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RIVISTA STORICA del SOCIALISMO Nuova serie, anno I, numero 2 - 2016 Sommario Saggi 7 Norberto Bobbio e il socialismo liberale di Paolo Bagnoli 19 Cesare Battisti tra socialismo e patriottismo di Stefano Bruno Galli 47 Meridionali e socialisti nell’Italia liberale. Ernesto Cesare Longobardi e le lotte del socialismo prefascista di Marco Trotta 67 Le origini dell’anarchismo in Cina e i rapporti con il movimento libertario internazionale (1901-1911) di Marco Novarino 99 Partido Socialista Obrero Español e Unión General de Trabajadores durante la dittatura di Primo de Rivera di Andrea Marchisio 117 Né cassandre né killer. Gilles Martinet e il socialismo italiano (1945-1981) di Roberto Colozza 141 Archivi e documenti L’archivio di Antonio Giolitti. Percorsi e documenti del socialismo italiano ed europeo tra XX e XXI secolo a cura di Gianluca Scroccu e Simona Luciani 169 Noterelle e discussioni 179 Schede e segnalazioni 237 241 Campo di Marte I silenzi della memoria Saggi 7 Norberto Bobbio e il socialismo liberale Paolo Bagnoli* Abstract: Norberto Bobbio (1909-2004) is considered, at the same time, the main Italian law theorist and political philosopher. The essay traces the development of his ideas about socialism and its relationship with Marxism, liberalism and democracy, in a debate where he was the protagonist since the early seventies for nearly two decades. He developed this debate in opposition to the comunist Marxism trying to point out the relationship between democracy and rights to freedom within a socialist project. The core of his thought is what he argues about the liberal socialism of Carlo Rosselli (18991937), about whom he investigates historical, doctrinal and political purposes. Parole chiave: socialismo, marxismo, liberalismo, democrazia. Il problema del socialismo, di cosa per esso si debba intendere e quale sia il suo vero fondamento, nonché di come si debba intendere la sua realizzazione, può considerarsi centrale della riflessione di Norberto Bobbio. E benché, quale intellettuale militante e studioso rigoroso, Bobbio non deroghi mai dalla ragione interrogante e chiarificatrice, nel caso del socialismo passione e ragione vengono a coniugarsi in un perfetto mix, nel quale l’uomo civile e il professore costituiscono un insieme, alla stregua di due diverse facce della stessa medaglia. Di ciò crediamo si debba tenere buona considerazione. La questione del socialismo, infatti, lo riguarda politicamente in prima persona, ma questa non può scindersi dall’altra faccia di se stesso, dallo studioso animato da interrogativi culturali e dubbi scientifici; quasi un canone della propria moralità che non può quasi sfuggire a tale cosciente lacerazione. Nel caso del socialismo tutto ciò è quanto mai evidente. Nel convincimento di fondo Bobbio è un “socialista”; ma tale dimensione è tanto politicamente salda quanto ideologicamente inquieta, soprattutto perché, nel corso degli anni, da filosofo non smette mai di interrogare il comunismo, il marxismo, quasi si trattasse di un pianeta che certo sente di non poter abitare, ma non per questo da considerarsi fuori dell’orizzonte di una più grande questione socialista. Il socialismo liberale è un pensiero dottrinario che egli affronta specificamente analizzando il saggio di Carlo Rosselli del 1929, senza, tuttavia, almeno così Paolo Bagnoli è professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso l’Università di Siena. * 8 Norberto Bobbio e il socialismo liberale sembra, spingersi da socialista a ritenere che il “socialismo liberale” sia la composizione definita della “sua” ragione socialista. Il “suo” socialismo assume le forme di un orizzonte più complesso, poiché emerge un profilo intellettuale che trasferisce gli interrogativi del pensatore al lettore secondo uno schema razionale. Per rimanere ai dati di cui disponiamo, l’inizio del percorso risale agli anni della lotta antifascista. In uno scritto autobiografico dell’inizio anni Novanta Bobbio, riandando alla sua militanza azionista, cita il passo di un articolo, Noi e i comunisti, pubblicato su l’“Italia Libera” il 5 dicembre 1943: «Sono sicuri i comunisti, quando avranno ucciso provvisoriamente la libertà, di poterla far rivivere con un atto unilaterale di volontà? Noi non crediamo a un socialismo che non sia al tempo stesso libertà».1 Il passo dell’articolo convince Bobbio, tanto da ritenere, con un giudizio non del tutto rispondente alla realtà, il PdA «rappresentante del socialismo liberale».2 Non è questo il luogo per spiegare cosa in effetti sia stato il Partito d’Azione, ma tali richiami, volutamente messi in rilievo, ci dicono come per Bobbio il fondamento del socialismo liberale non possa che essere la libertà. Il problema continua, tuttavia, a interrogare Bobbio, il quale, all’inizio degli anni Settanta, con una serie di articoli su “Mondoperaio” apre – come dice lui stesso – «la discussione», prolungatasi fino al 1976, quando raccoglie i suoi scritti in un volumetto einaudiano con un titolo che più bobbiano di così non si potrebbe: Quale socialismo?3 Si tratta di una discussione a sinistra che coinvolge l’interlocutorietà della intellighentsia comunista e che egli svolge argomentando su tre linee di fondo: N. Bobbio, Autobiografia intellettuale, “Nuova Antologia”, CXXVII (1992), vol. 568, pp. 5365; ora in, Etica e politica. Scritti di impegno civile, Progetto editoriale e saggio introduttivo di M. Revelli, Milano, Mondadori, 2009, p. 11. L’autore dell’articolo – non firmato – è Tristano Codignola ed è pubblicato su “La Libertà – Periodico toscano del Partito d’Azione – Italia Libera”, n. 3, 5 dicembre 1943; ora in, Scritti politici (1943-1981), a cura di N. Tranfaglia e T. Borgogni, Introduzione di N. Tranfaglia, 2 voll., La Nuova Italia, Firenze, 1987, pp. 4-7, e in La Libertà – Periodico toscano del Partito d’Azione 1943-1944, a cura di M. Rossi, Il Ponte Editore, Firenze, 2015, pp. 72-75. Tristano Codignola, leader dell’azionismo fiorentino e toscano, esponente di primissimo piano della Resistenza a Firenze, protagonista al Congresso di Roma del 1946 del confronto con Ugo La Malfa, il quale, sconfitto nella battaglia congresso dall’ala socialista, guidata appunto da Codignola, capeggiò la scissione della componente liberaldemocratica del Partito insieme a Ferruccio Parri. Sulla sua figura cfr., P. Bagnoli, Il socialismo di Tristano Codignola. Con interventi, documenti, lettere, Biblion, Milano, 2009. Va osservato che, pur rimanendo intatto il senso, la citazione non è esatta alla lettera e viene condensato in un solo periodo quanto invece lo è in due seguenti. 2 N. Bobbio, Etica e politica, cit., p. 11. 3 Einaudi, Torino, 1976. 1 Paolo Bagnoli 9 se si possa sostenere che esista una concezione marxista dello Stato, se si possa sostenere che esistono delle alternative alla democrazia e su come si debba intendere la relazione tra Stato e democrazia. Un tema, quest’ultimo, da lui affrontato nell’ambito di una iniziativa di riflessione concernente tesi riguardanti un progetto socialista promosso nell’ambito del PSI. L’insieme della discussione – e non vuole essere una considerazione sminuente – appare viziato da un equivoco di partenza che, sostanzialmente, contraddice l’adesione di Bobbio a quanto scritto nell’articolo nell’“Italia Libera” del 1943. Se, infatti, il nesso socialismo-libertà viene assunto come cifra non trattabile per tarare le ragioni del socialismo medesimo per cui non si può parlare di socialismo se manca la libertà, appare singolare aprire una discussione di cultura politica coi comunisti, i quali rimangono legati all’esperienza sovietica; il “socialismo realizzato”, infatti, è una contraddizione in termini, poiché il comunismo, ove si afferma, soffoca la libertà e, di conseguenza, usurpa il diritto a definirsi come una forma di socialismo. L’attenzione di Bobbio verso i comunisti italiani, anche in virtù di quanto hanno dato nella Resistenza per il riscatto della libertà e la costruzione della democrazia, è costante. Essa ha un significato politico rilevante al fine di avviare nel comunismo italiano quella revisione ideale che dovrebbe permettere la ricomposizione della sinistra italiana tramite un nuovo rapporto con il PSI. Si tratta di un’esigenza democraticamente tanto più necessaria poiché, avendo la storia fornito le sue controrepliche sia al PCI sia al PSI, occorre prendere atto dell’inizio di un’involuzione della politica democratica italiana che, di lì a poco, si manifesterà in maniera aspra e tragica e la cui lunga scia condurrà al crollo dell’impalcatura originaria della Repubblica. L’intenzione tutta politica che sottende l’intero tragitto della discussione rimane, però, sottotraccia mentre emerge con tonalità assai forti la cifra filosofica. Questa non naviga al di sopra della storia, ma sconta il necessario approdo dottrinario e, quindi, non incontra né si confronta con la politica realizzata. Per quanto concerne l’andamento filosofico-politico della discussione, alla fine, essa torna su un tema vecchio quanto il movimento operaio, quello tra “democrazia” e “socialismo”. Il “socialismo liberale” lo risolve chiaramente proprio perché saldamente motivato dalla democrazia; ma interrogativo si aggiunge a interrogativo, e la tematica filosofico-giuridica finisce su cosa oggettivamente si debba intendere per “democrazia” e sul ruolo della istituzioni nei confronti dei mutamenti sociali. Bobbio è spinto da un interesse: constatare quanto, anche per i comunisti, sia la democrazia la via per il socialismo. I temi che rimbalzano nel suo ragionamento sono tanti, ma tutti rimangono dentro un ben recintato campo filosofico, che egli padroneggia con certezza e ficcanti dubbi, ma si coglie anche una specie di ansia nel cercare di non perdere il possibile approdo di un assillo che lo ha accompagnato in tutto il lungo cammino del suo lavoro di studioso; vale a dire, enucleare una teoria 10 Norberto Bobbio e il socialismo liberale strutturale della politica,4 poiché per lui esiste una precisa «responsabilità della teoria».5 Nella discussione che, lo ripetiamo, ruota sul rapporto tra “democrazia” e “socialismo”, il socialismo liberale è il grande assente. Ciò appare un po’ singolare solo si pensi a quanto si parla di Marx nel saggio di Carlo Rosselli, ma anche – ed è altrettanto singolare – che non vi sia riferimento alcuno alle vicende coeve alla discussione: ci riferiamo all’esperienza di Salvador Allende, che aveva tentato, appunto, di realizzare il socialismo nella democrazia e con gli strumenti della democrazia, anche se l’esperimento cileno non è rapportabile alla categoria del socialismo liberale. Riteniamo che l’aver trascurato simili riferimenti abbia sguarnito il profilo storico-politico del dibattito tanto che, in chiusura, l’interrogativo che poteva essere sciolto rimane insoluto e Bobbio, con non malcelata amarezza, scrive: «Ma, una volta chiarito il termine del binomio, bisogna riconoscere che non è altrettanto chiaro il secondo. Siamo proprio sicuri d’intendere ‘socialismo’ tutti quanti allo stesso modo?».6 Così, senza dubitare del versante politico in cui Bobbio si trova saldamente, l’interrogativo continua a campeggiare nella sua problematicità e la discussione, alla fine, non innesta i meccanismi politici desiderati per la granitica inamovibilità dei comunisti nel non muoversi verso il socialismo; rimane un alto esercizio di cultura ben poco producente sul piano delle opzioni di fondo della democrazia italiana che, alla lunga, come possiamo ben dire oggi, hanno prodotto uno scenario nel quale non vi sono più né il socialismo né la sinistra politica. Il 1979 è l’anno nel quale inizia la riflessione di merito di Bobbio sul socialismo liberale in occasione di una nuova edizione einaudiana del libro di Rosselli con una lunga sua introduzione.7 Il saggio costituisce l’unico testo specifico che egli dedica al tema del socialismo liberale. Il punto di partenza del suo ragionamento riguarda l’analisi che Rosselli fa del pensiero di Marx, quale «una vera e propria concezione del mondo»8 come «sistema complessivo unitario coerente e conseguente di pensiero […] dominato dalla categoria della necessità, non da quella della possibilità. Il liberalismo è invece, per Rosselli, principalmente un metodo e non un sistema».9 Da qui Bobbio inanella criticamente lo svolgimento del pensiero rosselliano, il quale, proprio perché presupposto su base volontaristica e non scientifica, ha Cfr. N. Bobbio, Teoria generale della politica, a cura di M. Bovero, Torino, Einaudi, 1999. Cfr. N. Bobbio, Quale socialismo?, cit., pp. 90-91. 6 Ivi, p. 105. 7 Il volume è a cura di John Rosselli, figlio di Carlo. 8 N. Bobbio, Introduzione a C. Rosselli, Socialismo liberale, a cura di J. Rosselli, Einaudi, Torino, 1979, p. VII. 9 Ivi, p. VIII. 4 5 Paolo Bagnoli 11 similarità con una «fede»10 e, di conseguenza, non è il prodotto di un destino, ma dell’azione dell’uomo. La descrizione che fa del pensiero di Rosselli tocca tutti i suoi motivi caratterizzanti: la critica al riformismo e al revisionismo, quella con le posizioni di Rodolfo Mondolfo, il rapporto Gobetti-Rosselli e, quindi, le relazioni tra la “rivoluzione liberale” e il “socialismo liberale”, rilevando come nel saggio rosselliano «il rapporto tra liberalismo e socialismo è più complesso, e forse per questo non del tutto esente da ambiguità, ma non così semplice come ritenne il Croce nella sua critica severa e ingiusta».11 Bobbio, inoltre, coglie un altro punto del pensiero rosselliano su cui la storiografia non ha posto l’attenzione che, a nostro avviso, merita a tutt’oggi; vale a dire che «il socialismo liberale non coincide in tutto e per tutto con la socialdemocrazia, anche se Rosselli non nasconde la sua simpatia per i partiti socialdemocratici, in modo particolare per i laburisti inglesi».12 E specifica: «A precludere questa identificazione interviene il modo con cui giudica il rapporto tra liberalismo e socialismo dal punto di vista storico. In genere i socialdemocratici, considerandosi prima socialisti che non democratici, ritengono di essere l’antitesi della tradizione liberale».13 Bobbio spiega il perché di tutto ciò e, altrettanto giustamente, rileva come, con la nascita di Giustizia e Libertà, nasce «un’incomprensione» con il socialismo ufficiale italiano «che non verrà più superata».14 Bobbio, in conclusione della sua introduzione, pone una questione di fondo concernente l’intenzione del libro di Rosselli, riguardante il nocciolo stesso del socialismo e di ciò che è stata la vicenda storica del socialismo italiano. Di cosa si tratta? Rosselli afferma che il socialismo è l’erede del liberalismo, intendendo, con ciò, che quello italiano, irretito dall’adesione imprigionante al marxismo, alla volontà di costruire la storia tramite un sistema deterministico, non ha interpretato fino in fondo la sua ragione fondante, ossia quella della libertà da cui egli fa derivare l’aggettivo “liberale”, con il quale connota il socialismo nuovo che propone. Esso non è liberale perché gemmato dal pensiero liberale classico, ma in quanto nasce dal motivo della libertà così come per Piero Gobetti la sua “rivoluzione”. Se il socialismo italiano ne fosse stato consapevole, avrebbe compreso che era chiamato a svolgere quella funzione che il tradizionale liberalismo italiano non era stato in grado di assolvere; sul punto, Rosselli e Gobetti viaggiano su binari paralleli. Il socialismo, però, ha come fine la trasformazione sociale, si propone nuovi assetti di democrazia e di giustizia sociale, Ivi, p. X. Ivi, p. XXVII. 12 Ivi, p. XXVIII. 13 Ivi, pp. XXVIII-XXIX. 14 Ivi, p. XXXVII. 10 11 12 Norberto Bobbio e il socialismo liberale è la forza storica del proletariato che chiede riscatto – non solo emancipazione – e che vuole crescere quale soggetto autonomo della società e nelle istituzioni politiche; per cui, basandosi sul principio di libertà di cui la democrazia è la forma politica, persegue la giustizia sociale e non l’indifferenziata eguaglianza, ma la conquista di sempre nuovi traguardi che strutturalmente la garantiscono. È, perciò, il soggetto alternativo al capitalismo, che genera progressive diseguaglianze attraverso il controllo dei mezzi di produzione, cui si accompagna quello dei luoghi della politica per salvaguardare i propri interessi. Proprio in nome della libertà e del diritto di tutti gli uomini ad aver riconosciuta la pari dignità di una vita non sottoposta a sfruttamento da nessuno, tramite la democrazia le cui forme appartengono a tutti avendo valore universale, la funzione del socialismo è quella di un movimento di lotta per modificare in radice gli assetti economici, sociali e politici. Certo che, in tale schema, quasi procedurale, ritroviamo Eduard Bernstein, ma il pensiero rosselliano non nasce, a differenza di quello di Bernstein, in ambito marxista, bensì nella riflessione sulla vicenda storica del socialismo italiano e trova caso mai in Bernstein una conferma.15 Il socialismo liberale, fondato com’è sul trinomio libertà-democrazia-giustizia, vuole superare il sistema capitalistico; generare una «rivoluzione sociale» potremmo dire con Filippo Turati, là dove la socialdemocrazia accetta il meccanismo capitalista proponendosi di conquistare salvaguardie e tutele per il mondo del lavoro. La differenza tra il socialismo liberale e la socialdemocrazia è netta e in fondo, a ben vedere, l’incomprensione perdurante tra le posizioni di Rosselli e quelle del PSI è dovuta al fatto che, per un lungo periodo di tempo, il PSI è stato una forza rivoluzionaria senza rivoluzione e una forza riformista senza essere socialdemocratica. E poiché la storia ha il suo peso, la persistenza della difficoltà a comprendere Rosselli è che egli propone un nuovo avvio della vita del socialismo in Italia, mentre il suo soggetto, pur tra rotture e cambi anche profondi, si è sempre pensato in una sostanziale continuità. Rosselli, infatti, colloca il Socialismo liberale in una fase ben più ampia di crisi rispetto a quella nella quale vede la luce, nel 1899, il saggio di Bernstein su I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia. Ben diverso è il punto di partenza della sua dottrina che non è il marxismo dei revisionisti, i quali vogliono immettere in una «costruzione dogmatica» (Socialismo liberale, a cura di J. Rosselli, Prefazione di A. Garosci, Torino, Einaudi, 1973, p.371) il concetto della volontà rifiutando quello di “necessità storica” (ivi, p. 370). Rosselli osserva che essi vogliono cambiare il meccanismo conservando la fedeltà ai principi del sistema e, quindi, si muovono nella contraddizione di volerlo rompere trascurando che esso si basa su una inscindibile unità, rimanendo tuttavia marxisti, vale a dire fedeli ai principi che lo presuppongono; essi vogliono riaprire una questione che Marx riteneva di aver risolto categoricamente. È quella che Rosselli definisce la «ingenuità» di Bernstein (ivi, p. 373) pur riconoscendo che la sua formula – il moto è tutto, il fine è nulla – «è quella di un socialista liberale» (ivi, p. 405). 15 Paolo Bagnoli 13 Bobbio, nella parte finale sul suo saggio introduttivo – e non appaia un omaggio formale – scrive che le idee di Rosselli «sono tutt’altro che morte».16 L’affermazione è di valore. Richiamiamo il fatto, rifacendoci ancora una volta alla differenza tra il socialismo liberale e la socialdemocrazia, che quelle idee hanno subito successivamente una torsione dottrinaria e, di conseguenza esse assumono una concreta dimensione nello Schema di programma di GL che, nel 1932, inaugura la serie dei Quaderni del movimento giellista.17 Poco più di due anni dopo la nascita del movimento – ottobre 1929 – Rosselli sente che è giunto il momento di chiarire il programma del medesimo che, al momento della fondazione, non si era ritenuto di specificare, considerata la natura di GL quale «movimento di azione»,18 per «precisare la fisionomia politica del movimento».19 Allo Schema Rosselli fa seguire un articolo, non firmato, Chiarimenti al programma,20 nel quale spiega, dopo una premessa politica, il dettaglio delle riforme che persegue GL: quella agraria, quella industriale e bancaria e quella riguardante l’indennità e la confisca. L’intenzione politica è nella premessa, ove Rosselli segna con chiarezza ciò che divide GL dai comunisti: definito il «fondamentale dissenso».21 Scrive: La differenza, come è chiaro, è decisiva. È il significato stesso della rivoluzione che viene sovvertito. GL ricorre alla rivoluzione per abbattere la dittatura fascista e conquistare un regime di vera democrazia in cui la libertà sia posta al riparo di ogni attentato e da ogni usurpazione. Il Partito Comunista ricorre alla rivoluzione per sostituire alla dittatura fascista la sua dittatura. GL è democratica e non riconosce che un solo sovrano: il Popolo. Il Partito Comunista è antidemocratico e riconosce un ben diverso sovrano: esso partito.22 L’assonanza dello scritto citato di Codignola del 1943 con quanto scrive Rosselli nel 1932 è sorprendente e conferma, sul piano stretto delle idee, come il Partito d’Azione fosse la sede naturale del socialismo liberale e, di conseguenza, conferma anche la giustezza dell’affermazione di Bobbio, se pur ciò non consenta di porre in totale equazione di eguaglianza l’azionismo con il socialismo liberale. Anche su questo aspetto la storiografia in materia registra una lacuna. In Rosselli, infatti, N. Bobbio, Introduzione, cit., p. XXXIX. Cfr. Schema di programma, “Quaderni di Giustizia e Libertà”, n. 1, gennaio 1932, pp. 4-8. 18 Il programma rivoluzionario di “Giustizia e Libertà”, “Quaderni di Giustizia e Libertà”, cit., p. 1. 19 Ivi, p. 3. 20 Ivi, pp. 9-20. 21 Ivi, p. 10. 22 Ibidem. 16 17 14 Norberto Bobbio e il socialismo liberale teoria, storia e politica si saldano strettamente tra loro in un percorso dottrinario che dalle idee arriva alla concretezza della realizzazione politica. La problematica del socialismo riguarda un tema a lui particolarmente caro; vale a dire, comporre un equilibrio tra la libertà, e forse ben più che la giustizia, quanto l’eguaglianza garantite dalle istituzioni della democrazia con una prospettiva socialista. Il saggio di Rosselli viene nuovamente edito da Einaudi nel 1997. La nuova edizione ripresenta l’introduzione di Bobbio del 1979, preceduta da un nuovo saggio dedicato alla Attualità del socialismo liberale.23 Dall’edizione precedente sono passati quasi vent’anni; l’Unione Sovietica è collassata e il cosiddetto “socialismo realizzato” giace morto e sepolto senza tanti rimpianti. L’evento rilancia, per Bobbio, la questione di «forme di socialismo alternativo a quello che aveva avuto la sua prima completa attuazione storica nell’Unione Sovietica»24 – da osservare come egli continui a non espungere il comunismo dalla categoria dei “socialismi” – rilanciando a sinistra il problema affrontato da Rosselli, ossia: «Come riaffermare le irrinunciabili esigenze dei principi fondamentali del liberalismo senza rinnegare il socialismo come fine?».25 Insomma: quale socialismo? Osserva come il liberalsocialismo sia del tutto scomparso «nel linguaggio politico attuale»,26 prende le distanze da come Guido Calogero ha inteso il rapporto liberalismo-socialismo, nega che si possa adattare la critica di Benedetto Croce al liberalsocialismo al socialismo liberale e rileva come il rinnovato interesse per Rosselli sia dovuto principalmente alla riapertura del dibattito sul Partito d’Azione, contro il quale registra «una astiosa e risentita polemica proveniente dai nuovi liberali».27 Il PdA viene accusato di «aver aiutato i comunisti a trovare la loro legittimazione nell’arco […] costituzionale dei partiti democratici […] e di aver combattuto, dei due totalitarismi, solo quello fascista e non anche con la stessa energia quello comunista».28 Bobbio entra poi con efficace incisività dialettica nel cuore della polemica sull’azionismo, di cui difende le ragioni storiche spiegando, in maniera esemplare, la relazione Gobetti-Rosselli e come la “rivoluzione liberale” del primo precorra il “socialismo liberale” del secondo. L’attualità del socialismo liberale, così, si salda in tale relazione che è parte integrante dell’azionismo, della sua cultura e dei suoi intenti politici; il tutto basato sulla priorità inderogabile della libertà e del rinnovamento rivoluzionario della politica italiana. N. Bobbio, Attualità del Socialismo liberale, in C. Rosselli, Socialismo liberale, Einaudi, Torino, 1997, pp. V-XIX. 24 Ivi, p. V. 25 Ibidem. 26 Ivi, p. VIII. 27 Ivi, pp. XII-XIII. 28 Ivi, p. XIII. 23 Paolo Bagnoli 15 Nel 1989, con la sigla editoriale del quotidiano comunista “l’Unità”, esce un volumetto dedicato al socialismo liberale e al dialogo con il filosofo torinese.29 Il corpo del libro è costituito da un lungo saggio dello storico britannico e saggista politico di orientamento marxista Perry Anderson, professore di storia e sociologia all’Università di Los Angeles, studioso di cose italiane, con la risposta di Bobbio in forma di intervista. Il saggio di Anderson è una ricostruzione minuziosa del percorso politico-intellettuale di Bobbio e del suo rapportarsi al liberalismo e al socialismo: quasi una biografia intellettuale. Nella sostanza il lungo saggio di Anderson non porta nuova luce su quanto già non fosse noto sul pensiero di Bobbio e anzi, emerge una incomprensione politico-concettuale tra le formule di “rivoluzione liberale”, “liberalismo socialista”, “socialismo liberale” e “comunismo liberale”: quattro accezioni di un contesto, quello italiano, definito di «ibridi».30 Per quanto il saggio di Anderson sia accurato, la mancata soluzione di ciò che si debba intendere per “socialismo liberale” e per “liberalsocialismo” non gli permette di arrivare a una conclusione compiuta. Il suo punto di arrivo è il seguente: «Nei saggi di Bobbio il socialismo liberale si rivela un composto instabile: i due elementi di liberalismo e socialismo, che sembrano inizialmente attrarsi, finiscono per separarsi, e all’interno dello stesso processo chimico, il socialismo si orienta verso il conservatorismo».31 Tale giudizio finale svela la chiave del saggio e pure le sue lacune, poiché ciò che preme allo storico inglese non è tanto la cifra marcatamente scientifica – non sottacendo il proprio sentire socialista – con la quale Bobbio si confronta con l’argomento, bensì come politicamente possa egli essere definito. Anderson, in tal modo, cade in un fraintendimento evidente poiché cerca di spiegare il socialismo liberale di Bobbio con la motivazione che è un “liberalsocialista” e, quindi, un socialista alla stregua di Calogero. Una tale conclusione non porta chiarezza né al primo né al secondo aspetto. Nell’intervista a commento, oltre a ripetere le posizioni e le interpretazioni già note a proposito di liberalismo, comunismo, marxismo e democrazia, Bobbio rivendica il suo ideale e i suoi esordi politici. Dice: «La mia ispirazione è socialista e ho partecipato ai primi movimenti antifascisti attraverso il liberalsocialismo di Guido Calogero».32 Nell’intervista, che quasi riassume oltre un decennio di riflessione e di dibattito, il socialismo liberale non fa però nemmeno capolino. Nell’Autobiografia33 è ben esplicito: «Ho sempre interpretato il liberalsocialismo non come una formula Cfr., Socialismo liberale. Il dialogo con Norberto Bobbio oggi, a cura di G. Bosetti, L’Unità, Roma, 1989. 30 Ivi, p. 30. 31 Ivi, p. 59. 32 Ivi, p. 96. 33 N. Bobbio, Autobiografia, a cura di A. Papuzzi, Laterza, Roma-Bari, 1997. 29 16 Norberto Bobbio e il socialismo liberale filosofica ma come il programma di un compromesso politico che avrebbe dovuto trovare la sua attuazione, come ben vide Calamandrei, nel riconoscimento dei diritti sociali, richiesti dalla tradizione del movimento socialista, come precondizione del pieno esercizio dei diritti di libertà, richiesti dalla tradizione liberale».34 Successivamente non si registrano variazioni; le interpretazioni vengono riproposte nei termini che conosciamo e lo stesso binomio giustizia e libertà viene letto – nel saggio che dedica a Silvio Trentin – in chiave liberalsocialista di cifra calogeriana scrivendo che, per Rosselli, «consisteva nella attenuazione e reciproca integrazione dei due astratti principi, che venivano con ciò a perdere la loro rigidità».35 Per Bobbio è fuori discussione che il Partito d’Azione abbia rappresentato il luogo politico dell’incontro tra liberalismo e socialismo. Per lui nel PdA l’ispirazione rosselliana è prevalente e sicuramente quella giellista lo è, anche se GL è frutto di un orizzonte largo di Rosselli, essendo un movimento di lotta e di speranza per militanti che non sono socialisti, ma non per questo meno giellisti. Ciò vale anche per il Partito d’Azione. L’elenco sarebbe lungo. Basti, qui, citare alcuni nomi: Ferruccio Parri, Riccardo Bauer, Ernesto Rossi, Ugo La Malfa e Carlo Ludovico Ragghianti. I socialisti liberali nel PdA li ritroviamo – quelli che costituiscono la sinistra del Partito – in massima parte in Toscana: il loro leader è Tristano Codignola, che entra nella cospirazione con il liberalsocialismo di cifra capitiniana,36 ben diverso da quello di Calogero, centrato com’è sull’idea di “socialità” che è un modo camuffato al fascismo per significare socialismo. A Bobbio, così esemplare nella chiarificazione dei concetti della politica e delle linee o filosofiche o dottrinarie che ne derivano, sembra sfuggire quest’approfondimento da cui si originano diversificate linee ideologico-politiche. O, quanto meno, la questione viene impostata senza un ulteriore sviluppo. Infatti, è sicuramente esatto che l’ala liberalsocialista del Partito d’Azione finisca per riconoscersi in Rosselli,37 ma, appunto, necessita di metter a punto a quale liberalsocialismo essa faccia riferimento. Quello della relazione filiale tra Rosselli, il socialismo liberale e il Partito d’Azione è, tuttavia, un punto che rimane fermo nelle argomentazioni di Bobbio in materia. Lo è dai tempi della sua militanza azionista – ce ne dà conferma il testo di una conferenza su Marxismo e liberalsocialismo da lui tenuta il 29 maggio 1946 per Ivi, p. 46. In N. Bobbio, Etica e politica, cit., p. 537. 36 Cfr. P. Bagnoli, Il liberalsocialismo, in Carlo Rosselli. Socialismo, giustizia e libertà, Biblion, Milano, 2015, pp. 57-74. 37 Cfr. N. Bobbio, Introduzione. Tradizione ed eredità del liberalsocialismo, in I dilemmi del liberalsocialismo, a cura di M. Bovero, V. Mura, F. Sbarberi, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, p. 54. 34 35 Paolo Bagnoli 17 iniziativa della Federazione di Padova del PdA38 – poiché il socialismo rosselliano, quale socialismo della volontà, è quella al quale anche lui crede: «Non socialismo come meta finale, ma socialismo come strumento, come un possibile strumento di libertà umana».39 Il giudizio è preciso. A fronte del marxismo quale «mito del socialismo»,40 c’è «anche un socialismo come fatto da attuare».41 Per cui, scrive: «Questo è il nostro socialismo: il socialismo dei lavoratori che lottano per la libertà, non quello dei socialisti marxisti che vogliono le società senza classi, cioè un accordo. Il nostro socialismo è un socialismo che va di là del socialismo marxista: comprende i presupposti del socialismo marxista, ma li integra con quell’esigenza fondamentale di cui l’uomo non può non tener conto ed è l’esigenza della libertà».42 Questo è il socialismo di Bobbio; questo è il Bobbio socialista; questa è la bussola che – se si guardano gli anni – sta a premessa di tutta la sua riflessione sul tema. Essa chiarisce quanto il procedere dell’argomentazione talora non sembra compitamente chiarire, quanto risolve nel suo socialismo sia il socialismo liberale sia il liberalsocialismo. Ora in N. Bobbio, Scritti su Marx. Dialettica, stato, società civile, testi inediti a cura e con una introduzione di C. Pianciola e F. Sbarberi, Donzelli, Roma, 2014, pp. 5-14. 39 Ivi, p. 12. 40 Ivi, p. 13. 41 Ibidem. 42 Ibidem. 38