URBANe - Trucioli Savonesi

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URBANe - Trucioli Savonesi
URBANÉ
APPUNTISAVONESIDIPIANIFICAZIONE TERRITORIALE
NUM ERO ZERODUE -GENNAIO 2007
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Memorabilia
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Dibattito sul progetto del porto turistico allaMargonara
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All’ombra delle idee sbagliate
di LucaUrbinati
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sono contrarie dei contrari. Inquesto genere, attraverso unasol
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Il numero zerodue di Urbanéaffronta il tema della pianificazione costiera savonese
con una monografia che, da diverse angolazioni, intende offrire spunti di riflessione
forse inediti e sicuramente poco approfonditi nell’ambito savonese. Con un’ulteriore
testimonianza, dunque, la proposta editoriale cresce, rafforzandosi con i preziosi
contributi esterni ospitati nelle pagine di questa seconda simulazione della rivista,
tanto che forse non sembra cosìlontano il momento del primo numero ufficiale
dell’ambizioso progetto. Ma veniamo al dunque.
Da oltre un decennio, molti sostengono che Savona necessiti di un nuovo porto
turistico e che questa infrastruttura debba essere realizzata al confine con il Comune
di Albissola Marina, nella zona denominata Punta Margonara. La costa, nel tratto
interessato dalla nuova infrastruttura per la nautica, è una falesia posta immediatamente a ridosso dell’imboccatura portuale del bacino di Savona, nella quale coesistono alcune emergenze morfologiche (Punta Margonara, lo “scoglio della Madonnetta”
e gli scogli della Margonara),Rio Termine, la Strada Aurelia e spontanei agglomerati
di baracche costruiti nel tempo per la fruizione balneare del litorale.
L’Autorità Portuale di Savona, a partire dagli anni ‘
90, si è fatta promotrice dell’introduzione negli strumenti di pianificazione sovraordinati delle necessarie previsioni per
il polo nautico che, di fatto, è contemplato dal Piano territorial
e di coordinamento degl
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igure (PTCP-ACL - 1997)e dal Piano territorial
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acosta(PTCC - 2000).Nel giugno 1998, l’Autorità Portuale intraprese la ricerca di soggetti interessati alla realizzazione e alla gestione del porto turistico,
giungendo, nel gennaio 1999, all’affidamento della progettazione preliminare del futuro approdo alla società Porticciol
o di Savonae di Al
bissol
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. Il primo progetto preliminare, redatto dagli architetti Avagliano e Gambardella, fu presentato del
dicembre 1999, e successivamente vennero avviate le procedure approvative nelle
1. Ventunesima intenzione tratta da Giordano Bruno, DE UMBRISIDEARUM -Le ombre del
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e idee.
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arte di Ricercare, Trovare, Giudicare, Ordinare e Appl
icare:esposte perunascritturainteriore, e non
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amemoria. - (1582), Egidio Gorbino, Parigi (fonte http:
//www.filosofico.net).
3
opportune sedi istituzionali, che si concretizzarono in un complessivo parere favorevole espresso dalla conferenza di servizi deliberante del maggio 2003, condizionato alle
future prescrizioni del Ministero dell’ambiente in merito alla Valutazione d’impatto
ambientale relativa al Piano regolatore portuale (PRP). Nell’ottobre 2005 un’ulteriore conferenza di servizi stabilì che il progetto preliminare depositato dovesse essere adeguato
alle prescrizioni contenute nella delibera regionale di approvazione del PRP del Porto Savona-Vado. Così, nel marzo 2006, la Porticciolo di Savona e di Albissola Marina Srl
presentòall’Autorità Portuale di Savona una nuova versione del progetto preliminare, in forma di studio di fattibilità, redatto dall’architetto Fuksas, che fu oggetto di
presentazione pubblica presso la sede dell’Unione Industriali di Savona nel giugno
dello stesso anno, senza peraltro formalizzarne il deposito presso le amministrazioni
comunali interessate. Il Comune di Savona, a breve, intende avviare una discussione
in Consiglio comunale al fine di esprimersi sulla nuova proposta progettuale.
Secondo i sostenitori dell’iniziativa, il nuovo porto turistico savonese contribuirà a
riqualificare il tratto costiero interessato e darà un impulso significativo all’economia
turistica locale del comprensorio;per contro, le voci avverse sostengono che l’operazione si tradurrà nell’ennesimo danno ambientale al patrimonio naturale costiero,
giustificato esclusivamente dalla volontà politica di accontentare immotivati interessi
finanziari e immobiliari.
A prescindere dalle posizioni ideologiche, vi sono comunque interessanti novità a
Savona, e per coglierne la portata bisogna innanzitutto convincersi che i paradigmi
della pianificazione urbanistica stanno cambiando in fretta e occorre pertanto adeguare i modelli interpretativi alle attuali situazioni. È una nuova fase dell’urbanistica
quella che stanno vivendo anche le piccole realtà di provincia: la pianificazione territoriale classica, infatti, si sta rapidamente trasformando in una sorta di urbanistica dello
spettacolo 2, come parimenti succede in altre città italiane e straniere.
Ai consolidati schemi delle iniziative immobiliari classiche, vengono oggi affiancati
nuovi modelli per lo sviluppo delle città e la trasformazione del territorio che interessano in modo sempre piùdiffuso le aree demaniali, favorendo così la valorizzazione
immobiliare del patrimonio territoriale dello Stato e mettendo in campo un articolato meccanismo di formazione del consenso, che pare piùintimamente collegato alle
tecniche pubblicitarie che alla pratica urbanistica tradizionale.
Fautori di queste iniziative non sono le amministrazioni comunali ma enti-promotori
come l’Autorità Portuale e la stessa Agenzia del Demanio. Di concerto con le locali
associazioni di categoria, con le imprese legate alla cooperazione e con singole forze
imprenditoriali, intervengono direttamente nella gestione territoriale, alla stregua di
promotori immobiliari, in virtùdi un tacito principio di sussidiaria delega pianificatoria
concessa loro dai comuni, che ormai sempre piùspesso non sono neppure in grado
di approvare il Piano urbanistico comunale (PUC).
Venendo quindi a mancare l’indirizzo di un organo elettivo, che deve pur rispondere
ai cittadini che rappresenta, le nuove operazioni di trasformazione territoriale gestite
da questi enti-promotori si fanno sempre più disinvolte, raggiungendo frontiere
2.
Intenzionale riferimento a La societàdello spettacolo (1967), di GuyErnest Debord.
4
inesplorate nel campo della valorizzazione immobiliare, come, ad esempio, la costruzione di palazzine su aree demaniali vergini, che da sempre è stato considerato un
tabù difficile da rimuovere. E quanto più la proposta è spregiudicata, tanto più la sua
giustificazione è categorica. Quando infatti non è possibile legittimare una significativa operazione di trasformazione territoriale con il preminente interesse pubblico
attraverso dei dati socio-economici oggettivi che dimostrino inequivocabilmente un
tangibile vantaggio per la collettività, gli enti-promotori della trasformazione fanno
ormai ricorso alle tecniche proprie dello spettacolo, creando delle suggestioni, delle
immagini forti che si traducono in affermazioni perentorie, dei falsi indiscutibili, 3 sui
quali viene fondato e costruito il necessario consenso degli amministratori pubblici e
di una larga parte dei cittadini, che cedono alle lusinghe di un immaginario spettacolare
proposto come una concreta opportunità di sviluppo.
Anche considerando il panorama nazionale, il caso savonese è significativo. La scorsa
estate, infatti, ha preso forma una singolare teoria urbanistica che afferma l’esigenza
di dotare il capoluogo di provincia, oltre che della nuova infrastruttura per la nautica,
anche di un landmark nel paesaggio costiero. Tale congettura si fonda sul bisogno,
fortemente sentito da alcuni, di rendere identificabile con certezza la città di Savona,
ridisegnandone il paesaggio costiero: marcandolo, appunto, in modo inconfondibile
con una torre di circa centoventi metri di altezza, piazzata sul molo frangiflutti del
futuro porto turistico. La torre-faro, secondo le intenzioni del progettista, dovrebbe
ricostituire il giusto rapporto di proporzioni stereometriche tra la linea di costa e le
grandi navi da crociera che faranno ingresso nel porto di Savona, segnalando inoltre
la presenza della città con luminarie visibili fino a Genova.
La nuova strategia urbanistico-spettacolare è bene sintetizzata in un articolo, a firma
di Paola Pierotti, pubblicato dal portale di Internet Demanio Real Estate, 4 dell’Agenzia
del Demanio: «Costruire sull’acqua. Abitazioni galleggianti, alte torri che come fari caratterizzano nuovi skyline urbani, isole artificiali con architetture che ospitano mix integrati di funzioni o
ancora intere città nate dal nulla. Sono architetture-icona firmate da grandi star dell’architettura
internazionale, realizzate in città che hanno riscoperto nel rapporto tra città e mare il volano per lo
sviluppo economico e l’occasione per essere forze attive nel quadro della competitività internazionale.
Nel nostro Paese il binomio archistar e localizzazione sul mare è strategia di marketing urbano: le
costruzioni sull’acqua normalmente non sono infatti interventi risolutivi di una problematica urbana
diffusa, una tendenza alla conquista di spazi marittimi per risolvere problemi di densità urbana, ma
landmark che danno qualità aggiunta alla trasformazione della città. (… ) ». Urbanistica e
architettura spettacolari, appunto.
Negli Emirati Arabi Uniti, sulla costa del Golfo Persico a Sud di Dubai sono in
corso di realizzazione le Palm Islands, isole artificiali disposte in modo tale da formare
3. Definizione di Guy Ernest Debord ne Commentari sulla società dello spettacolo (1988). A proposito
del falso indiscutibile, l’intellettuale francese scrive: «Il solo fatto di essere ormai indiscutibile ha fornito al
falso una qualità del tutto nuova. Allo stesso tempo, il vero ha smesso di esistere quasi dappertutto, o nel migliore dei
casi si è visto ridotto allo stato di ipotesi indimostrabile. Il falso indiscutibile ha ultimato la scomparsa dell’opinione
pubblica, che in un primo tempo è stata incapace di farsi sentire; e in seguito, molto rapidamente, anche solo di
formarsi. Naturalmente ciòprovoca conseguenze importanti nella politica, nelle scienze applicate, nella giustizia,
nella conoscenza dell’arte». Traduzione di Fabio Vasarri per SugarCo Edizioni Srl - Milano.
4.
Fonte http://www.demaniore.com
Sotto: la costa degli Emirati Arabi Uniti nei pressi di
Dubai. Sono visibili, dall’alto, la città di Dubai, l’arcipelago artificiale The World, in fase di costruzione, e
le isole artificiali The Palm Jumeirah, prossima all’inaugurazione, e The Palm Jebel Ali in fase di
completamento.5
il disegno un albero di palma. Le isole artificiali conterranno un complesso residenziale composto da 500 appartamenti, 2.000 ville, 25 hotel e 200 negozi di lusso,
diversi cinema e un parco marino contenente alcune vasche per balene e delfini. Ogni
isola, avrà poi un proprio porto turistico con ormeggi per 150 yacht e 50 super
yacht. La Palma di Jumeirah è vicina all’inaugurazione, la Palma di Jebel Ali è in fase
di completamento e a questa si aggiungerà una terza palma, a Deira, ancora in fase di
progetto. Poco più a nord della Palma di Jumeirah è prossimo alla realizzazione The
World, un arcipelago artificiale composto da 300 isole che formeranno il disegno del
planisfero terrestre, mediante lo spostamento di 500 milioni di metri cubi di sabbia
del deserto.
5.
Ripresa satellitare tratta dal Google Earth (server kh.google.com).
6
In basso: i lavori marittimi per la realizzazione delle
isole dell’arcipalago artificiale The World. 6
Sotto il dispotismo illuminato dello sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum,
negli ultimi anni, l’Emirato di Dubai si sta trasformando nella nuova icona globale dell’urbanistica immaginata, 7 grazie ad altri megaprogetti quali: Burjal-Arab (l’albergo più alto
e più lussuoso al mondo costruito anch’esso su un’isola artificiale), Hydropolis (un
albergo di lusso sottomarino di 220 camere con vista sui fondali del Golfo Persico),
Dubai Waterfront (ulteriori 81 chilometri quadrati di isole artificiali variamente composte), BurjDubai (circa 800 metri di altezza, l’edificio più alto della Terra), Madinat
Al Arab (il progetto per il migliore skyline costiero al mondo da realizzare costruendo nuovi edifici di pregio), Dubai Sports City (un complesso sportivo di 7,5 chilometri quadrati), Golden Dome (uno dei più voluminosi edifici al mondo, 455 metri di
altezza, 500.000 metri quadrati di uffici e spazi commerciali, oltre a 3.000 appartamenti residenziali), Dubailand Ski Dome (una cupola di vetro nel deserto, contenente
6.000 tonnellate di neve per praticare sport invernali).
Questo originale modello di sviluppo è frutto di una precisa strategia di marketing
territoriale che si prefigge di creare un nuovo tipo metropoli moderna: una specie di
ibrido tra una capitale della finanza e Las Vegas, in previsione di un futuro ormai
prossimo nel quale si esauriranno le scorte petrolifere mondiali e occorrerà riconvertire
l’economia dei paesi arabi verso i nuovi mercati della finanza internazionale e del
turismo di lusso.
Non stiamo dunque sperimentando nulla di nuovo a Savona, da altre parti osano
ben di più. Occorre tuttavia rimarcare che dietro ai visionari progetti dello sceicco di
Dubai geograficamente vi è il deserto e finanziariamente una delle più floride economie del capitalismo mondiale.
6.
Fonte: http://www.privateislandsonline.com
7. Definizione tratta dall’articolo di Mike Davis Un paradiso sinistro, pubblicato su Tom Dispatch, nella
traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini (fonte http://eddyburg.it).
7
Come spiegare quanto sta oggi accadendo a Savona?
La città si era ormai abituata con rassegnazione allo storico landmark della Fortezza
del Priamar, il manufatto che i genovesi iniziarono a erigere a partire dal 1542, attraverso la sistematica demolizione di una serie di importanti edifici sacri e civili, cancellando per sempre il vecchio quartiere di Santa Maria. Sembrava quasi un paradosso
il fatto che l’emblema della sconfitta e della distruzione della città antica potesse
diventare, anche se a distanza di qualche secolo, il simbolo della città stessa, e che nel
completo riuso del complesso monumentale fossero riposte le speranze per un futuro rilancio culturale, turistico ed economico. Forse occorrevano altri stimoli, e di
conseguenza gli ultimi anni sono stati fortemante innovativi sul versante della produzione edilizia, funzionale, secondo alcuni, a precisi scenari di sviluppo economico.
Così, dopo l’avvio degli interventi di trasformazione del waterfront cittadino, progettati dall’architetto Bofill, che rappresentano un significativo e controverso precedente urbanistico, la ventata di novità portata dal “Tornado” dell’architetto Fuksas ha
definitivamente risvegliato la città dal torpore. Una suggestione troppo forte quella
di una comoda teoria di marketing territoriale di provincia, per di più rafforzata da un
brand architettonico all’ultimo grido. Da subito il programma ha trovato molti autorevoli sostenitori: «Savona come Dubai!
»– avranno pensato.
Il recente convegno sul tema della salvaguardia della fascia costiera, organizzato da
Italia Nostra, pur offrendo spunti ben più meritevoli di approfondimento, ha dato
involontariamente la stura a una serie di discussioni e confronti serrati tra le opposte
scuole di pensiero, quasi esclusivamente in merito all’interpretazione iconografica del
landmark proposto dall’architetto romano. L’atteggiamento troppo superficiale degli organi di stampa ha poi contribuito a sviare l’opinione pubblica dalla vera sostanza del problema. Non si tratta di una questione estetica, è un problema etico.
Sarebbe quindi conveniente riportare le questioni urbanistiche all’interno di una discussione non viziata da ingiustificate derive, alimentate dalle suggestioni pubblicitarie e dalle strumentali semplificazioni in cui sovente cadono certi amministratori e
una larga parte dell’opinione pubblica. Occorre tenere ben presente il fatto che alle
nostre spalle non vi è il deserto, nétantomeno un florido tessuto economico pronto
ad assorbire qualunque bizzarria imprenditoriale e progettuale. Davanti a noi si prospetta un futuro incerto che non va ipotecato aderendo pedestremente a scenari di
sviluppo e a progetti carenti nella motivazione.
Tecnicamente si potrebbe argomentare che i 128 nuovi posti di lavoro dichiarati dai
proponenti, a fronte del finanziamento a fondo perduto di una quota corrispondente a circa il 20% dell’investimento necessario per la realizzazione del porto turistico, 8
appaiono poca cosa, tenendo conto che per l’ulteriore congestione veicolare sulla
Via Aurelia, procurata dal traffico indotto dal nuovo approdo turistico, non viene
fornita alcuna soluzione. Sorvolando sulle questioni architettoniche, che meriterebbero ben altri approfondimenti, appare singolare che il primo progetto preliminare
del porto turistico e il recente studio di fattibilità non contengano un’Analisi costi-
8. Dati desunti dalla Relazione istruttoria redatta da Europrogetti & Finanza Spa, per la richiesta di
ammissibilità ai contributi previsti dal Patto territoriale della Provincia di Savona, depositata dai
proponenti presso I.P.S. (Insediamenti Produttivi Savonesi).
8
benefici, che permetterebbe di accertare l’effettiva sussistenza del preminente interesse
pubblico dell’operazione. Appare quindi fin troppo facile liquidare la proposta come
sospetta e poco circostanziata, ma tale atteggiamento presterebbe il fianco a quanti
agitano lo spettro dell’immobilismo. Occorre invece essere propositivi.
Non si tratta pertanto di avversare a priori il progetto di un porto turistico a Savona,
semmai si tratta di dimostrarne l’effettiva esigenza alla luce di approfonditi studi di
settore e di valutazioni obiettive e di stabilirne la migliore ubicazione, in funzione
delle scelte strategiche della città e del comprensorio, evitando di consumare inutilmente delle risorse territoriali non ancora compromesse.
Per meglio inquadrare il programma urbanistico appena enunciato, vorrei recuperare l’importante concetto espresso nel mese di ottobre dello scorso anno dal Sindaco
di Savona, Federico Berruti, a proposito dell’esigenza di indire una Conferenza strategica sul futuro della città entro la metà del 2007: «La conferenza dovrà concentrarsi sul tema:
quale idea di città tra venti anni?Porto, turismo e commercio, università, ricerca e innovazione sono
i temi sui quali darci obiettivi condivisi. La strategia urbanistica deve essere figlia di questa idea di
città». 9
Se il binomio porto turistico alla Margonara e Torre-faro può rappresentare una
risposta ai problemi dello sviluppo dell’economia locale, un Piano strategico per la città
potrà sicuramente analizzare tutti gli aspetti non ancora indagati e proporre, nell’evenienza, delle alternative concrete all’intervento o semplicemente delle modifiche, tutte supportate da un più corretto approccio tecnico e amministrativo.
Visto il perdurare della situazione di stallo del nuovo PUC, la prospettiva di dotare
Savona di un Piano strategico pregno di contenuti programmatici, di consapevolezza,
di slancio ideale, di rigore e di vera partecipazione democratica potrebbe forse rappresentare la vera novità nel panorama amministrativo locale e forse potrebbe costituire un primo segnale concreto del rinnovamento da molti auspicato. In quest’ottica
la pianificazione territoriale tornerebbe a essere promossa pienamente dall’amministrazione comunale, organo elettivo espressione della comunità, e verrebbero finalmente a cessare gli anomali interventi sussidiari di soggetti che non rappresentano, di
fatto, gli interessi diffusi della collettività.
I piani strategici, ormai da qualche anno, sono stati adottati da diverse amministrazioni comunali italiane quale strumento fondamentale per la costruzione e la
condivisione futura del loro territorio. Vorrei riportare alcuni brani tratti dalla premessa del Piano strategico del Comune di Pergine Valsugana, 10 che illustrano, in questa
prospettiva, le ragioni e i significati della pianificazione strategica.
«Un piano strategico è qualcosa di più di un piano di sviluppo. Qualcosa di diverso. È un progetto
di futuro. È un disegno collettivo che si propone di orientare le traiettorie del cambiamento e le
trasformazioni concrete di una città o di un territorio verso un orizzonte di lungo periodo, verso uno
scenario possibile e desiderato. Il piano strategico non è, da questo punto di vista, il piano del Comune:
CONTINUA NELL’ULTIMA PAGINA
9.
Intervista di Antonella Granero, pubblicata su Il Secolo XIX.
10. Pergine Valsugana (TN), 18.833 abitanti. Brani tratti dal Piano strategico Pergine 2015, redatto nel
gennaio-marzo 2004 e approvato nel marzo 2005 (fonte: http://www.comune.pergine.tn.it)
Memorabilia
accadimenti in primo piano
Celle Ligure, 24novembre 2006
Cultura e politica amministrativa
Incontro-dibattito sul tema della
democrazia partecipata
Il Laboratorio delle associazioni ha
organizzato un incontro a Celle Ligure
avente per tema la democrazia diretta e
in particolare il bilancio partecipativo
nelle pubbliche amministrazioni. Sono
intervenuti Paolo Bertolotti, segretario
del Movimento di Partecipazione di
Genova e Mauro Denevi, redattore
de Il Domani, rivista della partecipazione.
Vado Ligure, 12 dicembre 2006
Concorso
Master plan per la sistemazione
delle aree del fronte mare
Il concorso a procedura ristretta, bandito dall’I.P.S. (Insediamenti Produttivi
Savonesi), per la sistemazione urbanistica del waterfront vadese, futura cerniera tra le aree a destinazione urbana e
gli antistanti interventi previsti dal piano
portuale (piattaforma multipurpose), è
stato vinto dal gruppo di progettazione
coordinato dall’architetto Paolo Cevini 11 di Genova.
11. Progettista Capogruppo:
Gruppo di progettazione:
Collaboratori:
Consulenti:
Savona, 12 dicembre 2006
Corso di formazione
Conoscere per partecipare
La Società Operaia Cattolica Nostra Signora di Misericordia di Savona ospita la presentazione del corso di formazione Conoscere per partecipare,i
grandi temi dell’Amministrazione
Comunale,che l’ingegnere Roberto
Cuneo terrà con cadenza settimanale, dal
9 gennaio 2007 al 21 febbraio 2007, per
sette incontri complessivi. Il corso disporrà di una specifica pubblicazione di
supporto e documentazione, consistente in un volume edito da NATRUSSO
Communication. I temi trattati nel volume, che saranno ampliati nel corso delle lezioni del corso di formazione da ulteriore materiale documentario, sono i
seguenti:
- gli organi del Comune, la Città ed il
suo ambiente;
- piano Urbanistico Comunale;
- il bilancio e la gestione economico
finanziaria;
- le opere pubbliche e le partecipate;
- circoscrizioni, qualità della vita;
- i meccanismi della discussione;
- il ruolo ed i suggerimenti per un consigliere.
Prof. Arch. Paolo Cevini
Arch. Pietro Cevini, D’APPOLONIA S.p.a., IDROTEC S.r.l, VIOLA
Ingegneri & Architetti Associati, LAND S.r.l., Prof. Arch. Annalisa
Calcagno Maniglio
Arch. Andrea Zampino (giovane professionista), Arch. Nicoletta
Piersantelli, Arch. Dong Sub Bertin, Arch. Eum Sungouk,
Arch. Francesca Benedetto
Prof. Tiziano Mannoni
10
A sinistra: copertina del libro Savona città narrata.
Sotto: la risposta dell’artista Vandereycken (Belgio) al
progetto di mail art Behind San Lorenzo/Dietro
San Lorenzo - Tra la chiesa e il cielo.
Varigotti, 28dicembre 2006
Mail Art
Behind San Lorenzo
Savona, 16 dicembre 2006
Editoria
Savona cittànarrata - Il Ponente
savonese dalle Alpi al mare
Presentazione al Palazzo della Sibilla sul
Priamar dei due libri Savona cittànarrata e Il Ponente savonese dalle Alpi
al mare, pubblicati da Viennepierre e
curati da Silvio Riolfo Marengo. I due
volumi contengono, le testimonianze di
centoquaranta protagonisti della cultura, della vita politica, economica e sociale di Savona e della sua provincia. Un
ritratto inedito e contraddittorio di una
parte della riviera alla ricerca di una nuova identità.
Savona, 16 dicembre 2006
Società
Occupazione a Villapiana
Il Collettivo Barricata, gruppo costituito da giovani savonesi, occupa la sede
del dismesso Mercato rionale coperto
di Piazza Bologna, nel quartiere di
Villapiana.
Il Centro Civico Roberto Fontana di
Varigotti ospita fino all’8 gennaio 2007
la mostra di arte postale: Behind San
Lorenzo/Dietro San Lorenzo - Tra
la chiesa e il cielo. Nella mostra sono
esposte le quasi duecento “risposte” inviate da tutto il mondo che gli artisti
postali hanno elaborato partendo da un
semplice stimolo inviato loro per posta:
un foglio bianco da riempire liberamente
come sfondo alla chiesa di San Lorenzo
“Vecchio” a Varigotti, frazione di Finale
Ligure. L’iniziativa è stata promossa dall’Associazione Amici di San Lorenzo
che ha voluto portare l’attenzione sul monumento in un ambito più vasto, richiamando su di essa, su Varigotti e su Finale interesse anche a livello internazionale.
Il progetto è curato dal gruppo
impos(t)ed art di Savona.
Il convegno savonese sulla salvaguardia della fascia costiera
interventi di Renato Soru, Edoardo Salzano e Laura Marchetti
Lo scorso 5 dicembre 2006, nel Palazzo della Provincia, la sezione savonese di Italia Nostra ha
organizzato un convegno avente come oggetto la salvaguardia della fascia costiera. Oltre al previsto
approfondimento delle relazioni tra strumenti urbanistici comunali, piani regolatori portuali e demanio marittimo, l’incontro è inevitabilmente entrato nello specifico delle ipotesi di trasformazione territoriale riguardanti il tratto di costa interessato dal futuro porto turistico di Albissola Marina.
Pubblichiamo le trascrizioni degli interventi di alcuni relatori.
Saluto di Renato Soru 12
Presidente della Regione Autonoma della Sardegna
Siamo impegnati in questi giorni in Sardegna a fare il punto di due anni e mezzo di
governo della Regione. Avevamo detto che attorno all’ambiente si può creare lavoro. Nell’uso sapiente dell’ambiente, non nel suo consumo. E il lavoro duraturo non è
quello dell'
edilizia, che ogni giorno consuma una fetta nuova d'
ambiente, che non è
paga magari di aver costruito 400.000 seconde case nelle coste della Sardegna, ne
vorrebbe costruire altre 300.000 o altre 400.000, in una specie di cantiere che non
finisce mai, che però porta pochissima ricchezza alla nostra regione. Abbiamo capito, anche in materia d’entrate, che porta quasi nessuna ricchezza fiscale. Non lascia
lavoro stabile, perché appena si finisce una casa bisogna costruirne un’altra e prima o
poi bisognerà smettere di costruirne. Si costruiscono cubature che non portano lavoro durante tutti i mesi dell’anno.
Abbiamo preso la decisione di dire: di cosa dobbiamo vivere? Consumando ancora
quello che abbiamo, una volta per tutte? O coltivando intelligenza, creatività, facendo
altre cose? E abbiamo detto che vogliamo vivere del nostro lavoro, piuttosto che da
quello che abbiamo ereditato e che vorremmo restituire al futuro. Abbiamo detto
che dove non si è costruito, fino a adesso, non si costruisce più nella fascia costiera,
appartiene alle future generazioni e lo vogliamo tenere così. E vogliamo fare quell’edilizia buona, vogliamo ricostruire, vogliamo migliorare, vogliamo riqualificare,
ma non vogliamo consumare più niente.
Il piano paesaggistico regionale. È una storia iniziata nel 2004. Dopo qualche mese è
stata approvata una legge regionale, che ha dato mandato alla Giunta di preparare in
dodici mesi il piano paesaggistico. Abbiamo diviso la Sardegna in circa 20 ambiti
costieri e gli ambiti dell'
interno. Siamo partiti dall’urgenza di bloccare il consumo del
12. Il Presidente Soru, non potendo presenziare al convegno per sopravvenuti impegni istituzionali,
ha inviato una relazione scritta che è stata letta al pubblico.
12
territorio. È stato ricordato da un’agenzia dell'ONU, quanto velocemente stia progredendo il consumo della fascia costiera nel Mediterraneo, e come in pochi anni il
70% della costa del Mediterraneo possa essere assolutamente costruita e come quello della Sardegna sia un esempio positivo.
Era urgente tutelare innanzitutto la fascia costiera. È stato fatto. Abbiamo organizzato un comitato di esperti di storia, di natura, di filosofia, di archeologia, di urbanistica, di diritto, c’era fra di loro l’ingegnere Salzano, che conoscete; insomma, abbiamo
messo su una quindicina di persone, e si è discusso. E man mano che si discuteva,
poi, abbiamo anche preso coraggio. In Sardegna si è partiti nell’84, si diceva: non
bisogna costruire, entro i 150 metri, Poi dopo qualche anno si è passati a 300 metri,
e quando passarono a 300 metri ci furono gli scioperi, la gente invase le strade di
Cagliari perché sembrava un disastro che non si poteva costruire entro i 300 metri.
Oggi è assolutamente nella coscienza di tutti che non si costruisca entro i 300 metri.
Il Piano paesaggistico è passato definitivamente agli inizi di settembre di quest’anno.
È una legge che tutela la fascia costiera per una profondità a volte superiore ai 3
chilometri. Ma è una legge che non blocca lo sviluppo dell’attività edilizia. Vogliamo
riqualificare queste coste; queste cubature, trasformare seconde case in industria turistica-alberghiera. E stiamo facendo tutto quello che si può fare per la riqualificazione
e per il riuso di cubature esistenti, che erano sciupate e inutilizzate da tanti anni.
Dopo vent’anni di inattività, è stato fatto il bando per il riuso dei siti minerari dismessi:
di Masua, di Ingurtosu e di Piscinas. Allo stesso modo si farà per Monteponi. Allo
stesso modo si sta lavorando per riutilizzare il sito di Campo Pisano, vicino a Iglesias.
L'ambiente è anche paesaggio rurale, sono i boschi, i muretti a secco, gli stazzi, gli
ovili, in una campagna che rischiava una disordinata urbanizzazione attorno alle città
e ai paesi, con i paesi in via di spopolamento e la campagna sottoposta a una invasione di edilizia senza regole. Abbiamo messo un freno.
Abbiamo messo un freno all’assalto dell’eolico, un affare per pochi gruppi privati,
senza nessuna convenienza per il sistema produttivo regionale, che è costato la rovina
di siti archeologici, delle creste delle colline, del nostro paesaggio. Nella nostra regione c’erano domande per 3000 megawatt. Si è cercato di ridurli a 1000, ma non
siamo neanche in grado di assorbire 600 megawatt con la rete esistente. Abbiamo
riportato il piano a condizioni compatibili con Kyoto e con le necessità della nostra
regione. L’eolico si è messo all'interno di regole che non c’erano.
Abbiamo istituito la Conservatoria delle coste, in Consiglio regionale sono arrivate le
reazioni polemiche dell’opposizione, qualcuno ha cercato di banalizzare, di sminuire
il risultato ottenuto. Qualcuno ha mosso anche delle obiezioni giuste e ha detto che
con l’inevitabile crollo dei prezzi di questi terreni non più edificabili qualche potere
forte potrà sempre comprarli un domani, e magari saranno resi nuovamente edificabili
e si creerà la più grande speculazione che sia mai stata fatta in Sardegna, allora io ho
lanciato la mia proposta su questo punto. E se approfittassimo del fatto che quelle
coste ormai hanno un valore basso perché non si può più costruire, e la Conservatoria
regionale le comprasse tutte? E se a quel punto ci mettessimo subito degli usi civici,
così come si faceva nei nostri paesi, e ci fosse un uso civico regionale, enorme, su
tutta la fascia costiera, e la nostra fascia costiera fosse un bene “comunale” della
Regione, per il futuro, per tutti quanti? In quel caso davvero la nostra regione sarebbe
13
veramente più ricca, saremmo più ricchi tutti, perché quelle coste apparterrebbero a
tutti e non apparterrebbero più a nessuno. Questa é la mia proposta e spero che
venga approvata dal Consiglio regionale in Sardegna, e mi fa piacere sapere che
appartiene al dibattito nazionale la nostra esperienza.
Mi spiace non potere essere tra voi oggi, vi auguro buon lavoro.
Intervento di Edoardo Salzano 13
Urbanista, professore ordinario di Urbanistica IUAV - Venezia
A leggere le cronache locali, a valutare le denunce degli ambientalisti, sembrerebbe
proprio che la costa della Liguria stia conoscendo una nuova stagione, simile a quella
che troviamo leggendo le pagine di Italo Calvino della fine degli anni Cinquanta
(penso ovviamente a La speculazione edilizia).
Le forme sono certamente diverse, e anche i personaggi. Là dove una volta prevalevano rozzezza e incultura, approssimazione e meschinità, oggi non mancano raffinatezza di forme e di argomentazioni. Credo che valga la pena di domandarci che
cosa è cambiato, da oggi ad allora: che cosa c’è di nuovo, e che cosa invece ci fa
esclamare con apprensione - come nei titoli dei film sui mostri - “a volte ritornano”.
La devastazione del territorio non provocò danni solo in Liguria, ma quasi in ogni
parte d’Italia. Erano gli anni dell’espansione e della crescita, i primi decenni del secondo dopoguerra. Espansione e crescita nelle quali le scelte di politica economica
privilegiavano la crescita di alcuni settori al cui sviluppo venne sacrificata la pianificazione territoriale e urbanistica. Mi riferisco all’edilizia e alle attività immobiliari, e alla
motorizzazione privata e alla conseguente realizzazione di strade sempre più numerose e più pesanti. Era facile prevedere che lo sviluppo incontrollato di quei settori
avrebbe gravemente compromesso le condizioni delle città e del territorio: ciò che
puntualmente avvenne.
Un ceto politico più avveduto di quello attuale, e qualche gruppo imprenditoriale
meno miope e meno parassitario di quelli di oggi, compresero che bisognava modificare qualcosa: bisognava tornare alla pianificazione per ridare ordine al caos, e
bisognava dare alla pianificazione contenuti nuovi.
Si rilanciò la pianificazione urbanistica, che divenne lo strumento primario del governo del territorio in gran parte d’Italia. Fu sostanzialmente in quegli anni che si posero
le basi per il rafforzamento del primato della pianificazione generale (quella affidata
ai comuni e alle altre istituzioni rappresentative dell’elettorato) sulle pianificazioni di
settore, quale quella delle autorità portuali.
Si istituirono le Regioni, con poteri considerevoli nel campo dell’urbanistica e della
programmazione economica. Si avviò faticosamente e contraddittoriamente una riforma del regime degli immobili, che peraltro non giunse a conclusione. E negli anni
13. Edoardo Salzano, urbanista, laureato in ingegneria civile edile a Roma. Professore ordinario (fuori
ruolo) di urbanistica del Dipartimento di pianificazione dell’Università IUAV di Venezia, è stato
presidente di corso di laurea e preside della facoltà di Pianificazione del territorio. Consulente di
amministrazioni pubbliche per la pianificazione territoriale e urbanistica. Pubblicista, ha scritto saggi e
diretto pubblicazioni specializzate (fonte http://eddyburg.it).
14
Sotto: Isola di Bergeggi e Isola della Gallinara, dipinti a olio su tavola di Gianni Ferro (1974). 14
successivi, mentre per un verso iniziava
lo smantellamento in chiave tatcheriana
degli strumenti faticosamente conquistati, si arricchì la pianificazione di contenuti nuovi.
Fino ad allora, in Italia la pianificazione
aveva riguardato soprattutto le città e la
loro espansione, e l’assetto del territorio
in quanto contenitore e supporto di strutture e infrastrutture necessarie alle crescenti attività dell’uomo: nei piani territoriali si dovevano decidere le localizzazioni delle aree e degli impianti necessari
alla residenza e ai relativi servizi, alle attività produttive e a quelle commerciali, ai
servizi di vario ordine e grado, alle connessioni tra di loro via terra e via acqua e
alla loro alimentazione di energia, acqua,
fluidi. La pianificazione, insomma, si occupava più delle trasformazioni e dell’artificio che della conservazione e della
natura.
Negli anni 80 le cose cambiarono. Alle
intuizioni e ai tentativi degli urbanisti (voglio ricordare Edoardo Detti, Giovanni
Astengo, Luigi Piccinato), alle denunce e
alle proposte di alcune benemerite associazioni (grandi furono i meriti di Italia Nostra), si aggiunse la spinta della nuova
consapevolezza ambientalista e la constatazione dei gravissimi danni che il saccheggio delle risorse provocava ad alcune componenti fondamentali della ricchezza del
paese: dalla sua stessa consistenza geofisica, all’immenso patrimonio culturale in esso
sedimentato. Tra i contenuti nuovi della pianificazione particolare evidenza venne
data in quegli anni al paesaggio e all’ambiente.
Per il paesaggio si svilupparono antiche intuizioni (da quella lontana, 1922, del ministro dell'istruzione Benedetto Croce) e strumenti normativi egregi per l’epoca e il
contesto politico nel quale erano stati formulati (le leggi di tutela del 1939), e si
formularono regole nuove, del resto pretese dalla Costituzione e dalla sua solenne
dichiarazione “la Repubblica tutela il paesaggio”. Mi riferisco in particolare alla cosiddetta Legge Galasso del 1985, che introdusse i cardini di una nuova disciplina del
territorio.
Si stabilì che le coste e i monti, i corsi d’acqua e i ghiacciai, i boschi e le comunità
agrarie costituivano i segni visibili dell’identità del Paese, e come tali andavano tutelati
da tutti gli istituti che costituiscono la Repubblica: lo stato, le regioni, le province, i
14. Immagini tratte dal sito web http://gianniferro.org
15
comuni. Si dispose che la tutela avvenisse mediante la pianificazione del territorio,
che poteva essere esercitata, per la responsabilità della regione, mediante piani
paesaggistici oppure mediante piani territoriali che avessero tra i loro contenuti essenziali la tutela del paesaggio e dell'ambiente.
Tra le regioni che rispettarono la legge attuandola come sarebbe stato doveroso per
tutte vi fu la Liguria. Fece un Piano paesistico egregio sotto il profilo scientifico, forse
non abbastanza perentorio dal punto di vista dell’incidenza sulla pianificazione comunale.
Nello stesso periodo della legge per la tutela del paesaggio altre disposizioni disciplinarono, mediante diversi apporti al sistema della pianificazione, altri elementi dell’ambiente e del paesaggio.
La legge per le aree protette estese la portata dei parchi (che comunque rimangono
alcune isole nell'insieme del territorio nazionale) e ne disciplinò pianificazione e gestione, con qualche pasticcio nel rapporto tra pianificazione dei parchi e pianificazione territoriale e urbanistica (il “piano del parco” sostituisce ogni altro piano, come se
ad esso dovessero far capo anche le decisioni sull'organizzazione dei centri abitati in
essi compresi).
La legge per la difesa del suolo stabilì che tutte le misure, i provvedimenti, gli interventi
e i vincoli relativi alla protezione delle acque e dalle acque avvenisse previa formazione di piani di bacino, formati sotto la responsabilità di una autorità pubblica interistituzionale, e che essi, per quanto riguarda strettamente gli aspetti connessi alla difesa del suolo, prevalessero su qualunque altro piano.
Negli stessi anni si chiarì un altro aspetto importante della pianificazione nelle aree
costiere: a livello nazionale e, dove le regioni furono attente, al livello delle legislazioni
regionali. Mi riferisco ai rapporti tra pianificazione ordinaria (regionale, provinciale,
comunale) e pianificazione dei porti.
Una legge nazionale stabilì che il piano regolatore portuale delimita e disegna “l’ambito e l’assetto complessivo del porto, ivi comprese le aree destinate alla produzione
industriale, all’attività cantieristica e alle infrastrutture stradali e ferroviarie”, ma che
“le previsioni del piano regolatore portuale non possono contrastare con gli strumenti urbanistici vigenti”. Per di più, “il piano regolatore è adottato previa intesa con
il comune o i comuni interessati” ed è approvato dalla Regione.15
La Regione Liguria, per conto suo, provvide ulteriormente a legiferare, stabilendo
che il piano regolatore del porto è approvato non dalla Giunta, ma dal Consiglio
regionale, il quale, addirittura, “apporta modifiche in relazione alle previsioni degli
strumenti di pianificazione o di programmazione vigenti od adottati, nonché in relazione alle competenze di tutela del paesaggio e dell’ambiente, con particolare riferimento alla sostenibilità e al bilancio ambientale delle relative scelte”.16
Il carattere preminente della pianificazione urbanistica e territoriale, delle competenze del comune e della regione, degli interessi della difesa del paesaggio e dell’ambiente rispetto ai piani, alle competenze e agli interessi meramente economici e aziendali
mi sembra perfettamente garantita.
15. Legge 28.1.1984, n. 84, art.5.
16. Legge Regione Liguria 12 marzo 2003, n. 9, art. 1.
16
Torniamo al paesaggio. Con la legge Legge Galasso, e con le successive edizioni del
“Codice dei beni culturali e del paesaggio”, il ruolo del paesaggio e gli strumenti
della sua tutela si affinarono, fino a giungere alle attuali disposizioni. La legislazione
nazionale, e le diverse sentenze costituzionali che si sono occupate dell’argomento,
hanno consentito di giungere a un approdo significativo di cui è utile ripercorrere i
capisaldi, che sintetizzerò in sei punti:
1. la tutela del paesaggio è un prius rispetto alle trasformazioni del territorio; in
tal senso, le disposizioni della pianificazione regionale concernenti la tutela del
paesaggio sono vincolanti ope legis per la pianificazione successiva, sia di livello
regionale che di livello provinciale e comunale;
2. la competenza nell’individuazione dei concreti beni da sottoporre a tutela, e in
particolare dei “beni paesaggistici”, spetta alla Regione, nel rispetto delle categorie di beni individuate dalle leggi nazionali;
3. il paesaggio non è costituito unicamente dai “beni paesaggistici” appartenenti
alle individuate categorie, ma è un connotato del territorio che ovunque va
analizzato, valutato, protetto nelle sue qualità o ricostituito dove queste siano
state dissolte;
4. la pianificazione territoriale delle province e quella urbanistica comunale, nel
rispetto delle disposizioni della pianificazione paesaggistica, devono svilupparne le indicazioni approfondendo lo studio e la valutazione delle qualità del
paesaggio e degli elementi di degrado in atto;
5. la responsabilità dell'azione di tutela è condivisa dall’insieme delle istituzioni
che costituiscono la Repubblica, ma rimangono massimamente nell'ambito
delle competenze dello Stato e delle regioni (con qualche pasticcio derivante
dalle modifiche costituzionali introdotte nel 2001, che hanno artificiosamente
separato la tutela della valorizzazione);
6. la formazione di piani paesaggistici regionali conformi alle prescrizioni del
Codice e la conseguente redazione di piani urbanistici comunali a loro volta
conformi ai piani paesaggistici può ridurre i poteri d’intervento ad hoc degli
organi dello Stato per la tutela di beni minacciati di danno, e di conseguenza
semplificare le procedure abilitative in tutte le vastissime aree vincolate ope legis.
Mi sembra che si possa dire che, sul terreno degli strumenti legislativi, le cose sono
indubbiamente migliorate rispetto al passato. Non sono migliorate, e anzi a mio
parere sono tornate al punto di partenza sotto altri profili. “A volte ritornano”.
Voglio soffermarmi molto brevemente su tre aspetti del peggioramento.
In primo luogo, credo che si debba parlare di una tendenza all’abdicazione dello
Stato e delle Regioni nei confronti dei Comuni. Si è rotto nei comportamenti l’equilibrio tra le istituzioni previsto dalla Costituzione. L’errore grande è stato secondo
me l’interpretazione estremistica che si è data al principio della sussidiarietà.
Nell’accezione della Comunità europea (dove l’espressione fu coniata ai tempi di
Jacques Delors) il principio di sussidiarietà significa che là dove un determinato livello di governo non può efficacemente raggiungere gli obiettivi proposti, e questi
sono raggiungibili in modo più soddisfacente dal livello di governo sovraordinato
(la Regione nei confronti del Comune, o lo Stato nei confronti della Regione, o
l’Unione europea nei confronti degli stati nazionali) è a quest’ultimo che spetta la
17
responsabilità e la competenza dell’azione. E la scelta del livello giusto va compiuta
non in relazione a competenze astratte o nominalistiche, oppure a interessi demaniali,
ma (prosegue il legislatore europeo) in relazione a due elementi precisi: la scala dell’azione (o del’oggetto cui essa si riferisce) oppure i suoi effetti.
Nell’accezione italiana - fortemente condizionata dalle posizioni della Lega Nord di
Bossi - sussidiarietà significa sostanzialmente “tutto il potere all’istanza più vicina al
cittadino, a meno che proprio non sia insensato farlo”.
La formulazione legislativa, che costituisce il riferimento del nuovo testo costituzionale, si avvicina a questa interpretazione estremistica, ma non ci arriva.17 Ci arrivano
però alcune interpretazioni e applicazioni autorevoli sul piano dei poteri reali, come
quella prevalente nella Regione Toscana, dove si è arrivati ad affermare che tutti i
livelli istituzionali sono da porsi sullo stesso piano, talché mai la Regione potrebbe
impedire a un comune di fare, sul proprio territorio, “una schifezza”, sebbene questa
“schifezza” insozzasse un bene di rilevanza regionale, o addirittura nazionale e universale.
Ora tutta la storia del nostro territorio nell’ultimo secolo dimostra che l’istanza più
vicina al cittadino è anche quella più sensibile alle sollecitazioni per un uso immediato
e privatistico del “bene comune” costituito dal territorio.
Nonostante le malefatte dello Stato e delle Regioni, è certo che i livelli sovraordinati
del potere pubblico sono stati quelli meglio capaci di comprendere le ragioni e gli
interessi della tutela del patrimonio culturale e paesaggistico. Gli unici, del resto, deputati dal nostro sistema legislativo a tutelare “anche gerarchicamente” (suggerisce la
Corte costituzionale a proposito della pianificazione paesaggistica) il bene d’interesse
nazionale costituito dal paesaggio.
Il secondo aspetto del peggioramento intercorso negli ultimi anni mi sembra sia
costituito dall’accresciuto ruolo del settore immobiliare nell’economia e nella politica. È ormai consapevolezza comune che nel nostro paese le grandi aziende industriali hanno investito molto più nella rendita finanziaria e immobiliare, tra loro strettamente intrecciate, che sui terreni propri del capitalismo industriale: la ricerca, l’innovazione di processo e di prodotto, la concorrenza nella produzione di merci.
E registriamo tutti ogni giorno come le attività immobiliari e i loro promotori siano
diventati, agli occhi di numerosi politici anche autorevoli, anche di sinistra, interlocutori
privilegiati e operatori da difendere anche nel loro ruolo economico e sociale. Sembrano davvero lontani mille miglia gli anni in cui i dirigenti dei partiti di sinistra e gli
esponenti del capitalismo avanzato potevano trovare un interesse comune nel combattere le posizioni di rendita - in particolare immobiliare - vedendole giustamente
come un freno all’espansione dei profitti e dell’accumulazione da un lato, dei salari e
del benessere delle famiglie dall’altro lato.
La cosa singolare, e che apre il cuore alla disperazione, è che la rinnovata fortuna
delle forme più degradanti dell’attività economica, dei settori della produzione che
l’economia classica ha considerato più intrisi di parassitismo, appaiono in auge proprio mentre nel mondo è aperta una riflessione generale sui limiti generali di un’economia basata sulla crescita indefinita della produzione di merci. Insomma, mentre
17. Legge 15 marzo 1997 n. 59, articolo 4, comma 3, lettera a.
18
stiamo ragionando con Jeremy Rifkin e con Serge Latouche, ci si vengono a riproporre
come interlocutori privilegiati gli eredi dello speculatore de “Le mani sulla città”.
Il terzo, e forse più grave aspetto del peggioramento, quello dal quale in definitiva
anche gli altri derivano, è costituito a mio parere dalla crisi della politica. È una crisi
grave, profonda, che ci coinvolge tutti, come cittadini e come persone. Ciascuno di
noi può dire “ho una mia filosofia”, “ho una mia religione”; nessuno può dire
altrettanto della dimensione politica. Se la politica non c’è, siamo tutti più poveri e
più esposti, più infelici, meno padroni del nostro futuro.
Della crisi della politica ciò che più mi preoccupa è la sua attuale miopia. La politica
non sembra più capace di indicare un progetto di società, un progetto di futuro: una
prospettiva condivisa per il quale sacrificare qualcosa oggi e ciascuno, per avere
qualcosa domani e tutti.
Gli orizzonti temporali richiesti dal territorio, dal paesaggio, dall’ambiente sono orizzonti
lunghi; quelli sui quali si è appiattita la politica coincidono con il mandato elettorale.
Tra gli uni e gli altri non c’è compatibilità.
Una volta un sindaco era orgoglioso se, nel corso del suo mandato, riusciva a concludere l’iter di un buon piano regolatore. Era capace di far comprendere ai cittadini
(lui stesso, o i partiti politici cui si riferiva) che quel disegno della città futura era cosa
buona, e sarebbe stato realizzata nei tempi anche lunghi necessari. E sapeva accompagnare questo progetto di futuro con atti amministrativi che andavano nella stessa
direzione, che erano anticipazioni del progetto di città. Il progetto prevedeva ampi
spazi per i bambini e i giovani, e mentre si discuteva il piano regolatore si apriva un
asilo nido e si espropriava una villa.
Oggi, un buon sindaco è quello che, a metà del suo mandato, avvia la realizzazione
di un grattacielo, magari più lungo di quello del suo vicino.
Difficile combattere il destino di “seconda rapallizzazione” che sembra abbattersi
sulle nostre coste, in questa condizioni. Eppure, l’alternativa è possibile. Lo dimostra
una terra non tanto lontana da qui, la Sardegna.
Ho avuto la fortuna di partecipare all’avventura iniziata, e finora condotta vittoriosamente, dalla Giunta guidata da Renato Soru. Ho potuto misurare l’entità del danno
incombente, le decine di milioni di metri cubi di lottizzazioni turistiche approvate nei
loro piani regolatori dai comuni della costa. Ho potuto ammirare la determinazione
con la quale la Giunta ha provveduto ad attuare le leggi per la protezione del paesaggio analizzando il territorio, inventariandone e cartografandone le caratteristiche,
catalogando le diverse tipologie di beni paesaggistici e individuando i riconoscibili
ambiti di paesaggio. Ho potuto concorrere a definire criteri e regole per la tutela
immediata e per la successiva ricognizione alla scala più minuta, per la definizione
della azioni necessarie per sostenere e attuare le scelte della pianificazione.
Mi hanno soprattutto colpito il coraggio di andare controcorrente, con una determinazione straordinaria, in nome del futuro e dell'interesse collettivo. Mi ha colpito
il rigore con il quale si è stati capaci di dare seguito concreto a motivazioni molto
forti. E voglio ricordare le parole con le quali Soru investì del suo compito di
consulenza il Comitato scientifico:
«Che cosa vorremmo ottenere con il PPR? Innanzitutto vorremmo difendere la natura, il territorio
e le sue risorse, la Sardegna; la “valorizzazione” non ci interessa affatto. Vorremmo partire dalle
In basso: Casa sul mare, dipinto a olio su tela di Gianni
Ferro (anni sessanta). 18
19
coste, perché sono le più a rischio. Vorremmo che le coste della Sardegna esistessero ancora fra cento
anni. Vorremmo che ci fossero pezzi del territorio vergine che ci sopravvivano. Vorremmo che fosse
mantenuta la diversità, perché è un valore. Vorremmo che tutto quello che è proprio della nostra
Isola, tutto quello che costituisce la sua identità sia conservato. Non siamo interessati a standard
europei. Siamo interessati invece alla conservazione di tutti i segni, anche quelli deboli, che testimoniano la nostra storia e la nostra natura: i muretti a secco, i terrazzamenti, gli alberi, i percorsi - tutto
quello che rappresenta il nostro paesaggio. Cosìcome siamo interessati a esaltare la flora e la fauna
della nostra Isola. Siamo interessati a un turismo che sappia utilizzare un paesaggio di questo tipo:
non siamo interessati al turismo come elemento del mercato mondiale».
La Sardegna indica una strada possibile. Ma la Sardegna da sola non ce la può fare a
percorrerla tutta. Occorre che la possibilità di tutelare il paesaggio, offerta dalla legislazione vigente, sia colta in modo generalizzato, diventi pratica corrente in gran
parte del nostro paese. Tenendo ovviamente conto delle diversità, ma assumendo
dappertutto come dominanti gli interessi di tutti - ivi compresi i nostri posteri rispetto a quelli di pochi, e non attribuendo al futuro un ruolo secondario rispetto al
presente.
18. Immagine tratta dal sito web http://gianniferro.org
20
Che fare qui, a Savona, in Liguria?
Mi sembra che sul piano amministrativo si debbano adoperare fino in fondo gli
strumenti disponibili, a partire dal Codice. Il piano paesaggistico del 1986 offre una
buona base di partenza. Spero che il quadro conoscitivo allora costruito sia stato
tenuto a giorno, che le fonti siano disponibili. Sono certo che non sarà difficile né
lungo adeguare quel piano ai dettami del Codice del paesaggio, nella sua ultima
versione del 2006.
Sono anche certo che i ministeri dei Beni e delle attività culturali e dell’Ambiente,
della tutela del territorio e del mare vorranno concorrere a redigere un piano
paesaggistico pienamente conforme alla lettera e allo spirito del Codice, così da
avere anche gli effetti di alleggerire le procedure di ottenimento delle autorizzazioni.
Lavorare in questa direzione comporta indubbiamente che i due ministeri, che il
Codice rende entrambi portatori degli interessi statali in materia di tutela del paesaggio, possano e sappiano attrezzarsi, ripristinando o costruendo exnovo strutture o
task forces capaci di collaborare con sistematicità e competenza nel lavoro di pianificazione paesaggistica con le regioni: non solo qui in Liguria, ma anche in Toscana, in
Friuli - Venezia Giulia e in tutte le altre regioni italiane che siano disposte ad attuare la
legge.
Ma la strada da percorrere è questa. Altrimenti non si comprenderebbe perché,
dall’antico Decreto Galasso del 1983 all'ultima versione del Codice del 2004 tante
volontà e intelligenze di parlamentari, ministri e sottosegretari, funzionari dei beni
culturali, amministratori regionali ed esperti di varie discipline abbiano lavorato, al
fine di affinare le armi a disposizione della Pubblica amministrazione per tutelare
con efficacia il lascito della natura e della storia costituito dai nostri paesaggi.
So bene che lavorare sul piano amministrativo, se è indispensabile e se costituisce
probabilmente il primo passaggio necessario, non è sufficiente. Occorre che qualcosa si muova anche sul piano politico e culturale. Occorre soprattutto che la politica
riprenda la capacità di guardare al futuro, e che la cultura l’aiuti in questa direzione.
Molti esprimono questo desiderio, e tremano al pensiero che ciò possa non avvenire.
Voglio riprendere le parole che ha scritto ieri su l’Unità il mio vecchio amico Diego
Novelli, giornalista, parlamentare e sindaco di Torino in anni non meno difficili di
questi. Scrive Novelli:
«Come sarebbe bello vedere i nostri ministri, i presidenti di regione, i sindaci delle grandi città
accalorarsi per avere più strumenti per la difesa del suolo e per un programma serio per il recupero
del grande patrimonio immobiliare fatiscente, abbandonato. Purtroppo non è così. Si continua a
“mangiare”, ogni giorno, fette di territorio soprattutto lungo le coste del Belpaese, ma anche nelle
grandi città dove un certo tipo di processi di deindustrializzazione ha liberato milioni e milioni di
metri quadrati di aree. Per le coste cito quella più vicina al mio Piemonte e che meglio conosco.
Consiglio un viaggio da ponente a levante della Liguria, da Ventimiglia a La Spezia. Un vero
saccheggio. La Regione, il mio amico e antico compagno Claudio Burlando (già ottimo sindaco di
Genova) non vede, non sente, non parla. Così dicasi per le aree industriali dismesse. A Torino hanno
realizzato la cosiddetta Spina3(ex ferriere Fiat e altre fabbriche) che di fatto è un nuovo ghetto, di
lusso, ma sempre ghetto. La densità consentita è da capogiro. È stata teorizzata e santificata la
rendita sui suoli quale incentivo per gli investimenti e quindi per lo sviluppo tutto all’insegna della
falsa modernità nuovo simbolo della cialtroneria politica, culturale e sociale».
21
Di “falsa modernità” avete esempi e progetti autorevoli, in questo tratto di costa. Io
spero che vedrete anche voi prevalere non una modernità basata sul saccheggio della
ricchezza comune e sull’esibizione individualista di gesti in calcestruzzo e acciaio, ma
una modernità che sappia conservare ciò che gli anni della devastazione ha lasciato
intatto, recuperare ciò che è stato degradato, restituire l’antico valore d’uso (e non
degradare in merce e trasformare in valore di scambio) ciò che di pregevole la
collaborazione tra l’uomo e la natura ha saputo costruire.
Intervento di Laura Marchetti 19
Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente
Leggo, per questa accorata e importante iniziativa di Italia Nostra, gli appunti fornitimi dagli Uffici preposti del Ministero dell’Ambiente (ora anche Ministero per la
Tutela del Territorio e del Mare) e sono moderatamente ottimista. Anche una ecologista
“profonda” come me può essere rassicurata dalla quantità di Protocolli, di impegni,
di riferimenti normativi , insomma dall’attenzione e dalla cura che gli organismi internazionali pongono nella salvaguardia del territorio e dell’ambiente.
Il clima, la terra, sono al centro di crescenti preoccupazioni mondiali . Ma anche il
mare. Dalla Conferenza di Rio del 1992 e dalla Convenzione sulla biodiversità che ha
consentito in Italia l’attuazione della legge 294 a difesa dei parchi, un’attenzione crescente si è rivolta anche alle aree marine protette e ai siti d’interesse comunitario (la
rete di Natura 2000) per salvaguare il paesaggio marino emerso e sommerso e la sua
biodiversità.
Ultima ma non ultima tra le iniziative mondiali è il Millenium Ecosystem Assessment, la più
ampia e approfondita messa a punto delle conoscenze acquisite sugli ecosistemi di
tutto il mondo, che, in particolare, denuncia lo stato gravissimo di artificializzazione
degli ecosistemi marini e impone comportamenti a livello mondiale di rinaturalizzazione
- non di valorizzazione, ma di rinaturalizzazione - delle coste, rispetto alle quali anche
“l’umano fare” deve trovare un limite (in particolare il report Marine and Coastal
Ecosystem and Human Well-being).
Anche a livello europeo ci sono iniziative interessanti. L’Agenzia Europea dell’Ambiente (AEA) che ha il compito di fornire informazioni ambientali tempestive, ha
prodotto nel giugno 2006 un documento (il report The Changing Faces of Europe’s
Coastal Areas) che fornisce dati assai preoccupanti sulla situazione delle coste, in particolare del Mediterraneo, e propone interventi rigorosi di “decompressione costiera” (rispetto alla urbanizzazione, all’impatto delle attività ricreative e produttive, ecc.)
sancendo il diritto primario delle comunità di fruire liberamente della fascia costiera
in condizioni di salubrità, di integrità ambientale, di salvaguardia della wilderness.
Sempre a livello europeo , “a fronte della preoccupante constatazione che l’incremento demografico e lo sviluppo delle attività economiche stanno minacciando irre-
19. Laura Marchetti, Sottosegretario di Stato al ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio
e del Mare con deleghe, tra le altre, alla Tutela dei paesaggi naturali e culturali, all’educazione ambientale e alle politiche integrate di prodotto e i sistemi di gestione ambientale. Docente di Educazione
Ambientale ed Etnologia nella facoltà di Beni culturali dell’Università degli studi di Foggia. Collaboratrice di riviste filosofiche italiane e straniere (fonte http://www.minambiente.it).
22
vocabilmente l’equilibrio sociale e ambientale delle coste europee”, il Parlamento e il
Consiglio dell’Unione Europea hanno emanato il 30 maggio 2002 la Raccomandazione relativa all’attuazione della gestione integrata delle zone costiere in Europa che
prevede appunto una “gestione integrata” delle coste ovvero l’uso di strumenti di
pianificazione che vanno dallo Stato nazionale alle Regioni agli stessi Comuni, non
delegando però la tutela solo ai livelli istituzionali ma all’insieme dei cittadini che
devono e possono intervenire sul loro “ambiente di vita”. Inoltre nel concetto di
“gestione integrata delle coste” si insiste anche su una pianificazione/programmazione capace di recuperare in senso ecologico una fondamentale continuità terra/mare.
Il concetto di “gestione integrata” ritorna come obbligo nella Convenzione Europea
del paesaggio (Convenzione di Barcellona) recentemente ratificata anche dal nostro
Paese, che ha tutto un capitolo (art. 4) dedicato “alla protezione dell’ambiente marino e della regione costiera del Mediterraneo”, e che prevede una serie di Protocolli
di intesa finalizzati ad una salvaguardia più ampia e radicale. Vi è infatti in questa
Convenzione, che pone appunto “il Paesaggio come uno dei beni originali del Vecchio Continente e dunque uno dei Beni primari”, una concezione credo assolutamente innovativa del paesaggio, una concezione sistemica, olistica. Si dice infatti che
il paesaggio è non solo il dato geofisico, il dato morfologico, il dato naturale, ma il
paesaggio è anche “una parte di territorio così come è percepita dalla popolazione,
i cui caratteri sono il risultato delle azioni naturali e umane e delle loro relazioni”;
definisce inoltre la “qualità paesaggistica” come quel valore che le popolazioni locali
interessate aspirano a veder riconosciuto come loro “ambiente di vita”. Dunque
mette al centro due concetti – quello di “percezione sociale del paesaggio” e quello
di “ambiente di vita” – che riescono a tener legati i paesaggi naturali e culturali
correlandoli alla comunità sociale che combina gli elementi scientifici dell’ambiente
con quelli estetici, simbolici e storico-antropologici.
Questo concetto nuovo e allargato può essere denso di ripercussioni positive soprattutto in Italia dove ci sono leggi che, per quanto meritorie, si sono finora limitate
a seguire i canoni dell’estetica crociana e a proteggere il paesaggio per così dire
virtuoso, rispondente a canoni di bellezza e di pregio indiscutibili (mi riferisco alla
legge 1497 del ’39 e alla stessa legge sui Parchi), trascurando così quella sorta di
paesaggio “minore” - su cui poi è avvenuto ogni abuso e ogni scempio - che invece
non solo è la dorsale di sicurezza del Paese (da qui dovrebbe partire il riassesto
idrogeologico), ma è anche il segno della “Italia nostra”, il segno cioè della identità
nazionale e della sua originalità. Il paesaggio italiano è infatti forse unico al mondo
non solo per le qualità estetiche delle sue valli, degli arenili, delle montagne, insomma,
per la varietà degli habitat naturali che ospita nel suo seno (in una continua varietà di
climi, di morfologie e di suoli) ma anche per la sua varietà storico-culturale che si è
sovrapposta nel tempo alla natura esaltandola con una varietà di culture, la complessità storica: Greci, Etruschi, Romani, Arabi, hanno impresso una impronta ecologica
incomparabile. Nuove piante, tecniche di coltivazione, forme di piantagione e
recinzione della terra, modi di captazione e uso dell’acqua, costruzioni e manufatti
sparsi nelle campagne, torrette di avvistamento sulle coste. Manufatti che hanno un
valore artistico speciale: briglie romane, acquedotti, ponti, canali, cisterne,fontane,
pozzi, e poi ville, cascine, masserie, lame, canali, gravine, mulini, frantoi, stalle, muretti
a secco, terrazzamenti, malghe in legno e in pietra, ecc. Veri e propri musei all’aria
23
aperta del genius loci, del gesto umano che sa ascoltare e imparare dai doni naturali.
Rispondendo in parte a questa nuova concezione del paesaggio emersa dalla Convenzione di Barcellona il Nuovo Codice dei Beni Culturali (il cosiddetto Codice
Urbani),20 introducendo l’obbligo di piani paesaggistici regionali, affida al Ministero
dell’Ambiente un nuovo ruolo. E’ un fatto di rilevanza che, ripeto, consente di allargare la tutela anche a zone di non immediato pregio. In questo senso abbiamo firmato la settimana scorsa in Friuli un Protocollo d’intesa sul piano paesistico che vede
come soggetti pianificatori e controllori del costituendo Piano paesistico regionale,
oltre alla Regione, il Ministero dei Beni Culturali e il Ministero dell’Ambiente . E in
questo senso stiamo lavorando ad una Legge nazionale di tutela del cosiddetto paesaggio minore, con cui speriamo di poter contrastare la sempre crescente domanda
di urbanizzazione e artificializzazione del territorio. Soprattutto del territorio costiero
che da anni subisce un’aggressione selvaggia che la Legge Galasso non è riuscita a
contenere.
La Regione Liguria ha dato un contributo notevole al contenimento di quest’aggressione dotandosi, fra le prime, di uno strumento di riorganizzazione funzionale e
riqualificazione ambientale quale il Piano della Costa che mette al primo posto la
tutela di tratti di costa emersa e sommersa che rivestono valore paesaggistico,
naturalistico e ambientale, la riqualificazione dei tratti costieri urbanizzati, la difesa del
litorale dalle erosioni marine, il ripascimento degli arenili, lo sviluppo della funzione
pubblica e dell’uso turistico e ricreativo sostenibile. Un Piano dunque che dovrebbe
programmare, pianificare ecologicamente, difendere e impedire qualsiasi azione insostenibile, qualsiasi ulteriore artificializzazione e invasività. Eppure così non è , e si
rimane smarriti. Così non è , e lo dimostra il “caso Savona”, un caso di scuola, segno
di come la legge in Italia è buona ma sempre tradotta e tradita.
Il Piano Regolatore dell’Autorità Portuale di Savona mi sembra infatti rispondere ad
una logica del tutto estranea a quella della sostenibilità ecologica propugnata dal
Piano Regionale della Costa: a meno che non si consideri visione ecologica quella che
intende fare della costa ligure lo sbocco a mare per 15 milioni di persone con 10 mila
posti barca (1/3 di quelli presenti in Italia) e un relativo indotto edilizio veramente
impressionante (37.000 metri quadrati di edilizia residenziale, 51.000 metri quadrati
di uffici e negozi, 19.122 metri quadrati di alberghi, 11.000 nuovi posti auto). Una
colata di cemento impressionante che certo poco ha a che vedere con la tutela del
paesaggio, dell’ambiente di vita, del diritto naturale delle comunità.
Nonostante gli impegni internazionali, nonostante le norme europee e nazionali, questo
Piano dell’Autorità Portuale ha avuto tutte le autorizzazioni previste: dalla Regione,
dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dalla Direzione Generale del Demanio, dalla Regione Liguria, dal Ministero dei Beni Culturali, dalla Direzione Generale per i Beni archeologici, e anche dal Ministero dell’Ambiente che invece di tutelare
l’ambiente evidentemente voleva tutelare il cemento. Va letto al riguardo l’ameno
documento con cui il Ministero dell’Ambiente nell’aprile del 2005 (con l’allora Ministro Matteoli) si è pronunciato per la compatibilità ambientale: un documento fittis-
20. D.L. 22 gennaio 2004, n. 42.
24
Sotto: Temporale sulla collina, dipinto a olio su tela
di Gianni Ferro (1965). 21
simo di dieci pagine evidentemente elaborato con il contributo della commissione
VIA del Ministero: una commissione che, perfettamente in linea con le politiche
nefaste di Berlusconi e del berlusconismo sul territorio e sull’ambiente - per intenderci, le politiche che hanno dato vita alla Legge obiettivo e alla cartolarizzazione dei
Beni culturali e ambientali - ha sempre dato valutazioni positive sulle grandi opere,
anche quando l’impatto era pesantissimo (in questa commissione, fra l’altro, non
c’era un urbanista, c’erano due ingegneri, molte segretarie, tre commercialisti e due
farmacisti. L’abbiamo in parte rinnovata, e colgo qui l’occasione per dire che uno dei
nuovi nomi è quello di Vezio de Lucia).
Nel documento dunque non solo si stabilisce che non ci sarà nessun tipo di inquinamento di area, nessun inquinamento da traffico, nessuna violazione della carta bionica,
nessun impatto sul dragaggio dei fondali ecc. Ma si dice anche che questa massiccia
invasione di cemento sul tratto di costa da Albissola a Savona sarà “una delle occasioni di valorizzazione ambientale e naturale”. Al centro il concetto di “sviluppo
sostenibile” , un ossimoro (non c’è più sviluppo che sia sostenibile) che ha informato
in questi anni l’azione deregolativa ed “eversiva” (secondo la giusta definizione di De
Lucia) dei PRUSST, che , con la scusa di tutelare i beni ambientali , li cattura in quanto
risorse da sfruttare, fonti di un nuovo ecobussines ambientale. Wolfang Sachs ci ha
detto molto in questi anni al riguardo, mettendoci in guardia contro le nuove lobbies
economiche che si riconvertivano agli ecoaffari. Dietro il nuovo linguaggio verde e
i buoni propositi la logica rimane uguale: valorizzare non significa risanare, conservare, ripristinare, rinaturalizzare; ma nuovamente, come sempre, cementificare, distruggere, scempiare. L’homo faber del resto, secondo la pedagogia della cattiva modernità,
deve sempre aggiungere, allargare, andare in alto: appartamenti, grattacieli, parcheg-
21. Immagine tratta dal sito web http://gianniferro.org
25
gi, che tanto piacciono anche agli interessi delle banche e dell immobiliari.
Savona (su cui gravita una lobby potente e strana di faccendieri, ex proprietari di aree
dimesse, ex commercianti di frutta, nuovi banchieri da gossip) è stata vittima dei PRUSST
e della logica insostenibile dello “sviluppo sostenibile”. E’ stato triste stamattina andare a visitare il promontorio del Priamar, una antica fortezza mirabilmente restaurata vicino alla quale spicca arditamente un grattacielo modernissimo (la cosiddetta
Torre Bofill, dal nome dell’architetto che l’ha progettata) e sotto le cui basi si impongono i lavori in corso per realizzare un intervento residenziale mastodontico con un
Crescent (un palazzo muraglia disposto a semicerchio) e altre costruzioni sparse a
pochi metri dal porto antico della Torretta (una deliziosa, piccola, agile Torre trecentesca,
alta meno di venti metri soffocata dall’avanzare inesorabile di questa cattiva modernità). Un disastro ambientale ma anche un disastro culturale e una grande occasione
mancata. Su quelle aree precedentemente occupate dall’industria siderurgica si poteva tentare un intervento innovativo di ripristino e di restituzione del mare alla città.
Un intervento simbolico capace di operare un “miracolo”: il Miracolo, secondo i
titolo di un delizioso film di Edoardo Winspeare (un regista pugliese che compra gli
ecomostri e poi li abbatte), di ricongiungere la storia di una città industriale e la
memoria operaia con i nuovi bisogni ecologici, con le montanti richieste di bellezza,
senso comune urbano, qualità. Lì invece è stata decisa una grande speculazione, un
complesso turistico residenziale privato, appartenente ad una società privata, con uso
privato che usurpa un suolo pubblico e un bene collettivo.
Ma ancora più triste è stato stamattina visitare la zona al confine tra Albissola Mare e
Savona, in località Margonara. Lì, vicino ad una piccola spiaggia, fra rupi coperte di
ginestre, in un tratto di costa in cui sussiste ancora un equilibrato rapporto fra valori
naturali e intervento antropico, si adagia lo scoglio votivo della Madonnetta. Come
una ninfa, come un’ondina, come la Sirenetta che ho visto a Copenaghen, questa
divinità protettrice delle acque suscita anche in noi laici una suggestione profonda: è
la suggestione del “luogo”, il luogo pregno di senso, di relazioni, di storia, che si
contrappone a quello che Marc Augè chiama il “non luogo”, il sito di puro consumo, privo di valore comune, che è l’emblema della cattiva modernità. Si tratta di un
“luogo santo” come ci insegnò alcuni anni fa Herzog nel suo bellissimo film (Dove
sognano le formiche verdi): profanarlo significa profanare gli dei, gli antenati, gli affetti, la
memoria, insomma l’Anima. Profanarlo significa non solo fare un violenza alla Natura ma andare incontro ad una deriva antropologica profonda, alla rinuncia di simboli intimi e importanti. A cominciare da quelli originari e originali dell’acqua, simboli che alludono direttamente alla vita, alle sua poliformia e potenzialità. Questo Waterfront
di torri e di crescent che costituirà la nuova Savona li nega, rimandando evidentemente ad una scelta che non è “di fronte” ma è “contro”: contro l’acqua, contro il
Mare.
Contro il Mare ci sembra senz’altro anche il progetto di riqualificazione della zona
che prevede «un intervento di ripristino del paesaggio (…) che si concentra su un unico elemento
verticale»: 22 quel “faro ricurvo” di 120 metri di altezza e luminosità da destinare ad
albergo di lusso che l’assessore Ruggeri definisce bellissimo «perchè proporzionato alle
enormi navi da crociera». Il suo progettista, Massimiliano Fuksas è un grandissimo archi-
22. Autorità Portuale di Savona, Verbale del 6 marzo 2006.
26
tetto europeo, un artista e anche un “compagno”. Lo omaggiamo ma non condividiamo in nessun modo la sua concezione dell’architettura come úbris, come sfida alle
masse, includendo in questo concetto non solo la parte deteriore ma anche la comunità, il genius loci, la santità condivisa del luogo, l’ambiente di vita. Non condividiamo
l’idea di una architettura intesa come sfida individualista e come tecnica, dunque
come Gestell, direbbe Heidegger, ovvero come pre-potenza, come im-posizione.
Imposizione viriloide, direi, se in qualche modo è vera la lezione della psicoanalisi.
Questa torre di cemento e di forza, che, come sottolinea Italia Nostra, sembra
riproporre il progetto presentato nell’Esposizione di Roma del 1928 da Mario Ridolfi,
un architetto fascista, ricorda inequivocabilmente un fallo, un fallo un po’ storto ma
prepotente, che si erige contro il mare, con gesto distruttivo e invasivo. Il gesto di
sempre che il paradigma occidentale ha assunto contro la Natura, ma anche contro
la Madre, se è vero, come suggerisce l’omofono francese, che la mer è il mare ma
anche il liquido amniotico che dall’origine ci ospita e ci culla. Un liquido che la nostra
cattiva modernità, il nostro prometeismo, non sopporta perché è fluido, accogliente,
sfuggente. È come l’ondina, simbolico della femminilità, leggero, denso di libertà.
Capace di cura, anche. Perciò confido che lo sguardo machista si mitighi nel mare. Il
Mare regge la violenza e la sfida. Io non conosco bene questa parte della Liguria,
però la amo molto attraverso la ricostruzione ideale che ne ha fatto un grande filosofo , Friedrich Nietzsche: un “filosofo delle altitudini e delle nevi” che ad un certo
punto della sua vita scelse però di venire ad abitare su quel tratto di terra che va da
Sestri a Rapallo. Di fronte al mare, anzi di fronte ai molti mari di questa Liguria, alla
bellezza estrema e diversa dei paesaggi, questo filosofo così duro, col martello, accusato anche di sentimenti filonazisti, scrive la sua opera più bella, la sua opera più
dolce, meno prepotente (La gaia scienza). E dichiara che è stato il mare a influenzarlo,
non un mero ambiente, uno sfondo, ma qualcosa che costituisce la mente, che suggestiona il cuore, dando nuova serenità e dolcezza e, soprattutto, un grande senso del
limite.
Dovrebbe ascoltare la voce del mare anche la politica. La politica ha delle responsabilità e deve prendere impegni (io sono qui a prendere impegni: verifica delle autorizzazioni, compatibilità dei progetti, ecc.). Essa ha un potere che però si svuota
senza il sostegno del popolo, delle coscienze, delle soggettività. Girando per l’Italia in
questi mesi mi sono resa conto che le questioni ambientali, le questioni del territorio,
hanno un esito felice dal punto di vista ecologico lì dove c’è questo sostegno, lì dove
si mette in campo un nuovo concetto di democrazia, una democrazia dal basso, una
democrazia partecipata, una democrazia fatta dalle comunità. Perciò io , ribadendo
la mia vicinanza totale in questa lotta per la salvaguardia della costa, del buon senso,
della bellezza e della identità culturale, confido soprattutto che questa comunità così
viva sappia mantenere il suo luogo e la sua anima.
Dibattito sul progetto del porto turistico alla Margonara
il resoconto delle reazioni al “progetto Fuksas”
a cura della redazione
Nel giugno dello scorso anno, presso la sede dell’Unione Industriali, la presentazione del nuovo progetto dell’architetto Fuksas per il porto turistico alla Margonara, a dicembre il convegno di Italia
Nostra sulla salvaguardia della fascia costiera. La discussione a Savona impegna le forze politiche,
gli amministratori pubblici, le associazioni e i comuni cittadini. Alcune testimonianze dirette e gli echi
della cronaca locale e nazionale.
Savona, 17 giugno 2006
IL SECOLO XIX
«Il mio faro gigante?
Un’agopuntura»23
Il nuovo porto della Margonara.
Il celebre architetto ha presentato
il plastico alla città: «Genova vedrà
le luci della grande torre»
Il sindaco Berruti: «Stregati dal progetto di
Fuksas, sbagliate le posizioni conservatrici»
A molti savonesi stringerà il cuore scoprire che lo scoglio della Madonnetta è
diventato, nei disegni di Massimiliano
Fuksas, un puntino minuscolo dentro la
diga del futuro porticciolo. Viene da chiedersi: lo sa l’architetto più ”in” del momento cosa rappresenta quello scoglio
per i savonesi? E le baracchette? E gli
altri scogli della Margonara?
«Conosco tutto, mi hanno spiegato tutto, in parte l’ho vissuto sulla pelle nelle
mie vacanze in Liguria negli anni Sessanta - ha replicato Fuksas dopo la presentazione del progetto - Credo di aver valorizzato e tutelato ogni aspetto, basti dire
che tutto il progetto è incentrato sul completo ritorno del mare a lambire la co-
23. Articolo di Dario Freccero.
sta, cosa che oggi in molti tratti non avviene. Credetemi: è un progetto anche
di salvaguardia, non violenta l’ambiente».
Un po’ il carisma, un po’ la persuasione,
alla fine sembravano convinti dalle parole del “padre” del Palafiera di Milano
anche i più perplessi. È piaciuto alla platea il suo modo di spiegare e chiarire
anche gli aspetti secondari dell’intervento. Per capirlo bastavano le espressioni
di chi usciva dalla sala dell’Unione Industriali con l’aria serena e non dello choc.
28
Nella pagina precedente, in basso a destra: l’architetto
Massimiliano Fuksas durante la presentazione del nuovo progetto del porto turistico alla Margonara, presso la
sede dell’Unione Industriali di Savona.
«È confortante che abbia puntato tutto
sulla scomparsa dei parcheggi, che ci
saranno ma sotto la strada, e sul trionfo
del mare», diceva una signora che poco
prima si era autodefinita “contraria”.
nella sala dell’Unione Industriali scortato dalla sua assistente. Abito nero, un mix
di accenti, occhi profondi. Gli è bastato
poco per acclimatarsi, e in pochi minuti
ha conquistato fiducia e applausi.
L’aspetto delicato resta quello del faro
che conterrà alloggi fino a sfiorare il cielo (altezza doppia della torre di Bofill).
Facile prevedere lo stesso violento dibattito che ha già avvelenato i cantieri di
“Crescent” e “Torre di Bofill”. Fuksas
però non si è sottratto, e al dubbio se un
faro gigante sia sostenibile in una città
già in ansia per le dimensioni della vecchia darsena, ha dato una risposta schietta.
Architetto, in città però il clima è già “caldo”. «Lo immagino, ed è per questo che
mi sono preoccupato di venire di persona, e portare progetti e plastici per
spiegare non solo le forme ma anche i
sentimenti che le hanno fatte nascere ha risposto - Non sono aspetti marginali perché io so quanto sia importante
comunicare alla gente il proprio pensiero».
«Io rispetto chi dice basta cemento, mai
più cemento ed è contrario ad ogni nuovo intervento - ha detto - Però l’obiezione che gli muovo è questa: non fare
più cemento non migliora la situazione
di degrado delle zone dove il cemento
c’è già. Intendo dire: rifiutare questo
porticciolo tra Savona e Albissola non
cancella, per esempio, la bruttura che
sovrasta questo tratto di costa: il gigantesco ospedale. Come la mettiamo? Sarei d’accordo per le demolizioni, in quel
caso mi andrebbe anche bene tornare a
una fase originale di natura selvaggia e
boschi in città. Ma visto che è impossibile e di demolire non se ne parla mai,
tanto vale progettare tutti insieme cose
che siano moderne, sensate ed eco-compatibili. E questo mio progetto del porto ritengo lo sia».
Sapeva bene l’architetto più “in” del momento che venire a Savona con plastico,
disegni ed elaborazioni al computer, significava uscire dal campo dei “vedremo” ed entrare in quello della concretezza, della “carta canta”. «Speriamo
bene», gli è persino scappato entrando
24. Articolo di Erika Dellacasa.
I colori del faro? «Metallo, vetro e
verdastro. Cromature fresche, moderne». Perché la strana forma? «Perché no?
Se hanno chiamato me, volevano qualcosa di originale. Non è un palazzo, è un
faro, direi un’agopuntura per la città. Un
colpo secco, unico, in verticale. Cemento solo qui e tutt’intorno deserto naturale. Così alto che le luci dell’ultimo piano
le vedranno da Genova».
Il neo sindaco di Savona, Federico
Berruti, era in prima fila e poi gli ha stretto la mano. «Inutile negarlo, è un progetto che colpisce, sono stato toccato
anch’io dall’immagine del faro - ha detto Berruti - bisogna ragionarci, è sbagliato ergersi su posizioni conservatrici
di chi dice sempre “no”. Ripeto: è bene
ragionarci tutti insieme e discutere, però
mi pare che il progetto sia avveniristico».
Milano, 12 agosto 2006
IL CORRIERE DELLA SERA
Grattacielo sul mare, Fuksas divide
la sinistra 24
Ds disponibili. Botta e risposta tra
29
l’assessore del Prc e l’architetto.
«Meglio i borghi marinari».
«Lasciamoli ai giapponesi»
Savona, progetto di un Faro luminoso
di 120 metri. Rifondazione si oppone
SAVONA - La Goletta Verde approda
a Savona e contesta il grattacielo luminoso di 120 metri, galleggiante sull’acqua, al centro di un porticciolo turistico
da 700 posti, firmato da Massimiliano
Fuksas. Il «Faro», così si chiama il grattacielo, sarebbe il terzo nel raggio di pochi chilometri a Savona: la torre Orsero
è in fase di ultimazione e una seconda
sarà costruita dove un tempo era lo stabilimento Italsider, entrambe a firma di
Ricardo Bofill.
Il Faro di Fuksas è il progetto più impegnativo su cui si scontrano i malumori
ante-ferragostani. È una struttura in cristallo e metallo, «leggerissima» nelle parole dell’ideatore, e avvolta da una spirale luminosa che la renderà visibile fino
a Genova. Cosa quest’ultima che ai savonesi piace. Quando il progetto del «Faro»
fu presentato in un incontro organizzato dall’Autorità portuale (che lo sostiene), un amministratore comunale commentò: «Se dev’essere un faro, che sia
più alto della Lanterna». Mentre per le
torri di Bofill la contrattazione tra Comune e costruttori è ormai confinata a
pochi ritocchi, la partita sul Faro di Fuksas è aperta.
L’architetto che ama la Riviera di Ponente
dove trascorre le vacanze - si è adontato
quando è stato accusato di aver «disegnato case per i ricchi» (Fuksas si è dichiarato in passato a favore di
Rifondazione). «Costruire il Faro costa
1.250 euro a metro quadro - ha detto A quanto sarà venduto è affare dei
costruttori». Ovvero Giovanni Gambardella e il francese Pierre Noiray. Quanto
alle cifre, oscillano dai 7 ai 10 mila euro
a metro quadro. Il grattacielo prevede
40 appartamenti, più una parte destinata
ad albergo.
Mentre i diessini (che hanno varato il piano Bofill) sono “aperti” al progetto del
Faro, Rifondazione comunista conferma
il suo no: «È ora di rompere questa logica che abbina ai porticcioli turistici case
di cui il territorio non ha alcun bisogno dice l’assessore all’Ambiente della Regione Liguria, Franco Zunino - I porticcioli
fanno da cavallo di troia a un’edilizia
elitaria che non porta ricchezza e crea
problemi».
Il fatto è che il piano regolatore portuale e anche quello della costa, dei Comuni di Savona e Albissola, prevedono sia
il porticciolo turistico della Margonara
che i volumi edificabili. I vecchi progetti
con case lungo l’Aurelia erano stati bocciati perché avrebbero ostruito la vista
del mare. Fuksas ha radicalmente cambiato l’approccio al problema: ha concentrato tutti i volumi edificabili sparsi
lungo la costa in un’unica costruzione
verticale, il Faro appunto. Quindi lo ha
addirittura spostato «in mare» liberando
lo waterfront.
L’assessore Zunino confessa la sua
predilizione per «progetti che ricordino
i borghi marinari». Fuksas gli ha già risposto dicendo che «sono i giapponesi
che si fanno Portofino falso, noi abbiamo quello vero». L’assessore all’urbanistica ed ex sindaco di Savona il diessino
Carlo Ruggeri è fra quelli che considerano con interesse il progetto. Respinge
ogni accusa di cementificazione e
proliferazione di porticcioli e anticipa:
«La Regione dirà no ai porticcioli di
Albenga e di Noli-Spotorno». Quanto
al neo-sindaco di Savona, Federico
Berruti esamina le criticità del progetto:
l’impatto ambientale, i problemi strutturali di viabilità, gli equilibri fra investimento produttivo («che privilegio») e
quello residenziale, ma assicura «un giu-
30
dizio non ideologico» e soprattutto un
primo parere del Comune entro l’autunno. Ma il Faro gli piace? «Prima bisogna
capire se serve, poi se piace. Però il problema di liberare il fronte mare Fuksas
l’ha risolto».
Genova, ottobre 2006
LIGURIA BUSINESS JOURNAL
«Il borgo ligure èda archivio, a
Savona costruisco un paesaggio» 25
Massimiliano Fuksas parla di sé,
dell'
architettura e di Genova “immobile”
La nuova frontiera dell’urbanistica made
in Italy è affidare i progetti, anche quelli
apparentemente meno mastodontici alle
grandi griffe dell’architettura (soprattutto di casa nostra). La cosa, non di rado,
suscita polemiche perché, se è vero che
in genere la griffe entra nel business in
maniera “indolore”, assunta in prima
battuta per dare il suo tocco, è anche vero
che altre volte ciò avviene in maniera
brutale, scalzando precedenti progettisti
meno conosciuti (questo accade soprattutto quando la proprietà dell’area passa
di mano). Non sono pochi quelli che
sostengono che ingaggiare un architetto
di fama significa solo affidarsi a un abile
“veicolo commerciale”. Prendiamo
Renzo Piano: di recente è stato chiamato da Luigi Zunino, patron dell’immobiliare Risanamento a riprogettare l’ex
area Falck di Sesto San Giovanni, zona
nord est di Milano. Il progetto di
riqualificazione del vecchio insediamento industriale da 1,5 milioni di metri quadri, cioè 150 ettari di cui 40 destinati a
verde pubblico è roba da 215 milioni di
euro di valore. Chiamare Piano è stata
una scelta astuta e vincente, dicono in
25. Articolo di Franco Canevesio.
molti, perché uno come lui fa piazza
pulita di tutti gli altri concorrenti, potendo mettere in campo capacità manageriali e di relazione ad alti livelli che altri
non hanno. Nel caso di Sesto San Giovanni, per esempio, l’architetto genovese ha coinvolto il premio Nobel Carlo
Rubbia, per il quale intende costruire un
apposito centro di sperimentazione sull’idrogeno.
Altra piccola città, altra grande firma. A
Savona, il porto turistico della Margonara era stato affidato allo studio genovese dell’architetto Olga Gambardella.
Poi, a marzo di quest’anno si è preferito
chiamare una griffe, l’architetto
Massimiliano Fuksas. Romano, 62 anni,
studio a Roma e a Parigi, Fuksas ha insegnato architettura a Parigi e a New
York, alla prestigiosa Columbia University. È stato direttore della sezione architettura alla Biennale di Venezia dal 1998
al 2001 e vanta, tra le sue opere significative la sistemazione del vecchio porto
di Nagasaki in Giappone.
Per Savona ha ideato una torre-faro alta
120 metri da piazzare in mezzo al mare,
sul molo frangiflutti: un’idea che ha scatenato polemiche e reazioni.
- Come mai ha pensato a un grattacielo per
Savona? «Penso che l’espansione delle
città debba estendersi in verticale, non
più solo in orizzontale. In un’area molto
densa e completamente occupata dal
costruito come è Savona, se vogliamo
fare qualcosa dobbiamo costruire ex
novo mettendo insieme residenziale,
commerciale e tutto il resto di cui c’è
bisogno. Io penso che Savona abbia bisogno di un porto turistico e che questa
esigenza possa essere coperta da uno
sviluppo verticale».
31
- Perché? «Perché non è più il momento
di ragionare con la logica del borgo
ligure. Con questa logica, che per essere
applicata necessita di uno sviluppo orizzontale, l’Aurelia sarebbe rimasta nascosta, il mare non si sarebbe visto. Per questo io sposo la logica del grattacielo. E
poi io non faccio architettura, faccio
paesaggi, e li faccio parlando chiaro. A
Savona, per esempio, ho detto subito
che non è più il momento di nascondere»
- E cosa bisogna fare invece? «Bisogna far
vedere: il porto, il mare ...».
6 dicembre 2006
LA STAMPA
«La Torre di Fuksas
è un simbolo fallico» 26
Savona - Parla il Sottosegretario
Molti lo avevano pensato, ma alla fine
qualcuno lo ha detto pubblicamente: «Il
grattacielo di Fuksas? Ricorda il movimento di un fallo, simbolo del prometeismo più esasperato». Lo ha detto il
sottosegretario all’Ambiente Laura
Marchetti intervenuta ieri in Provincia a
Savona a un convegno sulla salvaguardia delle coste organizzato da Italia
Nostra. All’incontro era atteso anche il
governatore della Sardegna Renato Soru
che però ha inviato un intervento scritto. La Marchetti sulla Margonara ha detto: «Prima che si realizzi è necessario che
il progetto esecutivo passi al vaglio del
ministero. Il mio impegno è quello di
vigilare affinchè non si traduca in una
delle tante aggressioni al paesaggio». È
intervenuto anche l’assessore regionale
all’Ambiente Franco Zunino (Rifonda-
26. Articolo di P.P.
27. Articolo di Paolo Conti.
zione) che ha ribadito la contrarietà del
suo partito alla torre di Fuksas.
Roma, 7 dicembre 2006
IL CORRIERE DELLA SERA
Fuksas, il faro e le accuse
da sinistra «Simbolo fallico?
Superficiali» 27
Il sottosegretario di Prc: costruzione
viriloide. L’architetto: mi sento tradito.
L’ATTACCO «Quella torre è una
costruzione viriloide, come quelle di epoca
fascista»
LA DIFESA «Ma così ho scongiurato
l’assurdo progetto di un villaggetto alla
Disney»
ROMA - Massimiliano Fuksas è a San
Paolo del Brasile per un seminario pubblico: «Il mio grattacielo “un fallo, una
costruzione viriloide”? Rispondo così.
In un'opera, in un quadro ciascuno vede
ciò che vuole, desidera o sa vedere... cioè
cose, oggetti più o meno gentili o volgari. Dipende dalla personalità e dai gusti di chi osserva». Fuksas è fatto così,
riesce a polemizzare a colpi di brucianti
atrocità ma senza insultare mai. E così, a
modo suo, ha spedito una risposta di
fuoco a Laura Marchetti, sottosegretario all’Ambiente di Rifondazione comunista che il 5 dicembre è intervenuta a
Savona in un convegno sulla salvaguardia delle coste (ne scriveva ieri in prima
pagina il Secolo XIX). Ha parlato del
progetto Fuksas per il riordino del porto di Savona, cioè una torre di 120 metri già chiamata “il faro” capace di contenere 40 appartamenti e un albergo, galleggiante sull’acqua e pronta a illuminarsi di notte trasformandosi in un segno
32
visibile a chilometri di distanza: «Quella
torre ricorda il movimento di un fallo,
una costruzione viriloide come quelle di
epoca fascista, è un simbolo del prometeismo più esasperato».
Bocciatura clamorosa, visto che Fuksas
non ha mai nascosto le sue simpatie sia
personali per Fausto Bertinotti che per
l’area di Rifondazione. Per di più
Massimiliano Fuksas è lo stesso architetto che disertò l’inaugurazione della “sua”
Fiera di Milano il 31 marzo 2005 perché
il taglio del nastro sarebbe toccato a Silvio Berlusconi («eccessivo odore di elezioni»).
E infatti Fuksas replica in termini politici, non estetici, alle contestazioni del sottosegretario Laura Marchetti: «Quando
qualcuno critica i miei progetti non intervengo mai, rinnegherei uno dei valori
per cui mi sono battuto, cioè trasformare
l’architettura contemporanea in una parte
del panorama e quindi inevitabile oggetto
di aperto dibattito. Ma stavolta è diverso».
In che senso, Fuksas? «È diverso perché
questo giudizio viene da un sottosegretario, quindi da un membro del governo Prodi. Allora devo pensare che l’attuale esecutivo abbia formulato questo
giudizio sul progetto. Devo insomma
prendere atto che Prodi e il suo governo la pensano così. Altra osservazione.
Il sottosegretario Marchetti è anche
un’esponente di Rifondazione comunista. Nello stesso modo devo ritenere che
il suo parere coincide con quello del partito, del suo segretario e dello stesso Fausto Bertinotti, persona che so estremamente intelligente». E qui c’è molta, consapevole ironia, vista l’antica amicizia che
lega l’architetto e urbanista al presidente
della Camera.
Ancora: «Io sono abituato a Paesi diver-
28. A cura del Coordinamento Cittadino di Savona.
si dall’Italia. Sui progetti si pronunciano
i funzionari, se i politici parlano lo fanno
a nome dei governi o dei partiti. Nessuno si alza e dice la sua. Di questa faccenda, insomma, io faccio una questione di
responsabilità istituzionale». Quindi niente fallo? «È uno spillo, uno stilo, un oggetto architettonico che sembra una
tromba d’aria». E la questione del fascismo? «Mi ricorda le odiose generalizzazioni da scuola media di un tempo, i
fascisti repressi sul sesso o le comuniste
di facili costumi».
Ma alla fine Fuksas difende anche il merito del progetto: «La mia proposta serve ad abbandonare l'assurdo progetto
di costruire un agglomerato sulla costa
in stile “villaggetto genovese” un po’ alla
Disney, destinato a impedire la visuale
sulla costa dalla via Aurelia. Ho ridisegnato il rapporto tra la costa e l’acqua e
un vicino torrente con tutto l’appoggio
dei sindaci di Savona e Albissola e della
stessa autorità portuale». Ma l’architetto
sa che le lodi a Savona sono tante quante le critiche e le perplessità. Quella del
sottosegretario Marchetti è solo l’ultima
in ordine di tempo. E indubbiamente la
prima in originalità.
8 dicembre 2006
FORZA ITALIA
Comunicato stampa 28
Forza Italia, come il resto della C.d.L.
savonese, non intende esprimere opinioni
ufficiali sul progetto Margonara-Torre
Fuksas, finché non sarà stato possibile
conoscere direttamente il progetto, le sue
ragioni, gli obiettivi che esso si pone e la
loro condivisibilità sul piano civile e politico.
33
Qualche considerazione di carattere politico però già s’impone, nel momento
in cui una signora, sottosegretario del
Governo, oltre ad un certo numero di
altri personaggi - a vario titolo - comincia a “sparare a zero” sul progetto, a prescindere dalla sua conoscenza dettagliata.
Ora, che il sottosegretario in questione
consideri l’elemento architettonico dominante del costruendo porto della
Margonara un “simbolo fallico” e che,
come tale, essa lo disdegni, è argomento che attiene alla sfera dei suoi gusti strettamente personali, mentre non dovrebbe interessare la conduzione della Cosa
Pubblica.
L’idea poi che questo progetto possa
essere sottoposto a referendum è assolutamente abnorme e pertanto assolutamente non condivisibile.
Attraverso la procedura del referendum
per un tale argomento, non si riuscirebbe mai più a costruire alcuna opera pubblica, per la semplice ragione che andrebbero a votare soltanto i contrari.
In ogni caso, la decisione sulle Opere
Pubbliche da realizzare è esattamente
uno dei principali compiti dei Pubblici
Amministratori, i quali già rappresentano il Popolo che li ha eletti e quindi devono saper mostrare la saggezza e la saldezza morale ed intellettuale per decidere, senza voler ricorrere alla “stampella” (storta e fragile, in questo caso) del
referendum.
Talvolta le decisioni possono e devono
essere impopolari, oppure popolari ma
contrarie ai cosiddetti “poteri forti”, a
condizione che chi decide sia all’altezza
del proprio compito e sappia “vedere”
ben oltre la convenienza immediata ed
29. Articolo di Redazione.
agire veramente nell’interesse collettivo.
Il responsabile della comunicazione
Emilio Barlocco
10 dicembre 2006
LA STAMPA
Margonara prosegue il dibattito 29
Il Wwf si oppone al porto di Fuksas
«Meglio usare la Darsena Nuova»
Il neo presidente regionale del Wwf
Marco Piombo contesta con decisione
il progetto del porto turistico di Fuksas
e ipotizza anche soluzioni alternative con
meno impatto ambientale.
«Il progetto di Fuksas presenta elevate
criticità. Il Piano della costa punta a perseguire obiettivi quali la tutela e la
valorizzazione dei tratti di costa emersa
e sommersa che rivestono valore paesaggistico, naturalistico ed ambientale; la
riorganizzazione e la riqualificazione dei
tratti costieri urbanizzati; la difesa del litorale dall’erosione marina ed il
ripascimento degli arenili. Il proliferare
di porti e di approdi turistici come
Savona, Varazze, Celle, Finale, Loano,
Alassio, Andora determina un’elevata
cementificazione della costa con gravi alterazioni dell’ecosistema. Occorre
contemperare le esigenze di interesse generale con il pur necessario sviluppo».
Il Wwf presenta anche un’alternativa: «Si
potrebbe riqualificare l’intera penisola
compresa tra la Nuova e la Vecchia
Darsena, riprogettando la Darsena Nuova come porto turistico. Del resto nuova edificazione residenziale sulla costa è
impensabile.
34
13 dicembre 2006
IL SECOLO XIX
Il progetto Fuksas
può essere modificato 30
Lettera al giornale di
Gianluigi Granero
La discussione sulla realizzazione del
porto turistico della Margonara manda
ad una riflessione sul modello di sviluppo della città. L’Amministrazione
Ruggeri aveva compiuto una scelta netta per avviare un nuovo e moderno progetto di città policentrica e polifunzionale.
Non mancarono errori e limiti ma il progetto era chiaro e fu compreso e condiviso dalla città. Il porto, innovandosi, ha
continuato a svolgere il ruolo di motore
della nostra economia. Quanto fatto
doveva essere considerato il punto di
partenza per una nuova progettualità
capace di coniugare i risultati ottenuti con
nuovi ambiziosi obiettivi. Richiamo, solo
per titoli, alcune delle questioni centrali:
una politica industriale per rilanciare una
presenza produttiva di processo industriale; una politica culturale, elemento di
una nuova “identità” e fattore di sviluppo economico; un forte “investimento”
politico nel rilancio della partecipazione.
La decisione di puntare su un’alleanza
elettorale molto vasta rischia ora di riportare la sinistra nell’immobilismo. L’ala
riformista non pare avere la forza di un
progetto e da qui, credo, le fibrillazioni
dei consiglieri comunali. Gli aspetti
personalistici non possono fare velo alle
difficoltà, tutte politiche, che dipendono dall’incapacità delle forze politiche di
fare sintesi. La critica al progetto di
Fuksas fa leva su questioni che non possono, però, essere eluse. Il rapporto tra
30. Presidente della Lega delle Cooperative.
31. Articolo di Ermanno Branca.
politiche di sviluppo e sostenibilità ambientale è il tema centrale della politica
contemporanea che non può essere risolto nella semplice conservazione! Il
progetto s’inserisce in un’area fortemente
antropizzata. Sarebbe, quindi, opportuno non discutere in astratto ma considerare con maggiore accortezza le linee
progettuali, magari per modificarle. Il
progetto si pone come obiettivi: la
riqualificazione della costa; un rafforzamento del “rapporto” con l’acqua; le
volumetrie concentrate in un unico elemento dal forte valore simbolico ed
identitario. Colpisce anche la demonizzazione del settore costruzioni. La
cementificazione della costa costituisce
un vincolo ad uno sviluppo economico
di qualità, un monito ed un richiamo ad
una sicura responsabilità della classe dirigente di questa provincia. Ciò non toglie che il settore delle costruzioni sia stato, in questi anni di grandissima difficoltà economica, parte importante del valore aggiunto prodotto non solo per la
nostra provincia ma per l’intero paese.
È quindi necessario un approccio che
privilegi scelte di trasformazione e qualificazione urbana capaci di contribuire
alla definizione della nuova identità (e
funzioni) di cui la nostra provincia ha
bisogno. Il coraggio di cambiare anche
con forti segni è necessario se vogliamo
costruire un futuro di lavoro e non solo
di pensioni (quali?) per i nostri figli!
14 dicembre 2006
LA STAMPA
I privati chiedono al Comune di
affrettare i tempi del verdetto 31
Il sindaco Berruti ha deciso di affronta-
35
re di petto il problema del porto turistico della Margonara.
Dopo aver studiato per due o tre mesi
gli incartamenti, ha informato la giunta
dell’avvio di un procedimento che dovrà portare il Consiglio comunale a pronunciarsi sul porto turistico e sul grattacielo di Fuksas entro gennaio. A parte il
fatto che il procedimento della Port
Authority era stato avviato nel 1998 e
dell’approdo si parlava già dal 1990, infatti, ora il Comune è sotto pressione
perchè gli imprenditori vogliono sapere
se devono affidare all’architetto Fuksas
l’incarico di redigere un progetto vero e
proprio. Le firme internazionali, come
è facile immaginare, costano e nessuno
è disposto a pagare la parcella di Fuksas
per poi gettare il progetto del porto nel
dimenticatoio.
Il sindaco è consapevole delle prese di
posizione molto variegate all’interno
della propria maggioranza: Verdi e
Rifondazione sono apertamente contrari, lo Sdi favorevole al porto ma non al
grattacielo e la Margherita come al solito darà battaglia. Finora il sindaco non
ha fatto nulla per condizionare il giudizio della sua coalizione e ora pare intenzionato ad aprire ancora più il dibattito
in modo che ognuno abbia modo di
esprimere le proprie opinioni e di assumersi le proprie responsabilità.
Il primo passo da compiere per poter
esprimere un giudizio di merito sarà
quello di acquisire la documentazione
dalla Port Authority che dovrà essere
fornita ai consiglieri comunali in modo
che possa svilupparsi il dibattito in Commissione. Il Comune deve di fatto pronunciarsi su un progetto completamente nuovo. Quello vecchio, che prevedeva le casette lungo la costa e che erta sta-
32. Articolo di Redazione.
to approvato con numerose prescrizioni, è stato abbandonato. La nuova idea
presentata da Fuksas è rivoluzionaria, sia
per l’altezza dell’edificio, sia perchè libera gli spazi sulla costa.
Un particolare non di poco conto, infine, è che il grattacielo verrà realizzato su
terreno demaniale e quindi gli acquirenti
degli appartamenti, del ristorante o dell’albergo non diventeranno proprietari
ma solo concessionari per un periodo
variabile fra 60 e 99 anni.
20 dicembre 2006
LA STAMPA
Margonara iniziativa
del Sindaco Berruti 32
In giunta il dossier sul progetto Fuksas
Porticciolo e grattacielo al centro
del dibattito politico
SAVONA. Il sindaco Berruti ha “aperto ufficialmente le danze” sul porto della Margonara consegnando a tutti gli assessori la documentazione sul progetto
che nelle prossime settimane saranno
chiamati a valutare insieme al Consiglio
comunale.
Il dossier esaminato ieri mattina dalla
giunta è composto da una parte urbanistica con la completa ricostruzione dell’iter amministrativo della pratica avviata addirittura nel 1997 dalla Port
Authority e da un cd-rom contenente gli
elaborati grafici, le cartografie, le simulazioni al computer e gli inserimenti nel
paesaggio che l’architetto Massimiliano
Fuksas ha consegnato nei mesi scorsi alla
Port Authority. In seguito la documentazione verrà consegnata ai consiglieri
comunali e sarà forse inserita anche sul
sito internet del Comune.
36
Proprio per offrire elementi concreti di
valutazione, pubblichiamo l’intero
dossier del progetto che negli ultimi mesi
ha calamitato l’attenzione dell’opinione
pubblica suscitando un dibattito molto
vivace, scandito da polemiche anche all’interno della maggioranza di centrosinistra.
Madonnetta, che prevedono un ampio
specchio acqueo di rispetto dove saranno ospitati natanti di piccola dimensione, tradizionalmente legati alle associazioni di pesca e sportive locali. La macchina propulsiva del porto sarà affidata
alle seguenti attività principali.
Documento
MASSIMILIANO FUKSAS
Il progetto da un lato fornisce una risposta adeguata alle richieste di posti
barca medio-piccoli dettati da necessità
locali, dall’altro prevede un significativo
numero di posti barca per yacht (anche
di grandi dimensioni) in grado di soddisfare le richieste che emergono dai cantieri di prestigio presenti sul territorio.
Facilitazioni di questo tipo incentivano
sviluppo alla produzione dei cantieri e
dell’indotto relativo con conseguente
aumento dell’occupazione. Inoltre la presenza di yacht di grandi dimensioni richiede attività di manutenzione costante
nel corso dell’anno e assicura la presenza di equipaggi nel porto per i periodi
di bassa stagione, consentendo di sostenere anche attività produttive diversificate, già presenti sul territorio.
33
Il porto turistico si propone di proseguire la sistemazione del fronte mare tra
la Vecchia Darsena e il litorale di Albissola
Marina, prevedendo un riassetto paesistico ed un recupero di un’area obiettivamente degradata. La proposta conferma e precisa le destinazioni d’uso previste nel Piano Regolatore Portuale; in particolare sono state ottimizzate le funzioni allo scopo di caratterizzare il porto
turistico quale importante spinta propulsiva del territorio, dal punto di vista
dell’immagine, dello sviluppo economico e dell’integrazione dei servizi alle
persone.
L’obiettivo è quello di individuare un mix
di funzioni che rendano il porto turistico fortemente legato sia agli abitanti che
ai turisti con strutture polifunzionali, tali
da rendere l’area un punto di forte richiamo. Il complesso di destinazioni ha
lo scopo di amalgamare l’aspetto turistico-ricettivo tipico dei porti turistici
con quello di polo ricreativo per la città,
con destinazioni d’uso diversificate in
grado di attrarre non solo il territorio
savonese ma anche, in occasioni particolari, bacini di influenza più estesi.
Contemporaneamente, proprio perché
il porto mantenga le radici nella tradizione del territorio, è stata data particolare attenzione al sistema degli Scogli della
Posti barca
Polo ludico-ricreativo
L’obiettivo è quello di consentire a cittadini, turisti giornalieri e non, utenti delle
crociere, di potersi recare al porto per
un periodo limitato, anche di un pomeriggio, di una domenica o di poche ore,
o al contrario di soggiornarvi per una
breve vacanza. A questo scopo sono individuate diversi tipi di attività.
- Ristorazione con bar e ristoranti di
qualità e livello diverso, innovativi o
tradizionali, per un pasto veloce o per
un pranzo di lavoro o di rappresentanza.
- Attività culturali con spazi per espo-
33. Estratto dalla relazione dello Studio di fattibilità redatto dall’architetto M. Fuksas (giugno 2006).
37
sizioni, sale da musica, sale di incisione e sale prove per attività musciali e
di recitazione, ludoteche, biblioteche.
- Attività di wellness-fitness con piscine, palestre, centri benessere.
- Attività sportive legate agli sport
acquatici, scuole di sport su natanti
come vela, surf, canoa, ma anche attività sportive da palestra con piccoli
campi gioco.
- Attività commerciali con negozi
specifici legati al turismo nautico (abbigliamento sportivo, particolari per
le imbarcazioni, ecc.) e generici per
tutti gli altri visitatori del porto. I negozi possono essere punti di vendita
esclusivi o collegati a locali già esistenti sul territorio.
È in progetto l’esame di qualche attività
di interesse più generale in grado di attirare un bacino di utenza allargato. In ogni
caso è oggi dimostrato che eventi di
particolare pregio culturale (mostre di
rilievo, festival musicali e teatrali di pregio, ecc.) sono in grado di attirare un
notevole numero di visitatori, specialmente se connessi ad una rete di attività
culturali e ricreative specifiche del territorio, ad una ospitalità di qualità e a pacchetti di cure di benessere o stage sportivi (vela/golf, ecc.).
Albergo
È localizzato nella torre. Il piano terra e
i primi piani sono destinati ad attività
completamente aperte al pubblico, mentre è previsto ai piani superiori il sistema
alberghiero vero e proprio. Si tratta di
una struttura ricettiva di qualità in grado
di ospitare eventi congressuali e dello
spettacolo (con spazi interni e all’aperto)
e di rispondere ai massimi livelli del turismo legato ad attività aziendali e di la-
34. A cura di Alessandro Scarpati.
voro. L’ultimo piano è destinato ad un
ristorante panoramico aperto al pubblico.
27 dicembre 2006
SINISTRA ECOLOGISTA
Comunicato stampa
34
Un tornado luminescente sul mare, destinato probabilmente a diventare il simbolo della Liguria del XXI secolo.
La Sinistra Ecologista entra nel dibattito
sulla Torre dichiarandosi favorevole ad
un’opera destinata ad annoverare Savona
tra le città simbolo dell’architettura moderna.
Così come le grandi metropoli del mondo, la conurbazione costiera ligure necessita di un forte simbolo architettonico.
La Torre-faro asimmetrica che svetta all’interno del nuovo porto della Margonara è un’idea geniale di un grande architetto italiano, Massimiliano Fuksas, e
rappresenta una forte occasione di sviluppo per una Savona lanciata verso una
nuova immagine turistica.
La struttura ricettiva prevista ai piani alti
della Torre-faro consentirà a Savona di
ospitare eventi congressuali di livello internazionale all’interno di una cornice
unica nel suo genere.
Vero è che quanto abbiamo visto fino
ad ora è solo una suggestiva molla asimmetrica protesa verso il cielo: sarà abilità
del progettista realizzare un’opera che
conservi la leggerezza e l’unicità di quanto raffigurato a livello progettuale.
La Direzione della Sinistra
Ecologista di Savona
38
31 dicembre 2006
LA STAMPA
Delfino:sono favorevole a Fuksas 35
Dibattito sulla torre della Margonara
SAVONA . Ancora Fuksas. La torre della
Margonara disegnata dal noto architetto romano di origine lituana continua a
far discutere. Finora tanti pareri contrari. Oggi ne ospitiamo uno, autorevole, a
favore. A intervenire è l’imprenditore
Vincenzo Delfino, candidato sindaco al
Comune lo scorso maggio.
«Tutti si sentono in dovere di dire la loro:
fermiamoci un momento e facciamo un
passo indietro. A Savona oggi manca
terribilmente un tessuto produttivo,
aziende che occupino degli operai. Non
c’è più lo spazio per farlo, ma se domani la Fiat o qualunque altra grossa impresa si presentasse da noi e dicesse: «Vi
costruisco uno stabilimento e vi garantisco dai 3 ai 5 mila posti di lavoro», che
cosa faremmo? Probabilmente cercheremmo in tutti i modi di trovare una posizione che permetta la nascita di quest’industria. Abbiamo invece un porto,
Savona è una città portuale, Savona è una
città marinara, Savona è una città turistica (o almeno dovrebbe esserlo). Ma cerchiamo di ragionare. Certo i Verdi sono
negativi (d’altra parte lo sono per principio), mi meraviglierei molto se qualche volta i Verdi dicessero “sì” ad un
progetto industriale, probabilmente comincerei a pensare che sia sbagliato completamente. Ma tutti gli altri partiti dell’estrema sinistra e qualche elemento del
centro (vedi Margherita o simili) si professano contrari. In base a quele idea?
Un po’ di cemento in più? Ed è forse
bella attualmente la costa che c’è tra Savo-
35. Articolo di P.P.
na ed Albisola, piena di baracche e di
rifiuti? È forse bello uno specchio d’acqua dove al massimo vanno quattro pescatori e che potranno continuare ad
andarci, e che potranno continuare a svolgere le loro attività in una posizione
senz’altro più bella e più gradevole? Ma
siamo seri! Qui si va avanti sulla base di
preconcetti e non di questioni importanti».
E ancora: «Tutto si può studiare, tutto si
può migliorare, non a tutti piace la Torre di Fuksas, ma non è questo il problema. Il problema iniziale al quale dobbiamo rispondere come savonesi é: vogliamo un porto turistico o no? Per il sì
ci sono da 3 a 5 mila posti di lavoro, c’è
una notevolissima ricaduta di denaro in
via secondaria per tutte quante quelle che
sono le spese di coloro che utilizzeranno questo porto, c’è un’attrattiva turistica notevole sia per la questione semplicemente paesaggistica sia per l’utilizzo.
Per il no che cosa c’è? Una prateria di
posidonia? Un pochino di cemento in
più? Il fatto che qualche privato riuscirà
ovviamente ad avere degli utili da tutto
questo? Mi sembrano posizioni demagogiche, che non vale la pena neanche di
affrontare? La Torre di Fuskas può piacere o non piacere; anche la casa sulla
cascata di Wright non piacque a molta
gente, ma è tutt’ora considerata uno degli esempi di scultura moderna più “à la
page”. Perché non può diventarlo la
Torre di Fuksas, e diventare di per sé
un’attrattiva turistica per Savona? Noi di
questo abbiamo bisogno. E’ molto difficile, per via della politica dissennata
delle amministrazioni precedenti, trovare delle zone dove un’industria possa
effettivamente venire a collocarsi per dare
posti di lavoro ai savonesi».
La Madonnetta
dietro le testimonianze uno spaccato di vita e pietà ad Albissola Marina
di Dede Restagno 36
La costruzione della strada a mare tra
Savona ed Albisola, negli anni trenta, ha
sacrificato alcuni scogli esistenti tra la foce
del Ritano del Termine e l’abitato di
Albisola Marina (lo scoglio di Sant’Antonino e altri minori), ma ha risparmiato
per nostra fortuna quello che maggiormente caratterizza il paesaggio albisolese.
Lo scoglio della Madonnetta, che conserva ricordi interessanti un arco di oltre
tre secoli, è riconoscibile in una veduta
degli inizi dei settecento, ove è già sormontato dalla tipica edicola.
Matteo Vinzoni, autore della veduta, nel
“prendere la pianta e la prospettiva” di
Albisola tra il 3 e il 4 dicembre 1722, lo
annotò, quale infatti si presenta, tra gli
elementi caratteristici del paesaggio locale, insieme al Castellaro, alle torri e al
forte di S. Antonio, alle chiese, alle ville
Balbi al Capo, De Mari e Durazzo alla
marina.
A quella data l’edicola sullo scoglio contava circa settanta anni, essendo stata realizzata nel 1653, come si ricava dall’iscrizione posta alla base del bassorilievo raffigurante la Madonna:
FRANCESCO DI NICOLA
GROSSI P DEVOTIONE 1653
36. Dede Restagno, archeologa e storica savonese, ha realizzato numerose campagne di scavo e ricerche nell’ambito ligure e nazionale. È stata presidente della Società savonese di storia patria, del Centro ligure
per la storia della ceramica e del Museo della Ceramica Manlio Trucco di Albisola Superiore (fonte http://
digilander.libero.it/madonnetta).
Nella pagina precedente: veduta dello scoglio della
Madonnetta e della costa di Albisola.
Sotto: l’edicola votiva che sormonta lo scoglio.
40
Non si è potuto sinora identificare il personaggio del Nicola Grossi, le ricerche
essendo rese difficili dal fatto che nome
e cognome sono tra i più diffusi nelle
Albisole.
Proprio sotto il rilievo della Madonna,
nello spazio compreso tra la base dell’edicola e lo scoglio, una lapide molto
più recente ricorda il restauro attuato
verso la fine dell’Ottocento da un gruppo di albisolesi della Marina guidati da
Bernardino Gervasio.
Sulla targa marmorea, purtroppo in cattivo stato, si legge la seguente iscrizione:
MADONNA ..... DELLO SCOGLIO
RESTAURATA
ADDI’ (16) LUGLIO 1897.
B. Gervasio / E. Barile / F. Ferrando /
B. Barile / A. Poggi / N. Poggi /
N. Peluffo / G.nni Peluffo / G.ppe Peluffo
/ R. G (hi)... / G. Fornari / A. Ratto /
P. Colombo /N. Bonfiglio /
A. Pìccone... G. B. / N. Schiappapietra /
P. (B)asso / A. Siri / A. Piccone/
G. Agnese / B. Firpo / A. Marazzi
Bernardino Gervasio, nato in Albisola
Marina nel 1851, era capitano marittimo ed aveva iniziato a navigare, come
usava allora, in età molto giovane, per
smettere attorno al 1890 e ritirarsi nel
suo paese natale.
Nel periodo in cui navigava, il capitano
Gervasio fu dapprima alle dipendenze
dell’armatore genovese Cambiaso, che
aveva una sede a Santo Domingo; poi
ne divenne socio e ne sposò la sorella
Luisita. A tale periodo si deve riferire
l’episodio di un naufragio, dal quale derivò l'offerta di un ex-voto, oggi purtroppo scomparso, al santuario di
Savona.
La lapide del capitano Gervasio non è
soltanto corrosa dal tempo, ma è anche
abrasa a tratti e sforacchiata da schegge
e proiettili risalenti all’ultima guerra.
L’edicola della Madonnetta fu infatti danneggiata durante il conflitto, tanto che,
con il ritorno dela pace, dovette essere
nuovamente restaurata.
Ciò fu fatto a cura degli uomini cattolici
di Albisola Marina, i quali murarono sulla
parte posteriore dell’edicola, quella rivolta verso terra, un rilievo in ceramica
policroma con il busto di San Giuseppe
che tiene in braccio il bambino Gesù, in
omaggio a uno dei tanti santi protettori
di Albisola. L’opera è firmata “Alba
Docilia Albisola”.
Sulla parte anteriore del monumento, nel
timpano sovrastante il rilievo della Madonna, fu in quell’occasione incisa la scritta:
1946
UOM. CATT.
ALBISSOLA M.
Torri
simboli e orizzonti della verticalità
di Gabriele Mina 37
L’attrazione della grande Esposizione mondiale del 1889 a Parigi, trecento metri di ferro
battuto, pare fosse destinata ad essere smantellata dopo un ventennio. Due anni
prima nomi prestigiosi dell’intellighenzia parigina, da Dumas a Maupassant, avevano
firmato una indignata protestation contro l’inutile e mostruosa profanazione al buon gusto della capitale: quella torre di Babele era vertiginosamente ridicola, simile a una nera e
gigantesca ciminiera. Non sarebbe stato l’ultimo attacco alla torre voluta da monsieur
Eiffel, nella quale lo sguardo di Verlaine riconosceva uno scheletro, mentre – in
modo ancor più originale – Léon Bloy vi intravedeva un tragico lampadario. Eiffel
rispose sulla stampa ribadendo l’unione estetica fra ingegneria del ferro e bellezza
delle forme, una forza d’insieme che non avrebbe sminuito i monumenti e il decoro
parigino. Il capo-progettista insisteva peraltro sullo charme del colossale, un’attrazione
estetica per un fuori-misura che, come le piramidi, supera di per se stesso le regole
ordinarie. Vi è anche questo nella storia di un popolare simbolo della Francia e della
cultura europea, con il richiamo quasi irrinunciabile alla torre babelica. Nel racconto
biblico è la costruzione infinita, una ziggurat puntata verso il cielo e destinata ad
essere abbattuta per la superbia di quella sfida. Uno spazio plurale, babelico: come
nel celebre dipinto di Pieter Bruegel della metà del ‘500, la torre è un insieme di
forme affastellate, di stili e lingue, per certi versi è struttura che suggerisce già la sua
disgregazione, una intima caducità a dispetto delle sembianze possenti. Non solo,
l’esegesi ha posto in luce significati ulteriori a quelli della vanitas umana in sfida con
l’Olimpo: la caduta di Babele e lo sviluppo delle lingue interni al disegno divino. Un
progetto comunicativo che muove dall’allargamento simbolico della spirale incarnata dalla torre, luogo dialettico fra unione con l’alto e molteplicità degli abitanti della
terra. La tensione smisurata dell’edificio verso il cielo si rispecchia, o forse si condanna, nell’ossessione simbolica, alzarsi, crollare. L’axis mundi, ossia il pilastro centrale che
nelle mitologie cosmiche unisce le parti del creato, è intimamente connesso ai motivi
dell’ascesa e della caduta: l’albero che affonda le radici nel mondo sotterraneo, l’omphalos,
la scala e la croce, tutti i simboli assiali rimandano all’etica e alla spiritualità di una
comunicazione mistica (Babele) e di un itinerario (scala dei).
Sono riflessi simbolici che ci appartengono e che ritroviamo, non è un caso, nella
discussione sulla pregnanza allegorica della caduta delle Twin Towers, su Ground Zero
e su ciò che dovrebbe o non dovrebbe sostituirlo. Quasi volendo esorcizzare il
cumulo dei corpi e dell’acciaio, il confronto è stato immediatamente istituito con
quei 417 metri di assenza, con quella parte cancellata (rovina, ferita, buco nero) da
37. Gabriele Mina, insegnante, ricercatore e antropologo savonese. Si è occupato principalmente dei
temi del tarantismo, del digiuno, della mostruosità. Ha pubblicato diversi libri fra cui: Il morso della
differenza. Antologia del dibattito sul tarantismo fra il XIV e il XVI secolo (2000) e La tela infinita (2006).
42
colmare con un rito plastico di memoria, elaborazione architettonica del lutto. Le
proposte per il nuovo World Trade Center sono state migliaia: non potevano che
relazionarsi con i resti o il vuoto. Dunque scheletri di vetro sopra i monconi, macerie
fra i sostegni, fosse riempite d’acqua profonde 911 piedi, edifici traforati o con
forme significanti, drammatizzate; i resti delle torri museificati in un rimando simbolico all’orrore della caduta e all’urgenza di rinascita. Il progetto vincitore è firmato
da Daniel Libeskind, già autore di un’altra potente allegoria della memoria, il Museo
ebraico di Berlino. Si è molto parlato sullo snaturamento del disegno iniziale dopo
gli interventi dell’esecutore David Childs e le pressioni del concessionario, il magnate
Larry Silverstein: ingenuità o ipocrisia di chi dimentica o vuole dimenticare che imprese di questo tipo sono fin dagli esordi interne a una logica di sfruttamento immobiliare e finanziario. L’architetto ha immaginato cinque alte strutture a corona del
vuoto, un giardino-memoriale (il progetto è ancora da assegnare), e una sesta torre –
la Freedom Tower – lanciata alla quota di 1776 piedi (541 metri), l’anno della dichiarazione d’indipendenza. Resta visibile parte del muro superstite; la luce del sole ogni 11
settembre – proprio nelle ore dello schianto dei due aerei - illuminerà lo spazio. In
numerose interviste Libeskind, americano emigrato dalla Polonia, ha insistito sui
contenuti simbolici del progetto, ricollegando fra l’altro la nuova guglia alla porta
dell’America, la Statua della Libertà. Alta 93 metri, la figura femminile alza la fiaccola
democratica e stringe in mano il libro su cui è incisa la data del 4 luglio 1776: la
scultura era stata donata dalla Francia nel 1876 per onorare il centenario della libertà
(non tutti sanno che la struttura metallica interna fu studiata dalla società dell’ingegnere Eiffel). Davvero prevedibile appare allora la critica di un eccesso simbolico per dei
segni – scultura, grattacielo – chiamati esplicitamente a “significare”, a rappresentare
storia ed etiche: le proposte alternative (replicare perfettamente le torri, lasciare il
vuoto, optare per torri virtuali, elevare il nero monolite di 2001 Odissea nello spazio di
Kubrick) non sfuggono, né potrebbero farlo, al medesimo meccanismo. Perché le
torri, la torre esiste già, vive nell’immaginario simbolico replicato dalla riproducibilità
visiva: l’insegnamento, per restare nelle passeggiate parigine, di Walter Benj
amin e di
Roland Barthes. Sono ad esempio gli operai sospesi su ponteggi inarrivabili, la sagoma di Woody Allen fra gli edifici di Manhattan, gl’inferni di cristallo e le traiettorie di
Spider-man: sappiamo come dopo l’attentato il cinema fu costretto ad optare di
volta in volta se cancellare o suggerire i profili delle due torri. Nello stesso modo
accade in ogni fotografia, in ogni poster che rilancia quel riflesso identificativo, “c’erano
ancora/non c’erano più”. I mediocri sofismi di pensatori alla Jean Baudrillard – la
grandiosa opera d’arte del terrorismo anticapitalista non sarebbe stata completa se
avesse abbattuto una sola torre, invece della copia gemella e autoreferenziale – ci
consegnano un solo stimolo utile: il valore del simulacro. La skyline, l’indimenticabile
panorama aereo di New York, si presenta come un infinito percorso di miti
novecenteschi, di simulacri (è notevole in questo senso che Libeskind abbia preferito
all’integrità della linea del cielo americana un dialogo teatrale con le fondamenta, in un
movimento tra il basso e l’alto).
Il tramonto del grattacielo, è stato scritto, è il tramonto di un’epoca: è il simbolo
sfrontato del potere, Babele del capitale che si accomuna ai simboli del potere militare e politico, Pentagono e Casa Bianca. Lettura approssimativa, se già King Kong,
la forza selvaggia e proletaria che spezza le catene, scalava con la bella in mano
l’Empire State Building attaccato dai militari (uomini). Il film, del 1933, esce ad appena
Sotto: La torre di Babele (1563), dipinto di Pieter
Bruegel il Vecchio, Kunsthistorisches Museum - Vienna.
43
due anni dall’inaugurazione dell’edificio dei record. Ma è una storia ancora più ampia, come ben evidenzia Francesco Dragosei nel saggio sull’immaginario
nordamericano Lo squalo e il grattacielo: dietro s’indovina la casa costruita dai coloni
con forti mattoni e valori anglicani, opposta all’assedio esterno, un fortino chiuso
contro gli indiani e il soffio del lupo. Sono spazi che mostrano continuamente i
fantasmi storicamente accumulati, i quali costituiscono parte integrante della loro
mitologia. Gli autori della lettera contro la torre Eiffel parlavano di quella sagoma
nera come di un sogno inquietante. Qualche anno più tardi, il 1900 si apriva con
un’altra esposizione fantasmatica, la pubblicazione de L’interpretazione dei sogni di Freud
che avrebbe gioco forza costretto a leggere dietro significati e forme la girandola
delle rimozioni e del desiderio sessuale. Un’architettura organica, una scala corporea:
“Gradini, scale a pioli, scale, o anche scendere e salire scale, rappresentano l’atto
sessuale. Pareti lisce sulle quali il sognatore si arrampica, facciate di case, dalle quali
egli scende, spesso con grande angoscia, corrispondono a corpi umani eretti… ”. Per
altri autori e correnti l’archetipo verticale è proprio della conquista dell’homo erectus o,
biologicamente, derivato dal movimento del fallo. La torre falliforme e il fallocentrismo
architettonico riscuotono una loro fortuna critica, tuttavia non andrà dimenticato che
la turris eburnea è attributo della Vergine, centro di mediazione e contatto con il sacro.
Allo stesso modo l’ascensione, oltre ad affermazione prometeica della tecnica e dell’aggressività maschile, è anche la progressiva purificazione che procede per tappe
iniziatiche: i gradini e le scale di luce – citazione obbligata – della Commedia dantesca.
Ancora, in una messe di riflessi simbolici che inevitabilmente ricade sull’oggi, la retorica cortese che vuole la torre-donna assediata dal cavaliere armato, una tenzone
erotica tesa a superare le difese e approdare in giardini di delizie. Il piano estetico
contemporaneo, nonostante sbandierate autonomie, affonda in linguaggi storici ed
etica scolastica, con una peculiare predilezione per la costruzione e il governo del
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corpo e del territorio. Così, se le mura e le torri di forti e palazzi fungevano da difesa
e controllo dello spazio circostante, configurando una potestà sui “sottomessi”, la
torre moderna – lo skyscraper – è simbolo di concentrazione comunicativa per eccellenza, direzione pubblicitaria. Le forme di conseguenza si reinventano, ammiccano,
si propongono come segni riconoscibili, marchi: una sorta di funzionalismo simbolico.
Negli anni ‘50 Frank Lloyd Wright giocava con i numeri – un grattacielo di un miglio,
lo One-Mile-High di Chicago; per le torri gemelle malaysiane, le Petronas Twin
Towers (del 1997, più di 450 metri), César Pelli riprendeva motivi geometrici della
tradizione islamica, i quadrati nel cerchio a formare la stella a otto punte. Numeri e
linee che si slanciano nel cielo, mimando i segni di osservatori e tombe antiche,
ziggurat e piramidi (per facilitare un confronto: la piramide di Cheope non supera i
150 metri di altezza). Oggi è l’icona a dominare, come si vede nei curiosi modellini,
quasi giochi per l’infanzia, che sfilano nelle mostre e nelle biennali dedicate a queste
alte vette, al MoMa, a Londra (Sky High) come a Milano, spesso in concomitanza
con il grande concorso internazionale o le varianti urbanistiche concordate in fretta
con i vari potentati. Non stupirà, dopo le premesse fatte, il dispiegamento simbolico
intorno al segno: torri già fatte o da fare, virtuali, scolpite, in 3-D, pubblicate sul
giornale, ritirate, trasformate in vignetta, opposte ai piccoli monumenti locali, e così
via. Sono classiche strategie di comunicazione che diffondono una forma caratteristica e si nutrono della similitudine, del gioco al riconoscimento: “ricorda…, sembra…”. Pertanto a Barcellona, spazio primo per l’esplorazione architettonica specie
dopo le manovre imprenditoriali successive alle Olimpiadi del ’92, il geyser, la supposta, il fallo, il vibratore sono stati il termine di paragone per la stupefacente Torre
Agbar di Jean Novel, costruita vicino alla Sagrada Familia dalla potente Aguas de
Barcelona, con le sue lastre di cristallo in continuo mutamento cromatico. Alla Swiss
Re Tower londinese di Norman Foster, battezzata erotico cetriolo, si opporrà la
scheggia di vetro piramidale ideata da Renzo Piano, gli oltre 300 metri della London
Bridge Tower. E poi le spirali aeree di Calatrava, rossetti, vele, fili d’erba, frecce,
tubi…
L’altezza, per quanto possa apparire strano, non è un problema rilevante: si ipotizza
di poter arrivare al chilometro di altezza – questione di investimenti prima ancora
che di statica. Ne La Tour Eiffel Dino Buzzati immaginava gli operai lavorare segretamente a un progetto esoterico: non i trecento metri annunciati, una mera copertura, ma una torre infinta oltre le nuvole. Quella struttura superiore viene però condannata ad essere distrutta, si smonta il sogno di pochi a favore della verità di tutti, la
torre Eiffel come la conosciamo, mentre la vita dei lavoratori – conclude il racconto
– si è consumata nell’ennesima frustrazione babelica. La suggestione di uno spazio
privato ed iniziatico è particolarmente utile, nelle rotte geografiche intraprese dai
grattacieli. La storia inizia con la ricostruzione di Chicago dopo il grande incendio
del 1871, con Louis Sullivan e la sua scuola a suggellare il patto fra la scienza dei
nuovi materiali affermati con la seconda rivoluzione industriale, l’impresa, le società
immobiliari, non ultima l’invenzione del signor Elisha Otis, l’ascensore moderno. Di
qui all’impresa di urbanizzazione verticale per antonomasia: New York. Prima e
dopo il crollo di Wall Street del 1929 salgono a Manhattan le celebri figure – l’Empire, il Chrysler, il Rockfeller Centre… – frutto di una collaudata catena di montaggio e di un capillare sfruttamento economico della lottizzazione. Quindi in tutto
l’Occidente, in una rincorsa a quote (altezze e rendite) sempre più alte: il building è
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sostituito dalle forme evolute e persuasive impiantate a Kuala Lampur, Shangai,
Dubai, in Cina, le nuovi torri volute dai dittatori orientali, emiri, multinazionali. Sogni
di pochi, per l’appunto, volutamente improntate all’estetica non di rado kitsch del
lusso. Appare sintomatico allora che, proprio nel momento in cui si criticano le
simbologie plastiche della speculazione finanziaria, nel momento in cui si discute del
tramonto dei grattacieli e della necessaria ridefinizione della tipologia verticale (è la
posizione, fra gli altri, di Rem Koolhaas), si adottino due caratteristiche strategie del
linguaggio simbolico. Da un lato il superamento dei vincoli terreni e del confronto
nel nome, come detto, di un’estetica dell’elevazione, il simbolo puro e trasparente,
quasi metafisico, svuotato dai fantasmi e dalle necessità della storia: l’arte del simbolo.
Dall’altro, la costruzione morale: il simbolo diventa involucro dell’etica della salute,
della compatibilità ambientale, dell’integrazione con gli altri. I nuovi grandi edifici
ambiscono a risolversi in un proprio bioclima, sfruttando audacemente le energie, in
dialogo con il sole e il vento, nascondono nel sottosuolo arterie stradali e metropolitane per circondarsi in superficie di sentieri erbosi: il green skyscraper come organismo
vivo ed autonomo, eco- (oikos, la casa, lo spazio) -nomia dell’eco-logico. Argomento
caro alla politica e alla retorica delle odierne torri: costruire in verticale per risolvere
i problemi dell’urbanizzazione e della concentrazione demografica, liberando nel
medesimo tempo spazi vitali, la piazza, il parco. Tre milioni di abitanti dell’aria,
teorizzava Le Corbusier negli anni ’20, con percorsi pedonali e natura addomesticata
fra i piloni e le unità abitative: al glorioso architetto francese, che amava lamentare
l’insufficienza verticale dei grattacieli, oggi non sfuggirebbe la manipolazione del
simbolo che vuole connaturare la sfida verso l’alto. Si tratta, con evidenza, dell’ennesima tappa dell’immaginario urbano in cui proiettiamo politiche e strutture sociali,
dalla Metropolis alienata di Fritz Lang (con i suoi continui richiami alla torre babilonese)
agli edifici oscuri della fantascienza dickiana al giardino, altro spazio simbolico per
eccellenza: non più l’oltraggio babelico ma il giardino pensile di Babele – una delle
antiche sette meraviglie – all’ombra illuminata della ziggurat.
Occorre continuare ad interrogarsi criticamente non sull’essenza stessa del simbolo,
sulla semiotica che presiede a tale misterioso rimando, sempre sospeso fra la relazione convenzionale e l’icona immaginaria. Bisogna piuttosto confrontarsi sulla tecnica
del simbolo e del mito, ossia sull’utilizzo mirato del fantasma; opporre all’evocazione – epifania – di una potenza che si vorrebbe extra-storica una visione liberale pienamente inserita nella storia. È la storia che oppone il simbolismo tradizionalista di
René Guénon o Mircea Eliade, o per certi versi dell’architetto Albert Speer, favorito
di Hitler, o degli urbanisti di Pyongyang, Corea del nord, alla coscienza e alla comprensione umanistica. L’attraversamento dei simboli diviene quindi un attraversamento
dialogico del vuoto, di una traccia successiva alla ferita non da sacralizzare ma da
contrattare insieme: una torre ricollocata nel tessuto delle complessità urbanistiche,
non simulacro totalizzante, replica o manifestazione di potenza. Nell’agosto 1974,
sopra un cavo sospeso a 412 m di altezza fra le Twin Towers di Minoru Yamaski
non ancora inaugurate, posava il suo piede un altro scultore del cielo, Philippe Petit.
Avrebbe eseguito otto volte, ricercando l’equilibrio, il tragitto fra i due grattacieli,
incantando e inquietando Manhattan. Petit è un’eccentrica figura di funambolo
autodidatta e clandestino: in giro per il mondo ha attraversato i vuoti fra le architetture, collezionando fra l’altro innumerevoli arresti. Il suo è uno studio puntuale fatto di
appostamenti e misure, analizza venti, strutture, valuta la tensione dei cavi, costruisce
46
Sotto: Philippe Petit cammina sul filo teso tra le Twin
Towers a New York (1974). 38
plastici. Da ultimo cammina sul filo, confrontandosi con le paure: simbolo teatrale di
un percorso orizzontale – non un’ascesa – capace di iscrivere un segno, per nulla
effimero. I passi di Petit distesi su quello che sarebbe diventato Ground Zero appaiono oggi qualcosa di più di un semplice omaggio. 39
38. Foto di Jean Louis Blodeau e Jean-François Hecklel (Fonte http://www.illusiongenius.com).
39. Riferimenti
La bibliografia sui grattacieli e, più in generale, sul simbolismo architettonico, è naturalmente molto
estesa e si è fra l’altro arricchita con le diverse mostre internazionali. Limitandosi ai soli testi in italiano,
vanno ricordati due rilevanti contributi curati da Antonio Terranova: Grattacieli, Vercelli, White Star,
2003 e Scolpire i cieli. Scritti sui grattacieli moderni e contemporanei, Roma, Officina, 2006. La storia davvero
emblematica dell’Empire State Building, preziosa anche per cogliere le modalità di lavoro proprie del
cantiere-grattacielo, è ricostruita da Carol Willis (a cura di), Empire State Building. 21 mesi per costruire il
grattacielo più alto del mondo, Milano, Electa, 2004. Sulle metafore dell’11 settembre si confrontino
Francesco Dragosei, Lo squalo e il grattacielo. Miti e fantasmi dell’immaginario americano, Bologna, il Mulino,
2002 e il dibattito fra Jean Baudrillard e Edgar Morin in La violenza del globale. La situazione dopo l’11
settembre, Como, Ibis, 2004. L’indagine sui temi del simbolo, almeno da Cassirer in poi, occupa grande
parte della riflessione estetica contemporanea, nonché il dominio dell’iconologia. Più d’infinite rassegne
bibliografiche, limitiamo qui lo sguardo a tre percorsi davvero diversi ma esemplari nel loro approccio:
le letture iniziatiche di René Guénon degli anni ’30 e ’40, culminate nei Simboli della Scienza sacra (più
volte ristampato da Adelphi), la lezione magistrale di Ernst Gombrich (cfr. le pregevoli edizioni della
Phaidon), la ricerca umanistica di Károly Kerényi (si veda Miti e misteri, Torino, Bollati Boringhieri,
2000).
Infine: la citazione da L’interpretazione dei sogni è tratta dalle Opere 1886-1905, Roma, Newton &
Compton, 2002; il racconto di Buzzati appartiene alla raccolta La boutique del mistero (negli Oscar
Mondadori); Philippe Petit racconta i suoi percorsi simbolici in Toccare le nuvole. Fra le Twin Towers, i miei
ricordi di funambolo, Milano, Ponte alle Grazie, 2003.
Il porto e la città
il protocollo d’intesa tra Comune di Savona e Autorità Portuale per lo sviluppo
urbanistico e infrastrutturale del fronte mare
Nel settembre del 2006 è stato firmato dal Sindaco di Savona Federico Berruti e dal Presidente
dell’Autorità Portuale Cristoforo Canavese, il Protocollo d’intesa per lo sviluppo del fronte mare
portuale tra Comune di Savona ed Autorità Portuale. L’accordo, sottoscritto alla presenza dell’Assessore della Regione Liguria Carlo Ruggeri e del Vicepresidente della Provincia di Savona
Lorena Rambaudi, è finalizzato a definire gli indirizzi degli enti firmatari per quanto riguarda il
futuro assetto delle aree sottostanti alla Fortezza del Priamar, della viabilità di accesso al porto, dei
nuovi parcheggi nell’area attorno alla Vecchia Darsena, delle aeree Miramare e del porto turistico
della Margonara. Viene riportato il documento.
PROTOCOLLO DI INTESA
PER LO SVILUPPO DEL FRONTE MARE PORTUALE
TRA COMUNE DI SAVONA ED AUTORITÀ PORTUALE DI SAVONA
Premesso che
a) le attività portuali costituiscono elemento di fondamentale importanza del
sistema economico savonese e volano per lo sviluppo dell’intero comprensorio;
b) il fronte mare urbano presenta valenza essenziale sia per la qualità della vita dei
residenti sia per le prospettive di sviluppo economico nel settore del turismo
e del tempo libero;
c) l’amministrazione comunale di Savona e l’Autorità Portuale intendono proseguire lungo il percorso avviato negli anni passati, condividendo le scelte di
programmazione ad esse spettanti e contemperando le esigenze strettamente
portuali con quelle urbane;
d) in tale contesto il Comune di Savona e l’Autorità Portuale ribadiscono la
necessità di una stretta collaborazione in relazione a tutte le problematiche
connesse con il fronte mare e, comunque, a tutti gli aspetti che presentino
implicazioni che incidano sui reciproci ambiti di competenza;
Sotto: La Vecchia Darsena, disegno a china di Antonio Agostani. 40
48
e) conseguentemente, il Comune di Savona e l’Autorità Portuale ritengono opportuno sottoscrivere un protocollo che rafforzi tale collaborazione, definendone criteri generali ed un primo insieme di elementi specifici;
f) tale protocollo è finalizzato a definire, oltre che criteri metodologici di cooperazione, gli indirizzi per affrontare un primo insieme di questioni, relative a:
-
recupero urbano delle zone a mare antistanti al Priamar;
-
viabilità di accesso al porto e sviluppo della zona della Vecchia Darsena, con particolare attenzione al problema dei parcheggi;
-
-
ottimizzazione dell’assetto delle aree risultanti dalle dismissione delle
funivie a Miramare, con equilibrata attenzione sia al potenziamento del
sistema produttivo sia alla qualità urbana;
avvio degli opportuni approfondimenti sul porto turistico della Margonara;
in relazione ai principi espressi in premessa, Comune ed Autorità Portuale
convengono quanto segue.
40. Antonio Agostani, pittore (Savona, 1897-1977).
49
Articolo 1 - Principi generali
Le parti riconfermano l’adesione alle strategie di sviluppo dei traffici di merci e
passeggeri del porto nonché delle attività industriali ed artigianali ad esso associate (in
particolare della cantieristica), così come sono contenute nel Piano Regolatore Portuale vigente ai sensi di Legge.
Le parti convengono che, ferma restando l’applicazione delle norme di Piano
Regolatore Portuale , per quanto riguarda la compartecipazione ai processi decisionali, si attueranno fasi preliminari di confronto e consultazione informale prima di
affrontare, nelle sedi ufficiali, qualsiasi questione di interesse comune.
Le Parti si impegnano ad assicurare la massima rapidità dei procedimenti amministrativi di propria competenza per dare attuazione a quanto concertato.
Articolo 2- Piazzale a mare del Priamar
Richiamato che il Piano Regolatore Portuale prevede l’utilizzo ad usi urbani del Piazzale a mare del Priamar, le Parti convengono di fissare termini e modalità per l’attuazione di tale indirizzo di Piano.
L’utilizzo urbano di tale piazzale avverrà previa realizzazione di una piastra, per tutta
la sua estensione, ad una quota di circa sei metri sopra l’attuale piano di campagna,
restando disponibile ad esclusivi usi urbani la parte sovrastante le piastra, mentre
rimarrà destinata ad attività portuali la parte sottostante.
Al fine della copertura dei costi di tale piastra da parte dell’Autorità Portuale, la
realizzazione della stessa verrà inserita nella programmazione finanziaria dell’Autorità
Portuale (Piano Operativo triennale) e le sue modalità costruttive saranno concordate tra le Parti, in modo da renderla idonea, in particolare dal punto di vista strutturale,
agli utilizzi previsti dal Comune per la parte sovrastante. L’Autorità Portuale avvierà
il processo tecnico-amministrativo agli inizi del 2007, con la prospettiva di ultimare
la realizzazione dell’intervento in un arco di due - quattro anni; il Comune elaborerà,
nel primo semestre del 2007, una ipotesi di utilizzo, in particolare finalizzata a definire i criteri di realizzazione della piastra di cui sopra, con la finalità di pervenire ad una
progettazione completa nel corso dell’anno. Con la realizzazione di tale piastra sarà
percorribile la passeggiata completa intorno al Priamar, la quale, se possibile (in
particolare in relazione alla normativa di security), verrà anticipata mediante un’opera
di natura provvisoria.
50
Le Parti riconfermano la previsione di Piano Regolatore Portuale relativa alla destinazione a funzione urbana dell’area oggi occupata dalla residua parte di capannone,
che verrà demolita, al momento del completamento della realizzazione delle nuove
aree del bacino Alti Fondali; esse convengono di avviare, nel 2007, una valutazione
specifica su tale questione, in relazione a modalità e tempi, tenendo conto dell’obiettivo dell’amministrazione comunale di anticipare il più possibile tale ulteriore fase, nel
rispetto delle prioritarie esigenze di spazi per le attività commerciali portuali.
Articolo 3 - Viabilità di accesso al porto
Si conviene sull’esigenza che i lavori di realizzazione della nuova viabilità di accesso al
porto assicurino il proseguimento dell’esistente passeggiata di Corso Mazzini fino
alle aree urbane pubbliche del “Crescent”, di cui è già previsto il collegamento con la
Vecchia Darsena. L’Autorità Portuale modificherà, conseguentemente, in tal senso, il
progetto e l’appalto della nuova viabilità.
Le parti convengono sulla necessità di affrontare in modo prioritario i fabbisogni di
parcheggi pubblici nella fase di cantiere della nuova viabilità. A tal fine convengono
che, prima dell’inizio dei lavori nella zona della rotonda di Corso Mazzini, con conseguente interessamento dell’esistente parcheggio di ATA sotto il Priamar, l’Autorità
Portuale renderà disponibile l’arca di “parcheggio provvisorio” prevista nelle aree ex
Italsider dal progetto stradale dell’Autorità Portuale, che resterà disponibile ed accessibile per tutta la residua durata del cantiere stradale.
Sempre al fine di non ridurre i parcheggi disponibili, il Comune conviene di limitare
i lavori dell’appalto in corso sulla Calata all’allargamento del marciapiede, alla posa in
opera del verde ed alla realizzazione dei gradoni e degli scivoli, stralciando gli interventi relativi alla pavimentazione della Calata, limitando di conseguenza l’area di cantiere in modo da mantenere i parcheggi. Tali interventi saranno realizzati successivamente, ad onere dell’Autorità Portuale, sulla base di un progetto concordato tra
Autorità Portuale e Comune, che si integri nel sistema urbano-portuale risultante
dopo i lavori di nuova costruzione attualmente in corso e che potrà essere valutato
come un tutt’uno da piazza Rebagliati alla Torretta.
Articolo 4- Parcheggi in area Darsena
Le parti convengono che i nuovi sviluppi del fronte mare richiedono una disponibilità di parcheggi pubblici nelle zone della Vecchia Darsena, fondamentali per la
In basso: Il porto di Savona, dipinto a olio su tela di
Raffaele Collina. 41
51
valorizzazione delle attività commerciali e turistiche nell’area e per la corretta gestione
urbana della stessa. Le parti si riservano di quantificare il fabbisogno minimo di
parcheggi pubblici nella zona in un quadro di insieme che tenga conto dell’attuazione
degli SUA ivi vigenti e si impegnano a collaborare, nell’ambito delle reciproche competenze, per assicurare il raggiungimento dell’obiettivo da definire in vista della definitiva sistemazione della stessa zona.
Articolo 5 - Area Miramare
Pur dando atto delle esigenze di sviluppo della cantieristica per la nautica da diporto
nella zona ex Funivie a Miramare, come prevista dal Piano Regolatore Portuale, le
Parti convengono sull’esigenza di integrare tale area in un quadro di sviluppo urbano
di qualità; con l’esigenza di rendere tali aree anche disponibili; in parte, per uso urbano, assicurando che gli insediamenti produttivi non presentino impatti architettonici e
41. Raffaele Collina, pittore e ceramista (Faenza, 1899 - Campoligure 1968). Immagine tratta dal libro
di poesie Raffaele Collina, Segni dell’inconscio (1976), Sabatelli Editore - Savona.
52
Sotto: Porto di Savona, acquerello di Guglielmo
Bozzano, 42 (particolare).
paesistici in contrasto con un quadro di sviluppo urbano di qualità.
A tal fine, le Parti si impegnano a sviluppare, in stretta collaborazione, una appropriata progettazione integrata. In particolare, tale progettazione sarà orientata per
uno sfruttamento a due livelli dell’area, riservando la quota mare ad attività di
cantieristica da diporto (da prevedersi secondo indirizzi prevalenti dell’Autorità Portuale) e la quota Aurelia a sviluppo urbano (da prevedersi secondo indirizzi prevalenti del Comune); tale progettazione terrà nel debito conto le esigenze di parcheggi.
Articolo 6 - Porto turistico della Margonara
Comune di Savona e Autorità Portuale riprenderanno il confronto sulla realizzazione
del porto turistico della Margonara, nel rispetto delle osservazioni formulate nel
Decreto di approvazione del Piano Regolatore Portuale (che ha recepito le osservazioni dei Comuni), acquisendo gli elementi per una appropriata valutazione, con
particolare attenzione agli aspetti di carattere economico, occupazionale, urbanistico
ed ambientale.
42. Guglielmo Bozzano, pittore e ceramista (Varazze, 1913 - 1999). Immagine tratta dal catalogo della
mostra Bozzano tra arte e cultura, a cura di Vanna Giorgis e Massimo Trogu, 3-25 luglio 1993, stampato
da Grafiche Giors - Albisola Superiore.
53
Articolo 7 - Ulteriori sviluppi
I contenuti del presente protocollo d’intesa sono parte di una più ampia prospettiva
di valorizzazione e promozione turistica di Savona, per la quale il Comune, in accordo con l’Autorità Portuale, promuoverà un lavoro congiunto con Regione e Provincia. In tale quadro l’Autorità Portuale continuerà ad assicurare la piena collaborazione, anche per lo sfruttamento delle possibili sinergie con l’attività crocieristica.
Il Sindaco di Savona
Il Presidente dell’Autorità Portuale di Savona
43.
44.
45.
46.
47.
De l’architecture sauvage
il giardino di casa Jorn ad Albissola Marina
di Guy Ernest Debord 48
In zona Bruciati, ad Albissola Marina, fra il verde e le villette della recente espansione edilizia, si
nascondono la casa e il giardino “inventati” e “interventati” da Asger Jorn fin dal 1957, quando
cominciò a sgombrare dai rovi una casa decrepita, già breve dimora di Giuliano della Rovere. In poco
più di un un decennio, sulla collina albissolese, l’artista e attivista danese creò un paesaggio anarchico
e al tempo stesso unitario, costituito dalla natura, dall’architettura rurale e dalla sua arte, come a
suggellare l’intimo legame stabilito con la riviera ligure di ponente. Al Comune di Albissola Marina,
che gli aveva conferito la cittadinanza onoraria nel 1960, Jorn lasciò in donazione la casa, il suo
prezioso giardino e tutte le opere d’arte in essi contenute. Nel 1974, a un anno dalla morte
dell’artista, usciva per le edizioni d’arte Fratelli Pozzo di Torino il bel libro fotografico Jorn. Le
giardin d’Albisola, in cui compariva questo caratteristico scritto di Guy Debord. Il testo è stato
riproposto, fra gli altri, in Franco Tiglio (a cura di), Jorn e Albisola. Dalla ceramica alla
scultura, Savona, Sabatelli, 1988 e Asger Jorn, La comunità prodiga. Critica della politica economica e altri scritti, Civitella Val di Chiana (AR), Zona, 2000. Alla traduzione di
Gabriele Mina sono affiancate brevi note esplicative.
DELL’ARCH ITETTURA SELVAGGIA
Si sa che i situazionisti, per cominciare, volevano per lo meno costruire delle città, un
ambiente in accordo con l’illimitato spiegamento delle passioni nuove. Tuttavia non
era cosa facile; cosicché ci siamo trovati costretti a fare molto più. Lungo questo
cammino diversi progetti parziali hanno dovuto essere abbandonati, una larga quantità delle nostre eccellenti capacità non è stata impiegata, come capita, quanto più
fortemente e tristemente, per centinaia di milioni di nostri contemporanei.
Ora Asger Jorn, su una collina della costa ligure, ha modificato un poco certe vecchie
case, costruendo un giardino che le raccoglie insieme. Quale pacifico commento
parrebbe il più adatto? Siamo diventati famosi, ci dicono. Ma l’epoca che non ha
ancora la consapevolezza di tutte le proprie capacità, è altrettanto lontana dal riconoscere tutte le nostre. Asger Jorn ha fatto tanto un po’ ovunque, tanto che la più parte
non sa che è stato un situazionista più di chiunque altro, lui, l’eretico permanente di un
movimento che non può ammettere ortodossia. Nessuno ha contribuito quanto
48. Guy Ernest Debord (1931 - 1994), scrittore, regista e filosofo, francese. All’età di diciotto anni
scopre il surrealismo e le avanguardie artistiche e letterarie e si unisce al gruppo di Isidore Isou. Nel 1952
Debord dà vita all’Internazionale Lettrista e 1957 partecipa alla fondazione dell’Internazionale Situazionista,
che unisce una serie di movimenti artistici europei in una critica radicale della società capitalistica e
dell’industria culturale. Gli strumenti che individua per superare l’arte borghese sono quelli della
psicogeografia, dell’urbanismo unitario e del détournement. Nel 1967 scrive il suo saggio più celebre, La società
dello spettacolo, che denuncia profeticamente il processo di trasformazione dei lavoratori in consumatori
operato dal capitale. Muore suicida.
In basso: Vizio geologico dipinto a olio su tela di
Ansger Jorn (1969). 49
55
Jorn all’origine di questa avventura: trovava persone attraverso l’Europa, tante idee e
spesso, pure nella più allegra miseria, quanto occorresse per ammortizzare i debiti
schiaccianti che accumuliamo nelle tipografie. I quindici anni che sono passati dall’incontro di Cosio d’Arroscia hanno iniziato a cambiare alquanto il mondo ma non le
nostre intenzioni. 50
49. Fonte http://www.notbored.org.
50. Nell’estate del 1957, nel retro di un bar nel paesino dell’imperiese, si celebra la nascita dell’Internazionale Situazionista: si uniscono il MIBI - Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista - di Jorn
e Pinot Gallizio, l’Internazionale Lettrista di Debord più l’Associazione Psicogeografica di Londra, inventata
sul momento. Per lungo tempo Jorn, attraverso la vendita delle sue opere, finanziò generosamente le
varie chiese situazioniste: Debord gliene fu sempre grato. Per una panoramica: Mirella Bandini, L’estetico,
il politico. Da Cobra all’Internazionale situazionista 1948-1957, Milano, Costa & Nolan, 1999; Stewart
Home, Assalto alla cultura. Correnti utopistiche dal Lettrismo a ClassWar, Bertiolo (UD), AAA Edizioni,
1996; Internazionale Situazionista 1958-1969, Torino, Nautilus, 1994.
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Sotto: due scorci del giardino di casa Jorn ad Albissola
Marina. 51
Jorn appartiene a quel tipo di persone che il successo non cambia, ma che continuamente cambiano il successo in sfide ulteriori. Contrariamente a tutti coloro che fondavano un tempo la loro carriera sulla ripetizione di una sola stremata trovata artistica, contrariamente a tutti coloro che, più recentemente, hanno preteso di fondare la
loro generale qualità d’immaginazione sulla sola dichiarazione di un rivoluzionarismo
totale e totalmente inutilizzato, Asger Jorn non si è mai privato dell’opportunità di
intervenire, anche nella misura più modesta, su tutti i terreni che gli erano accessibili.
In passato è stato uno dei primi ad intraprendere una moderna critica dell’ultima
forma d’architettura repressiva, quella che oggi si espande a macchia di nafta “nelle
gelide acque del calcolo egoistico”, 52 e di cui tutti i minimi particolari possono ovunque essere giudicati sul campo.
Ed in questa abitazione italiana, una volta ancora mettendo le mani in pasta, Jorn
mostra come, anche su questo nodo concreto della nostra appropriazione dello
spazio, ciascuno potrà iniziare a ricostruire intorno a sé la Terra, che ne ha di sicuro
bisogno. Cose dipinte e cose scolpite, le scale mai uguali fra i dislivelli del suolo, gli
alberi, gli elementi aggiunti, una cisterna, della vite, i più diversi tipi di cocci sempre
benvenuti, tutti gettati lì in un perfetto disordine, compongono uno dei paesaggi più
complicati che si possano percorrere in una frazione d’ettaro e, al fine, uno dei
meglio unificati. Ogni cosa vi trova senza fatica la sua collocazione.
Per chi non dimentica le relazioni conflittuali ed appassionate, e per forza di cose
rimaste assai distanti, tra i situazionisti e l’architettura, ciò deve apparire come una
specie di Pompei rovesciata: i rilievi di una città che non è mai stata costruita. Tant’è
51. Fotografie tratte dal libro Jorn. Le giardin d’Albisola, Ed. Fratelli Pozzo, Torino (1974)
52. Si tratta di una citazione dal Manifesto di Marx ed Engels.
57
che la collaborazione di Umberto Gambetta 53 in tutti gli aspetti del lavoro vi apporta a dir poco il minimo necessario, se non nel gioco collettivo di cui Jorn ha esposto
le prospettive per il superamento della distinzione fra cultura e vita quotidiana.
Il Postino Cheval, più come artista, aveva costruito tutto da solo un’architettura
monumentale; mentre il re della Baviera ebbe mezzi più ampi. 54 Jorn ha abbozzato,
fra le altre cose e en passant, questa sorta di villaggio malauguratamente limitato alla
superficie di una così piccola “proprietà privata”; cosa che dimostra quanto si possa
iniziare a fare, come diceva un altro di quelli che posero le basi del movimento
situazionista, Ivan Chtcheglov, 55 «con un po’ di tempo, fortuna, salute, denaro, riflessione, (ed anche) buon umore... ».
In ogni caso il buon umore non è mai mancato nello scandalo situazionista, pur al
centro di tante rotture e violenze, rivendicazioni incredibili e strategie imparabili. Le
persone che amano interrogarsi invano su ciò che la storia avrebbe potuto non
essere – del tipo: «per l’umanità sarebbe stato meglio che questa gente non fosse mai
esistita» – si porranno per diverso tempo una divertente questione: non si sarebbe
potuto acquietare i situazionisti, verso il 1960, attraverso qualche riformismo
lucidamente ricuperatore, dando loro due o tre città da costruire, invece di costringerli al limite, spingendoli a lanciare nel mondo la più pericolosa sovversione mai
vista? Ma certo altri risponderanno che le conseguenze sarebbero state le stesse e che
cedendo un poco ai situazionisti, i quali già non intendevano accontentarsi di quel
poco, non si sarebbe fatto altro che aumentare le loro pretese ed esigenze; si sarebbe
arrivati più velocemente al medesimo risultato.
Settembre 1972
53. L’inseparabile amico ed aiutante negli anni di Albisola.
54. Debord si riferisce ai castelli barocchi e arabeggianti voluti a fine ottocento da Ludwig di Baviera
e a Joseph Ferdinand Cheval. Postino di campagna e costruttore visionario, Cheval attese per più di
trent’anni alla mostruosa costruzione del suo Palais Idéal. In un paesino vicino a Lione diede vita ad
un’architettura spontanea monumentale, amalgamando pietre, oggetti ed iconografie: morto nel 1912,
verrà riscoperto da Dubuffet e i surrealisti. Cfr. Gustau Gili Galletti, Case paradiso. La costruzione
dell’universo domestico ideale, Barcelona, Gili, 1999.
55. Ivan Chtcheglov (1933-1998) è l’ennesima meteora che attraversa la saga del situazionismo francese. Sul primo numero dell’Internationale Situationniste del 1958 compariva un breve Formulario per un
nuovo urbanismo firmato da Gilles Ivain: dietro lo pseudonimo vi era l’eccentrica figura di Chtcheglov,
nato in Francia da profughi ucraini, e un suo scritto di cinque anni prima, dove gettava le basi delle
pratiche della deriva psicogeografica e dell’esplorazione comportamentale dello spazio. Il suo compagno
lettrista Debord, prima e dopo averne decretato la sua consueta espulsione, avrebbe fondato sulle sue
suggestioni le teorie – del resto irrisolte e inapplicate – della geografia urbana situazionista. Dopo aver
progettato lo sbullonamento futurista della Tour Eiffel e dopo un arresto, la parabola di Chtcheglov si
spegne tristemente negli ospedali psichiatrici: continuerà ad influenzare in modo sotterraneo stravaganze e riflessioni sulle strutture spaziali, ad esempio i Mille piani di Deleuze e Guattari. I suoi scritti e la sua
biografia romantica meriterebbero un’attenzione editoriale anche in Italia.
Marketing territoriale
non importa quanto buono sia il tuo prodotto: sei solo a diciotto mesi dal fallimento
di Michele Sechi 56
L’affermazione «non importa quanto buono sia il tuo prodotto: sei solo a diciotto mesi dal
fallimento» è di Nathan Myhrvold, già vice presidente di una delle aziende più grandi,
ricche ed influenti del Pianeta – Microsoft, e ci introduce alla riflessione sul ruolo
assunto dal marketing in seno alle aziende di qualunque dimensione e settore, costrette a rincorrere una frenesia per il consumo e una volubilità dei consumatori mai
registrata in passato. L’apertura di molti mercati, l’effetto deflagrante provocato
dall’impennata tecnologica e da internet hanno modificato radicalmente l’approccio
all’acquisto e alla comunicazione e hanno costretto gli uomini marketing di tutto il
mondo a fare i conti con la concorrenza e la sovrapproduzione. Il ciclo di vita di un
prodotto si è ridotto a livelli che hanno dell’incredibile: i centri Ricerca e Sviluppo
delle aziende devono accorciare radicalmente i loro tempi. Un’automobile può essere pensata, progettata, costruita in serie e commercializzata in meno di due anni. Si
teorizza che tra un decennio andremo a scegliere dal concessionario la nostra auto
che in tre giorni verrà personalizzata, assemblata e consegnata.
Abbiamo a disposizione qualunque prodotto. Di qualunque marca. Possiamo comprare, comprare comprare. Fino a qualche tempo fa dipendeva soltanto da quanto
avevamo da spendere. Oggi, con il Credito al Consumo non importa più. Ci possiamo indebitare.
Ma se ogni prodotto ha i suoi concorrenti agguerriti, se la tecnologia va così veloce,
se tutto invecchia così rapidamente, come fanno gli uomini marketing a “indurci” ad
acquistare oggetti che non sono certo indispensabili, o addirittura cibi che fanno
tutt’altro che bene…?
Alla fine degli anni quaranta negli Stati Uniti, un signore di origine scozzese – David
MacKenzie Ogilvy, iniziò a codificare la comunicazione di Marca (o, all’inglese, Brand)
e la conseguente “creazione” della sua “personalità”. Fino ad allora i prodotti erano
stati solo dei prodotti.
Dagli anni novanta la diffusione delle tecnologie e la nascita della rete hanno ridato
smalto alla comunicazione One to One: quello che anticamente era il “porta a porta”,
e più recentemente il Direct Marketing, è improvvisamente rinato digitale.
In questi anni, dal Business to Consumer (B to C – dall’azienda/ente/prodotto al consumatore) e dal Business to Business (B to B – dall’azienda/ente/prodotto ad altre aziende), la
Comunicazione ha imparato, soprattutto grazie alla rete, il Consumer to Consumer
(C to C – dal consumatore ad altri consumatori). Prendete il vostro prodotto e lavorate in
56. Michele Sechi, pubblicitario nato ad Albissola Marina, diplomato al liceo Artistico A. Martini di
Savona - è stato nel gruppo di comunicazione Ogilvy dove ha lavorato come Direttore Creativo per
Bulgari, Ibm, Ferrero, Silversea Cruising. Attualmente ricopre l’incarico di Direttore Creativo Italia in Arc,
agenzia di Comunicazione Integrata del gruppo Leo Burnett con sedi a Milano, Torino e Roma.
(michele.sechi@ arcww.leoburnett.it)
59
modo che siano i clienti più affezionati a raccontarlo ad altri. I signori che avete
scelto diventano, senza saperlo, i migliori Avocates della vostra marca. Promotori
gratuiti dei vostri interessi.
Se avete la sensazione di essere tornati al vecchio “porta a porta” è comprensibile.
Ma ci sono due sostanziali differenze: prima di tutto la rapidità dell’informazione e la
quantità dei canali a disposizione moltiplicano all’ennesima potenza il vostro “door
to door”. Eppoi ogni volta che un vostro potenziale cliente diventa un vostro consumatore, i vostri uomini marketing vi imporranno di seguirlo, di conoscerlo più a
fondo, di capire i suoi gusti e soprattutto le sue passioni. Così da fargli scalare più o
meno rapidamente la piramide della fedeltà. Attraverso gli anelli di feedback
informatico e i codici a barre lo potrete controllare, fino alle sue emozioni. E potrete
raggruppare un certo numero di questi vostri consumatori, simili tra loro per interessi o passioni, per poter mirare meglio il vostro messaggio: basterà, per entrare
nella loro sfera emotiva, dimostrarsi affini: fidelizzarli.
Fidelizzazione è infatti la parola chiave e significa “avere il controllo del consumatore”.
Oggi si utilizzano discipline nuove e sconosciute ai più, come il Marketing Virale, il
Guerriglia Marketing, eccetera. Tecniche che mirano a coinvolgere i potenziali consumatori senza che essi necessariamente abbiano la consapevolezza di essere nel mirino della Marca e della sua “pubblicità”. Eventi o input che non sono direttamente
relati alle Brand ma alle emozioni e ai valori che le Brand stesse contengono nel loro
DNA. Oggi la costruzione delle marche comincia con l’identificazione dei valori,
prosegue con la creazione dell’esperienza – due elementi fondanti della fidelizzazione
– e si compie grazie alle immense possibilità tecnologiche di accumulare dati sul
consumatore che permettano la taratura dei messaggi a lui diretti.
Se la ‘creazione dell’esperienza’ è fondamentale nella relazione tra la Brand e i consumatori viene da pensare che nel mercato del turismo ciò sia più semplice, e da un
certo punto di vista è naturale che sia così: per i clienti di un tour operator, di un hotel
di lusso, di una compagnia di crociere si tratterà di offrire pacchetti e comunicarli nel
modo più affascinante possibile: l’esperienza in questi casi coincide con la prova del
“prodotto”. Diverso è promuovere una regione o una città, enti complessi che non
vivono di una proposta univoca e quindi devono crearsi una personalità credibile. In
questo caso sperate che vi tocchi lavorare per la comunicazione di Venezia, Firenze,
o magari Sotto il Monte (per aumentare le visite dei pellegrini al luogo di nascita di
papa Giovanni XXIII). Luoghi che hanno una o più proposte da offrire al proprio
pubblico.
Io sono nato in provincia di Savona e sono cresciuto in una zona che ha nel turismo
la sua più grande risorsa. Ma non ho memoria di una proposta efficace per valorizzare (in senso letterale) la città e quindi poterla comunicare per qualche specifico
motivo.
Savona come una Brand? Anche se storicamente è l’unico centro ad aver dato i natali
a ben due pontefici, non sono certo che questo possa aiutare il turismo come lo
intendiamo oggi. Quindi se per le città d’arte la questione è come gestire un patrimonio di valori che, seppure legato principalmente al passato, riscuote ancora fascino
presso turisti italiani e stranieri, per altri luoghi meno fortunati – vedi Savona – la
priorità è quella di scegliere un Progetto, creare dei Valori e comporre una personalità
di marca che sia forte e precisa. Tanto da poterla comunicare.
Il fermento che si è creato intorno al futuro del portualità savonese e all’utilizzo delle
60
Sotto: Screenshot di Clint Eastwood in Il buono, il
brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leone. 57
aree demaniali ha generato qualche confusione: senza entrare nel merito dei piani già
realizzati o di quelli da realizzare per esempio, non è realistico sostenere che “l’Idea di
Marca” che potrà far riconoscere la città per qualche merito possa essere di semplice
natura architettonica. Per quanto famosi, innovativi o geniali siano gli architetti, gli
edifici in sé non costituiscono un valore in termini di comunicazione a meno che non
siano legati ad attività o iniziative di tipo continuativo capaci di attrarre un pubblico
sempre nuovo. Capaci insomma di creare quel Valore che riempie di significato l’esistenza di una Brand. In questo modo difficilmente si riuscirà a costruire sulla brand
Savona un sufficiente appeal, poiché l’esperienza di andare a visitare un palazzo di
qualunque tipo esso sia, non vale probabilmente neanche lo spazio di un fine settimana. I turisti che salgono in cima all’Empire State Building sono solitamente neo visitatori di New York che fanno del grattacielo uno dei momenti di una visita indimenticabile che è fatta di innumerevoli altre tappe, di interessi magari di lavoro, di curiosità storiche o contemporanee o di passioni personali. L’esperienza è quindi un puzzle
formato da numerosi tasselli. L’esempio di New York è radicale, ma lo stesso vale
per moltissimi luoghi, anche meno famosi, che fanno del turismo uno dei principali
capitoli di bilancio. A meno che a Savona non si scelga la via dell’avanguardia o della
sperimentazione architettonica. Allora i progetti non si dovranno fermare qui: occorrerà investire e costruire, contattare architetti di grido, creare aree ad hoc perché
essi possano esprimere il loro estro senza limitazioni dando lustro e personalità alla
città; con costi molto alti e buona pace di chi già si lamenta del troppo cemento. La
costruzione di una Brand non è una operazione ‘una tantum’: è necessaria una promessa di tipo continuativo, la creazione di un’esperienza e di una relazione dinamica
con il turista che vuole capire quale interesse c’è nel venire a Savona, altrimenti non è
chiaro il perché debba esserne attratto.
Qualche anno fa, la cittadina di Carmel, California, divenne meta di turisti per il solo
fatto di avere come sindaco Clint Eastwood. Il tutto durò finché durò la novità. E
comunque finché non ci furono le successive elezioni.
E per parafrasare Nathan Myhrvold se costruendo un grattacielo pensiamo di costruire una Brand, non importa quanto bello sia il grattacielo: «saremo a soli diciotto
mesi dal fallimento».
57. Fonte http://it.wikipedia.org
Fronte mare d’antan
il tratto di costa tra Albissola Marina e Savona nelle cartoline storiche
a cura della redazione 58
58. Un particolare ringraziamento al collezionista che ha messo a disposizione le cartoline.
Nella pagina precedente, dall’alto:
In questa pagina, dall’alto:
Albissola Marina dal monte (1922), veduta della
spiaggia e del nucleo storico prima della realizzazione
della strada litoranea;
Via Aurelia (1935), la nuova strada nel tratto tra
Miramare e la Galleria Valloria, prima della realizzazione dei riempimenti per i cantieri navali;
La Madonnetta (1925), lo scoglio e la retrostante
falesia senza la Via Aurelia.
Bagni Miramare (1908), l’insenatura prima della costruzione dell’impianto funiviario.
Postcard
tintinnabula in bronzo di epoca romana provenienti dagli scavi di Ercolano
59
59. Incisione tratta da Le antichità di Ercolano esposte - Catalogo, compilato dall’Accademia ercolanese e
stampato a Napoli tra il 1755 e il 1792 dalla Regia Stamperia. La copia originale utilizzata per la
riproduzione è di proprietà della Gallery Nukaga di Tokyo.
Luca Urbinati
SEGUE DALL’OTTAVA PAGINA
è il piano della città, nato dalla concertazione,
dal confronto, dal contributo di numerosi soggetti attivi, dalla condivisione che si è saputo
maturare. È, in breve, il punto di convergenza
più avanzato possibile di una prospettiva di crescita. È una costruzione sociale.
Questo è un primo significato del piano strategico. Forse il più importante. Perché il piano non
è solo un “contenitore di progetti”, ma è innanzitutto il luogo nel quale si costruisce e si “distilla” la fiducia reciproca fra la dimensione politica e istituzionale e la dimensione civile. La fiducia è il valore fondamentale dal quale può nascere il confronto pubblico su visioni e su interessi
differenti ed anche, qualche volta, conflittuali; è
il presupposto sul quale è possibile costruire o
innestare la disponibilità a collaborare. La fiducia è, potremmo dire, un “uso civico”: è quella
proprietà collettiva immateriale che rappresenta
una parte essenziale di ciò che viene normalmente definito “capitale sociale”, un valore fatto di
saperi distribuiti, di conoscenze implicite, di intelligenza diffusa. (...)
Il piano strategico nasce anche come sfida al ruolo
dell’Amministrazione municipale. Perché interpella il Comune come promotore e come garante
del processo di pianificazione. Ed anche perché
– di fronte ad una perentoria e non eludibile
domanda di governo delle trasformazioni urbane (cioè di fronte ad una domanda di strategia e
di concretezza) –la Municipalità non può limitarsi a dare risposte esclusivamente formali e
ipotetiche: risposte che non sanno o non possono
incidere sulle dinamiche reali. Con il piano strategico, il Comune non si limita alla “manutenzione ordinaria” del presente e al solo esercizio
delle proprie competenze amministrative, ma si
propone e si accredita a pieno titolo come agenzia di sviluppo locale, come governo locale. (...) »
Richiamando le arti proposte da Giordano Bruno nel suo De umbris idearum, mi
permetto infine di suggerire le seguenti
azioni: RICERCARE con onestà intellettua-
le degli obiettivi di sviluppo per la città;
TROVARE i mezzi adeguati per il confronto dei diversi scenari di riferimento; GIUDICARE in modo avveduto le idee progettuali avendo cura di separare quelle giuste da quelle sbagliate in funzione dell’interesse collettivo; ORDINARE in forma
di disegno unitario e partecipato le trasformazioni territoriali da mettere in atto;
APPLICARE con metodo scientifico le
risultanze del processo appena esposto,
affinando la pianificazione in corso e correggendo gli errori di valutazione commessi nel passato. Sono queste le iniziative che possono portare a una strategia
per lo sviluppo della città e del territorio
fondata su obiettivi giusti e condivisi, e
quindi alla radicale inversione di tendenza nell’urbanistica savonese.
L’alternativa è lo spettacolo, nel senso più
volgare del termine.
In copertina:
Albisola Capo, i Bagni Torino d’inverno (1982).
LUCA URBINATI ING EG NERE
Studio tecnico di progettazione
Via Cesare Battisti,4-17100Savona
Telefono e fax:+39019854306
E-mail
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urbinati@f
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