Introduzione La TV fa bene o fa male ai bambini?
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Introduzione La TV fa bene o fa male ai bambini?
Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 11 Introduzione La TV fa bene o fa male ai bambini? Un aspetto comune alle moltissime analisi di teorici e ricercatori sul ruolo potenziale o effettivo dei mass media, e in particolare della televisione, nei processi di influenza sul pubblico infantile è l’inevitabile e appassionata discussione sui loro effetti positivi o negativi. Questione che riguarda anche il pubblico adulto, ma che nel caso dei bambini assume connotazioni di valore e posizioni ancora più estreme. Una prospettiva ampiamente rappresentata considera la società, la cultura e le comunicazioni di massa come esito di un processo degenerativo, funzionale al soddisfacimento delle esigenze di mercato, secondo strategie di vendita rivolte a un pubblico culturalmente e ideologicamente omogeneo. Le radici storiche e teoriche di questa prospettiva si possono far risalire alla cosiddetta teoria “critica”, di matrice europea, che si identifica storicamente nel gruppo di studiosi della Scuola di Francoforte. In quest’ottica i mass media, e più in generale l’industria culturale, sono considerati forme di dominio nelle società altamente sviluppate; la ripetitività e la standardizzazione fanno della moderna cultura di massa un potente mezzo di controllo, essendo l’obiettivo dei mass media quello di ottenere la totale integrazione di un pubblico indistinto e diffuso. Alla denuncia di questa strategia di subordinazione del pubblico, perseguita e raggiunta dai mass media tramite effetti che si realizzano sui livelli latenti dei messaggi, fa da sfondo una concezione dei media stessi come agenti di legittimazione delle visioni dominanti e di consenso acritico, secondo un progetto manipolatorio e repressivo. Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 12 L A S C AT O L A M A G I C A Nel consumo generalizzato di televisione, in particolare, sarebbe ravvisabile, oltre al pericolo di una progressiva omogeneizzazione culturale, una valorizzazione dell’“etica del consumo”. A questo proposito Cashmore afferma: La televisione fornisce una immagine del mondo in cui la vita, la libertà e il perseguimento della felicità sono equiparate alla novità, al denaro ed al bisogno del superfluo. [...] La televisione ha trasformato la cultura dal suo interno, incoraggiando lo spostamento dall’etica del lavoro a quella del consumo. Influenzando il gusto degli spettatori e facendo appello alle loro insicurezze, essa ha contribuito pienamente alla crescita della cultura del consumo, diventandone parte integrante . Tra gli autori che assumono una posizione fortemente critica nei confronti del mass media, Neil Postman evidenzia il conflitto che si viene a creare tra la concezione tecnologica e quella tradizionale, che condurrebbe alla nascita del tecnopolio, definito come «tecnocrazia totalitaria», «assoggettamento di tutte le forme della vita culturale alla sovranità della tecnica e della tecnologia», o «condizione culturale e mentale consistente nella deificazione della tecnologia». Tale condizione si verifica in una società quando la vita istituzionale non basta più a gestire la cultura e, sopraffatta dall’informazione generata dalla tecnologia, cerca di servirsi della tecnologia stessa per trovare orientamenti e finalità. Un ulteriore pericolo del tecnopolio sarebbe rappresentato dallo svuotamento e dalla banalizzazione dei grandi simboli tradizionali, principalmente a opera della pubblicità. Esisterebbe, infatti, afferma Postman, «in prossimità del nucleo centrale del tecnopolio [...] una vasta industria vestita del potere di usare tutti i simboli disponibili per secondare gli interessi del commercio, divorando la psiche dei consumatori» . In questo clima di scetticismo, agnosticismo, nichilismo, si inserisce la storia del tecnopolio che sostituisce il centro morale della cultura con l’efficienza, l’interesse e il progresso economico, proponendo, in luogo dei simboli tradizionali, un modello di perizia tecnica e di “estasi del consumo” di cui la televisione è promotrice. Ai mezzi di comunicazione elettronici lo stesso autore attribuisce la causa della “scomparsa” dell’infanzia, il cui Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 13 I N T R O D U Z I O N E . L A T V FA B E N E O FA M A L E A I B A M B I N I ? pieno riconoscimento culturale può essere fatto risalire all’avvento della stampa e al processo di alfabetizzazione che hanno caratterizzato gli ultimi tre secoli . La televisione sta eliminando la linea divisoria tra infanzia ed età adulta in tre modi, tutti e tre in rapporto con la sua indifferenziata accessibilità. Innanzitutto, perché essa non richiede un’istruzione per poterne comprendere la forma; in secondo perché non impone difficili questioni di natura intellettuale o etica; infine, perché non separa gli uni dagli altri i suoi spettatori. [...] La nuova dimensione comunicativa che ne deriva fornisce a tutti simultaneamente le stesse informazioni. In queste condizioni, è impossibile che i mezzi elettrici riescano a nascondere alcun segreto. Ma senza segreti, una dimensione come quella dell’infanzia non può più esistere . I danni sociali conseguenti a una espansione del potere della televisione in termini di quantità di tempo assorbito, di influenza sui comportamenti, di competizione con la famiglia e la scuola, di crescita abnorme di miti e divismi sono segnalati anche dagli autorevoli contributi di Karl Popper e John Condry . Popper afferma la necessità di introdurre una disciplina nel campo delle comunicazioni di massa basata sulla piena coscienza degli effetti sociali della televisione, attraverso l’istituzione di un organismo di formazione e controllo degli operatori nel settore. A questi, afferma Popper, dovrebbe essere conferita una “patente”, subordinata alla dimostrazione di una consapevolezza delle responsabilità educative nei confronti dell’audience e del rispetto delle potenzialità evolutive e delle differenze individuali. Una parte notevole delle responsabilità del cattivo funzionamento delle tradizionali agenzie di socializzazione, come la famiglia e la scuola, è, invece, a parere di Condry, attribuibile al sistema di informazioni e valori di cui la televisione è portatrice. La televisione è una ladra di tempo: deruba i bambini di ore preziose, essenziali per imparare qualcosa sul mondo e sul posto che ciascuno vi occupa. E questo sarebbe già abbastanza negativo. Ma la TV non è soltanto ladra: è anche bugiarda. Guardando la televisione i bambini vi scorgono una fonte ragionevole di informazioni sul mondo. Questo non è ve Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 14 L A S C AT O L A M A G I C A ro, ma loro non hanno modo di capirlo. Per quel po’ di verità che la televisione comunica, c’è molto di falso e di distorto, sia in maniera di valori che di fatti reali . Ed è proprio l’esposizione alla televisione, affermano in molti, indipendentemente dai contenuti, a rappresentare un potenziale danno per le menti dei bambini. Marie Winn utilizza ricorrentemente la metafora della televisione come droga: la televisione è un «insidioso narcotico» che «oscura il mondo reale» e i bambini sono degli «zombie» che guardano la TV in uno «stato di trance». La televisione – sostiene Winn – distrugge la capacità di pensiero intelligente, ritarda lo sviluppo intellettuale, indebolisce i sensi e favorisce la pigrizia mentale e fisica. Come effetto aggiuntivo la «dipendenza dal video» porterebbe a un isolamento sociale, togliendo al bambino spazio per il gioco con i coetanei e per la partecipazione alla vita familiare . Una concezione della televisione e della sua funzione sociale riconducibile all’ipotesi dei powerful mass media è quella della teoria della coltivazione (cultivation theory) formulata da George Gerbner e dai suoi collaboratori. La formula ripetitiva dei messaggi e delle immagini televisive prodotti in massa costituisce la principale componente di un ambiente simbolico comune a tutti . Questa teoria si incentra sul contenuto televisivo quale elemento che convoglia idee e norme relative al comportamento e alle relazioni sociali: la televisione presenta ai bambini un’immagine coerente della realtà tramite programmi che esercitano la loro influenza secondo un processo di apprendimento cumulativo. Una posizione sostanzialmente contrapposta a quella fin qui delineata assegna ai media, e alla televisione in particolare, una funzione di agente della modernizzazione e della democrazia. In quest’ottica, come già diversi autori hanno evidenziato , la società industriale “di massa” è caratterizzata da un processo di democratizzazione politica, sociale e culturale a cui i media contribuiscono proponendo a tutti le stesse informazioni e sollecitazioni Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 15 I N T R O D U Z I O N E . L A T V FA B E N E O FA M A L E A I B A M B I N I ? culturali. La cultura d’élite, e con essa i vecchi privilegi goduti da pochi di contro all’ignoranza e all’isolamento di molti, perde la sua centralità grazie anche alla creazione di una opinione pubblica più informata e consapevole. I mass media, quindi, e in modo particolare la televisione, pur a scapito della qualità dell’informazione, sono visti come artefici di processi che favoriscono la partecipazione e l’integrazione sociale. A questa posizione si può ricondurre anche la tradizione di ricerca nordamericana applicativa, detta anche “amministrativa”, che si caratterizza per lo studio di fenomeni circoscritti con procedimenti quantitativi e tecniche standardizzate di raccolta, misurazione e analisi dei dati. In quest’ottica i media sono mezzi “neutrali” che operano in un contesto pluralistico. In una prospettiva largamente favorevole ai mass media e alla loro diffusione si inscrivono due studi pionieristici, sul rapporto tra televisione e bambini, considerati ormai “classici” nel settore: quello condotto da Hilde Himmelweit nel e quello diretto da Wilbur Schramm , in collaborazione con Lyle e Parker, nel . Le due ricerche, svolte in due realtà differenti, quella britannica e quella nordamericana, presentano interessanti convergenze in relazione al ruolo attribuito all’audience infantile nell’uso e nella gestione del mezzo televisivo. Sin da queste prime ricerche, alle quali, purtroppo, non hanno fatto seguito molti altri lavori che si distinguessero per la coerenza, la sistematicità e l’ampio respiro teorico, sono riconosciute l’importanza e l’unicità del processo di comprensione e “costruzione” da parte del bambino. Lo stimolo televisivo è uno fra i tanti e si inserisce in un sistema di aspettative, motivazioni, competenze individuali e sociali. Ai bambini si riconosce un ruolo attivo nelle esperienze in cui sono coinvolti, e non sono considerati contenitori vuoti in attesa di essere “riempiti” dai contenuti televisivi. A questo proposito osserva Wilbur Schramm: In un certo senso il termine “effetto” è fuorviante poiché suggerisce che la televisione “fa qualche cosa” ai bambini. Si vorrebbe con ciò dire che la televisione è quella che agisce e i bambini sono quelli su cui agisce; i bambini, così, sono considerati relativamente inerti, e la televisione relativamente attiva. I bambini sarebbero vittime sedute, che la televisio Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 16 L A S C AT O L A M A G I C A ne assale. Nulla è più distante dalla verità: sono i bambini ad essere più attivi in una tale relazione; sono piuttosto i bambini che si servono della televisione che non viceversa . L’ottimismo degli studi di Himmelweit e Schramm, condotti negli anni Sessanta, sembrerebbe difficilmente trasponibile all’analisi dell’attuale condizione, caratterizzata da elevati livelli di esposizione al mezzo televisivo e da contenuti dei programmi spesso violenti e inadeguati al pubblico infantile. Tuttavia a questi autori è senza dubbio ascrivibile il merito di aver affermato la necessità di tenere nella dovuta considerazione la personalità e l’esperienza sociale dei bambini, così come hanno fatto determinati approcci che hanno consentito il superamento di alcune premesse che avevano caratterizzato la ricerca sui media nella prima metà del secolo scorso. Per lungo tempo lo studio degli effetti era, infatti, rimasto legato a un modello in cui il processo comunicativo era considerato: – asimmetrico, con un soggetto attivo che emette lo “stimolo” e un soggetto passivo che reagisce allo “stimolo” da cui è colpito; – individuale, riguardante i singoli soggetti e da studiare su di essi; – intenzionale, poiché il comunicatore mira a ottenere un determinato effetto; – episodico, con una limitazione temporale dei singoli episodi comunicativi ed effetti isolabili e indipendenti. Questo paradigma si è profondamente modificato passando dall’analisi degli effetti “a breve termine” a quella degli effetti “a lungo termine”. La ricerca non si è focalizzata più sui singoli casi, per lo più campagne di propaganda elettorale o pubblicitarie, ma ha utilizzato metodologie integrate e complesse di analisi del processo attivo di ricostruzione della realtà sociale che l’individuo compie all’interno del contesto socio-culturale in cui vive. Il tipo di effetto analizzato è di natura cognitiva, relativo ai sistemi di conoscenza che l’individuo assume e struttura stabilmente a seguito del consumo di comunicazioni di massa. Si evidenziano l’interazione e l’interdipendenza dei molteplici fattori che entrano in gioco nel processo di influenza, legittimando una via di ricerca interdisciplinare. Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 17 I N T R O D U Z I O N E . L A T V FA B E N E O FA M A L E A I B A M B I N I ? L’approccio ai media si caratterizza così per un interesse allo studio degli effetti in senso più ampio, sulla base sia di una considerazione del modo in cui l’audience organizza e struttura la percezione del mondo, sia di una concettualizzazione degli “effetti cognitivi” che va al di là dei tradizionali modelli di conoscenza e include la percezione della realtà, la salienza dell’argomento, il mantenimento dell’informazione, la discriminazione del messaggio e così via . Negli ultimi anni, inoltre, la ricerca psicologica e psico-sociale ha riaffermato il ruolo attivo del soggetto nell’elaborazione dell’informazione e, sulla base delle formulazioni teoriche di autori come Henry Tajfel e Serge Moscovici , ha posto l’enfasi sui processi sociali di costruzione della realtà, rappresentando un significativo punto di riferimento anche per gli studi sulle comunicazioni di massa. Il costruttivismo sociale e il paradigma delle rappresentazioni sociali suggeriscono, infatti, una prospettiva di analisi della comunicazione, anche di quella che vede i mass media protagonisti, in senso bidirezionale e simmetrico. La televisione è un mezzo che invia immagini, parole e suoni a un pubblico che attivamente interpreta e rielabora i messaggi, ricavandone autonomamente il significato . La prospettiva costruttivista sostiene che la realtà fisica è trasformata in realtà psicologica, a seguito di un processo di interpretazione del materiale grezzo dell’esperienza, basato sull’interazione e sulle specifiche caratteristiche e competenze individuali, che porta alla costruzione sociale della realtà. Ogni persona utilizza gli stimoli fisici disponibili, l’apparato fisiologico umano, i sistemi di elaborazione dell’informazione e gli schemi interpretativi derivanti dalla sua cultura per interagire con il mondo, e dargli significato, momento dopo momento, giorno dopo giorno, per ogni esperienza. Da questo punto di vista, l’interazione con la televisione e con i suoi contenuti non differisce da tutte le altre esperienze della vita. Tutti gli spettatori costruiscono i significati di programmi e pubblicità, creati da persone che hanno usato la tecnologia e il proprio sapere anzitutto per dare significato al contenuto . Le attività di elaborazione, interpretazione e valutazione delle informazioni sono quindi processi costruttivi interconnessi e inter Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 18 L A S C AT O L A M A G I C A dipendenti piuttosto che indipendenti e sequenziali. La costruzione della realtà si basa sul comune contatto con certi stimoli e sulla condivisione culturale degli strumenti conoscitivi e di interpretazione dei messaggi. Il paradigma costruttivista approda quindi al concetto di “rappresentazione” della realtà, intesa come insieme di elementi di esperienza selezionati e considerati significativi in base all’attribuzione di senso da parte degli attori sociali . La ricerca più attenta ai contesti e alle interazioni sociali dei riceventi e che descrive l’efficacia della comunicazione come risultato di un complesso di molteplici fattori approda, osserva Mauro Wolf, a un rovesciamento di prospettiva teorica passando dalla domanda «che cosa i media fanno all’audience» alla domanda «che cosa il pubblico fa con i media». Il rovesciamento di prospettiva si basa sull’assunto «che anche il messaggio più potente dei media non può di solito influenzare un individuo che non ne faccia uso nel contesto socio-psicologico in cui vive» . Questa nuova prospettiva dà origine a un filone di analisi specifico, direttamente e significativamente influenzato dal paradigma funzionalista, noto come ipotesi degli “usi e gratificazioni” . «L’effetto delle comunicazioni di massa – afferma Wolf – è inteso come conseguenza della gratificazione ai bisogni sperimentati dal ricevente; i media sono efficaci se e quando il ricevente attribuisce loro tale efficacia, sulla base, appunto, della gratificazione dei bisogni» . La fonte delle gratificazioni che il destinatario ricava dai media può essere sia il contenuto del messaggio, sia l’esposizione al mezzo, sia la particolare situazione comunicativa legata a un dato mezzo. Gli studi basati sul paradigma di ricerca degli “usi e gratificazioni” si possono far convergere in tre fasi temporalmente distinte. Una prima fase, intorno agli anni Quaranta e Cinquanta, si caratterizza per la presenza di lavori prevalentemente di tipo descrittivo. Una seconda fase, intorno agli anni Sessanta, comprende una serie di ricerche volte all’analisi dei bisogni che si presume medino i modelli di fruizione dei media. I lavori a partire dal decennio , riferibili a una terza fase, sono maggiormente esplicativi della relazione tra il consumo dei media e la formulazione sistematica Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 19 I N T R O D U Z I O N E . L A T V FA B E N E O FA M A L E A I B A M B I N I ? dei bisogni sociali e psicologici e della relazione tra i modelli di gratificazione cercati e ottenuti e gli effetti dei media. Sebbene siano state rivolte molte critiche a questo paradigma di ricerca per la tendenza «ad accentuare un’idea di un’audience come insieme di individui scissi dal contesto e dall’ambiente sociale che invece modella le loro stesse esperienze, e quindi i bisogni e i significati attribuiti al consumo dei diversi generi comunicativi» , l’ipotesi degli “usi e gratificazioni” ha favorito la nascita di moltissimi studi che hanno posto l’enfasi sull’audience “attiva”, prendendo in esame il modo in cui i bisogni del pubblico trovano “gratificazione” nell’“uso” dei mass media. I modelli analitici del costruttivismo e degli usi e gratificazioni hanno il merito di descrivere la relazione tra contenuti televisivi e bambino come un processo in cui quest’ultimo è parte attiva e non un oggetto “esposto a uno stimolo”. Nei due modelli la comprensione degli effetti è possibile solo sulla base della conoscenza delle caratteristiche individuali del soggetto e delle motivazioni alla base dell’ascolto. In tale ottica il contenuto televisivo può avere un potere di influenza solo in relazione alla significatività e utilità che esso ha per il soggetto: non esistono gli effetti, ma i bambini che li determinano. In Italia, un reale interesse da parte di studiosi e ricercatori per l’incidenza della televisione nella vita dei bambini risale all’inizio degli anni Ottanta, in relazione alla radicale trasformazione del sistema televisivo determinata dalla diffusione e dal consolidamento dell’emittenza privata. Seppure con ritardo rispetto a una tradizione internazionale consolidata di studi e ricerche sugli effetti della TV, promossi in gran parte da prestigiose associazioni governative e private , si registra nel nostro paese una crescente attenzione nei confronti degli effetti della televisione sui bambini, in particolare in relazione a temi di grande interesse sociale come la violenza, e i comportamenti di consumo indotti dalla pubblicità e gli stereotipi socio-culturali veicolati dalla rappresentazione televisiva dei sessi, delle minoranze etniche, delle diverse fasce d’età e così via. Generalmente l’orientamento prevalente è stato di “demonizzazione” del mezzo televisivo, a cui si sono addebitati una riduzione delle capacità creative del bambino, l’acquisizione di mo Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 20 L A S C AT O L A M A G I C A delli di comportamento aggressivi e violenti, uno scarso rendimento scolastico, un impoverimento dei rapporti sociali. Questo approccio è assimilabile a un punto di vista semplicistico e superato, ricorrente e ciclico, che ha visto negli anni avvicendarsi i diversi mezzi e generi (fumetti, cinema, radio, computer, nippo-cartoons) sul banco degli imputati, come se i media agissero nel “vuoto” sociale e non all’interno di contesti educativi, sociali e ambientali. D’altra parte, come osserva Renato Porro, non si tratta evidentemente di adottare aprioristicamente un approccio assolutorio. Più semplicemente appare indispensabile superare e rifiutare definitivamente un approccio, un modello interpretativo di “causa-effetto”. Questo si presenta infatti troppo elementare per poter comprendere una realtà fortemente complessa e del tutto inadeguato a individuare possibili strategie della politica mediale . Un sapere conoscitivo oramai consolidato, che si basa su un significativo patrimonio di acquisizioni frutto di oltre mezzo secolo di ricerche sul tema in ambito internazionale, può consentire di superare l’infondato convincimento che la comunità scientifica non sia in grado di fornire indicazioni condivise e accettate, seppure non del tutto esenti da alcuni elementi contraddittori . In quest’ottica Mario Morcellini afferma la necessità di accostarsi a questi temi senza pregiudizi e di valutare serenamente l’influsso della televisione sui processi di socializzazione e di costruzione dell’identità culturale dei bambini. In un testo dal titolo eloquente, La TV fa bene ai bambini, l’autore cerca di «rovesciare in positivo» la sindrome apocalittica, l’«ideologia della disgrazia», ponendo in risalto alcuni tra i risultati più significativi della ricerca scientifica degli ultimi anni. Anzitutto una prima constatazione: il consumo televisivo da parte del piccolo telespettatore avviene sulla base di scelte determinate e consapevoli, e questo rappresenta un buon indicatore di competenza televisiva. Un consumo ridotto di televisione, a causa dell’ampliamento dell’offerta e della diversificazione dei consumi di altri prodotti culturali, tra i quali l’uso delle tecnologie multimediali e di internet, evidenzia una capacità attiva da parte del Imp.Metastasio 12-03-2002 16:21 Pagina 21 I N T R O D U Z I O N E . L A T V FA B E N E O FA M A L E A I B A M B I N I ? bambino di fruire del prodotto televisivo come di uno tra i tanti prodotti culturali, facendogli perdere quella centralità che ha avuto in passato. Inoltre, la TV non è una cattiva maestra, come ha sostenuto Popper, poiché il consumo di televisione non distrugge la curiosità intellettuale dei bambini che sono diventati teleutenti smaliziati e competenti, più degli stessi adulti. Una posizione per così dire intermedia è quella di alcuni autori che considerano la televisione come fonte al tempo stesso di stimoli e di pericoli potenziali, tra i quali la passività e la dipendenza dal video. I bambini, considerati i soggetti più deboli nella comprensione, interpretazione e ricostruzione del messaggio televisivo, devono essere messi in grado di possedere una serie di conoscenze sul mezzo, su come esso veicola frammenti di realtà e finzione e su come questi due mondi possono sovrapporsi e confondersi . Come sostiene Marina D’Amato, facendo suo un pensiero di John Condry, anche se la televisione non ha conseguenze dirette sui bambini, li aiuta a «pensare il mondo». È quindi indispensabile mettere i bambini in condizione di capirne e valutarne i contenuti, vista la quasi impossibilità di valutare gli effetti non solo individuali ma anche collettivi . Anche altri autori, riferendosi ai nuovi media, hanno messo in evidenza come il processo di socializzazione nei soggetti in età evolutiva, che avviene attraverso l’assunzione di informazioni e modelli comportamentali provenienti da fonti culturali eterogenee, non sia esente da lati oscuri . È quindi necessario valutare l’impatto della comunicazione multimediale nei processi formativi del «bambino di fine millennio», come sostengono anche pedagogisti e sociologi . Un approccio consapevole dei rischi ma anche delle opportunità può essere il più produttivo nell’ottica di un superamento delle posizioni estreme in senso sia positivo sia negativo. Nonostante le diversità di valutazione degli effetti delle comunicazioni di massa, queste posizioni hanno in comune la tendenza ad attribuire ai media una funzione centrale nel rapporto con la società, tenendo in scarsa considerazione la mediazione di una molteplicità di fattori individuali e sociali. Come evidenzia Gianni Losito, sia per la Imp.Metastasio 19-03-2002 22:08 Pagina 22 L A S C AT O L A M A G I C A posizione “apocalittica” sia per quella “apologetica” il potere dei media è sostanzialmente illimitato e il pubblico è costituito da individui che fruiscono e “subiscono” solitariamente i messaggi veicolati dai mass media . Il superamento della contrapposizione tra le diverse posizioni può avvenire solo a partire da un’ottica di possibile integrazione di riferimenti teorici e approcci disciplinari differenti. È necessario, quindi, trovare un punto di incontro tra le varie prospettive, considerando che ogni soggetto, anche in giovanissima età, costruisce il significato in maniera autonoma in relazione ai differenti contenuti, ai suoi bisogni e interessi e alle sue caratteristiche personali e socio-culturali, sebbene tale processo avvenga, spesso, in un “ambiente simbolico comune a tutti” costituito dai messaggi e dalle immagini televisive. Note -. . E. Cashmore, ... And There Was Television, Routledge, London , pp. . N. Postman, Technopoly. The Surrender of Culture to Technology, A. Knopf, New York (trad. it. Technopoly. La resa della cultura alla tecnologia, Bollati Boringhieri, Torino , p. ). . Molti autori hanno analizzato l’evoluzione storica del concetto di infanzia nell’Occidente. Cfr., tra gli altri, P. Ariès, L’enfant et la vie familiale sous l’ancien régime, Plon, Paris (trad. it. Padri e figli nell’Europa medievale moderna, Laterza, Roma-Bari ); Id., The Family and the City, in “Daedalus”, Spring , pp. -; M. J. Chombart De Lauwe, Un monde autre: l’enfance. De ses représentations a son mythe, Payot, Paris (trad. it. I segreti dell’infanzia e la società, Armando, Roma ); L. de Mause (ed.), The History of Childhood, Condor Book, London (trad. it. Storia dell’infanzia, Emme Edizioni, Milano ); A. Oliverio Ferraris, Determinanti storico-sociali dell’individuo, Cortina, Milano . . N. Postman, The Disappearance of Childhood, Delacorte Press, New York (trad. it. La scomparsa dell’infanzia, Armando, Roma , pp. -). . K. Popper, Una patente per fare TV, in K. Popper, J. Condry, Cattiva maestra televisione, a cura di F. Erbani, I libri di Reset, Donzelli, Roma , pp. -. . J. Condry, Ladra di tempo, serva infedele, ivi, pp. -. . Ivi, p. . . M. Winn, The Plug-In Drug, Penguin, Harmondsworth .