Scuola che cambia. Quale figura professionale per il docente?

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Scuola che cambia. Quale figura professionale per il docente?
Convegno OCST, sabato 13 marzo 2010 – Lugano
“Scuola che cambia. Quale figura professionale per il docente?”
Annamaria Gélil, rappresentante del Movimento della Scuola
Il Movimento della Scuola è da sempre molto motivato ad affrontare il tema della definizione della
figura professionale del docente.
Quali sono le particolarità della funzione docente nell’attuale realtà sociale, economica e
culturale?
Il tema era stato affrontato dapprima nel 2003 con un documento base di discussione a cura
della Task force “Prospettive professionali nell’insegnamento” della Conferenza svizzera dei
direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE).
Nel 2006 il MdS aveva chiesto al DECS di costituire un gruppo di lavoro per riflettere sull’identità
professionale del docente. La richiesta era stata accolta, il gruppo di lavoro, presieduto dal prof.
Baranzini ha consegnato nel novembre 2007 il suo rapporto definitivo.
Infine, è del marzo 2008 il documento prodotto dal Collegio degli Ispettori della SE, sempre sul
profilo professionale dei docenti di SE e della scuola dell’infanzia.
Non intendo entrare nel merito delle proposte contenute nei rapporti; ma voglio evidenziare
l’importanza dei tre documenti, ricchi di stimoli e proposte, come base per lanciare un dibattito
che coinvolga attivamente tutto il mondo della scuola.
Siamo nel 2010. Nel frattempo (e sono passati 7 anni dal primo, 2 anni dall’ultimo) che cosa se ne
è fatto di questi documenti?
Perché sono restati lettera morta? Che senso ha aprire gruppi di lavoro e poi lasciare che
tutto si depositi e niente cambi?
Non voglio affermare che l’autorità sia la sola responsabile di questo immobilismo, anche i docenti
ci hanno messo del loro, visto che i rapporti non sono nascosti, ma pubblicati sul sito del DECS,
quindi reperibili. Tutti devono assumersi le proprie responsabilità, a maggior ragione però
l’autorità, se davvero vuole promuovere un cambiamento significativo. Per ottenere cambiamenti
reali, che incidano concretamente nel fare e non restino un elenco di buoni propositi sulla carta la
strada maestra è quella del dibattito aperto con tutti gli insegnanti.
Sono loro la spina dorsale della scuola. I docenti sono anche l’oggetto della discussione.
La strada da percorrere per giungere allo scopo può essere solo quella del dibattito aperto a tutte le
componenti.
Per poter parlare di profilo professionale è in ogni caso necessario considerare la scuola nella sua
totalità, perché solo da una analisi spassionata e globale potranno uscire indicazioni sulle abilità, le
competenze, la preparazione necessarie al futuro insegnante. D’altro canto, siamo tutti consapevoli
che, intervenendo sulla definizione dell’identità del docente, si dovrà inevitabilmente intervenire
sulla scuola stessa .
Dobbiamo chiederci quale scuola abbiamo oggi e quale scuola vogliamo.
I pareri in proposito sono controversi: per buona parte dell’opinione pubblica la scuola offre il
fianco a critiche, per l’autorità politica gode invece di buona salute pur soffrendo di qualche
problema; per gli insegnanti è troppo spesso fonte di disagio anche grave.
Prendo le mosse dalla locandina di questo convegno che cita 40 anni di riforme e 15 di risparmi a
cui va aggiunto un cambiamento generazionale in corso.
Per quanto riguarda il settore medio, l’unica riforma autentica è stata quella che ha portato
all’istituzione della scuola media. Dopo di allora non vi sono state altre riforme; sono stati apportati
ritocchi, aggiustamenti e cambiamenti in qualche caso anche rilevanti, ma una riforma è altra cosa.
Il vivace dibattito iniziato negli anni settanta si è man mano attenuato fino a spegnersi o quasi.
Negli ultimi decenni si è sviluppata una politica scolastica preoccupata più che altro di adeguare gli
indirizzi programmatici e i profili formativi alle nuove esigenze del mondo economico.
La scuola è diventata sempre più un luogo in cui tutto è finalizzato a sbocchi professionali, in cui si
offrono apprendimenti utili subito; per contro, la scuola è sempre meno il luogo in cui un allievo
cresce intellettualmente e culturalmente.
Nella scuola oggi viene sempre più a mancare la dimensione della riflessione. Basti pensare
all’ottica chiaramente strumentale alla base di alcune decisioni di politica scolastica: la definizione
dei nuovi indirizzi per l’insegnamento linguistico per esempio, per non dire delle molte
“educazioni” spalmate sull’orario scolastico ( ed. alla tolleranza, alla cittadinanza, ed. sessuale,
stradale ecc.) in sovrapposizione alle discipline di studio. La conclusione è una scuola in affanno,
che non ce la fa più a rispondere ai bisogni reali degli allievi, condannati a rincorrere un mosaico di
argomenti senza avere il tempo di metabolizzarne nessuno.
Non sto rimpiangendo una scuola fatta solo di leggere, scrivere e far di conto, per fortuna e
giustamente oggi nella scuola si fa molto di più. Ma non dovremmo riflettere su questo “molto di
più”, visto che la formazione di base sta scricchiolando? Non dovremmo chiederci come continuare
a fare scuola senza sacrificare la qualità dell’insegnamento, senza ripiegare sul facile, senza cedere
alla tentazione di una “scuola intrattenimento” ma anche senza produrre emarginazione?
A noi pare che la scuola abbia bisogno, oggi più che mai, di profilarsi in maniera critica nei processi
di standardizzazione e di omologazione culturale in atto. Riteniamo che la scuola debba restare il
luogo principale di emancipazione culturale e intellettuale della persona.
Per individuare l’identità professionale dell’insegnante di oggi, dobbiamo avere la volontà e il
coraggio di ridefinire il ruolo della scuola oggi.
Vengo agli allievi: oggi l’insegnante ha di fronte classi caratterizzate da differenze culturali,
linguistiche, cognitive, sociali, religiose. Ma soprattutto, per cause che almeno in parte conosciamo,
allievi agitati, “surriscaldati”, impossibilitati a concentrarsi. Catturare la loro attenzione è
difficilissimo. Al docente si chiede carisma, fascino; se un docente non è in grado di mantenere la
disciplina vuol dire che non sa interessare gli allievi: vero, ma forse è troppo semplice liquidare così
la questione e indicare nel docente l’unico responsabile del fallimento. E in ogni caso è difficile
chiedere che tutti sappiano essere una sintesi tra Fiorello e Einstein…
In questo quadro c’è l’insegnante, messo in difficoltà in primo luogo dal confronto con la materia
viva, sociale degli allievi. La cultura tradizionale non arriva più ai ragazzi, eppure non si può
immaginare una società in cui sia intaccata la facoltà di ragionare, di capire e di elaborare idee.
L’insegnante oggi deve essere in grado di motivare i suoi allievi senza scadere in semplificazioni o
banalizzazioni. Approfondimenti e ampliamenti dovrebbero essere il più possibile legati ai
contenuti programmatici. Il bravo insegnante ha dunque bisogno di un margine di autonomia per
poter creare con coerenza i suoi percorsi di lavoro. Spesso invece il suo tempo è eroso o annullato
da riunioni, consigli di classe e incombenze di tipo burocratico.
Anche questo bisogno di autonomia dovrebbe essere considerato in un profilo professionale e
quindi nello statuto del docente.
Come categoria, gli insegnanti appaiono oggi poco reattivi, sembra abbiamo deposto le armi: forse
perché ogni giorno toccano con mano la trasformazione del loro ruolo: trasmettere saperi e
linguaggi culturali di base o assumere il ruolo di operatori sociali polivalenti?
I segnali ricevuti da parte dell’autorità non sono stati incoraggianti: l’insegnante è sempre meno
parte attiva nei processi decisionali di politica scolastica, non è quindi considerato interlocutore
valido; le riforme (sempre che tali si possano definire) nascono tutte fuori dalla scuola (a
Bellinzona, se va bene, ma sempre più spesso a Berna o a Bruxelles), per cui non può che sentirsi
semplice esecutore: questo è uno scollamento quanto mai pernicioso per la qualità del lavoro; per
contro la scuola dovrebbe sempre essere coinvolta nella ricerca di soluzioni, condizione necessaria
per creare realmente il cambiamento.
I tagli nella scuola, per citare un altro sottotitolo della locandina, non sono solo una diminuzione di
risorse, ma squalificano anche il ruolo del docente. Tagliare significa anche non riconoscere la sua
professionalità. Al di là dei soldi, il messaggio è chiaro: la cultura, il sapere non sono un discorso
importante e qualificante.
Da queste considerazioni e dalle precedenti, è facile capire i motivi per cui l’immagine
professionale del docente ha perso molto del suo prestigio passato: è un lavoro faticosissimo per le
condizioni in cui si svolge, poco riconosciuto socialmente, probabilmente poco stimato anche
dall’autorità, se è vero che al docente non si offre l’occasione di partecipare all’elaborazione delle
politiche scolastiche, se non è coinvolto nel dibattito sullo stato di salute della scuola, che pure è il
docente il solo a conoscere veramente. La mobilità professionale è limitatissima, anzi da adesso in
avanti ve ne sarà ancora meno, visto che per insegnare nel settore medio ci si limita a chiedere un
Bachelor, mentre per il liceo è richiesto il Master. La professione non è più attrattiva, mentre per
raccogliere la sfida di una scuola efficace, abbiamo bisogno del meglio, di giovani preparati,
motivati e in gamba… che oggi sembra proprio preferiscano optare per altri settori, probabilmente
meglio remunerati, forse meno difficili, ma soprattutto più riconosciuti socialmente.
Docenti preparati appunto. Per capire la ragione per cui gli studenti finlandesi sono tra i più
preparati al mondo, basta dare un’occhiata alla qualità degli insegnanti. In Finlandia, solo chi ha
superato una selezione molto seria può diventare insegnante. Anche i vari rapporti OCSE
confermano che ciò che fa veramente la differenza nella qualità dei sistemi scolastici è la qualità
degli insegnanti. Per fare una buona scuola servono quindi insegnanti preparati e progetti didattici
coraggiosi.
Le disposizioni della CDPE in materia di formazione e accesso alla professione stabiliscono che, da
settembre 2008, anche in Ticino si può accedere all’insegnamento nel secondario 1 (scuola media)
con la formazione scientifica certificata da un Bachelor (3 anni, contro i 4 o 5 richiesti da una
Licenza come prima del 2008), a cui deve tuttavia essere aggiunta una formazione pedagogica
equivalente a un anno e mezzo a tempo pieno (prima invece il giovane docente poteva accedere
all’insegnamento a tempo parziale e assolvere questa parte di formazione en emploi). Il rischio di
un impoverimento della formazione disciplinare è innegabile; l’accesso al lavoro è procrastinato di
2 anni, con ulteriore danno dell’immagine della professione: la difficoltà a reperire candidature
valide, specialmente in alcune discipline e nella scuola media, è palese.
Quindi il percorso di formazione va rivisto: è un aspetto ineludibile per definire la figura
professionale dell’insegnante.
Al momento la scuola media deve sostituire molti docenti giunti alla pensione. I nuovi assunti
resteranno in funzione almeno 30 anni; se già in partenza sappiamo che potrebbero esserci problemi
di tipo qualitativo, è necessario essere lungimiranti e elaborare una proposta seria di
aggiornamento lungo tutta la carriera, per proteggere la qualità della scuola negli anni a venire.
Ancora una volta, si evidenzia il bisogno di una riforma che tocchi lo statuto del docente e la
struttura dell’istituto dell’ aggiornamento, per potere offrire alla professione docente un
accompagnamento qualificato, continuo, che consolidi e aggiorni i saperi disciplinari, pedagogici e
didattici: un tale progetto – a condizione che sia condiviso - potrà costituire una parte
fondamentale della figura professionale del docente e cambiare concretamente la concezione
del lavoro dell’insegnante.
Concludo:
La nostra scuola deve cambiare e ridefinire un suo mandato chiaro e condiviso: il suo obiettivo deve
essere quello di formare ogni persona sul piano cognitivo e culturale per metterla in grado di
capire e poi agire nella società in cui vive;
nel contempo dobbiamo delineare il profilo professionale di un docente che offra sufficienti
garanzie di poter raggiungere l’obiettivo che la scuola si è data;
l’insegnante che noi vorremmo dovrebbe essere prima di tutto chiaramente motivato, avere un
interesse, se non una passione, abbastanza forte da spingerlo a scegliere una professione che
semplice non è; in seguito essere
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persona consapevole della centralità della cultura, con una solida formazione culturale e
disciplinare e consapevole della necessità di aggiornarsi in modo costante lungo tutta la
carriera;
persona capace di autonomia : l’insegnante deve saper progettare il suo insegnamento, saper
ricercare nuove strade che rispondano ai bisogni degli allievi;
essere un buon comunicatore;
il docente deve avere le necessarie conoscenze nelle scienze dell’educazione.
La strada per realizzare questa autentica riforma deve necessariamente essere quella del dibattito
con tutte le componenti della scuola, gli insegnanti in primis. Operazioni di maquillage e decisioni
semplicemente calate dall’alto rischiano di fallire.
È necessario fare ripartire un dialogo costruttivo tra mondo della scuola e autorità ( che ha la
responsabilità della formazione).
I documenti di cui ho detto in apertura non devono restare lettera morta, ma bisogna metterli nelle
mani dei collegi dei docenti e dare loro tempi e luoghi per esprimersi.
Porre i problemi ai diretti interessati è un modo per arrivare a delle soluzioni.