Le influenze - Liceobodoni It Home

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1906 – 2006
L’INCONTRO CON “QUELLI” DEL XX SECOLO
Cèzanne ha fatto della pittura l’unica preoccupazione della sua esistenza. La
sua biografia scorre senza strappi, senza disavventure. Un artista che persegue
con tenacia un unico scopo: “realizzare le sue sensazioni”, obbedire alla
logiche
dei
colori,
conquistare
una
nuova
dimensione
dello
rappresentarte ciò che di solido, di perenne si cela dietro le apparenze.
spazio,
Cézanne “potente e solitario” maestro dell’arte contemporanea con la sua
opera ha imposto una nuova visione del mondo di cui si è nutrito tutto il XX
secolo.
Il Fauvismo di Matisse e Derain
Al Salon d’Automne del1905 Matisse e Derain espongono opere nella sala
settima accanto a, Vlaninck, Camoin, Manguin, Marquet. Ne nasce lo
scandalo della “Cage aut fauves”, la gabbia delle “belve”, che rappresenta
agli occhi della critica la nascita del fauvisme. Quale caoos luminoso nella
geniale esplosione di tratti, superfici e colori! Quale ordine nelle strutture
cromatiche, così dense e vibranti di pensiero, dell’opera di Cézanne, il vero
maestro del nuovo secolo!.
L’influenza di Cézanne fra i giovani artisti non più soddisfatti della pittura “enplein-air” è incontestabile. Un’influenza che fu grande anche nei momenti
cruciali della formazione di Matisse.
Cézanne, che predicò “la riflessione modifica la visione”, spinse ancor più
l’orientamento della sua pittura verso il Modernismo con l’interazione tra colore
e strutture compositive. Così, grazie alle sue ricerche, tutto il problema della
rappresentazione del soggetto viene messo in discussione. E il genio di un
Matisse se ne troverà liberato. In tutta la sua vita di creatore e di “inventore” di
sistemi plastici, l’influenza di Cézanne sussisterà come una fonte continuamente
rinnovata.
In un’intervista pubblicata nell’Art vivant nel 1925 da Jacques Geunne, Matisse
dichiara: “Da parte mia, non ho mai evitato l’influenza altrui; l’avrei
“I colori hanno una loro bellezza che
bisogna preservare, come una musica
nella quale si cerchi di conservare i
timbri. I problemi di organizzazione e di
costruzione non devono alterare quella
bella freschezza del colore”
Matisse a proposito delle vetrate della
Chapelle du Rosaire di Vence.
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considerata una viltà e una mancanza di sincerità verso me stesso”. E dunque,
ancora in opere significative tra quelle degli anni fauve appaiono assimilate,
ancorchè trasformate, le strutture cézanniane, tanto formali quanto di
pensiero.
E’ del “Ritratto di Marquet” col viso da cieco-vedente variopinto come una
“Saint-Victoire”. Questa ispirazione si nota di nuovo nelle strutture dei tetti e
degli orizzonti del bel “Paesaggio a Collioure”, dipinto nel 1911, e si potrebbe
prolungare questo gioco di rimandi tra Cézanne e Matisse fino al termine di
tutta una vita creativa, allorché Matisse realizzerà in una delle sue ultime
invenzioni, per le vetrate della Chapelle du Rosaire di Vence e per quelle della
Scuola Materna di Le Cateau-Cambrèsis, degli spazi-luce dove il colore
riempirà ogni intervallo; musica così personale, così “pura” che ancora oggi
rimane ineguagliata.
Matisse: Ritratto di Marquette, olio su
tela, 1905
La lezione trova in Derain un interprete di eccezionale efficacia soprattutto
nella comprensione delle relazioni tra forma e luce, tra profondità spaziale e
rappresentazione sul piano.
Le Bagnanti del 1908 e lo schizzo per la versione conservata alla Nàrodnì
Galerie de Praga – mostra questo medesimo ricorso alla statuaria primitiva e
selvaggia, al modello greco-romano, o al primitivo romano, ai ricordi della
cultura Baoulé (Costa d’Avorio) accanto a quelli della Venere Medici, dell’Eva
di Gauguin, dei ricordi di Duccio di Buoninsegna.
Bagnanti “dalle venature cézanniane”, paesaggi (e nature morte, come
Natura morta sul tavolo, del 1910) dagli accordi potenti e gravi si compongono
con una nuova armonia formale e cromatica – associando i blu e i bianchi
freddi ai verdi profondi e sonori, agli arancio – che fa sembrare Derain, agli
occhi di Kahnweiler, l’interprete d’elezione di Cézanne, colui “che trasmette
Derain, Bagnanti. Olio su tela, 1908
agli altri la lezione plastica e teorica. Derain affronta in modo rigoroso la resa
dello spazio sulla superficie piana e il problema di trasporre i rapporti di
profondità in rapporti di superficie […] egli sottomette perfino la luce
interamente alla forma. Egli superò Cézanne nella misura in cui riprese questa
pratica pittorica, dimenticata in Europa occidentale dopo il Beato Angelico.
A partire dal 1907, con la riflessione sull’opera di Cézanne si notano in Derain i
primi segnali di un’inversione di rotta che si manifesta con una semplificazione
Cézanne, Bagnanti. Olio su tela, 1894
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a carattere geometrico delle forme e una riduzione cromatica della tavolozza.
E’ il periodo dell’amicizia con Picasso e Braque, che condividono l’interesse per
Cézanne e vanno maturando in quegli stessi anni le idee che porteranno alla
fondamentale svolta, lasciando chiare tangenze nello stile contemporaneo di
Derain Cézanne e il cubismo.
Cézanne e il cubismo
“Comprendere Cézanne significa prevedere il cubismo”: questa frase contiene
l’interpretazione generalmente accettata sulle origini della visione cubista.
Costituisce infatti l’esordio del saggio “Del Cubismo” uno dei testi chiave sul
Il saggio “Del Cubismo” fu scritto nel 1912
dai pittori e teorici francesi Albert Gleizes
e Jean Metzinger
movimento che più ha caratterizzato la “rivoluzione” artistica del Novecento.
Paul Cézanne è considerato il maestro più influente dei cubisti. Ciò avviene,
però, attraverso interpretazioni diverse: da un lato si guarda alle pennellate in
tasselli ordinati secondo una propria interna geometria e animati da una
direzionalità mutevole nei vari punti del quadro, è una lezione che proviene
prevalentemente dai paesaggi; da un altro lato si guarda al principio
sintetizzato da Cézanne nella necessità di rendere gli oggetti secondo “il cono,
il cilindro, la sfera”, attraverso solidi geometrici che, si badi, non sono “cubi”,
bensì elementi interpretabili secondo il simbolismo circolare diffuso in quegli
anni, ed è, questa, la lezione che proviene piuttosto dalle nature morte e dai
ritratti di Madame Cézanne. Ma in entrambe le interpretazioni è fondamentale
la rivoluzione prospettica operata da Cézanne, della resa simultanea degli
oggetti da differenti punti di vista, del ribaltamento dei piani dei tavoli, della
compresenza su superficie bidimensionale della tela, di elementi vicini e
lontani, dei brani del cielo, della terra e degli alberi che intersecano il proprio
colore nelle pennellate.
Cézanne, infatti, con la realizzazione di innumerevoli versioni degli stessi pochi
soggetti(la montagna di Sainte-Victoire, i paesaggi di l’Estaque, le bagnanti, i
giocatori di carte, la frutta, la moglie), aveva colto l’essenza e la mutevolezza
della realtà che circonda l’uomo.
Egli aveva superato con un balzo l’Impressionismo “fotografico”: aveva
“Qui, in riva al fiume, i motivi si
moltiplicano; lo stesso soggetto, visto da
angolazioni differenti, offre una materia
di studio così varia che credo potrei
lavorare per mesi senza cambiare posto,
solo inclinandomi un po’ più a destra o
un po’ più a sinistra”.
Cézanne, da una lettera al figlio dell’8
settembre 1906.
cercato, e ci era riuscito, di andare oltre il “provvisorio” degli impressionisti con
una pittura concreta, solida, definitiva. Ed è proprio questa volontà di tradurre
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l’Impressionismo in un arte da museo il maggior legame coi cubisti; costituiva
un punto di riferimento ineludibile per quanti intendevano penetrare con occhi
nuovi e tecniche pittoriche inedite nella sostanza del reale. La retrospettiva
dedicatagli dal Salon d’Automne del 1907 fu per molti artisti come una
folgorazione (Braque era rimasto talmente colpito dalle tele del pittore di Aix
da decidere immediatamente di andare a visitare l’Estaque e gli altri luoghi
provenzali immortalati dal maestro) e rappresentò il punto di frattura e di non
ritorno dell’arte contemporanea.
In ambito cubista l’influenza cezanniana fu evidente in modo particolare su
due artisti: Picasso e Braque. I due, che dal 1907 al 1914 lavorano insieme alla
fondazione della nuova pittura, sono arrivati al punto critico da strade diverse:
per Picasso che fino a quel momento si era tenuto al margine delle correnti
avanzate, la soluzione giusta è l’estrema, recuperare l’unità, l’integrità formale
della scultura negra. Per Braque le premesse della rivoluzione sono tutte in
Cézanne, non c’è altro punto di partenza. Lo scopo della ricera comune è
dunque di mettere d’accordo Cézanne e i negri: ciò che significava risolvere
dialetticamente nell’arte le antitesi della storia.
Molti sono gli elementi artistici di Cézanne che Picasso estremizza: ciò che in
Pablo Picasso: Malaga 1881- Mougins
1973
Cézanne era analitico, pagato millimetro per millimetro, pennellata dopo
pennellata, in un dubbioso confronto tra l’idea e la sua realizzazione, tra la
struttura del reale e
la sua apparenza nella luce che si modifica
continuamente, in Picasso è sintetico, rapidamente devoto all’idea formale
originaria, dimentico della natura. Ciò che in Cézanne era induttivo,
procedendo dal particolare, per piccole certezze progressive, verso una
temporanea soluzione generale, in Picasso è deduttivo, e discende da
un’immediata consapevolezza dello spazio verso rapide soluzioni intonate con
il progetto concettuale dell’insieme.
Tuttavia alcune sono anche le caratteristiche che il maestro spagnolo deriva
da
quello francese:
delle
nature
morte riprende
intenzionalmente
Georges Braque: Argeteuil-sur-Seine 1882
Parigi 1963
la
scompaginazione prospettica e la riduzione cromatica a due o tre toni
fondamentali, che diventano sempre più cupi via via che l’attenzione si sposta
dalla solidità della pennellata alla solidità costruttiva dei volumi.
Le nature morte di Braque divergono da quelle di Picasso: in esse non
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appaiono infatti elementi stereometrici e legnosi, tutto è compentetrazione di
forme, serrata proiezione nella rappresentazione bidimensionale e, soprattutto,
trasparenza luminosa. Di Cézanne osserva invece, in particolare per ciò che
concerne i paesaggi, non tanto l’interesse per i solidi geometrici, quanto la
capacità costruttiva della pennellata e la nuova spazialità che si può ottenere
con l’uso antinaturalistico del colore. Arriva così alla forma protocubista di certi
paesaggi de l’Estaque, attraverso un ribaltamento prospettico più attento al
tema della Montagna Sainte-Victoire di Cézanne piuttosto che alle sue nature
morte o alle bagnanti, e attraverso una riduzione cromatica più aderente,
Georges Braque, “Viadotto all’Estaque”
particolare 1908.
rispetto a quella di Picasso, alla luminosità del maestro di Aix.
Inoltre paragonando le diverse versioni del Viadotto all’Estaque emergono
approcci diversi alla pittura di Cézanne: quella di Parigi, all’inizio del 1908, per
esempio, e riprende chiaramente tanto la direzionalità della pennellata,
diversamente orientata nelle varie zone del quadro, quanto la scomposizione
volumetrica degli elementi del paesaggio che si ribaltano prospetticamente
innalzando la linea dell’orizzonte.
Anche nei dipinti dedicati al castello di La Roche–Guyon, animato da un forte
interesse per il problema spaziale, egli parte ancora una volta dalla pittura di
Georges Braque, “Il castello a La RocheGuyon”, particolare 1909.
Cézanne, traendo spunto dai dipinti realizzati alla fine dell’Ottocento come Il
lago di Annecy.
Con il cubismo, infine, si perderà il primo termine della sintesi di Cézanne
(visione-coscienza) per ricercare solo quella rappresentazione che ha la
coscienza delle cose. Romperà definitivamente con il naturalismo e la
rappresentazione mimetica della realtà per introdurre sempre più l’arte nei
territori dell’astrazione e del non figurativo.
Cézanne, “Lago di Annecy”, 1896.
Morandi e Modigliani
L’uno dal solitario studio bolognese, l’altro nel vivo dibattito con le avanguardie
artistiche parigine del dopo-Cézanne; ma entrambi guidati nel loro percorso
artistico dalla lezione del maestro di Aix.
I ritratti di Amedeo Modigliani
Nel saggio “La lezione di Cézanne”, Cortenova ricostruisce il legame stilistico
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fra l’opera del maestro di Aix e quella di Modigliani, approdato da Livorno a
Parigi durante una delle stagioni più esaltanti della storia dell’arte del
Novecento.
Egli afferma che alle origini della grande e ineludibile stagione creativa di
Modigliani vi è senza dubbio la lezione di Cézanne. Questi infatti rappresentò
per Modigliani una vera e propria ondata,che lo rese capace di amalgamare
e di condurre in altre rive la ricchezza di un bagaglio culturale guadagnato
giorno per giorno e il rinnovarsi delle sollecitazioni cui un “montparnos” come
lui era sottoposto.
In che cosa consisteva la pista lungo la quale l’artista livornese rileggeva e
rielaborava i valori e le pulsionalità della pittura di Cézanne, senza arrendersi
all’impressionismo?
L’arte di Paul Cézanne sottolineava alcuni elementi determinanti per gli sviluppi
della pittura che dall’ ottocento proiettava nel novecento. Prima di tutto essa
Amedeo Modigliani: Livorno 1884 – Parigi
1920
ribadiva i valori della coscienza, collegati in presa diretta con la ricerca
conoscitiva all’interno della specificità del linguaggio.
Per Cézanne il pittore doveva conoscere il mondo attraverso il dipingere.
A questo proposito, egli era ben lontano dal cancellare i presupposti retinici e
percettivi
dell’
Impressionismo,
ma
sviluppava
una
vera
e
propria
riorganizzazione dei sensi in quel mare iperteso di petites sensations. Il suo fine
era quello di riordinare le coordinate dello spazio e del tempo, intesi come
storia ed esperienza degli esseri umani, attraversando con esse la fragile
instabilità del fenomeno luminoso.
Inoltre, Cézanne dimostrava che era possibile praticare un senso storico del
mondo più organico e ampio, ricollegando i poli della cultura più “ sofisticata”
a quelli di una cultura che affondava nella primitività: la classicità e il
Romanticismo, Ingres e Delacroix.
Non è peraltro da sottovalutare il fatto che il maestro di Aix era il primo a
esaltare i valori costruttivi legati a un sentimento primitivo della forma.
Questa nuova prospettiva di lavoro finiva con intrecciare itinerari incrociati, da
un lato verso la riduzione della forma, quasi risospinta nella culla della sua
epifania, da un altro lato verso la sua maturazione riflessiva.
Da parte sua, Modigliani, non sentì in Cézanne solo la possibilità di un griglia
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costruttiva, autosufficiente, ma percepiva addirittura una nuova possibilità di
armare una sonda psichica, che proiettava quel tempo e quello spazio all’
interno dell’ io.
Modigliani porta alle estreme conseguenze alcuni dei presupposti basilari della
pittura di Cézanne: risolve la mobilità della psiche nella profondità della
coscienza. Le due traiettorie non solo si presentano parallele, ma nascono da
una comune e complessa origine.
Una tale soluzione non era d’altra parte prevedibile. Ecco perché per
Modigliani si è tanto spesso urlato al miracolo.
Quanto più sembra un raffinato (da intendersi come atteggiamento
linguistico), tanto più, invece, è nei fatti un rigoroso cultore di una lingua che
incide il silenzio e insieme vi affonda. Perciò Modigliani ha sempre un piede
Cézanne, “Madame Cézanne in rosso”,
1890-1894
sulla soglia del dramma. Anche quando il suo segno sembra maggiormente
rivolto all’ occasione.
Ed è un dramma muto e senza clamori, come solo la pittura di Cézanne
poteva avergli suggerito.
D’altra parte, il maestro di Aix non solo rappresentava per Modigliani un
atteggiamento di fondo e un modo di porsi a “guardare” il mondo, ma gli
forniva anche alcuni elementi compositivi e specifici del dipingere stesso. A
tale proposito è da sottolineare il fatto che Modigliani si appropria di alcuni
“vizi” cézanniani.
Il più evidente è la pennellata “a matassa”; la stesura di colore che
aritmicamente s’ interrompe quasi a voler rivelare la srtuttività della pennellata;
la posa stessa dei personaggi ritratti, specialmente per quanto riguarda le
braccia e l’intrecciarsi delle mani, o gli sfondi su cui si accampano.
Per troppo tempo ci si è dimenticati che la bellezza e l’ armonia venivano
Amedeo Modigliani,
vestito giallo”, 1919
“Ragazza
con
tradotte da Modigliani in concretezza e profondità, distogliendole dall’
astrattezza delle categorie. E che in fin dei conti erano da lui praticate
criticamente, si direbbe per contraddirle.
Per quanto riguarda i “vizi” ripresi da Cézanne si vedano, per esempio, Donna
con caffetteria o Madame Cézanne in rosso del pittore francese e Ragazza
con vestito giallo di Modigliani. Si veda la posizione delle mani, anche se
spesso, in quest’ultimo, assumono un atteggiamento più spigliato.
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Tuttavia, le mani e le braccia sono dipinte con una valenza volumetrica che le
isola dalla diversa plasticità delle maniche. Non vi sono dubbi che si tratta dell’
“errore” ingresiano raccolto da Cézanne.
Altre continuità stilistiche di immediata evidenza sono gli sfondi. Modigliani solo
raramente li risolve in dissolvenze luminose o in “atmosfere”. Preferisce invece
far suo l’ esempio di Cézanne, lavorandoli plasticamente. Il risultato è quello di
creare una spazialità problematica, fondata e insieme contraddetta da una
sintetica geometria, che appare “distesa” sul piano e però plastica.
Allo scopo è sufficiente, come per Cézanne, l’ abbozzo di una porta o di una
finestra, che però negano di fatto l’ apertura verso spazi “altri”, siano esse
lontananze narrative o metafisiche.
Dunque Modigliani si serve scopertamente di modi e di forme sottratte al
vocabolario di Cézanne, anche se in lui vi è qualcos’altro, ed è qualcosa che
contrassegna più a fondo il suo mondo creativo e che meglio ci fa intendere la
qualità e profondità con cui leggeva la pittura.
Amedeo Modigliani, “Busto di giovane
nuda”, particolare 1908
A partire dal 1908 in Busto di giovane nuda, le forme si allungano ancora sotto
la spinta dell’ onda secessionista,in cui si intrecciano nuove pulsioni ed antichi
sfinimenti. Le cose cominciano realmente a cambiare in Studi per suonatore di
violoncello, opera strettamente legata a Ragazzo dal panciotto rosso di
Cézanne.
Il suo mondo è antico, ma non tradizionale, moderno, ma non catturato dal
suo mito. Amedeo Modigliani è, in realtà, un “classico” : nella stessa accezione
per cui consideriamo classico Cézanne. Come tutti coloro che cercarono un
iperbolico collegamento, e una centralità problematica, fra le stazioni della
tradizione e della modernità. Una dialettica che faceva perno sulla
concretezza del linguaggio ma che contemporaneamente lo incaricava di
profonde responsabilità.
Amedeo Modigliani, “Il suonatore di
violoncello”, 1909.
Morandi: paesaggi e nature morte
Lo spazio è la realtà come viene posta ed esperita dalla coscienza, e la
coscienza non è totale se non comprende ed unifica l’oggetto e il soggetto
dell’esperienza. Così “comunicava” con il linguaggio da pittore Cézanne.
Morandi, nei fatti (suoi, le opere) realizza figurativamente lo spazio partendo
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dal concetto di spazio: solo quando il concetto (lo schema geometrico che lo
rappresenta) scompare risolvendosi negli oggetti si può dire che nel quadro
c’è lo spazio: non più come concetto astratto ma come realtà vissuta,
esistenza. Morandi conclude la cultura figurativa italiana, che parte dal
concetto di spazio o dalla concezione unitaria del reale per dedurre la
conoscenza delle cose particolari. Morandi parte da uno spazio teorico ed
arriva allo spazio concreto, all’unità ambientale. La pittura di Morandi non è
evasione nella ma dalla Metafisica. Essa può essere considerata come la
distruzione metodica della prospettiva fondata sulla geometria euclidea, cioè
della concezione della spazio su cui si fondava, da Giotto in poi, la famosa
“tradizione italiana”, che si voleva universale ed eterna.
Giorgio Morandi: Bologna, 1890 – ivi, 1964
Il processo distruttivo di Morandi è, al tempo stesso, costruttivo perché non
soltanto dimostra la sopravvivenza dello spazio oltre la prospettiva ma prova
come soltanto al di là dell’astrazione prospettica lo spazio della coscienza si
dia come realtà concreta, esistente.
Anche Morandi trasse un’importante lezione dai dipinti di Cézanne – col quale
condivise la “passione” per le nature morte – ispirandosi a semplici riproduzioni
in bianco e nero. Egli aveva saputo subito dove guardare per ricondursi a filo
della pittura. I paesaggi e le nature dal 1911 al 1917 dicono quali fossero e
restassero le sue preferenze: e con quale prezioso intuito avesse saputo trarre
profitto da umili, casuali, riproduzioni del maestro Aix.
Quelle riproduzioni di Cézanne che egli conobbe furono lo stipite a cui
poterono appoggiarsi le sue prime ricerche formali, e con tale intensità e
verginità di ripresa, che segna uno stacco decisissimo rispetto a quanto hanno
Cézanne: vaso impagliato, zuccheriera e
mela, 1890
tentato di apprendere dal massimo provenzale i pochi italiani che allora e
dopo vi sono rivolti.
Della visione di Cézanne quel che si vede aver colpito maggiormente e con
sommo beneficio Morandi è stata la penata “costituzione dell’oggetto”, la
creazione del naturale che fondava un’immagine così definitivamente elusa
alla labile percezione, che è quanto distacca, in modo inequivocabile, la
internazionalità di Cézanne dalla visione accettata e, in certo senso, subita
degli impressionisti.
Avendo intuito così nell’intimo la pittura di Cézanne, Morandi non doveva
Giorgio Morandi: Natura morta, 1929
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troppo indugiare nel captarne i modi esteriori, quei modi fallacissimi, per chi,
attenendosi alla superficie, crede di poterne estrarre, ponendo il disporsi in
tralice delle pennellate, come fosse il procedimento basilare della nuova
pittura, o costituisse qualcosa di simile alla scoperta che, del valore formale
della tessera musiva, fecero i mosaicisti.
Così Morandi, anche in quei pochi paesaggi dipinti in tralice, o in qualche rara
scomposizione seguiva la sotterranea sorte della sua ricerca; e nel distaccarsi
dalle rive della Provenza, la sua rotta era fermamente indicata: la pittura
contemporanea.
Analizziamo dunque una delle prime nature morte del nostro artista per vedere
punti in comune con l’arte del maestro di Aix.
Nella Natura morta del 1916 (all’inizio del periodo metafisico) la distruzione
della prospettiva è evidente: la profondità prospettica è prima suggerita (nel
diverso livello delle basi degli oggetti sul piano della tavola, nell’angolo della
parete nel fondo) e poi è annullata facendo degli oggetti altrettante sagome
sospese e livellando i piani colorati della tavola e della parete e quelli degli
oggetti (è significativo come, in questo saldare su una stessa superficie piani a
profondità diversa Morandi sfiori senza saperlo, per un istante, la ricerca di
Modigliani). La profondità non esiste più come vuoto capiente in cui siano
situate le forme solide degli oggetti: c’è un tessuto spaziale, continuo, come un
velo teso, sul cui piano si profilano, quasi per trasparenza, gli oggetti, la tavola,
le pareti. Perché Morandi ha annullato la prospettiva? Perché la prospettiva
Giorgio Morandi: Natura morta, 1916
definiva in termini di lavori i principia individuationis con cui l’artista dava ordine
e chiarezza alla realtà al fine di rappresentarla: definiva la linea come limite o
contorno delle cose, il volume come consistenza fisica degli oggetti, il tono
come tinta locale modificata dalla distanza e dalla luce. Morandi non nega e
non accetta a priori questi criteri formali: se la forma è il risultato a cui si deve
giungere al termine del processo, il processo non può partire da una forma
data, da un prestabilito significato della linea, del volume, del tono; in questo è
presente la figura e il pensiero di Cézanne.
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