articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e

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articolo completo in pdf - Giornale Italiano di Diabetologia e
G It Diabetol Metab 2007;27:129-137
Rassegna
Strategie cognitivo-comportamentali
per incoraggiare l’uso dell’attività
fisica nello stile di vita
delle persone con diabete
Il progetto “Io Muovo la Mia Vita”
RIASSUNTO
D. Battistini1, N. Piana2, P. De Feo1
1
Dipartimento di Medicina Interna, Sezione Medicina
Interna, Scienze Endocrine e Metaboliche, Università di
Perugia, Perugia;
2
Dottore di Ricerca in Pedagogia, Facoltà di Scienze della
Formazione, Università degli Studi Milano-Bicocca, Milano
Corrispondenza: prof. Pierpaolo De Feo, DIMI,
via E. dal Pozzo, 06126 Perugia
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2007;27:129-137
Pervenuto in Redazione il 25-02-2007
Accettato per la pubblicazione il 04-04-2007
Parole chiave: attività fisica, diabete, obesità,
maratona, autobiografia narrativa, tecniche
cognitivo-comportamentali, stile di vita
Key words: physical activity, diabetes, obesity,
marathon, narrative autobiography, cognitive
behavioural strategies, life style
I crescenti livelli di inattività fisica e la facile disponibilità di cibo
ad alta densità calorica stanno portando un numero sempre
maggiore di persone a sviluppare condizioni patologiche quali
l’obesità, l’insulino-resistenza e il diabete mellito di tipo 2.
L’inattività fisica è responsabile di circa 2 milioni di morti all’anno
nel mondo e causa del 10-16% di casi di diabete, di cancro del
colon, di cancro della mammella e del 22% dei casi di cardiopatia ischemica. Identificare strategie che facilitino la partecipazione all’attività motoria in quantità adeguata a produrre benefici,
rappresenta una particolare sfida per coloro che lavorano nel
campo sanitario. In questa rassegna sono presentate le differenti strategie che sono state usate per promuovere e mantenere i
cambiamenti di comportamento nei riguardi dell’attività fisica,
includendo teorie basate su interventi, approcci interpersonali,
individuali o di gruppo, strumenti motivazionali, approcci ecologici e interventi plurimi. Vengono, inoltre, riportati i dati preliminari del progetto Io Muovo la Mia Vita che coinvolge un gruppo di
diabetologi, pazienti con obesità e/o diabete che hanno l’obiettivo di correre la Maratona di Milano e utilizza un nuovo promettente modello che sta sperimentando l’uso dell’autobiografia
narrativa come strategia cognitivo-comportamentale di gruppo
per favorire l’adesione di persone con obesità e/o diabete a un
impegnativo programma di attività fisica.
SUMMARY
Cognitive behavioural strategies to promote an active life style The project: I Move My Life
Physical inactivity causes about 2 million deaths worldwide
annually. Globally, it is estimated to cause about 10-16% of
cases each of breast cancer, colon cancers and diabetes, and
about 22% of ischemic heart disease. There is a large evidence
in literature about the beneficial effects of regular aerobic physical activity with a significant dose response relationship. This
review summarizes the effective strategies used to augment
physical activity levels of diabetic population. In addition, a novel
cognitive behavioural approach based on the use of narrative
autobiography is introduced. The innovative project “I Move My
130
D. Battistini et al.
Life” involves a group of endocrinologists and their patients
affected by obesity and/or diabetes in a one year training programme to run the Milano City Marathon. Periodically, all participants report to the entire group their feelings, beliefs and difficulties in a written form. The preliminary results show that narrative
autobiography is a potent instrument to increase the adherence
of participants to the training programme and the perception of
participants to be a compact group which shares and fights
against the same problem.
Introduzione
In confronto alla prima metà del secolo scorso la nostra
società sta diventando sempre più sedentaria. I crescenti
livelli di inattività fisica e la facile disponibilità di cibo ad alta
densità calorica stanno portando un numero sempre maggiore di persone a sviluppare condizioni patologiche quali l’obesità, l’insulino-resistenza e il diabete mellito di tipo 2
(DM2). In un recente documento, l’Organizzazione Mondiale
della Sanità sostiene: “L’inattività fisica è responsabile di
circa 2 milioni di morti all’anno nel mondo e causa del 1016% di casi di diabete, di cancro del colon, di cancro della
mammella e del 22% dei casi di cardiopatia ischemica”1. La
situazione è allarmante non solo per i Paesi industrializzati,
ma anche per quelli in via di sviluppo2.
È ben documentato dagli studi della letteratura scientifica
che crescenti livelli di attività fisica giocano un ruolo chiave
nella prevenzione e terapia dell’obesità, del diabete e della
condizione di insulino-resistenza3. Società scientifiche come
l’American College of Sports Medicine e il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitense (Centres for
Disease Control and Prevention), hanno fornito raccomandazioni su quanta attività fisica si dovrebbe fare per mantenere
lo stato di salute e ridurre i fattori di rischio per un gran
numero di malattie3. Queste linee guida raccomandano di
praticare un minimo di 30 minuti consecutivi di attività fisica
moderata, almeno 5 giorni alla settimana, preferibilmente
tutti i giorni3. Il Ministero della Sanità del Regno Unito ha pubblicato nel 2004 una rassegna sul rapporto tra attività fisica
e salute4. La rassegna ha concluso che in molte persone,
senza dover ridurre l’introito calorico, 45-60 minuti di attività
fisica ogni giorno potrebbero essere sufficienti per prevenire
lo sviluppo dell’obesità. Inoltre, le persone che sono state
obese e hanno perso peso, dovrebbero aver bisogno di 6090 minuti di attività al giorno al fine di mantenere tale perdita
di peso4. Questi suggerimenti hanno un ruolo importante nei
soggetti con insulino-resistenza o DM2, poiché la maggior
parte di questi individui è obesa o in sovrappeso.
Il problema è che circa il 65% della popolazione adulta dei
Paesi anglosassoni4 e circa l’80% di quella italiana (dati
ISTAT 2006) non pratica i livelli minimi di attività fisica consigliati dalle società scientifiche per migliorare e mantenere la
salute. Inoltre, la quantità di attività fisica tende a ridursi significativamente con l’età proprio nel periodo della vita in cui si
riduce la sensibilità insulinica e ciò contribuisce ad aumentare l’incidenza del DM2 con l’invecchiamento.
Identificare strategie che facilitino la partecipazione all’attività
motoria in quantità adeguata a produrre benefici, rappresenta
una particolare sfida per coloro che lavorano nel campo sanitario. In realtà, non vi sono molti lavori focalizzati sulle strategie
ottimali per promuovere e mantenere l’attività fisica in questi
pazienti. A questo riguardo, le linee guida delle Società
Scientifiche raccomandano che gli interventi di attività fisica
siano basati su un valido costrutto teorico. Tuttavia, non ci
sono ancora dimostrazioni definitive su quale sia la struttura
teorica da preferire o la migliore combinazione di esse.
A breve termine, è stata dimostrata l’efficacia nello stimolare
sostanziali incrementi nell’attività fisica mediante strumenti
motivazionali come pedometri, sensori portatili che misurano
il dispendio energetico e suggerimenti sul tipo di attività fisica, ma sono richieste ulteriori strategie per mantenere i cambiamenti di comportamento a lungo termine.
Il counseling per l’attività fisica ha dimostrato una sua efficacia per periodi fino a due anni in pazienti con DM2. Le ricerche future dovrebbero identificare gli effetti a lungo termine di
questo tipo di intervento e la produttività dei diversi metodi di
somministrazione.
In questa rassegna saranno presentate le differenti strategie
che sono state usate per promuovere e mantenere i cambiamenti di comportamento nei riguardi dell’attività fisica, includendo teorie basate su interventi, approcci interpersonali,
individuali o di gruppo, strumenti motivazionali, approcci
ecologici e interventi plurimi. Successivamente, saranno riassunte le conclusioni di queste ricerche, suggerite alcune raccomandazioni e proposto un nuovo promettente modello
sperimentale per le ricerche future.
Teorie per indurre la modifica
del comportamento
Capire i fattori che motivano le persone a essere fisicamente attive è essenziale per lo sviluppo di interventi efficaci per
la promozione dell’attività motoria.
Numerosi modelli teorici sono stati proposti e usati con l’obiettivo di definire il comportamento nei confronti dell’attività
fisica. I modelli proposti includono: il modello di percezione
della salute (health belief model)5, la teoria di motivazione per
la prevenzione (protection motivation theory)6, entrambi
basati sul concetto che la modifica comportamentale è legata alla tendenza di proteggersi nei confronti delle malattie e a
cercare di migliorare la propria salute. Altri modelli utilizzati
sono: la teoria dell’auto-efficacia (self efficacy theory)7 che si
basa sulla fiducia nella capacità di modificare il proprio comportamento, la teoria dell’azione motivata (theory of reasoned action)8 che esamina l’intenzione della persona nel mettere/non mettere in pratica un nuovo comportamento, il
modello socio-cognitivo (social cognitive model)9 che esplora le influenze ambientali, i fattori personali e le caratteristiche
stesse del comportamento e i modelli teorici di cambiamento (transtheoretical model of behaviour change)10 che propongono che le persone si muovono attraverso stadi, nel
momento in cui decidono di cambiare passando da uno stadio a uno successivo o precedente.
Strategie cognitivo-comportamentali per incoraggiare l’uso dell’attività fisica nello stile di vita delle persone con diabete
In realtà, non c’è un accordo sul miglior modello o sulla migliore combinazione di modelli da usare per cambiare il comportamento nei confronti dell’attività fisica. Molte ricerche sono a
favore dell’uso nella popolazione generale di un modello
transteorico di cambiamento11. Attualmente, abbiamo ulteriori ricerche a favore dell’efficacia di questo modello anche per
la promozione dell’attività fisica in persone con DM212-14.
Nel modello transteorico di cambiamento del comportamento sono stati identificati 5 stadi: pre-contemplativo, contemplativo, in preparazione, in azione e in mantenimento15. La
progressione da uno stadio all’altro non sempre avviene
secondo una rigida sequenza e le persone possono in ogni
momento progredire in avanti o ricadere indietro in uno o più
stadi. Il modello propone che diverse strategie di intervento
dovrebbero essere usate nei differenti stadi di cambiamento
per aiutare il progredire della persona verso uno stadio più
alto o per evitare le ricadute. La definizione di ogni stadio è
presentata nella tabella 1 insieme ai consigli per le strategie
più appropriate.
Il modello transteorico di cambiamento del comportamento
incorpora tre componenti che sono l’auto-efficacia (fiducia
nella capacità di cambiare), il bilancio decisionale (pro e contro del cambiamento) e i processi cognitivi e comportamentali del cambiamento (dieci strategie usate dalle persone nel
cambiare il comportamento).
Nel 2001, una metanalisi di 71 lavori pubblicati ha analizzato
i risultati degli interventi con i modelli transteorici per promuovere l’attività fisica nella popolazione generale, e la relazione tra i livelli di attività fisica e i singoli componenti alla
base della struttura del modello (stadi di cambiamento,
bilancio decisionale, auto-efficacia e processi di cambiamento)11. I risultati di questa metanalisi hanno supportato fortemente l’applicazione del modello transteorico per l’attività
fisica, visto che ogni componente differiva attraverso gli stadi
nella direzione prevista dalla teoria11.
Il modello transteorico sembra essere un buon modello per
scegliere una base teorica per capire e influenzare il compor-
131
tamento verso l’attività fisica anche nelle persone con DM2.
Mau et al. hanno dimostrato la validità di questo modello in
soggetti con DM2 o a rischio di DM2, riportando gli stadi di
cambiamento e il movimento tra gli stadi in riferimento ai
cambiamenti di comportamento nei confronti dell’esercizio
fisico13. Anche l’American College of Sport Medicine consiglia l’uso del modello transteorico per promuovere l’attività
nelle persone con DM216. Ciò spiega perché numerosi studi
hanno usato questo modello come una struttura teorica per
gli interventi di promozione dell’attività in persone con diabete12,14,17-19.
Approcci interpersonali
Una rassegna sugli interventi di attività fisica rivolti a persone
adulte o anziane ha dimostrato che gli interventi efficaci
hanno usato strategie comportamentali o cognitivo-comportamentali, mentre sono risultati poco efficaci gli interventi
basati sulla semplice educazione alla salute o sulla prescrizione dell’esercizio fisico20.
Le strategie usate per l’approccio interpersonale includono
l’individuazione degli obiettivi, l’auto-monitoraggio, il feedback, il supporto, il controllo degli stimoli e l’educazione alla
prevenzione delle ricadute.
Due approcci interpersonali rilevanti nella promozione dell’attività fisica sono il colloquio motivazionale (motivational interviewing) e il counseling per l’attività fisica (physical activity
consultation).
Colloquio motivazionale
Il colloquio motivazionale (motivational interviewing) è stato
originariamente proposto per il trattamento delle dipendenze
ed è descritto come “una strategia centrata sul paziente che
viene consigliato a esaminare e risolvere le incertezze nei
confronti della modifica del suo comportamento”21.
Tabella 1 Gli stadi del cambiamento nei confronti dell’attività fisica e le strategie di counseling appropriate
per ciascuno stadio.
Stadio
Definizione
Strategia appropriata
Pre-contemplativo
Sedentario, non intende cambiare
Informazione e consigli sui rischi della
nei successivi 6 mesi
condizione di sedentarietà e sui benefici
dell’attività motoria
Contemplativo
Sedentario, ma pensa di diventare
Bilancio decisionale (analisi dei pro e
attivo nei successivi 6 mesi
dei contro della modifica).
Colloquio motivazionale
In preparazione
Ha già fatto qualche tentativo
Programmare degli obiettivi realistici
per diventare attivo
e stabilire il supporto
In azione
Attivo, ma da meno di 6 mesi
Rinforzo dei risultati e dei benefici
ottenuti. Consigli sul superamento
di eventuali ostacoli
Mantenimento
Attivo da più di 6 mesi
Prevenzione delle ricadute, di infortuni
e proposta di attività alternative
132
D. Battistini et al.
Durante il colloquio motivazionale vengono esplorati i sentimenti di conflitto relativi a un comportamento sbagliato.
Attraverso un ascolto riflessivo e domande aperte, l’individuo
è incoraggiato a esprimere le proprie motivazioni, la soluzione dei problemi ai propri limiti, per cambiare e formulare
nuovi traguardi. Un punto fondamentale dell’intervento è la
responsabilità personale nel cambiare. Il colloquio motivazionale è generalmente applicato a persone nello stadio precontemplativo, dove l’incertezza nel cambiare raggiunge il
picco.
Il colloquio motivazionale è stato recentemente applicato al
cambiamento d’approccio verso l’attività fisica. Uno studio
pilota, randomizzato, ha esaminato l’efficacia di aggiungere
le strategie di colloquio motivazionale al programma di controllo comportamentale del peso per donne con DM222. Le
partecipanti a cui è stato somministrato il colloquio motivazionale hanno dimostrato in modo significativo una migliore
risposta, in quanto hanno monitorato più spesso la glicemia
e raggiunto un miglior controllo della glicemia in seguito al
trattamento22. Anche la frequenza di esercizio e la registrazione dell’introito calorico aumentavano, sebbene in maniera non significativa22.
Harland et al. hanno valutato l’efficacia del colloquio motivazionale, breve e intenso, con o senza incentivi economici per
promuovere l’attività fisica nella popolazione23. La percentuale dei partecipanti che riferivano un aumento di attività fisica
dopo 12 settimane era significativamente maggiore in tutti i
gruppi dell’intervento rispetto ai controlli23. La percentuale
dei partecipanti che aumentava la propria attività non era
diversa tra i gruppi che avevano un colloquio motivazionale
breve o intenso. Tuttavia, un maggior numero di partecipanti che aveva ricevuto insieme al colloquio motivazionale
intenso anche gli incentivi economici ha aumentato l’attività
fisica rispetto agli altri gruppi di intervento. Gli incrementi di
attività fisica riferiti a 12 settimane non erano mantenuti a un
anno, indipendentemente dall’intensità dell’intervento23.
Diversi limiti metodologici sono presenti in questo studio, ed
è chiaro che un’ulteriore ricerca è richiesta per stimare accuratamente l’efficacia del colloquio motivazionale nel promuovere e mantenere l’attività motoria.
Counseling per l’attività fisica
Il counseling è simile al colloquio motivazionale24.
L’approccio è centrato sull’individuo ed è semi-strutturato
con delle variabili basate sui bisogni dell’individuo24. Il counseling per l’attività fisica è spesso basato sul modello transteorico della modifica comportamentale e, di norma, è costituito da una discussione vis a vis con un individuo, che ingloba una serie di strategie basate sull’evidenza di promuovere
e mantenere l’attività motoria.
Le strategie usate includono: l’analisi dell’attuale comportamento, il bilancio decisionale, il supporto sociale, lo stabilire
obiettivi precisi e la prevenzione delle ricadute.
Uno studio pubblicato nel 2005 da Rollnick et al. ha descritto l’importanza dello stile del consulente per indurre la modifica comportamentale, sottolineando il valore di una linea
guida piuttosto che di un atteggiamento direttivo, dove fon-
damentalmente il paziente decide se cambiare o meno il proprio comportamento e come fare per cambiarlo25. Coloro
che promuovono la salute sono propensi a rimanere un
passo indietro nella consulenza, in modo da evitare la persuasione, incoraggiando invece il paziente a prendersi la
responsabilità del cambiamento comportamentale, ed
esplorare e sviluppare le proprie motivazioni e i propri traguardi. Anche lo stile di vita di chi conduce la consulenza
gioca un ruolo nello stimolare i pazienti con DM2 a cambiare il proprio comportamento sedentario. Il consiglio sulle abitudini di vita da parte di medici che hanno un corretto stile di
vita ha più efficacia rispetto al consiglio dei medici che hanno
un cattivo stile di vita26. Durante il counseling la comunicazione non verbale è una dinamica importante che influenza il
bilancio decisionale del paziente. Questo concetto è stato
ben espresso dal filosofo latino Lucius Annaeus Seneca, che
ha scritto in una delle sue lettere a Lucilio: “le persone credono molto di più ai loro occhi che alle loro orecchie”.
Un numero di esperimenti randomizzati e controllati supporta
l’uso del counseling per la promozione dell’attività fisica nella
popolazione in generale27-31 e, in particolare, nella popolazione con diabete. Riguardo alle persone con diabete, due studi
pilota randomizzati hanno dimostrato l’efficacia del counseling per la promozione dell’attività fisica a breve termine (1
mese) in soggetti con DM1 e DM217,18. Lo studio di Kirk et al.
ha dimostrato l’efficacia del counseling per la promozione
dell’attività fisica a distanza di 6-12 mesi in soggetti con
DM214. I partecipanti assegnati ai gruppi di intervento hanno
ricevuto un counseling sull’attività fisica all’inizio e a 6 mesi
con telefonate di supporto da 1 a 3 mesi dopo ogni consulenza. I partecipanti nel gruppo di controllo hanno ricevuto un
trattamento standard in cui veniva promossa l’attività fisica
con un foglio illustrativo sui benefici dell’esercizio nel diabete.
L’analisi dei risultati ottenuti a sei e dodici mesi rispetto al
basale ha incluso i parametri di attività fisica (auto-compilazione di un questionario, monitoraggio dell’attività, stati e processi comportamentali verso l’attività), variabili fisiologiche
(pressione sanguigna, BMI, funzionalità cardiorespiratoria),
variabili biochimiche (Hb glicosilata, profilo lipidico, fibrinogeno) e parametri di qualità della vita. Rispetto al gruppo di controllo, i partecipanti che ricevevano il counseling hanno dimostrato consistenti miglioramenti nelle misure oggettive e soggettive dei livelli di attività fisica, la progressione attraverso
stadi di modifica comportamentale verso l’esercizio e un
incremento nella frequenza d’uso dei 10 processi di modifica
comportamentale. Dal basale al 6°-12° mese il gruppo di
intervento ha avuto una crescita media di 150 minuti di attività fisica moderata e di 130 minuti di attività fisica vigorosa.
Effetti favorevoli sono stati anche documentati nel controllo
glicemico, funzionalità cardiorespiratoria, pressione sanguigna, colesterolo totale e in alcuni parametri della qualità della
vita. Al contrario, il gruppo di controllo ha avuto una diminuzione nei livelli di attività fisica e un deterioramento nel controllo glicemico14. Ciò sottolinea il fatto che la semplice educazione, quando si limita a essere istruzione e illustrazione sul diabete, come avviene di routine, non ha efficacia nello stimolare il cambiamento comportamentale verso l’attività fisica in
soggetti con DM2. In uno studio analogo di Chun et al. è
Strategie cognitivo-comportamentali per incoraggiare l’uso dell’attività fisica nello stile di vita delle persone con diabete
stata valutata l’efficacia del counseling per l’attività fisica,
sempre basato sul modello transteorico del cambiamento
comportamentale e strutturato in stadi di comportamento, in
un periodo di più di tre mesi12. Questo studio ha usato un
gruppo di controllo che ha ricevuto i consigli educativi standard. Anche in questo studio il gruppo di intervento, rispetto
al controllo, ha mostrato significativi miglioramenti nella fase
di cambiamento comportamentale verso l’esercizio, nei livelli di attività fisica, glicemia a digiuno ed emoglobina glicosilata. Il gruppo di controllo non ha dimostrato significativi cambiamenti12. Infine, Di Loreto et al. hanno dimostrato una efficace promozione dell’attività motoria per più di due anni in
soggetti con DM2, mediante un counseling, somministrato
da medici, per l’attività fisica32. L’intervento usato in questo
studio è stato individualizzato e ha incorporato strategie
cognitivo-comportamentali simili a quelle prima descritte
senza che l’intervento fosse strutturato in stadi di cambiamento comportamentale32. A ogni intervento il partecipante
riceveva una consulenza di base riguardo all’attività fisica e
questo era supportato da una chiamata telefonica un mese
dopo e da appuntamenti ambulatoriali ogni 3 mesi. Il gruppo
di controllo riceveva l’abituale trattamento in forma di consigli
educativi generici. Dopo 2 anni il gruppo di intervento documentava un incremento di sette volte nei livelli di attività fisica,
oltre a una significativa riduzione del BMI e dell’emoglobina
glicosilata. Il gruppo di controllo aveva un significativo aumento del BMI e cambiamenti non significativi nei livelli di attività
fisica o dell’emoglobina glicosilata. L’analisi post-hoc dell’intervento dimostrava che maggiore era il dispendio energetico
dovuto all’attività fisica praticata nel tempo libero e maggiori
erano gli effetti benefici in numerosi parametri biologici e nel
risparmio dei costi33. Nella tabella 2 sono riportati gli effetti
benefici previsti in relazione a incrementi progressivi nel dispendio energetico dei pazienti con DM233. Questi dati
dovrebbero essere usati durante la consulenza per l’attività
fisica per influenzare positivamente il processo di bilancio
decisionale dei pazienti.
133
Per cambiare comportamento una persona dovrebbe percepire un incentivo7, così il counseling dovrebbe essere individualizzato in modo da convincere il paziente che un’attività
fisica regolare è la giusta strategia per realizzare i propri traguardi. A questo riguardo è molto efficace capire le aspettative del paziente perché questo permette di centrare la conversazione sui risultati individuali.
Nella popolazione generale la consulenza per l’attività fisica è
stata sperimentata con varie modalità che includono contatti
vis a vis, sessioni di gruppo, contatti con medici per via telefonica o attraverso internet. Nel DM2 la maggior parte di consulenze per l’attività fisica è stata eseguita mediante il contatto
diretto, faccia a faccia. Questo metodo può richiedere tempo e
c’è un po’ di confusione su quale sia la figura professionale più
idonea per questo tipo di interventi. A nostro avviso il diabetologo, esperto di tecniche cognitivo-comportamentali, è in
grado di gestire il counseling in maniera efficace nella maggior
parte dei casi, soprattutto perché rappresenta la figura professionale a cui la persona con diabete si rivolge per risolvere il suo
problema. Il diabetologo deve essere in grado di capire se esistono disturbi della personalità che richiedono la consulenza di
uno specialista psicologo o, se necessario, di uno psichiatra.
Interventi di gruppo
Le sessioni d’esercizio strutturate con interventi di gruppo
sono state criticate per non avere basi teoriche, perché formano un limitato numero di persone veramente motivate,
per non utilizzare un approccio individualizzato, centrato
sulla persona, e per avere un elevato tasso di ritiri.
Un lavoro preliminare di Dishman (dati non pubblicati) ha
documentato che circa la metà degli individui che inizia un
programma d’esercizio di questo tipo, si ritira nei primi 6
mesi. Tuttavia, le sessioni di gruppo possono servire come
un importante supporto per gli individui e potrebbero essere
più utili per coloro che necessitano di un ulteriore consiglio e
guida, dopo il counseling individuale.
Tabella 2 Benefici attesi dal camminare a passo svelto (km/settimana) in pazienti con diabete mellito di tipo 2,
dopo 2 anni di attività33.
Km / settimana
15
20
25
30
40
50
BW (kg)
-1,2
-1,6
-2,0
-2,4
-3,2
-4
Cir. vita (cm)
-2,4
-3,2
-4,0
-4,8
-6,2
-8,0
HBA1c (%)
-0,3
-0,4
-0,5
-0,6
-0,8
-1,0
PA max (mmHg)
-2,1
-2,8
-3,5
-4,2
-5,6
-7,0
PA min (mmHg)
-1,2
-1,6
-2,0
-2,4
-3,2
-4,0
FC riposto (bpm)
-2
-3
-4,0
-5
-6
-8
COL HDL (mg/dl)
+2,1
+2,8
+3,5
+4,2
+5,6
+7,0
TG (mg/dl)
-19
+2,1
-48,2
-55,2
-57,4
-68,4
CHD (% a 10 anni)
-1,2
-1,6
-2,0
-2,4
-3,2
-4,0
Insulina (UI/die)
-5
-7
-9
-11
-14
-18
Farmaci (€/anno)
-300
-400
-500
-600
-800
-1000
CHD: rischio di coronoropatia
134
D. Battistini et al.
Alcune ricerche indicavano che corsi di esercizio strutturati
su interventi di gruppo potrebbero essere più efficaci nella
popolazione anziana che nella popolazione generale. Kirk et
al. hanno indagato l’adesione a tali corsi di gruppo nei
pazienti sottoposti a riabilitazione cardiaca34.
I risultati hanno documentato che l’83% dei pazienti in riabilitazione cardiaca stava ancora partecipando ai corsi di attività motoria dopo 6 mesi. Questa ricerca inoltre ha dimostrato che le persone con diabete avevano un tasso significativamente minore di adesione rispetto alle persone senza diabete34.
In teoria, una conveniente strategia per ottenere elevati livelli
di aderenza e per non sprecare tempo e soldi, potrebbe consistere in una iniziale consulenza con esercizi individualizzati
seguita da attività di gruppo una volta che i pazienti migliorano il proprio stadio di comportamento.
Strumenti motivazionali
Pedometri
Molte ricerche hanno documentato il beneficio di camminare per la persone con DM2. Camminare ha un immediato
effetto sui livelli di glicemia35. Inoltre, camminare regolarmente migliora la funzionalità cardiorespiratoria, la composizione
corporea, l’Hb glicosilata, il profilo lipidico e l’insulino-resistenza36,37. In uno studio prospettico di gruppo, Gregg et al.
riportano che le persone con diabete che camminano per lo
meno 2 ore alla settimana, rispetto alle persone inattive con
diabete, hanno un 39% in meno di tasso di mortalità da tutte
le cause e un 34% in meno di tasso di mortalità cardiovascolare38. Di Loreto et al. hanno dimostrato un significativo
beneficio oltre che in termini di salute anche da un punto di
vista economico da un intervento di counseling per l’attività
fisica che ha primariamente promosso il camminare34. In un
periodo di due anni, i costi a carico del servizio sanitario
nazionale si sono ridotti nel gruppo di intervento in media di
circa 1000 euro per persona all’anno (Tab. 2)34.
I pedometri sono stati recentemente promossi dai media
come strumenti efficaci per promuovere la camminata, con
l’obiettivo di raggiungere 10.000 passi al giorno.
Tudor Locke et al. hanno dimostrato che i pedometri sono
efficaci strumenti motivazionali per promuovere la camminata in persone con DM2 per un periodo da 4 a 16 settimane39.
Comunque, il cambiamento non veniva mantenuto a 24 settimane39. Anche Mutrie et al. hanno dimostrato che l’incremento nel numero dei passi con i pedometri era evidente
solo a breve termine ma dopo 52 settimane i livelli di attività
erano ritornati al minimo40.
Alcune ricerche recenti con il pedometro si sono focalizzate
sull’identificare la migliore strategia da combinare con l’uso
dello strumento. L’evidenza ha trovato appropriato l’obiettivo
dei 10.000 passi al giorno, come un obiettivo universale,
indipendente dalle variazioni riportate nei sottogruppi di
popolazioni differenti39.
La ricerca indica che i futuri programmi di camminata
dovrebbero essere basati su obiettivi personalizzati con l’obiettivo finale di raggiungere i 30 minuti al giorno di attività
fisica. A questo riguardo, ricerche condotte da Baker et al.,
hanno dimostrato che l’obiettivo passi (pedometro) è più efficace dell’obiettivo tempo41.
Monitor del dispendio energetico
La recente disponibilità di strumenti portatili per il monitoraggio del dispendio energetico offre una misurazione diretta dell’attività quotidiana più accurata in confronto ai pedometri.
Uno di questo strumenti, il Sensewear Armband® (Body
Media, Inc.) è stato convalidato in soggetti normali a riposo
e durante l’attività e in un piccolo gruppo di soggetti con
DM2, come misurazione dell’attività fisica giornaliera42. In 6
soggetti con diabete il confronto con la tecnica dell’acqua
doppiamente marcata ha dimostrato una significativa correlazione (r = 0,9696, p = 0,0014) e gli autori hanno evidenziato un limite stretto di conformità tra i due metodi42.
Il Sensewear ArmBand® usa un insieme di sensori per raccogliere l’informazione per calcolare il dispendio energetico quali
il movimento, il flusso di calore, la temperatura corporea, la
temperatura ambientale vicina e la risposta galvanica della cute
insieme a dati come sesso, età, altezza e peso43. Dal punto di
vista pratico il Sensewear Armband® potrebbe essere usato in
soggetti con DM2 per ottenere informazioni su: livello di metabolismo basale dei pazienti (dispendio energetico medio durante le ore di riposo); dispendio energetico consumato mediante
l’attività fisica spontanea, moderata o a elevata intensità; stato
di adattamento fisico registrando il picco di METS raggiunti
durante un esercizio molto intenso; ore e qualità di sonno
(costante o intermittente); accuratezza di un diario di attività fisica. Inoltre, l’analisi del monitoraggio del dispendio energetico
può essere usata per discutere col paziente se i target di attività fisica sono stati raggiunti e per programmare insieme i passi
successivi da raggiungere, allo scopo di aumentare l’aderenza
a lungo termine a una regolare attività fisica43.
Approccio ambientale
Gli interventi di attività fisica di gruppo o individuali, sebbene
molto utili, difficilmente portano un cambiamento vero nella
popolazione.
L’attività fisica è influenzata da molti fattori che includono fattori intra- e interpersonali, regolamenti e condizioni ambientali44. Idealmente gli interventi di promozione dell’attività fisica dovrebbero controllare tutte le variabili, ma questo non è
sempre possibile a causa della complessità e del costo di tali
approcci.
Alcuni semplici interventi ambientali hanno dimostrato significativi effetti sui livelli di attività fisica. Un esempio è il programma point of decision prompts. Questo può essere organizzato con dei cartelli posti vicino agli ascensori per motivare le persone a scegliere di usare le scale invece dell’ascensore. Questa è una sola componente di un intervento teoricamente molto complesso in cui il collocamento dell’avviso
Strategie cognitivo-comportamentali per incoraggiare l’uso dell’attività fisica nello stile di vita delle persone con diabete
è l’unico intervento sull’attività fisica. Kahn et al. hanno rivalutato l’uso di questi interventi nel 2002, notando inizialmente che i livelli base dell’uso delle scale erano bassi, con solo
un 12% circa di potenziali partecipanti che le usavano45. Con
la presenza dei cartelli l’aumento medio nell’uso delle scale
saliva al 53,9%45.
Una sistematica revisione della letteratura è stata condotta per
determinare l’impatto di interventi complessi sociali e ambientali sull’attività fisica e sui comportamenti alimentari46. Un classico approccio multicomportamentale è il modello di intervento del programma di prevenzione del diabete USA (DPP)47 e
dello studio di prevenzione del diabete finlandese (FPS)48. Il
DPP ha incluso una iniziale fase di intervento di durata di 24
settimane, che includeva le seguenti componenti: 16 sessioni
di auto-gestione di auto-comportamento, classi di attività sorvegliate fornite due volte alla settimana, un istruttore che gestiva incontri almeno ogni 2 mesi e accesso a uno staff di supporto sullo stile di vita, come dietologi, esperti nel comportamento e specialisti dell’attività motoria. La fase di mantenimento poi coinvolgeva l’incontro dei partecipanti con i loro
istruttori ogni due mesi, tramite una chiamata telefonica.
L’intervento del FPS era meno intenso rispetto al DPP e consisteva in consulenze individuali associate a classi strutturate di attività fisica e passeggiate di gruppo48.
Entrambi gli studi erano disegnati con lo scopo di raggiungere la massima potenzialità di cambiamento dello stile di vita, ed
entrambi raggiungevano tale obiettivo con successo. Nel DPP
il 75% dei partecipanti all’intervento ha raggiunto l’obiettivo di
almeno 150 minuti di attività fisica settimanale47, nel FPS l’86%
dei volontari del gruppo di intervento ha raggiunto l’obiettivo di
più di 240 minuti a settimana48. In realtà, l’applicabilità di questi interventi nella pratica quotidiana è difficilmente proponibile. Però molto possiamo apprendere dal disegno di questi
interventi. Entrambi gli interventi presentavano componenti
multiple, includendo possibilmente tutti i potenziali elementi
che si erano dimostrati promuovere il cambiamento comportamentale verso l’esercizio fisico. Entrambi erano centrati su
un modello individuale di trattamento e sullo sviluppo di capacità cognitivo-comportamentali, raccomandati anche dalla
maggior parte di rassegne sull’attività fisica.
Conclusioni e progetto
Io Muovo la Mia Vita
Il cambiamento di comportamento nei confronti dell’esercizio
fisico è complesso. I cambiamenti a breve termine dei livelli
di attività fisica sono raggiungibili attraverso interventi come
pedometri basati su programmi, suggerimenti nelle scelte,
consulenza per l’attività fisica e classi strutturate di esercizio.
Il cambiamento a lungo termine è più difficile da raggiungere
e non è stato ancora ben studiato.
Un limitato numero di ricerche suggerisce che le seguenti
componenti sono necessarie a promuovere e mantenere il
cambiamento comportamentale a lungo termine: sviluppo di
capacità cognitivo-comportamentali, supporto continuativo
e approccio individualizzato.
135
Per mettere in atto e mantenere il cambiamento della popolazione verso l’attività fisica, saranno richiesti interventi a livelli
più complessi.
In generale c’è la necessità di essere molto più focalizzati
sulla ricerca nell’area del miglioramento dell’adesione a un
programma di attività fisica in persone con insulino-resistenza e DM2.
Aree che sarà necessario approfondire sono:
1) esaminare la validità dei modelli attuali di cambiamento
comportamentale e dello sviluppo di nuovi modelli di
guida per la promozione dell’attività fisica;
2) studi con una maggior durata. In particolare, interessa se i
cambiamenti comportamentali vengono mantenuti nel
tempo una volta che gli interventi vengono interrotti, mettendo quindi in discussione la necessità di un intervento
continuo per mantenere il cambiamento comportamentale;
3) molti studi hanno dimostrato che gli interventi di consulenza per l’attività fisica sono efficaci per promuovere e mantenere l’attività fisica per un periodo maggiore di due anni.
Comunque, prestare questo tipo di intervento alle persone
può essere dispendioso, in tempo e denaro. Possiamo
prestare questi interventi usando altri metodi, come computer o siti web, materiale scritto, sessioni di gruppo;
4) studi diretti ad accrescere la quantità d’attività fisica svolta tra coloro che si occupano di promuovere la salute e
programmi di attività fisica che coinvolgono pazienti con
diabete e medici diabetologi;
5) pedometri e interventi nelle scelte sembrano dare incrementi nell’attività fisica rapidi ma non duraturi. A questo
riguardo la tecnologia attuale mette a disposizione sensori del dispendio energetico con lettura istantanea e
allarmi per gli obiettivi che potrebbero essere un approccio promettente. Nei prossimi anni sarà valutata l’efficacia della trasmissione automatica dei valori di dispendio
energetico depositati da questi dispositivi in un diario
web accessibile ai medici, che potrebbero supportare i
loro pazienti con e-mail;
6) uso dei media per convincere le persone obese sedentarie a usare strategie pubblicitarie, e far testimoniare persone che, grazie al miglioramento dello stile di vita,
hanno avuto la possibilità di percepire in prima persona i
vantaggi che si ottengono in termini di qualità di vita grazie all’attività fisica.
In quest’ultima prospettiva si colloca il progetto sperimentale in
corso che si chiama “Io Muovo la Mia Vita” (www.iomuovolamiavita.diabeteitalia.it). Promotori dell’iniziativa sono Diabete
Italia con il Gruppo Attività Fisica e il Centro Marathon del dott.
Gabriele Rosa. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione
pubblica sull’efficacia dell’attività fisica aerobica per curare
obesità e DM2. Gli strumenti utilizzati sono i media (stampa,
TV, sito web di Diabete Italia) per raccontare una sfida che dura
un anno: un gruppo di persone con solo obesità o con obesità e DM2, e i loro medici, partendo da zero comincia sotto la
guida di uno dei più grandi esperti al mondo di maratona (dott.
Gabriele Rosa di Brescia) un programma che li porterà attraverso tappe intermedie (10 km a marzo, 21 km a giugno) a
tentare di completare la maratona di Milano (ottobre 2007).
136
D. Battistini et al.
L’impresa maratona viene proposta per attirare l’interesse dell’opinione pubblica e far passare il messaggio che tutti possono ritenere fattibile: “Una moderata attività fisica come camminare 4-5 km al giorno, tutti i giorni, serve a curare obesità e diabete”. Quindi la maratona è solo una scusa per valorizzare l’attività fisica compatibile con lo stato di obesità e DM2. La sfida
maratona servirà anche a rinforzare da un punto di vista emotivo la convinzione che chi si impegna, grazie alla costanza,
può ottenere risultati impensabili. Nella sfida i medici non sono
spettatori passivi ma si mettono in gioco al pari dei loro pazienti per testimoniare al meglio che credono nella validità del messaggio. Sono coinvolti 18 Centri Diabetologici universitari,
ospedalieri e territoriali distribuiti in modo omogeneo in tutta
Italia. Ogni centro partecipa con 3 persone: 1 medico, 1 soggetto con obesità viscerale e 1 con DM2 (di durata 1-5 anni),
in più parteciperanno come testimonial Dario Laruffa, giornalista conduttore del TG2 RAI e lo scrittore Giannermete Romani
che sta curando la stesura di un libro su tutta la storia. L’età dei
partecipanti è compresa tra 20 e 65 anni. In totale si inizia con
56 persone seguite per la preparazione atletica dal Centro
Marathon di Brescia con test da sforzo e curva acido lattico. A
inizio e fine esperienza sono determinati la composizione corporea e i principali fattori di rischio cardiovascolare. Inoltre, per
tutta la durata del progetto, il gruppo viene seguito attraverso
un sostegno pedagogico che si avvale dell’approccio narrativo-autobiografico come utile strumento per analizzare e
descrivere meglio le emozioni e i vissuti dei partecipanti.
Da un punto di vista del counseling per l’attività fisica, i partecipanti al progetto (tranne qualche medico) sono classificabili
negli stadi di cambiamento 2 e 3 della tabella 1: stadio contemplativo (la maggior parte) o in preparazione (una minoranza). La novità delle strategie per indurre la modifica del comportamento sperimentate per la prima volta con il progetto Io
Muovo la Mia Vita sono l’uso dell’approccio narrativo-autobiografico, finora utilizzato per favorire l’accettazione di una condizione patologica, e la visibilità data ai singoli partecipanti, ciascuno dei quali è testimonial del progetto nella sua area geografica. L’approccio autobiografico inserito nel progetto Io
Muovo la Mia Vita permette un rafforzamento ulteriore di quelli
che sono gli scopi del progetto stesso: conoscenza, consapevolezza, azione e, infine, cooperazione. La persona, scrivendo
di sé, raggiunge una maggior consapevolezza della sua condizione psicofisica, potendo esprimere e fissando sulla carta la
propria esperienza. Nella sua apparente semplicità, il fatto di
scrivere di sé e ascoltare le storie e i vissuti degli altri, genera
apprendimenti significativi e permette di “fissare” i cambiamenti in corso condividendoli con altre persone che vivono e
attraversano la stessa esperienza. In ogni incontro di gruppo
avviene che ciascuno, attraverso la narrazione e la scrittura,
dona una piccola parte di sé agli altri, favorendo la conoscenza reciproca e la condivisione dei vissuti e delle emozioni legate all’esperienza del progetto Io Muovo la Mia Vita, quali paura,
inadeguatezza, entusiasmo, pessimismo, sofferenza. Questo
crea una grandissima solidarietà. La consapevolezza di essere un gruppo, fa sì che “l’essere insieme” non venga mai
meno, che ciascuno si prenda cura di sé ma anche dell’altro,
che l’ottimismo ma anche la fatica e la paura di non farcela
diventino patrimonio collettivo da affrontare e gestire insieme.
In Io Muovo la Mia Vita la scrittura autobiografica dà esperienza di riflessività e raccoglimento personale, si fa dunque narrazione da leggere e condividere in gruppo, fino a diventare
testimonianza collettiva. E proprio la responsabilizzazione dei
partecipanti con una valenza non solo privata ma pubblica
aumenta fortemente l’adesione all’attività fisica e al gruppo.
La forza di questo strumento educativo, è proprio quella di
fissare con la scrittura le tappe del percorso, per valorizzarlo, per non dimenticare, per testimoniare anche al di fuori e
oltre l’obiettivo maratona che cambiare è possibile e che
questo cambiamento può migliorare la propria vita.
Infatti, se è prevedibile che non tutti ce la faranno a completare i 42 km della maratona, è altrettanto sicuro che tutti ci
proveranno a cambiare la loro vita di sedentari, in quanto si
sentono al centro della gestione del loro problema di obesità o di diabete. Per approfondire questi aspetti è utile la lettura delle impressioni dei partecipanti raccolte attraverso la
scrittura autobiografica nel sito web del progetto:
www.iomuovolamiavita.diabeteitalia.it.
Nota: per un aggiornamento sul progetto Io Muovo la Mia
Vita vedi pag. 175.
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