TORTURA 19 05 2004
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TORTURA 19 05 2004
MERCOLEDÌ 19 MAGGIO 2004 LA REPUBBLICA 35 DIARIO DI LA DEMOCRAZIA NELL’ETÀ DELLA PAURA Storia di un concetto la cui pratica risale a molti secoli fa ortura”, da torquere, indica l’atto del torcere: ad esempio, filati, rami, tralci, olive, membra umane; così l’aggiustaossa rimedia alle slogature (nel mio dialetto li chiamano “settimini”, presupponendo abilità particolari nei nati prematuri); hanno fine terapeutico anche operazioni intese allo scioglimento delle lingue; tortor chi le compie, mestiere infame. Siccome serve ad eruendam veritatem, il nome dell’interrogatorio assorbe l’idea dei tormenti: quaestio e question (titolo d’un pamphlet contro la tortura nella guerra d’Algeria); in tedesco Frage, più scharf (acuto, tagliente o tutt’e due; e sommato a Richter, giudice, lo stesso aggettivo indica l’esecutore delle pene capitali). Nel francese antico la chiamano gehine o jehine, dal verbo franco che significa “confessare”: l’uso popolare vi ritrova il nome biblico dell’inferno; interrogatori tormentosi (da lì, gêne, il cui significato debole è “disturbo”). Ne parla il Corpus iuris, piuttosto male, come d’un mezzo da prendere con le molle: «res fragilis et periculosa», nota Ulpiano riferendo argomenti tramandati nella retorica greco-romana; il colpevole hard boiled resiste uscendo indenne; l’innocente dai nervi scoperti racconta quel che vogliono, sputando false confessioni prima che l’abbiano toccato, alla sola vista degli arnesi (territio, nella nomenclatura medievale). Sotto quest’aspetto i secoli detti bui sono civili, perché alla morale individualista degl’invasori ripugna che l’uomo libero sia coatto a confessare. I giudizi penali diventano affare agonistico. Figura classica i duelli. Altrove l’accusato “purga” l’accusa giurandosi puro, ma non basta: deve esibire dei coniuratores nel numero e dignità stabilito da chi giudica; i quali non testimoniano sui fatti, affermano una qualità dell’uomo; la coniuratio misura l’ascendente sociale. Terza tecnica l’ordalia, da Urteil, giudizio. Lo iudicium Dei consiste nel sottoporre una delle parti (individuata dalla sentenza) a esperimenti d’esito prevedibile: normalmentee subisce ustioni chi corre a piedi nudi su carboni accesi o vomeri incandescenti o impugna un ferro rovente (iudicium ferri candentis); o affonda il braccio nel calderone d’acqua bollente (iudicium aquae ferventis); quando esca incolume, ha vinto. Tutte le probabilità gli stanno contro, ma essendo spesso manipolato l’esperimento, gli esiti dipendono da materiali istruttori occulti. Le purgationes vulgares non soddisfano più un secolo evoluto qual è il Duecento: erano rito quasi liturgico; le squalifica il IV Concilio Laterano, 1215, vietando ogni commistione ecclesiastica. Dal tardo XI secolo sono riemerse le fonti romane: il Corpus iuris vie- Ma che cosa significa oggi esercitare la violenza fisica? “T TORTURA Quandovieneprofanatoilcorpo FRANCO CORDERO ne subito dopo la Bibbia; la quaestio ad eruendam veritatem vi figura; e nella metamorfosi inquisitoria ricrescerebbe anche se restassero sepolti i Libri terribiles, perché la nuova procedura richiede conclusioni storiche sicure. Affare arduo, ma lo spirito scientifico duecentesco, coniugato a teologie pessimistiche (il male pullula, l’inferno incombe), suggerisce l’equazione: c’è una persona i cui interni mentali contengono la chiave del caso; colpevole o inno- cente, l’inquisito sa cose utili al processo; bisogna captargli le memorie; i tormenti favoriscono lo scandaglio introspettivo. L’istruttore diventa psicanalista. Gl’interrogatori forniscono enormi flussi verbali: i notai criminali li raccolgono usando solo più carta; costerebbe troppo la pergamena usata nei vecchi giudizi, dove correvano poche parole. Nei testi legislativi la gehenna appare a Verona, 1228: forse l’uso precede le norme, ma consolida- mento e diffusione avvengono in tempi piuttosto lunghi se cade nella terzultima decade del secolo la prima opera didattica sull’argomento (matrice della letteratura penalistica moderna), l’anonimo Tractatus de tormentis. Papa Innocenzo IV detta un ordine ai Comuni dell’Italia settentrionale: i podestà estorcano confessioni da ogni eretico su cui mettono le mani, costringendoli anche a nominare i correi, «latrones et homicidae animarum»; basterà che l’esa- minato resti vivo e intero (Ad extirpanda, 15 maggio 1252). Così rinasce la quaestio durando oltre mezzo millennio. Lunghissima, ignobile storia sotto maschera ipocrita. Vigono pseudogarantismi, ad esempio che i tormenti non siano reiterabili su chi li ha sostenuti «purgando gl’indizi a suo carico»: formula assurda, fuori della sofisticata logica inquisitoria; fosse così, la tortura sarebbe un’ordalia, roba obsoleta; l’incongrua regola, infatti, resta sulla Unione europea MICHEL FOUCAULT TORTURA. “ “ Perugino il divin pittore Perugia - Umbria 28 febbraio 18 luglio 2004 Galleria Nazionale dell’Umbria palazzo dei Priori - corso Vannucci, 19 Tutti i giorni 9.00-20.00, sabato 9.00-22.00 Perugia La fortuna e il mito Città della Pieve Perugino e il paesaggio Perugino e la miniatura umbra del rinascimento Deruta La ceramica umbra al tempo di Perugino Corciano Perugino pittore devozionale Infoline 02 54919 www.perugino.it ALLA fine del secolo XVIII, la tortura sarà denunciata come residuo di barbarie di un’altra età: marchio di una ferocia, che verrà denunciata come “gotica”. E’ vero che la pratica della tortura ha origini lontane: l’Inquisizione, naturalmente, ed anche senza dubbio, più in là, i supplizi degli schiavi. Ma non figura nel diritto classico come una cicatrice o una macchia. Ha un suo posto rigoroso in un meccanismo penale complesso in cui la dimostrazione scritta ha bisogno di un correlativo orale, in cui si domanda all’accusato – all’occorrenza con la più violenta delle costrizioni – di giocare nella procedura il ruolo del patner volontario, in cui si tratta insomma di far produrre la verità da un meccanismo a due elementi - quello dell’inchiesta condotta in segreto dall’autorità giudiziaria e quello dell’atto compiuto ritualmente dall’accusato… La tortura giudiziaria, nel secolo XVIII, funziona in questa strana economia in cui il rituale che produce la verità va di pari passo col rituale che impone la punizione. Il corpo interrogato nel supplizio è il punto di applicazione del castigo e il luogo di estorsione della verità. carta, elusa da deroghe legali e astuzie pratiche. L’inquisito è animale da confessione, adoperabile finché l’analista vi abbia interesse. Trasudano malafede i lamenti tramandati nei secoli sugli abusi. Li declamano a freddo, con le stesse parole, dottori, giudici, consulenti, integrati nel sistema. L’ordigno dura tanto perché viene comodo: oltre date soglie qualunque paziente capitola; l’operatore sbroglia i casi come vuole. Gli esami in tormentis sono materia amorfa: nei lavori preparatori dell’Ordonnamce criminelle 1680, capolavoro d’arte legislativa, Guillaume Lamoignon chiedeva una disciplina del modo d’eseguirli, visti i frequenti e gravi danni corporali; no, risponde Henri Pussort, emissario del re, sarebbe indecente «dans une Ordonnance». Sono i “filosofi” a seppellire l’istituto. I sovrani assoluti l’aboliscono ignorando gli allarmi delle magistrature (ad esempio, Gabriele Verri a Milano, autore d’una consulta negativa a Maria Teresa, 19 aprile 1776): comincia Federico II da Berlino, appena salito al trono, 3 giugno 1740; ultimo arriva Luigi XVI, in due tempi, 24 agosto 1780 e otto anni dopo. Stiamo parlando della tortura ufficiale, talvolta rimpianta. Anno Domini 1947 F. Carnelutti deplora le fisime illuministiche d’inviolabilità della psiche: la pena è una medicina; al reo giova confessarsi colpevole; se qualche espediente garantisce risposte sicure senza causare «danni notevoli al corpo», adoperiamolo. Mettere aliquem in perturbatione è routine nei regimi totalitari (Gestapo, Nkvd, generali sudamericani): i rei confessi dei dibattimenti moscoviti 1936-38 recitano scene pattuite dietro le quinte; Arthur Koestler l’aveva intuito (Buio a mezzogiorno). L’ultimo esempio viene da Abu Ghraib, con una notevole variante: gehenna canonica e residui himmleriani, stalinisti, ecc., erano lavoro tecnico, eseguito nel modo freddo, attento, coscienzioso, in cui un sarto taglia e cuce, l’alchimista distilla, il medico ausculta. Nei documenti iracheni figurano pantomime il cui genere prossimo sono le Cent Vingt Journées de Sodome, opera postuma del famoso marchese: piramidi umane, uomini al guinzaglio, spettatori ghignanti, feste nere; spira allegra Schadenfreude o gusto gratuito del male inflitto ad animali inermi, meglio se umani. Su un punto però Donad Rumsfeld imita Ippolito Marsili, titolare della prima cattedra penalistica italiana (Bologna, 1509), vecchio praticone devoto alla Madonna, testa sconnessa, campione d’uno stile disinvolto (bastasse negare l’indomani le cose confessate sotto i tormenti, esclama, la forca rimarrebbe vedova): tutt’e due raccomandano la tortura del sonno; lo stress ammorbidisce gl’inquisiti. DIARIO 36 LA REPUBBLICA LE TAPPE PRINCIPALI GLI SCHIAVI Nell’antica Roma è ammessa la tortura degli schiavi. Una delle torture più praticate è la flagellazione che consiste nel frustare a sangue lo schiavo fino a sfinirlo L’INQUISIZIONE XIII SEC. Il primo tribunale della Santa Inquisizione è istituito a Tolosa nel 1233. Nel 1252 papa Innocenzo IV autorizza il supplizio per estorcere la confessione. Le torture vanno dalla fustigazione fino alla morte MERCOLEDÌ 19 MAGGIO 2004 LE STREGHE XV SECOLO Con bolla papale le streghe sono dichiarate nemiche della religione cristiana. Le streghe, consegnate all’Inquisizione, sono destinate a essere bruciate vive UN REGIME LIBERALE NON PUÒ APPLICARE MEZZI COERCITIVI CHE LEDONO LA DIGNITÀ QUEI DIRITTI VIOLATI MA IRRINUNCIABILI STEFANO RODOTÀ I LIBRI EVA CANTARELLA I supplizi capitali in Grecia e a Roma, Rizzoli 2000 LAURA RANGONI La tortura, Xenia 2003 SERGIO D’ELIA, MAURIZIO TURCO Tortura democratica, Marsilio 2002 FRANÇOISE SIRONI Persecutori e vittime, Feltrinelli 2001 AMNESTY INTERNATI ONAL Non sopportiamo la tortura, Rizzoli 2000 GEORGE RILEY SCOTT Storia della tortura, Mondadori 1999 CESARE BECCARIA Dei delitti e delle pene, Feltrinelli 1991 PIETRO VERRI Osservazioni sulla tortura, Newton Compton 1994 FRIEDRICH VON SPEE Cautio criminalis, ovvero dei processi alle streghe, Salerno Editrice 1986 HENRI ALLEG La tortura, Einaudi 1958 PIERRE VIDALNAQUET Lo stato di tortura. La guerra d’Algeria e la crisi della democrazia francese, Laterza 1963 P uò la democrazia sopravvivere nell’età della paura? La domanda è radicale, ma ineludibile, come sempre accade quando ci si trova di fronte al lato oscuro dell’esercizio del potere, all’improvvisa scoperta che la democrazia può convertirsi nel suo contrario. La rivelazione delle torture al tempo della guerra d’Algeria contribuì potentemente a rendere la causa francese non più difendibile agli occhi del mondo. La tortura, il piccolo libro di un francese seviziato dai suoi connazionali, Henri Alleg, scosse l’opinione pubblica e fu accompagnato da un “J’accuse” di JeanPaul Sartre che analizzava i meccanismi che portano alla degradazione dell’umano, con un terribile rituale che abbiamo poi riconosciuto in infinite altre situazioni, nei mille Garage Olimpo che la fine d’ogni dittatura fa scoprire. Con orrore, ma senza sorpresa, perché sappiamo che quei regimi non possono fare a meno di meccanismi di annientamento che vanno ben al di là dell’estorcere una informazione. Ma che cosa accade quando sono le democrazie a torturare? Con la tortura tutto cambia, si varca una linea di confine che separa i regimi politici e, prima ancora, le culture che fondano una convivenza civile. Oggi che la tortura è di nuovo tra noi, non possiamo limitarci all’indignazione. Dobbiamo di nuovo interrogarci sulla natura delle nostre democrazie, e fronteggiare il timore che si abbia a che fare con una istituzione clandestina, sempre pronta a riaffiorare. Riusciremo mai ad estirparla? Intanto, diciamo no a tutti i tentativi di “relativizzare” la tortura. La terrificante decapitazione di Nick Berg o l’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi sono assolutamente intollerabili, esprimono qualcosa che non ci appartiene e che dobbiamo contrastare, ma non possono offrire neppure un briciolo di giustificazione a qualsiasi forma di tortura. Il ricordo delle violenze ai tempi di Saddam Hussein nella stessa prigione di Abu Ghraib non autorizza indulgenze verso quelle di oggi con l’argomento che le democrazie sono capaci di reazioni sconosciute alle dittature. Non è possibile stabilire tassi di “accettabilità democratica” delle torture secondo la natura dei mezzi adoperati o la particolarità di alcune situazioni. Non è ammissibile che, oltre al corpo, si violi anche l’identità culturale e religiosa del prigioniero. La democrazia non conosce la legge del taglione, non può mai spiegare o giustificare la propria inciviltà con la barbarie degli altri. Le sue radici sono in valori irrinunciabili, in fini non negoziabili. Non è ammissibile alcuna “ponderazione”, che ci porterebbe all’esito paradossale di definire la democrazia non per ciò che essa stessa riesce ad esprimere, ma in ragione del suo opposto. O vogliamo soltanto rassicurarci, dicendo a noi stessi che, davanti ad altri e più terribili orrori, possiamo posare senza troppi ri- ‘‘ ,, LIMITE La democrazia non conosce la legge del taglione, non può mai spiegare o giustificare la propria inciviltà con la barbarie di altri morsi gli occhi sulle immagini venute dalle carceri irakene? Nel suo divenire, la democrazia ha attribuito valore crescente alla dignità della persona. Con una innovazione culturale ed istituzionale di grande significato, la costituzione tedesca del 1949 si apre con le parole «la dignità umana è intangibile». Qui si coglie immediatamente la volontà di rifiutare il passato nazista, di tracciare un confine invalicabile oltre il quale, come mostrava proprio l’esperienza storica, non solo la democrazia era perduta, ma scompariva ogni diritto della persona. Il senso profondo della democrazia era proiettato al di là del suo essere regola del gioco politico. Incorporava pienamente la dimensione dell’umano, dalla quale ormai non può più separarsi senza negare la sua stessa natura. Veniva così avviata quella «costituzionalizzazione della persona» che ha trovato piena espressione nella “Carta dei diritti fondamentali” dell’Unione europea del 2000. Proprio la memoria del Novecento, che ha conosciuto altre tragedie insieme a quella nazista, ha spinto l’Europa ad adottare lo stesso schema della legge fondamentale tedesca. «La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata»: questo è il testo del primo articolo della Carta. Vi è dunque un grande obbligo di coerenza con questi principi che deve accompagnare l’agire dei regimi democratici. La storia del costituzionalismo ci mostra come si sia passati da una fase in cui l’accento era posto soprattutto sulle procedure e l’organizzazione dello Stato ad una in cui diventa fonda- mentale il quadro delle libertà e dei diritti, alla cui realizzazione è finalizzato poi l’insieme degli strumenti istituzionali (elezioni, forma di Stato, forma di governo). Chi vuole “esportare” democrazia, quindi, dovrebbe essere ben consapevole del valore assolutamente prioritario assunto dalla garanzia dei diritti fondamentali che, più d’ogni proclamazione astratta delle virtù democratiche, può consentire la creazione di un consenso intorno a valori comuni. Per questo è pericoloso offrire giustificazioni a qualsiasi forma di tortura, come si è cominciato a fare negli Stati Uniti già all’indomani dell’11 settembre, creando così le premesse “culturali” che hanno reso legittime agli occhi dei servizi segreti e dei comandi militari le istruzioni volte ad ottenere a qualsiasi costo informazioni da parte dei prigionieri. Chi imbocca questa strada si assume grandi responsabilità. Indebolisce il significato della democrazia e dà una indicazione che può anche rivelarsi inefficiente. Molti, infatti, sottolineano il rischio di distorsioni che accompagna le informazioni fornite sotto tortura, di una deriva illusoria che porta a trascurare l’essenzialità delle più faticose attività investigative. Non è dunque l’immagine di una democrazia inerme e arrendevole quella che ci viene dalla critica radicale della tortura, ma di una democrazia che la forza delle cose obbliga a riflettere più profondamente su se stessa. Storicamente, da queste prove la democrazia è uscita rafforzata proprio quando ne ha tratto ragione per una più profonda affermazione dei suoi valori. La constatazione, per qualcuno rassegnata o cinica, di una pratica della tortura ancora diffusa nel mondo dovrebbe indurre a considerare la vi- CESARE BECCARIA E’ così poco libero dire la verità fra gli spasimi e gli strazi… Allora l’innocente sensibile si chiamerà reo, quando egli creda con ciò di far cessare il tormento Dei delitti e delle pene 1764 ELIAS CANETTI Fu incatenato, gettato in prigione e condannato a ricevere mille bastonate. Mediante la tortura fu costretto a confessare i suoi delitti Auto da fé 1981 INQUISIZIONE E MARTIRI Sopra, un’incisione rappresenta una scena di tortura operata dalla Santa Inquisizione. A sinistra un dipinto raffigura il martirio di Santa Giuliana cenda irakena non come una parentesi da chiudere frettolosamente, ma come l’impietosa rivelazione d’una verità che i democratici di tutto il mondo dovrebbero porre a base d’una azione quotidiana contro questa violenza estrema. Ora che abbiamo scoperto che la tortura non è solo cosa degli “altri”, dobbiamo guardare più profondamente all’interno dei nostri paesi. L’esasperazione delle esigenze di sicurezza genera trasformazioni autoritarie del sistema di governo (come negli Stati Uniti) o crescita delle violenze poliziesche (com’è stato appena documentato in Francia). Non chiudiamo gli occhi di fronte a queste forme di violenza “minori”, a queste meno palpabili mortificazioni di diritti individuali e collettivi. Le perversioni dei sistemi democratici cominciano sempre da lontano. L’ORRORE DI CERTE IMMAGINI E LA VERGOGNA CHE SI PROVA SE UNA DONNA SI RIDUCE AL RUOLO DI CARNEFICE NADIA FUSINI D i fronte a quelle foto che ritraggono donne-soldato che si divertono a torturare, a umiliare il nemico, lo shock è autentico, il dolore vero. Enorme. Enorme la vergogna. Sì, mi vergogno perché sono donna anch’io. E se non americana, occidentale. Ma la reazione è ingenua. Perché aspettarsi che le donne siano diverse? Perché aspettarsi che en massenon vinca l’imprinting alienante del ruolo, sul carattere individuale? Perché non capire che l’ “uomo di guerra” è una macchina, e la donna pure? E non si è più né uomo, né donna in quelle condizioni? Quando lady Macbeth decide di collaborare col marito (anzi, lo istiga) nell’uccisione del buon re Duncan, cosa fa per entrare nella nuova parte di assassina regicida? Invoca gli spiriti della notte, e si consacra loro con la specifica richiesta di “desessualizzare” il suo corpo. Toglietemi il sesso, chiede. Il suo corpo non dovrà offrire latte, ma versare il san- gue dell’altro; la testa del suo bambino,invece di carezzarla, la schiaccerà tra le mani, la fracasserà... I carismi femminili — l’accoglienza in sé dell’altro, il dono della vita, la compassione, la debolezza — dovranno essere pervertiti perché la donna si trasformi in macchina di guerra. Al di là dei generi, la guerra, è evidente, non è cosa che stimoli l’animale razionale a dare il meglio di sé. Che cosa rende invece l’animale razionale adatto alla civile conversazione? il riconoscimento dell’altro. Non è civile la conversazione che esclude l’altro. Che non lo riconosce. L’altro inteso anche come nemico, prigioniero, l’altro inteso come vittima. Quello che rende possibile diventare torturatori è quando fallisce in noi la capacità tutta umana di identificazione con l’altro. Torturo, se non so immaginarmi nella posizione dell’altro. Il torturatore, inoltre, immagina che i suoi mali vengano dal di fuori; mentre è dal di DIARIO MERCOLEDÌ 19 MAGGIO 2004 STALIN 1934-38 Negli anni Trenta Stalin organizza una persecuzione di massa. Milioni di persone vengono deportate nei campi o sottoposte a pubblici processi basati su confessioni estorte con la tortura LA REPUBBLICA 37 L’ALGERIA 1954-1962 La “guerra sporca” della Francia contro il Fronte di Liberazione in Algeria è segnata da violenze, torture, esecuzioni sommarie. Lo stupro è tra i supplizi più diffusi per ottenere informazioni IL VIETNAM 1968 Il 16 marzo 1968 soldati statunitensi agli ordini del tenente William Calley uccidono nel villaggio di My Lai centinaia di civili. I soldati si abbandonano alla tortura e allo stupro degli abitanti LE CAMERE DI TORTURA E L’IMBAVAGLIAMENTO DELLA STAMPA FRANCESE DI ALLORA COSA CI HA INSEGNATO LA GUERRA D’ALGERIA JEAN DANIEL sservo il volto di Donald Rumsfeld mentre si accinge a confermare gli orrori delle torture americane in Iraq. È afflitto, sulla difensiva. Capisce che altre testimonianze sopraggiungeranno ad aggravare la colpevolezza di alcune unità dell’esercito. Prova vergogna, si scusa, si auto-accusa soprattutto di non aver informato George Bush di ciò che egli sapeva sin da gennaio. La logica di questa confessione implicherebbe le sue dimissioni. George Bush, essendo pertanto ritenuto all’oscuro dei fatti, non responsabile e non colpevole, può abbandonarsi al rincrescimento e persino alla contrizione. È quello che fa. Osservo anche lui: si vergogna. Presenta le sue scuse al mondo arabo e al popolo iracheno. Osservo questi due uomini e ricordo. I protagonisti della guerra d’Algeria, testimoni e vittime, non possono assistere candidamente a queste confessioni americane. Ai commenti di Robert Badinter non intendo aggiungere altro, bensì una testimonianza, non un’opinione, ma un’esperienza di vita vissuta. Penso a Guy Mollet, presidente del Consiglio durante la guerra d’Algeria, e a Bourgès-Maunoury, suo ministro della Difesa. All’epoca i miei amici e io non li risparmiammo di certo. Mai e poi mai ci saremmo sognati di immaginare l’uno o l’altro presentare, con le stesse parole usate da Bush o da Rumsfeld, la minima scusa né tanto meno una confessione. Le prove brandite della tortura in Algeria non potevano essere altro che dei falsi colossali, confezionati dal movimento antifrancese. Nella democrazia francese del 1957, la stampa era “imbavagliata” quanto quella degli Stati Uniti – almeno fino alla comparsa delle fotografie delle torture irachene – dal connubio delle pressioni politicomilitari e dell’autocensura patriottica. Per un testimone formulare la minima accusa equivaleva a esporsi personalmente a un processo per «attentato alla sicurezza ‘‘ ,, O LE IMMAGINI GLI AUTORI NELLA storia del diritto, la tortura è stata a lungo accetta e teorizzata e solo con l’illuminismo è stata considerata un fenomeno non degno di società civili. Per questo possediamo numerose testimonianze iconografiche che documentano la storia della tortura, come nell’illustrazione persiana che è nella copertina di questo Diario Il testo di Michel Foucault che compare nel Sillabario è tratto da Sorvegliare e punire (Einaudi 1976). Franco Cordero è uno dei massimi studiosi italiani di procedura penale. Jean Daniel è uno dei fondatori del settimanale francese Nouvel Observateur. Nadia Fusini è anglista e scrittrice. Stefano Rodotà, giurista, è presidente dell’Autorità garante della Privacy Nel dipinto del pittore genovese Alessandro Magnasco (1667-1749) una scena di torture messe in opera dalla Santa Inquisizione dentro perlopiù che la vergogna affiora. E il riflesso condizionato è sempre di negare la vergogna e di sfogare la collera, per l’appunto, sull’altro. Vigliaccamente, sull’altro inerme. E non vale difendersi dicendo: eseguivo degli ordini. L’abbiamo sentita già troppe volte quella frase in bocca a chi nella tortura ci ha preceduti: nazisti, fascisti, comunisti... I quali così dicendo dicevano soltanto che tro- vavano nella cultura un’ampia condivisione di valori. E’ così oggi? Quegli uomini, quelle donne americane che torturano condividono della loro civiltà i valori che li portano a umiliare l’altro? Come prima di loro altri di loro fecero i coi neri, coi vietnamiti? Se è così, questo è l’orrore. Significa che c’è un valore condiviso della tortura. Ecco perché si sentono autorizzati a farlo. Si capirebbe così l’allegra indifferenza di quelle foto abominevoli, la banalità con cui compiono il male. Sono i figli di un’America che in nome della difesa di sé si sente autorizzata al peggio. Quei gesti stridono con l’idealità proclamata in alto loco di voler diffondere la democrazia. Apparentemente stridono, perché è invece proprio nella volontà di potenza americana che sta il male. Impari l’America a rassegnarsi alla propria impotenza di fronte alla sofferenza altrui. Si rassegni a riconoscere la propria separatezza. SILENZIO Nella democrazia francese del 1957 portare la minima testimonianza equivaleva a esporsi all’accusa di attentato alla sicurezza dello Stato interna ed esterna dello Stato». È capitato a Claude Bourdet e a Gilles Martinet di France Observateur, a Jean-Kacques Servan-Schreiber, Françoise Giroud e me stesso dell’Express, e credo che sia accaduto anche a George Montaron di Témoignage chrétien. Ricordo la voce di François Mauriac dopo la pubblicazione su France Observateurdi brani del terribile libro di Henri Alleg La Question. Mauriac voleva avere da me una conferma, perché io ero spesso in loco, ma come doveva scrivere lo storico Henri Masson, docente della Sorbona, «ovunque in Algeria, nessuno può negarlo, hanno installato delle vere e proprie camere di tortura». Con gli articoli di Henri Marrou e di Pierre-Henri Simon, le Mondediventava dunque il quarto dei “grandi traditori”. DONNE VITTIME Sopra, una donna sottoposta a tortura. Spesso nella storia le donne sono state vittime di persecuzioni VOLTAIRE I Francesi, i quali passano chi sa perché, per popolo umanissimo, stupiscono che gl’Inglesi, abbiano rinunciato al piacere d’infliggere la tortura Dizionario filosofico 1769 EDGAR ALLAN POE Era la speranza, che trionfa persino sulla ruota di tortura, che sussurra all’orecchio dei condannati a morte financo negli antri oscuri dell’Inquisizione Il pozzo e il pendolo 1843 Come spiegare la differenza nelle reazioni degli Stati Uniti e della Francia? Perché comunque, tra i primi segnali d’allarme lanciati dalla Croce Rossa internazionale nel gennaio scorso e le requisitorie della televisione e della stampa americana, sono passati solamente quattro mesi, mentre in Francia occorsero più di tre anni perché fosse reso noto un rapporto della “Commissione per la protezione dei Diritti e delle Libertà individuali”, e addirittura cinque anni perché Malraux, a nome del generale de Gaulle, proponesse a Roger Martin du Gard, François Mauriac e Albert Camus, tutti e tre premi Nobel, di incarnare la coscienza nazionale nell’ambito di una nuova commissione d’inchiesta sulle torture. Offerta che tutti declinarono. Detto ciò, né de Gaulle, né Michel Debré, suo primo ministro, apparvero mai in televisione per rendere conto alla nazione di quello che i loro predecessori avevano insabbiato. Cosa dedurne allora, che la democrazia americana è esemplare, che la sua stampa è irreprensibile? Una spiegazione prevale su tutte le altre: le fotografie. Quelle fotografie sono insopportabili e non falsificabili al tempo stesso. Ma vi sono stati anche dei giovani americani che hanno rotto il silenzio per accusare il loro stesso esercito, che si sono esposti di persona all’accusa di tradimento, si sono visti rimproverare di aver compromesso la crociata contro il terrorismo. Sono loro oggi gli eroi, coloro che ci fanno scrivere tutto ciò che stiamo scrivendo. Sono loro ad aver salvato l’onore del loro paese. Gli Stati Uniti si erano immedesimati – non siamo stati noi gli ultimi ad averlo fatto – con la vergogna di Bush e dei suoi. Ma ecco che dobbiamo inchinarci davanti a un’altra America. Detto ciò, il fatto che siamo stati tutti torturatori e per nulla democratici non potrebbe indurci alla minima indulgenza, né a relativizzare l’orrore. Coloro che hanno già corso dei rischi per denunciare la tortura non avrebbero timore a incontrarsi faccia a faccia con coloro che vi si sono crogiolati. D’altra parte, è sbagliato sentenziare che ogni guerra finisce col cedere agli stessi metodi autorizzati dal comando americano in Iraq. Il generale Jacques Pâris de Bollardière ha raccontato come nell’inferno della guerra indocinese avesse condannato la tortura insieme ad altri ufficiali, senza con ciò mai nuocere all’efficacia delle battaglie. Quel compagno della Liberazione all’epoca era il generale più decorato dell’esercito francese. In Iraq oggi i danni sono a dir poco disastrosi, non soltanto per gli Stati Uniti, ma per tutto l’Occidente. Questa guerra intrapresa da Bush contro il tiranno Saddam Hussein e il suo atroce regime improvvisamente è percepita come una guerra coloniale, nella quale i colonizzatori occidentali portano all’estremo l’umiliazione dei colonizzati arabi. Di fatto, è raro che si sia mai arrivati a tanto in tema di umiliazione. Non per ciò che riguarda la sola efferatezza – dopo tutto la storia ha visto di peggio – bensì nell’umiliazione programmata. Dalle riprovevoli condizioni dell’arresto di Saddam Hussein fino al trattamento dei sospetti, denudati di fronte alle donne, abbiamo ormai visto di tutto. E oggi tutto risulta molto più critico di ieri. Traduzione di Anna Bissanti I FILM GARAGE OLIMPO Nei garagelager argentini (è il 1978) la diciottenne Maria viene imprigionata e torturata dal ragazzo che aveva affittato una camera a casa sua e l’aveva corteggiata Di Marco Bechis (1999) LA CONFESSIONE Arrestato nella Praga del 1951, Anton Ludvik (Yves Montand) subisce interrogatori estenuanti, alla fine dei quali confessa ogni possibile colpa Di CostaGavras (1970) ROMA CITTÀ APERTA Nella Roma occupata dai nazisti si intrecciano storie umane e politiche: tra le altre quella dell’ingegnere comunista Manfredi, denunciato dalla sua ex amante, che morirà per le torture Di Roberto Rossellini (1945) IL CACCIATORE Tre amici operai nelle acciaierie della Pennsylvania partono per il Vietnam e vengono catturati dai vietcong che li torturano con il rituale della roulette russa. Di Michael Cimino (1978)