dolore

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IOSI
Servizio Cure Palliative
I-CURPAL-015
DOLORE
SINTOMI:
SOMMARIO
1.
Definizione e introduzione
p. 1
2.
Concetto di dolore globale
p. 2
2.1
2.2
2.3
2.4
p. 3
p. 3
p. 3
p. 4
3.
4.
5.
Aspetto psicologico
Aspetto spirituale / culturale
Aspetto sociale
Aspetto somatico: fisiopatologia
Assistenza infermieristica
p. 7
3.1
3.2
3.3
3.4
p. 7
p. 8
p. 8
p. 9
Osservare/percepire, valutare, analizzare
Curare, occuparsi del paziente
Informare, insegnare, consigliare
Allegato: Articolo sul placebo
Assistenza medica
p. 11
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
4.7
4.8
p. 11
p. 13
p. 14
p. 18
p. 18
p. 18
p. 19
p. 19
Osservazioni introduttive
Farmacoterapia del dolore
Terapia con oppioidi
Sostanze alternative alla morfina
Calcoli di conversione
Medicamenti adiuvanti
Analgesia spinale
Blocchi nervosi e neurochirurgia
Terapia non medicamentosa
p. 20
5.1
p. 20
Fisioterapia
1. DEFINIZIONE
“Il dolore è quello che esprime il paziente ed esiste ogni volta che il paziente lo
esprime”
Mc. Caffery, 1976
Data di emissione: 18.09.07
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1. INTRODUZIONE
Sono numerosi gli studi che confermano che la maggior parte dei malati di cancro hanno dei dolori durante
l’evoluzione della loro malattia. Purtroppo spesso molti di loro non ricevono tuttora un trattamento adeguato.
(Grossman et al., 1991; MacDonald, 2003)
I motivi possibili per questa situazione:
-
lacune nella conoscenza delle diverse componenti del dolore
-
lacune nella conoscenza delle diverse strategie per arrivare al controllo di questo sintomo
-
divergenze di percezione tra curanti e malati nella valutazione dell’intensità del dolore, che ha
per conseguenza la scelta di un’analgesia inadeguata.
-
collaborazione insufficiente tra le diverse figure professionali
→ assenza di équipe interdisciplinari
Partendo dai motivi elencati abbiamo sviluppato questo capitolo con l’intento di apportare delle risposte al
personale curante (infermieri-medici) che è confrontato con la sofferenza dei loro pazienti.
2. IL CONCETTO DEL DOLORE GLOBALE
L’ipotesi facile “il grado di dolore è proporzionale al danno” si scontra con l’esperienza personale e nella pratica
quotidiana del personale curante. Es. un grado di artrite simile tra due persone può fare dell’una un’inferma,
mentre l’altra può condurre ancora una vita abbastanza attiva. Queste situazioni sottolineano il fatto che il dolore
è soggettivo e che è in stretto rapporto sia con l’entità del danno fisico sia con fattori emotivi.
Se i fattori emotivi possono modificare il dolore cronico “benigno” dell’artrite, possiamo pensare che essi giocano
un ruolo ancora più importante nel dolore causato dal cancro.
Fu proprio per far risaltare questa complessità del dolore nei malati di cancro che Cicely Saunders parlò per
prima del dolore globale (1967). Lo descrisse come un insieme di più componenti: fisica, emotiva, sociale e
spirituale; aggiungendo che se non si presta attenzione ad ognuna di queste componenti, un alleviamento del
dolore sarà improbabile.
fisico
psicologico
dolore globale
spirituale
sociale
Il termine “ dolore globale” è a volte utilizzato per descrivere i diversi aspetti della sofferenza nella malattia in
fase terminale. In questo contesto vogliamo dargli il suo significato originale e più limitato, analizzando
l’approccio al malato che dice: “ho male”.
Definizione di C. Saunders: “Dolore globale: dolore cronico e persistente che destabilizza l’ammalato sia sul
piano fisico, psicologico, interpersonale ed esistenziale che sul piano sociale ed economico”.
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2.1 Aspetto psicologico
Prendendo in considerazione l’uomo come globalità bio-psico-sociale, diventa difficile studiare il fenomeno del
dolore unicamente sotto un’ottica psicologica.
Le influenze che intercorrono tra soma e psiche sono conosciute fin dall’antichità. E’ un dato di fatto che
esistono dei meccanismi attraverso i quali la psiche può interferire nella percezione e nell’espressione di un
dolore fisico, come pure un dolore somatico può avere notevoli ripercussioni sulla psiche dell’individuo.
Al giorno d’oggi alla luce delle nuove scoperte fisiologiche, il concetto di dolore è stato ridefinito. Esso viene
descritto non solo come sensazione ma anche come emozione. Il dolore assume la connotazione di
un’esperienza intima e soggettiva, quest’ultima è incisiva e rimane nel ricordo esercitando un’influenza
sull’atteggiamento dell’individuo. Tutto quello che la persona descrive come dolore va preso in considerazione
come tale. La presenza di dolore non presuppone la messa in evidenza di una lesione organica, ma si determina
attraverso quello che il soggetto dice.
Il dolore è anche ansia, disturbi dell’umore, depressione, sentimento di solitudine, di incompletezza e
d’incapacità nel controllare la situazione.
Le conseguenze emotive prodotte dal dolore possono portare alla nascita di sentimenti quali:
-
la paura che il dolore possa divenire incontrollabile
la paura di morire
la paura di perdere l’autocontrollo mentale o fisico
la paura di perdere il proprio ruolo sociale
la paura di perdere la propria autonomia
ecc.
Le paure, gli stati d’animo, i sentimenti e il carattere stesso di una persona hanno la capacità di influenzare in
modo più o meno marcato la percezione del dolore.
2.2 Aspetto culturale e spirituale
Le reazioni tipiche individuali al dolore sono pure influenzate dall’educazione, dal contesto sociale e dalle
credenze religiose. Il modo in cui viene vissuto il dolore attinge dalla storia culturale dell’essere umano. Ogni
società ha elaborato un proprio significato dell’esperienza dolorosa; il dolore può essere vissuto come un modo
per espiare le colpe terrene, oppure per dimostrare la propria forza (es. rituali d’iniziazione).
Oggi nelle collettività occidentali vige come modello di referenza l’individuo sano, giovane e dinamico. Il dolore
viene separato dall’esperienza quotidiana e viene relegato nei luoghi competenti come ad esempio gli ospedali.
L’individuo si vede così privato degli strumenti culturali atti a meglio comprendere e gestire la propria sofferenza
e quella dei suoi simili.
Chi è confrontato con una malattia grave che lo conduce alla morte, può ritrovarsi in certi momenti a meditare
sulla vita e sul suo significato. Può manifestare dei sensi di colpa per le occasioni mancate, per le cose non
fatte, per relazioni andate male. Può essere inquieto per quello che succederà dopo la morte.
Tutti questi fattori possono causare ansia, insonnia e aggravare il dolore.
2.3 Aspetto sociale
L’ammalato di cancro durante la sua malattia va incontro a tutta una serie di perdite:
-
la perdita della forza fisica e quindi di autonomia,
le perdite legate al ruolo sociale (posto di lavoro, carica pubblica, ecc.),
le perdite legate al ruolo familiare.
In quest’ultimo ambito subentra spesso l’angoscia, la sofferenza per la propria famiglia, soprattutto se
comprende persone che dipendono dal paziente (bambini, genitori, anziani, disabili).
Il dolore ma anche il trattamento stesso del dolore pongono dei limiti alla vita sociale; la conseguenza è dunque,
fra le altre, la diminuzione delle relazioni sociali.
Problemi finanziari e difficoltà burocratiche rendono ulteriormente più complessa la problematica del dolore.
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2.4 Aspetto somatico: fisiopatologia
Il dolore è un fenomeno neurologico complesso. Da un semplice stimolo sgradevole deriva un impulso che
eccita le cellule nervose: i neuroni. Ciò trasforma l’informazione in messaggio chimico per mezzo di molecole
chiamate neurotrasmettitori. Il messaggio passa poi al midollo spinale, da questo al centro cerebrale del dolore:
il talamo ed infine prosegue verso le zone intelligenti del cervello che catalogano, localizzano e memorizzano il
dolore.
Questo viaggio si compie dunque in 3 tappe (vedi allegato no 1), ma interviene anche un altro elemento molto
importante che rappresenta la grande scoperta di questi ultimi decenni: il dolore è controllato dal sistema
nervoso stesso, grazie ai cosiddetti “cancelli neurologici” che bloccano la trasmissione a livello spinale e circuiti
centrali che modulano le risposte dolorose, ma soprattutto grazie a molecole ancora misteriose: le morfine
naturali del cervello o endorfine.
La stimolazione dolorosa può essere diretta, causata dallo stimolo stesso o indiretta causata dall’intervento di
sostanze algogene liberate dallo stimolo. Tali sostanze sono di vario tipo: enzimi come la bradichinina,
neurotrasmettitori come la serotonina o ancora ormoni come le prostaglandine. Sia la cute, i muscoli, le
articolazioni, i vasi, il periostio che gli organi viscerali, sono dotati di ricettori per il dolore o nocicettori, costituiti
perlopiù da terminazioni nervose libere. Tali terminazioni nervose sono l’estremità di fibre mieliniche fibre A
delta e non mieliniche fibre C. Sulle fibre A delta viaggiano informazioni discriminative e ad esse è dovuto il
dolore localizzato e puntorio che segue immediatamente ad uno stimolo doloroso. Le fibre C sono responsabili
di una sensazione sorda, indefinita, assai sgradevole, il dolore non è più delimitato in maniera precisa ma riferito
ad un’area molto ampia.
Altre fibre mieliniche sono le Alfa di grosso calibro che conducono stimoli di debole entità.
Il messaggio doloroso è dunque trasmesso verso il midollo spinale dalle fibre A delta e C. Dopo il loro ingresso
nelle corna posteriori del midollo queste fibre entrano in contatto sinaptico con le cosiddette “ sostanze
gelatinose di Rolando”.
Dal 1965 è stato ipotizzato dopo le ricerche di Melzack e Wall un meccanismo di inibizione del dolore detto
“Gate-control”. Tale teoria ipotizza che un meccanismo posto sulle corna posteriori possa agire come un
cancello che lascia passare o blocca le informazioni afferenti dalla periferia. Fu ipotizzato che gli stimoli
provenienti dalle fibre C e A delta che entrano nelle corna posteriori tendessero ad aprire tale cancello mentre
l’attivazione delle grandi fibre tendessero a chiuderlo.
A livello dei neuroni delle corna posteriori le fibre passano al lato opposto e salgono poi al talamo e quindi
alla corteccia.
La proiezione sulla corteccia parietale corrisponde ad una percezione ed una localizzazione precisa del dolore,
quella sull’ipotalamo agli aspetti neurovegetativi che coesistono con il dolore (sudorazioni, nausee, tremiti). Infine
quella sul sistema limbico: centro dei nostri comportamenti corrisponde alla componente emotiva, alla risonanza
psico-affettiva del dolore e alla sua trasformazione nel suo ultimo stadio: la sofferenza.
Le ricerche biochimiche effettuate sul midollo spinale hanno portato all’esistenza di un neurotrasmettitore
specifico delle fibre C che permetterebbe la trasmissione del dolore. Questo neurotrasmettitore: una proteina
costituita da 10 aminoacidi, è detta sostanza P (pain). La metenkefalina, anch’essa una proteina che verrebbe
secreta localmente da un neurone specifico, avrebbe un’azione inibente la liberazione della sostanza P
bloccando così la trasmissione dolorosa.
Il tronco cerebrale ed in particolare la regione intorno all’acquedotto di Silvio, svolge un ruolo incontestabile nel
controllo del dolore grazie ad un controllo discendente nei cordoni laterali del midollo. Quest’inibizione sembra
legata a tre mediatori chimici: la dopamina, la serotonina e scoperti recentemente gli oppiacei endogeni: le
endorfine e le enkefaline.
Per quanto riguarda le endorfine negli anni 70’ grazie a tecniche immunologiche si è ottenuta la prova che
esisteva nel SNC una vera e propria carta geografica di questi recettori. Si è visto così che 4 regioni li
contengono in modo particolare: le corna posteriori del midollo, il talamo, il sistema limbico ed infine la parete
intestinale.
Nel 1974 si è giunti alla scoperta delle morfine fisiologiche: le endorfine e le enkefaline. Questi due gruppi furono
suddivisi in numerosi sottogruppi. Si è scoperto che ogni morfina endogena possiede una specificità ed un ruolo
particolare, vagliato anche dal riconoscimento di diversi tipi di ricettori subito chiamati MU-Kappa e Sigma.
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I VARI TIPI DI DOLORE
Dolore viscerale
E’ un dolore descritto come sordo continuo,
scarsamente localizzato, riferito a distanza, talora
fisso, profondo e indifferente al movimento,
spesso associato a un senso di schiacciamento o
oppressione.
Il paziente a volte ha come una sensazione di
morsa o di qualcosa che strappa. Questo è il
tipico dolore continuo da rapido ingrossamento di
organi viscerali o da ostruzione di visceri cavi, nel
qual caso si presenta come intermittente di tipo
colico. Gli episodi acuti si accompagnano a
fenomeni neurovegetativi: nausea, sudorazione.
Dolore somatico
Dipende dall’attivazione di nocicettori superficiali (cutanei) e profondi (ossa-muscoli). Ha la caratteristica di
accentuarsi con il movimento, di essere localizzato e di risultare sovente associato a dolorabilità locale,
viene spesso aggravato da spasmi muscolari. E’ tipico delle metastasi ossee.
Dolore neuropatico
Il dolore non è spiegato dalla
presenza di un danno tissutale
ma da lesioni del sistema nervoso centrale e periferico. Il
dolore neuropatico è molto
severo, più resistente ai trattamenti convenzionali con oppioidi
e necessita dell’asso-ciazione di
farmaci adiuvanti. Se inizialmente
i nocicettori sono responsabili
dell’attiva-zione
dello
stimolo
doloroso,
succes-sivamente
compare un danno sulle fibre
nervose
che
le
rende
particolarmente sensi-bili agli
stimoli dolorosi. E’ descritto come
costante-urente o come scossa
elettrica.
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3. ASSISTENZA INFERMIERISTICA
(3.1)
Paziente con dolori
(3.2)
(3.3)
Osservare / percepire
Valutare
Analizzare
Curare
Occuparsi del paziente
Informare
Insegnare
Consigliare
3.1 Osservare/percepire, valutare, analizzare
- Raccolta dati e formulazione dei problemi di cura
La prima tappa consiste nell’esplorare la realtà del paziente eseguendo una raccolta dati sulle
caratteristiche, le reazioni, le abitudini, le aspettative, le risorse e i deficit, prendendo in considerazione la
sua globalità e la sua individualità.
E’ importante che di fronte ad un paziente che dice di avere male, venga data una particolare attenzione in
un primo tempo alla raccolta dati riguardante l’aspetto fisico del dolore. Uno strumento valido e semplice
5
per svolgere questa raccolta dati è il “Verbale dei dolori” (vedi Strumenti - Protocollo di valutazione del
dolore). Esso ci permette di raccogliere informazioni quali la localizzazione, la descrizione dei dolori
principali, l’intensità, la durata, i fattori scatenanti ed i fattori che alleviano, i sintomi concomitanti, la terapia
attuale. Vale anche per il medico come check list.
Le informazioni da noi raccolte saranno poi condivise e confrontate con quelle del medico per identificare la
reale problematica → diagnosi medico-infermieristica.
Partendo dall’identificazione dei bisogni fondamentali alterati, vengono formulati dei problemi di cura in
relazione ad un preciso momento e ad una precisa situazione che vive il paziente.
- Obiettivi
La seconda tappa per l’équipe curante, insieme al paziente, è quella di formulare degli obiettivi che devono
essere pertinenti, realistici e raggiungibili a breve termine.
Nell’elaborazione degli stessi è essenziale considerare le aspettative del paziente concernenti l’alleviamento
del dolore. Non sempre gli obiettivi che si pone l’équipe curante corrispondono a quelli del paziente. Ad
esempio: un paziente con dolori cronici molto probabilmente non si aspetterà che il dolore scompaia da un
giorno all’altro; a volte anche un piccolo miglioramento della situazione potrebbe incidere positivamente
sulla sua qualità di vita (meno dolori a riposo, meno dolori durante la notte,...). Le sue aspettative
cambieranno man mano che vengono raggiunti i piccoli obiettivi. Obiettivi troppo ambiziosi rischiano di
demotivare paziente e personale curante. Se poi si cerca di raggiungerli troppo rapidamente, si rischia di
scatenare effetti secondari importanti (es.: tossicità sul farmaco) e di compromettere il mantenimento di una
terapia antalgica nel tempo. Ricordarsi di quello che è il lavoro interdisciplinare: a seconda della
situazione può essere utile la collaborazione con il fisioterapista o lo psicologo o con l’assistente sociale, …
- Pianificazione degli interventi
La terza tappa è la determinazione degli interventi di cura necessari per permettere al paziente di
raggiungere gli obiettivi formulati. Si procede quindi alla messa in pratica delle azioni pianificate con la
collaborazione del paziente e di tutte le figure coinvolte nella situazione di cura.
- Rivalutazione
Dopo la pianificazione e l’attuazione degli interventi è fondamentale compiere la quarta tappa, ossia la
valutazione con il paziente per verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi posti. Se si dovesse
giungere alla risoluzione di un problema, sapremo che il nostro piano di cura è stato efficace. Nel caso
contrario bisognerà rivalutare le diverse tappe ed elaborare un nuovo piano di cura. Per valutare l’efficacia
5,6
del trattamento antalgico nel tempo si utilizza il foglio di “Registrazione continua dei dolori”
(vedi Strumenti - Protocollo di valutazione del dolore).
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Vantaggi di una valutazione sistematica del dolore:
• dà la possibilità al paziente di potersi esprimere al riguardo e permette di formulare insieme degli
obiettivi realistici
• attraverso la valutazione continua si riesce a valutare l’efficacia di una terapia e i suoi punti deboli in un
lasso di tempo di solito relativamente breve
• questo modo “rigoroso” di procedere riduce la soggettività della valutazione e assicura una migliore
continuità di cura
• di solito il paziente impara a descrivere con più precisione il suo dolore, dall’altra parte il personale
curante diventa più recettivo riguardo a quello che comunica il paziente
3.2 Curare, occuparsi del paziente
Ecco alcuni esempi di interventi infermieristici nella pratica quotidiana:
• Identificare con il paziente i fattori che scatenano o peggiorano il dolore al fine di ridurre i momenti di
sofferenza con la somministrazione anticipata di dosi supplementari (p.e. cambio della medicazione,
mobilizzazione, ...)
• Identificare i fattori che alleviano i dolori: p.e. impacchi freddi o caldi, massaggi.
• Diminuire tutto quello che produce dolori:
- p.e. adattare il proprio ritmo a quello del paziente quando ha dolori al movimento,
- avvicinargli tutto quello di cui ha bisogno,
- aiutarlo a trovare una buona posizione a letto,
- imbottire con un cuscino sedie o poltrone,
- cambiando una medicazione, evitare possibilmente cerotti e bagnare la medicazione se non si
stacca spontaneamente, usare ev. anestetici locali.
• Spesso i rumori danno fastidio, favorire dunque un ambiente calmo.
• Valutare con il paziente le attività che lo distraggono.
• Permettergli di esprimere i suoi sentimenti d’impotenza, di ansia o di rabbia.
• Incoraggiare lui ed i famigliari ad esternare le proprie paure, dubbi o preconcetti riguardanti la malattia,
il dolore ed il suo trattamento.
Compiti del personale curante nella somministrazione di medicamenti per il trattamento del dolore:
• somministrare ad orari fissi la terapia antalgica di base, secondo la durata d’azione del medicamento
scelto,
• non aspettare che il paziente richieda il medicamento della terapia di base,
• se l’azione non è sufficiente, informare il medico e rivalutare con lui,
• farsi sempre prescrivere un medicamento di riserva e rispondere rapidamente quando il paziente lo
richiede,
• è il paziente che giudica i suoi dolori e l’efficacia dei medicamenti,
• osservare attentamente il paziente dopo la somministrazione di un analgesico nel caso non riesca lui
stesso ad esprimersi al riguardo,
• intervenire tempestivamente contro gli effetti secondari,
• se è prevista una somministrazione anche di notte (p.e. terapia con gocce di Morfina ogni 4 ore),
stabilire con il paziente stesso sin dall’inizio se vuole essere svegliato o se vuole trovare il
medicamento sul tavolino quando si sveglia spontaneamente.
Siamo convinti che l’uso del placebo non sia corretto nei confronti del paziente → vedi articolo pagina
seguente.
3.3 Informare, insegnare, consigliare
•
•
•
•
Dare al paziente delle spiegazioni chiare, con parole semplici, riguardo le possibili cause dei suoi dolori.
Spiegare perché, come e quando deve prendere i medicamenti.
Deve sapere che ha a disposizione dei medicamenti di riserva qualora la terapia di base non bastasse.
Informarlo sui principali effetti secondari, spiegare l’introduzione di eventuali medicamenti per prevenirli,
insegnargli cosa può fare per controllarli.
• Trovare la via di somministrazione che più si addice ai desideri e alle possibilità del paziente.
• Coinvolgere possibilmente i familiari, informarli ed ascoltarli. Rassicurare il paziente sulla o sulle cause del
ritorno del dolore e della modifica della terapia.
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PROCEDIMENTO
PER IL CONTROLLO DEL DOLORE
(in base all’applicazione del processo delle cure)
Paziente con dolori
Ia tappa
Valutazione dei dolori
↓
IIa tappa
Obiettivi
↓
IIIa tappa
Pianificazione degli interventi
per il trattamento antalgico
e
Applicazione del trattamento antalgico
↓
IVa tappa
Rivalutazione costante
Paziente senza o con dolori sopportabili
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4. ASSISTENZA MEDICA
La maggior parte dei dolori nella malattia neoplastica, è prodotta dalla malattia stessa (produzione: vedi p.13
“costruzione di un sintomo”). L’indicazione ad un trattamento palliativo antitumorale va pertanto valutata. La
condizione minima per la sua indicazione: “il trattamento non dev’essere peggiore della malattia stessa”. La
chemioterapia e l’ormonoterapia avranno un effetto antalgico in molte situazioni, anche se non sono per forza
in grado di indurre delle risposte tumorali clinicamente misurabili. Questo effetto sintomatico subentrerà in
regola con una latenza di parecchie settimane. La terapia andrà quindi combinata comunque con una terapia
antalgica specifica. Di conseguenza la prognosi di sopravvivenza dev’essere abbastanza lunga da
permettere il beneficio antalgico della chemioterapia con latenza di alcune settimane.
La chirurgia nella terapia antalgica trova indicazione specialmente nelle complicanze indotte dal tumore,
quali ad esempio fratture o minacce di fratture (femore o collo del femore, omero) oppure in situazioni di
occlusione intestinale localizzata.
La radioterapia è spesso un ottimo metodo terapeutico antitumorale a scopo antalgico, per esempio per
metastasi ossee sintomatiche o infiltrazioni di strutture nervose (plesso brachiale). La latenza dell’effetto è di
solito significativamente più corta di quella chemioterapica (pochi giorni).
4.1 Osservazioni introduttive
Per il lettore veloce vengono ripresi alcuni punti essenziali, dei quali va tenuto conto nella prescrizione di una
terapia antalgica medicamentosa.
1. Il dolore è un sintomo del quale possiamo rilevare solo l’espressione. L’intervento terapeutico può o deve
avvenire però anche a livello della produzione e della percezione del sintomo. (vedi allegato no 2)
2. Il dolore è un sintomo multifattoriale. I fattori eziologici sono soggetti a continue variazioni interpersonali,
l’approccio terapeutico ne deve tenere conto.
3. Il dolore è un sintomo multidimensionale. Alcune dimensioni vengono influenzate positivamente tramite
il trattamento analgesico stesso, altre vanno eventualmente affrontate separatamente. A questo scopo
l’applicazione di uno strumento di misurazione sintomi multidimensionale è indispensabile (ESAS).
4. L’uso di uno strumento di misurazione e valutazione continua del dolore è la base elementare e
indispensabile per ottenere risultati soddisfacenti.
5. Per quanto riguarda il controllo del dolore il malato non raramente ha delle aspettative più basse del suo
curante. E’ pertanto essenziale formulare degli obiettivi assieme al paziente: obiettivi che devono tener
conto delle sue aspettative (che man mano cambieranno). Questo modo di procedere aiuta a limitare la
tossicità, specialmente quella dei narcotici.
6. La decisione di intervenire sulla produzione del dolore (p.e. con chemio/radioterapia, chirurgia) terrà conto
della storia naturale della malattia, della prognosi qualitativa e quantitativa. L’effetto antalgico di tale
intervento subentrerà con una latenza di parecchie settimane.
7. Nessuna terapia antalgica senza “diagnosi del dolore, rispettivamente dei dolori”. Questa diagnosi si basa
sull’anamnesi, sull’esame clinico ed eventualmente su esami complementari.
L’anamnesi e la rivalutazione va fatta ad intervalli regolari e ravvicinati.
Si valutano:
a. localizzazione (disegno)
b. descrizione (con parole del paziente o offerta di una scelta di parole)
c. fattori modificanti: intrinseci (tensione, distrazione, fiducia, ...)
estrinseci (movimento, posizione, temperatura,...)
d. intensità (VAS, visual analogue scale)
e. oscillazioni nel tempo (p.e. circadiane)
f. terapia precedente e il suo effetto.
8. La terapia antalgica farmacologica deve essere il più possibile semplice evitando l’abbinamento di tanti
diversi medicamenti, cercando piuttosto di usare quei pochi al giusto dosaggio. Essa deve comprendere
un medicamento ad azione rapida quale riserva.
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COSTRUZIONE DI UN SINTOMO
1. PRODUZIONE
2. PERCEZIONE
MODULAZIONE
Stato cognitivo
Umore
3. ESPRESSIONE
Convinzioni
Fattori culturali
Biografia
TERAPIA
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4.2 Farmacoterapia del dolore
Per la terapia farmacologica classica disponiamo principalmente di due gruppi di sostanze:
“analgesici non oppioidi”: con un effetto periferico superiore a quello centrale
“oppioidi”: con un effetto centrale più forte di quello periferico
Il procedere pratico tiene tuttora conto delle raccomandazioni dell’OMS:
1. “By the mouth”
L’obiettivo è di acquisire e mantenere la massima indipendenza del malato. La via di somministrazione
perorale di farmaci è pertanto quella preferenziale. La seconda preferenza è quella rettale in caso di
problemi di deglutizione o di riassorbimento*. Solo se queste vie non entrano più in considerazione (p.e.
per marcata tossicità), si considera una somministrazione parenterale. In questo caso la via sottocutanea
(se attuabile) è da preferire a quella endovenosa. La via sottocutanea è più semplice, attuabile senza
problemi anche a domicilio e meno soggetta al rischio di tossicità, specialmente in pazienti che hanno un
sistema PCA. Nel caso il paziente sia già portatore di un accesso venoso impiantato (AVI), vengono
valutati individualmente i pro e i contro di una o dell’altra via. Non è indicato l’impianto di un port-a-cath
per pura somministrazione di analgesici.
* Dal 1998 è disponibile anche in Svizzera il Fentanyl sotto la formulazione transdermica (cerotto). Il suo
impiego è comunque limitato a situazioni particolari con “dolore cronico stabile”. Non è da trascurare
inoltre il costo elevato.
2. “By the clock”.
Il dolore cronico ricompare quando l’effetto dell’analgesico decade. Gli intervalli di somministrazione
tengono pertanto conto della durata dell’effetto di un farmaco. Aspettare la ricomparsa del dolore aumenta
inoltre il potenziale (pur piccolo) di una dipendenza psichica.
3. “By the ladder”
• Livello 1:
Farmaci del 1° livello hanno un effetto prevalente mente periferico (ma anche centrale). I FANS
(farmaci anti-infiammatori non steroidei) agiscono prevalentemente attraverso la diminuzione della
concentrazione delle prostaglandine. Sono quindi particolarmente efficaci dove quest’ultime hanno un
ruolo preponderante nella genesi del dolore, come in stati infiammatori, dolori ossei, ecc.
Il Paracetamolo non ha praticamente nessun effetto antinfiammatorio. Il suo effetto analgesico è
pertanto spesso sottovalutato. Questo è dovuto in parte anche al dosaggio troppo basso di questo
farmaco. In effetti ci vogliono delle dosi alte per far passare la barriera emato-cerebrale (dove il
Paracetamolo riesce ad intervenire sulla sintesi di prostaglandine a livello del tronco cerebrale).
I farmaci del 1° livello hanno tutti delle dosi ma ssime al di sopra delle quali si aumentano solo la
frequenza e la gravità degli effetti collaterali, senza aggiungere benefici. Il mercato offre una miriade
di FANS. Nel lavoro clinico pratico è auspicabile limitarsi all’uso di soli 2 o 3 farmaci,
acquisendo in questo modo una ricca esperienza con poche sostanze. Di regola sono poco indicati i
FANS di emivita lunga come il Piroxicam (Felden) o simili. Esempi:
Sostanza di base
Paracetamolo (Dafalgan)
Acido salicilico (Aspegic)
Ipobrufen (Brufen)
Diclofenac (Olfen o simili)
Celecoxib (Celebrex)
Nimesulid (Nisulid)
Metamizolo (Novalgine)
Data di emissione: 18.09.07
Data di aggiornamento:
dose singola
500-1000mg ogni 6-8 ore
500-1000mg ogni 6-8 ore
400-600mg ogni 6-8 ore
50mg-100mg ogni 8-12 ore
100-200mg ogni 12 ore
100mg ogni 12 ore
500-1000mg ogni 6-8 ore
dose massima in 24 h
4000mg
3000mg
2400mg
200mg/dì, ev.fino a 300mg
400mg
200mg, ev. fino a 300mg
4000mg
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Osservazioni:
Attenzione agli effetti secondari:
- tossicità gastrointestinale: ev. protezione con Misoprostol (Cytotec), 2 volte 200 mcg x die
- tossicità renale che crea tossicità di altri farmaci analgesici (p.e. degli oppioidi)
- Non è utile combinare vari anti-infiammatori. Raramente è giustificabile passare a una sostanza
di un altro gruppo. Nel dubbio (pz con funzione renale già compromessa, o pz che svilupperà
probabilmente tossicità sotto FANS) considerare piuttosto corticosteroidi, es. Dexametasone.
• Livello 2 (oppioidi deboli):
Se i dolori con farmaci del livello 1 non sono controllati soddisfacentemente l’OMS prevede il
passaggio a/o l’associazione di un oppioide cosiddetto “debole”.
La proposta dell’OMS è la Codeina. Si tratta di una decisione più che altro politica (la Codeina, come
tra l’altro anche la Morfina al 3° livello, è una s ostanza accessibile in tutto il mondo a buon mercato).
La Codeina in se stessa non ha nessun effetto analgesico, però viene trasformata nel fegato in
Morfina. Circa il 10% della popolazione non dispone dell’enzima necessario. Si tratta quindi in fondo di
una terapia con Morfina a dosaggio basso, oltretutto con lo svantaggio che capiterà il malato che non
ne trae alcun beneficio. Vediamo spesso che l’aggiunta della codeina in termini di effetto analgesico
non maggiora di molto l’effetto. Probabilmente bisognerebbe dare delle dosi molto più alte di quanto
sono quelle previste nelle combinazioni con Paracetamolo disponibile. Si avrebbe pertanto una
tossicità maggiore, specie stipsi.
Una valida alternativa oggi è offerta dal Tramadol (Tramal), disponibile sotto forma di gocce (20gtt =
50mg) e pastiglie da 50mg ad azione rapida da somministrare ogni 4-6 ore, pastiglie ad assorbimento
ritardato (Tramal Ret 100-150-200mg ogni 12 ore). In teoria Tramadol non è soggetto all’effetto
“ceiling”*, nella pratica però non ha senso dare una dose di Tramal superiore ai 400mg al giorno. A
tali dosaggi diventa comunque più conveniente passare al livello 3.
Nella pratica quotidiana vedremo, non raramente, che il livello 2 viene saltato a causa di una rapida
evoluzione della sintomatologia algica oppure perché si è intervenuti troppo tardi sul dolore e si
necessita di una rapida palliazione in rapporto alla breve prognosi.
* Effetto ceiling: esiste una dose massima, al di sopra della quale l’effetto desiderato non aumenta,
per contro possono invece aumentare gli effetti non desiderati. Questo fenomeno nel caso degli
oppioidi è ben spiegabile con la teoria dei recettori.
• Livello 3 (oppioidi forti):
Nella stragrande maggioranza dei nostri pazienti si arriverà abbastanza presto ad introdurre una
farmacoterapia analgesica a base di oppioidi forti. La sostanza di prima scelta è la Morfina. Essa
presenta una serie di grossi vantaggi. Tra le altre cose costa poco e non conosce effetto “ceiling”, vale
a dire che il suo effetto è linearmente dose-dipendente. E’ molto ben regolabile; dato che è una
sostanza che conosciamo da più di due secoli, i suoi effetti secondari sono ben documentati e in gran
parte prevedibili.
4.3 Terapia con oppioidi
L’oppioide di prima scelta è la Morfina. In questo capitolo dedicheremo perciò uno spazio maggiore a questo
farmaco.
• Come si inizia
Si consiglia di cominciare con una formulazione ad assorbimento rapido, per es. con la soluzione acquosa
di morfina al 2% (1 goccia = 1 mg). Il raggiungimento della dose efficace (dosefinding) è più preciso e di
conseguenza meno tossico con la soluzione che con MST
Paziente mai esposto a oppioidi:
- Giorno 1)
5mg ogni 4ore, in riserva 5mg, ripetibile ogni ora
- Giorno 2)
calcolare dose delle prime 24 ore (dosi regolari + dosi di riserva somministrate).
Somministrare dose totale suddivisa in 6 dosi (ogni 4 ore) oppure in due dosi sotto forma
di MST. Dose di riserva: 5-15% della dose di 24 ore, ripetibile ogni ora.
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Paziente preesposto:
(p.e. pretrattato con oppioide livello 2 o con altro oppioide di livello 3)
→ se viene dal livello 2: 6x10mg /24ore, poi vedi sopra
→ se pretrattato con un altro oppioide di livello 3: dose equivalente secondo indicazioni del capitolo 4.4
• Dose di riserva
La dose di riserva ammonta, secondo i casi, tra il 5 e il 15% (di solito 10%) della dose totale delle 24ore
(p.e. MST 100 2x1 → riserva 20 mg di Mo 2%).
Usare la stessa via di somministrazione della terapia di base.
• Adeguamento delle dosi (Titolazione)
Per titolazione si intende il procedere per trovare la dose giusta di Morfina, così da raggiungere l’obiettivo
antalgico precedentemente stabilito, senza creare tossicità inaccettabile. A questo scopo si calcola
inizialmente la dose di riserva totale che il malato ha assunto nell’arco di 24 ore e la si aggiunge alla dose
di base (arrotondando verso il basso). Ciò è possibile solo a condizione che vi sia una meticolosa
documentazione delle dosi regolari, delle dosi supplementari e dell’effetto che quest’ultime hanno.
Una volta che si è raggiunta una stabilità della terapia antalgica, è consigliabile non correggerla
giornalmente solo perché il paziente ha richiesto in un giorno particolare 2 o 3 dosi di riserva. Poteva
semplicemente essere una “normale oscillazione”. Si corregge solo quando un paziente per più giorni di
seguito richiede 2 o più dosi di riserva. Questa correzione non si fà comunque senza valutare o
diagnosticare il motivo dell’aumento della domanda.
• Tossicità
Spesso si pensa e si predica che la Morfina, non avendo un effetto ceiling, non abbia tossicità importante
o che perlomeno non sia pericolosa. Questa è sicuramente un’idea sbagliata. La tossicità da Morfina è in
ogni modo ben conosciuta e prevedibile. Inoltre, dato che non sempre è dose-dipendente, cioè può
apparire a dosaggi già molto bassi, va sistematicamente ricercata. A queste condizioni la tossicità non è
praticamente mai un motivo per non usare la Morfina.
Tossicità centrale: è più frequente di quanto si pensi e merita una particolare attenzione
1) Si può manifestare sotto forma di:
- sonnolenza: appare inizialmente in quasi tutti i pazienti e scompare a parità di dose in pochi giorni.
- compromissione dello stato cognitivo fino allo stato confusionale:
→ deve essere indagata precocemente con strumenti adatti (Mini Mental Status)
→ evolve, se non trattata, in uno stato confusionale acuto
- incubi
- allucinazioni: tattili, visive e uditive
- mioclonie
- iperalgesia, allodinia: appaiono solitamente con dosaggi più alti o in pz in fase terminale a causa
dell’accumulo di Morfina o dei suoi metaboliti, specialmente se vi è un aumento rapido del dosaggio.
Se non riconosciute facilmente si incappa in un circolo vizioso: iperalgesia→morfina→iperalgesia→morfina…
2) Fattori di rischio per una tossicità:
1. Aumento rapido della dose di Morfina
2. Aumento a grandi passi
3. Presenza di insufficienza renale (cave: in pz cachettico una creatinina “normale” può significare una
forte diminuzione del filtrato glomerulare). La creatinina di per sé non è pertanto un buon indice
della funzione renale
4. Dolore neuropatico
5. Dolore misto con componente neuropatica
6. CAGE positivo (si tratta di un test che permette di identificare la persona con un potenziale di
dipendenza, una condizione molto frequente)
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3) Prevenzione della tossicità centrale:
1. La tossicità centrale si può evitare o combattere solo se la si conosce e la si cerca sistematicamente.
2. Monitorizzare: come si documenta l’andamento del dolore, si documenta anche l’andamento della
tossicità (Mini Mental Status).
3. Garantire una buona idratazione, rispettivamente una buona diuresi.
Altre tossicità:
Nausea e vomito:
Da 1/5 a 1/3 dei pazienti avrà nausea o vomito. Fortunatamente si tratta di un
effetto secondario che conosce una rapida assuefazione, di modo che scompare
entro 3-5 giorni. Di solito risponde a dosaggi bassi di Haldol (3 volte 1mg/dì per
os). Vi sono dei fattori di rischio che lasciano prevedere qual’è il paziente che avrà
questo effetto secondario: problemi di nausea mal controllata durante le
chemioterapie, anamnesi di mal di viaggio, anamnesi di nausea-vomito durante le
gravidanze, non fumatori, astemi
Stipsi:
Tutti i pazienti diventano stitici (secondo letteratura 70-80%). Si tratta di un
effetto secondario che persiste e peggiora se non trattato adeguatamente con
lassativi.
Prescrizione sistematica di lassativi: come scegliere?
- Tanti pazienti hanno già esperienza con lassativi e sanno quali provvedimenti o
farmaci sono stati di beneficio in precedenza. Cave: prescrizione propellenti in
presenza di problema di passaggio meccanico concomitante.
- La prima scelta è una combinazione tra un propellente (stimolante) e un
ammorbidente (emoliente - p.e. Laxoberon e Olio di Paraffina).
- La seconda scelta è uno zucchero riassorbibile o una sostanza attiva
osmoticamente. Problemi: lo zucchero non riassorbibile (p.e. Duphalac) non è
adatto per un trattamento cronico e crea spesso del meteorismo. Il farmaco
osmoticamente attivo facilmente contribuisce alla disidratazione.
- Clistere. Quando bisogna ricorrervi significa che la terapia lassativa non è stata
sufficiente. Clistere significa pertanto potenziare la terapia lassativa di base.
Prurito:
Presente in ca il 10% dei pazienti, dose-dipendente. E’ eventualmente un motivo
per passare ad un altro preparato (es. Metadone o Fentanyl)
Depressione respirat.: poco frequente, MA attenzione alle combinazioni con benzodiadepine e agli
aumenti troppo rapidi dei dosaggi di morfina
Altro:
Ipotensione, ritenzione urinaria (cave: prostatismo), diminuzione della secrezione
delle mucose (bocca secca), sudorazione
• Domande frequenti:
Cosa significa MST?
MST sta per Morfina Substained Tablets. Bisogna immaginare una struttura di pastiglia tipo spugna
impregnata di morfina. Quest’ultima viene lavata fuori dalla spugna nell’arco di 12 ore in modo costante.
Da lì la sostanza Morfina viene assorbita dall’intestino come la formulazione normale. Si può dedurre che
la pastiglia non va frantumata in caso di problemi di disfagia. Per questa evenienza esiste la sospensione
in bustine (oppure le supposte).
Si può iniziare il trattamento direttamente con MST?
Se si tratta di un paziente che presenta un dolore di comparsa e di evoluzione abbastanza acuta è
consigliabile usare la soluzione acquosa di morfina. Questo permette di arrivare più velocemente al
dosaggio necessario. Ad ogni modo per una situazione abbastanza stabile, per esempio anche per il
paziente ambulante, è senz’altro pensabile di cominciare direttamente con MST.
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Come abbiamo visto sopra significherebbe: MST 10mg ogni 12 ore per paziente non pretrattato, MST
30mg ogni 12 ore per pazienti pretrattati con oppioidi deboli. Vanno sempre prescritte anche le dosi di
morfina al 2% come riserva.
Ha senso dare MST ogni 8 ore?
Praticamente non è mai necessario. Se il paziente comincia regolarmente ad avere più dolori dopo 8-10
ore dalla somministrazione di MST, significa piuttosto che la dose singola è troppo bassa e non che gli
intervalli sono troppo lunghi.
Cosa sono le gocce bianche?
Sono una formulazione di Morfina che si usava e si usa tuttora per trattare la dispnea notturna dovuta ad
un’insufficienza cardiaca sx (“asma cardiaca”). Queste gocce sono all’1% (anche un po' meno),
contengono quindi ca 8mg di Morfina per 20 gocce. Purtroppo nel linguaggio comune spesse volte
vengono chiamate “gocce bianche” anche le gocce di Morfina al 2% usate a scopo antalgico, malgrado in
effetti sia un errore; dovremmo quindi impegnarci a chiamarle “soluzione di morfina al 2%” (2%
significa 2g/100ml, vale a dire 20mg/1ml, ossia se in uso ancora il contagocce 1mg/goccia).
Si può anche ridurre la Morfina?
E’ possibile. La si può ridurre p.e. in presenza di effetti secondari, una condizione che comunque spesso
impone un cambiamento dell’oppioide. Una riduzione va anche considerata in pazienti che da parecchio
tempo non chiedono più le dosi di riserva. In tal caso la riduzione dovrebbe essere circa del 20-25%.
Bisogna svegliare il paziente per la dose notturna della soluzione di morfina?
In teoria sì. Di solito conviene accordarsi subito con il paziente stesso. Nella pratica quotidiana spesso
basta raddoppiare la dose delle 22.00 e tralasciare quella delle 02.00 di notte, così da garantire un
periodo di sonno di 8 ore.
Eccezioni: - il paziente che comunque regolarmente si sveglia una volta durante la notte (p.e. per urinare)
prenderà la sua dose notturna in quel momento (lasciarla sul comodino).
- il paziente che si sveglia al mattino presto con dolore richiedendo la dose di riserva,
andrebbe svegliato alle 02.00 di notte per la dose regolare.
Cosa fare se la somministrazione enterale (orale o rettale) non è più possibile?
In questo caso si ricorre all’accesso parenterale. La via preferenziale è quella sottocutanea. Inizialmente
la somministrazione per la calibrazione della dose, è pulsatile, vale a dire ogni 4 ore, e viene fatta
attraverso un butterfly s.c. coperto con un Tegaderm. Questo ago può rimanere in sede una settimana o
anche di più (vedi “Somministrazione di morfina per via sottocutanea”). In pazienti che dispongono di un
port-a-cath, l’uso di questo accesso venoso per la somministrazione della Morfina è una soluzione
equivalente.
Per quale via vengono somministrate le riserve?
In linea di principio per la stessa via per la quale vengono somministrate le dosi regolari. Non ha senso
combinare somministrazioni sottocutanee e endovenose.
Il paziente diventerà tossicodipendente? 7
La dipendenza del paziente sarà di tipo fisico e rimarrà legata esclusivamente alla necessità di controllare
il dolore. La dipendenza psicologica non si verifica praticamente mai nei pazienti trattati con Morfina a
scopo antalgico. I pazienti e le famiglie hanno bisogno di essere tranquillizzati circa questa paura.
Non dimentichiamo però che a livello fisico la dipendenza si crea, dunque se una terapia con oppioidi non
è più necessaria non bisogna mai smettere di colpo, bensì scalare gradualmente.
La Morfina può causare depressione respiratoria?
Poco frequente ma attenzione alla combinazione con altri farmaci (es. benzodiazepine, tranquillanti,…) e
all’aumento troppo rapido del dosaggio della Morfina.
In realtà nei pazienti con dispnea, piccole dosi di Morfina possono dare un miglioramento del sintomo. Gli
eventuali effetti collaterali provocati da una dose accidentalmente esagerata possono essere controllati
con l’uso del Naloxone.
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4.4 Sostanze alternative alla Morfina:
Abbiamo redatto una lista dei farmaci oppioidi forti disponibili in Svizzera (vedi Farmaci). La Morfina, alla
quale abbiamo dedicato il capitolo precedente, resta il farmaco oppioide forte di prima scelta. Le sostanze
alternative disponibili, cioè Idromorfone, Metadone, Ossicodone, Buprenorfina,
e Fentanyl,
andrebbero usate solo secondo le indicazioni contenute nella lista sopracitata.
Per contro è sconsigliata per il trattamento del dolore cronico la Petidina per due motivi in particolare:
- a causa della sua rapida tachifilassia, cioè a parità di dosaggio l’efficacia terapeutica diminuisce
rapidamente e ci si ritrova ad aumentare altrettanto rapidamente il dosaggio somministrato al paziente per
ottenere lo stesso effetto, e
- a causa della lenta eliminazione dei suoi prodotti di degradazione (metaboliti) che accumulandosi sono
responsabili della tossicità centrale di questo farmaco.
4.5 Calcoli di conversione
1. Tra una sostanza e l’altra:
Si consiglia di prendere sempre come base di partenza la dose di morfina su 24ore, rispettivamente la
dose equivalente di morfina su 24 ore per calcolare la dose giusta di un’altra sostanza.
Equipotenze:
L’Idromorfone è 5 volte più potente della morfina (5mg Mo = 1mg Idromorfone).
Purtroppo sul mercato esiste attualmente un preparato di Idromorfone (Palladone), che non tiene conto di
questo fattore di 1:5 ma di un fattore di 1:7,5. Questo crea il passaggio da una sostanza all’altra non
sempre facile. Seguendo le direttive della ditta, ci capiterà frequentemente che i dosaggi di Palladone
saranno troppo bassi, viceversa ritornando alla morfina potremmo rischiare di dosare la morfina in
eccesso. La conoscenza di questo particolare è importante in pazienti che richiedono una rotazione di
oppioidi regolare, per via di tossicità cumulativa.
Il Metadone è 10 volte più potente della morfina
(10mg mo = 1mg Metadone).
Nella letteratura si trova spesso un quoziente 1:1 (1mg di morfina = 1mg di Metadone). Questo errore è
dovuto ad un calcolo che si basa sulla somministrazione unica. Dato che il Metadone ha una tendenza di
forte accumulo si rischierebbe entro pochi giorni una grave tossicità. L’introduzione e la gestione di una
terapia antalgica con Metadone presenta tutta una serie di difficoltà e dovrebbe essere prescritto solo da
medici esperti nel trattamento del dolore (consultare Servizio di Cure Palliative).
2. Tra le differenti vie di somministrazione:
Fortunatamente per il lavoro pratico i calcoli di trasformazione tra somministrazione enterale e
parenterale per la morfina e l’Idromorfone possono essere considerate uguali:
somministrazione enterale
(orale o rettale)
3:1
somministrazione parenterale
(sottocutanea o endovenosa)
Vale a dire: 30mg di morfina perorale corrispondono a 10mg di morfina parenterale.
Tra via sottocutanea e via endovenosa non vi è differenza, specialmente per quanto riguarda la
somministrazione continua. Si consiglia comunque di arrotondare piuttosto verso il basso in caso di
somministrazione endovenosa e piuttosto verso l’alto in caso di somministrazione sottocutanea.
4.6 Medicamenti adiuvanti
1. Corticosteroidi
Possono essere particolarmente utili in dolori dove si ipotizza un’importante componente
infiammatoria. Sono in questo senso altrettanto validi quanto i FANS.
A breve termine presentano minor rischio di effetti collaterali (sono leggermente meno gastrolesivi e
specialmente non sono nefrotossici). Per contro hanno una riserva di indicazioni in pazienti diabetici e per
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la somministrazione prolungata (catabolismo, miopatia, ecc.). Il preparato che preferiamo è il
Dexametasone (Millicorten, Fortecortin, Dexametasone).
Un’altra indicazione sono i dolori dovuti alla distensione di una capsula di un organo come ad
esempio della capsula epatica, per crescita veloce del volume del fegato, e la cefalea in caso di metastasi
cerebrali o tumori cerebrali primitivi.
2. Antidepressivi
Hanno la capacità di “aumentare la soglia della percezione del dolore”. Sono inoltre particolarmente
utili in dolori neuropatici (dovuti ad una lesione di un nervo periferico o, in particolar modo, nelle
neuropatie post-herpetiche).
Il medicamento meglio studiato in questo senso, risulta quindi essere l’Amitriptilina (Triptizol, Saroten).
L’effetto analgesico avviene solitamente prima dell’effetto antidepressivo (dopo 3-5 giorni anziché 7-12
giorni) e a dosaggi anche più bassi (25-75mg al massimo al giorno).
3. Antiepilettici:
Usati e utili specialmente in dolore neuropatico di tipo lancinante, per esempio post-herpetico. Il
farmaco meglio studiato è la Carbamazepina (Tegretol), seguito dalla Gabapentina (Neurontin: dosaggio
iniziale 100mgx3 in dosi crescenti) e dalla Pregabalina (Lyrica: dosaggio iniziale 75mgx3 in dosi ev.
crescenti fino a 300mg 2x/die).
4. Miorilassanti:
Vengono usati specialmente in dolori dovuti a ipertonia muscolare, specialmente della muscolatura
posturale. In questi dolori la morfina non ha nessun effetto. Vengono usate benzodiazepine, in
particolar modo Valium oppure miorilassanti del tipo Lioresal (Baclofen) o Sirdalud.
5. Bisfosfonati (Aredia e Zometa):
I Bisfosfonati sono delle sostanze che riescono a bloccare, di solito per alcune settimane, l’attività degli
osteoclasti. La loro indicazione attualmente è il trattamento dell’ipercalcemia e il trattamento del dolore
provocato da metastasi ossee a prevalente componente osteolitica. Trovano indicazione nelle lesioni da
mieloma e nelle metastasi ossee da carcinoma del seno e della prostata. A causa del potenziale di
induzione di una insufficienza renale, si consiglia di misurarne sempre la Clearance della Creatinina prima
della loro applicazione e in ogni caso di adattare la loro dose in caso di insufficienza renale preesistente
(vedi Compendium dei medicamenti).
4.7 Analgesia spinale
La presenza di recettori oppiacei ad alta densità nel midollo spinale rappresenta l’idea di base per l’analgesia
spinale. Tuttavia la possibilità che un trattamento epidurale o intratecale possa causare importanti
complicazioni è potenzialmente più alta di quello sistemico. Un tale approccio deve pertanto garantire
un’analgesia migliore della terapia convenzionale (ragionevole rapporto costo beneficio). La dose di morfina
somministrata corrisponde circa al 10% della dose per os, rispettivamente al 1% in caso di somministrazione
intratecale!
Attenzione: un dolore prevalentemente neuropatico non sarà controllabile in modo soddisfacente con soli
oppioidi peridurali. Richiederà per esempio un’aggiunta di un anestetico locale. L’indicazione ad un impianto
di un catetere peridurale deve essere limitata a sindromi algiche con localizzazione loco-regionale (di regola
non più di 5 metameri). Indicazioni valide: dolori perineali, da infiltrazioni, sacrali e presacrali, segmentali della
parete toracica ecc. L’accesso intratecale si presta in particolare per dolori dovuti ad infiltrazioni tumorali della
sfera otorino-laringoiatrica.
4.8 Blocchi nervosi e neurochirurgia
Con l’aumento della disponibilità della Morfina, la necessità dell’indicazione di interventi antalgici locoregionali
(neurolitici e chirurgici) si è drasticamente ridotta. E’ comunque utile avere disponibilità (e presentare tali
situazioni) nell’ambito di un gruppo interdisciplinare (neurochirurgo, anestesista). Esempi: dolore da
carcinoma pancreatico → blocco plesso celiaco.
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5. TERAPIA NON MEDICAMENTOSA
Nel redigere questo capitolo ci siamo limitati alla fisioterapia a scopo antalgico attuabile in ogni ospedale.
5.1 Fisioterapia
La fisioterapia è l’insieme di diverse metodiche fisiche che possono essere impiegate in molte condizioni
patologiche per favorire il processo di guarigione o, come più spesso avviene nei casi da noi trattati, per
ridurre e alleviare sintomatologie dolorose debilitanti.
La fisioterapia prevede l’uso sia di tecniche manuali, sia di apparecchiature e strumenti che consentono
l’effettuazione di particolari trattamenti.
Le metodiche che prendiamo in esame sono:
-
Massaggio classico
Crioterapia
Termoterapia
Idroterapia
Elettroterapia o TENS
La patologia tumorale o le terapie adottate per combatterla comportano spesso seri postumi o menomazioni
che possono trovare un adeguato sollievo attraverso il trattamento fisioterapico.
Il massaggio
e la manipolazione della zona interessata hanno per obiettivo l’aumento del grado di flessibilità delle
articolazioni e dei tessuti circostanti nonché l’apporto di un’adeguata irrorazione sanguinea e il tentativo di
risolvere situazioni di spasmo o di contrattura.
Specifiche forme d’intervento si osservano nei casi di linfedema agli arti superiori e inferiori, causato da
ostruzione tumorale o da esiti d’intervento chirurgico a carico del sistema linfatico. Accanto all’utilizzo di
adeguate guaine o calze elastiche, la persona trae notevole sollievo durante le sedute giornaliere di
linfodrenaggio su un arco di 12 giorni.
Crioterapia
Oltre alle pratiche naturali, la Fisiochinesiterapia si basa sull’impiego diretto del freddo e del caldo. La forma
più semplice di crioterapia è rappresentata dall’applicazione di impacchi d’acqua fredda o di borse del
ghiaccio a scopo analgesico o antinfiammatorio.
Termoterapia
Il calore può essere fornito con borse d’acqua calda, impacchi caldi di fiori di fieno o esposizione a correnti
d’aria calda e secca come nei forni di Bier.
L’idroterapia
tecnica già nota nel XIII sec., viene eseguita in una piscina di dimensioni contenute, con l’acqua di circa
37°C. L’immersione in acqua può essere sfruttata pr incipalmente in 2 modi:
1. La forza di gravità viene praticamente abolita dal fenomeno del galleggiamento e quindi una forza
muscolare limitata può produrre movimenti assai più ampi e validi, quanto non accade fuori dall’acqua.
2. Il galleggiamento e il tepore tendono a sciogliere le contratture muscolari che spesso accompagnano le
forme dolorose.
Elettroterapia (TENS)
Sempre nell’ambito della fisioterapia negli ultimi decenni sta acquistando una riconosciuta validità terapeutica
l’elettrostimolazione transcutanea (EST in italiano / oppure TENS = transcutaneous electrical nerve
stimulation).
L’elettrostimolazione transcutanea in terapia antalgica oncologica (EST)
(Tratto da:Dolore 2 - Uso terapeutico delle tecniche di termolesione percutanea e di neurostimolazione ed. cortina.
Autori: G. Franchi, C.A. Pagni, V. Ventafridda)
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L’EST è una tecnica che ha lo scopo:
- di abolire o ridurre il dolore,
- di ritardare la sua comparsa.
Essa si avvale dell’utilizzo di uno stimolatore che eroga degli impulsi di variabile intensità, frequenza ed
ampiezza. Questi vengono trasmessi alla persona tramite degli elettrodi (placche) di varie dimensioni, che
vengono posti in contatto con la cute. Per far si che la trasmissione di tali impulsi sia ottimale viene utilizzata
anche una pasta conduttiva interposta tra elettrodo e superficie cutanea.
I punti in cui gli elettrodi vengono posti sono caratterizzati da iperalgesia e/o iperestesia, oppure vengono
applicati lungo il decorso di tronchi nervosi tributari della zona dolorosa. A volte gli elettrodi vengono posti
anche su punti di agopuntura corrispondenti all’area dolorosa, secondo le mappe conosciute.
Zone di ipo o anestesia non vengono stimolate data la provata inutilità di tale tentativo.
Una volta individuate le zone di applicazione si può istruire la persona all’autoregolazione dello stimolatore.
Questo apparecchio non tratta la causa del dolore, bensì maschera il messaggio doloroso.
Solitamente quando l’EST non da un risultato positivo nelle prime 24h, viene sospesa in genere anche se è
da notare che sono spesso necessari tentativi ripetuti per individuare i punti efficaci per la stimolazione
antalgica.
Riguardo all’utilizzo di questa tecnica si sono riscontrati dei risultati buoni nel 42,6% delle persone trattate,
infatti in tali persone si è ottenuto il controllo completo del dolore con il solo utilizzo dell’EST o con
l’abbinamento dell’EST ad analgesici minori.
E’ emerso in particolare che il gruppo di persone che ottengono un marcato beneficio sono quelle in cui
l’intensità iniziale del dolore è di grado moderato ed in cui sono ben evidenti aree di iperestesia o iperalgesia.
Risultati buoni si hanno anche nelle localizzazioni dolorose cervico-facciali e degli arti superiori. I risultati
risultano invece nulli in persone con dolori somatici intensi e che fanno uso continuo di analgesici narcotici.
Per quanto riguarda l’efficacia dell’EST a lungo termine purtroppo solo pochi dopo 30gg trovano ancora
beneficio, questo pone il limite di utilizzo di questa tecnica.
L’EST comunque risulta particolarmente efficace in dolori da amputazione e nella nevralgia post-erpetica.
Bibliografia:
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“L’art de soigner en soins palliatifs. Perspectives infirmières”, Claudette Foucault, Les Presses de
l’Université de Montréal
“Soins palliatifs, une approche pluridisciplinaire”, sous la direction de Cicely Saunders, Editions Lamarre
“Trattamento del dolore: teoria e pratica”, Warfielddd
I. Bachmann-Mettler, Weiterbildung in Palliative Care, Krebsligakurs ‘96-’97
Versione riveduta dello strumento di valutazione del dolore di una ditta farmaceutica (Mundipharma)
“Graphique - Evaluation de la douleur”, marzo 1997, Hôpitaux Universitaires de Genève.
Cure palliative, manuale pratico, 1994, Associazione Europea di cure palliative
Data di emissione: 18.09.07
Data di aggiornamento:
Redatto da: Serv. Cure palliative
Approvato da: Serv. Cure palliative
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