Eolo a Capo Verde

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Eolo a Capo Verde
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Mercoledì 18 Marzo 2009 01:00
Sul bus che ci porta alla Malpensa siamo euforici, perché ogni partenza ha il fascino della prima
volta, entusiasti di conoscere una nuova località balneare nel periodo di carnevale, dopo il rigido
ed inaspettato inverno.
L'isola di Sal, è stata una seconda scelta perchè non abbiamo
trovato posto sui voli diretti a Luxor per una Crociera sul Nilo, dove nella Valle dei Re abbiamo
un appuntamento col nostro dispettoso amico Tutankamen. Ma, tant'è. Anche col cambio di
destinazione decolliamo contenti perché, chi ci ha venduto il pacchetto l'ha consigliato giacché
c'è stata a Sal, trovando una spiaggia bianca ventilata riscaldata dal sole che brucia la pelle.
L'arcipelago di Capo Verde con le sue dieci isole è stato scoperto nel 1460 da un navigatore
italiano e da un portoghese, che lavorando sotto la corona portoghese, danno il primato al
Portogallo nella scoperta di queste isole. Queste furono utilizzate per la tratta degli schiavi e
come scalo per le merci provenienti dal sud dell'america. Le isole sono state colonia portoghese
fino al 5 luglio del 1975, giorno della nascita della Repubblica Democratica a Capo Verde.
L'arcipelago con 400.0000 abitanti dista circa 450 chilometri dal Senegal. Le isole sono divise in
sopravento e sottovento e sono colpite dagli Alisei, venti caldi provenienti dal deserto. Sal, isola
del sale, è desertica per via dell'influenza di questi venti e di una percentuale di salinità
superiore al 10% che non permette alla vegetazione di emergere. A Sal, non producono né
esportano niente, perché la terra è arida: il cibo, la carne e gli altri fabbisogni arrivano dall'Italia,
dalla Spagna e dal Portogallo. Nel 1939, per via di un'iniziativa italiana, è costruito l'aeroporto
internazionale di Sal, il cui sviluppo ha reso possibile lo sfruttamento di moderni complessi
turistici e un porto di scalo verso l'america meridionale. Nel centro dell'isola c'è S. Maria,
provvista di un'enorme spiaggia (ocra gialla ma non bianca) ottima per tutti gli sport acquatici.La
lingua ufficiale è il portoghese e quella corrente è il creolo, mentre l'italiano è molto diffuso per
via delle tante strutture alberghiere nostrane. I creoli capoverdesi vivono di turismo e sono
persone educate ed affabili, mentre la religione è cattolica.
L'hotel che ci ospita ha 500 camere ed è piuttosto confortevole, anche se esteticamente è
alquanto bruttino. La gestione è tutta italiana e al ristorante si mangia un ottimo pesce fresco e
quant'altro, mentre in camera c'è la televisione satellitare con Raiuno. Proprietaria dell'albergo è
un'immobiliare italiana, che promuove su una Tv commerciale nostrana la vendita di case
ubicate in Lombardia, ma anche quelle che costruisce a Sal. Qui propone monoblocchi e
residence immersi in uno squallido deserto pietroso, con l'unico 'verde' costituito da girasoli e
margherite di plastica. Trascorriamo la prima notte in albergo dormendo con due coperte (c'è
l'aria condizionata ma sarebbe stato meglio accendere i caloriferi), mentre di mattino facciamo il
primo ingresso sulla spiaggia. Questa è molto ampia e si estende per chilometri tra piccole
dune dove affiorano sterpaglie di piante grasse nane, mentre a sinistra si spinge fino a S. Maria,
la principale zona turistica dell'isola provvista di negozi, banche e ristoranti, a due chilometri
dall'albergo. Sulla spiaggia troviamo un vento terribile e una temperatura gelida col cielo grigio,
che ci accompagnerà quasi sempre, ma per fortuna indossiamo un prezioso k-way. Nel
pomeriggio in cinquanta facciamo un'escursione a S. Maria col trenino. Non appena scesi dal
mezzo, siamo circondati da bambini. I più petulanti sono indubbiamente i venditori senegalesi
che spesso gironzolano sulla spiaggia con catenine, bracciali e maschere di legno, dribblando i
vigilantes. Questo primo impatto con la realtà capoverdese ci delude perché non rileviamo
tracce del suo passato coloniale. Ma forse ciò si spiega col fatto che l'isola all'epoca era quasi
disabitata ed equipaggiata solo per la pesca e la tratta degli schiavi. Alla luce di tutto questo, di
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sicuro tra un centinaio d'anni il turista che si avventurerà qui ritroverà più di un'impronta
culturale del passato. Quelli che oggi sono scheletri d'alberghi incompleti per mancanza di soldi,
esploderanno nella loro bellezza, completati dalle immobiliari europee con l'aggiunta di
meravigliosi grattacieli nel deserto. Intanto, visitiamo il paesino e ci fermiamo sulla ventosissima
battigia di Ponta Preta, un vero paradiso per chi pratica il kitesurf. Questa spiaggia è però
consigliabile solo agli atleti esperti perché le onde sono altissime. Infatti, qui è stato appena
disputato il campionato mondiale di kitesurf al quale ha partecipato il campioncino locale Fober,
figlio di una capoverdese e di un veneziano, maestro della specialità.
Rientrati in albergo, scartiamo un tuffo nell'Oceano Atlantico o nella piscina per non beccarci
una bronchite, e decidiamo di emigrare su una spiaggia più lontana ma più ventosa, in
compagnia di tre turisti udinesi che praticano il kite surf. Questo sport ci incuriosisce molto.
Arrivati sul posto, si avverte una gran fibrillazione di sportivi raggianti per via del forte vento;
molti spacchettano dalle custodie l'ingombrante attrezzatura, per prepararsi all'ingresso in
acqua, mentre lo scrivente trova per la prima volta un'oasi di pace nella baracca-bar sulla
spiaggia, che funge anche da noleggio e riparazione dei kitesurf. Anche noi siamo felici di aver
trovato un riparo sicuro in questa catapecchia, dove il vento è assente: occupiamo posto
davanti ad un tavolo grezzo con la nostra scacchierina pieghevole-magnetica per ricostruire da
un libro qualche partita giocata dal celebre campione di scacchi americano Fisher, da poco
scomparso. Subito dopo mettiamo il naso fuori al sole pallido togliendoci la maglietta e
osserviamo incuriositi i preparativi minuziosi dei turisti sportivi, alle prese con una tavola e di un
aquilone (kite) di 10 metri, che gonfiano, manovrato mediante una barra di controllo legata alla
vita, collegata ad essa grazie a quattro o più fili (linee) lunghi una ventina di metri. Uno sportivo
udinese ci assicura che per iniziare a praticare il kitesurf è necessario munirsi di casco e di un
coltellino per tagliare le linee in caso di pericolo, ma soprattutto bisogna frequentare un corso.
Occorre acquisire cognizioni sui venti e sulla teoria del volo, tenendo conto d'alcuni sistemi di
sicurezza, per poi imparare il decollo e l'atterraggio in acqua. Ci avviciniamo al tredicenne
Fober, mentre indossa un giubbotto-muta da uomo ragno. Gli chiediamo se per un istante ci
farà manovrare la barra di controllo non ancora allacciata alla cintura, ottenendo a stento il suo
consenso. Fober afferra la barra, mentre le nostre mani sono accanto alle sue. Comincia a
insegnarci le prime manovre nello stesso istante in cui arriva una folata di vento che libera le
piccole mani dell'esperto. Noi perdiamo il controllo dell'aggeggio saltellando sulla sabbia come
un canguro, per poi spiccare il volo, tra urla, bestemmie e i richiami del padre che ci manda in
mona. Siamo disperati e a un bivio: finire sfracellati sul cemento dell'hotel, a piedi nudi e in
costume da bagno oppure dirigerci verso l'alto? Scegliamo la seconda possibilità perché in cielo
non ci sono ostacoli, mentre è impensabile liberarsi dell'aquilone o provare un tuffo nell'oceano
spezzando i fili con i denti, per via degli squali che forse ci attendono. Sveniamo.
Al risveglio siamo su una nuvola tranquilla e senza vento, con la vela al parcheggio e ci
riposiamo con calma. Ma non siamo soli in questo cielo perché sulla nuvola di fianco c'è un set
televisivo che gira uno spot per l'Egitto, con Bonolis e il suo degno compare, che non ci hanno
mai fatto sorridere, intenti a offrire una tazza di caffè Lavazza oro a Tutankamen cosparso
d'oro. Appena ci vede il faraone sorpreso rigetta il caffè e fa esplodere la sua rabbia con un
gran cazziatone, perché a suo tempo una sua maledizione ci impose di vacanzare solo in Egitto
per aiutare la bilancia dei pagamenti del suo paese che veste di rosso.Purtroppo il sovrano non
vuole ascoltare le nostre argomentazioni sul perché ci troviamo qui. A quel punto, con un
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brusca manovra lo piantiamo in asso, volando più alto. Allo stremo delle forze e con le dita
sanguinanti nelle pieghe interfalangee, occupiamo posto sulla prima nuvola che incontriamo,
che ha lo svantaggio di una circolazione di vento a dir poco esagerata, mentre l'aquilone è
allegro e arzillo per l'inatteso rinforzo. Mentre armeggiamo a fatica sulla barra, alla ricerca
disperata del comando che blocca l'aquilone, siamo disturbati da una fragorosa risata che ci
arriva da uno che gioca con le foglie per farle danzare, nello stesso istante in cui il muscolo
buccinatore della sua guancia si gonfia e il vento si placa. Si presenta a noi come Eolo,
affermando che è lui il gestore delle nuvole e che se vogliamo restare quassù, per girare uno
spot possiamo parlarne per stabilire il prezzo in dracme, ma è meglio in euro, perché in questo
periodo di crisi mondiale, con due figlie disoccupate, ha particolare bisogno di denaro.
Esterrefatti da tale richiesta, avremmo voluto afferrarlo per il collo e strozzarlo, ma per prudenza
non ci muoviamo perché abbiamo i piedi che a stento tengono fermo l'aquilone. Eolo intanto,
fissa intensamente lo sguardo sulla nostra parte bassa e ci rivolge ridendo la domanda che fece
Alibech al fratocchio di Boccaccio: "Quella che cosa è che io ti veggio, che così sì pigne in fuori,
e non l'ho io? Eolo per fortuna allude al lembo della scacchierina che fuoriesce dal nostro
costume da bagno. Infatti, con non chalance infila le mani nel nostro costume, estrae la
scacchiera e disputiamo una partita a scacchi dove perde in tre mosse col nero, facendosi dare
lo scacco matto del barbiere o dell'imbecille, ma è felice per aver appreso questo famoso
trucco. Ora il suo umore è cambiato: è disposto a dialogare con noi con simpatia ed anche a
ridimensionare i costi per lo spot, mentre nel frattempo gli assicuriamo che siamo qui per caso e
vogliamo da lui un aiuto per anticipare il rientro a Milano dopo cinque giorni di freddo e di tempo
uggioso.Il Dio e domatore dei venti allora si commuove e si dice disposto ad aiutarci per un
elice volo sulla terra, ma all'hotel, non più lontano, perché per rientrare in Italia ci vuole l'otre in
cuoio che donò ad Ulisse che conteneva il vento per ritornare ad Itaca, che ora per tre giorni è
impegnato sul set del caffè. Ma tutto quanto afferma è una mera bugia perché da Tutankamen
in sogno abbiamo saputo che Eolo riceve dai costruttori e speculatori italiani un lauto stipendio
per soffiare sulle strutture alberghiere, evitando il pericolo che i surfisti di tutto il mondo, in
mancanza di vento a Sal, la disertino, preferendole le Hawai. Eolo vuole anche la promessa che
per l'anno prossimo dobbiamo ritornare a Sal e di portare con noi a Milano le sue figlie
Posidone e Melanippa, trovar loro un lavoro come veline con relativo permesso di soggiorno,
indicando alle signorine la strada migliore o una circonvallazione adeguata alla loro bellezza.
L'ultima condizione è che gli insegniamo nel 2010 il gioco degli scacchi, perché a lui scoccia
perdere sempre col Faraone. Eolo ci promette una sorpresa supplementare prima di spiccare il
volo per Milano. Per festeggiare il contratto siglato in due copie, e per vendicarsi della sconfitta
appena patita, ci saluta come Lucifero nel canto dantesco "ed elli avea del cul fatto trombetta"
facendoci agghiacciare.
Rientrati alla base piuttosto provati, di sera decidiamo di restare in albergo per seguire uno
spettacolo all'aperto, scartando la possibilità di andare a passeggio nel deserto pietroso oppure
in qualche discoteca indigena, per evitare di coprirci con giacca a vento, sciarpa, berretto e
guanti in questo disgraziato paese freddo come Cortina in gennaio. Per fortuna occupiamo
posto, anche se intitizziti, in una zona riparata dal vento, assistendo ad un bellissimo spettacolo
di danze folk piuttosto complesso, che richiedono da parte dei protagonisti una preparazione
atletica non indifferente. Si comincia con una Capoeira lenta, una danza lotta, che nasce in
Angola e nelle stive delle navi nel periodo della schiavitù. La capoeira lenta è la più antica, si
può notare soprattutto la tecnica e la precisione di questa danza, che nasce dalla fusione
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d'elasticità e forza fisica. Segue la Capoeira veloce dove la rapidità e la precisione di salti e
piroette sono gli elementi fondamentali. Questa danza è sempre eseguita in coppia ed è stata
concepita inizialmente come tecnica di difesa personale. Qui i ballerini atleti a suon di musica si
tirano calci velocemente in maniera alternata e contemporanea, senza colpirsi, ma con la
bravura di schivarli. Dopo l'esibizione si danno la mano. Trascorriamo l'ultimo giorno della
nostra permanenza con una stupenda giornata di sole. Per la prima volta ammiriamo il cielo
terso e azzurro senza nuvole e con vento tollerabile, sicuro regalo di Eolo che è stato di parola.
L'occasione è ghiotta per prenotare un'escursione di mezza giornata al Vulcano di Sal, con un
tour guidato in minibus diretto nei luoghi più interessanti dell'isola. Si passa di mattino dal
capoluogo Espargos, quindi una tappa a Palmeira, unico porto dell'isola, ed una seconda sosta
in una borgata poco interessante. Finalmente, dopo tre pause inutili in altrettanti negozi di
paccottiglie inguardabili, arriviamo nel posto più bello dell'isola, dove osserviamo il vulcano di
Pedra del Luma e le Saline, con uno spettacolare paesaggio, confortati da un sole forte e
vigoroso.
Rientriamo di sera a Milano abbronzati, con ossa permeate da dolori articolari, come altri
viaggiatori, alcuni dei quali sofferenti perché meteoropatici, a ccusando disturbi provocati dal
clima. Sotto il portone di casa troviamo Posidone e Melanippa con i tacchi a spillo che ci
aspettano. Con le due sorelle saliamo in casa, ritrovando in salute le nostre amate piante. Dopo
una salutare doccia, ci accorgiamo che non possiamo mangiare in casa perché il frigorifero è
vuoto: così decidiamo di defilarci per cenar fuori. Prima però ritiriamo la pellicola dalla macchina
fotografica che, a causa di un guasto meccanico alla telina dell'otturatore, fa fatica ad uscire,
prende luce e diventa inservibile. Con l'umore pessimo, imputabile a quell'inconveniente,
scendiamo nella zona box per prendere l'auto, che ritroviamo con la batteria a terra. Non ci
resta altro da fare che chiudere la saracinesca e andare a piedi, ma purtroppo il cicaleccio delle
due ragazze ci distrae e dimentichiamo sul sedile le chiavi di casa. Scoppiamo a piangere.
Posidone e Melanippa ci confortano con moine portandoci vicino al Naviglio dove c'è un hotel
con pub e ristorante che conoscono, avendoci già lavorato come lap dancer. Arrivati sul posto
piantiamo però le due ragazze e cerchiamo un albergo più tranquillo, incavolati come siamo per
la seconda maledizione che ci becchiamo dal malefico sciovinista Tukankamen.
Antonio Fomez
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