I PRODOTTI E LE LORO STORIE…….. INFINITE
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I PRODOTTI E LE LORO STORIE…….. INFINITE
I PRODOTTI E LE LORO STORIE…….. INFINITE di Claudio Baccarani Acquistare un prodotto è come acquistare un libro, ma nel libro le storie sono narrate, mentre nel prodotto sono taciute perché non si avverte ancora la necessità di trasferire al potenziale cliente la conoscenza e le “avventure” che contengono. Necessità non avvertita per il timore di prendere atto che il meccanismo di mercato che conosciamo, fondato su una irrealistica ipotesi di crescita continua, si è de finitivamente inceppato, è ormai solo un mito spazzato via da una crisi che ha rivelato alle persone l’inconsistenza del valore del consumo per se stesso aprendo a condizioni di “frugalità abbondante”, un ossimoro che dipinge i tratti delle nuove condizioni di mercato entro le quali domanda e offerta si incontreranno e dentro le quali la selezione tra i prodotti disponibili diverrà sempre più serrata nella ricerca dell’utilità dell’uso e nell’abbandono del super fluo. Proviamo allora a vedere dove si possano trovare i racconti nascosti nei prodotti. Proviamo a farlo con un esempio parlando di una matita, per capire come questo “semplice oggetto” possa finire sul nostro tavolo, nelle nostre giornate e nella nostra vita, posto che lo incontriamo sin da piccoli e certo non disdegna di accompagnarci anche da adulti. Proviamo a farlo attraverso la narrazione di un dialogo intercorso in università con un gruppo di bambini nell’ambito di un progetto denominato Kid-University, con il quale il nostro Ateneo desidera aprirsi al mondo dei bambini e dei giovanissimi. In quel contesto dovevo introdurre il tema dei prodotti. La mia aula era costituita da una quarta ed una quinta elementare con le rispettive insegnanti. In avvio dell’incontro, dopo un allegro scambio di sguardi e parole che si muovevano su percorsi paralleli, incrociati e turbinanti per porre le basi di una reciproca conoscenza, proposi loro il “gioco dei prodotti che uso”, consistente nel creare la lista dei prodotti usati in quella mattina dal momento in cui si erano svegliati sino al momento in cui stavamo discutendo. Su fogli colorati che distinguevano gruppi di lavoro spontaneamente costituitisi i bambini si muovevano a gara per scrivere il nome di un prodotto in un allegro, vivace e costruttivo vociferare che le maestre presenti non riuscivano - per fortuna - a frenare. 1 Tra i prodotti più segnalati ve ne erano di evidenti ed usuali, i libri, la felpa, la penna, lo shampoo, la brioche, lo zaino, la giacca, il pallone, un gioco. Ve ne era uno, però, decisamente inusuale: la finestra. In realtà, tutti usiamo la finestra per guardare fuori quello che accade, ma non mi è mai capitato di trovarla nella lista dei prodotti usati anche se sono tanti anni che propongo di costruirla nell’ambito dei corsi di Economia e Gestione all’università per aprire al tema dell’impresa. Ma la creatività dei bambini è irrefrenabile, generata com’è da una spiccata curiosità associata ad una capacità di osservazione e ad una libertà di pensiero che, purtroppo, tendono a disperdersi nel corso del tempo e al progredire nelle classi scolastiche per innumerevoli motivi che è fuori luogo richiamare qui. Sorpreso e incuriosito chiedo in che senso avesse usato la finestra e lui, con il candore, la profondità di percezione, di visione e la fantasia che solo i bambini hanno mi spiega di aver guardato fuori dalla finestra dell’aula in cui ci trovavamo scorgendo un nido sul tetto sottostante, il che gli aveva fatto pensare al perché fosse lì, di che uccello poteva trattarsi e se per caso non fosse caduto da più in alto. Insomma, da “una finestra sul cortile” di hitchcockiana memoria aveva iniziato un percorso di ricerca tra il concreto e il fantastico che chissà dove l’avrebbe portato se non avesse dovuto rientrare nelle discussioni che avevamo in programma. Lui aveva comunicato con quella finestra e quella finestra ben volentieri aveva comunicato con lui rivelandogli un particolare che poteva passare del tutto inosservato, o meglio, che solo pochi avrebbero potuto vedere. Chissà quante cose avremmo potuto vedere dalle finestre dalle quali guardiamo l’ambiente che ci circonda, se le avessimo usate per osservare ciò che ci veniva proposto, piuttosto che inseguire frettolosamente ed ansiosamente le tante banalità che ci vengono esibite come essenziali priorità di azione dal sistema organizzativo nel quale operiamo? Chiarito che quello che avevano delineato era un piccolo spaccato del mondo dei prodotti, che i prodotti erano invero anche al nostro intorno nell’aula in cui eravamo e che ci avrebbero accompagnato in tutta la giornata, arrivammo a dire che essi sono il risultato dell’azione umana per contribuire “a far star meglio le persone”, come uno di loro puntualmente precisò. A questo punto li invitai a guardare a una realtà semplice, molto più semplice di quello della penna che avevano segnalato nella loro lista, ma molto vicino alla stessa, li invitai a guardare al mondo di una matita. In questo seguii il filo conduttore di una sorprendente e semplice storia animata, I pencil, che si può trovare su YouTube cercando il filmato dallo stesso titolo o direttamente al seguente indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=IYO3tOqDISE. 2 Si tratta di una dettagliata, attraente e simpatica descrizione stilizzata della complessa rete di relazioni che sta dietro la produzione di un oggetto così familiare come una matita, così comune da farlo quasi ritenere come disponibile in natura. Avevo con me tre matite diverse. Le mostrai ai bambini invitandoli a guardarle accuratamente, a toccarle e a provarle. Alla domanda in che cosa le tre matite si differenziassero i bambini, in una gara di spontaneità e desiderio a partecipare che gli adulti non posseggono più perché intimoriti dal giudizio degli altri, sottolinearono puntualmente e in un batter d’occhio il fatto che alcune, due, avevano la gomma per cancellare incorporata mentre una ne era sprovvista, erano di colori diversi, portavano scritte diverse, una il nome dell’azienda che la regalava, una il nome di un progetto, una il nome dell’azienda e un motto, scribblestick, nessuna la marca del produttore, eppure qualcuno doveva pur averle prodotte se erano arrivate lì. Il produttore era nascosto, aveva insomma lavorato su commessa dei clienti. Il passaggio successivo tentò una descrizione dei caratteri delle tre matite che li portò a sottolineare come tutte fossero utili, due di più perché avevano la gomma; funzionali perché facili da impugnare e con un tratto fine e ben visibile; belle, una di più perché aveva la gomma colorata e, un pensiero che li incuriosiva; slanciate perché nuove con punte af filate e corpo lungo e affusolato che poi nel tempo si riduce rendendole più tozze, ma ora non era questo il caso, risultavano proprio aggraziate. Un ulteriore punto mi interessava vedere con loro. Così chiesi di cosa fosse fatta una matita. In un concitato susseguirsi di interventi i bambini chiarirono che in caso, quello senza gomma, due erano i materiali, legno e mina, negli altri i materiali raddoppiavano, erano quattro aggiungendo il metallo e la gomma. Si chiarì poi che la mina non è un materiale ma il risultato di una lavorazione di un materiale chiamato gra fite. Discutemmo a questo punto se fosse possibile per una persona produrre da solo, senza l’aiuto di altri, una matita, una semplice matita. La conclusione fu che sì, teoricamente sarebbe stato possibile nel caso in cui la persona che aveva avuto l’idea, quella che aveva visto l’opportunità di produrre una matita, avesse pure avuto a disposizione la gomma, il metallo, il legno e la gra fite. Presto concludemmo che nei fatti non è realisticamente possibile, riunire in un’unica persona queste condizioni per motivi di convenienza nello svolgimento delle diverse attività volte a rendere disponibili i materiali necessari alla produzione della matita. Insomma, ciò che sarebbe stato concretamente possibile era l’avere l’idea di produrre una matita di un certo tipo e per certe esigenze, cioè di 3 immaginarla e progettarla, ma poi chi desidera produrla, cioè l’imprenditore, avrebbe dovuto collegarsi ai vari soggetti che producono i materiali nelle forme necessarie allo scopo. Tuttavia, questi soggetti non si trovano dietro l’angolo perché il cedro che fornisce il legname più idoneo allo scopo si trova nell’area del Paci fico nord occidentale, la gra fite proviene da miniere della Cina e dello Sri Lanka, la gomma viene estratta da alberi della foresta amazzonica, mentre il metallo è più diffuso e si trova in varie parti del mondo. Tutti questi materiali rappresentano dei prodotti per chi li vende e incorporano tutta l’imprenditorialità, la conoscenza, l’organizzazione, il lavoro necessari per ottenerli, cioè la capacità di vedere e di realizzare le cose che sono da fare. Condizione questa che a sua volta poggia sulla disponibilità di attività che producano le macchine per le lavorazioni e le condizioni perché possano essere usate dai lavoratori per ottenere quei prodotti in quel particolare luogo, condizioni e tempi. Prodotti che saranno indirizzati ad una molteplicità di usi che nessuno conosce nel momento in cui svolge il proprio lavoro, perché saranno poi riportati ad unità da tante intelligenze imprenditoriali che troveranno in quei materiali i componenti necessari delle loro creazioni. In realtà, chi lavora nelle miniere per estrarre grafite non sta di certo pensando che quella gra fite diventerà una matita, quel materiale infatti ha una molteplicità di usi. Allo stesso modo il boscaiolo che taglia alberi per l’uso del legno non penserà che quel legno darà vita ad una matita. Quei lavoratori cercheranno semplicemente di fare al meglio il loro lavoro, di farlo a regola d’arte in una visione limitata alla propria attività, ma poi connessa alle altre attraverso le relazioni che il mercato costruirà con i collegamenti tra domanda ed offerta. Insomma, la produzione della matita si basa su un’imprenditorialità che costruisce una rete di relazioni esterne ed interne per allestire la propria offerta produttiva. Rete resa percorribile e fruibile in una varietà di forme da coloro che sviluppano un’imprenditorialità di servizi come quelli di trasporto, finanziamento, assicurazione, comunicazione. Ma l’imprenditorialità è sempre alla ricerca del nuovo, del cambiamento. Così, a questo punto, quasi in un gioco di magia, ho mostrato ai bambini una matita misteriosa che avevo tenuto accuratamente nascosta ai loro penetranti sguardi: Perpetua, la matita del futuro, la matita che non usa materiali nuovi ma che ridà vita a materiali di scarto, la matita che vive nell’epoca dell’economia circolare diretta ad eliminare lo spreco di risorse generando in forme creative prodotti da scarti di precedenti lavorazioni. Dicevamo che la gra fite veniva da miniere della Cina e dello Sri Lanka. Certo. Ma dove va a finire? Di certo, come detto, non tutta in matite. In 4 gran parte va in lavorazioni industriali di vario genere. Ma queste ne producono anche uno scarto che deve essere smaltito con costi non indifferenti. Ma perché spendere per smaltire della gra fite che può diventare matita? Ecco questa domanda se l’è posta Alisea (http://www.alisea.it/) una piccola “azienda di pensiero” che non dispone di tecnologie, ma di menti che sanno produrre idee e trovare reti capaci di realizzarle. Ed ecco nascere Perpetua la matita che non usa legno e metallo, con la punta che non si spezza in caso di caduta e che ridà vita alla gra fite che sarebbe morta nello smaltimento. Sorpresi e incuriositi da questo piccolo gioco di magia i bambini cominciarono a provare la matita per vedere come scriveva e se veramente la punta non si fosse spezzata cadendo. Cosa, questa, puntualmente veri ficata, il che li spinse oltre a valutare la flessibilità della matita che, ovviamente, con forti pressioni laterali si spezzò creando un momento di sbigottimento e di timore in tutti. Quando però li invitai a continuare ad usarla nei due pezzi che si erano creati, lo scoprire che scriveva anche dal lato senza punta mi conferì quasi il titolo di vero mago. Uno dei bambini poi cominciò a disegnare e non più solo a scrivere. Finito il disegno mi “interrogò” chiedendomi cosa rappresentasse il disegno che aveva tracciato. In quell’immagine io vidi una casa e in quei termini risposi. Ed ecco che lo sguardo di visibile commiserazione che il bambino lanciava nei miei confronti mi riportò d’un tratto al Piccolo principee al boa che digeriva un elefante. Infatti, considerato il mio evidente imbarazzo si affrettò a spiegarmi che non era solo una casa, “era la casa dove nascono le matite”, era una fabbrica. Ecco che allora mi fu chiaro che le storie dei prodotti sono in finite, non solo per l’incessante processo di innovazione che vivono ma anche per le storie che creano nel loro entrare in relazione con chi li userà. Dipartimento di Economia Aziendale dell’università di Verona [email protected] 5