L`importanza della misura

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L`importanza della misura
L’importanza
della misura
e)
sporcometro
t
(seconda par
Un elenco dei differenti metodi
di misura e analisi della
contaminazione residua
presente sui pezzi,
successivamente alle
operazioni di lavaggio
Quanto riportato è stato estratto da articoli e pubblicazioni presenti sulla stampa specializzata nazionale
ed estera nonché, per talune tecniche, da colloqui
diretti con operatori del settore.
La misura e l’analisi della contaminazione residua
può essere effettuata mediante metodi diretti e
metodi indiretti. Nei metodi diretti, l’analisi e la
misura del grado di contaminazione di una superficie vengono effettuati intervenendo direttamente
sulla superficie stessa. I metodi indiretti prevedono,
al contrario, l’analisi e la misura della contaminazione solo dopo la sua estrazione ed allontanamento
dalla superficie.
METODI DIRETTI
Ispezione visiva
Adatta solo per contaminazioni grossolane. Ha il
grosso limite di essere soggettiva.
UV black light
In una camera oscura la superficie da analizzare
viene investita da una radiazione UV proveniente da
una lampada Wood (lunghezza d’onda 366 nm). E’
un’analisi adatta a rivelare contaminazioni fluorescenti su superfici non fluorescenti se investite da
questa radiazione. Nel caso di contaminante fluorescente infatti, il passaggio della luce UV è in grado
di eccitare gli elettroni dell’elemento contaminante,
portandoli ad uno stato elettronico più elevato.
L’instabilità degli elettroni in questo stato energetico
MASSIMO TORSELLO
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sporcometro
è la causa del successivo processo di
rilassamento in cui l’elettrone torna
allo stato fondamentale. L’energia
precedentemente assorbita viene
allora rilasciata sotto forma di
fotoni. Il fenomeno della fluorescenza permette di avere una indicazione visiva della zona in cui sono
localizzati i contaminanti sulla
superficie di interesse, ma non permette l’identificazione del tipo di
sostanza. La misura dell’intensità
della radiazione emessa mediante
una opportuna strumentazione permette invece di conoscere il grado
di contaminazione della superficie.
Spettrofotometria UV a diodi
E’ una tecnica particolarmente
adatta ad essere utilizzata on-line
sugli impianti di pulizia sia a solvente che ad acqua, facilitando
quindi l’ottimizzazione dei parametri di processo. Si basa sulla caratteristica che molte sostanze mostrano
spettri di assorbimento nell’ultravioletto (UV), visibile (VIS) o
vicino infrarosso (SWNIR) e quindi
possono essere monitorate utilizzando tecniche spettroscopiche.
L’assorbimento o l’emissione di luce
a diversa lunghezza d’onda l può
essere posta in relazione alla concentrazione della specie assorbente.
La quantità di luce assorbita, infatti,
è data dalla differenza tra la radiazione incidente Io e quella trasmessa I e può essere espressa sia
utilizzando la trasmittanza T che
l’assorbanza A.
T = I/Io
A = log(Io/I)
La legge di Berr pone in relazione
l’assorbanza con la concentrazione
C di un dato componente ad una
certa lunghezza d’onda
A(l) = e(l)Cd
dove d è la lunghezza del cammino.
Uno spettro di assorbanza è un grafico che riporta il valore dell’assorbanza a diverse lunghezze d’onda. I
composti di interesse sono generalmente altamente assorbenti permettendo un limite di rilevabilità molto
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basso (≤1 ppm).
La strumentazione necessaria a questo tipo di analisi consiste in una
sorgente di radiazione elettromagnetica UV, VIS, SWNIR (lampada
al tungsteno e al deuterio), un elemento disperdente in grado di separare la radiazione nelle varie lunghezze d’onda (griglia olografica
concava), l’area di campionamento
e il rivelatore di intensità della radiazione. Quest’ultimo è costituito da
una batteria di fotodiodi (1024 elementi) posti in sequenza in grado di
misurare contemporaneamente tutte
le l provenienti dalla zona di campionamento. Una opportuna scansione elettronica operata sulla serie di
diodi permette di raccogliere lo spettro istantaneo da 190 a 1100 nm.
All’inizio è stato affermato che questa tecnica permette l’analisi dei
contaminanti sia per sistemi ad
acqua che a solvente. In realtà è particolarmente adatta a questi ultimi
poiché, per mostrare uno spettro
accurato, è importante che i contaminanti siano ben solubilizzati. Nel
caso molto comune di contaminanti organici ed idrofobi quindi,
l’uso di acqua come liquido di
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lavaggio può non garantire questa
condizione. In alcuni casi però,
come ad esempio l’olio da taglio, è
possibile ovviare all’inconveniente
mediante l’aggiunta di un additivo
solubile sia nel contaminante che in
acqua.
Ellissometria
Tecnica adatta ad una analisi sia
qualitativa che quantitativa della
contaminazione di una superficie.
Sulla superficie da analizzare viene
inviato un fascio di luce laser polarizzato sia parallelamente che perpendicolarmente alla superficie
stessa. Viene analizzata la variazione
della polarizzazione della luce
riflessa che risulta in relazione sia al
tipo di contaminante che alla quantità presente.
Phase imaging (Immagini di fase)
E’ una tecnica di mappatura della
superficie che utilizza una sonda
oscillante posta a leggero contatto
con la superficie. L’ampiezza delle
oscillazioni varia in funzione della
topografia superficiale del campione. Le superfici vengono illustrate mediante aree chiare e scure.
sporcometro
Questa tecnica è in grado di localizzare aree di contaminazione superficiale che risultano visibili perché
topograficamente diverse.
Analisi spettroscopiche (XPS, spettroscopia fotoelettronica a raggi X
- ESCA, spettroscopia elettronica
per analisi chimica)
Sono analisi costose che richiedono
strumentazione sofisticata e vengono quindi utilizzate quando sono
necessarie analisi particolarmente
accurate ed approfondite delle
superfici.
Il campione in esame viene posizionato in una camera a vuoto spinto
e bombardato con raggi X. Per
effetto fotoelettrico il materiale
emette elettroni che vengono catturati da un apposito detector, analizzati in funzione della loro energia e
contati. E’ proprio il numero e l’energia degli elettroni che permette
di risalire alla quantità e al tipo di
elemento chimico presente sulla
superficie del materiale analizzato e
a quali altri elementi questo è
legato. A causa della natura penetrante dei raggi X, l’analisi delle
superfici viene effettuata “sfiorando” la superficie con il fascio
incidente. Le informazioni ottenute
sono relative ad un’area avente diametro compreso tra pochi mm e 50
micron appartenente allo strato più
esterno (2-6 nanometri) della
superficie da analizzare.
Queste tecniche vengono considerate non distruttive e permettono
l’identificazione della struttura chimica, il legame e lo stato di ossidazione degli atomi. Risulta inoltre
molto utile nell’identificazione dei
composti organici. Rinunciando
alla non distruttività della tecnica e
rimuovendo strati di materiale
spessi pochi nanometri mediante
sputtering (bombardamento della
superficie con Argo), è possibile
analizzare sezioni successive del
campione, avendo quindi una analisi in profondità delle contaminazioni presenti.
energetici coinvolti. L’energia
ceduta in queste transizioni può
essere emessa sotto forma di raggi X
o utilizzata per emettere un elettrone del guscio più esterno.
Quest’ultimo effetto è noto come
effetto Auger. L’analisi di questi
elettroni emessi, chiamati elettroni
Auger, permette l’identificazione
degli atomi da cui essi provengono.
E’ una analisi distruttiva ma è utile
per lo studio di piccole aree contaminate e fornisce informazioni
anche di tipo quantitativo. La
profondità dello strato analizzato è
di 20 – 50 Angstrom.
Spettroscopia Auger (AES)
E’ una tecnica utile per svolgere
una analisi composizionale e permettere l’identificazione dei tipi di
atomi presenti su una superficie.
Un fascio di elettroni incidente sul
campione da analizzare provoca la
ionizzazione degli atomi della
superficie in seguito alla rimozione
degli elettroni appartenenti alle
shell più interne. Gli atomi si trovano quindi in uno stato eccitato e
tendono a rilassarsi emettendo
energia. Il processo di rilassamento
è dovuto al passaggio di un elettrone da un livello energetico pieno
più esterno a quello vuoto più
interno. La transizione di rilassamento in realtà può coinvolgere più
di un elettrone in una vera e propria “cascata” in funzione dei livelli
Test di rottura del velo d’acqua
In questo test, sulla superficie da
analizzare viene mandata dell’acqua. Se essa forma delle gocce, la
superficie è considerata contaminata da sostanze idrofobe
(oli/grassi). Se il velo d’acqua si
rompe o scivola via la superficie è
considerata pulita. Maggiore precisione si ha misurando l’angolo di
contatto. Uno dei limiti di questo
test è la soggettività dell’operatore.
Essendo un test visivo è infatti
legato al giudizio dell’osservatore.
Un altro limite è che contaminazioni molto leggere o disperse possono non essere rilevate. L’analisi,
infatti, non coinvolge tutta la
superficie, ma solo alcune zone
dove, nel caso di una contaminazione bassa o dispersa, il contaminante può non essere presente.
Molte sostanze inorganiche, inoltre,
sono solubili in acqua, alterando il
risultato del test. Una classe di
materiali per cui l’uso di questo test
è critico è quello delle plastiche, a
causa del valore della loro tensione
superficiale.
Questo tipo di test resta comunque
pratico, rapido ed economico, in
grado di dare un’idea dello stato di
pulizia delle superfici, senza però
avere un valore determinante
soprattutto quando il valore della
pulizia risulta essere un fattore particolarmente critico nel processo.
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sporcometro
Angolo di contatto (angolo di
bagnabilità)
E’ una analisi che non fornisce
informazioni sul tipo di contaminante ma, mediante la misura dell’energia superficiale, permette una
valutazione rapida e a basso costo
dell’efficacia dei trattamenti di pulizia effettuati sul materiale. Rispetto
ad altre tecniche ha inoltre il vantaggio di analizzare lo strato più
esterno della superficie, coinvolgendo uno spessore di materiale di
0 - 1 nm.
Una goccia d’acqua, o di un altro
liquido idoneo, di piccole dimensioni viene depositata mediante una
siringa sulla superficie da analizzare.
L’angolo compreso tra la superficie
del materiale e la goccia è in relazione al grado di pulizia della
superficie stessa. L’energia superficiale di un materiale aumenta
all’aumentare del grado di pulizia e
quindi l’angolo di contatto (Q) di
una superficie perfettamente pulita
dovrebbe essere pari a 0°, condizione non raggiungibile nella realtà.
Generalmente l’angolo di contatto
viene misurato su una goccia in
condizioni statiche. E’ possibile fare
misure dell’angolo avanzante o
recedente, anche se più difficili e
meno ripetibili. Nella tecnica dell’angolo avanzante, il volume del
liquido della goccia depositata
viene aumentato misurando contemporaneamente l’angolo che si
forma prima che la goccia cominci
ad avanzare (massimo valore di Q).
Nella tecnica dell’angolo recedente,
al contrario, il liquido della goccia
viene aspirato e l’angolo viene
misurato prima che la goccia
cominci ad arretrare. A parità di
liquido impiegato la forma della
goccia è più schiacciata (Q più piccolo) quanto più alta è l’energia
superficiale del solido, cioè quanto
più risulta pulito il materiale. La
tecnica dell’angolo di contatto recedente sembra essere la più efficace
per l’analisi del grado di pulizia
della superficie di un polimero per
METAL CLEANING & FINISHING
valutarne la verniciabilità.
Nell’ultima evoluzione di questa
tecnica vengono utilizzati tre
liquidi, generalmente acqua, glicerina e di-iodiometano. Questa formulazione risulta essere più efficace, semplice e pratica e fornisce,
in tempi molto brevi, informazioni
sull’energia superficiale totale, sulla
componente apolare, e sulle componenti acido-base (nel senso di
Lewis).
Spettrometria infrarossa a trasformata di Fourier (FTIR)
Con questa tecnica è possibile rivelare i gruppi funzionali presenti nei
composti organici. L’utilizzo della
tecnica ATR, in cui il materiale da
analizzare è posto in intimo contatto con un opportuno cristallo,
permette di acquisire informazioni
sui legami chimici dello strato più
esterno di un materiale plastico
piano. Lo spettrogramma attribuibile alla presenza di contaminanti o
a variazioni superficiali viene ottenuto sottraendo allo spettro del
campione contaminato o alterato
quello del materiale base. Lo spettrogramma risultante viene poi
paragonato con quelli presenti nelle
banche dati elettroniche di spettri
infrarossi permettendo l’identificazione della famiglia chimica di
appartenenza. Qualora si tratti di
un unico materiale/prodotto, può
arrivare ad una identificazione
esatta. Questo tipo di analisi viene
generalmente utilizzata a posteriori
per stabilire le cause di un problema o difetto.
SIMS (spettroscopia di massa con
ioni secondari)
E’ una tecnica che viene usata per
l’analisi composizionale della superficie. Un fascio primario di ioni
(Ar+, Cs+, N2+, O2+) con una
determinata energia viene inviato
alla superficie da analizzare. La conseguente emissioni di atomi della
superficie genera un fascio di ioni
secondari. Questo processo è noto
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come “sputtering”. Il fascio secondario viene analizzato spettroscopicamente.
Questa tecnica permette l’identificazione degli elementi presenti, ma
non consente l’analisi dei legami,
come nel caso dell’ESCA. Il SIMS
può rilevare sia gli ioni positivi sia
negativi, permettendo di stabilire la
natura della carica del contaminante nel caso sia carico. Lo strato
superficiale analizzato è generalmente dell’ordine di 2 - 6
Angstroms.
SEM - EDS - STEM (microscopio
elettronico a scansione-trasmissione)
Il campione da analizzare viene
posto sottovuoto e bombardato con
un fascio di elettroni opportunamente accelerato. L’interazione di
questo fascio con la superficie provoca la dispersione degli elettroni.
In particolare, atomi ad elevato
numero atomico generano uno
scattering maggiore rispetto a quelli
a basso numero atomico. Gli elettroni analizzati possono essere sia
quelli retrodispersi che quelli secondari.
I primi seguono una traiettoria rettilinea mentre i secondi una curvilinea. L’analisi di entrambi questi tipi
di elettroni mediante due rivelatori
differenti permette sia la visione
dell’immagine superficiale del campione, sia un’analisi qualitativa del
materiale. Il SEM è in grado di
mostrare la topografia della superficie con una immagine 3-D e la
capacità di ingrandimento di questo microscopio è di circa 100.000
volte. Questo permette l’identificazione della presenza di particolato e
disuniformità su film spessi di contaminanti. Non lavora molto bene
nel caso di film molto sottili e non
uniformi ed inoltre non è adatto
all’analisi di vaste aree di superficie.
Nel caso di analisi di campioni
molto sottili è possibile utilizzare
una tecnica modificata del SEM
che è la microscopia elettronica in
sporcometro
trasmissione, in cui viene analizzato
il fascio trasmesso (STEM).
Queste tecniche vengono utilizzate
per un’analisi comparativa del
materiale, nel senso che il campione viene paragonato ad uno
standard conosciuto e pulito in
modo da evidenziare le differenze.
Le tecniche microscopiche vengono
utilizzate per contare le particelle di
diverse dimensioni.
Ovviamente questo può richiedere
molto tempo.
Per questo motivo vengono contate
le particelle presenti in un’area ben
definita e il valore ottenuto viene
successivamente moltiplicato per
un opportuno valore, che dipende
dalle dimensioni dell’oggetto analizzato.
Polarizzazione elettrochimica della
superficie
La superficie da analizzare è sottoposta a tensione mediante galvanizzazione statica con elettrolita a corrente anodica molto bassa. Viene
poi misurata la polarizzazione elettrochimica della superficie che
risulta funzione di corrente/tempo
e dipende dal tipo e dalla qualità di
contaminante presente e/o dall’attività della superficie stessa.
Emissione di elettroni stimolata
elettricamente (OSEE)
L’elevata energia associata alla luce
UV che incide su una superficie in
molti casi genera emissione di elettroni. E’ quindi possibile misurare
una corrente foto-indotta che
dipende dalla funzione lavoro del
materiale analizzato, cioè dalla
quantità di energia che serve per
liberare gli elettroni dal loro legame
atomico. In genere, materiali caratterizzati da una funzione lavoro
inferiore a circa 7 elettronVolt (eV)
sono foto-emittenti.
La presenza di contaminanti non
foto-emittenti svolge la funzione di
una resistenza poiché la corrente
viene attenuata a causa delle interazioni tra gli elettroni ed i contami-
nanti. In generale più il contaminante è spesso e maggiore è la resistenza e quindi più ampia la diminuzione del segnale osservato.
Questo metodo permette la rilevazione di bassi livelli di contaminazione sia ionica che non ionica,
organica e non, ma non è in grado
di identificarne la specie. Non è
inoltre sensibile alla presenza del
particolato e, data la dipendenza
della corrente dalla temperatura, è
necessario mantenere costanti le
condizioni termiche.
Data la sensibilità della tecnica
OSEE allo stato chimico della
superficie è possibile utilizzarla
nella misura della pulizia superficiale, nella valutazione della presenza o meno di un rivestimento,
nella misura dello spessore di film
molto sottili o rivestimenti.
Nel caso dell’analisi della pulizia
delle superfici OSEE è in grado di
dare una misura quantitativa del
grado di pulizia raggiunto da un
processo specifico favorendone l’eventuale ottimizzazione, e permette
di paragonare processi differenti.
Inoltre è una tecnica che può essere
utilizzata sia per lavaggi interoperazionali, sia a fine ciclo.
Velocità di evaporazione (MESERAN)
Viene utilizzato il decadimento
radioattivo per quantificare la contaminazione organica della superficie. Può essere svolta con metodi
diretti o indiretti in seguito ad
estrazione con solvente.
L’estensione della radioattività
dipende dall’estensione della contaminazione superficiale presente.
Il limite di rilevabilità raggiungibile
è di 2 ng/cm2.
METODI INDIRETTI
Analisi del carbonio organico
totale (TOC)
Un’analizzatore di carbonio organico totale può essere utilizzato per
quantificare il materiale organico
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presente su una superficie. Tale
metodo è inoltre utile per il controllo dell’acqua di processo in un
sistema chiuso. L’analisi TOC è in
grado di misurare la quantità di
carbonio presente in una sostanza
organica, ma non permette l’identificazione e la quantificazione della
singola specie.
Gascromatografia/spettrometria di
massa (GC/MS)
E’ una tecnica utilizzata per identificare le contaminazioni superficiali
dopo estrazione mediante opportuno solvente. I composti organici
vengono separati utilizzando un
gascromatografo e poi analizzati in
funzione del loro peso molecolare
con uno spettrometro di massa.
Analisi gravimetrica
Fornisce la quantità in peso di contaminanti asportati durante il
lavaggio. Si usa generalmente nel
caso di campioni raccolti utilizzando i metodi di agitazione meccanica, risciacquo in pressione,
ultrasuoni. Viene generalmente
effettuato mettendo due membrane
una sopra l’altra su un contenitore
all’interno del quale viene fatto il
vuoto. Il liquido da analizzare viene
versato sulle membrane che hanno
un grado di filtrazione inferiore a 1
micron. La prima membrana riceve
il contaminante, mentre la seconda
serve da riferimento. Entrambe
subiscono poi un trattamento di
essiccazione in stufa ed in forno e
vengono successivamente pesate. La
differenza di peso fornisce la quantità di contaminante. Non è un
metodo selettivo sulle particelle, ma
è solo quantitativo.
Analisi del residuo non volatile
(NVR)
Il contaminante viene estratto utilizzando un opportuno solvente che
viene successivamente fatto evaporare. L’operazione si svolge in un
contenitore di peso conosciuto. La
quantità di residuo non volatile
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sporcometro
viene poi determinata tramite
pesata, sottraendo ovviamente il
peso del contenitore. Questo
metodo non è adatto nel caso di
film molto sottili, poiché sarebbe
necessaria l’estrazione di zone
molto grandi di area superficiale
per poter ottenere dati accurati.
Termogravimetria
I metodi termogravimetrici vengono utilizzati per verificare la
quantità e la qualità della contaminazione di una superficie, mediante
incremento controllato della temperatura del pezzo. L’aumento della
temperatura provoca il desorbimento o la decomposizione dei
contaminanti chimicamente adsorbiti dalla superficie, con conseguente diminuzione del peso del
pezzo; tale diminuzione viene rilevata con una termobilancia. Il risultato dell’analisi viene generalmente
espresso mediante un grafico
massa/temperatura, il quale fornisce indicazioni sul contenuto di
umidità, il tipo e la quantità di
contaminante presente.
Analisi chimiche
Consistono nell’analisi UV o IR dei
liquidi di lavaggio.
Conteggio particellare
E’ un metodo sia quantitativo che
qualitativo e può essere effettuato
con differenti strumentazioni. Le
più comuni si basano sulle tecniche
di assorbimento e/o dispersione
della luce da parte del contaminante contenuto nel campione da
analizzare, quando questo viene
investito da un fascio di luce, generalmente laser.
La tecnica di assorbimento prevede
il rilevamento, da parte di un fotodiodo, dell’ombra proiettata dalla
particella, che fluisce attraverso la
camera di misura, quando viene
colpita dalla luce di un raggio laser.
La variazione di tensione ai capi del
fotodiodo è indice dell’ombra e
quindi delle dimensioni della particella. Tale dimensione è però
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espressa in termini di diametro
equivalente di una particella sferica
che proietta la stessa superficie
d’ombra rilevata e quindi, nel caso
di differenze notevoli tra le due
dimensioni della particella, tali differenze non vengono percepite. Il
rischio è che ci siano errori nell’attribuzione delle classi di appartenenza. Un altro limite di questa
tecnica deriva dal fatto che se la
particella ha dimensioni lineari
superiori rispetto al fascio di luce
laser che la investe, la particella
viene percepita di dimensioni inferiori alla realtà. Infine, nel caso di
mascheramento tra particelle, il
dato rilevato non è reale.
La tecnica della dispersione prevede
invece la misura dell’intensità della
luce che viene diffusa dalla particella colpita dal fascio di luce.
La scelta del metodo da utilizzare
dipende dal tipo di particelle che
bisogna analizzare. La tecnica dell’assorbimento è adatta per particelle aventi dimensioni maggiori di
1 micron, mentre quella della
dispersione è utile per particelle più
piccole. Il limite inferiore di questa
tecnica è di 0.1 micron. La tecnica
della dispersione permette comunque di rilevare particelle fino a 25
micron, valore oltre il quale il
segnale diventa troppo complesso e
sensibile anche ad altre caratteristiche delle particelle oltre che alla
dimensione.
La scelta della tecnica di analisi
deve essere fatta a priori perché da
essa dipende il tipo di rivelatore da
utilizzare. Nel caso dell’assorbimento, il rivelatore deve essere in
grado di raccogliere tutto il fascio e
deve essere in linea con esso. Nel
caso della dispersione, invece, il
rivelatore non vede mai il fascio
primario, ma raccoglie solo la luce
diffusa. Quest’ultimo sensore, inoltre non è adatto alla rilevazione di
particelle metalliche ed è più sensibile alla composizione della particella, rispetto ai sensori per assorbimento, quando si analizzano
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particelle di dimensione maggiore
di 10 – 15 micron.
I problemi associati a questa tecnica
sono dovuti sia alla natura genericamente non sferica delle particelle,
sia alla presenza di bolle nel liquido
di prova. Inoltre, essendo i contatori di particelle degli strumenti
ottici, risentono dell’opacità della
soluzione in esame e della sua temperatura. E’ quindi importante raffreddare la soluzione al di sotto del
suo punto di rugiada. Un altro fattore importante è la velocità del
flusso, che deve essere mantenuta
sempre costante, anche tra prove
differenti.
Particolarmente delicata è inoltre la
fase di calibrazione dello strumento, che deve essere fatta
mediante l’utilizzo di standard noti
e le cui condizioni vanno poi mantenute costanti durante le varie
prove.
Questo è uno dei fattori che rendono difficile paragonare risultati
ottenuti con sensori calibrati diversamente o operanti in condizioni
non paragonabili. Un ulteriore
parametro importante per l’accuratezza dei risultati è la conoscenza ed
osservazione del limite di concentrazione applicabile per non incorrere in errore di coincidenza. Se la
concentrazione di particelle è
troppo elevata, infatti, la sovrapposizione di due particelle può essere
considerata come un’unica particella di dimensione maggiore. Il
limite di concentrazione è in genere
del 5-10 %. E’ inoltre importante
valutare la compatibilità tra sensore
e campione.
Un altro strumento utilizzato è
quello che opera un flussaggio del
liquido di prova, attraverso una
membrana da 5 o da 15 micron,
alternatamente in entrambe le direzioni, rilevando la differenza di
pressione ai capi della membrana
stessa. Nel tempo l’incremento
della differenza di pressione assume
una forma caratteristica, che può
essere confrontata con curve simili
sporcometro
note; dal confronto, per estrapolazione e con una certa approssimazione, è possibile risalire ad una
stima del numero di particelle presenti sulla membrana. E’ di fatto
un metodo indiretto che si basa su
librerie di curve ottenute con quantità note di particelle.
Microscopia ottica
Una determinata quantità di fluido
contaminato viene fatta passare
attraverso una membrana filtrante
che successivamente viene analizzata al microscopio ottico. Il quantitativo e le dimensioni delle particelle trattenute sulla membrana
forniscono una misura del livello di
contaminazione, mentre il loro
aspetto - metallo brillante, metallo
ossidato, silice, fibre, gomma, plastica etc... fornisce una indicazione
delle possibili sorgenti di contaminazione.
Con i microscopi ottici è possibile
analizzare direttamente la superficie
di un campione permettendo la
visione di residui di oli, grassi, flussante, particelle o anomalie superficiali. E’ una tecnica rapida ed efficiente ma non adatta all’analisi a
livello molecolare o nel caso di contaminazione ionica.
Inoltre questa tecnica è generalmente influenzata dalla soggettività
dell’osservatore. Esistono però dei
metodi automatizzati in grado di
analizzare la forma e valutare le
dimensioni delle particelle. Un
computer associato al microscopio
e dotato di un opportuno software,
abbastanza sofisticato, è in grado di
analizzare le particelle secondo differenti modelli: dimensione
minima e massima del rettangolo
occupato, asse lungo e sezione trasversale più ampia, lunghezza curvilinea e larghezza maggiore, area circoscritta, area di contrasto.
Ovviamente, più le particelle
hanno una geometria articolata e
maggiore è la discrepanza delle aree
ottenute con i diversi metodi. E’
quindi opportuno analizzare a
priori il tipo di analisi necessaria in
funzione degli scopi per cui si
svolge la ricerca.
•
Titolazione colorimetrica
E’ una tecnica adatta a misurare la
quantità di residui contenenti carbonio presenti sulla superficie di un
campione mediante la valutazione
della quantità di biossido di carbonio prodotto dalla combustione. Il
campione viene posto in forno a
460°C in presenza di ossigeno, in
modo che le contaminazioni organiche si possano trasformare in
CO2. Il biossido di carbonio prodotto viene fatto reagire con una
soluzione di etanolamina, così da
formare un acido forte. Questo
acido viene titolato con una base
generata elettrochimicamente. La
quantità di contaminante contenente carbonio presente alla superficie del campione viene quindi
espressa in µg di carbonio, misurando la carica totale richiesta per
generare elettrochimicamente la
base. La quantità di contaminante
inorganico contenente carbonio
viene misurata nello stesso modo,
scaldando però il campione a
590°C per convertire i contaminanti superficiali in CO2.
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Silvano Passagrilli - “Verifiche
metodologiche della preparazione
di superficie alla verniciatura di
materiali plastici”-da Lavaggio
Industriale n.78 dicembre/gennaio 1999. ◆
Per ulteriori informazioni segnare 3
sull’apposita cartolina in fondo alla rivista
ANNO VII – N.28 – NOVEMBRE 2001