Il regno di luci, ombre e colori
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Il regno di luci, ombre e colori
IL CAFFÈ 9 ottobre 2011 52 C4SOCIETÀ E CULTURA @ www.gianadda.ch www.intermonet.com Guardare così LO STILE LA FORMA LA MOSTRA Monet al Museo Marmottan e nelle collezioni Svizzere Fondazione Gianadda, Martigny Fino al 20 novembre Il gesto, il colpo di pennello, il movimento del braccio, la vaporosità dei colori diventano espressione di una totale coincidenza tra vista, percezione ed emozione. La pittura accelera i suoi ritmi e si sposta: non è più un modo di vedere, ma di sentire. Non si trattava solo di trovare nuovi soggetti per una realtà in rapido cambiamento; occorreva anche un linguaggio nuovo con cui tradurre questa coscienza di un’epoca diversa che si stava schiudendo: e fu l’invenzione dell’impressionismo. IL FASCINO DELL’ORIENTE Tra gli apporti più amati dai nuovi pittori vi fu la scoperta dell’arte e della cultura del Giappone. Monet ne fu un entusiastico ammiratore (si pensi al suo famoso giardino) e grande collezionista: in mostra anche 45 sue stampe giapponesi. TEMI E SOGGETTI CLAUDIO GUARDA “La neve non solo bianca, ma è anche azzurra per i riflessi del cielo e così via all’infinito”- diceva Renoir, condensando in poche parole un aspetto fondante della nuova pittura impressionista: la variabilità contestuale dei colori, delle luci e delle ombre (colorate) quando si dipinge en plein air, cioè davanti al soggetto reale nella mutabilità degli elementi atmosferici. Tutto questo liquidava (almeno nelle intenzioni degli impressionisti) quanto ancora rimaneva della pittura accademica e del mestiere portato avanti - secondo tradizione - nel chiuso degli atelier, con il chiaroscuro fatto di ombre progressivamente oscuranti, in superfici ben campite e omogeneamente condotte. Quando invece la realtà - e con essa luci, ombre e colori - è viva, mobile, fremente e fuggente: per cui non la si può che tradurre con i miriade di colpi, di tacche cromatiche, di virgolettature che si attorcigliano l’una accanto all’altra o sull’altra. Da questo punto di vista la mostra che la Fondazione Gia- Ponti sopraelevati in tralicci di metallo, binari, locomotive, stazioni, getti di vapore, andirivieni di passeggeri affaccendati: è il soggetto della metropoli moderna che sta prendendo forma e offre nuovi soggetti al pittore. Le Pont de l’Europe. Gare St Lazare, 1877, olio su tela, cm 64 x 81, Musée Marmottan Monet, Paris Il regno di luci, ombre e colori A Martigny una collezione straordinaria di Monet nadda dedica a Monet (cosa rara ai tempi odierni dove spesso si passano opere di secondo livello) parte con dei pezzi davvero straordinari per qualità, varietà e numero: interni di paesi con strade e piazze, specchi d’acqua, passeggiate inondate di luce o ritrovi sotto l’ombra degli alberi, nel freddo dell’inverno o nel caldo dell’estate, all’alba o al tramonto. Quello che artisti come Monet cercavano era di tradurre in pittura la percvezione della modernità (cioè la consapevolezza che la storia MARCO BAZZI naudi). Perché la notte della cometa fu indicata nel 1910, quindi solo un secolo fa, come la notte in cui il mondo sarebbe finito. Vassalli nella sua puntuale ricostruzione storica dedica un capitolo all’evento che dà Una settimana così GIUSEPPE ZOIS N cento, in particolare dell’ottica e della teoria dei colori. La sequenza di opere in esposizione è la prova evidente di come Monet fosse, tra gli impressionisti, un vero maestro per capacità inventiva e innovativa sia di temi che di forma: UNA NOTTE IN ATTESA DELLA FINE DEL MONDO Rileggerli così Le profezie dei Maya indicano che l’anno prossimo terminerà la quinta era cosmica, e questo passaggio epocale sarà caratterizzato da immani cataclismi. Così, nel 2012, è prevista una delle tante “fine del mondo” della storia. Il problema è che molta gente ci crede. La fine del mondo è stata una costante del pensiero e delle paure dell’uomo. E il millenarismo è stato per secoli un movimento importante nella cultura cristiana. Ma sbagliamo se pensiamo che si tratti di fenomeni limitati ai “secoli bui”. Sebastiano Vassalli ha scritto la storia di un grande poeta italiano, Dino Campana, poeta folle e maledetto (morì in manicomio nel 1932) che fu il grande amore della scrittrice Sibilla Aleramo. E ha intitolato questa storia La notte della cometa (Ei- stava definitivamente girando pagina) non solo attraverso temi e soggetti moderni, ma anche mediante soluzioni linguistiche e formali nuove e moderne, colte a livello intuitivo dal pittore ma confortate pure dalle ricerche scientifiche di fine otto- on è vero che la gente si muove solo per ascoltare certi protagonisti di cartapesta, a bordo del carrozzone dei media. C’è anche il fascino del bene che fa notizia. Lo si è visto con uno straordinario suscitatore di ottimismo e di speranza che si chiama Dominique Lapierre. Prima alla Biblioteca cantonale, poi nel salone dell’Università a Lugano, questo intrepido giovanotto di ottant’anni ha fatto il pieno, contagiando con la sua straordinaria avventura. A volte basta un’occhiata per cambiare una vita. LO SCRITTORE francese, già firma internazionale, trent’anni fa capitò a Calcutta, dalle parti di Madre Teresa: volle conoscerla, ne fu conquistato. Quella piccola suora, nel suo sari orlato di blu, stava imboccando un uomo tutto piagato, che riusciva a stento a socchiudere le labbra. Madre Teresa passò la scodella e il cucchiaio a Dominique con gesto eloquente: “Love him!“, continua tu. Lei era attesa da altri disperati. CUORI senza confini, dalla parte degli ultimi, consapevoli che non cade un fratello sulla Terra senza che precipiti un po’ anche dentro noi stessi. Grandi biografie iniziano per caso e davanti a una piaga sterminata come la fame, si lasciano segnare le ferite sulla pelle. Dominique cominciò ad arrovellarsi su 850 milioni di uo- il titolo al suo libro. “Non ci sono dubbi, dicono gli astronomi. Nella notte tra il 18 e il 19 maggio la Terra attraverserà la coda della Cometa di Halley, composta di gas rari e venefici: istantaneamente su di essa ogni forma di vita perirà”. Così, “dappertutto nel mondo si diffonde il panico. Il numero di suicidi – fatto incredibile ma vero – cresce man mano che ci si avvicina al fatidico appuntamento con la Cometa, fissato per le 3,20 antimeridiane di giovedì 19 maggio”. Insomma, qui non si trattava di credere a una profezia. Era una cosa serissima e nel maggio del 1912 la gente era davvero convinta che la vita sulla terra sarebbe finita. “Mercoledì 18, vigilia della fine del mondo, il quotidiano La Nazione esorta i fiorentini a pentirsi e a racco- mandare l’anima a Dio con parole che non sarebbero dispiaciute a fra’ Girolamo Savonarola: Facciamo dunque l’esame di coscienza, e chiediamo perdono a Dio dei nostri innumerevoli peccati: domani o domani l’altro noi non saremo più”. Lo scenario è da film catastrofistico: “Delitti vengono compiuti nella certezza dell’impunità. A Bagno di Ripoli un giovane di 23 anni massacra a bastonate il patrigno (…). Bande d’ubriachi s’aggirano cantando oscenità improvvisate sull’aria del Miserere, del De Profundis, del Dies irae”. Campana trascorse così quella notte: aggirandosi per una Firenze surreale. Poi, La notte della cometa, vale la pena di leggerla per ripercorrere la storia di questo poeta. Al di là della fine del mondo. IL CAMPANELLO DI DOMINIQUE SUONA PER CHI NON HA VOCE mini che dovevano accontentarsi del niente di 850 calorie al giorno. E poi sui due miliardi condannati a vivere senz’acqua; sul miliardo e mezzo costretto a campare con un franco al giorno; sull’analfabetismo nel Terzo Mondo, debellabile con l’equivalente delle spese per i cosmetici negli Usa. L’ELENCO delle povertà impressiona ma non corregge lo scandalo che la globalizzazione allarga. Un brivido ha percorso la platea quando lo scrittore ha estratto da una tasca il campanello che annuncia la miseria nelle megalopoli indiane, bomba umana a orologeria che fa il giro della Terra, esplode puntuale con i morsi della fame e lascia imperterriti i benestanti. Cioè noi. Non possiamo non interrogarci sulle nostre tiepidità di coerenza umana prima ancora che cristiana. LAPIERRE è il padre nobile della “Città della gioia”, altro tema che dovrebbe scuoterci sulle domande del nostro vivere inquieti e soli. Quando lo scrittore mise piede su una superficie grande come due campi di calcio, in mezzo al Gange, vi trovò ammassate 150 mila persone. Non avevano niente, eppure avevano conservato la capacità di sorridere, di amare, di ringraziare Dio. Ci suona come scandalo benedire la vita da maledetti. SE CLICCHIAMO alla voce “Gioia” in internet ci compare in un attimo un oceano di 38.600.000 risultati. Quanti di noi conoscono e possiedono la vera gioia, oggi? NEL TICINO, l’altro giorno, 6 ottobre, ha compiuto 85 anni un uomo al quale siamo in molti a voler bene, Ernesto Togni. Ha fatto il parroco, il vescovo, il missionario a Barranquilla, ha amato i poveri, è un fratello maggiore che guida il cammino. Lo trovo geniale nella scelta di mettersi “al servizio della nostra gioia“ come missione pastorale. Ha pagato di persona la sua moneta di povertà. Grazie, vescovo amico, della fertile testimonianza! Riflettere così pezzi davvero notevoli e che ben documentano l’evolversi del suo percorso lungo il corso degli anni. Perché Monet è sì un impressionista, anzi il più significativo e dotato tra i pittori della cerchia impressionista, ma è anche colui che spinge più avanti di tutti e con maggiore audacia la sua ricerca: fino a portarla alle soglie del dissolvimento dell’immagine, fin sulla soglia della modernità novecentesca. O ancora: che altro sono le celebri serie delle ninfee o delle cattedrali di Rouen se non la dichiarazione, assolutamente moderna, che ciò che davvero conta per il pittore non è tanto il variare dei soggetti o la loro “buona” raffigurazione, quanto piuttosto il variare delle emozioni ottenute attraverso la variazione orchestrale dei mezzi formali: luce, suono, colore? Kandinskj lo capirà bene e si spingerà ancor più avanti per quella strada: non più la veduta, la resa fotografica, ma l’emozione di un incontro con il mondo nella casualità della vita e ridato attraverso il gesto, il segno, la sinfonia dei colori. MARKUS KRIENKE L’ERRORE UTOPISTICO DI CONCEPIRE UNO STATO PERFETTO Q ual è il migliore sistema politico? Ancora oggi sentiamo qua e là l’opinione che in fondo il sistema comunista delineava una società perfetta, solo che esso sarebbe stato “troppo ottimistico”. La nostalgia di questo “troppo ottimistico” diventa però pericolosa quando entusiasma tanti gruppi politici e sociali, soprattutto in tempi di crisi. Infatti, nell’anno passato si è registrato nella Svizzera un aumento dei casi di estremismo violento di sinistra del 15%. Rosmini, che nella prima metà dell’Ottocento analizzava il pensiero dei primi socialisti, ha individuato il loro errore fondamentale nel tentativo di concepire l’idea utopistica di uno Stato “perfetto”: “Il perfettismo, cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle cose umane, è un effetto dell’ignoranza. Rosmini analizzava il pensiero dei primi socialisti individuando l’errore di un sistema senza difetti Egli consiste nel pregiudizio, pel quale si giudica dell’umana natura troppo favorevolmente. In certo ragionamento, io parlai del gran principio della limitazione delle cose e ivi dimostrai, che vi sono de’ beni la cui esistenza sarebbe al tutto impossibile senza l’esistenza di alcuni mali”. In altre parole, chiunque cerchi di realizzare un’idea “perfetta” di Stato, commette l’errore di non considerare il limite della natura umana, la quale fa sì che gli individui non ubbidiscano necessariamente ad un utopico “piano perfetto” di società. Per questo, qualsiasi “perfettismo” si deve imporre necessariamente con la violenza: può essere un demagogo o un partito, un leader religioso o un dittatore legittimato dal voto di un plebiscito, sempre vale per Rosmini che imporre un’idea di “perfezione” su un popolo deve condurre a violenze totalitaristiche. Il secolo scorso, con i suoi totalitarismi di sinistra e di destra ne ha dato una triste testimonianza. Per questo, Rosmini chiama “antiperfettismo” il vero principio di un “migliore sistema politico”, e in questa chiave è da intendere la famosa definizione che Churchill ha dato della democrazia: “È- stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”. La “perfezione” non è la categoria giusta per una forma di Stato, perché è e rimane un impegno individuale: spetta agli individui superare i difetti e il male e lavorare per il bene. Ma questo è un compito che essi possono svolgere solo in uno Stato libero – non “perfetto”.