un (ultimo) giorno da pecore
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un (ultimo) giorno da pecore
Q uando il golf ista si autodistrugge un (ultimo) giorno da pecore di lanfranco Vaccari dal tracollo di rory Mcilroy al Masters agli altri leader caduti nelle giornate finali dei tornei Major. alla Vigilia dell’us open proViaMo a entrare nella testa dei caMpioni che hanno paura di Vincere I l processo biologico è semplice. La corteccia prefrontale del cervello, che aiuta a controllare le emozioni, viene sopraffatta dalle preoccupazioni e dal desiderio di farcela. Le pulsazioni cardiache accelerano, l’adrenalina sale. Nella testa si accumulano pensieri frastornanti. L’effetto è quello che, nel pugilato, corrisponde al k.o. tecnico. Solo che negli sport individuali in cui non ci si misura con un avversario, ma con se stessi, non esiste qualcosa di sportweek > 11 giugno 2011 > pag.74 equivalente al lancio della spugna. Allora, si va nel pallone – o, più propriamente, nella pallina. Nel golf, “che si gioca su un percorso di 15 centimetri: la distanza fra le orecchie”, secondo la definizione di uno dei suoi grandissimi, Bobby Jones, è l’anticamera dell’inferno. Un luogo di recente molto frequentato. Gli ultimi tre major vi hanno spinto i giocatori che erano al comando dopo 54 buche. In aprile, al Masters di Augusta, Rory McIlroy ha cominciato con quattro perso nel nulla colpi di vantaggio e ha finito con un 80: 15° a pari merito. Lo scorso agosto, al Pga Championship, Nick Watney era avanti di tre, ha segnato 81 sullo score: 18° a pari merito. Due mesi prima, all’Us Open, Dustin Johnson aveva lo stesso margine, ha chiuso con un 82 (sfiorando il record del torneo per il peggior punteggio di un leader all’ultimo giro: nel 1911 Fred McCloud fece 83): ottavo a pari merito. Nei tornei più importanti del mondo hanno numerosi precedenti (vedi tabella a pag. 80). I più celesportweek > 11 giugno 2011 > pag.75 bri rimangono quelli di Jean Van de Velde al British Open del 1999 e di Greg Norman al Masters del 1996 (anche se McIlroy è molto vicino). Sono tutti collassi spettacolari, a modo loro. Ognuno è diverso dall’altro per la sequenza di eventi che lo ha provocato. In comune hanno una cosa: la paralisi da analisi, il blocco cerebrale che fa perdere ogni fluidità allo swing, quel movimento straordinariamente complesso che è alla base del gioco. Cambiano, anche solo di poco, gli angoli, le torsioni e le forze applicate al tentati- RobeRt beck Rory Mcilroy tira il secondo colpo alla 10 del Masters 2010 da un posto in cui «nessun giocatore di golf era mai stato prima». vo di colpire la pallina. È una ricetta per il disastro: all’impatto, la testa del bastone si muove anche a una velocità superiore ai 160 km all’ora; il più piccolo errore può avere conseguenze devastanti. Chiedetelo a McIlroy. Sul tee di partenza della 10 gli era rimasto solo un colpo di vantaggio. Nei tre giorni precedenti, aveva segnato par-par-bogey. Ha tirato fuori il drive, ha chiuso la faccia del bastone all’impatto ed è venuto fuori un gancio che ha mandato la pallina a sinistra. Nel golf le leggi della fisica non perdonano, ma le cose possono perfino peggiorare. Si gioca in un ambiente caotico, dove il vento può alzarsi o cadere d’improvviso, il terreno è disseminato di irregolarità che quasi sempre nascondono delle trappole e gli alberi non sono esattamente quei piani lineari in cui valgono le leggi di Euclide. La palla del nordirlandese ha colpito il fusto di un albero ed è schizzata ancora più a sinistra, a una sessantina di metri dal fairway, fra due bungalow chiamati Peek e Berckmans, dove nessun giocatore del Masters era mai arrivato. Da lassù, sperso nel nulla, McIlroy non ha potuto che giocare un layup per tornare verso il fairway. Poi ha preso in mano un ibrido, agganciando ancora. sportweek > 11 giugno 2011 > pag.76 È finito a sinistra del green, fra gli alberi. Con un approccio e un putt (up&down, nel gergo) poteva limitare i danni. Ma il suo chip ha colpito un ramo e la pallina si è fermata. Altro chip e due putt per un totale di 7. Lì si è aperto il precipizio. Alla 11 ha fatto tre putt (la prima volta dall’inizio del torneo). Alla 12, il par 3 più famoso del mondo, è andato in centro green e poi ha puttato quattro volte, le ultime tre da meno di un metro. Il totale delle buche 10, 11 e 12 è diventato +6 (contro il -1, +1 e +1 dei primi tre giorni). Dal tee della 13 ha mandato il drive in acqua, nel Rae’s Creek. A quel punto l’autodistruzione si era compiuta. McIlroy ha appoggiato la testa all’impugnatura del bastone e, quando l’ha alzata, gli occhi erano lucidi. Spiritato appariva invece Nick Watney nella domenica di Whistling Straits, sul lago Michigan, al Pga Championship. «Posso solo controllare quello che faccio», aveva detto alla fine del terzo giro, chiuso in 66, sei colpi sotto il par del campo. «Domani vado là fuori, infilo il tee nel terreno e cerco di concentrarmi su quel colpo». Magari. Ha zigzagato fra rough e bunker per un doppio bogey. Dustin Johnson, che giocava con lui, ha fatto birdie. Pronti, via e i tre col- david cannon, john biever u n ( u lt i m o) g i o r n o d a p e c o r e golf una straziante agonia greg norman al Masters 1996. aveva cominciato con sei colpi di vantaggio su nick Faldo, è finito dietro di cinque. anche con il badile pi di vantaggio erano evaporati. Watney ha cercato di rimanere aggrappato al torneo fino alla 7, dove era ancora a -11. Su quel par 3, qualcuno ha scattato una foto durante il suo backswing, il rumore l’ha distratto e la pallina è finita nel lago. Triplo bogey. Game over. Il suo tracollo è stato offuscato dal pasticcio combinato da Johnson alla 18. Con il drive era finito in uno dei 967 bunker del percorso, ha appoggiato il bastone prima del secondo tiro: due colpi di penalità e fuori dal playoff. È stato il secondo meltdown del giocatore americano in due mesi. Allo Us Open di Pebble Beach, in giugno, aveva finito il terzo giro con tre colpi di vantaggio. Quando qualcuno gli aveva ricordato che nell’ultimo giorno di un major possono accadere cose strane, aveva risposto che «in una situazione come questa, devi ricordarti di essere paziente: è quello che farò io domani». Il suo quarto giro era cominciato da appena mezzora e Johnson si era già dimenticato del consiglio che aveva dato a se stesso. La disintegrazione è avvenuta sul par 4 della 2. Drive perfetto. Secondo colpo di approccio finito sulla fascia erbosa di un bunker a bordo green. Da lì, una sequenza chaplinesca, tanto erano affrettati i movimenti: terzo colpo tirato sportweek > 11 giugno 2011 > pag.78 al contrario, da mancino, perché non aveva appoggio con i piedi e palla che si muove di un metro e mezzo; quarto con la lama del bastone che scivola sotto la palla e la spinge avanti di 50 centimetri; quinto che centra finalmente il green, a un metro dalla buca; primo putt sbagliato; 7 totale. Poi le cose sono perfino peggiorate. Nei primi tre giorni, Johnson aveva chiuso la 2, la 3 e la 4 in un totale di -1, -1 e -3, rispettivamente: la domenica ha segnato +6. Ha finito in 82. «Quando sai benissimo che tiro devi fare e invece ne viene fuori uno che non sai da dove arrivi, la testa ti comincia a girare», avrebbe detto qualche giorno dopo. «E finisci per fare il contrario di quello che dovresti: affretti i tempi della routine, cammini un po’ più veloce, non ti fermi a pensare, non ti prendi il tempo che ci vuole». Poi ha aggiunto la frase fatale di tutti i protagonisti di un tracollo, il loro ultimo rifugio: «Cose di questo genere aiutano a formare il carattere». Al Masters del 1996, Greg Norman aveva 41 anni, non i 21 di McIlroy, i 26 di Johnson o i 29 di Watney. Si era presentato al tee della 1 con sei colpi di vantaggio su Nick Faldo. Alla 9 ne aveva ancora tre. Alla 13 la situazione si era rovesciata: era sotto di due. Nelle nove david cannon, PaTRicK HERTZoG golf u n ( u lt i m o) g i o r n o d a p e c o r e Jean Van de Velde al British open 1999: l’ultima buca più disastrosa della storia del golf. un oceano di guai buche di rientro, Norman avrebbe tirato 40 colpi (e 78 in totale) contro i 33 di Faldo (e 67). Arrivò secondo, staccato di cinque. Le proporzioni della disfatta sono addirittura epiche, perché non è stata subitanea: l’australiano si è sfarinato colpo dopo colpo, buca dopo buca, in un processo addirittura penoso da guardare. Dopo quella domenica di aprile, Norman ha vinto ancora un paio di volte sul Tour americano ma non è mai più stato in corsa per un major. Il contrario è successo a Jean Van de Velde al British Open 1999. Sull’ultimo tee aveva ancora tre colpi di vantaggio. La 18 di Carnoustie è un par 4 di 445 metri: un doppio bogey (6) ed entrava nella storia (oltre che, secondo le stime di Sports Illustrated, intascare almeno otto milioni di dollari: tanto vale un major). Ma il cervello golfistico del francese ha d’improvviso smesso di funzionare. Ha scelto il bastone sbagliato dal tee (un drive) e uno ancora peggiore dal rough per il secondo colpo (un ferro 2) che ha mandato contro i tubi Innocenti di una tribuna, è finito in una savana con l’erba alta un metro, poi nel Barry Burn, il ruscello che protegge il green, quindi in un bunker e finalmente sul green: 7 per andare al playoff (che ha perso). Ha giocato la buca della sua vita con un tale, pervicace disprezzo del buon senso da ricordare Wrong-Way Corrigan, l’aviatore che negli Anni 30 decollò da New York per andare a Los Angeles e finì invece in Irlanda. Nel 1999 Van de Velde aveva 33 anni. Non si è più ripreso. In seguito ha vinto una sola volta sul Tour europeo, il Madeira Open 2006, dopo aver perso al playoff l’Open de France 2005. Ha subito due operazioni al ginocchio, ha avuto problemi allo stomaco, ha divorziato, si è risposato, gli sono nati due figli, risiede e Dubai, crede agli alieni. Per vincere il British Open, bastavano due ferri 5, un chip e due putt, ma avrebbe potuto usare anche un badile o una scopa. Peter Alliss, il commentatore della Bbc, disse in diretta che avrebbe fatto doppio bogey anche con il putt. Il 16 dicembre di quello stesso anno, Van de Velde tornò a Carnoustie con solo il putt in mano. Al terzo tentativo fece 6. © riproduzione riservata le cadute dell’ultimo giorno Il campionario degli orrori in genere, i crolli del quarto giro sono dovuti a score disastrosi. l’unica eccezione è arnold Palmer, che perse lo Us open 1966 con un 71. Era sette colpi sopra dopo la 9 e cinque sopra con solo quattro buche da giocare. billy Casper riuscì a portarlo al playoff e lo batté sulle 18 buche del lunedì. ancora sotto di due con otto buche da giocare, vinse di quattro. sportweek > 11 giugno 2011 Giocatore Torneo RoRy McIlRoy NIck WaTNey DusTIN JohNsoN aaRoN BaDDeley ReTIef GooseN JeaN VaN De VelDe GReG NoRMaN GIl MoRGaN GReG NoRMaN T.c. cheN eD sNeeD aRNolD PalMeR keN VeNTuRI Masters 2011 Pga championship 2010 us open 2010 us open 2007 us open 2005 British open 1999 Masters 1996 us open 1992 Pga championship 1986 us open 1985 Masters 1979 us open 1966 Masters 1956 > pag.80 colpi di vantaggio prima dell’ultimo giro 3 3 3 2 3 5 6 1 4 2 5 3 4 score ultimo giro 80 81 82 80 81 77 78 81 76 77 76 71 80 classifica finale 15 T 18 T8 T 13 T 11 T 2* 2 T 13 2 T2 T 2* 2* 2 t = a parimerito. *Dopo il playoff rob tringali golf u n ( u lt i m o) g i o r n o d a p e c o r e Dustin Johnson allo Us open 2010. in vantaggio di tre colpi, ha visto annullarsi il margine alla buca 2: da lì in poi, le cose gli sono andate solo peggio.