Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Dopo l'ondata di film dedicata a protagonisti della 'terza età' (E se vivessimo tutti insieme, Marygold Hotel,
Quartet ecc.) si è fatta notare a livello internazionale questa pellicola sudamericana che racconta la storia di una
donna “di mezza età”, l'antieorina che poche volte il cinema ha avuto il coraggio di eleggere a protagonista. È già
capitato con Eva, interpretata dalla nostra Finocchiaro in Ci vuole un gran fisico, ma si trattava di un soggetto da
commedia leggera. Mettere in scena con serietà una cinquantenne comune, il suo corpo e i suoi desideri, le sue
frustrazioni e la sua energia, questa è cosa davvero rara, che il regista Sebastiàn Lelio ha fatto con grande
maestria.
scheda tecnica
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
scenografia:
distribuzione:
94 MINUTI
CILE, SPAGNA
2013
SEBASTIAN LELIO
SEBASTIAN LELIO, GONZALO MAZA
BENJAMÍN ECHAZARRETA
SOLEDAD SALFATE, SEBASTIAN LELIO
MARCELA URIVI
LUCKY RED
interpreti:
PAULINA GARCÍA (Gloria), SERGIO HERNÁNDEZ (Rodolfo), MARCIAL TAGLE
(Marcial), DIEGO FONTECILLA (Pedro), FABIOLA ZAMORA (Ana), ANTONIA
SANTA MARÍA (Maria).
premi:
Festival di San Sebastián 2013, Premio Cine en costrucciòn
Festival di Berlino 2013, Orso d'Argento a Paulina Garcia,
Festival di Berlino 2013, Premio della Giuria Ecumenica a S. Lelio,
Sebastiàn Lelio
Figlio di un architetto argentino, Sebastiàn Lelio è nato a Mendoza, in Argentina, nel 1974, ma si è trasferito a in
Cile a due anni, con la madre, una ballerina cilena. Fino all'età di vent'anni ha vissuto in diverse città in Cile e
negli Stati Uniti.
Dopo aver studiato giornalismo per un anno per volontà della famiglia, si è laureato presso l'Escuela de Cine de
Chile, la prima scuola dedicata al cinema in Cile negli anni Novanta. Ha diretto diversi cortometraggi, video
musicali, documentari e film di fiction. Nel 2003 ha co-diretto con Carlos Fuentes Zero, un documentario basato
su materiale inedito sulla caduta delle Torri Gemelle. Dopo qualche cortometraggio, ha presentato il suo primo
lungometraggio, La sagrada familia, al Festival di San Sebastiàn nel 2005. Girato in tre giorni e montato nel corso
di quasi un anno, questo film ha partecipato a più di cento festival e ha ricevuto numerosi riconoscimenti
nazionali e internazionali.
Il successivo film, Navidad (2009) fu presentato a Cannes alla Quinzaine, mentre il terzo, L'anno della tigre fu
selezionato e presentato al Festival di Locarno del 2011.
La consacrazione definitiva è arrivata con Gloria, che ha vinto numerosi premi importanti. Attualmente vive a
Berlino, dove è rimasto dopo aver presentato Gloria alla Berlinale nel 2013. In questa occasione, Paulina Garcia
ha vinto l'Orso d'Argento come migliore attrice. Lelio ha aperto inoltre, nell'agosto dello stesso anno, un
ristorante con il nome del film, nel quartiere di Kreuzberg.
La parola ai protagonisti
Note di regia
l film è raccontato esclusivamente da un solo punto di vista: quello di Gloria. Non c'è una sola inquadratura in cui
non sia presente il suo corpo. Non c'è una sola scena che non mostri come lei percepisce le cose e il mondo.
Gloria interpreta un mediocre ruolo di secondo piano nelle vite di quelli che la circondano.
La sfida del film è stata trasformare questo personaggio di secondo piano in una protagonista assoluta. La cosa
paradossale è che nella maggior parte delle scene lei gioca un ruolo secondario mentre le cose importanti
accadono agli altri. Ma il film ci costringe a osservare gli eventi attraverso gli occhi di Gloria, gli occhi di una
donna alla ricerca di una collocazione in un mondo difficile e duro che sembra non lasciare spazio a persone
come lei, e tuttavia con il piglio di chi vuole difendere la sua libertà con coraggio e dignità.
Questa insistenza nell'inseguire continuamente la libertà permette allo spettatore di sentirsi nella pelle di Gloria,
senza smettere mai di osservarla, e di entrare in sintonia con le sue emozioni.
La sceneggiatura del film nasce da storie accadute a persone che conosciamo e da aneddoti che ci sono stati
raccontati; sono fatti reali che, in un modo o nell'altro, la città di Santiago ha reso possibili. Santiago è
praticamente un'altra protagonista del film.
Gloria è la storia di una persona che ha sullo sfondo una città che si sta trasformando radicalmente. L'aspirazione
fondamentale della protagonista, essere amata e apprezzata, si fonde col clamore della società cilena, che a sua
volta reclama il diritto ad essere riconosciuta.
Il Cile è un paese moderno e in rapido sviluppo, ma i rapporti sociali al suo interno sono profondamente ingiusti.
Le motivazioni personali di Gloria suggeriscono il latente scontento della società. Nel film il potere di
trasformazione della collettività è rafforzato dal desiderio di cambiamento espresso da Gloria. Credo che
l'energia comunicata dal personaggio è ciò che rende questo film vibrante e pieno di umanità. In un certo senso
Gloria è come Rocky: il mondo la maltratta e vuole farla cadere, ma lei riesce a rialzarsi e ad andare avanti, a
testa alta. E' stata questa per me la ragione principale che mi ha spinto a raccontare la storia di questa donna, il
motivo per riprendere con una macchina da presa quello che lei mostra in superficie cercando allo stesso tempo
di mostrare il mistero che si nasconde in lei.
Intervista a Sebastian Lelio e Paulina Garcia
Come le è venuta l’idea di fare questo film e di raccontare la storia di Gloria?
Sebastian Lelio: “Gloria è nato quando mi sono posto la domanda se sarebbe stato possibile realizzare un film sul
mondo delle donne della generazione di mia madre, e su come questo film sarebbe stato. Nasce dall’idea che un
film può trattare di cose che ti sono molto vicine, qualche volta addirittura a pochi passi da te. Volevo esplorare il
pianeta sconosciuto di quella generazione e scoprire cosa vi succede. C’è qualcosa di commovente in queste
donne vicine ai sessant’anni e che vivono oggi a Santiago, in Cile. Donne che si battono per trovare una
collocazione in un mondo che le tratta con durezza, donne che cantano in macchina, che in qualche modo sono
state lasciate sole, per le quali nessuno ha mai abbastanza tempo e che, a dispetto della loro età, si rifiutano di
lasciarsi andare e vogliono continuare a provare emozioni, a ballare e a vivere. Il film rivendica questo diritto, e lo
fa partendo dalla fascinazione per una donna piena di tenerezza che si aggrappa alla vita con le unghie e i denti”.
La colonna sonora gioca un ruolo importante nel film. Come ha scelto le musiche?
SL: “Gloria è un film sui sentimenti. E la musica (cosa ci fa provare più emozioni della musica?) costituisce un
elemento centrale del racconto, svolgendo quasi la funzione del coro in una tragedia greca, contaminando
costantemente la storia. Allo stesso tempo i personaggi si esprimono attraverso la musica, facendo proprie
le emozioni delle canzoni che ascoltano, cantano o ballano, inconsciamente rapportandole alla propria vita, come
se la musica fosse uno specchio dei loro dubbi e dei loro dilemmi. La colonna sonora del film appartiene alla
generazione di Gloria. Comprende canzoni che spaziano dai grandi successi internazionali alle canzoni di culto
cilene e dell’America latina. Ci sono alcuni pezzi disco, ma anche boleri, ballate romantiche, salsa, cumbia, un po’
di rock’n’roll e un brano della bossa nova: “Waters of March” di Tom Jobim. Quest’ultima canzone è molto
speciale per me perché mi ha fatto da guida nel trovare l’atmosfera generale giusta da dare al film. Volevo che
Gloria avesse qualcosa della bossa nova: la poesia della vita di ogni giorno, una certa leggerezza dolorosa, un
certo fascino naturale, un misto di umorismo e di dolore, ma soprattutto umanità e sentimento”.
Qual è il rapporto tra Gloria e i suoi film precedenti?
SL: “Credo che Gloria sia la conseguenza naturale dei miei tre film precedenti. E’ una produzione più grande, con
più personaggi e un maggior numero di location, ma fa riferimento a mondi già esplorati prima e, pur partendo
da una prospettiva nuova, indaga alcune delle tematiche che avevo sviluppato già in La Sagrada Familia, Navidad
e El año del tigre: l’osservazione persistente di personaggi che si trovano di fronte a bivi importanti; la famiglia
come trappola consacrata; l’interesse per la tensione che esiste tra persona e personaggio; e la convinzione che
girare un film sia una battaglia da combattere”.
Come definirebbe la sua esperienza con gli attori del film?
SL: “Gloria è un film su una protagonista. Paulina García, l’attrice principale, è sempre stata al centro del
progetto. Il film è stato scritto su misura per lei. Il co-protagonista è Sergio Hernández, un attore che ammiro
molto e che ho imparato a conoscere durante le riprese. Entrambi sono attori potenti e magnetici, che rendono
le cose molto più semplici. Partendo dal presupposto che la sceneggiatura sia come una mappa e le riprese siano
poi il territorio su cui muoversi (abbiamo lavorato alla sceneggiatura per due anni), abbiamo dato vita ad un set
che lasciasse spazio all’improvvisazione in modo da spingere gli attori a fare ricorso al proprio mondo interiore
per risolvere alcune scene. Questo ha permesso ad elementi inconsci di emergere, un materiale che segue “leggi
proprie”, e che alla fine ha contaminato la sceneggiatura dandole nuova forza e finendo col diventare l’essenza
della narrazione”.
Sig.ra Garcia, come si è preparata per questo ruolo?
Paulina Garcia: “Sebastian mi ha aiutato molto a prepararmi, inondandomi di libri e di film. Poi ci sono state le
prove individuali a teatro, durante le quali abbiamo analizzato le scene una per una, il modo in cui sarebbero
state rese visivamente e come avremmo affrontato il rapporto di Gloria con ciascun personaggio del film.
Durante i due mesi che hanno preceduto le riprese ero così immersa nell’universo di Gloria che quando tutto è
finito mi sono sentita come se mi fossi “svegliata” da un sonno profondo”.
Qual è stata la sfida più grande nell’interpretare Gloria?
PG: “Gloria ritiene che il ritmo e il corso degli eventi che accadono attorno a lei non dipendano da lei. I
sentimenti di Gloria sono sottili, definitivi e concreti. Combinare questi tre aspetti è stato molto complicato”.
Come è stato lo stile di regia di Sebastian Lelio?
PG: “Sebastian lavora in modo tranquillo e rilassato; è un tipo divertente, e l’atmosfera sul set è stata sempre
intima e piacevole. Ti dà molta libertà per poi togliertela completamente! E’ anche molto esigente: lavora con
una padronanza assoluta, che nasce dalle sue riflessioni e dalle sue osservazioni, e non è soddisfatto fino a
quando non ottiene esattamente quello che vuole”.
Recensioni
Gabriele Niola. Mymovies
Divorziata da anni con due figli ormai adulti, un nipote e un vicino molesto, Gloria cerca un nuovo equilibrio in
feste, eventi serali e discoteche nelle quali poter incontrare qualcuno della propria età, un nuovo fidanzato.
Quando però sembra averlo trovato questi si rivela inaffidabile, misterioso e poco propenso a tener fede a quel
che dice.
Sul corpo non più giovane di Gloria, sulle sue imperfezioni, sui diversi look, sulle sue valorizzazioni e sulla potenza
con la quale si regge in piedi e procede nonostante tutto, è riconoscibile la forza di un film capace di elevarsi al di
sopra di qualsiasi banalità e qualsiasi rischio di smielata drammatizzazione dell’ordinario.
Gloria è un ritratto di donna come raramente si ha la fortuna di vedere: completo, profondo, toccante eppur
composto, talmente onesto e sincero da travalicare il sesso di riferimento e risultare universalmente disarmante.
La storia di una 50enne che con compostezza e serietà vive come un’adolescente fuori tempo massimo (...) è
attraversata con una grazia ed un’urgenza morale che impediscono al personaggio di scivolare nel ridicolo anche
quando questo è palesemente nell’aria (...).
Il film di Sebastian Lelio con audacia non comune prende le distanze dai più illustri esempi del cinema passato in
materia di profili femminili e sceglie un registro da commedia sebbene si attacchi alla protagonista come in un
dramma, trovando in lei una forza motrice inesauribile. Molto della riuscita del film è infatti merito di Paulina
Garcìa, attrice capace di tramutare una sceneggiatura rigorosa in cinema di rara intensità grazie ad una maratona
di recitazione ai massimi livelli. Con un’economia di gesti, espressioni e movimenti disegna la sua Gloria giocando
sulle minuzie, sulle canzoni cantate in macchina, sui piani d’ascolto o su movimenti accennati, senza mai
presentare due volte lo stesso volto alla macchina da presa.
In questa maniera Paulina Garcìa aderisce in pieno alla filosofia minimalista e invisibile con la quale Lelio dirige
un film che pare farsi da sè davanti agli occhi dello spettatore, il quale ha quasi l’impressione di vedere la storia
svolgersi senza nessuno a dirigerla ma con la naturale semplicità della vita vera.
Paolo D'Agostini. La Repubblica
Il finale sulla canzone di Umberto Tozzi (in spagnolo), che porta lo stesso nome della protagonista e dà il titolo al
film del cileno Sebastián Lelio, è l’emozionante coronamento di un film emozionante. A maggior ragione in
quanto la scommessa è quella di rendere perfino accattivante, e travolgente come un’eroina, una figura che a
prima vista risulterebbe del tutto grigia e anonima, deprimente. Gloria (...) sa trovare il buono, il bello, il piacere
di vivere. Per esempio nelle serate canore e danzanti che frequenta volentieri sballandosi un po’. È qui che
conosce Rodolfo. Si piacciono e da amanti funzionano bene. Ma Gloria è una persona adulta capace di dare di più
e che di più si aspetta. Attraverso la delusione, la sua lezione di stile. Paulina Garcia è stata premiata con l’Orso
d’argento di Berlino come miglior attrice. E speriamo di vederla correre con il film all’Oscar.
Valerio Caprara. Il Mattino
Sarebbe troppo facile blandire un film come “Gloria” sapendolo destinato alla carità dei cineforum. E’ molto
meglio lasciar perdere i ditirambi d’ufficio per segnalare anche al pubblico meno affiliato le qualità dell’opus n°4
dell’argentino naturalizzato cileno Lelio che ha consentito a Paulina Garcia di vincere lo scorso febbraio a Berlino
l’Orso d’argento come migliore attrice. Schivando la tentazione d’aderire per via pietistica (o politicamente
corretta, che fa lo stesso) al ritratto della stropicciata cinquantottenne del titolo (...) un abile tratto minimalista,
che tutto costruisce, cioè, in vaga assonanza col metodo di Cassavetes (autore, tra l’altro, di “Gloria” interpretato
dalla moglie Gena Rowlands), senza spegnere la straordinaria ordinarietà della protagonista. Quando, per
esempio, l’occhialuta single non rassegnata ai tabù dell’età incontra il malsicuro Rodolfo e intreccia con lui una
focosa relazione, dapprima si procede con delicato e credibile realismo, poi (...). L’attrice e regista teatrale, nativa
proprio di Santiago del Cile, accompagna con studiata spontaneità il suo personaggio nei continui primi piani
d’evidenza psicologica così come nei momenti-clou più rischiosi, quando esso deve osare per conquistarsi una
felicità senza salvacondotti sociali e anagrafici o slanciarsi negli amplessi tra imperfezioni, panciere e cedimenti
dei corpi. La capitale sudamericana diventa, così, uno scenario solitario y final da cui peraltro, tra night club, fiere
e piste di discoteca, promana la stessa sensualità veicolata dalla colonna sonora, un bel mix di classici pop alla
Donna Summer, brani latinos del livello delle bossanove di Jobim e, dulcis in fundo, della versione spagnola della
squillante “Gloria” di Umberto Tozzi.
Alberto Crespi. L'Unità
Pensavate che vi avremmo parlato di «Aspirante vedovo», la commedia italiana del weekend? Giammai! Un film
che osa rifare Il vedovo di Dino Risi, con Fabio De Luigi nel ruolo di Alberto Sordi e Luciana Littizzetto in quello di
Franca Valeri, noi non vogliamo nemmeno sentirlo nominare. Faremo finta che non esiste. Il nostro cineconsiglio
del weekend è invece, udite udite!, il cileno Gloria che non è un remake del vecchio Gloria di John Cassavetes.
Semmai, è un omaggio a tante cose che hanno arricchito la storia del cinema, a tanti film che hanno
semplicemente scelto di pedinare un personaggio e di raccontarci la sua vita. Potrebbe persino essere
considerato una versione al femminile di Umberto D. di Vittorio De Sica: la storia di una solitudine che incarna lo
spirito di una collettività. L'America Latina era stata, negli anni '60, la nuova frontiera del cinema più estremo del
pianeta, dalle sperimentazioni brasiliane di Glauber Rocha ai film militanti «andini» di Littin e Sanjines. Poi, lunghi
decenni di decadenza. Ma da diversi anni molto si muove da quelle parti. Il Brasile ha lanciato addirittura cineasti
potenzialmente «hollywoodiani» come Salles e Meirelles, l'Argentina realizza le migliori commedie all'italiana del
mondo e in Cile c'è grande vitalità. L'ultima edizione della Mostra di Pesaro ha proposto un interessantissimo
focus sul cinema cileno, e Sebastian Lelio (regista di Gloria) era uno dei protagonisti. Pablo Larrain (il regista di
No, che di Gloria è produttore) è ormai un autore di punta del cinema mondiale. Sempre in questo 2013 abbiamo
potuto vedere in sala Violeta Parra Went to Heaven di Anders Wood e, più di recente, Il futuro di Alicia Scherson,
girato a Roma e ispirato a un romanzo di Roberto Bolano. Ora la Lucky Red propone Gloria, presentato in
concorso a Berlino dove Paulina Garcia ha vinto meritatamente il premio come migliore attrice. In apparenza,
Gloria potrebbe svolgersi dovunque. La protagonista è una donna di 58 anni, separata, con due figli che non si
fanno mai vivi, ma ancora bella e piena di vita. Adora ballare, e in pista non manca mai qualcuno che le faccia la
corte. Una sera conosce Rodolfo, anche lui separato e padre di due ragazze. Scoppia una passione incontrollabile.
Gli incontri fra i due si fanno roventi. (...) Anche per merito di un'attrice superba come Paulina Garcia (ben
doppiata da Cristina Lionello), il film diventa pian piano la metafora di un Paese che deve fare i conti con molte
memorie ingombranti, ma che nonostante tutto lotta per trovare una propria strada nella vita. Il tutto senza
minimamente appesantire il tessuto narrativo di una storia da vedere. P.S. La risposta alla domanda che tutti vi
state facendo è «sì»: sì, la canzone Gloria c'è nel film. Quella di Umberto Tozzi, certo (a cosa pensavate, a quella
di Van Morrison? Per cortesia!). Il film è pieno di musica e nel finale impazza una cover spagnola del pezzo di
Tozzi. È una delle canzoni più famose del mondo, e in America Latina spopola da anni. Se lo meritava, un film.
Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa
Di giorno lavora, di sera frequenta volentieri un dancing che ha l’aria di essere un rifugio di anime sole in cerca di
compagnia (ma con borghese decoro): è Gloria, divorziata, cinquantotto anni portati con grazia e senza lifting, un
paio di grandi occhiali da vista e un sorriso civettuolo che ne contraddice la seriosità.
Incastonata nella colonna sonora di due vecchi successi popolari, I Feel Love (1977) di Donna Summer e Gloria
(1978) di Umberto Tozzi, la commedia dolce amara di Sebastian Lelio racconta lo sbocciare e il morire di un
rapporto che sembra offrire alla protagonista un’inattesa, rivitalizzante occasione di amore, un’illusione di
seconda giovinezza. Di poco più grande, Rodolfo è anche lui divorziato, anche lui ha figli ormai adulti, anche lui
smagrito di 20 chili dopo un bypass gastrico sogna di ritrovare i palpiti del sesso, il piacere dolce di una
compagnia femminile. (...)
Una materia così poteva scadere in romanzo rosa o risolversi in melò, invece Lelio e il suo bravo sceneggiatore
Gonzalo Maza, optando per un registro minimalista, provvedono a costruire un interiorizzato, sfumato ritratto di
donna su uno sfondo dove ogni elemento (a partire dal personaggio Rodolfo) ottiene il giusto rilievo senza che
mai una nota risulti falsa. Fra gioiosa voglia di vivere, malinconia, ironia, disincanto, Paulina Garcia interpreta
Gloria in un misto di disarmante verità e pieno controllo dei mezzi, che le hanno meritato l’Orso d’oro a Berlino.
Michele Favara. Gli Spietati
Gloria vuole morderla ancora la vita. Gloria, un divorzio alle spalle, sola da più di dieci anni, non ha intenzione
alcuna di mollare. Nonostante età, stato sociale, benessere economico la invitino a farsi da parte e godersi
quanto è riuscita a costruire (o salvare) fino ad oggi, Gloria, alla soglia dei sessant'anni e con due figli adulti e
indipendenti, non crede che la partita sia ormai conclusa, le traiettorie esistenziali già tracciate, il suo ruolo di
madre e nonna solidamente definito e non smette di rimettersi in gioco come donna non più asservita a rigide
geometrie familiari. Gloria lavora, va a ballare, beve e fuma senza risparmio, seduce, s'innamora, fa sesso con
una vitalità toccante nella sua ordinarietà, non aliena da asprezze, stanchezze e zone d'ombra (e da una follia
vicina di casa). Gloria ha votato un deciso NO al suo referendum privato sulla rassegnazione. Nel suo comunque
comodo mondo borghese, Gloria è una combattente solitaria e irriducibile: se c'è da sparare, spara.
Ritratto femminile dall'evocativo titolo cassavetesiano, character study in duttile equilibrio tra commedia e
dramma, l'opera quarta di Sebastián Lelio poggia principalmente, per sua natura, sulle spalle della strepitosa
sfaccettata prova di Paulina García, giustamente lodata e altrettanto giustamente premiata all'ultima Berlinale
con l'Orso d'argento, di fatto coautrice del film. La macchina da presa, costantemente incollata alla protagonista,
ne registra azioni e reazioni, abbandoni e durezze, slanci e delusioni, con un'empatia che non è mai scorciatoia
assolutoria (Gloria non è necessariamente simpatica) e un'ironia mai ottundente: il dolore, quello al cuore delle
cose, rimane. La semplicità narrativa, che in alcuni momenti forse costeggia la facilità (la seconda fuga di Rodolfo,
la nottata brava con risveglio stordito sulla spiaggia), rima con acutezza di sguardo, la musica diegetica (popolare,
sentimentale) punteggia la narrazione come amplificatore emotivo in luogo di spiegazioni didascaliche. In scena
dall'inizio alla fine, Gloria si mette a nudo, anima e corpo (un'anima acciaccata ma ostinata, un corpo fiero dei
segni del tempo), in tenace difesa del suo diritto alla ricerca del piacere e, perché no, di un nuovo amore. E il
personaggio, per pura forza interpretativa, riesce a smarcarsi da qualsiasi gabbia interpretativa che possa
incastrarla in un significato univoco.
Gloria, ad esempio, non è il Cile. E questo nonostante certi passaggi di sceneggiatura e alcune dichiarazioni di
regia possano suggerire una lettura allegorica di tal fatta. Il passato è solo un gruppo di foto riguardate con
divertita tenerezza mista ad ebbrezza alcolica nel corso di una cena familiare all'insegna di un'armonia
apparentemente ritrovata ma fitta di tensioni sotterranee e silenziosi imbarazzi (...). Gloria, che aveva circa
vent'anni al momento del golpe del 1973 e che quindi è diventata una donna matura durante la dittatura, non (si)
guarda indietro, passa distratta per strada accanto a un corteo studentesco (in cui la parte più giovane della
nazione reclama giustamente diritti e attenzione) concentrata solo su di sé e sul suo presente, il glaucoma che le
viene diagnosticato e che potrebbe comportare in un futuro prossimo un restringimento del campo visivo non la
preoccupa: Gloria vuole vedere e vedersi adesso, dietro e al di là di quegli occhiali grandi che sono al tempo
stesso schermo difensivo e lente d'ingrandimento. La libertà, dalla propria storia, dalle relazioni alle quali
comunque tiene (l'addio difficile alla figlia in aeroporto), è una conquista faticosa che non esclude un certo grado
di sofferenza, Gloria lo sa. Questo dolore meglio esorcizzarlo in qualche modo, danzando magari, e sfoggiando
spavaldamente tutta la propria bellezza come il pavone nel quale a un certo punto casualmente s'imbatte. Di
nuovo in pista, in un finale che rinnova l'incipit, sulle note dell'omonima canzone di Tozzi, Gloria balla da sola.
Disperatamente euforica, Gloria canta se stessa.
Diego Capuano. Ondacinema
Gloria ci piace perché, quasi alla soglia dei 60 anni, ancora gira per i locali notturni in cerca di divertimento. Ci
piace perché seduce gli uomini comuni, non rampanti affaristi o falsi giovanotti. Perché non si arrende, ci riprova,
è positiva. E' forse anacronistica ma comunque terribilmente seducente agli occhi dei suoi coetanei: di certo
molto più vicina alla gioventù che manifesta per le strade, che ancora dice No. "Dobbiamo sostenere e credere
nei giovani, perché di certo i politici che attualmente dovrebbero rappresentarci proprio non sono credibili", si
dice. Lo dice anche l'anziano Rodolfo che però si fa inconsapevole portatore di principi di un paese che non sa
voltare pagina, che tirando le somme si è trascinato con sé arcuature ormai seccate e così lasciate per una vita
intera. Per questo l'originario nucleo familiare di Gloria, pur tra increspature e quotidiani scogli da superare,
sembra un agglomerato semi-utopico al cospetto di un nazionale da farsi che nessuno riesce a fare.
In un certo qual modo le donne cilene sessantottine, attraversando una sporca storia - dal golpe del 1973 alla
successiva dittatura militare - hanno covato dentro una rabbia e una furia ribelle che, attualmente mature, hanno
saputo declinare in partecipazione emotiva e fisiologica verso una ininterrotta ricerca di emozioni per anni
represse da un paese che ancora non sa vederle per quello che davvero hanno cercato di essere. L'insegnamento
sessantottino, dunque, ha con buona probabilità fruttato alla lunga distanza un insegnamento pratico in
Occidente poco più che favoleggiato.
Se il quadro socio-politico di una nazione emerge in modo esponenziale con un assunto finale, non bisogna
scordare che "Gloria" è, prima di ogni cosa, un bel ritratto di donna.
In rapporto a ciò che si è detto in precedenza, non si pensi che la protagonista sia una donna bionica, (...) in che
misura vanno interpretate le sue scelte, anche quando sbagliate? Sebastián Lelio ha pochi dubbi: la forza di
volontà e l'entusiasmo della sua eroina vengono inquadrati con incessante simpatia. Con dignità.
Figura costantemente in scena in una Santiago, un Cile, una vita e un mondo visti attraverso i suoi occhi. Gli
uomini non ne escono a testa alta: deboli laddove la donna individua spazi di autodeterminazione che
trascendono le costrizioni della quotidianità, patetici quando si riduce lo spazio tra obblighi del presente e
prospettive future, anche se la seconda fuga di Rodolfo è una scorciatoia di sceneggiatura che rischia di forzare lo
spettatore verso una incredulità fino ad allora estranea alla natura del film.
Una bella prova che però conta soprattutto per la protagonista che mette in scena, indivisibile dalla strepitosa
Paulina Garcia che la interpreta. Quando nel finale si libera anche dell'ultimo orpello (gli occhialoni), ci rende
partecipi di un approdo ad un'autonomia sovrana che riesce a renderci fieri di lei.
Paolo Mereghetti. Corriere della Sera.
Presentato all’ultimo festival di Berlino, dove la protagonista Paulina García ha vinto con pieno merito l’Orso
d’argento per la miglior attrice, racconta la vita quotidiana della cinquantottenne Gloria, separata da una decina
d’anni ma decisa a godere ancora dei piaceri della vita . Per questo spesso va a ballare, in un locale frequentato
anche da coetanei, nella speranza di qualche piacevole incontro. Niente di segreto né di peccaminoso: solo la
voglia di non essere messa in disparte (dalla vita e dalla società) anche sfruttando l’energia che la sessualità può
ancora offrire. Gloria ha un lavoro, una figlia, Ana (Fabiola Zamora), disposta a rischiare il proprio futuro in un
legame non scontato (con un ragazzo svedese che scala montagne in giro per il mondo) e un figlio, Pedro (Diego
Fontecilla) che invece ha problemi con l’ex moglie e probabilmente anche con la propria salute (a metà film lo
vediamo senza più i suoi lunghi capelli e la mamma lo consola dicendo che ricresceranno). Quello che le manca è
un compagno, che pensa di aver trovato in Rodolfo (Sergio Hernández), di poco più anziano di lei, come lei
amante del ballo, benestante (è proprietario di un parco divertimenti dove gli adulti possono giocare alla guerra)
e molto attratto sessualmente da Gloria.
Non è un fattore secondario quello del legame fisico che si instaura tra i due. Non lo è nelle scelte di messa in
scena, quando i corpi nudi dei due attori spezzano all’improvviso le scelte visive tutto sommato «tradizionali »
del film. E non lo è nemmeno dal punto di vista narrativo, quando i toni della commedia (di costume o
drammatica poco importa) fanno i conti con un «verismo» se non inusitato almeno inaspettato. Perché il regista
ha deciso queste improvvise accelerazioni sul piano estetico, questi squarci di realismo? Direi proprio per
sottolineare che la storia che sta raccontando non è pura «finzione», ma rimanda a qualche cosa di più concreto
e tangibile. Di più vero. Come appunto è il corpo di una donna non giovanissima, con i suoi segni e le sue
pesantezze, il suo ventre segnato e i suoi seni morbidi, lontanissimo dall’immagine stereotipata delle donne da
copertina ma vicinissimo a quella concreta della vita quotidiana.
Filmare con naturalezza e senza finti pudori Gloria mentre si spoglia, si sdraia nuda sul letto o ancora mentre fa
l’amore con Rodolfo, ottiene l’effetto di accendere l’attenzione dello spettatore, di ricordargli che quello che sta
vedendo non è il «solito» film sulla terza età ma qualcosa di diverso: una specie di confessione in prima persona
di chi non vuole accettare infingimenti o scorciatoie. È come se la protagonista si rivolgesse direttamente al
pubblico dicendo: il mio corpo è così, l’amore lo faccio così, perché le persone vere hanno un corpo così e si
amano così.
E il corpo della Donna, con le sue voglie e i suoi pudori, diventa allora il grimaldello con cui entrare nel «corpo»
del Cile e delle sue tante contraddizioni. I giovani che cercano un’indipendenza quasi rabbiosa (la scena di Ana
all’aeroporto che non vuole i saluti della madre), gli adulti che si accorgono dei propri errori (l’ex marito di Gloria
che si pente di non essere stato presente a certi momenti della crescita dei figli) o che non sono capaci di
liberarsi dal proprio passato (come appunto fa Rodolfo…) sono tutti aspetti di un comportamento collettivo che il
coraggio e l’indipendenza (anche sessuale) di Gloria mette ancor più in evidenza.
Apparentemente Sebastían Lelio sembra voler raccontare solo il percorso di indipendenza e di affermazione di sé
della sua protagonista, ma lo fa disseminando nel film tanti piccoli segnali che rimandano alla storia del suo
Paese e alla sua «insoddisfazione» sociale: (...). E che il contrasto tra la vitalità del corpo e l’opacità del sociale
non fa che ribadire. Con la «forza tranquilla» di una donna che insegue solo il diritto a soddisfare le proprie
umanissime voglie.