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Insegnamento linguistico riflessivo della lingua straniera
Assunta Giuseppina Zedda
1. La crisi dell’insegnamento grammaticale tradizionale: le nuove proposte
In Italia, le prime critiche all’insegnamento grammaticale tradizionale
nelle classi di L1 risalgano agli anni ’70 e investono in parte anche quello
nelle classi di lingua straniera. Esse riguardano tanto gli obiettivi quanto i
contenuti dell’insegnamento tesi a escludere dimensioni importanti della
lingua come parlato, contesto, varietà geografica, ecc., e focalizzati solo sulla
dimensione morfologica e sintattica. Le nuove proposte sono molto varie e
vanno dalla totale rinuncia all’insegnamento di questo settore
dell’educazione linguistica a una serie di nuove teorie didattiche, in parte
basate sui modelli d’oltralpe. Molto equilibrate e razionali sono le proposte
di Berretta (1977) e Altieri Biagi (1978) che sostengono che fare grammatica
è un mezzo di crescita cognitiva e, come tale, deve attivare processi di
pensiero ed essere inserito in una didattica interdisciplinare comprendente
tutte le lingue studiate, tenendo in debito conto l’età, i modi e i tempi di
acquisizione.
Apre la discussione critica Simone (1974; in Lo Duca 2003: 148-149) che
avanza un modello alternativo a quello analitico/ricognitivo della tradizione
con il modello sintetico/generativo; esso si fonda in special modo sui meccanismi
generativi e sopperisce alla mancanza di tecniche specifiche con tecniche
implicite che presentano la lingua soltanto attraverso un’esposizione
abbondante all’input. In seguito, lui stesso riconoscerà i limiti di tale
proposta. Berretta, pur criticando la tradizione, sostiene comunque il valore
del fare grammatica (1977; in Lo Duca 2003: 151) focalizzando il suo
interesse sui modelli che affollano lo scenario internazionale (funzionalismo,
strutturalismo, semantica generativa, ecc.) e studiando le possibili
applicazioni didattiche. Le conclusioni della sua ricerca servono soprattutto
a mettere in guardia dall’intenso proliferare di testi scolastici fortemente
teorici ma scarsamente didattico-applicativi. Su questa scia si pone il
contributo di Parisi che cerca di collegare il mondo della ricerca con quello
dell’insegnamento attraverso il modello di pedagogia linguistica razionale: il
linguaggio verbale è “un’attività guidata da scopi” (Parisi e al. 1979, Lo
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Duca 2003: 153), parlare significa costruire e realizzare questi scopi e capire
significa ricostruire gli scopi di chi ha parlato. Tale modello si concretizza in
attività di riflessione, mentre per i settori scoperti, come quello
sociolinguistico, lessicale, ecc., ricorre a modelli esterni compensativi. Renzi,
invece, rimane prudente sulle soluzioni alternative pur proponendo un suo
modello, grammatica ragionevole per l’insegnamento, che avrà un ruolo
rassicurante all’interno della classe insegnante. Egli argomenta che la
grammatica tradizionale è ancora la base migliore per il suo insegnamento
(Renzi 1977b; in Lo Duca 2003: 154) e, non a caso, l’aspetto più
ampiamente condiviso dalla comunità scientifica è la sua impostazione
eclettica tesa ad integrare il modello di base tradizionale con altri modelli. Con
scarso successo in ambito di insegnamento di L1, Simone (1984a; in Lo
Duca 2003: 156-158) propone la grammatica nozionale che dà rilievo ai
significati e quindi alle funzioni, e non ai meccanismi formali che li
rappresentano. Tale modello permette la comparazione tra lingue diverse
(materne e seconde) e la positiva accoglienza nella didattica della L2 è
dovuta proprio a questa caratteristica. Non a caso è il modello adottato dal
Consiglio d’Europa nel Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (Council
of Europe 2001).
2. Un nuovo modo di educare alla lingua
Tutte queste proposte contribuiscono a formare una nuova
consapevolezza della materia linguistica e a fare emergere un’impostazione
diversa del suo insegnamento: si sostiene un atteggiamento eclettico, al fine
di affiancare al modello tradizionale alcune nuove teorie grammaticali; si
ammette l’esistenza di più grammatiche, con un progressivo ampliamento
del campo di interesse; si evita l’eccesso di nozioni e termini tecnici; e
soprattutto, si promuove il potenziamento delle capacità metalinguistiche,
cioè di riflessione, legate alla curiosità spontanea e alla naturale capacità di
osservazione degli allievi1.
Sabatini (1991: 23) giunge a una significativa sintesi della discussione
definendo ciò che si deve intendere per riflessione sulla lingua2, e cioè un
insieme di conoscenze molto vario, divisibile in settori: fonico-grafico
(pronuncia, prosodia, ortografia e punteggiatura); pragmatico (situazioni,
funzioni, tipi di testo); strutturale (fonologia, morfologia, sintassi, lessico,
ecc.); sociale (rapporti tra lingua, storia, società, cultura e altre lingue). La
nuova educazione linguistica ha come finalità (Sabatini 1995); in, oltre allo
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sviluppo delle abilità linguistiche, anche la formazione culturale e il
potenziamento delle abilità cognitive. Proprio lo sviluppo di tali abilità
risulta particolarmente centrale nel quadro concettuale della riflessione sulla
lingua, poiché esse inducono la mente dei discenti a lavorare
consapevolmente, ponendosi domande e risolvendo problemi, su quanto già
conoscono attraverso operazioni mentali (osservazione, ipotesi, astrazione,
classificazione, confronto, generalizzazione, ecc.) che sono alla base dei
processi più maturi di pensiero. Un’ultima finalità Sabatini la individua nella
capacità di fornire agli apprendenti un insieme di conoscenze e metodi di
analisi spendibili anche in contesti di apprendimento di altre lingue, in cui la
capacità di riflessione in L1 deve costituire l’impalcatura generale per
sviluppare capacità di riflessione anche sulle seconde lingue (Lo Duca 2003:
168).
3. Gli approcci all’insegnamento linguistico nelle classi di lingua
L’insegnamento della L2 ha come scopo quello di far acquisire le regole
in modo implicito, cioè portare a quella conoscenza (know) capace di
generare comprensione e produzione linguistica; tuttavia, le ricerche hanno
messo in evidenza che focalizzazioni esplicite sulle regole da apprendere
possono condurre a una conoscenza (cognize) altrettanto importante, capace
di analizzare e interiorizzare nuovo input3 (Balboni 2002: 113-114).
L’insegnamento guidato di una lingua straniera si divide tra l’esigenza di
creare in classe le condizioni naturali che permettano l’interazione e la
partecipazione attiva dei discenti e l’esigenza di fornire un adeguato
supporto che serva a rendere più facile la complessità della lingua da
apprendere. Da una parte vi sono, dunque, le istanze degli approcci
comunicativi tese a stimolare il LAD (Language Acquisition Device; Chomsky
1965), legato a tempi, ritmi e modi strettamente individuali e non prevedibili
e, dall’altra, le necessità di approcci più formali che mirano a costruire le
basi del LASS (Language Acquisition Support System; Bruner 1983), cioè di
quell’ambiente sociale formato da insegnanti, compagni di classe, ecc. che
non solo assiste l’apprendente nelle varie fasi di acquisizione, gli fornisce
feedback e input correttivo, lo motiva e lo sostiene attraverso spiegazioni,
semplificazioni, supporti psicologici, ecc. ma gli fornisce anche input reso
comprensibile (Balboni 1998: 91)4. Infatti, esporre semplicemente gli
apprendenti a quantità anche imponenti di lingua è insufficiente: “a cosa
servirebbe ascoltare per ore, giorni o settimane discorsi in malayalam, se
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non ad apprenderne, al massimo, solo un po’ di fonologia?” Ciò che serve è
che l’input sia considerato composto da linguaggio e informazioni
situazionali parallele e che per acquisire qualcosa di nuovo sia necessario
comprendere il contesto in cui è inserito (Pallotti 1998: 161-162).
Come sottolineato anche da Ciliberti (1994: 136), finiti i dibattiti che
avevano visto contrarie anche voci autorevoli, studiosi e insegnanti sono
oggi quasi tutti concordi nel dare giusta rilevanza all’insegnamento della
‘grammatica’ (Danesi 1988: 54-55; Titone 1985: 57) sia per il suo ruolo
formativo di disposizione ad apprendere in generale, sia per il suo ruolo
informativo mirato a facilitare e accelerare l’apprendimento. Come già
osservato per l’insegnamento della lingua materna, anche per grammatica
della L2 (Balboni 1994: 45-46) deve intendersi un insieme complesso di
grammatiche (fonologica, grafemica, lessicale, testuale, para-, extra-, socio-,
pragma-linguistica) e non solo l’acquisizione di morfologia e della sintassi. Il
problema semmai risiede nell’approccio da seguire: esplicito, se si è convinti
che l’apprendimento sia un processo imitativo di regole da presentare preanalizzate; implicito, se si è convinti che esso sia un processo costruttivista
di regole da scoprire e aggiustare progressivamente da parte del discente
(Ciliberti 1994: 137-138). Sulla base di questi due approcci, Balboni (1998:
105-107; 2002: 117-118) fornisce una dicotomia per sottolineare
l’importanza di distinguere le basi teoriche che sottostanno ai concetti di
“riflessione sulla lingua” (RL) e “insegnamento della grammatica” (IG). Sebbene
ogni dicotomia sia da considerarsi semplicistica, se ne riporta di seguito una
sua sintesi, posta sotto forma di domande, con l’auspicio che il lettore non
valuterà l’opposizione come: A è tutto giusto e B è tutto sbagliato.
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Chi?, nella RL, il soggetto è l’allievo, che riflette volontariamente,
mentre l’insegnante stimola e guida la riflessione sempre più
indirettamente; nell’IG, il soggetto è il docente che riversa la sua
conoscenza sullo studente. Quando?: nella RL è sempre un punto
d’arrivo che si esplica su quanto è stato prima intuito, verificato,
fissato e reimpiegato; nell’IG, invece, è punto di partenza che va dalla
presentazione della regola al suo reimpiego; Cosa?: nel caso della RL,
le regole sono considerate come meccanismi di funzionamento e
vengono indagate su tutta la competenza comunicativa; nell’IG, le
regole sono viste come norme da applicare considerate nell’ambito
della sola competenza linguistica; Dove?: nella RL, il luogo è inteso
come schema aperto, fisico e concettuale; nell’IG, come schema
chiuso, completo e già predisposto, al fine di evitare sprechi di
tempo; Perché?: nel caso della RL, lo scopo è formare
rappresentazioni mentali esplicite e conquistare autonomia
nell’“imparare a imparare”; nell’IG, lo scopo è applicare le regole.
A nostro avviso, si ritiene possibile integrare utilmente i due approcci nel
presentare esplicitamente le regole della lingua, ma sotto forma di ipotesi, la
cui verifica o confutazione, da parte degli studenti, può divenire punto di
partenza per considerazioni e ipotesi ulteriori da mettere in discussione. In
questo modo, nel proporre attività di ‘negoziazione’ sulla lingua come
oggetto naturale di discussione in classe, gli approcci comunicativi
acquistano più coerenza metodologica e forniscono le basi per condurre
l’allievo verso una maggiore autonomia nell’apprendimento (v. anche
Ciliberti 1994: 138).
Vediamone due esempi, sulla forma e l’uso dell’imperfetto, in cui si può
rilevare come il docente proceda nella spiegazione della regola con un
approccio esplicito utilizzando però anche domande che inducono l’apprendente
a riflettere verificando ipotesi, facendone di nuove o correggendo quelle
sbagliate, sue o dei compagni. La riflessione collettiva può servire anche a
chiarire i dubbi non esternati da quegli studenti che hanno più difficoltà a
chiedere o a esprimersi in pubblico. Gli estratti, trattando un aspetto
formale della lingua, non riportano una discussione definibile come
interessante, almeno nel senso comune del termine, quale si avrebbe invece
nel trattare altri significati della lingua che potrebbero coinvolgere e
stimolare gli apprendenti a livelli più alti. Tuttavia, la discussione risulta
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ugualmente interessante perché dimostra che è possibile fare riflessione
sulla lingua in L2, farla in gruppo e non individualmente e farla in modo
comunicativo con il risultato di rendere questa parte fondamentale
dell’acquisizione linguistica più motivante e partecipata. I brani sono estratti
da classi di italiano per stranieri adulti: le note fuori testo con parentesi
quadre, la scrittura alla lavagna e la lettura di testi è segnalata con il corsivo.
Esempio 1
[Sono state consegnate alcune fotocopie con le forme dell’imperfetto]
I:
St1:
I:
St3:
St1:
I:
St6:
St4:
I:
St1:
I:
St1:
I:
St6
I:
St4:
I:
St6:
I:
[…] allora, ragazzi, oggi parliamo di imperfetto # avete sicuramente sentito già
parlare di imperfetto # l’imperfetto è un tempo verbale # chi mi dice cosa vuole
dire imperfetto? [scrive imperfetto] [silenzio]
non perfecto
bene # non perfetto ### vedete qui il prefisso in- [sottolinea -im] nega la parola #
poi la -n- diventa -m- davanti a -p -b -m vi ricordate sì ## allora # facciamo un
cerchio per indicare una cosa perfetta ##### facciamo questa specie di freccia per
indicare una cosa non perfetta #### il tempo che continua ehm: questa, azione finita
conclusa ####### azione o modo di essere lo scrivo qui tra parentesi #######
questa, azione non finita non conclusa ####### bene facciamo qualche esempio, su
datemelo voi qualche esempio uhm: al presente, [silenzio]
io me chiamo ******
io studio italiano
ok io studio italiano ##### chi mi dice se questa è azione finita o non finita nel
presente? [brusio]
sì no finita
sempre io studio italiano [risa]
oh: povero:: povero ***** # dai su su [risa] avanti un’altro esempio # un esempio
non presente # questo al passato [silenzio]
questo? [indica la fotocopia]
ehm:: sì sì va bene
quando ero piccola
quando ero piccola ######## ok pensateci # è azione finita o non finita nel
passato?
finita ## prima piccolo dopo no
io però ho detto azione finita o non finita NEL PASSATO [silenzio] oggi può
essere finita ma prima # NEL PASSATO, è finita o non finita? [silenzio] guardate
aggiungo qualcosa all’esempio # quando ero piccola ho visto un film sulla II guerra
mondiale ############ [divide in due il periodo e cerchia i due verbi] quale azione
è finita? quale non è finita? Quale di queste due azioni dura # continua?
dur(a)?
continue to continue [silenzio]
ho visto eh finito
bene # quando ero piccola?
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St1:
I:
St6:
I:
St1:
St3:
St2:
I:
St3:
I:
St1:
I:
81
no finita
non finita quando? nel presente o nel passato?
passato
benissimo # allora ## possiamo aggiungere qui azione che continua?
azione nella sua durata eh:: ?
[conferme] ######## bene adesso guardate la fotocopia # osserviamo la
forma dell’imperfetto alle tre coniugazioni # da quale tempo o modo si
forma l’imperfetto? [silenzio] dal presente? # dal passato prossimo? # dal
futuro:? # dall’infinito? # eh: da cosa si forma secondo voi? [silenzio]
presente?
no passato prossimo no [silenzio]
presente # infinito per futuro
siete d’accordo? [silenzio] dal passato prossimo no perché?
ci sono due
sì # perché è formato da due parole e l’imperfetto sola da una e dall’infinito no
perché? ######
infinito por el futuro parlare como parlarò eh molto similare
ok perché sono simili # siete d’accordo? [conferme] allora possiamo dire che
l’imperfetto si forma dal presente # ad esempio parlo cade la –o aggiungo –avo
parlavo ### bene se non ci sono domande […]
Esempio 2
[Viene fornito un brano contenente alcune funzioni dell’imperfetto]
I:
St3:
I:
St4:
I:
St2:
I:
St2:
St3:
St4:
St2:
I:
[…] secondo voi l’imperfetto può servire a esprimere azioni abituali o
ripetitive nel passato? ########## cercate nel testo qualcosa che può
confermare questo uso [silenzio]
secondo me eh quando ero piccola andavo tutte le estati dai nonni in campagna ogni volta lì
ritrovavo i miei cugini che facevano una vita molto diversa dalla mia così cittadina si alzavano
sempre presto la mattina […]
ok siete d’accordo? [conferme] bene # ci sono altre frasi con questa funzione?
forse # quando andavo al mercato con mia nonna era sempre un’esperienza emozionante sui
banchi c’erano merci di ogni tipo # colori e odori dappertutto, le venditrici erano forti nel fisico #
portavano gonne ampie e colorate # urlavano con voce #
|basta così cosa dite? è azione abituale? [silenzio]
no io penso ca- quando andavo al mercato con mia nonna era sempre una esperiencia
emocionante sì doppo no # doppo eh altro
altro cosa? a che cosa servono gli imperfetti c’erano portavano urlavano?
perché vengono usati?
parlare de mercato como eh el mercato
descricione
ehm: descriptione ## uhm anche acioni abituali
sì prima no doppo # penso anche eh descrisione # fisico # voce # gonne
va bene allora l’imperfetto serve anche per fare descrizione di persone lo
aggiungiamo ########## ok si usa anche per fare descrizione di luoghi?
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St1:
sì mercato […]
4. L’attività riflessiva nelle classi di lingua
Riflettere (meta) sulla lingua significa parlare della lingua, cioè quel
comportamento verbale che si intreccia con attività riflessive il cui oggetto è
il comportamento stesso. Riflettere significa anche pensare sulla natura e le
funzioni della lingua (Pratt e Grieve 1984; cit. in MacLaren 1989: 6) dato
che l’attività metalinguistica è svolta prima di tutto interiormente, cioè
dentro la nostra mente. Sinclair (1981; cit. in Ricciardelli e al. 1989: 19),
infatti, include nel fenomeno metalinguistico “all the capacities and activities
concerning language and language judgment wich are not themselves a part of (or very
closely tied to) production and comprehension process. Any reflection, ideas, knowledge, or
explicit formulation of underlying principles, rules etc. concerning language structure,
function, or rules for its use have been classified under the label ‘linguistic awareness’ or
‘metalinguistic activities’”. Dunque, in ogni discorso o pensiero che riguardi
forme, significati, usi linguistici è presente la riflessività, cioè la
consapevolezza linguistica.
In particolare, le attività riflessive nelle classi di lingua hanno per oggetto,
da una parte, le proprietà, il funzionamento, gli usi della lingua in quanto
“codice” (sia a livello di elementi microlinguistici, ad es. sillabe, parole, frasi,
che a livello di elementi macrolinguistici, ad es. testualità, generi, situazioni)
e, dall’altra, i commenti, le glosse, le valutazioni sugli scambi verbali in
quanto “comunicazione”, aventi lo scopo di gestire, monitorare e riorientare l’interazione5. In tal senso si distinguono - pur spesso
intrecciandosi - attività metalinguistiche, cioè il “fare grammatica”, e attività
metacomunicative, cioè il “comunicare sulla comunicazione” (Ciliberti e al.
2003: 95). Entrambe comportano un cambiamento di piano, una presa di
distanza, da quanto i parlanti hanno detto o vanno dicendo. Si vedano
alcuni esempi chiarificatori estratti da Ciliberti, Pugliese e Anderson (2003:
98): il primo, è un’attività metalinguistica sul codice a livello microlinguistico
durante una lezione di inglese in una IV elementare; il secondo, è sempre
un’attività sul codice, ma a livello macrolinguistico, durante una lezione di
italiano in una II media; il terzo, è un commento metacomunicativo,
all’interno di una lezione di inglese in una II elementare, finalizzato a riorientare gli allievi verso l’interazione in corso.
Esempio 3
A:
She likes pizza and chicken
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I:
C:
I:
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She likes pizza and chicken. She likes pizza and chicken. Perché she? Perché è?
FEMMINILE
Femminile. Ok::
Esempio 4
I:
A:
I:
A:
I:
A:
…La descrizione oggettiva perché sopra qui- si utilizza maggiormente per (??)
La descrizione?
Oggettiva
Quando bisogna parlare di un argomento di scienze per esempio,
Sì, un argomento scientifico in generale (??)
Sì, quando bisogna + quando bisogna fare una descrizione nella quale non
possiamo mettere le impressioni proprie
Esempio 5
A:
I:
A:
Ma::: le risposte vanno scritte accanto alla domanda?
Stop! Stop! Stop. Avete ragione. Volevo fare velocemente e allora non mi
sono spiegata bene. In alto c’è scritto “questions on the left, answers on the
right”. Giusto?
Sì:::
5. I materiali sui cui riflettere e la discussione riflessiva
Le interazioni didattiche degli esempi riportati sopra scaturiscono da
lezioni comunicative regolate dal libro di testo, attività ottime per gli
obiettivi specifici che perseguono. Ma la lingua è fatta di tanti aspetti, come
si è detto, essa è un insieme composito di tante grammatiche che devono
essere acquisite se non si vuole accettare l’idea che essa sia costituita solo da
significati formali. Nella classe di lingua straniera, in particolare, anche i
materiali orali autentici possono essere fatti oggetto di riflessione (es.
interazioni spontanee tra parlanti nativi, come telefonate, candid camera, ecc.)
i quali, oltre a potenziare abilità di ascolto e comprensione, sviluppano
competenza metalinguistica interattiva attraverso le DISCUSSIONI RIFLESSIVE
che ne possono conseguire. Infatti, come nota Erickson (1996; in Margutti
2004: 50), le interazioni spontanee in L2 possono educare gli apprendenti a
riflettere su particolari significati, ad esempio, le reazioni verbali prodotte da
chi ascolta simultaneamente a chi parla, oppure, come osserva Gumperz
(1982; in Margutti 2004: 51-52), possono servire a cogliere i significati
pragmatici dell’interazione veicolati attraverso comunicazioni extralinguistiche (intonazione, sguardo, postura, gesti, ecc.) educando i discenti
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ad acquisire nuovi “occhi” culturali nell’analisi ad esempio di stereotipi o
malintesi e favorendo la loro consapevolezza e autonomia nell’osservare,
analizzare e riflettere. Tutto questo è difficile che emerga dalla sola pagina
scritta di un libro di testo. Un uso intelligente di materiali orali trasmessi (da
radio o televisione, come ad es. interviste, talk show, varietà, film, ecc.) nelle
classi di lingua è ben descritto in Diadori (1994: 42-44) che indica tra i
diversi vantaggi, come la forte motivazione e gli aspetti socioculturali, anche
la possibilità di analizzare la lingua in contesto per aiutare a riflettere sulle scelte
linguistiche in relazione alla situazione e la possibilità di presentare i vari
modelli di lingua orale al fine di stimolare la consapevolezza sul variegato
repertorio linguistico dell’italiano (spazio, gruppi sociali, ecc.) anche con
discussioni riflessive. Non sono da escludere neanche i materiali orali
costruiti ad hoc, come ad esempio la pubblicità, utili a far riflettere sugli scarti
linguistici, i giochi di rime e di parole, i modi di dire, e comunque sempre
veicolo di cultura di un determinato paese. Non solo i materiali orali
possono essere oggetto di riflessione e discussione, ma anche i materiali
scritti autentici. Si prenda ad esempio la lettera, su questo modello si può
riflettere sul fatto che esso ha delle componenti obbligatorie universali
(indirizzo, data, saluti, corpo del testo, ecc.) ma si differenzia nelle diverse
culture per le convenzioni linguistiche e il layout. Solo dopo una tale
riflessione, suggerisce Balboni (2002: 57-58), si sviluppa nel discente il
bisogno di scoprire come costruire una lettera in L2.
Tuttavia, qualsiasi materiale decida di utilizzare, il docente deve fare in
modo che l’insegnamento dei diversi significati di una lingua non sia
un’attività separata dalla comunicazione. Gli ambiti su cui egli può
indirizzare la riflessione sono ovviamente tantissimi per cui sarà necessario
o operare delle distinzioni a seconda dell’importanza dei significati presenti
in una lingua, oppure, se non vorrà fare tali distinzioni, dovrà essere
consapevole che determinanti significati attivano discussioni più stimolanti
di altre, senza rimanerne sorpreso. Ci sono infatti significati convenzionali e
universali che non favoriscono particolarmente la discussione riflessiva (ad
es., in senso formale, gli aspetti morfologici), al contrario, ve ne sono altri
che, per la loro complessità o per la loro natura fortemente psicologica,
sociale o culturale si prestano di più a essere esplicitati, e quindi fatti oggetto
di discussione riflessiva collettiva (ad es. in senso contrastivo-tipologico, le
differenze/somiglianze tra le lingue; o in senso socio-psicologico, il
linguaggio medico che introduce al confronto tra i diversi sistemi sanitari; o
ampliando anche il campo ai confronti interculturali di tipo religioso, la
lettura di un articolo di attualità o l’interpretazione di brani scelti da testi
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sacri avviano discussioni aprendo il dialogo tra fedi diverse, un argomento
fortemente sentito, oggi, nelle classi multietniche occidentali: per estensione,
in questo caso, riflettere sulla lingua e i suoi contenuti può significare anche
educazione alla tolleranza e alla pace).
6. Le tecniche per riflettere su forme e funzioni
Si è detto che riflettere significa parlare della lingua e pensare sulla lingua:
queste attività metacognitive, svolte dal discente sotto la guida
dell’insegnante, a volte nascono più o meno spontaneamente, come le
discussioni riflessive viste sopra, altre volte si affrontano
programmaticamente quando arriva il momento che l’apprendente osservi,
classifichi, rappresenti, generalizzi, memorizzi, ecc. le diverse
FORME/FUNZIONI della lingua attraverso ipotesi, paragoni, inferenze, ecc., e
cioè compia operazioni cognitive che gli permettano di lavorare sulla
conoscenza esplicita delle regolarità della lingua, passando dalla conoscenza
alla padronanza, dalla competenza d’uso alla competenza sull’uso. Tali
tecniche non solo potenziano le abilità cognitive e riducono la complessità
dell’input nella sua analisi e interiorizzazione, ma servono anche a integrare
lacune, consolidare l’uso di forme, correggere ‘errori’ e dare via libera a
nuovo apprendimento innestando un circolo virtuoso.
La “scoperta delle regole” di una lingua (Balboni 1998: 88-90) da parte
dell’apprendente avviene attraverso un percorso riflessivo suddiviso in varie
fasi induttive (1- formazione di ipotesi; 2- verifica delle ipotesi; 3- fissazione delle regole
ipotizzate e verificate; 4- riutilizzo delle regole ipotizzate, verificate e fissate; 5- riflessione
sulla lingua) che il bambino madrelingua, almeno per le ‘regole’ principali, ha
già quasi attraversato prima di entrare nella scuola elementare6. Per ognuna
di queste fasi esistono tecniche specifiche che sono ben illustrate in Balboni
(1998: 93-115; repertorio: 131-192)7 e al quale si rimanda per
l’approfondimento. Se ne fornisce qui una breve sintesi, sottolineando che
soprattutto con apprendenti adulti la fase 5 può essere meglio anticipata alla
fase 3, in tal modo fissazione e riutilizzo sono contemporanei o seguono la
riflessione esplicita.
- Tecniche per la formazione e la verifica di ipotesi
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Le tecniche per la formazione e la verifica di ipotesi (fase 1 e 2) sono condensate
nella classica osservazione guidata che può essere di due tipi: a priori e in
itinere. L’osservazione guidata a priori si realizza con DOMANDE da parte del
docente su regole da prevedere in testi da leggere, ascoltare o vedere; qui il
compito degli studenti è fare ipotesi su ciò che può essere detto o avvenire
in una determinata situazione (per esempio, per favorire la comprensione di
una situazione, Al Pronto Soccorso, e ipotizzare la lingua che verrà usata, prima
della lettura di un brano, si chiede agli studenti di guardare immagini e titolo
e fare previsioni sul contenuto aiutandoli con alcune domande-guida del
tipo: chi sono le persone ritratte nella foto? dove si trovano? cosa stanno
facendo? ecc.; dopo si può chiedere di immaginare le loro conversazioni: di
cosa parlano? come si esprimono? quali parole usano?). L’osservazione guidata
in itinere si effettua con l’ESPLICITAZIONE DI FORME, l’uso di INSIEMI,
SOTTOLINEATURE, COLORI, GRIGLIE, ecc. su regole da individuare in testi
letti, ascoltati o visti; in questo caso, il compito degli studenti è ricavare
direttamente dal testo le regole con un’attività cognitiva autonoma (ad
esempio, per l’analisi della lingua usata in una determinata situazione,
considerando questa ancora Al Pronto Soccorso, si chiede agli studenti di
trovare nel testo le forme o le formule usate per dire cosa è successo, per
comunicare lo stato di salute, per indicare parti del corpo, per dare consigli
medici, ecc. e di inserirle in una griglia appositamente costruita).
Entrambe presuppongono che gli studenti da soli o in gruppo, in classe o
fuori, su altri testi precedentemente esaminati o da esaminare verifichino le
previsioni fatte o le regole individuate.
- Tecniche per la fissazione e il riutilizzo
Le tecniche per la fissazione e il riutilizzo (fase 3 e 4) comprendono
essenzialmente esercizi strutturali, attività per la produzione orale ed esercizi
scritti. Gli esercizi strutturali (pattern drills), nonostante la connotazione
negativa che li associa al superato approccio audio-orale, sono ancora
fondamentali per la fissazione e il riutilizzo molto guidato dei diversi
modelli, morfo-sintattici, funzionali, ecc., se costruiti e utilizzati in modo
coerente ai principi degli approcci comunicativi: imparare una lingua infatti
non è un semplice comportamento, ma significa accettare l’esistenza del
LAD, ampliare la sfera delle competenze da acquisire, aiutare lo studente a
raggiungere gli obiettivi, fornire garanzia affettiva, guidare verso attività
sempre più autonome. Attività di RIPETIZIONE e DRAMMATIZZAZIONE
possono essere usate in “scambi comunicativi” impostati sulle funzioni (es. - ti
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andrebbe di andare al cinema? - si,…anzi, no: preferirei andare a teatro, sostituendo
poi cinema e teatro con altri luoghi), in “successioni” costruite secondo un
parametro (mettersi in fila per data di nascita, gusti, ora di partenza da casa,
ecc.) o in “sondaggi d’opinione” che prevedono una risposta da scegliersi
dentro un quadro prestabilito (- quante volte vai al cinema …? - spesso/ogni
tanto/mai, ecc.); negli ultimi due casi si può parlare di attività autenticamente
comunicative poiché le domande sono finalizzate a colmare un reale divario
di informazione. Ampliando ancora il concetto di esercizio strutturale, si
possono costruire GIOCHI (pattern games) sulla base di alcuni già esistenti,
come la tombola grammaticale, la battaglia navale alfa-numerica, giochi su schema, gare
di percorrenza e orientamento su piantine, ecc. Per la componente fonologica e
paralinguistica si possono utilizzare le COPPIE MINIME inserite in frasi a
contesto significativo (Papà usa la pala in giardino/i bambini giocano a palla in
giardino) e la RIPETIZIONE REGRESSIVA per non smuovere e fissare la curva
intonativa.
Riguardo al riutilizzo più libero o autonomo dei modelli non sono
indicate tecniche specifiche poiché si impiegano quelle previste per lo
sviluppo delle abilità di dialogo, provenienti da tutta la serie delle
simulazioni, come il ROLE-TAKING, il ROLE-PLAY, il ROLE-MAKING, lo
SCENARIO e il DIALOGO APERTO. Il ricorso a esercizi scritti, del tipo
RIEMPIMENTO DI SPAZI o “VOLGI AL…”, in questa fase è abbastanza
comune.
- Tecniche per la osservazione sulla lingua
Le tecniche per la riflessione sulla lingua (fase 5) sono organizzate in gruppi e
comprendono anche quelle che consentono di esercitare gli aspetti che sono
stati prima oggetto di riflessione. Le tecniche di natura insiemistica si basano
sulla formazione e manipolazione di insiemi e risultano molto motivanti
perché sanno di sfida e di gioco. L’INCLUSIONE richiede allo studente di
inserire, ad es. aspetti fisici/aspetti del carattere o informazioni verbali/non
verbali di un insieme dato alla rinfusa, in gruppi omogenei.
Nell’ESCLUSIONE lo studente parte sempre da un unico insieme,
composto però da elementi “imparentati” e da elementi “estranei”: il suo
compito è individuare questi ultimi ed escluderli affinché l’insieme restante
divenga omogeneo. La SERIAZIONE si utilizza per mettere in ordine un
insieme caotico sulla base di un parametro (ordine alfabetico, quantità,
ordine di importanza dell’informazione, ecc.): tale tecnica può attivare
discussioni essendo il riordino spesso parzialmente arbitrario. La
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segue lo stesso procedimento della seriazione ma
concentrandosi solo sul parametro dell’ordine temporale, per questo motivo
riguarda esclusivamente verbi e avverbi. Le tecniche di natura procedurale
vengono impiegate per la formazione di rappresentazioni mentali, sia
testuali che morfosintattiche. L’ESPLICITAZIONE può essere utilizzata per la
testura, cioè per le relazioni tra le frasi di un testo realizzate attraverso i
meccanismi di coesione (pro-forme, pronomi, connettori, modalità,
temporalità, ecc.) Per lo studente esplicitare significa mettere in evidenza tali
forme unendole con linee alla parola di riferimento o annotarne a margine il
rapporto che indicano o evidenziarlo attraverso l’uso di colori diversi.
Nell’INCASTRO lo studente riordina le frasi in un periodo, i periodi o i
paragrafi in un testo, le battute in un dialogo, le vignette in un fumetto che
sono fornite in sequenza casuale. La SCELTA MULTIPLA comporta la
selezione di una sola risposta tra le diverse che vengono offerte (domande
con risposta sì/no o vero/falso, domande/frasi/periodi con tre/quattro tipi
di risposta o conclusione). La COMBINAZIONE può essere utilizzata per
mettere in evidenza i legami sintattici o semantici in frasi: lo studente deve
fare i collegamenti corretti tra la colonna che contiene i pezzi iniziali delle
frasi e l’altra che contiene le conclusioni. Le tecniche di manipolazione
consentono allo studente di esercitarsi sui modelli che ha reso espliciti.
Classiche sono quelle indicate con compiti del tipo “TRASFORMA AL…” o
“VOLGI AL…”, comunicative, e più motivanti, sono quelle introdotte da
consegne come “RACCONTA IL…” (ad es., un film, per il passaggio dal
presente al passato del racconto). Il RIEMPIMENTO DI SPAZI può essere
finalizzato, oltre all’inserimento di parole corrette in un testo, anche
all’accordo in parole da inserire fornite nella forma base.
SEQUENZIAZIONE
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Note
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Verso la fine degli anni ’80, la psicolinguistica evolutiva promuove una serie ricerche
sulla natura e la formazione della consapevolezza metalinguistica nel bambino. Si
vogliono confermare ipotesi su alcuni punti nevralgici dell’educazione linguistica, come
ad esempio l’insegnabilità della grammatica e la variazione lingua-dialetto-lingua
straniera, e si vogliano verificare se i contesti scolastici guidano e agevolano lo sviluppo
delle abilità metalinguistiche (v. Mininni 1989: 41-42). A tal fine, viene costruito il TAM
- test di abilità metalinguistica - comprendente una serie di domande su parole e frasi e
finalizzato al sondaggio delle abilità metalinguistiche attivate in giudizi di comprensione,
sinonimia, accettabilità, ambiguità, funzione grammaticale, segmentazione fonetica e
padronanza lessicale (v. Pinto e Titone 1989: 59-128; Pinto e Candilera 2000). Il dato
indiscutibile che emerge dalle ricerche è che il bambino costruisce precocemente una
sua competenza metalinguistica spontanea, anche prima dell’età scolare (v. Hakes e al.
1980; Pinto e Titone 1989: 59-63; Pinto e Candilera 2000: 9-12) e, secondo alcuni,
questa sarebbe particolare e forse più accentuata nel caso di bambini bilingui (v. Clyne
1989: 197-217).
La “riflessione sulla lingua” si può distinguere da quella che Berretta chiama
“competenza metalinguistica” per un più accentuato interesse verso l’attività cognitiva
dell’apprendente (Lo Duca 2003: 164).
La psicologia cognitiva e gli studi sulla struttura della conoscenza (in Balboni 2002: 116117) indicano che le regole hanno una loro natura: sono implicite, cioè acquisite,
classificate, immagazzinate e reperite in modo velocissimo, le conoscenze dichiarative e
quelle procedurali; sono esplicite, volontarie e precoci, le rappresentazioni mentali, queste
consentono di archiviare e recuperare dichiarazioni e procedure consapevolmente e si
possono sviluppare in didattica sotto forma di schemi, scripts, frames, ecc.
Krashen (1985) sostiene l’importanza della comprensibilità dell’input: egli stabilisce a i+1
il livello di difficoltà di un linguaggio definibile come input comprensibile, in cui i sta ad
indicare il grado di competenza raggiunto da un apprendente. Questo sarà capace di
avanzare nell’acquisizione ricevendo una grande quantità di messaggi comprensibili,
contenenti cioè anche input con strutture che si trovano a un livello un po’ più
avanzato di quello raggiunto sino a quel momento.
Come indicato da Orletti (1983; cit. in Ciliberti e al. 2003: 103), tali messaggi espliciti
posso avere svariate funzioni: - indicare o sottolineare ciò che i parlanti stanno facendo;
- stabilire il ruolo dei parlanti e il rapporto tra essi; - scandire lo sviluppo del discorso; rendere esplicite le intenzioni comunicative; - precisare le regole per comunicare in una
specifica situazione; - sottolineare i contenuti tematici dell’interazione; - rendere
esplicito chi ha il diritto di parola; - prevenire e/o superare le difficoltà di comprensione
che si possono creare o che si sono create.
Si è detto che la coscienza metalinguistica è precoce nel bambino. Nel momento in cui
egli si accorge che il linguaggio non è solo un sistema trasparente in cui si riflette la realtà,
ma un specchio reso opaco dalla fitta trama di rinvii sul piano sintattico, semantico e
pragmatico si può affermare che la riflessività guida le sue scelte linguistiche (produce le
“formule di cortesia”, evita le “brutte parole”, “pulisce” i discorsi da espressioni
offensive, “adatta” il linguaggio alle situazioni, ecc.) La società circostante, attraverso gli
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adulti di riferimento, meta-comunica al bambino l’attenzione al “bada come parli”
(Mininni 1989: 47) contribuendo allo sviluppo di tale consapevolezza.
Si veda anche Danesi (1988: 70-84) e Larsen-Freeman (2000).
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