Messa dell`Incoronazione

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Messa dell`Incoronazione
Messa
dell’Incoronazione
occasione di bellezza
Krönungs-Messe
Messa dell’Incoronazione
K.317 in Do maggiore per soli, coro e orchestra
La Messa in Do K.317 “Messa dell’Incoronazione” di
W.A.Mozart: Certezza e gioia della fede, tenerezza e potenza
della Misericordia di Dio.
«[...] Mozart è pura ispirazione - in ogni caso mi tocca per questo. Ogni nota è
giusta e non potrebbe essere diversa. Il messaggio è semplicemente lì. E in ciò
non vi è nulla di banale, nulla di puramente ludico.
L’esistenza non è ridotta, non è falsamente armonizzata. Nulla della sua gravità
e grandezza è tralasciato, ma tutto è portato a una totalità in cui possiamo
avvertire la soluzione anche delle oscurità della nostra esistenza e percepire lo
splendore della verità, del quale tanto spesso siamo inclini a dubitare. La gioia
che Mozart ci dona e che provo ad ogni incontro con lui, non si basa sull’esclusione di una parte della realtà, ma è espressione di una superiore percezione
della totalità che possiamo chiamare solo ispirazione, da cui le sue composizioni sembrano come fluire naturalmente. Così nell’ascoltare Mozart mi resta
innanzitutto la gratitudine perché ci ha donato tutto ciò e per il fatto che tutto
ciò gli è stato donato» (Benedetto XVI - da: Salzburger Festspiele - Salisburgo
2006 - volume, opera collettiva, in occasione dell’anno mozartiano 2006).
Tradizione vuole che la “Krönungsmesse” K317, che porta la data del 23 marzo
1779, sia stata composta da Mozart per commemorare l’incoronazione dell’immagine miracolosa della Madonna nel Santuario di Maria Plain presso Salisburgo. Quest’atto di devozione era avvenuto per la prima volta durante le sventure
della guerra il 27 giugno 1751, dopo che il Papa aveva benedetto la simbolica
corona e da allora ogni 27 giugno se ne celebrava l’anniversario.
Non pochi dati certi portano oggi a negare questa tradizione ma, qualunque sia
stata la genesi e la situazione per cui il ventitreenne Mozart compone quest’opera, ciò che ci rimane «[...] è un canto esultante da cui la fede trabocca e si
trasforma in speranza, e in cui il sentimento della gloria di Dio sostiene ed
esalta la fiducia...» (H. Ghéon).
Destinata alla liturgia vi troviamo musicati i testi liturgici dell’Ordinario della
Messa (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei), pur appartenendo al genere delle “messe brevi”, la Messa K.317 mostra un impianto ambizioso e imponente che prevede l’utilizzo di una nutrita orchestra, di un coro e di
quattro solisti.
«Stringatezza formale, orecchiabilità dei temi, contrasti facilmente accessibili
di atteggiamenti fastosi con altri pensosi e lirici, una scrittura corale prevalentemente omofona e la semplice bellezza dei “soli” contribuirono a farne una tra
le composizioni sacre di Mozart più popolari» (B.Paumgartner).
«[...] riunisce in una fusione perfetta, due aspetti che sembrano inconciliabili:
un carattere popolare e un modello, sapiente e perfettamente elaborato, di
ciò che Mozart considerava l’ideale estetico per una messa, nel rispetto delle
proporzioni della Messa breve» (C. De Nys).
«[...] Ogni brano della Messa è un canto che ha una propria vita autonoma. Il
musicista usa con una stupenda precisione di tocco tutta la varietà dei suoi
mezzi. Se il canto è bello, Dio sarà contento. Come scrive da qualche parte
Henry Bidou, Amadeus ha composto opere per gli Angeli. Ma se li guardiamo
più da vicino, ci accorgiamo che questi brani, che musicalmente sono Arie con
accompagnamento, movimenti di una Sonata o di una Sinfonia, si uniformano
scrupolosamente e con naturalezza al significato profondo del testo sacro, benché vi dominino la gioia e la gloria . Ma lo scopo della nostra vita non è proprio
questo: il raggiungimento della gioia e della gloria?» (H.Ghéon).
Questi sono soli alcuni tra i giudizi formulati da eminenti personalità della musicologia che sottolineano la perfezione formale e la sapiente scrittura da un lato,
ma anche la semplicità e la bellezza dei temi che rendono facile e commosso
l’ascolto di quest’opera da parte di qualsiasi tipo di pubblico.
La “Krönungs-Messe” è quasi tutta in Do (ad eccezione della prima parte
dell’Agnus Dei che è in Fa) e si mantiene in maggiore con una insistenza che
desta meraviglia.
È un susseguirsi quasi continuo di accordi perfetti. L’accordo di Do dal quale
prende lo slancio il Kyrie iniziale, sembra essere l’unico motivo, il filo conduttore che la sostiene e la guida fino alla fine; anche quando le voci lo abbandonano,
gli strumenti lo ripetono senza stancarsi fino a che non riescono a ricondurvele
definitivamente.
La base del Kyrie e del Sanctus è DO MI SOL, la sovrastruttura del Credo è la
scala di Do: DO RE MI FA SOL. Ciò esprime stabilità: la certezza della fede.
Dentro questa certezza il musicista può dar libero sfogo alla sua tenerezza, al
suo brio, allo sviluppo di belle volute che costituisco il fiore spontaneo della
sua arte, quasi a voler dire che l’Essere eterno porta in sé la creazione, le sue
creature, la fragilità e il mutamento.
Il peccato originale è più leggero della Redenzione, la colpa è più leggera della
Grazia, e la sofferenza è più leggera della Gloria.
È dentro questa fede certa e gioiosa, come quella che il bambino ha nell’amore
della mamma, che ogni brano della Messa sviluppa il rapporto tra Dio e l’uomo.
Dice Adrienne von Speyr: «Mozart ha nella preghiera l’atteggiamento del bambino, dice tutto e ciò gli ritorna in melodia. Non c’è differenza fra il suo essere al
pianoforte e il suo pregare. La musica serve ad offrire all’uomo un’esperienza
di preghiera».
E aggiunge Henri Ghéon: «Mozart trasformerà in musica tutto quello che ha
osservato col suo sguardo implacabile di bambino, tutto quello che ha letto,
ammirato, sentito, imparato, sperimentato da solo: la campagna, la città, gli
uomini, il dolore, l’amore e anche la preghiera».
Dinanzi ad un’opera religiosa di Mozart, non ci si deve dimenticare che egli si
sente disinvolto e sicuro di fronte a Dio: è il bambino che canta e non sa offrire
a Dio nulla di più prezioso: «...se il canto è bello, Dio sarà contento».
Il Kyrie inizia con una triplice invocazione corale che si fa grido: Signore abbi
pietà di noi! L’ingresso del soprano prima e del tenore poi, rende questa invocazione, attraverso una improvvisa pacatezza, consapevole della accordata pietà:
il tema vocale, quando la preghiera si rivolge a Dio Padre, non abbandona la
tonalità maggiore; appena si rivolge al Figlio «Christe eleison», passa alla moda-
lità minore, nello spazio di una o due battute, appena il tempo di dirci: «Il Cristo
ha sofferto...» e, riaprendosi alla luminosità del modo maggiore aggiunge: « Lo
so che avrai pietà, che sono debole, ma Tu sarai con me più tenero che giusto»
Nel Gloria il tripudio di lode del coro è una festa che alterna il coro alle voci
soliste quasi ricordando la prassi dell’alternatim propria del canto liturgico.
Riferendosi al Sacrificio del Figlio per la salvezza dell’uomo «qui tollis peccata
mundi», i passaggi corali rivelano tutto il dramma della condizione umana di
peccato e la sua necessità di salvezza. Ma la risposta è nelle voci soliste che
implorano con commozione la Misericordia Divina che diventa un abbraccio sicuro e definitivo: «quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus Altissimus». Così si ritorna alla festa iniziale che resta sospesa appena un attimo per
lasciare spazio ad una dolce deferenza nel pronunciare il nome di Gesù Cristo.
La ripetuta affermazione dell’Amen, cantato con solida certezza dal coro e intervallato dal canto vocalizzato dei solisti, sottolinea l’adesione convinta e gioiosa
alla fede.
Con il Credo, Mozart descrive i fondamenti della fede cattolica partendo da una
scala di Do maggiore scandita dai bassi dell’orchestra disegnando un climax
che porta al canto certo e gioioso del coro che, ribattendo le sillabe su un’unica
nota (il do) declama: «Io credo in un solo Dio» come un’unica voce.
Questa scala si ritroverà, costante, in diversi momenti quasi come un richiamo,
ogni volta, ad un nuovo gioioso inneggiare.
È una fede che non vacilla quella che si canta in questo Credo: l’orchestra dà
ampio spazio a timpani ed ottoni come nelle musiche militaresche di vittoria,
il ritmo sostiene senza tregua, gli archi, rapidi, si destreggiano in volute che
creano un clima festoso ed il coro canta sempre a piena voce. «Descendit de
coelis» mostra una linea melodica discendente quasi a disegnare Dio che si
piega sull’uomo introducendo, in questo modo, il Fatto dell’Incarnazione che
sospende la festa corale: le voci dei soli, ancora una volta interpreti del cuore
dell’uomo, tenere e solenni al tempo stesso, fermano il momento in cui Dio,
attraverso Maria, si fa uomo: «et homo factus est», per lasciare, subito dopo,
spazio al coro che grida la sofferenza della Crocifissione. Con sillabe staccate,
quasi fossero singhiozzi, si canta la morte di Cristo: «passus et sepultus est».
Ma la pietra che rotola sul sepolcro non è la fine, e così il coro non ha ancora
terminato l’ultima sillaba del racconto della morte, che riesplode, gioiosa, l’orchestra e il coro annuncia, festoso, la Resurrezione.
Ritroviamo la forza della scala di do ribadita dai bassi dell’orchestra, ritroviamo
l’unisono delle voci che annunciano che Cristo è risorto il terzo giorno, come
avevano profetizzato le Scritture, è salito al Cielo ed ora siede alla Destra del
Padre e ritornerà sulla Terra, ma questa volta in tutta la sua Gloria per giudicare i vivi e i morti e il Suo regno non avrà mai fine. Il linguaggio musicale che
esprime tutto questo è sempre quello festoso, certo, gioioso dell’inizio.
Ma ora trombe e timpani e lo squillo della voce del soprano annunciano il Mistero della Trinità la cui profondità è espressa dall’intreccio delle voci soliste
confuse dalle veloci quartine dei violini.
Rientra il coro per annunciare che la Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica. Lo fa fondendo i due elementi dell’inizio: il Do tenuto e la solita scala di Do
per ribadire la stabilità della Chiesa (...non prevalebunt!). Si desta l’attenzione
nel decrescendo della scala discendente dicendo l’attesa della resurrezione dei
morti poi la gioia riesplode quando a questa attesa si unisce quella della Vita
che verrà.
Gli Amen, secchi, ripetuti più e più volte poi sciolti in gioiosi vocalizzi dalle voci
del coro, ribadiscono la fede in tutto ciò che è stato enunciato.
Ma Mozart non si accontenta e quando tutto deve finire ripropone per l’ultima
volta nitida, solida, gioiosa la scala di Do udita più volte, segnale della fede che
non vacilla. Allo stesso modo il coro riafferma, come solenne presa di coscienza: «Io credo in un solo Dio. Amen».
Il Sanctus è l’“inno dei serafini” udito nel tempio di Gerusalemme dal profeta
Isaia (Is 6,3).
«[...] Nel testo liturgico lo scenario non è più, come nel profeta, il tempio di
Gerusalemme, ma il cielo, che nel mistero si apre verso la terra. Per questo
non sono più semplicemente i serafini che acclamano, bensì l’intera schiera
celeste, nella cui acclamazione, a partire da Cristo, il quale unisce fra loro il
cielo e la terra, può unirsi l’intera Chiesa, l’umanità salvata» (J. Ratzinger Opera omnia - Teologia della liturgia, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana,
2010, p.646).
Il canto del Sanctus nella Messa, è quindi il momento in cui la comunità radunata sulla terra si unisce ai cori celesti, nell’acclamazione alla Maestà Divina.
Mozart, attraverso un’ampia e tesa melodia che pare in continua sospensione,
intona il canto degli angeli: «Sanctus Dominus Deus Sabaoth. Pleni sunt caeli et
terra gloria tua».
Ma ecco che, annunciato dai trilli degli archi, irrompe con decisione l’osanna.
Originariamente un grido d’aiuto, diventa ora un canto di lode che collega Cielo
e terra.
Nel Benedictus l’espressione “Colui che viene”, così come l’intero testo, proviene dal salmo 118 ed era diventata, per i giovani di Gerusalemme che con
queste parole acclamavano Gesù la Domenica delle Palme, un appellativo per
il Messia.
Così, nella Liturgia, se il Sanctus è riferito all’eterna gloria di Dio, il Benedictus
invece è riferito alla venuta del Dio incarnato in mezzo a noi. Sono quindi le voci
dei solisti che con una affettuosa melodia si fanno interpreti della meraviglia
che il Mistero dell’Incarnazione desta nel cuore dell’uomo che ne è toccato. «[...]
Colui che è venuto è sempre anche Colui che viene: la sua venuta eucaristica,
l’anticipazione della sua ora, trasforma la promessa in presenza e attira il futuro dentro il nostro oggi» (J. Ratzinger Opera omnia - Teologia della liturgia,
Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, p.650).
Ritorna vigoroso l’osanna che unisce in una sola lode il Padre e il Figlio.
Nell’Agnus Dei la voce femminile che dolce e appassionata intona la supplica
alla Misericordia di Dio, è come se, finalmente, chiamasse ciascuno di noi a
stare di fronte al Tu di Cristo, Agnello immolato, con confidenza e amore.
Il soprano ripete per tre volte un’accorata invocazione al perdono con una penetrante e malinconica melodia che sarà ripresa da Mozart nell’aria della Contessa (“Dove sono i bei momenti”) nelle Nozze di Figaro, ancora come voce di un
appassionato, struggente moto del cuore.
«Agnello di Dio, abbi pietà!» la richiesta si fa sempre più insistente (attraverso
la ripetizione ed una minima variazione della melodia con scarni e semplici
abbellimenti che l’arricchiscono ogni volta) fino a giungere, attraverso una tesa
ascesa melodica, quasi ad un grido di pretesa, permesso solo da un’intima
confidenza.
Con la ripresa del tema del Kyrie, il soprano ci convince che la tenera misericordia di Dio ha portato a compimento la richiesta iniziale. La nuova richiesta della
pace, è certezza che il sacrificio che si è appena compiuto nella Liturgia, reso
possibile dall’amore di un Dio che si è incarnato, ci salva dal nostro peccato e
quindi ci da pace. Questa certezza contagia tutti: alla voce del soprano si uniscono gli altri solisti, insieme dolcemente raggiungono la solidità e l’apertura
tonalità maggiore che porta il coro ad esplodere, con il cadenzare dei timpani e
la gioia degli squilli di tromba nel «dona nobis pacem» invocazione ad una pace
che si sa già donata.
«[...] Questo brano, per me spettacolare, con quel canto commovente, così intenso e perfetto, è una preghiera, una domanda poggiata su Dio fatto uomo
per salvare la povertà e la meschinità di noi uomini: Egli è venuto per questo;
e ascoltare la musica di Mozart testimonia questo pensiero» (Don L. Giussani
- “Ascoltando Mozart: una domanda poggiata sul Dio fatto uomo”. Libretto CD
“Mozart Messa dell’Incoronazione - Concerto per violino n.3” Collana “Spirto
Gentil” Deutsche Grammophon).