SETTIMANA n. 4/03

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SETTIMANA n. 4/03
SETTIMANA 28e29-2011:Layout 1 12/07/2011 14.34 Pagina 7
società
I
l 30 giugno scorso la Camera dei
deputati ha approvato, di fatto all’unanimità, una legge che ha stabilito, in soli quattro articoli, l’equiparazione dei figli legittimi ai figli naturali, facendo cadere ogni distinzione
tra chi nasce dentro o fuori dal matrimonio. Il testo, frutto dell’unificazione di 6 proposte di legge sia di
maggioranza che di opposizione (tra
cui una del governo), e di cui relatrice è stata Alessandra Mussolini
(Pdl), passa ora al Senato per l’esame in seconda lettura.
In pratica, si interviene sul Codice
civile cancellando il termine “figli naturali” e introducendo un unico status di figlio, senza ulteriori aggettivazioni. Si riconoscono, quindi, i vincoli di parentela con tutti i parenti e
non più solo con padri e madri. I sì
sono stati 476, nessun contrario e un
astenuto.
All’articolo uno si stabilisce che «la
parentela è il vincolo tra le persone
che discendono da uno stesso stipite,
sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia
nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio
è adottivo». L’unica eccezione al vincolo di parentela è prevista «nei casi di adozione di persone maggiori di
età». Il figlio «nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto» dalla madre e dal padre «anche se già
uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento» e il
riconoscimento «può avvenire tanto
congiuntamente quanto separatamente». Questa modifica, in sostanza, riconosce anche ai figli naturali
un vincolo di parentela con tutti i parenti (nonni, zii, cugini) e non solo
con i genitori. Questo avrà conseguenze anche ai fini dei meccanismi
di ereditarietà.
Si stabilisce, quindi, che tutti i figli
«hanno lo stesso stato giuridico» e
che, in caso di riconoscimento postumo, da parte del padre, «il cognome della madre non sarà mai cancellato, ma il figlio potrà affiancargli
quello paterno».
Diritti e doveri
dei figli
L’articolo 1 introduce i “Diritti e i
doveri del figlio”, modificando l’articolo 315 del Codice civile. Il figlio «ha
diritto di essere mantenuto, educato,
istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità,
delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni». Il figlio «ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti». Il figlio minore (che ha compiuto gli anni dodici, e anche di età
inferiore ove capace di discernimento) «ha diritto di essere ascoltato in
tutte le questioni e le procedure che
lo riguardano». Il figlio «deve rispettare i genitori e deve contribuire, in
relazione alle proprie capacità, alle
proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia
finché convive con essa». Nel caso
però in cui sia stata pronunciata la
decadenza della potestà genitoriale,
il figlio può sottrarsi all’obbligo di
prestare gli alimenti a quel genitore.
Sempre all’articolo 1 si specifica,
all’ultimo comma, che «è abrogata la
sezione II del capo II del titolo VII
del libro primo del Codice civile»
settimana 17 luglio 2011/n. 28-29
LA LEGGE ELIMINA LA DISTINZIONE TRA “LEGITTIMI” E “NATURALI”
SEMPLICEMENTE
FIGLI
Con la norma approvata dalla Camera dei deputati si relativizza
il matrimonio (sia cristiano che civile) e si tutela il concepito.
Il problema dei bambini nati fuori dal matrimonio.
ministrare il sacramento, le condizioni perché questo diritto nativo possa
essere esercitato.
È da dubitare – anche se teoricamente possibile – una legislazione
che detti le condizioni perché un figlio possa essere concepito.
Mentre per il matrimonio si è sviluppata tutta una materia proibente
e impediente, non si ha traccia di regolamentazioni riguardanti la prole.
E ogni qual volta qualcuno ha introdotto regole proibenti – sterilizzazioni, regolamentazione delle nascite
– si è giustamente condannata l’intrusione della legge statale sui diritti soggettivi.
Conseguenze
pastorali
quella sulla «prove della filiazione legittima». Si prevede poi esplicitamente che in tutti gli articoli del Codice le parole “figli legittimi” e “figli
naturali” siano sostituite «ovunque ricorrano» semplicemente da “figli”.
L’articolo 2 dà la delega al governo «per la revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione» in
base al nuovo principio di un unico
status giuridico per i figli. Uno dei decreti attuativi riguarderà la disciplina
delle successioni e delle donazioni, ai
fini dell’eredità. I decreti delega si occuperanno anche di prova della filiazione, presunzione di paternità del
marito, azioni di riconoscimento e disconoscimento dei figli, dichiarazione dello stato di adottabilità.
Le ricadute
sulla visione cristiana
Per la visione cristiana della vita
questa norma può sembrare non così ottima, come il voto del Parlamento
italiano ha espresso.
Infatti, nel Codice di diritto canonico, il problema della legittimità della prole è inserito nel capitolo VII
del Libro IV – Parte I, dal titolo: Effetti del matrimonio. Dopo aver dichiarato che dalla valida celebrazione del matrimonio cristiano sorge tra
i coniugi il vincolo perpetuo ed esclusivo e aver ricordato il dovere del reciproco aiuto, la legge affronta il tema dei figli.
«Sono legittimi i figli concepiti o
nati da matrimonio valido o putativo» (can. 1138); il padre è la persona
sposata, dal cui matrimonio si presume sia nato il figlio (can. 1139 § 1);
uguale presunzione di legittimità esiste per i figli, nati dopo 180 giorni a
decorrere dalla data della celebrazione del matrimonio o entro 300 giorni a decorrere da quello della rottura della vita coniugale (can. 1139 § 2).
La norma civile, dunque, che fa
scomparire la distinzione tra figli legittimi e illegittimi, mette in discussione – anche se solo attraverso la legittimazione – l’impostazione della
procreazione. Il frutto del concepimento – a differenza della concezione cristiana – non ha premesse, né
conseguenze nelle situazioni dei genitori, siano essi sposati o no; abbiano addirittura concepito in condizioni di adulterio. Si concentra sul diritto al bambino ad avere un padre e
una madre, a prescindere dalle relazioni dei loro genitori.
È completamente superata la con-
cezione del matrimonio cristiano – e
per alcuni versi anche di quello civile – in quanto si tutela semplicemente
il frutto del concepimento. La conseguenza è un ulteriore passo avanti
per l’insignificanza del matrimonio
concordatario.
La legge civile tiene semplicemente conto che i bambini, nati fuori dal matrimonio, rappresentano oramai il 20% dei nati: da qui l’esigenza di “regolamentare la materia”.
Per non disperdersi in considerazioni sovrapposte, è utile distinguere
lo status della prole, da quello dei genitori. Infatti non può esser messo in
discussione il diritto del bambino ad
avere un padre e una madre certi.
Sopprimendo la distinzione tra legittimità e illegittimità, si è voluto tutelare il nato da discriminazioni non
derivanti da sue colpe: lo si immette
nella parentela allargata, con conseguenze anche di tipo patrimoniale ed
ereditario.
Ciò certamente contribuisce a risolvere le ingiustizie derivanti da abbandoni, noncuranze, menefreghismo: piaghe presenti soprattutto da
parte di padri incoscienti che concepiscono figli, senza rispondere con
conseguenti doveri. La norma dunque va in direzione del nato, in quanto toglie a lui lo stigma dell’irregolarità e fa giustizia alla sua fragilità.
Come spesso accade, il problema
non è del più debole (il nato), ma di
chi lo ha voluto al mondo. La norma
introdotta, prevedendo qualsiasi situazione di concepimento, ha voluto
salvaguardare il bambino, non volendo avallare – di per sé – nessuna
situazione di irregolarità da parte dei
genitori, nemmeno quella del tradimento familiare. In altre parole, la
norma non vuole incoraggiare forme
irregolari di concepimento, ma ha voluto semplicemente dire che il nato
è figlio, anche se non è difficile intravvedere nella norma almeno l’insignificanza dello stato di relazione
dei genitori.
Problema diverso è la condotta dei
genitori che possono essere tali a prescindere dalla loro condizione di singoli, conviventi, separati, divorziati o
addirittura amanti.
Sulla responsabilità di concepire
un figlio la legislazione civile non si
è mai addentrata. Volere la prole è
un diritto nativo che la legislazione
può regolare negli effetti giuridici, ma
non può né concedere, né negare. Simile situazione si verifica per il diritto a volersi sposare. La stessa Chiesa non concede, ma regola, nell’am-
Alla sensibilità ecclesiale il problema del rispetto dei nati “illegittimi”
pone problemi di conflittualità. Si tende – considerata la concezione della
famiglia – a concepire il nato fuori
dalle condizioni canoniche, come frutto del peccato. Un modo raffinato per
introdurre uno stigma, anche se di tipo ecclesiale. Questa concezione va
decisamente superata. Non si possono attribuire colpe, a motivo dei genitori: concezione veterotestamentaria, respinta da Gesù (cf. l’episodio
del cieco nato in Gv 9,1-41).
Il bambino è una grazia di Dio e
come tale va benedetto, sempre e comunque. Proprio perché ha una situazione familiare, religiosamente
compromessa, ha bisogno di particolare attenzione e di cura religiosa.
Questo passaggio non è così scontato. Il senso del peccato – nei sacramenti dell’iniziazione – può insorgere anche in modo istintivo e inconscio.
Diversa la considerazione pastorale se è opportuno amministrare sacramenti dell’iniziazione in condizioni “religiosamente precarie”.
L’introduzione della figura dei padrini ha voluto sopperire ad una insufficiente presenza religiosa dei genitori (figura che attualmente ha scarsa rilevanza religiosa). Date le circostanze, due orientamenti sembrano
prevalere nella prassi pastorale. La
prima più rigida, la seconda più tollerante.
Sta crescendo l’attenzione ad una
catechesi pre o neobattesimale. Da
vari anni si stanno sperimentando
prassi che accompagnano i genitori
alla richiesta di battesimo del proprio
figlio/figlia. È il tentativo di far comprendere il mistero del battesimo –
in ultima analisi della fede – a genitori che vogliono il battesimo per il
proprio figlio. La seconda tendenza
fa leva sulle responsabilità dei genitori. Se hanno voluto un figlio, è giusto che si assumano le responsabilità
educative e di orientamento spirituale. Siano essi dunque i primi catechisti dei loro figli.
Al di là delle discussioni, rimane il
problema serio di bambini nati fuori dal matrimonio: le situazioni personali degli adulti sono molto diverse. Non è affatto inopportuno un invito a maggiori responsabilità complessive. Di orientamento educativo,
di cura affettiva e relazionale, di sostegno spirituale. Ma la riflessione si
allarga e forse va oltre l’argomento
della legittimità dei nati.
Vinicio Albanesi
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