettiva di ricerca. A tal proposito
occorre fare un accenno a Giovanni Ragone che prospetta
128
CONCLUSIONI
l’avvento di un’editoria di “quarta generazione288”, dopo la
prima dei protagonisti, la seconda dei funzionari, la terza tutt’ora in corso - del libro collocato nel flusso multimediale. In
questo quarto tipo di editoria le case editrici sono industrie che
affidano contemporaneamente i medesimi contenuti a prodotti
diversi: e libro è solo uno di questi. In questa “industria dei
contenuti” non sussiste più la contrapposizione tra editoria
libraria ed editoria digitale poiché la produzione su carta e
quella multimediale si salderanno in un unico progetto. In
questa prospettiva si modifica anche il compito dell’editore del
futuro che dovrà acquisire il contenuto di un autore (testi,
immagini, suoni, video) per elaborarlo in modo che venga
affidato in modo autonomo e parallelo su supporti diversi.
L’editore più abile sarà quello che potrà agire su più media,
offrendo quindi più prodotti. Il dibattito accennato da Ragone in
merito allo scontro tra editoria di vecchia generazione e digitale
è molto attivo, in particolare il motivo ricorrente è legato alla
domanda relativa al futuro dell’editore e a come la sua figura
dovrà
adattarsi
ai
nuovi
cambiamenti
portati
dalla
digitalizzazione. Jason Epstein considera il passaggio al digitale
“un cambiamento tecnologico maggiore per ordini di grandezza
rispetto alla pur importantissima evoluzione dagli scriptoria dei
monaci alla stampa a caratteri mobili avviata sei secoli fa da
Gutenberg nella città tedesca di Mainz”. Anche Roger Chartier
288
GIOVANNI RAGONE, L’editoria in Italia. Storia e scenari per il XXI secolo, Napoli,
Liguori, 2005.
129
CONCLUSIONI
è della stessa linea di pensiero: “La rivoluzione che viviamo ai
giorni nostri è, con ogni evidenza, più radicale di quella di
Gutenberg, in quanto non modifica solo la tecnica di
riproduzione del testo, ma anche le strutture e le forme stesse
del supporto che lo comunica ai lettori289”. Secondo Gino
Roncaglia si tratta della “quarta rivoluzione290” che interessa il
mondo della testualità, considerando “il passaggio da oralità a
scrittura come la prima, fondamentale rivoluzione nella storia
dei supporti e delle forme di trasmissione della conoscenza, il
passaggio dal volumen al codex, dalla forma-rotolo alla formalibro, come una seconda tappa essenziale di questo cammino, e
la rivoluzione gutenberghiana come suo terzo momento291”. Ciò
che accomuna gli autori è il sottolineare la necessità e l’urgenza
che gli editori prendano consapevolezza dei cambiamenti in
corso e si adattino. A detta degli studiosi questa sembra essere
la condizione essenziale per la sopravvivenza dell’editoria. Un
testo particolarmente interessante, sia per la natura che per la
modalità con cui è affrontato l’argomento, è Il Manifesto
dell’Editore del XXI secolo di Sara Lloyd, editrice della “Pan
Macmillan Digital Publishing292”. In questo saggio, disponibile
anche on-line, l’autrice getta un guanto di sfida agli editori del
futuro, dedicandolo “Agli editori che tra cinque anni ci saranno
ancora”, ma al contempo lancia anche un grido di allarme, in
289
ROGER CHARTIER, Cultura scritta e società, cit., p. 23.
GINO RONCAGLIA, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, RomaBari, Laterza, 2010.
291
Ivi, p. X-XI.
290
292
SARA LLOYD, Manifesto dell'editore del XXI secolo, Rimini, Guaraldi, 2008.
130
CONCLUSIONI
quanto chi parla è un addetta ai lavori. Come sottolinea Antonio
Tombolini, curatore della traduzione italiana, si tratta di un
testo “scritto da un editore per gli editori”. Lloyd ricostruendo il
panorama attuale, parte dalla domanda: ha ancora senso il
mestiere dell’editore? Ma non si limita a provocare, anzi, offre
delle ipotetiche vie da seguire, come specifica nel sottotitolo:
Ovvero di come gli editori tradizionali possono riposizionarsi
nel flusso cangiante dei media ai tempi della rete. Il suo appello
alla categoria risiede in una vera è propria rivoluzione:
«dovremo trovare il modo di posizionare il libro nel mezzo di
una rete invece che di preoccuparci di come distribuirlo alla
fine di una catena293». Secondo l’autrice internet ha sconvolto il
classico sistema lineare di produzione di un libro, introducendo
i concetti di circolarità e interconnettività, anzi «ha introdotto la
reale possibilità di togliere di mezzo l’editore, più o meno
rimuovendo l’ostacolo costituito dal fin qui unico asset critico
proprio dell’editore: la distribuzione294». Occorrerà ripensare la
natura stessa del libro, addirittura rivedere se la centralità del
testo non debba essere messa in discussione di fronte alle mashups multimediali. Secondo Lloyd occorre capire come vendere
questi nuovi “libri” e capire quale può essere il valore aggiunto
specifico dell’editore in questo nuovo contesto interconnesso.
Se gli editori continueranno a limitarsi alla produzione e alla
distribuzione del libro tradizionale, si taglieranno fuori dal
futuro della creazione e diffusione dei contenuti. L’autrice
293
SARA LLOYD, Manifesto dell'editore del XXI secolo, cit., p. 10.
294
Ivi, p. 9.
131
CONCLUSIONI
riporta esempi di una minoranza di editori che già si sono messi
in gioco in questo nuovo ambiente virtuale. È il caso del libro di
Chris Anderson The long Tail295, scritto “in pubblico”
attraverso un blog, o il servizio di pre-pubblicazione Rough
Cuts296. Un caso esemplare è quello di Gamer Theory di
McKenzie Wark che fu pubblicato in un blog prima di essere
prodotto in forma di libro. In questa occasione i lettori hanno
inviato commenti durante la produzione del libro e hanno
inviato suggerimenti anche sul formato da adottare per la
pubblicazione. In questo caso si è trattato di “un libro destinato
a contenere la conversazione che genera e da cui viene
generato. Nel sito www.futureofthebook.org/mckenziewark/ è
possibile consultare sia le versione originale del testo che le
varie versioni complete di annotazioni dei lettori. È come se si
creasse una tassonomia di lettura sociale. Secondo Lloyd questi
sono esempi fondamentali per capire che gli editori si devono
trasformare in facilitatori della lettura e dei processi che con
essa hanno a che fare (discussione, ricerca, annotazione,
scrittura, navigazione tra referenze). L’autrice specifica che
internet non ha creato un approccio più attivo alla lettura, ma lo
ha arricchito, forse realizzando in maniera tangibile le teorie di
Roland Barthes presentate in La morte dell’Autore, in cui
l'autore non è più il centro dell'azione creativa, ma soltanto uno
scrittore, ed ogni opera viene “eternamente scritta qui ed ora”,
295
Chris Anderson, The Long Tail, Why the Future of Business is Selling Less of More,
2006
http://www.longtail.com Tr. it. La coda lunga, Da un mercato di massa a una massa di
mercati, 2007.
296
http://www.oreilly.com/roughcuts/
132
CONCLUSIONI
ad ogni sua ri-lettura, perché l'“origine” del significato risiede
solo ed esclusivamente “nel linguaggio stesso” e nei suoi effetti
sul lettore297. Oramai sono sempre più frequenti i siti di social
bookmarking in cui si condividono libri e discussioni. Secondo
l’autrice gli editori, se vogliono salvaguardare il proprio ruolo,
devono collocarsi nel mezzo di queste conversazioni digitali.
Bob Stein, dello Institute for the Future of the Book
(http://www.futureofthebook.org), parla di “networked book. …
il libro come luogo, come social software – ma soprattutto ... il
libro nella sua più intima essenza, come esperienza intellettuale
strutturata e persistente, un generatore di idee, reinventato in
funzione di una ecologia governata dal peer-to-peer298”. Chris
Meade, nel suo libro Not Drowning but Waving299, sollecita gli
editori a non aggrapparsi a tutti i costi alla riva, mentre tutto il
resto del mondo si sta preparando a salpare per acque future.
Secondo l’autrice in questi nuovi orizzonti, l’intervento e il
commento del lettore diventeranno parte integrante dell’opera
d’arte. Nel suo libro Print is Dead300 Jeff Gomez sostiene che
l'emergente generazione di “nativi digitali” è rapidamente
passata dal livello di “Generation Download” a quello di
“Generation Upload”, una generazione che “sta cominciando a
definire se stessa mescolando, integrando, combinando elementi
disparati tratti da ciò che trovano in Internet per cambiarli in
297
298
ROLAND BARTHES, La morte dell’Autore, 1967.
Bob Stein, The Social life of Books, Library Journal.com, 15th May 2006.
299
Chris Meade, Not Drowning but Waving, if:book blog, 20, Novembre 2007
http://www.futureofthebook.org/blog/archives/2007/11/not_
300
JEFF GOMEZ, Print is Dead, 2007, Palgrave Macmillan
133
CONCLUSIONI
qualcosa d'altro301”. Secondo lo studioso gli editori che
vogliono offrire un'esperienza di lettura che sia interessante
anche per la “Generation Upload”, dovranno fornire a questi
nuovi
“prosumers”
i
mezzi
necessari
e
adeguati
a
personalizzare i testi pubblicati, a creare gratuitamente i propri
contenuti complementari e a collegarli al nucleo di testo
originario. Secondo l’autore la convergenza di tutti questi
contenuti genererà una “Saggezza dei Popoli”. La questione di
una eventuale “Saggezza dei popoli” che va a sostituire la
mediazione editoriale, è molto interessante e discussa. Gino
Roncaglia sostiene che le forme della mediazione editoriale
cambieranno, ma non si può parlare della morte del libro.
Secondo lo studioso il discorso della condivisone dei saperi ha
senso all’interno di una comunità scientifica, costituita da
esperti che magari condividono una ricerca. La situazione
cambia se dalla ricerca specialistica si passa alla divulgazione,
alla saggistica, alla narrativa. In questo caso è necessario un
lavoro di mediazione editoriale che richiede professionalità
specifiche: “è difficile immaginare che questo ruolo possa
essere assunto direttamente da una sorta di auto-organizzazione
intelligente degli utenti in rete302”. In ogni modo secondo
l’autore la digitalizzazione è uno strumento che affiancherà e
integrerà il lavoro editoriale, senza sostituirlo. Il problema
301
JEFF GOMEZ, Print is Dead, 2007, Palgrave Macmillan.
302
GINO RONCAGLIA, La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, cit., p.
173.
134
CONCLUSIONI
principale risiede non sulla scomparsa del ruolo dell’editore, ma
su quali meccanismi adottare per remunerare sia l’autore che
l’editore. Un punto di vista molto interessante è quello di Jason
Epstein, che nel libro Il futuro di un mestiere303, sostiene che,
pur nelle difficoltà, c’è un futuro per questo mestiere, anzi,
invita i giovani ad addentarsi in tale avventura. Egli, come Sara
Lloyd, prende atto della resistenza degli editori contemporanei
ad affrontare la digitalizzazione: “With the earth trembling
beneath them, it is no wonder that publishers with one foot in
the crumbling past and the other seeking solid ground in an
uncertain future hesitate to seize the opportunity that
digitization offers them to restore, expand, and promote their
backlists to a decentralized, worldwide marketplace. New
technologies, however, do not await permission. They are, to
use Schumpeter’s overused term, disruptive, as nonnegotiable
as earthquakes304”. Egli ritiene che la loro resistenza dipende
dal timore della propria obsolescenza e dalla consapevolezza
della complessità legata alla trasformazione digitale. Inoltre
l’editore si trova ad affrontare un modo, quello virtuale, in cui
chiunque può dirsi autore o editore. L’autore, pur vedendo il
potenziale enorme legato alla digitalizzazione, ribadisce che il
libro stampato non morirà, ma anzi sarà i depositario di quella
“saggezza collettiva” che tanto si spera di poter creare nel web:
“E-books will be a significant factor in this uncertain future, but
303
JASON EPSTEIN, Il futuro di un mestiere : libri reali e libri virtuali, Milano,
Sylvestre Bonnard, 2001.
304
Ibidem.
135
CONCLUSIONI
actual books printed and bound will continue to be the
irreplaceable repository of our collective wisdom305”. Davvero
interessante la soluzione che l’autore prospetta in relazione al
problema del turnover dei librai: “Tra le tante dittature che
saranno sconfitte dal World Wilde Web, vi sarà quella delle
esigenze di turnover dei librai. Sulle scaffalature espandibili
all’infinito del Web, ci sarà spazio per una varietà praticamente
illimitata di libri che potranno essere stampati a richiesta o
riprodotti su lettori portatili o dispositivi analoghi. L’invenzione
della stampa a caratteri mobili creò per gli scrittori opportunità
impossibili da prevedere ai tempi di Gutenberg. Le opportunità
che attendono gli scrittori e i loro lettori nel prossimo futuro
sono
incommensurabilmente
maggiori306”.
L’autore
è
consapevole del fatto che il villaggio globale non sarà
paradisiaco, ma anzi indisciplinato, polimorfo e poliglotta, in
ogni modo ha una grande fiducia in esso: «Il mio pronostico è
che le future strutture editoriali saranno piccole, anche se
potranno essere legate a una fonte finanziaria centrale. (…)
L’editoria libraria potrà così tornare ad essere un’industria a
conduzione familiare di unità creative diversificate e autonome:
o almeno c’è, oggi, motivo di crederlo307».
L’immagine di questo villaggio polimorfo con tante unità
diverse e autonome pur se parte della stessa entità, richiama
subito l’immagine della casa editrice tracciata da Calasso.
305
306
307
. JASON EPSTEIN, Il futuro di un mestiere : libri reali e libri virtuali, cit.
Ivi, p. 120.
Ivi, p. 121.
136
CONCLUSIONI
Questo dimostra quanto il discorso sull’editoria, pur affrontato
da autori diversi e con angolazioni diverse presenta sempre dei
tratti comuni da scoprire, ci auguriamo anche in nuove ricerche.
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