Il mito della “città che sale” - Fondazione Internazionale Menarini

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Il mito della “città che sale” - Fondazione Internazionale Menarini
n° 322 - settembre 2005
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Il mito della “città che sale”
“Noi canteremo le grandi
folle agitate dal lavoro,
dal piacere
o dalla sommossa;
canteremo le maree
multicolori
e polifoniche delle
rivoluzioni
nelle capitali moderne;
canteremo il vibrante
fervore notturno degli
arsenali e dei cantieri
incendiati da violente luci
elettriche”
(F.T. Marinetti,
Manifesto del
Futurismo,
Le Figaro, 11 feb 1909)
La città che sale, La centrale
elettrica, Paesaggio urbano,
Metropolis e Strada di New
York: sono sufficienti i titoli di queste opere di Boccioni, Sant’Elia, Sironi,
Grosz e O’Keefe per capire che esiste una relazione profonda tra lo sviluppo della vita urbana,
la trasformazione di alcune
città in metropoli e i più
importanti movimenti
d’avanguardia, come il futurismo, l’espressionismo
tedesco e il realismo americano. Come si può leggere nello stesso Manifesto dei pittori futuristi «E
possiamo noi rimanere insensibili alla frenetica attività delle grandi capitali, alla psicologia nuovissima del nottambulismo, alle figure febbrili
del viveur, della cocotte,
dell’apache e dell’alcolizzato? Le nostre tele esprimeranno quindi anche
l’equivalenze plastiche dei
suoni, dei rumori e degli
odori del teatro, del music hall, del cinematografo,
del postribolo delle sta-
zioni ferroviarie, dei porti,
dei garages, delle officine,
ecc.» Il futurismo si dimostra particolarmente
ricettivo verso le “suggestioni” offerte dalla metropoli con i suoi rumori,
la simultaneità delle visioni e degli “stati
d’animo”. La “citta nuova”
disegnata da Sant’Elia è
una perfetta icona della
metropoli quale si poteva
immaginare nel 1914: una
profezia disattesa dal ritardo con cui crescono le
città italiane rispetto alla
media europea (all’inizio
del secolo Roma, Milano,
Torino e Napoli non arrivano al milione di abitanti).
In compenso si diffondono
rapidamente le idee attraverso due riviste: nel 1929
esce il mensile diretto da
Fillia “La città futurista”
di cui Alberto Sartoris, architetto razionalista, è caporedattore e il quindicinale “La città nuova”
(1932-34) sempre diretto
da Fillia, vero protagonista del secondo futurismo.
I futuristi italiani, seguendo
teorie marinettiane rivolte
contro la tradizione, propongono la visione di una
“città moderna”, dinamica
e funzionale, che cresce e
si espande seguendo i ritmi
concitati “del nostro tempo
industriale”. Il tema del
dilagante sviluppo urbano
è elaborato dai futuristi
con accenti visionari, che
cercano di restituire tramite il dinamismo del segno pittorico le emozioni
e il pulsare della metropoli, come nella Città che
sale di Boccioni: un moto
vorticoso di linee e co-
lori che intendono sintetizzare il movimento e l’essenza della vita moderna
stessa. In quest’opera Boccioni presenta il contesto urbano come un cantiere in crescita in cui domina il movimento che allunga e deforma le figure
ora prossime alla compenetrazione reciproca. Si
tratta di una vera e propria esaltazione del movimento inteso nel senso futurista di dinamismo simultaneo: uomini, cavalli,
impalcature, tutto è travolto dalle grandi onde colorate dei cavalli imbizzarriti, trattenuti inutilmente da uomini che vengono travolti da questa
energia incontenibile. I
sopra Antonio Sant’Elia: Centrale elettrica
Milano, collezione Consuelo Accetti
a lato Boccioni: Rissa in galleria, 1910 - Milano, Pinacoteca di Brera
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cavalli sono simboli positivi del progresso e della
crescita dei sobborghi industriali, un processo urbanistico che Boccioni accoglie favorevolmente, ma
che in pochi anni porterà
alla creazione di paesaggi
squallidi e desolanti, immersi nel grigiore e abitati da esseri umani alienati: una realtà che verrà
resa con malinconia e cupezza da Sironi nelle sue
indimenticabili visioni urbane.
All’inizio del XX secolo
Milano è centro di avanguardia dove prende vita
il Futurismo e sede in cui
Marinetti svolge la sua attività intellettuale: la città
diviene il simbolo della ricostruzione futurista. Il
1910 è l’anno del trionfo
futurista: Marinetti conosce Boccioni, che porta nel
gruppo anche gli amici
Luigi Russolo e Carlo
Carrà, con i quali frequenta
il Caffè del Centro in via
Carlo Alberto. Sempre nel
1910 Boccioni rappresenta
l’esplosione delle tensioni
sociali dell’epoca in Rissa
in Galleria, un dipinto che
attraverso il segno abbreviato e l’uso sfolgorante
dei colori coglie la rottura
dell’equilibrio nel mondo
borghese che passeggia in
Galleria.
In molti casi le opere dei
futuristi si rivelano anticipatrici di cambiamenti
e di rivoluzioni tecniche
prossime a venire, come
accade nei progetti di Antonio Sant’Elia, architetto
che aveva auspicato la creazione di città in cui scale
e ascensori fossero visibili
all’esterno degli edifici,
finalmente concepiti evitando monumentalità e
decorativismi, secondo i
crismi della tecnica edilizia moderna. Idee descritte
con chiarezza nel Manife-
sto dell’architettura futurista che Sant’Elia firma nel
1914 e in cui si sofferma
a descrivere la “casa futurista simile ad una macchina gigantesca”. Di notevole interesse sono anche i suoi progetti di far
scorrere il traffico cittadino sotto terra, ottenendo
una più veloce viabilità e
riducendo i rumori e l’inquinamento per restituire
alle strade la loro funzione
pedonale. Progetti davvero arditi e all’avanguardia dei quali nulla è stato
poi realizzato a causa della
prematura morte di questo geniale autore. L’ottimismo futurista nei confronti nel progresso e della
modernizzazione, il concetto di “modernolatria”,
vengono cantati da altri
artisti come Luigi Russolo, musicista e pittore,
che coglie forse per primo
il “suono” della vita moderna e metropolitana nel
suo trattato L’arte dei rumori del 1913: «Attraversiamo una grande capitale
moderna, con le orecchie
più attente che gli occhi,
e godremo nel distinguere
i risucchi d’acqua, d’aria
o di gas nei tubi metallici,
il borbottio dei motori che
fiatano e pulsano con una
indiscutibile animalità, il
palpitare delle valvole,
l’andirivieni degli stantuffi, gli stridori delle seghe meccaniche»
La ricerca futurista che
continua specialmente
dopo la pubblicazione di
Ricostruzione futurista dell’universo, manifesto firmato da Balla e Depero
nel 1915, deve però fare i
conti con la drammatica
situazione provocata dalla
prima guerra mondiale.
Nuove rappresentazioni
della città verranno, infatti, sollecitate dalle drammatiche condizioni sociali
ed economiche diffuse in
Europa a cavallo tra le due
guerre, che toccheranno
un picco con la crisi economica mondiale innescata dal crollo della borsa
di Wall Street a New York
(1929) e protrattasi per
tutti gli anni Trenta. Le
esuberanti rappresentazioni futuriste cederanno
il passo alle raffigurazioni
di città smantellate e devastate dalle distruzioni:
opere che registrano il disagio e l’inquietudine della
vita moderna nella quale
l’individuo si perde nella
massa caotica, visioni urbane allucinate da cui
emerge l’artificiosità delle
relazioni umane e la solitudine quotidiana di chi
si trova errabondo nelle
strade notturne “alla ricerca del piacere” e vaga
senza meta o certezze. Una
metafora urbana che visualizza bene la condizione
dell’uomo contemporaneo.
federico poletti
Umberto Boccioni: Gli uomini. Studio per “La città
che sale” - Milano, collezione privata
Mario Sironi: Il camion - Milano, Pinacoteca di
Brera
Giacomo Balla: Automobile in corsa - Parigi, collezione Tarica