TORTURA 19 05 2004

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TORTURA 19 05 2004
MERCOLEDÌ 19 MAGGIO 2004
LA REPUBBLICA 35
DIARIO
DI
LA DEMOCRAZIA NELL’ETÀ DELLA PAURA
Storia di un
concetto la
cui pratica
risale a molti
secoli fa
ortura”,
da torquere, indica
l’atto del torcere: ad
esempio, filati, rami, tralci, olive,
membra umane;
così l’aggiustaossa
rimedia alle slogature (nel mio dialetto li chiamano “settimini”, presupponendo abilità particolari nei nati prematuri); hanno fine
terapeutico anche
operazioni intese
allo scioglimento
delle lingue; tortor
chi le compie, mestiere infame. Siccome serve ad
eruendam veritatem, il nome dell’interrogatorio assorbe l’idea dei tormenti: quaestio e
question (titolo
d’un pamphlet contro la tortura
nella guerra d’Algeria); in tedesco
Frage, più scharf (acuto, tagliente
o tutt’e due; e sommato a Richter,
giudice, lo stesso aggettivo indica
l’esecutore delle pene capitali).
Nel francese antico la chiamano
gehine o jehine, dal verbo franco
che significa “confessare”: l’uso
popolare vi ritrova il nome biblico
dell’inferno; interrogatori tormentosi (da lì, gêne, il cui significato debole è “disturbo”). Ne parla il Corpus iuris, piuttosto male,
come d’un mezzo da prendere
con le molle: «res fragilis et periculosa», nota Ulpiano riferendo argomenti tramandati nella retorica
greco-romana; il colpevole hard
boiled resiste uscendo indenne;
l’innocente dai nervi scoperti racconta quel che vogliono, sputando false confessioni prima che
l’abbiano toccato, alla sola vista
degli arnesi (territio, nella nomenclatura medievale).
Sotto quest’aspetto i secoli detti bui sono civili, perché alla morale individualista degl’invasori ripugna che l’uomo libero sia coatto a confessare. I giudizi penali diventano affare agonistico. Figura
classica i duelli. Altrove l’accusato
“purga” l’accusa giurandosi puro,
ma non basta: deve esibire dei coniuratores nel numero e dignità
stabilito da chi giudica; i quali non
testimoniano sui fatti, affermano
una qualità dell’uomo; la coniuratio misura l’ascendente sociale.
Terza tecnica l’ordalia, da Urteil,
giudizio. Lo iudicium Dei consiste
nel sottoporre una delle parti (individuata dalla sentenza) a esperimenti d’esito prevedibile: normalmentee subisce ustioni chi
corre a piedi nudi su carboni accesi o vomeri incandescenti o impugna un ferro rovente (iudicium
ferri candentis); o affonda il braccio nel calderone d’acqua bollente (iudicium aquae ferventis);
quando esca incolume, ha vinto.
Tutte le probabilità gli stanno
contro, ma essendo spesso manipolato l’esperimento, gli esiti dipendono da materiali istruttori
occulti. Le purgationes vulgares
non soddisfano più un secolo evoluto qual è il Duecento: erano rito
quasi liturgico; le squalifica il IV
Concilio Laterano, 1215, vietando
ogni commistione ecclesiastica.
Dal tardo XI secolo sono riemerse
le fonti romane: il Corpus iuris vie-
Ma che cosa
significa oggi
esercitare
la violenza
fisica?
“T
TORTURA
Quandovieneprofanatoilcorpo
FRANCO CORDERO
ne subito dopo la Bibbia; la quaestio ad eruendam veritatem vi figura; e nella metamorfosi inquisitoria ricrescerebbe anche se restassero sepolti i Libri terribiles,
perché la nuova procedura richiede conclusioni storiche sicure. Affare arduo, ma lo spirito scientifico duecentesco, coniugato a teologie pessimistiche (il male pullula, l’inferno incombe), suggerisce
l’equazione: c’è una persona i cui
interni mentali contengono la
chiave del caso; colpevole o inno-
cente, l’inquisito sa cose utili al
processo; bisogna captargli le memorie; i tormenti favoriscono lo
scandaglio introspettivo. L’istruttore diventa psicanalista. Gl’interrogatori forniscono enormi
flussi verbali: i notai criminali li
raccolgono usando solo più carta;
costerebbe troppo la pergamena
usata nei vecchi giudizi, dove correvano poche parole.
Nei testi legislativi la gehenna
appare a Verona, 1228: forse l’uso
precede le norme, ma consolida-
mento e diffusione avvengono in
tempi piuttosto lunghi se cade
nella terzultima decade del secolo
la prima opera didattica sull’argomento (matrice della letteratura
penalistica moderna), l’anonimo
Tractatus de tormentis. Papa Innocenzo IV detta un ordine ai Comuni dell’Italia settentrionale: i
podestà estorcano confessioni da
ogni eretico su cui mettono le mani, costringendoli anche a nominare i correi, «latrones et homicidae animarum»; basterà che l’esa-
minato resti vivo e intero (Ad extirpanda, 15 maggio 1252). Così rinasce la quaestio durando oltre
mezzo millennio. Lunghissima,
ignobile storia sotto maschera
ipocrita. Vigono pseudogarantismi, ad esempio che i tormenti
non siano reiterabili su chi li ha sostenuti «purgando gl’indizi a suo
carico»: formula assurda, fuori
della sofisticata logica inquisitoria; fosse così, la tortura sarebbe
un’ordalia, roba obsoleta; l’incongrua regola, infatti, resta sulla
Unione europea
MICHEL FOUCAULT
TORTURA.
“
“
Perugino
il divin pittore
Perugia - Umbria
28 febbraio
18 luglio 2004
Galleria Nazionale dell’Umbria
palazzo dei Priori - corso Vannucci, 19
Tutti i giorni 9.00-20.00, sabato 9.00-22.00
Perugia
La fortuna e il mito
Città della Pieve
Perugino e il paesaggio
Perugino e la
miniatura umbra del
rinascimento
Deruta
La ceramica umbra
al tempo di Perugino
Corciano
Perugino
pittore devozionale
Infoline
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ALLA fine del secolo XVIII,
la tortura sarà denunciata
come residuo di barbarie di un’altra età: marchio di una
ferocia, che verrà denunciata come “gotica”. E’ vero che
la pratica della tortura ha origini lontane: l’Inquisizione, naturalmente, ed anche senza dubbio, più in là, i supplizi degli schiavi. Ma non figura nel diritto classico come una cicatrice o una macchia. Ha un suo posto rigoroso in un meccanismo penale complesso in cui la dimostrazione scritta
ha bisogno di un correlativo orale, in cui si domanda all’accusato – all’occorrenza con la più violenta delle costrizioni – di giocare nella procedura il ruolo del patner volontario, in cui si tratta insomma di far produrre la verità da un
meccanismo a due elementi - quello dell’inchiesta condotta in segreto dall’autorità giudiziaria e quello dell’atto
compiuto ritualmente dall’accusato…
La tortura giudiziaria, nel secolo XVIII, funziona in questa strana economia in cui il rituale che produce la verità va di pari passo col rituale che impone la punizione. Il corpo interrogato nel supplizio è il punto di applicazione del castigo e il luogo di estorsione della verità.
carta, elusa da deroghe legali e astuzie
pratiche. L’inquisito è animale da confessione, adoperabile finché l’analista vi abbia interesse. Trasudano malafede i lamenti tramandati nei secoli
sugli abusi. Li declamano a freddo,
con le stesse parole,
dottori, giudici,
consulenti, integrati nel sistema. L’ordigno dura tanto
perché viene comodo: oltre date soglie
qualunque paziente capitola; l’operatore sbroglia i casi
come vuole. Gli esami in tormentis sono materia amorfa:
nei lavori preparatori dell’Ordonnamce criminelle
1680, capolavoro d’arte legislativa, Guillaume Lamoignon chiedeva una disciplina del modo d’eseguirli, visti i frequenti e gravi
danni corporali; no, risponde
Henri Pussort, emissario del re,
sarebbe indecente «dans une Ordonnance». Sono i “filosofi” a seppellire l’istituto. I sovrani assoluti
l’aboliscono ignorando gli allarmi
delle magistrature (ad esempio,
Gabriele Verri a Milano, autore
d’una consulta negativa a Maria
Teresa, 19 aprile 1776): comincia
Federico II da Berlino, appena salito al trono, 3 giugno 1740; ultimo
arriva Luigi XVI, in due tempi, 24
agosto 1780 e otto anni dopo.
Stiamo parlando della tortura
ufficiale, talvolta rimpianta. Anno
Domini 1947 F. Carnelutti deplora le fisime illuministiche d’inviolabilità della psiche: la pena è una
medicina; al reo giova confessarsi
colpevole; se qualche espediente
garantisce risposte sicure senza
causare «danni notevoli al corpo»,
adoperiamolo. Mettere aliquem
in perturbatione è routine nei regimi totalitari (Gestapo, Nkvd, generali sudamericani): i rei confessi dei dibattimenti moscoviti
1936-38 recitano scene pattuite
dietro le quinte; Arthur Koestler
l’aveva intuito (Buio a mezzogiorno). L’ultimo esempio viene da
Abu Ghraib, con una notevole variante: gehenna canonica e residui himmleriani, stalinisti, ecc.,
erano lavoro tecnico, eseguito nel
modo freddo, attento, coscienzioso, in cui un sarto taglia e cuce, l’alchimista distilla, il medico ausculta. Nei documenti iracheni figurano pantomime il cui genere prossimo sono le Cent Vingt Journées
de Sodome, opera postuma del famoso marchese: piramidi umane,
uomini al guinzaglio, spettatori
ghignanti, feste nere; spira allegra
Schadenfreude o gusto gratuito
del male inflitto ad animali inermi, meglio se umani. Su un punto
però Donad Rumsfeld imita Ippolito Marsili, titolare della prima
cattedra penalistica italiana (Bologna, 1509), vecchio praticone
devoto alla Madonna, testa sconnessa, campione d’uno stile disinvolto (bastasse negare l’indomani
le cose confessate sotto i tormenti, esclama, la forca rimarrebbe
vedova): tutt’e due raccomandano la tortura del sonno; lo stress
ammorbidisce gl’inquisiti.
DIARIO
36 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
PRINCIPALI
GLI SCHIAVI
Nell’antica Roma è ammessa la
tortura degli schiavi. Una delle torture
più praticate è la flagellazione che
consiste nel frustare a sangue lo
schiavo fino a sfinirlo
L’INQUISIZIONE XIII SEC.
Il primo tribunale della Santa Inquisizione è
istituito a Tolosa nel 1233. Nel 1252 papa
Innocenzo IV autorizza il supplizio per
estorcere la confessione. Le torture vanno
dalla fustigazione fino alla morte
MERCOLEDÌ 19 MAGGIO 2004
LE STREGHE XV SECOLO
Con bolla papale le streghe sono
dichiarate nemiche della religione
cristiana. Le streghe, consegnate
all’Inquisizione, sono destinate
a essere bruciate vive
UN REGIME LIBERALE NON PUÒ APPLICARE MEZZI COERCITIVI CHE LEDONO LA DIGNITÀ
QUEI DIRITTI VIOLATI
MA IRRINUNCIABILI
STEFANO RODOTÀ
I LIBRI
EVA
CANTARELLA
I supplizi
capitali in
Grecia e a
Roma, Rizzoli
2000
LAURA
RANGONI
La tortura,
Xenia 2003
SERGIO
D’ELIA,
MAURIZIO
TURCO
Tortura
democratica,
Marsilio 2002
FRANÇOISE
SIRONI
Persecutori e
vittime,
Feltrinelli 2001
AMNESTY
INTERNATI
ONAL
Non
sopportiamo la
tortura, Rizzoli
2000
GEORGE
RILEY
SCOTT
Storia della
tortura,
Mondadori
1999
CESARE
BECCARIA
Dei delitti e
delle pene,
Feltrinelli 1991
PIETRO
VERRI
Osservazioni
sulla tortura,
Newton
Compton 1994
FRIEDRICH
VON SPEE
Cautio
criminalis,
ovvero dei
processi alle
streghe,
Salerno
Editrice 1986
HENRI
ALLEG
La tortura,
Einaudi 1958
PIERRE
VIDALNAQUET
Lo stato di
tortura. La
guerra
d’Algeria e la
crisi della
democrazia
francese,
Laterza 1963
P
uò la democrazia sopravvivere nell’età della paura? La domanda è radicale, ma ineludibile, come sempre accade quando
ci si trova di fronte al lato oscuro
dell’esercizio del potere, all’improvvisa scoperta che la democrazia può convertirsi nel suo contrario.
La rivelazione delle torture al
tempo della guerra d’Algeria contribuì potentemente a rendere la causa
francese non più difendibile agli occhi
del mondo. La tortura, il piccolo libro di
un francese seviziato dai suoi connazionali, Henri Alleg,
scosse l’opinione
pubblica e fu accompagnato da un
“J’accuse” di JeanPaul Sartre che analizzava i meccanismi che portano alla
degradazione dell’umano, con un terribile rituale che abbiamo poi riconosciuto in infinite altre situazioni, nei
mille Garage Olimpo che la fine d’ogni dittatura fa
scoprire. Con orrore, ma senza sorpresa, perché sappiamo che quei
regimi non possono fare a meno di
meccanismi di annientamento
che vanno ben al di là dell’estorcere una informazione.
Ma che cosa accade quando sono le democrazie a torturare? Con
la tortura tutto cambia, si varca una
linea di confine che separa i regimi
politici e, prima ancora, le culture
che fondano una convivenza civile.
Oggi che la tortura è di nuovo tra
noi, non possiamo limitarci all’indignazione. Dobbiamo di nuovo
interrogarci sulla natura delle nostre democrazie, e fronteggiare il timore che si abbia a che fare con una
istituzione clandestina, sempre
pronta a riaffiorare. Riusciremo
mai ad estirparla?
Intanto, diciamo no a tutti i tentativi di “relativizzare” la tortura.
La terrificante decapitazione di
Nick Berg o l’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi sono assolutamente intollerabili, esprimono
qualcosa che non ci appartiene e
che dobbiamo contrastare, ma
non possono offrire neppure un
briciolo di giustificazione a qualsiasi forma di tortura. Il ricordo delle violenze ai tempi di Saddam
Hussein nella stessa prigione di
Abu Ghraib non autorizza indulgenze verso quelle di oggi con l’argomento che le democrazie sono
capaci di reazioni sconosciute alle
dittature. Non è possibile stabilire
tassi di “accettabilità democratica” delle torture secondo la natura
dei mezzi adoperati o la particolarità di alcune situazioni. Non è ammissibile che, oltre al corpo, si violi
anche l’identità culturale e religiosa del prigioniero.
La democrazia non conosce la
legge del taglione, non può mai
spiegare o giustificare la propria inciviltà con la barbarie degli altri. Le
sue radici sono in valori irrinunciabili, in fini non negoziabili. Non è
ammissibile alcuna “ponderazione”, che ci porterebbe all’esito paradossale di definire la democrazia
non per ciò che essa stessa riesce ad
esprimere, ma in ragione del suo
opposto. O vogliamo soltanto rassicurarci, dicendo a noi stessi che,
davanti ad altri e più terribili orrori, possiamo posare senza troppi ri-
‘‘
,,
LIMITE
La democrazia non conosce la legge
del taglione, non può mai spiegare o
giustificare la propria inciviltà
con la barbarie di altri
morsi gli occhi sulle immagini venute dalle carceri irakene?
Nel suo divenire, la democrazia
ha attribuito valore crescente alla
dignità della persona. Con una innovazione culturale ed istituzionale di grande significato, la costituzione tedesca del 1949 si apre con le
parole «la dignità umana è intangibile». Qui si coglie immediatamente la volontà di rifiutare il passato
nazista, di tracciare un confine invalicabile oltre il quale, come mostrava proprio l’esperienza storica,
non solo la democrazia era perduta, ma scompariva ogni diritto della persona. Il senso profondo della
democrazia era proiettato al di là
del suo essere regola del gioco politico. Incorporava pienamente la
dimensione dell’umano, dalla
quale ormai non può più separarsi
senza negare la sua stessa natura.
Veniva così avviata quella «costituzionalizzazione della persona»
che ha trovato piena espressione
nella “Carta dei diritti fondamentali” dell’Unione europea del 2000.
Proprio la memoria del Novecento,
che ha conosciuto altre tragedie insieme a quella nazista, ha spinto
l’Europa ad adottare lo stesso schema della legge fondamentale tedesca. «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata»: questo è il testo del primo
articolo della Carta.
Vi è dunque un grande obbligo di
coerenza con questi principi che
deve accompagnare l’agire dei regimi democratici. La storia del costituzionalismo ci mostra come si
sia passati da una fase in cui l’accento era posto soprattutto sulle
procedure e l’organizzazione dello
Stato ad una in cui diventa fonda-
mentale il quadro delle libertà e dei
diritti, alla cui realizzazione è finalizzato poi l’insieme degli strumenti istituzionali (elezioni, forma
di Stato, forma di governo). Chi
vuole “esportare” democrazia,
quindi, dovrebbe essere ben consapevole del valore assolutamente
prioritario assunto dalla garanzia
dei diritti fondamentali che, più
d’ogni proclamazione astratta delle virtù democratiche, può consentire
la creazione di un
consenso intorno a
valori comuni.
Per questo è pericoloso offrire giustificazioni a qualsiasi forma
di tortura, come si è
cominciato a fare negli
Stati Uniti già all’indomani dell’11 settembre, creando così le
premesse “culturali”
che hanno reso legittime agli occhi dei servizi segreti e dei comandi militari le istruzioni
volte ad ottenere a
qualsiasi costo informazioni da parte dei
prigionieri. Chi imbocca questa strada si
assume grandi responsabilità. Indebolisce il significato della democrazia
e dà una indicazione che può anche rivelarsi inefficiente. Molti, infatti, sottolineano il rischio di distorsioni che
accompagna le informazioni fornite
sotto tortura, di una deriva illusoria
che porta a trascurare l’essenzialità
delle più faticose attività investigative.
Non è dunque l’immagine di una
democrazia inerme e arrendevole
quella che ci viene dalla critica radicale della tortura, ma di una democrazia
che la forza delle cose obbliga a riflettere più profondamente su se stessa.
Storicamente, da queste prove la democrazia è uscita rafforzata proprio
quando ne ha tratto ragione per una
più profonda affermazione dei suoi valori. La constatazione, per qualcuno
rassegnata o cinica, di una pratica della tortura ancora diffusa nel mondo
dovrebbe indurre a considerare la vi-
CESARE BECCARIA
E’ così poco libero dire la
verità fra gli spasimi e gli
strazi… Allora l’innocente
sensibile si chiamerà reo,
quando egli creda con ciò
di far cessare il tormento
Dei delitti e delle pene
1764
ELIAS CANETTI
Fu incatenato, gettato in
prigione e condannato a
ricevere mille bastonate.
Mediante la tortura fu
costretto a confessare
i suoi delitti
Auto da fé
1981
INQUISIZIONE
E MARTIRI
Sopra,
un’incisione
rappresenta
una scena
di tortura
operata
dalla Santa
Inquisizione. A
sinistra un
dipinto
raffigura il
martirio di
Santa Giuliana
cenda irakena non come una parentesi da chiudere frettolosamente, ma come l’impietosa rivelazione d’una verità che i democratici di tutto il mondo
dovrebbero porre a base d’una azione
quotidiana contro questa violenza
estrema.
Ora che abbiamo scoperto che la
tortura non è solo cosa degli “altri”,
dobbiamo guardare più profondamente all’interno dei nostri paesi. L’esasperazione delle esigenze di sicurezza genera trasformazioni autoritarie
del sistema di governo (come negli Stati Uniti) o crescita delle violenze poliziesche (com’è stato appena documentato in Francia). Non chiudiamo
gli occhi di fronte a queste forme di violenza “minori”, a queste meno palpabili mortificazioni di diritti individuali
e collettivi. Le perversioni dei sistemi
democratici cominciano sempre da
lontano.
L’ORRORE DI CERTE IMMAGINI E LA VERGOGNA CHE SI PROVA
SE UNA DONNA SI RIDUCE
AL RUOLO DI CARNEFICE
NADIA FUSINI
D
i fronte a quelle foto che ritraggono
donne-soldato che si divertono a torturare, a umiliare il nemico, lo shock è
autentico, il dolore vero. Enorme. Enorme la
vergogna. Sì, mi vergogno perché sono donna anch’io. E se non americana, occidentale.
Ma la reazione è ingenua. Perché aspettarsi che le donne siano diverse? Perché aspettarsi che en massenon vinca l’imprinting alienante del ruolo, sul carattere individuale?
Perché non capire che l’ “uomo di guerra” è
una macchina, e la donna pure? E non si è più
né uomo, né donna in quelle condizioni?
Quando lady Macbeth decide di collaborare
col marito (anzi, lo istiga) nell’uccisione del
buon re Duncan, cosa fa per entrare nella
nuova parte di assassina regicida? Invoca gli
spiriti della notte, e si consacra loro con la
specifica richiesta di “desessualizzare” il suo
corpo. Toglietemi il sesso, chiede. Il suo corpo non dovrà offrire latte, ma versare il san-
gue dell’altro; la testa del suo bambino,invece di carezzarla, la schiaccerà tra le mani, la
fracasserà... I carismi femminili — l’accoglienza in sé dell’altro, il dono della vita, la
compassione, la debolezza — dovranno essere pervertiti perché la donna si trasformi in
macchina di guerra.
Al di là dei generi, la guerra, è evidente, non
è cosa che stimoli l’animale razionale a dare il
meglio di sé. Che cosa rende invece l’animale razionale adatto alla civile conversazione?
il riconoscimento dell’altro. Non è civile la
conversazione che esclude l’altro. Che non lo
riconosce. L’altro inteso anche come nemico, prigioniero, l’altro inteso come vittima.
Quello che rende possibile diventare torturatori è quando fallisce in noi la capacità tutta
umana di identificazione con l’altro. Torturo,
se non so immaginarmi nella posizione dell’altro. Il torturatore, inoltre, immagina che i
suoi mali vengano dal di fuori; mentre è dal di
DIARIO
MERCOLEDÌ 19 MAGGIO 2004
STALIN 1934-38
Negli anni Trenta Stalin organizza una
persecuzione di massa. Milioni di persone
vengono deportate nei campi o
sottoposte a pubblici processi basati su
confessioni estorte con la tortura
LA REPUBBLICA 37
L’ALGERIA 1954-1962
La “guerra sporca” della Francia contro il
Fronte di Liberazione in Algeria è segnata
da violenze, torture, esecuzioni sommarie.
Lo stupro è tra i supplizi più diffusi per
ottenere informazioni
IL VIETNAM 1968
Il 16 marzo 1968 soldati statunitensi agli
ordini del tenente William Calley uccidono
nel villaggio di My Lai centinaia di civili. I
soldati si abbandonano alla tortura e allo
stupro degli abitanti
LE CAMERE DI TORTURA E L’IMBAVAGLIAMENTO DELLA STAMPA FRANCESE DI ALLORA
COSA CI HA INSEGNATO
LA GUERRA D’ALGERIA
JEAN DANIEL
sservo il volto di Donald
Rumsfeld mentre si accinge
a confermare gli orrori delle
torture americane in Iraq. È afflitto, sulla difensiva. Capisce che altre testimonianze sopraggiungeranno ad aggravare la colpevolezza
di alcune unità dell’esercito. Prova
vergogna, si scusa, si auto-accusa
soprattutto di non aver informato
George Bush di ciò che egli sapeva
sin da gennaio. La logica di questa
confessione implicherebbe le sue
dimissioni.
George Bush, essendo pertanto
ritenuto all’oscuro dei fatti, non responsabile e non colpevole, può
abbandonarsi al rincrescimento e
persino alla contrizione. È quello
che fa. Osservo anche lui: si vergogna. Presenta le sue scuse al mondo arabo e al popolo iracheno.
Osservo questi due uomini e ricordo. I protagonisti della guerra
d’Algeria, testimoni e vittime, non
possono assistere candidamente a
queste confessioni americane. Ai
commenti di Robert Badinter non
intendo aggiungere altro, bensì
una testimonianza, non un’opinione, ma un’esperienza di vita
vissuta. Penso a Guy Mollet, presidente del Consiglio durante la
guerra d’Algeria, e a Bourgès-Maunoury, suo ministro della Difesa.
All’epoca i miei amici e io non li risparmiammo di certo. Mai e poi
mai ci saremmo sognati di immaginare l’uno o l’altro presentare,
con le stesse parole usate da Bush o
da Rumsfeld, la minima scusa né
tanto meno una confessione. Le
prove brandite della tortura in Algeria non potevano essere altro
che dei falsi colossali, confezionati
dal movimento antifrancese.
Nella democrazia francese del
1957, la stampa era “imbavagliata”
quanto quella degli Stati Uniti – almeno fino alla comparsa delle fotografie delle torture irachene – dal
connubio delle pressioni politicomilitari e dell’autocensura patriottica. Per un testimone formulare la
minima accusa equivaleva a
esporsi personalmente a un processo per «attentato alla sicurezza
‘‘
,,
O
LE IMMAGINI
GLI AUTORI
NELLA storia del diritto, la tortura è stata a lungo accetta e
teorizzata e solo
con l’illuminismo è
stata considerata
un fenomeno non
degno di società civili. Per questo possediamo numerose
testimonianze iconografiche che documentano la storia della tortura, come nell’illustrazione persiana che è
nella copertina di
questo Diario
Il testo di Michel Foucault che compare
nel Sillabario è tratto
da Sorvegliare e punire (Einaudi 1976).
Franco Cordero è
uno dei massimi studiosi italiani di procedura penale. Jean Daniel è uno dei fondatori del settimanale
francese Nouvel Observateur. Nadia Fusini è anglista e scrittrice. Stefano Rodotà, giurista, è presidente dell’Autorità
garante della Privacy
Nel dipinto del pittore
genovese Alessandro
Magnasco (1667-1749)
una scena di torture
messe in opera
dalla Santa
Inquisizione
dentro perlopiù che la vergogna affiora. E il riflesso condizionato è sempre di negare la vergogna e di sfogare la collera, per l’appunto,
sull’altro. Vigliaccamente, sull’altro inerme.
E non vale difendersi dicendo: eseguivo
degli ordini. L’abbiamo sentita già troppe
volte quella frase in bocca a chi nella tortura
ci ha preceduti: nazisti, fascisti, comunisti... I
quali così dicendo dicevano soltanto che tro-
vavano nella cultura un’ampia condivisione
di valori. E’ così oggi? Quegli uomini, quelle
donne americane che torturano condividono della loro civiltà i valori che li portano a
umiliare l’altro? Come prima di loro altri di loro fecero i coi neri, coi vietnamiti?
Se è così, questo è l’orrore. Significa che c’è
un valore condiviso della tortura. Ecco perché si sentono autorizzati a farlo. Si capirebbe così l’allegra indifferenza di quelle foto
abominevoli, la banalità con cui compiono il
male. Sono i figli di un’America che in nome
della difesa di sé si sente autorizzata al peggio.
Quei gesti stridono con l’idealità proclamata
in alto loco di voler diffondere la democrazia.
Apparentemente stridono, perché è invece
proprio nella volontà di potenza americana
che sta il male. Impari l’America a rassegnarsi alla propria impotenza di fronte alla sofferenza altrui. Si rassegni a riconoscere la propria separatezza.
SILENZIO
Nella democrazia francese del 1957
portare la minima testimonianza
equivaleva a esporsi all’accusa di
attentato alla sicurezza dello Stato
interna ed esterna dello Stato». È
capitato a Claude Bourdet e a Gilles
Martinet di France Observateur, a
Jean-Kacques Servan-Schreiber,
Françoise Giroud e me stesso
dell’Express, e credo che sia accaduto anche a George Montaron di
Témoignage chrétien.
Ricordo la voce di François Mauriac dopo la pubblicazione su
France Observateurdi brani del terribile libro di Henri Alleg La Question. Mauriac voleva avere da me
una conferma, perché io ero spesso in loco, ma come doveva scrivere lo storico Henri Masson, docente della Sorbona, «ovunque in Algeria, nessuno può negarlo, hanno
installato delle vere e proprie camere di tortura». Con gli articoli di
Henri Marrou e di Pierre-Henri Simon, le Mondediventava dunque il
quarto dei “grandi traditori”.
DONNE
VITTIME
Sopra, una
donna
sottoposta a
tortura.
Spesso nella
storia le donne
sono state
vittime di
persecuzioni
VOLTAIRE
I Francesi, i quali passano
chi sa perché, per popolo
umanissimo, stupiscono
che gl’Inglesi, abbiano
rinunciato al piacere
d’infliggere la tortura
Dizionario filosofico
1769
EDGAR ALLAN POE
Era la speranza, che trionfa
persino sulla ruota di
tortura, che sussurra
all’orecchio dei condannati
a morte financo negli antri
oscuri dell’Inquisizione
Il pozzo e il pendolo
1843
Come spiegare la differenza nelle reazioni degli Stati Uniti e della
Francia? Perché comunque, tra i
primi segnali d’allarme lanciati
dalla Croce Rossa internazionale
nel gennaio scorso e le requisitorie
della televisione e della stampa
americana, sono passati solamente quattro mesi, mentre in Francia
occorsero più di tre anni perché
fosse reso noto un rapporto della
“Commissione per la protezione
dei Diritti e delle Libertà individuali”, e addirittura cinque anni perché Malraux, a nome del generale
de Gaulle, proponesse a Roger
Martin du Gard, François Mauriac
e Albert Camus, tutti e tre premi
Nobel, di incarnare la coscienza
nazionale nell’ambito di una nuova commissione d’inchiesta sulle
torture. Offerta che tutti declinarono. Detto ciò, né de Gaulle, né Michel Debré, suo primo ministro,
apparvero mai in televisione per
rendere conto alla nazione di quello che i loro predecessori avevano
insabbiato.
Cosa dedurne allora, che la democrazia americana è esemplare,
che la sua stampa è irreprensibile?
Una spiegazione prevale su tutte le
altre: le fotografie. Quelle fotografie sono insopportabili e non falsificabili al tempo stesso. Ma vi sono
stati anche dei giovani americani
che hanno rotto il silenzio per accusare il loro stesso esercito, che si
sono esposti di persona all’accusa
di tradimento, si sono visti rimproverare di aver compromesso la crociata contro il terrorismo. Sono loro oggi gli eroi, coloro che ci fanno
scrivere tutto ciò che stiamo scrivendo. Sono loro ad aver salvato
l’onore del loro paese. Gli Stati Uniti si erano immedesimati – non siamo stati noi gli ultimi ad averlo fatto – con la vergogna di Bush e dei
suoi. Ma ecco che dobbiamo inchinarci davanti a un’altra America.
Detto ciò, il fatto che siamo stati
tutti torturatori e per nulla democratici non potrebbe indurci alla
minima indulgenza, né a relativizzare l’orrore. Coloro che hanno già
corso dei rischi per denunciare la
tortura non avrebbero timore a incontrarsi faccia a faccia con coloro
che vi si sono crogiolati. D’altra
parte, è sbagliato sentenziare che
ogni guerra finisce col cedere agli
stessi metodi autorizzati dal comando americano in Iraq. Il generale Jacques Pâris de Bollardière ha
raccontato come nell’inferno della
guerra indocinese avesse condannato la tortura insieme ad altri ufficiali, senza con ciò mai nuocere all’efficacia delle battaglie. Quel
compagno della Liberazione all’epoca era il generale più decorato
dell’esercito francese.
In Iraq oggi i danni sono a dir poco disastrosi, non soltanto per gli
Stati Uniti, ma per tutto l’Occidente. Questa guerra intrapresa da Bush contro il tiranno Saddam Hussein e il suo atroce regime improvvisamente è percepita come una
guerra coloniale, nella quale i colonizzatori occidentali portano all’estremo l’umiliazione dei colonizzati arabi. Di fatto, è raro che si sia
mai arrivati a tanto in tema di umiliazione. Non per ciò che riguarda
la sola efferatezza – dopo tutto la
storia ha visto di peggio – bensì nell’umiliazione programmata. Dalle
riprovevoli condizioni dell’arresto
di Saddam Hussein fino al trattamento dei sospetti, denudati di
fronte alle donne, abbiamo ormai
visto di tutto. E oggi tutto risulta
molto più critico di ieri.
Traduzione di Anna Bissanti
I FILM
GARAGE
OLIMPO
Nei garagelager argentini
(è il 1978) la
diciottenne
Maria viene
imprigionata
e torturata dal
ragazzo che
aveva affittato
una camera
a casa sua
e l’aveva
corteggiata
Di Marco
Bechis
(1999)
LA
CONFESSIONE
Arrestato
nella Praga
del 1951,
Anton Ludvik
(Yves
Montand)
subisce
interrogatori
estenuanti,
alla fine
dei quali
confessa ogni
possibile
colpa
Di CostaGavras
(1970)
ROMA
CITTÀ
APERTA
Nella Roma
occupata dai
nazisti si
intrecciano
storie umane
e politiche: tra
le altre quella
dell’ingegnere comunista
Manfredi,
denunciato
dalla sua ex
amante, che
morirà per le
torture
Di Roberto
Rossellini
(1945)
IL
CACCIATORE
Tre amici
operai nelle
acciaierie
della
Pennsylvania
partono per il
Vietnam e
vengono
catturati dai
vietcong che
li torturano
con il rituale
della roulette
russa. Di
Michael
Cimino (1978)