GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA JOURNAL OF HISTORY

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GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA JOURNAL OF HISTORY
MEDICINA NEI SECOLI
ARTE E SCIENZA
GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA
JOURNAL OF HISTORY OF MEDICINE
Fondato da / Founded by Luigi Stroppiana
QUADRIMESTRALE / EVERY FOUR MONTHS
NUOVA SERIE / NEW SERIES
VOL. 21 - No 1
ANNO / YEAR 2009
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 20/3 (2008) 7-9
Journal of History of Medicine
Introduzione/Introduction
Negli ultimi decenni è andato sempre più affermandosi il ruolo educativo dei musei, sia da un punto di vista prettamente didattico, con
l’inserimento di visite guidate ed attività di laboratorio museale nei
piani formativi delle scuole e dei corsi di laurea universitari, sia in una
prospettiva più ampia, come luogo di comunicazione culturale per l’intera collettività. Da luoghi di conservazione ed esposizione, i musei
sono divenuti veri e propri centri di ricerca e di formazione didattica,
spazi “aperti” ed interattivi per la diffusione e la divulgazione dei saperi.
Nell’ambito della storia della medicina, un esempio emblematico
della trasformazione del ruolo sociale dei musei può esser rappresentato dal caso dell’antico Wellcome Museum, le cui collezioni
sono state riassorbite dal Wellcome Trust come parti integranti di un
sistema di diffusione della cultura medica a livello internazionale.
Nei principali centri universitari di tutto il mondo, i musei storico-medici
vengono ormai inseriti in percorsi didattico-formativi a più livelli,
metodologicamente diversificati in base al tipo di pubblico, con visite
guidate, laboratori didattici, organizzazione di mostre temporanee.
Dedicare un volume monografico ai musei storico-medici significa allora esaminare il loro ruolo culturale in relazione al contesto
ambientale e sociale di riferimento, analizzare i servizi didattici che
offrono, ed in quale le loro collezioni museali divengano strumenti
didattici nell’insegnamento della storia della medicina.
Per questo motivo sono stati contattati musei (forse meno noti al
pubblico non esperto del citato Wellcome o del Musée d’Histoire de
la Medécine di Parigi), ma con servizi didattici e patrimoni museali
altrettanto importanti e capillari nel territorio, che si caratterizzano
per il loro legame a contesti storici ed ambientali specifici, e che
rappresentano differenti impostazioni museologiche, in base alla
missione con cui si sono costituiti nel momento della loro fondazione.
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Introduzione
In tal senso, si è voluto analizzare, attraverso la storia delle istituzioni e delle rispettive collezioni, in quale modo i musei di interesse storico-medico contribuiscano alla formazione professionale e
culturale in diversi paesi del mondo, in una prospettiva di confronto
che valorizzi la specificità di ogni singolo museo sia in relazione
all’unicità del patrimonio che possiede, sia per i servizi e l’attività
formativa che svolge sul territorio, sia per il valore culturale in sé
che apporta alla storia della medicina.
Possiamo così delineare tipologie diverse di istituzioni museali in
relazione ai nuclei originari delle loro collezioni, ai luoghi in cui
sono stati istituiti, al periodo storico in cui sono sorti, alla loro
missione originaria.
Dai contributi, emerge come il patrimonio dei musei universitari sia
costituito da collezioni provenienti da fondi di istituzioni o di privati
diversi, allo scopo di allestire un percorso espositivo che rappresenti,
quanto più possibile, l’evoluzione del pensiero medico; in tal senso,
una differenza sostanziale è data dalla storia dei vari Paesi, per cui i
musei di nazioni di nuova costituzione rispetto all’Europa, come il
Dittrick Museum di Cleveland, l’Healt Care Museum a Kingstone, il
museo di Còrdoba, o l’Adler Museum di Johannesburg, conservano
collezioni naturalmente meno antiche dei musei Europei, formate,
per lo più, da reperti e strumenti risalenti al XIX secolo. Altri musei
sono invece legati ad un nucleo centrale del patrimonio museali, che
ne caratterizza criteri espositivi e percorsi didattici, come emerge dai
contributi relativi al museo di Bruxelles, o quello di Barcellona,
L’Hunterian Museum di Glasgow, il Museo Semmelweis a Budapest,
il Museo Medico alla Charité di Berlino, il Musée Fragonard a Parigi,
rappresentano esempi di musei legati, nella loro fondazione, a figure
emblematiche che hanno segnato la storia della medicina, ai luoghi
in cui hanno esercitato ed agli strumenti con cui hanno svolto i loro
studi e la loro professione medica. L’organizzazione del percorso
museale e dei relativi sistemi di comunicazione sono, quindi, natu8
French And Italian Medicine In Historical And Historiographical Context
ralmente incentrati su quelle tematiche storico-mediche che contraddistinguono la natura del museo.
Diversa è invece la connotazione museologica che caratterizza l’Old
Operating Theatre di Londra, come modello museale fondato sulla
specificità storica e di genere di un luogo che, attraverso l’integrità
dei contesti ambientali che l’hanno connotato, è divenuto di per se
stesso un museo. Anche in questo caso, le strategie di comunicazioni
riflettono la peculiarità delle collezioni e dell’impianto museografico, con una didattica hands-on e simulazioni di interventi chirurgici
che coinvolgono i visitatori. L’efficacia di un allestimento che ricrei
situazioni e luoghi specifici dell’arte medica è testimoniata dall’uso
frequente che i musei di storia della medicina fanno delle ricostruzioni di ambiente, una sorta di museo nel museo, che permette una
comunicazione immediata ed interattiva. Nel museo di Melbourne,
in Australia, dove è stata ricostruita l’antica Farmacia Savory &
Moore di Londra, ed in quello dell’Università di Kaunas, in Lituania,
dove si è ricreata una farmacia antica, i percorsi didattici prevedono
anche dimostrazioni pratiche di come venivano preparati i farmaci;
ricostruzioni di ambienti sono presenti anche nel Dittrick Museum,
nel Museo dell’Università di Roma, nel Paul Stradins Museum in
Lituania, e nel museo di Kiev, in Ucraina.
Un’ultima notazione: si è voluto dare spazio, in questa sede, ad
alcuni musei storico-medici dell’Europa orientale, in cui si sta ora
valorizzando un patrimonio culturale reso nuovamente fruibile solo
di recente. Si perdonerà di certo, soprattutto da parte di un pubblico
culturale avvertito in materia di museologia scientifica, l’apparente
ingenuità d’impianto di alcune di queste realizzazioni museali: le
difficoltà storiche hanno fatto sì che solo oggi questi musei inizino
a percorrere una strada praticata dalla museologia medica europea
almeno a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo.
Silvia Marinozzi
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MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 11-35
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
IL MUSEO DI STORIA DELLA MEDICINA DELLA
“SAPIENZA” UNIVERSITA’ DI ROMA PER UNA
COMMUNITY INTERUNIVERSITARIA
ALESSANDRO ARUTA E SILVIA MARINOZZI
Dipartimento di Medicina Sperimentale
Sezione di Storia della Medicina
“Sapienza” Università di Roma, I.
Summary
the museum of history of medicine at rome university
la sapienza
The Museum for the History of Medicine at Rome University has been from its very origins - conceived as a didactic device. In its organization
and structure, it embodies a journey through medical history, frorm the
remote antiquity to the contemporary age and accounting for continuities
and changes. Objects are contextualized through different means - detailed
verbal explications as well as new medias. The Museum is thus an institution
open to different publics - from sophisticated scholars to young students.
Le collezioni
Il primo nucleo delle collezioni tuttora fruibili risale, in gran parte,
al periodo della fondazione del Museo, tra gli anni ’30 del secolo
scorso, quando i reperti furono stipati in due locali sotterranei
dell’Istituto di Igiene (fig. 1), ed il 1954, anno dell’inaugurazione
della sede definitiva, in Viale dell’Università 34/a1. Si tratta di un
nucleo originario composto da oggetti di vario genere concernenti la
storia della medicina, arricchito, nel dopoguerra, da nuove e imporKey words: Historical Collections - Medical education - Public programs Museum’s Community
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Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
tanti acquisizioni: prima fra tutte, quella raccolta dal cantante lirico
Evan Gorga (1865 – 1957), che ancor oggi costituisce il nucleo principale è più prezioso del Museo. Tenore di successo ed interprete di
Rodolfo nella Bohéme di Giacomo Puccini, Gorga, dopo soli cinque
anni dagli esordi, decide di abbandonare la lirica, i teatri e la carriera
per dedicarsi totalmente al collezionismo:
Stanco di creare i suoi fantasmi d’arte con l’aurea fugacità della voce,
voleva ad ogni costo avere tra le sue mani febbrili qualcosa che fosse men
solubile nell’aria della sua voce d’oro2.
Frutto della sua passione, e di sacrifici economici che lo condurranno all’indebitamento, sono le ammirevoli collezioni di strumenti
musicali (eccezionalmente esposti a Castel Sant’Angelo in occasione dell’Esposizione Internazionale di Roma del 19113), di oggetti
di valore archeologico, quali i reperti di civiltà italiche antiche, ed
artistico, come terrecotte, bronzi, vetrerie, ceramiche policrome,
marmi, statue, e, per quanto più ci riguarda, di collezioni di interesse
scientifico, storico-medico, di sanità e di igiene.
La mania di possedere rarità, cresciuta negli anni fino all’inverosimile,
accomunata dalla una estrema generosità e da un animus donandi4,
conduce inevitabilmente l’artista a contrarre debiti e a dare in pegno
parte delle collezioni per far fronte alle pressioni sempre più inflessibili
dei creditori. Lo Stato confisca così le collezioni, onde evitare l’alienazione e garantire l’integrità dei singoli oggetti e delle collezioni.
Dopo circa 25 anni di giacenza nel sottosuolo della Galleria Nazionale
delle Belle Arti, a Valle Giulia, nel 1947 il nucleo dei reperti di natura
medico-sanitaria viene riportato alla luce ed assegnato, con l’incarico
della catalogazione, a Pazzini per l’Istituto di Storia della Medicina
di Roma. Si tratta di circa 8.000 reperti, le cui categorie di maggior
rilievo sono costituite da oltre settecento vasi di farmacia, albarelli ed
idrie, di manifattura italiana di diversa provenienza, tra cui Faenza,
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Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
Deruta, Caltagirone, Cafaggiolo; farmacie portatili eseguite con
rara perizia artigiana tra il XVII e il XIX secolo; oggetti attinenti
all’igiene, personale e pubblica; vetrerie alchemiche (circa 600) e
farmaceutiche, tra cui vetri azzurri veneziani con ornati a colori, una
collezione di bottiglie, dipinte a mano, per la ‘manna’ di San Nicola
di Bari, albarelli e rocchetti in vetro di Murano, ciotole, scatole e
bottiglie in cristallo; ferri chirurgici di diverse specialità, dalle civiltà
pre-classiche all’evo moderno: strumenti di odontoiatria ed ostetricia,
lancette, coppette e catini per il salasso, uretrotomi, ernotomi, castratori, cauteri, amputanti, coltelli e tronchesi per le dissezioni anatomiche, alfonsini, del XVI sec. per l’estrazione dei proiettili delle armi
da fuoco, strumenti di contenzione, microscopi dei secoli XVII-XIX,
di cui alcuni lavorati a mano, ed uno strumentario scientifico utilizzato, in medicina, per le ricerche e per la misurazione dei fenomeni
organici; ma anche oggetti di storia materiale, dipinti, mobili ed
un’importante collezione di ex-voto del periodo romano5.
Un successivo nucleo di reperti, costituente la collezione anticoegizia, si aggiunge alle collezioni Pazzini e Gorga nel 1951. Si tratta
di un deposito da parte della Soprintendenza alle Antichità di Torino,
composto da alcuni oggetti funerari e relativi all’arte dell’imbalsamazione: vasetti per unguenti ed alimenti, cestelli, stuoie, amuleti e
scarabei, due gruppi di statuette raffiguranti le squadre di ‘lavoranti’
per il defunto nell’aldilà, una testa ed una mano di una mummia, rotoli
di bende di diverse lunghezze, poggiacapi lignei.
Alla fine della seconda guerra mondiale, il numero degli oggetti acquisiti da Pazzini era così aumentato da colmare pienamente i locali sotterranei dell’Istituto di Igiene, tanto da impedire la fruibilità degli spazi.
Già dalla fine degli anni ‘30 Pazzini si era adoperato per ottenere una
nuova sede dotata di locali adeguati ad ospitare un Istituto con annessa
biblioteca e museo. Una folta corrispondenza con i Ministeri del Tesoro
e dei Lavori Pubblici6 testimonia la passione e l’impegno del medico
romano per raggiungere l’ultimo e difficile traguardo della sua carriera.
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Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
Tra promesse svanite e delusioni, nel 1949, Pazzini riceve la lieta notizia
che il Ministero dei Lavori Pubblici ha stanziato una congrua somma
di denaro per la costruzione di edifici per opere universitarie. Da qui un
ulteriore sforzo alla ricerca di una ditta edile che lavorasse secondo i
termini di pagamento differito stabiliti dal Ministero e finalmente, nel
1953, iniziano i lavori che termineranno dopo un anno.
Il 13 settembre 1954, dopo uno straordinario lavoro di allestimento del
museo e di sistemazione della biblioteca, viene inaugurata, in occasione del XIV Congresso Internazionale di Storia della Medicina, la
nuova ed attuale sede dell’Istituto di Storia della Medicina.
Viene così a realizzarsi pienamente l’idea di
formare un centro di studi e di ricerca dove lo studioso può attingere notizie, sussidi bibliografici, ricerche biografiche, indicazioni iconografiche,
e, nello stesso tempo, raccogliere in un museo-documentario tutti quegli
oggetti, o loro esattissime riproduzioni che stessero a documentare l’incessante lavorio della scienza dell’arte salutare7.
Il centro studi del ’54
Nasce un centro di ricerca del tutto autonomo all’interno della città
universitaria. Nell’edificio dell’Istituto di Storia della Medicina,
disposto su 4 livelli, il primo ed il secondo piano, nonché gran parte
del seminterrato, vengono allestiti per ospitare un percorso espositivo che possa ripercorrere la storia della medicina dall’antichità ai
tempi moderni. Il piano terra accoglie invece la direzione la biblioteca, la sala di lettura, una grande aula per convegni e l’archivio,
comprendente anche materiale cinematografico ed attrezzature per
realizzarlo e proiettarlo8.
Tenendo bene a mente l’esempio londinese del Wellcome Museum,
Pazzini divide cronologicamente in otto sezioni il suo museo, completandolo nel 1955 con la realizzazione di alcune ricostruzioni d’ambiente9. Il percorso museale del 1954 si suddivide infatti in diverse
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Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
aree tematiche, seguendo un preciso ordine cronologico e concettuale:
medicina primitiva, medicina delle prime civiltà, epoca classica,
medioevo, rinascimento, seicento, settecento ed ottocento; le ricostruzioni di ambiente ripropongono una piazzetta medioevale, un laboratorio alchemico del XVII secolo, una spezieria del XVIII sec., il vano
della strega, la rappresentazione di una visita medica, e la casa del
chirurgo; infine, una sala dedicata completamente alla conservazione
e alla fruizione della collezione delle ceramiche di farmacia10.
Il ricorso ad artifici ricostruttivi di oggetti e strumenti fatti riprodurre fedelmente da abili artigiani, su modelli originali provenienti
da diversi musei o da iconografie e descrizioni contenute nei trattati
storico-medici custoditi in alcune biblioteche mediche, trova la sua
ragione nella necessità di colmare le ovvie lacune di un museo che,
vista la propria natura medico-didattica, deve ripercorrere, attraverso
la cultura materiale, più di duemila anni di evoluzione medica. Del
resto, il largo spazio che ancor oggi viene destinato alle copie di opere
antiche, artistiche e non, nel museo romano della Sapienza, è indice
della permanenza della forte valenza didattica di queste nel tempo.
Il risultato ottenuto è un ‘museo documentario’ unico nel suo genere,
che sviluppa diacronicamente le tematiche mediche, attraverso oggetti
in parte originali ed in parte ricostruiti che determinano una singolare e
stimolante interrelazione tra il reale e l’irreale (fig. 2).
Ad integrare ulteriormente il patrimonio del Museo, vengono poi acquisite, poco dopo, le collezioni Sarnelli e Neuschuler: la collezione, appartenuta al medico e arabista Tommaso Sarnelli, fondatore del Centro
Studi di Etnoiatrica, viene donata nel 1959 dall’Istituto Universitario
Orientale di Napoli, e comprende erbe medicinali in genere suddivise
in droghe vegetali e minerali, incensi e alcune tipologie di contenitori11; la collezione Neuschuler è invece costituita da vasi da farmacia
e strumenti di oculistica legati all’attività dello specialista.
Lo scopo fondante di Pazzini si esplica nella costruzione di un efficace strumento didattico, che possa non solo coadiuvare studiosi,
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Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
studenti e professori della facoltà Medica nella conoscenza della storia
della medicina, ma anche stimolare e comunicare ad un pubblico
non esperto: la suddivisione del percorso espositivo in diverse aree
tematiche, la riproduzione dello strumentario medico che colmasse la
mancanza di reperti originali, la ricostruzione di ambienti e di scene
illustrative di specifiche pratiche mediche, l’acquisto e la realizzazione di busti e ritratti dei principali “protagonisti” della storia della
medicina, concretizzano il disegno progettuale di un Museo che, unico
in Italia, rappresenti, ed insegni, l’evoluzione del sapere medico.
La didattica riveste un ruolo fondamentale nel Museo di Storia della
Medicina della Sapienza, sin dalla sua fondazione. La ricerca di nuovi
criteri di comunicazione è già viva nel DNA del museo sin dalle
origini, quando Pazzini organizza seminari, congressi e visite guidate,
ed elabora nuove strategie didattico-divulgative ‘fatte in casa’, come la
realizzazione di filmati video che toccano gran parte degli aspetti della
storia della medicina di allora. Di recente si è provveduto a riversare
le vecchie ‘pizze’ in formato digitale DVD, sino alla costituzione di
una piccola videoteca storica del Museo e della Sezione di Storia della
Medicina, ora totalmente fruibile. Tra le produzioni cinematografiche
‘artigianali’ realizzate, di particolare interesse è il video incentrato sul
museo, che, assemblando alcuni ‘spezzoni’, ripropone l’intero percorso
museale nel suo primo allestimento nell’attuale edificio. Il video,
importante di per se stesso per il proprio valore documentario, risulta
oggi utile come strumento storico e museologico, poiché permette una
comparazione tra i criteri dell’epoca della sua fondazione con le attuali
tecniche e strategie allestitive e comunicative dell’odierna museologia
scientifica, per una ricostruzione di una sorta di storia della museografia e della museologia. Si evince come la metodologia teorica di un
approccio multidisciplinare per l’insegnamento e lo studio della storia
della medicina abbia trovato, in Pazzini, una ricaduta immediata in una
scelta museologica definita: il filmato Arte e Medicina, proponendo in
chiave cronologica una rassegna iconografica di scene di pertinenza
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Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
medica, sia di patologie che di interventi terapeutici, ne offre un valido
esempio12.
Fig. 1 - Allestimento del Museo di Storia della Medicina nei locali dell’Istituto di Igiene
(1938)
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Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
Fig. 2 - Museo di Storia della Medicina, I Piano (1954)
Il museo oggi
Eccetto una parziale rivisitazione avvenuta intorno alla metà degli
anni ’60 del secolo scorso, l’impianto allestitivo e la ratio museologica originaria permangono nel Museo di Storia della Medicina per
oltre un ventennio, sino alla morte del suo fondatore, sopraggiunta
nel 1975. Si assiste, da questo momento in poi, ad un lento declino,
che compromette seriamente la conservazione e la fruizione delle
collezioni. Solo nella seconda metà degli anni ’90, grazie all’iniziativa dell’attuale Direzione Scientifica, le sorti del Museo iniziano
a cambiare: l’attribuzione di fondi speciali per i musei d’Ateneo,
in occasione dei 700 anni della Sapienza e l’impegno di un gruppo
di ricerca dotato di elevate competenze scientifiche (e di senso del
volontariato), nella realizzazione di progetti di finanziamento mini18
Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
steriali (MiUR, Legge 6/2000 “Iniziative per la diffusione della
cultura scientifica”)13, permettono alla struttura di risorgere. Si
avvia così un processo di riqualificazione che, oltre ad interventi di
restauro, ha previsto un lavoro di rivisitazione allestitiva e di aggiornamenti didattico-scientifici, e predisposto un programma di inventariazione, schedatura e catalogazione degli oggetti appartenenti alle
varie collezioni.
Nella versione attuale, il Museo di Storia della Medicina mostra
chiaramente i segni delle trasformazioni avvenute nel tempo, ed
appare profondamente rinnovato nelle tecnologie, negli approfondimenti scientifici e, soprattutto, nella missione educativa, conser-
Fig. 3 e 4 - Museo di Storia della Medicina, I Piano (2000)
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Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
Fig. 5 e 6 - Museo di Storia della Medicina, II Piano (2005)
vando, al tempo stesso, l’impronta didattico-documentaria originaria. Il percorso museale è articolato su tre piani ed è progettato
come itinerario di un viaggio che, attraverso l’esposizione permanente di oggetti, reperti e strumenti medici e scientifici delle diverse
epoche, permetta al visitatore di scoprire e seguire l’evoluzione del
pensiero medico occidentale nella storia14.
Per una nuova didattica
Negli ultimi anni è andato sempre più affermandosi in Italia il valore
“educativo” dei beni culturali ed ambientali, soprattutto in seguito
alla Legge 59/1997, resa esecutiva con il Decreto Legislativo 112
del 1998, che, nel conferire funzioni e compiti amministrativi dello
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Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
Stato alle Regioni ed a Enti Locali, definisce ambiti e funzioni dei
Beni Culturali ed Ambientali nella tutela, gestione e valorizzazione
del patrimonio e per la promozione e le attività culturali ad esso
inerenti. Si propone, quindi, una distinzione tra beni ed attività culturali, intese come l’insieme delle azioni “rivolte a formare e diffondere
espressioni della cultura e dell’arte”, e tra valorizzazione, come attività di conservazione e di incremento della loro fruizione, e promozione, “diretta a suscitare e a sostenere le attività culturali”, ossia a
diffondere cultura nel territorio (articolo 148). Va inoltre considerata
l’incidenza che la normativa sull’istruzione primaria e secondaria,
nota come “riforma Moratti”, ha avuto nello stimolare attività educative e culturali nei musei: l’implemento della formazione tecnologica
(l’informatica), delle lingue straniere (l’inglese ed altra lingua della
comunità europea) e l’inserimento di discipline professionalizzanti,
ha comportato la riduzione dei programmi scolastici per le materie
umanistiche, demandando agli enti territoriali di tutela del patrimonio culturale ed ambientale, ed in particolar modo ai musei civici
e statali, il compito di collaborare nella formazione scolastica grazie
a percorsi museali che permettano l’approfondimento di specifiche
tematiche storiche, artistiche, letterarie e storico-scientifiche. E’
quanto chiaramente espresso anche dal Codice dei Beni culturali ed
ambientali del 2004, che definisce il museo come “struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per
finalità di educazione e di studio” (art. 101) e che ribadisce, nell’articolo 119, l’importanza di convenzioni per l’elaborazione di percorsi
didattici per le scuole e materiali di studio per l’aggiornamento dei
docenti. Le visite ai musei sono, infatti, ormai abitualmente inserite
nei piani delle varie P.O.F. delle scuole, che prevedono l’utilizzo dei
musei come strumenti attivi nell’ambito della formazione scolastica
determinando così la necessità di una collaborazione tra insegnanti
e personale delle istituzioni territoriali per la formazione culturale,
storica e civica degli studenti. La “missione educativa” dei musei si
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Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
evince, infatti, dalla progettazione e redazione dei curricoli disciplinari delle suole, che si avvalgono dei servizi didattici e culturali
offerti dal personale del museo, che viene così assumendo un ruolo
di complementarietà nella formazione scolastica, ma anche di diffusione e divulgazione del sapere per i cittadini. Esemplificativa di tale
concetto è la definizione fornita dall’ICOM (International Council of
Museums) di “museo” come
un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e
del suo sviluppo, aperta al pubblico e che fa ricerche sulle testimonianze
materiali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le
comunica e soprattutto le espone a fini di studio, di educazione e di diletto:
luogo di comunicazione, quindi, di trasmissione della propria cultura
attraverso contenuti strutturati e divulgati sulla base di un’elaborazione scientifica che miri a restituire, in tal modo, un patrimonio
storico alla collettività che lo ha prodotto. Censire, raccogliere, catalogare ed esporre reperti presuppone, e comporta, un lavoro di ricerca
scientifica sulle collezioni, sulla loro storia, un sapere specialistico,
insomma, che si abbini anche a competenze museologiche tali da
render possibile individuare le diverse prospettive con cui l’oggetto
può esser analizzato, e quindi valutato, a secondo dell’impostazione
critica e di ricerca che si persegue: semiofori e significanti di specifiche categorie concettuali, i reperti raccontano così le diverse e
molteplici storie che li hanno prodotti in relazione a contesti storici e
culturali di cui si fanno testimonianza. Ma a questi saperi “esperti”,
perché i musei divengano strumenti attivi per la formazione culturale, deve potersi affiancare una professionalità didattica, l’abilità di
tradurre contenuti scientifici in un linguaggio accessibile al pubblico
inesperto. I beni culturali divengono quindi strumenti ed obiettivi
dell’intervento didattico, svolto attraverso la fisicità degli oggetti:
la missione educativa del museo, importante quanto la ricerca e la
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Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
conservazione, si concretizza nell’attività didattica che viene svolta
negli spazi museali, con la formazione di mostre ed esposizioni tematiche nonché di specifici percorsi museali (tra qui quelli ambientali)
che risultino efficaci nell’immediatezza comunicativa, in modo da
stimolare gli utenti all’approfondimento di argomenti, discipline e
saperi di cui il museo si fa portavoce. Per “comunicare” la propria
cultura il museo deve considerare il contesto sociale, storico e territoriale in cui si colloca, nonché considerare il proprio ruolo all’interno di eventuali reti e sistemi museali, trovando nuove strategie di
comunicazione atte a valorizzare e far conoscere il rispettivo patrimonio culturale.
L’impostazione tradizionale dell’uso dei musei da parte delle istituzioni educative e formative, da sempre tese all’organizzazione di
visite ai nei musei civici e di arte, potrebbe però comportare il rischio
di ridurre la didattica museale al patrimonio artistico, archeologico ed
architettonico, trascurando così “beni culturali” di rilevante importanza formativa ed educativa, come quelli naturalistici ed ambientali,
e quelli scientifici e tecnologici, inclusi tra i “Beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela” nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali del 1999.
Si rende pertanto necessaria la costituzione di una “didattica museale”
come metodologia e disciplina che miri al coinvolgimento degli
utenti per comunicare concetti e contenuti di specifici beni culturali
ed ambientali. L’attività didattica diviene un servizio fondamentale
per colmare il divario tra la proposta museale ed i diversi destinatari
cui è rivolta, perché ogni museo possa comunicare il proprio patrimonio culturale. La tradizionale metodologia della didattica orale,
ossia delle visite guidate, e scritta (come i depliant che presentano
le collezioni, le monografie, o lo stesso corredo grafico e didascalico che accompagna gli oggetti), viene oggi affiancata da una didattica tecnologica, (da supporti multimediali ed interattivi inseriti nel
percorso espositivo e da siti internet di musei e e/o collezioni), e dal
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Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
laboratorio, ossia da attività che coinvolgano i visitatori, per meglio
comunicare i contenuti salienti del patrimonio museale. E’ in tale
prospettiva che, tra il 1998 ed il 2005, si è proceduto alla ristrutturazione ed al riallestimento del Museo di Storia della Medicina, con
nuove strategie espositive e didattiche: l’impostazione museografica
del secondo piano del Museo ha previsto criteri di comunicazione,
di immediatezza ed essenzialità, con brevi spiegazioni didascaliche
inserite in un contesto grafico che si è avvalso di molte immagini
e di diverse gamme cromatiche. In particolare, sono state inserite
postazioni video, con materiale audiovisivo e supporti multimediali
didattico-divulgativi sui principali temi della storia della medicina e
sui rapporti tra scienze biomediche e società, che integrano l’esposizione dei reperti e dello strumentario in un percorso museale progettato come strumento di comunicazione e di didattica della medicina
e delle problematiche, passate ed attuali, che ne hanno condizionato
evoluzioni e permanenze. Sono stati appositamente realizzati video,
filmati e touch-screen che, oltre a comunicare specifiche tematiche, permettono una maggiore interattività, e quindi un incentivo
alla partecipazione ed all’apprendimento. Tra le postazioni digitali particolare interesse riveste il touch screen relativo alla storia
di alcune malattie infettive, che è tra i più consultati, forse proprio
per la forte impostazione didattica e per la sua interattività, strutturato in modo da illustrare la storia delle malattie in relazione alle
conoscenze acquisite nel tempo sulle rispettive cause eziologiche,
la loro diffusione temporale e geografica, nonché la dimensione
simbolica e l’influenza che hanno esercitato a livello culturale, istituzionale e sociale nei secoli. Uno dei lavori che ha maggiormente
impegnato lo staff della Sezione di Storia della Medicina è stata,
inoltre, la progettazione del video inserito nella sezione dedicata
alla Medicina Sperimentale. Il filmato inizia con una spiegazione di
Mirko Grmek sulla nascita e sviluppo della Medicina Sperimentale,
grazie alla concessione dei diritti della RAI. Della Sezione di Storia
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Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
della Medicina è stata invece la progettazione della seconda parte
del filmato, appositamente realizzata in formato 3D per il nostro
Museo, in cui si possono seguire tutte le varie fasi che portarono
Claude Bernard a scoprire e poi dimostrare la funzione glicogenica
del fegato, con audio che recita il testo originale dell’articolo da lui
stesso pubblicato nel 1855 Sul meccanismo della formazione dello
zucchero nel fegato. Questo filmato è risultato avere una notevole
capacità didattica per gli studenti dei corsi di laurea della Facoltà di
Medicina e delle scuole medie superiori, così come grande interesse
suscitano i video inerenti le attuali tecniche diagnostiche e la trapiantologia nella sezione del Museo dedicata alle nuove tecnologie.
L’ approccio interattivo è risultato particolarmente efficace per
gli studenti delle scuole, stimolati a passare dall’osservazione
all’azione, da una ricezione passiva ad una manipolazione diretta
che rende immediatamente comprensibili i fenomeni, che permette
un approccio trasversale, multidisciplinare ed interattivo ai visitatori, di attestata efficacia didattica. I servizi di un museo rinnovato
Il Museo di Storia della Medicina è divenuto, negli ultimi anni, un
punto di riferimento non solo per studenti e ricercatori della Facoltà
di Medicina della Sapienza, ma anche per altre istituzioni sul territorio nazionale e non, con una crescente richiesta di prenotazione di
visite guidate, ricerche tematiche, materiale di studio. E’ in questa
prospettiva che lo staff del Museo di Storia della Medicina ha predisposto nuove strategie di comunicazione e divulgazione, offerte di
servizi bibliografici, consulenze, postazioni multimediali.
In particolare, in accordo con la programmazione didattica delle
scuole medie inferiori e superiori, il Museo offre visite guidate generiche o tematiche durante l’intero anno scolastico, con maggiore
concentrazione nei mesi compresi tra febbraio e maggio. In occasione di eventi speciali come la Settimana della Cultura Scientifica
25
Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
e Tecnologica, il Museo aderisce con allestimenti di mostre temporanee e seminari organizzati per gli studenti, per promuovere una
sensibilizzazione ed un approfondimento di particolari aspetti
medico-scientifici.
A supporto del singolo visitatore sia italiano che straniero e per incrementare i servizi strettamente legati all’offerta didattico-museale,
lo staff del Museo di Storia della Medicina ha da poco realizzato
un’audioguida sia in italiano che in inglese con mappe grafiche di
percorso, che permette di guidare l’utente attraverso le varie sezioni
in cui si articola il percorso museale, fornendo spiegazioni sui reperti
esposti ed integrandoli nel rispettivo contesto storico-medico.
Per far conoscere il museo, illustrando e comunicando il nostro
patrimonio museale e per divulgare i contenuti didattici espressi, è
stato realizzato un CD-Rom strutturato in aree tematiche corrispondenti a quelle in cui è suddiviso il percorso espositivo, per permettere all’utente di scegliere la visualizzazione di immagini o filmati in
base a specifiche tematiche o periodi storici
Le informazioni logistiche e le attività della Sezione di Storia della
Medicina sono pubblicizzate nel sito www.histmed.it, in cui è stato
predisposto uno spazio per il Museo, con gallerie fotografiche, visite
virtuali e filmati del percorso espositivo, e con l’indicazione dei
vari servizi offerti, dei calendari delle attività e delle manifestazioni
organizzate in collaborazione con altri enti o da altri musei. Il sito
ha tra gli obiettivi principali quello di presentare la Sezione e le sue
attività didattico-scientifiche, nel rispetto dell’immagine istituzionale dell’Università “la Sapienza” di Roma e di rendere maggiormente visibile il patrimonio rappresentato dalle diverse collezioni
del Museo. Il sito diventa quindi un utile supporto didattico per
i giovani e per le scuole al fine di poter costituire uno stimolo di
approfondimento culturale e di visita alla struttura, nonché contatto
con il personale didattico per lo sviluppo di programmi formativi
generici e specializzati. Inoltre consolida e rafforza la visibilità
26
Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
dell’Università romana, della Sezione di Storia della Medicina e del
Museo, integrandone, tramite la rete internet, la tradizionale immagine con le nuove tecnologie messe a disposizione dal mondo digitale. A tali finalità mira anche lo spazio destinato dal portale della
Sapienza Università di Roma al Polo Museale Sapienza, all’interno
del quale ogni museo d’Ateneo gestisce uno propria pagina per la
comunicazione di eventi, diffusi anche attraverso la mailing list
dell’Università15.
Il ruolo attivo svolto dal Museo di Storia della Medicina nel dibattito museologico-medico-scientifico internazionale è testimoniato,
infine, dal coordinamento scientifico relativo alla parte dedicata alla
museologia medica all’interno della rivista Medicina nei Secoli.
Si tratta di uno spazio editoriale di ampio respiro che permette ai
musei storico-medici di tutto il mondo di condividere informazioni,
proposte, problematiche ed aspettative inerenti la valorizzazione del
patrimonio tecnico-scientifico.
Dal museo statico al museo dinamico:
il Museo di Storia della Medicina come un nodo tra sistemi
Un confronto tra l’attuale criterio allestitivo del Museo e la versione
pazziniana del ’54, mostra chiaramente quanto quest’istituzione
sia cambiata nel tempo e conforta l’idea che i musei, così come gli
allestimenti temporanei, siano in realtà organismi vivi e mutevoli. I
musei, infatti, nel rispecchiare il corso del tempo e delle società da un
lato, e le diversità storiche, sociali e legislative esistenti tra gli Stati
dall’altro, mutano diacronicamente e sincronicamente il loro modo
di apparire e di trasmettere informazioni, conoscenze e sensazioni.
In questo divenire cambiano le scelte museologiche, museotecniche
e, quindi, i modi di comunicare. Le nuove tecnologie informatiche
permettono di modernizzare le forme di conservazione e catalogazione, le modalità di esposizione di materiali e contenuti. Si creano
quindi nuovi rapporti tra gli oggetti visibili fisicamente nel museo
27
Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
e altri appartenenti ad altre istituzioni culturali. Tale processo ha
comportato un aumento della complessità gestionale, il cui elemento
maggiormente innovativo risiede nella volontà di stimolare la cooperazione tra gli attori del settore museale sia pubblici che privati e,
ancor prima, tra le organizzazioni museali stesse, dando vita a nuove
realtà organizzative quali le reti o i poli museali a vari livelli.
In tale ambito, fondamentale è stato il ruolo svolto dal Museo di
Storia della Medicina nella istituzione del Polo Museale Sapienza
che, dopo anni di lavori e proposte, viene approvato e regolamentato
recentemente e in maniera definitiva con Decreto Rettorale, prendendo a modello una proposta presentata dalla Direzione Scientifica
del Museo di Storia della Medicina al Gruppo di lavoro per i Musei
della Sapienza16.
Il Polo Museale Sapienza trova la sua ragion d’essere nella necessità di determinare una progressiva integrazione tra i ventuno musei
universitari, al fine di ottimizzare l’uso delle risorse e di realizzare un itinerario museale multidisciplinare che, unendo i saperi e
le competenze specialistiche di discipline eterogenee, valorizzi il
patrimonio culturale dell’Ateneo. I traguardi a cui il Polo Museale
Sapienza tende nel breve e lungo termine sono: il raggiungimento
di un maggiore coordinamento tra le istituzioni museali e gli archivi
storici; la necessità di progettualità unitaria per gli sviluppi futuri
da intendersi in primo luogo come possibilità di redigere progetti di
finanziamento sopranazionali a largo spettro che coinvolgano non
più solo il singolo museo ma determinino una sinergia tra intere aree
museali d’Ateneo; la gestione unitaria dei rapporti con l’esterno e
quindi la necessità di visibilità esterna ed identità unitaria.
L’istituzionalizzazione dell’interazione tra i musei dell’Ateneo,
determinata dalla nascita del Polo Museale Sapienza, rappresenta
però solo il primo livello d’intervento a cui si auspica faccia seguito
l’impegno di ogni singolo museo nell’avanzare proposte concrete,
rivolte alla valorizzazione e alla comunicazione dei beni culturali di
28
Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
cui sono custodi. In tale direzione è da inquadrare la nuova iniziativa che vede il Museo di Storia della Medicina intervenire per la
tutela, la salvaguardia e la divulgazione delle collezioni appartenenti all’area museale bio-medica del Polo Museale Sapienza, con
impegno diretto nella redazione di progetti miranti all’ottenimento
di finanziamenti che permettano di ‘musealizzare’ le collezioni
storico-mediche presenti nella I Facoltà di Medicina e Chirurgia
della Sapienza Università di Roma17.
L’idea di potenziare il livello di approfondimento specialistico delle
tematiche mediche affrontate lungo il percorso didattico del Museo
di Storia della Medicina, unita alla necessità di salvaguardare, e
rendere fruibile al pubblico, parte del patrimonio medico-scientifico
ancora poco conosciuto della Sapienza Università di Roma, rappresentano le motivazioni di fondo della nuova proposta progettuale,
che tiene conto sia delle esigenze di un’utenza allargata (non necessariamente specialistica) sempre più interessata ad acquisire conoscenze mediche ‘di settore’; sia dalla reale possibilità di rispondere a
tali richieste coinvolgendo la I Facoltà di Medicina e Chirurgia della
Sapienza Università di Roma. A tal riguardo, è da tenere presente
che la I Facoltà di Medicina e Chirurgia della Sapienza custodisce,
all’interno dei Dipartimenti ad essa afferenti, un significativo
numero oggetti e strumenti medico-scientifici che testimoniano le
importanti fasi dell’evoluzione specialistica delle scienze mediche.
Tali oggetti, a cui è attribuibile un importante valore didatticoscientifico e storico-documentario, si raggruppano principalmente
intorno all’area della Dermatologia, dell’Urologia, Malattie infettive, Ginecologia, dell’Anatomia e dell’Oculistica. Con il progetto
proposto, il Museo di Storia della Medicina intende realizzare ed
organizzare, all’interno del proprio percorso, alcuni ‘spazi di approfondimento’ a cui fanno riferimento altrettante ‘enclavi specialistiche’, fisicamente collocate nei rispettivi Dipartimenti, interni alla
Facoltà di Medicina e Chirurgia. La natura, i materiali e la storia
29
Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
degli oggetti che si intende ‘musealizzare’ è varia, e chiaramente
discende direttamente dalla specialità medica di riferimento: essi
vanno dai modelli in cera di parti anatomiche riproducenti malattie
dermatologiche molto diffuse nel passato, a modelli anatomici didattici in cartapesta con alto valore artistico; dagli strumenti urologici di inizio XIX secolo a quelli ginecologici ed oculistici. Consci
delle difficoltà e dei tempi che la completa attuazione di tale progetto
richiede, la strada da intraprendere è di certo quella di procedere
per gradi di intervento distribuiti in un arco di tempo pluriennale:
occorre partire da una prima fase di ricognizione, recupero e inventariazione degli oggetti e strumenti medici specialistici all’interno dei Dipartimenti della Facoltà di Medicina, per poi passare
alla sistematizzazione, alla catalogazione informatica degli stessi
secondo la normativa PST (patrimonio scientifico e tecnologico)
in ambiente SiGeC, il tutto ricercando parallelamente documenti
d’archivio ad essi legati; una seconda fase di interventi comporta la
ricerca, la bonifica e l’adeguamento alle norme in materia di sicurezza degli ambienti da destinare all’esposizione (coinvolgendo
la Soprintendenza e l’ICR), a cui segue la progettazione museologica e museotecnica dell’intero sistema espositivo ruotante intorno
al Museo di Storia della Medicina; un ultimo intervento comporta
l’elaborazione di un percorso didattico unitario, di pacchetti didattici
diversificati per tematiche e tipologia di visitatore, e lo studio delle
dinamiche comunicative, comprensivo della pubblicazione di una
“guida alla visita dei musei e alle collezioni dell’area bio-medico
della Sapienza Università di Roma”, corredato di immagini, informazioni scientifiche sullo strumentario, mappe dei percorsi e collegamenti con le principali istituzioni nazionali ed internazionali di
settore. Tale guida, costituendo un progetto pilota per le altre quattro
aree museali (Area Archeologica, Arte Contemporanea, Naturalistica
e Scientifico-Tecnologica) appartenenti al Polo Museale Sapienza,
30
Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
potrebbe rappresentare, in prospettiva futura, il primo capitolo di un
volume dedicato all’intero Polo Museale Sapienza.
A tale progetto che, secondo un approccio museologico outreach,
mira ad allargare il percorso museale invitando il visitatore a recarsi
presso strutture esterne al Museo di Storia della Medicina, al fine di
ottenere un livello di approfondimento scientifico più esaustivo, si
aggiungono, in maniera complementare, le numerose iniziative che
tendono ad ‘importare’ all’interno delle strutture del Museo alcune
attività solitamente svolte altrove18. Tra le tante iniziative si ricordano i laboratori didattici interattivi temporaneamente allestiti in
occasione di eventi scientifici o concordati con gli Istituti Secondari
per finalità didattiche e di orientamento per gli studenti che, di lì
a poco, si accingono a scegliere il corso di studi universitario da
intraprendere. In questi ultimi giorni, ad esempio, in occasione
della XIX settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica, evento
predisposto con cadenza annuale dal MIUR, il Museo di Storia della
Medicina ha organizzato due giornate dedicate all’analisi e all’applicazione delle metodologie di estrazione del DNA antico e moderno:
la prima, “interagire col passato: la paleopatologia e le recenti metodologie di estrazione del DNA da reperti biologici antichi”, in cui
partendo dalla sezione del museo dedicata alla paleopatologia, i visitatori sono condotti presso i laboratori del Dipartimento di Medicina
Sperimentale, all’interno del Policlinico Umberto I, per imparare a
riconoscere i ‘segni antichi’ delle malattie, attraverso l’utilizzo delle
più recenti tecniche diagnostiche del settore; la seconda, “interagire col presente: il Museo di Storia della Medicina come laboratorio didattico per l’estrazione del DNA”, in cui la visita al museo di
Storia della Medicina si conclude con il coinvolgimento diretto degli
studenti, grazie all’intervento di un esperto di medicina molecolare
che guida alcuni di essi all’utilizzo di tutti gli strumenti necessari per
l’estrazione del DNA.
31
Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
L’organizzazione di eventi scientifici d’attualità miranti al diretto
coinvolgimento dei visitatori implica, chiaramente, per il Museo di
Storia della Medicina, la reale possibilità di disporre di ‘spazi dinamici’ da destinare a tematiche ed utenti che cambiano nel tempo.
Per tale ragione, oltre alla già esistente sezione dinamica dedicata
all’applicazione delle nuove tecnologie bio-mediche, dotata di
espositori e punti video ‘rivisitabili’, è in fase di progettazione una
nuova area, interna al secondo piano, esclusivamente dedicata all’allestimento di mostre temporanee, ad exhibit e ad esperienze hands
on. Si prevede infatti che l’area in questione, attraverso l’esposizione temporanea di oggetti, libri, video e materiale interattivo di
natura storico-medica, sia antico che tecnologico, sia di proprietà
della Sezione di Storia della Medicina che richiesto in prestito ad
altre istituzioni culturali, possa rappresentare un ulteriore elemento
di approfondimento per convegni, iniziative ed eventi. Inoltre, tale
sezione, dotata di espositori, illuminazione e punti video modulabili
ed adattabili alle mutevoli necessità di allestimento che si presentano in itinere, potrebbe anche costituire una buona occasione per
favorire un primo livello d’interazione tra i musei, e quindi tra il
personale ad essi addetto, del neonato Polo Museale Sapienza. Ma
in questo caso, affinché ciò diventi realisticamente realizzabile,
sarebbe auspicabile che ogni museo del sistema Sapienza contemplasse uno spazio dinamico specifico, da destinare alle mostre
temporanee e all’interazione con gli altri musei. Ad esempio, ogni
museo potrebbe esporre, oltre ai propri, anche oggetti, video e testi
scritti appartenenti ad altri musei del sistema, in modo da permettere un’apertura multidisciplinare verso la tematica affrontata. In tal
modo ogni museo, oltre a diventare un potenziale link per gli altri
(promozione reciproca), svolgerebbe una parte attiva nell’iniziale
processo di promozione del sistema museale della Sapienza (promozione di un’identità unitaria).
32
Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
Un’auspicata apertura
Tutto quanto realizzato o auspicato per il Museo di Storia della
Medicina e, in prospettiva più ampia, per i musei della Sapienza
Università di Roma ha come scopo ultimo (da raggiungere nel
tempo), quello di avviare un nuovo corso per i musei universitari,
ancora purtroppo poco conosciuti perché spesso superficialmente
legati ad un’idea di museo ‘chiuso’ e per esperti del settore. Invertire
tale tendenza o l’opinione che di essa si ha, significa rendere tali istituzioni realmente attive nello scenario dell’offerta culturale internazionale. Il perseguimento di tale risultato rappresenta la sfida che gran
parte dei musei universitari italiani intraprende già da qualche anno,
e per la quale occorre ‘aprirsi’ e condividere saperi scientifici, cultura
materiale e problematiche del singolo verso l’esterno: l’istituzionalizzazione di una community interuniversitaria dei poli museali rappresenterebbe sicuramente una solida base su cui far leva per garantire e
esaltare le diversità sociali, storico-politiche, didattico-scientifiche e
museologiche delle ‘cellule’ di cui si compone; allineare e confrontare le scelte in materia di tutela, conservazione, valorizzazione e
promozione dei beni culturali; contestualizzare il messaggio culturale
del singolo, nel più ampio panorama museologico che unisce trasversalmente le arti e i saperi dell’uomo. Appartenere al gruppo dei musei
universitari diventerebbe quindi segno distintivo di eccellenza e di
elevati standard qualitativi e gestionali.
bibliografia e note
1. Per maggiori approfondimenti sulle vicende legate alla nascita dell’Istituto,
del Museo di Storia della Medicina e alla figura del suo fondatore, Adalberto
Pazzini, cfr. CONFORTI M., Adalberto Pazzini e le origini dell’Istituto di
Storia della Medicina. Medicina nei Secoli 2006; 18. 1: 297-312.
2. VITI G. M., Evan Gorga e le sue grandi collezioni, Roma, Stabilimento
Tipografico Editoriale Romano “S.P.E.” 1926, p.11.
33
Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi
3. Per maggiori dettagli sull’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 cfr.
Esposizione Internazionale di Roma 1911, Guida Generale delle Mostre
Retrospettive in Castel Sant’Angelo. Bergamo, Istituto Italiano d’Arti
Grafiche, 1911
4. VITI G. M., Evan Gorga, op. cit., p.20.
5. Cfr. STROPPIANA L., Un po’ di storia a mo’ d’introduzione. In: Il Museo
Documentario nel giudizio di competenti italiani e stranieri. Roma, Istituto
di Storia della Medicina, 1960, pp. 3-10
6. Archivio Pazzini, pro memoria sulla costituzione di un Istituto. Roma, Istituto
di Storia della Medicina.
7. Cfr. PAZZINI A., L’istituto di Storia della Medicina della R. Università di
Roma. Quaderni Italiani; serie VIII. Roma, I.R.C.E., 1943, p. 3.
8. Parte del materiale cinematografico realizzato dal Professor Pazzini è stato riversato recentemente su supporto digitale. Attualmente è possibile visionare i
contribuiti filmici presso la Sezione di Storia della Medicina. Sull’argomento cfr.
ARUTA A., DE ANGELIS E., L’archivio e la videoteca della Sezione di Storia
della Medicina dell’Università di Roma. Medicina nei Secoli 2006; 18.1: 269-280
9. Per quanto riguarda il modelli museologici a cui Adalberto Pazzini fa riferimento nell’allestimento del Museo di Storia della Medicina cfr. ARUTA A.,
Le collezioni museali come fonti per la ricerca storico-medica: un caso italiano. In: MOTTA G. (a cura di), In bona salute de animo e de corpo. Milano,
Franco Angeli, 2007, pp. 262-272.
10. Per una accurata e fedele ricostruzione dell’ambiente museale si rimanda a
PAZZINI A. Il museo. Roma, Arti grafiche Cossidente, 1958.
11. La nascita dell’etnografia, gli studi sulle tradizioni popolari e sul primitivismo, caratterizzanti lo scenario antropologico europeo tra Otto e Novecento
hanno di certo influenzato le scelte adottate da Pazzini nella strutturazione
del Museo. Sull’argomento cfr. PUCCINI S., L’Itala gente dalle molte vite.
Lamberto Loria e la Mostra di Etnografia italiana del 1911. Roma, Maltemi,
2005; ARUTA A., Un’‘idea’ di museo: la nascita del Museo di Storia della
Medicina dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Medicina nei
Secoli, 2007; 19,3: 833-849.
12. Cfr. ARUTA A., DE ANGELIS E., L’archivio, op. cit. nota 8,
13. La legge 6/2000 per la diffusione della cultura scientifica, permette la redazione di progetti annuali volti alla promozione di attività museologiche,
all’organizzazione di eventi, seminari, mostre temporanee e visite guidate
tematiche per le scolaresche e gruppi di studio, all’interno del Museo e, in
generale, delle Istituzioni Culturali che ne fanno richiesta.
34
Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma
14. Per maggiori approfondimenti sulla recente rivisitazione degli allestimenti e sull’attuale percorso didattico del Museo di Storia della Medicina cfr.
MARINOZZI S., ARUTA A., Un percorso museale per la storia della medicina. Medicina nei Secoli 2005; 17, 3: 823-836.
15. Cfr. l’indirizzo web http://www.uniroma1.it/musei/indexmusei2.asp
16. Per un approfondimento sulla natura e sulle vicende che hanno portato
all’istituzione del Polo Museale Sapienza cfr. ARUTA A., Nuovi obiettivi per
i musei della Sapienza Università di Roma. Medicina nei Secoli, 2008; 20,1:
351-380.
17. Il Polo Museale Sapienza è attualmente articolato in cinque aree di coordinamento museale. Per maggiori dettagli cfr. ARUTA A., Nuovi obiettivi, op.
cit. nota 16.
18. Sugli approcci museologici outreach e inreach cfr. CORSANE G., DAVIS
P., ELLIOT S., Liberating museum action and heritage management through
‘inreach’: Could a democratic curating process model based on ecomuseology be implemented in Turkey. Documento presentato alla Terza Conferenza
Internazionale degli Ecomusei e dei Musei Comunitari, Rio de Janeiro, 13-17
September 2004.
Correspondence shoul be addressed to:
Alessandro Aruta, Silvia Marinozzi, Sezione di Storia della Medicina, Dipartimento di Medicina Sperimentale, “Sapienza” Università di Roma, Viale dell’Università 34\a – 00185 Roma , Italia.
35
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 37-56
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
FRAGONARD’S ECORCHÉS IN THE CONTEXT OF A NEW
PROJECT FOR A HISTORICAL MUSEUM OF VETERINARY
MEDICINE
Christophe Degueurce*
Jonathan Simon**,
*Directeur du Musée de l’Ecole vétérinaire d’Alfort, F.
**Maître de conférences, LEPS, Université de Lyon, F.
SUMMARY
This article presents a brief history of the collection held at the National
veterinary school in Maisons Alfort, France. We consider the place of
Fragonard’s anatomical preparations with particular attention, but also
try to understand the evolution of the whole collection from its origins
in the Enlightenment to the twenty-first century. We discuss the recent
museological choices made by the museum’s current director. In particular,
we contextualize the idea of presenting the museum close to the form it took
a century ago. We also present the current research and teaching associated
with the museum, underlining its integration into the veterinary school.
Introduction
In the autumn of 2007, the Musée Fragonard closed its doors to the
public to undergo a long and costly renovation. In the end, this will
mark the definitive closure of the museum under this name because
when it re-opens in September 2008 it will no longer be the Musée
Fragonard but the Museum of the Maisons-Alfort Veterinary School
(MévA, Musée de l’Ecole Vétérinaire de Maisons Alfort). While the
collection of objects presented to the public will remain substantially
Key words: History – Museum – Medicine - Veterinary science
37
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 57-74
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
The Medical Collections at the
University of Glasgow
Maggie Reilly and Stuart W. McDonald*
Curator of the Zoology Museum, Graham Kerr Building, Faculty of Biomedical
and Life Sciences, University of Glasgow, Scotland, UK.
*
Senior Lecturer in Anatomy, Laboratory of Human Anatomy, Faculty of Biomedical and Life Sciences, University of Glasgow, Scotland, UK.
Summary
The medical and other collections in the University of Glasgow have at
their core the generous bequest of Dr William Hunter (1718 – 1783), a
local man who rose to become an internationally renowned anatomist and
obstetrician. The University does not have a medical museum as such but
an Anatomy Museum, a Zoology Museum, a Pathology Collection, medical
displays in the main halls of the Hunterian Museum in the Gilbert Scott
Building and a rich collection of antiquarian medical books and archives
as well as contemporary libraries. The Hunterian Collection, since its
inauguration at the University of Glasgow in 1807, has engendered a spirit
of diversity and scholarship that embraces many disciplines across the
campus. The Hunterian Museum was the first public museum in Scotland
and service to the local, national and international communities and
response to their academic needs is very much at heart of its function today.
Introduction
The medical collections in the University of Glasgow, broadly
described, comprise tissue specimens, instruments and equipment,
personalia, teaching models, fine books, and archives. Much of this
material is part of the Hunterian Museum and Art Gallery or in the care
of the Department of Special Collections at the Glasgow University
Key words: William Hunter - Hunterian Museum – Glasgow - Medical collections
57
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 75-90
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
BASQUE MUSEUM OF THE HISTORY OF MEDICINE:
CONSERVATION OF HERITAGE, TEACHING AND
RESEARCH
ANTON ERKOREKA
Medikuntza Historiako Museoa, Bilbao, E
SUMMARY
The Basque Museum of the History of Medicine was founded in 1982
to preserve the historic memory of medicine in the Basque Country and
conserve its scientific heritage. Its permanent exposition comprises
approx. 6,000 medical objects of the 19th and 20th centuries arranged,
thematically in 24 rooms devoted to different medical specialities: folk
medicine, unconventional medicine, pharmacy, weights and measures,
asepsis and antisepsis, microscopes, laboratory material, X-rays,
obstetrics and gynaecology, surgery, anesthesia, endoscope, odontology,
cardiology, ophthalmology, electrotherapy, pathological anatomy and
natural sciences. Temporary exhibitions are also held. The Museum is
located on the university campus (UPV/EHU) and is important in the
training of students in the Faculty of Medicine and the students coming
from other faculties. Teaching and research constitute two of the pillars of
the Museum that are complemented with publications and the organization
of conferences, lectures and other activities.
The Basque Country did not have a University of its own until very
recent times. In the Middle Ages, young men who wanted to study a
university career went either to Salamanca or Montpellier. Over the last
centuries their universities of choice have been Salamanca, Valladolid,
Alcala de Henares, Madrid, Zaragoza, Paris, Bordeaux or Toulouse.
Key words: Medical Museums – History of Medicine – 19th and 20th Centuries Basque Country.
75
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 91-115
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
for an interdisciplinary museology.
the particular case of anatomical waxes
Chloé Pirson
Chargée de recherche au FNRS - Fonds National de la Recherche Scientifique /
Musée de la médecine, Bruxelles
Summary
Nowadays, the anatomical models in three dimensions are often showed
in Museums devoted to the history of Medicine. Due to their historical
importance and the major role they played as scientific education tool, they
are essentials to understand the heritage of the anatomical knowledge.
Historically, within all materials used to cast the body, wax has been the
most frequently used, so that the ceroplastical collection has become a part
of the medical education before leading to a general public pedagogy.
This paper has a double purpose. In one hand, it aims to survey the formal
evolution and the uses of this production, from his creation on, in the other,
to study this cultural heritage within the museology issue.
1. Introduction
Les représentations anatomiques tridimensionnelles sont aujourd’hui
très largement présentées dans les musées consacrés à l’histoire de
la médecine. Leur importance et le rôle qu’elles ont joué en terme
de pédagogie scientifique les placent en tant que référents incontournables à la compréhension des étapes marquantes de la transmission
du savoir anatomique.
De tous les matériaux expérimentés pour la modélisation de répliques
de corps, la cire est historiquement le médium le plus usuellement
Key words: Museology - Anatomical waxes - Interdisciplinary
91
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 117-140
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
Tracing life: The history, concept and goals
of the new permanent exhibition in the Berlin
Museum of Medical History at the Charité
Thomas Schnalke
Director of the Berlin Museum of Medical History at the Charité, D.
SUMMARY
The Berlin Museum of Medical History at the Charité has been in existence
since 1998. The institution aims to showcase medicine, yet it wants to show not
only what medicine is but also and especially, how medicine came to be what
it represents today. In its new permanent exhibition, opened on 25 October
2007, the museum takes a look at the development of medicine from a western,
natural historical and scientific perspective over the last three centuries.
By using the exhibition title “Tracing Life”, The Berlin Museum of
Medical History at the Charité makes a conscious connection to a
scientific approach of one of modern medicine’s founders, the Berlin
physician, scientist and politician Rudolf Virchow (1821-1902)
espoused as a guiding principle1. As a pathologist, Virchow worked
exclusively and explicitly on and with the bodies of dead human
beings. Through his dissections and his macroscopic and microscopic studies, however, his research aimed at looking back at life
to determine the course of diseases and also to find more precisely
where the strength for resistance lay in the living human organism.
He thus arrived at a unique analogy2: as a Prussian civil servant and a
citizen predisposed to a republican form of government, he demanded
during the Revolution of 1848 a democratic government formed as
Key words: Medical Collection – Museological Conception and planes
117
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 141-171
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
THE ANATOMICAL COLLECTION OF THE CATALAN
MUSEUM OF THE HISTORY OF MEDICINE IN BARCELONA
Alfons Zarzoso
Museu d’Història de la Medicina de Catalunya, S.
Summary
This paper deals with the anatomical collection of the Catalan Museum
of the History of Medicine. It situates the origins of this collection in the
institutions historically created for the teaching and training of surgeons
and physicians in the city of Barcelona. Thus, it is analysed a period
that started at the Royal College of Surgeons founded in 1760 and that
continued at the restored Medical Faculty in the University of Barcelona at
mid-nineteenth-century.
1. Introduction
An extraordinary, well-preserved and beautiful anatomical Venus
was recently donated to the Catalan Museum of the History of
Medicine in Barcelona (Fig. 1). Such a wonderful piece of medical
art was accompanied by some fifty anatomical models, representing
a variety of normal and pathological human anatomies, executed in
various materials between the middle of the nineteenth century and
the first third of the twentieth century. This outstanding donation
came from the Faculty of Medicine of Barcelona University1.
This was not the first time that the Department of Anatomy and
Embryology of the Barcelona Medical Faculty had enriched the
museum collection with material that originally was acquired or
elaborated to improve and complement the teaching of anatomy on
Key words: Anatomical collection - Medical museum - Teaching institutions
141
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 173-182
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
Education in the Attic: an insight into the
educational services of
The Old Operating Theatre Museum and Herb
Garret,
London Bridge
Stevie Edge
The Old Operating Theatre Museum and Herb Garret, London Bridge (UK)
SUMMARY
Hidden for almost a century in the attic of St Thomas’ Church the oldest
operating theatre in Britain is now part of a museum. This precious
building now houses a collection of pre-anaesthetic tools, items relating
to medicine in the home and various Apothecary displays. The museum
aims to preserve the theatre and items relating to medicine, in order to
contribute to the understanding of the development of medical knowledge,
with particular reference to St Thomas’ hospital. An independent museum
with a long history of educational provision: this article explores some of
the education services of The Old Operating Theatre Museum and Herb
Garret at London Bridge.
Originally part of The Priory of St. Mary the Virgin, St Thomas’
Hospital in Lambeth is one of the oldest medical organisations in the
world1. Now overlooked by the famous London Eye it can trace its
heritage back to Southwark and the 12th century2. The hospital has
been significant in its contribution to the development of medical
education and in the attic of the Church of Old St Thomas’ Hospital;
The Old Operating Theatre Museum and Herb Garret strives to
continue the precedents it set for education.
Key words: Anatomical collection - Medical museum - Teaching institutions
173
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 183-200
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
THE NATIONAL MUSEUM OF MEDICINE
OF UKRAINE AS A SCIENTIFIC-EDUCATIONAL CENTRE
SERHIY MYKHAYLYCHENKO
The National museum of medicine of Ukraine, Kyiv, UA
SUMMARY
The popularity of museums in Ukraine has been growing in recent
times. This is due to the socio-economical changes in the country, to the
increasing cultural and general educational level of the people, to interest
in history and historical memories. Moreover, it is an aspiration for a
great number of people to use information with the help of direct contact
with their origins. The main idea of the article is to describe the central
forms of scientific-research and cultural-educational work at the National
Museum of Medicine of Ukraine, its characteristics as a social institution,
the influence of medical collections and expositions on the consciousness
of people, the analysis of conceptual approaches in the effective work of a
museum with a great number of visitors.
Introduction
A museum is an amazing creation of human mentality, a treasurehouse of great acquisitions of national documents and spiritual
culture. Its mission is helping to analyze contemporary reality
through the past, in order to influence both mentality and memory1.
Historico-medical museums must deal with history as with a page
of the cultural history of a country, not simply as the description of
scattered medical topics or facts of a doctor’s life. In the history of
culture the medical museums play a considerable role. Lots of great
scientists worked in the field of medicine, and their achievements
Key words: History of medical collections - Educational tools - Conservation
183
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 201-214
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
Education Through Experience. Telling the
Story of Medicine at the Thackray medical
Museum/Leeds
Almut Grüner
CEO, Thackray Medical Museum, Leeds, UK
SUMMARY
Medical Museums can make substantial contributions to the cultural and
social well-being of their audiences. The Thackray Medical Museum in
Leeds continues to develop a wide range of educational activities that
aim not only to educate the public about medical history and science
research, but also to address issues that are at the heart of society today.
Almut Grüner, CEO of the Thackray Museum, makes the case for medical
museums to use their collections and their knowledge to make a difference
in people’s lives.
Introduction
The Museum was a fantastic eye opener, it was very interesting, beautifully
presented – very enjoyable, fantastic experience.
(Visitor to Thackray Medical Museum, 17 November 2008)
Opened to the public in 1997, the Thackray Museum has one of the
largest and broadest medical collections in the UK. In its short life
so far, it has achieved a series of prestigious awards, including the
Sandford Award for Museum Education and the Visitor Attraction of
the Year Award. It was shortlisted for the European Museum of the
Key words: Medical History - Medical Museology - Thackray Museum
201
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 215-243
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
EMERGENCE AND DEVOPMENT OF THE
PAULS STRADIŅŠ MUSEUM OF THE HISTORY OF
MEDICINE IN RĪGA
JURIS SALAKS
Paula Stradiņa Medicīnas vēstures muzejs. Rīga, Latvija
SUMMARY
This paper reviews the establishment, development and present day of the
Pauls Stradiņš Museum of the History of Medicine in Rīga, Latvia. The
museum initially represented the hopes of one very excited enthusiast, and
what was decisive was that he was able to fill the vacuum of knowledge
and information, expand on it, and legalise it as an institution protected
by the state. No less important, however, has been the approach taken by
government structures and the public at large in support of Pauls Stradiņš’
hopes. This comparatively liberal approach toward what could be seen as
a private museum can be attributed to the fact that health care had been
declared a priority in the Soviet Union at that time, and in ideological terms,
the history of medicine was a fairly neutral issue. The museum celebrated
its 50th anniversary in 2007. This paper reviews the basic functions and
structures of the museum, as well as the changes which have occurred in
the complex era of the 20th century. Some areas of activity are reviewed in
greater detail, and there are statistics to offer a look at the museum today.
The Concept and Origins of the Museum
The Museum of the History of Medicine initially was not a properly organised and carefully considered presentation of the history
of medicine. Instead, it represented the interests and passions of a
single gentleman over the course of many decades. That was Dr Pauls
Key words: Latvia- Museums- Collections- History of medicine
215
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 245-254
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
IL Museo di storia della medicina e della
farmacia dell’Università di medicina di Kaunas
Tauras Antanas Mekas
Museo di Storia della Medicina e della farmacia.
Università di Medicina di Kaunas, Lituania
SUMMARY
THE Museum of the History of Lithuanian
Pharmacy and Medicine
The exposition of Kaunas University of Medicine Museum of the History of
Lithuanian Pharmacy and Medicine is arranged in a manner that allows
the visitor to travel a century back in time as he enters an old pharmacy and
physicians’ offices. The Museum is a place where students learn the history
of their specialty by handling old instruments and being in an authentic
environment. By participating in live archeology festivals, the employees
of the Museum arouse interest in the ancient medicine even among people
who previously were not interested in museums at all. Many of such people
will eventually become visitors of the Museum.
Il Museo di storia della medicina e della farmacia dell’Università di
medicina di Kaunas è stato aperto nell’anno 1987, dopo l’unione dei
due musei – il Museo della farmacia di Lituania ed il Museo dell’Istituto della medicina di Kaunas. Il nuovo museo venne aperto nel
cinquecentesco edificio restaurato, in piazza Rotuses, a Kaunas.
La collezione storica della farmacia ha avuto il ruolo più importante nella nascita del museo. La raccolta della collezione ha avuto
Key words: Museum - History of medicine - History of pharmacy
245
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 255-275
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
EDUCATING STUDENTS IN A UNIVERSITY MUSEUM
ENVIRONMENT:
THE ADLER MUSEUM OF MEDICINE, FACULTY
OF HEALTH SCIENCES, UNIVERSITY OF THE
WITWATERSRAND, JOHANNESBURG
Rochelle Keene
Curator, Adler Museum of Medicine, Faculty of Health Sciences, University of
the Witwatersrand, Johannesburg
SUMMARY
Museums are now very much part of the mainstream of education and are
no longer regarded as peripheral to education. They increasingly serve in
South Africa as formal partners in education at primary and secondary
level. University museums particularly have a formal role to play in tertiary
education, with most university collections having been established to further
the teaching of a faculty or school.
The Adler Museum of Medicine plays an important educational role within
the Faculty of Health Sciences at the University of the Witwatersrand,
Johannesburg (Wits) and is also increasingly used by schools. As the
curricula for South African schools were changed after the first democratic
election in 1994, and outcome-based education implemented in this
country, more and more educators established contact with museums in
particular learning areas of the curricula. In South Africa, there are three
areas of the school syllabi which this particular Museum can directly
address: great discoveries, technological advances and traditional healing
and indigenous knowledge.
Key words: Museums – Education – Exhibitions - Programmes
255
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 277-300
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
EDUCATION AT THE DITTRICK MUSEUM OF MEDICAL
HISTORY, CASE WESTERN RESERVE UNIVERSITY,
CLEVELAND, OHIO, USA
James M. Edmonson
Dittrick Museum of Medical History, College of Arts and Sciences, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA
SUMMARY
The Dittrick Museum of Medical History pursues an educational mission as
being part of a major research university. While the Dittrick dates to 1899
as a historical committee of the Cleveland Medical Library Association, it
first affiliated with Case Western Reserve University in 1966, and became
a department of the College of Arts and Sciences of CWRU in 1998. The
Dittrick maintains a museum exhibition gallery that is open to the public
free of charge, and museum staff provide guided tours on appointment.
Much of the teaching and instruction at the Dittrick is conducted by
university professors; their classes meet in the museum and use museum
resources in the form of artifacts, images, archives, and rare books. Class
projects using Dittrick collections may take the form of research papers,
exhibitions, and online presentations. Dittrick staff assist in these classes
and are available to help researchers use museum resources.
Introduction
Situated within a university setting, the Dittrick Museum of Medical
History is today thoroughly integrated into the intellectual life and
learning experience of Case Western Reserve University (CWRU). It
hasn’t always been so. Despite being located on a university campus,
the Dittrick was originally part of a separate body, the Cleveland
Key words: Museums – Education – Exhibitions - Programmes
277
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 301-319
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
The Museum of Health Care at Kingston: its Role
in the Preservation
of the Legacy of Health Care in Canada
James A. Low
Executive Director, Museum of Health Care at Kingston; Professor, Department
of Obstetrics and Gynaecology, Queen’s University
SUMMARY
Beginning in the 16th century, museums were an important resource for
medical education. By the mid 20th century, however, the perceived
educational value of museum collections declined and museums adopted
the strategy of turning collections into publicly accessible medical history.
The Museum of Health Care at Kingston, governed by a Board of Directors,
began in 1991. The collection reflective of health care in Canada is
available as a research resource through the Museum website and Artefacts
Canada. The Museum communicates the history and science of health and
health care as it has occurred in Canada to the general public by means
of special events, exhibits and educational programs. The outstanding
challenge for the Museum, as a not-for-profit institution, is to meet the
increasing demands of the annual operating budget and to establish an
Endowment Fund to assure long-term financial stability of the Museum.
Many of the first museums of Western society were cabinets of curiousities. Those developed by princely and wealthy families gathered and
studied natural history. Canada, a young society, did not develop this
tradition although small collections were developed in larger centers.
The use of museums for medical education began in the 16th Century.
In Italy, many Italian scholars adopted an order of arrangement
Key words: Museum - Ann Baillie Building – Collection - Public programs
301
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 321-336
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
Western Medicine in a Chinese Cultural Setting
Faith Chi Suk Ho
Director of Hong Kong Museum of Medical Sciences Society, Hong Kong
SUMMARY
Hong Kong’s unique medical heritage stems from its development as a city
with a predominantly Chinese population and a long history of exposure
to the influence of Western cultural and scientific ideas and practices.
This heritage is preserved and displayed in the Hong Kong Museum of
Medical Sciences, where exhibits of both Traditional Chinese Medicine
and Western medicine, particularly those aspects with special relevance
to Hong Kong, are featured. This paper also describes the significance of
the plague outbreak of 1894 in shaping Hong Kong’s medical history, and
in bringing about the existence of the building which houses the museum,
a 100 year-old protected monument originally named the Bacteriological
Institute. The museum’s role in society, by providing programmes on health
and heritage for the public’s education and enjoyment, and the need to
preserve and identify both tangible and intangible aspects of our cultural
heritage is also briefly explored.
Introduction: Hong Kong’s unique Medical Heritage
When British troops, with British merchants close on their heels,
first landed in Hong Kong in 1841 to claim the island as their own,
few would have anticipated the development of ‘this barren rock’
into its present-day position as “Asia’s World City”.
The coexistence, and especially, intermingling of two peoples with
radically different cultures on the same piece of Chinese soil had
been strenuously resisted by the imperial rulers of the Ching Dynasty
Key words: Medical Museum – Education – Exhibits - Health and disease Intangible Cultural heritage - Traditional Chinese medicine
321
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 337-351
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
DISPENSING HISTORY, ART AND MYSTERY IN THE
MEDICAL HISTORY MUSEUM OF UNIVERSITY OF
MELBOURNE
Ann Brothers
University of Melbourne, Victoria, Australia
SUMMARY
The installation of an 1849 Savory & Moore Pharmacy has been a popular
attraction for visitors, yet under-utilised in the Museum as a means through
which a deeper understanding of the making and taking of medication
could be told. The opportunity to research and present these stories to
a wider field of viewers in an online multimedia production is discussed
here, and is set within the context of the challenges met by the Museum in
terms of its relevance and sustainability within a University focused on the
future as a graduate University. Under the radical reform of its curriculum,
funding and students are more likely to be attracted to medical science than
medical history, unless new questions are put to historical items and ways
sought to draw on the curiosity and imagination of students who might
gain a greater breadth of knowledge by learning through engagement with
original objects.
Introduction
In the early months of 1971, one hundred and seventy six pallets of Late
Regency cabinetry comprising the shop fittings of a London branch of
the Savory & Moore Pharmacy arrived at the University of Melbourne
Medical History Museum (MHM). How and why this small nineteenth-century pharmacy found its way across the globe to be installed
in the Museum, have been questions frequently asked by visitors – now
Key words: Pharmaceutical History - Museums in Universities - Multimedia
Interpretation
337
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 353-366
Journal of History of Medicine
Articoli/Articles
A JOURNEY THROUGH THE SKILL OF HEALING AT THE
HISTORICAL MUSEUM OF THE “HOSPITAL NACIONAL DE
CLÍNICAS DE CÓRDOBA – ARGENTINA”
Norma Acerbi Cremades
Museo Historia “Hospital Nacional de Clínicas” - Facultad de Ciencias Médicas
Universidad Nacional de Córdoba
SUMMARY
The Museum of History “Hospital Nacional de Clínicas”, from the
National University of Cordoba, República Argentina, it’s charged with the
knowledge continuity of the Health Science, in time and space.
Its guiding motto says:
“I’ll be a shield to stop the wind that wants to erase the imprint of men that
shaped the history of the School of Medical Sciences by their work.”
To accomplish the tasks, general and particular objectives were settled. The
Museum has a Library divided in three sections: Classical, Contemporary
and Virtual. It counts with a specialized Information and Documentation
Centre. Courses about different topics are given as well as the course of
History of Medicine for Grade and post grade careers, completing with
humanistic contents, the students education exclusively scientific and
technical. For high school and Bachelor students there is a program called:
“Education – Apprenticeship strategies at the Museum”. These strategies
are arranged to fit the programmes and levels of formal education for
educational institutions.
The heritage of the Museum consists of more than a thousand apparatus and
tools that served the research and instruction at the different professorships
of the School of Medical Sciences. Many of them obsolete they allow us to
understand the evolution of science and technique, within the broad field of
Health Science, since the creation of the School of Medical Sciences in 1877.
Key words: Pharmaceutical History - Museums in Universities - Multimedia
Interpretation
353
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 367-385
Journal of History of Medicine
Note/Notes
CARL WILHELM SCHEELE - HIS LIFE AND SCIENTIFIC
ACHIEVEMENTS
Stig Ekströ
Medical Historical Museum in Uppsala
Uppsala - Sweden
Summary
Carl Wilhelm Scheele must be regarded as one of Sweden greatest chemists.
He was born in 1742 in Stralsund, where he grew up in a family well-known
in northern Germany since the 15th century. He chose the pharmaceutical
profession early and was only 15 years old when he left his home town for
educational studies at the Unicorn pharmacy in Gothenburg in Sweden.
The apothecary there, Martin Andreas Bauch, was a native of Mecklenburg
with good relations to the Scheele family. Scheele came to stay in Sweden
for the rest of his life and since 1775 he worked as an apothecary in the
small town of Köping.
In Sweden Scheele established a close friendship with Torbern Bergman,
in his time one of the most leading chemists, and the friendship was a
prerequisite for Scheele’s breakthrough as a scientific writer. His first paper
was published in 1771 and was followed by another thirty publications.
Scheele’s major work was “ Chemische Abhandlung von der Luft und
Feuer”, where he describes the discovery of oxygen. Scheele remained a
pharmacist and was working most of his time as an apothecary in Köping.
However, he became early accepted as a scientist with an internationally
good reputation. He was elected as a member of several academic societies.
During his life he discovered seven elements – more than any other chemist
has detected - and most of his about 20.000 laboratory notes have still not
been examined. He died only 43 years old. He is buried in Köping. On his
gravestone we can admire a statue of a torch-carrying genius.
Key words: Carl Wilhelm Scheele
367
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 387-401
Journal of History of Medicine
Note/Notes
PARATHYROID HISTORY AND THE UPPSALA ANATOMIST
IVAR SANDSTRÖM
Henry Johansson
Department of Surgery, University Hospital,
and the Medical Historical Museum in Uppsala, Uppsala, Sweden
Summary
The parathyroid gland was first recognized in 1850 by Richard Owen
during a dissection of an Indian rhinoceros at the London Zoo. The credit
for the discovery of the parathyroid has, however, been given to the Uppsala
anatomist Ivar Sandström, who was the first to demonstrate the gland in
man. His dissection studies were undertaken between 1877 and 1880, when
he still was a medical student in Uppsala. Sandström’s detailed anatomical
and histological studies of the parathyroid gland were published in a
Swedish journal, “Upsala Läkareförenings förhandlingar”, in 1880.
Ivar Sandström, the man behind the discovery of the parathyroid gland,
often called the last anatomical discovery, was a disharmonious person with
psychiatric problems and he committed suicide in 1889 at the age of 37 years.
Decades later Sandström’s findings turned out to be of considerable physiological and clinical importance, when the glands were
realized to be crucially involved in calcium regulation and calcium
regulatory disorders. The association between a hyperfunctioning
parathyroid gland and the bone disease “osteitis fibrosa cystica”,
Rechlinghausen’s disease, was suggested in 1915. By that the idea
of surgical intervention was planted and in 1925 the first parathyroidectomy was performed when Felix Mandl in Vienna removed a
parathyroid tumor in a 38-year-old trolley conducter suffering from
Key words: Parathyroid history
387
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 403-428
Journal of History of Medicine
Museologia medica/Medical museology
Dalla suffusio al cristallino:
storia della cataratta attraverso
gli strumenti del Museo di Storia della
Medicina della “sapienza” Università di Roma
Alessandro Aruta*, Marco Marenco** e Silvia Marinozzi***
*Museo di Storia della Medicina, “Sapienza” Università di Roma, I
** Dip. Di Scienze Oftalmologiche, “Sapienza” Università di Roma, I
*** Sezione di Storia della Medicina, “Sapienza” Università di Roma, I
Summary
History of cataract surgery
By analysis of ancient surgical instruments it’s possible define the history of
medical specialties, and acquaint the evolutions of specific surgical techniques
and operations through the centuries. The aim of the article is to reconstruct
the history of the conception of cataracts, of theories and pathological
interpretations in different eras, through the descriptions of surgical instruments
and methodologies found in medical texts and the analysis of the artefacts
kept in the Museum of History of Medicine of Rome.
Il Museo di Storia della Medicina possiede importanti reperti della
specialità oculistica, che possono illustrare l’evoluzione della disciplina, e di specifiche tecniche terapeutiche e chirurgiche, tra cui l’intervento e la terapia della cataratta.
La maggior parte degli aghi e delle cassette per l’operazione della
cataratta sono databili tra il XVII e XIX secolo, e provengono dalle
collezioni Gorga e Neuschuller, cui si aggiunge la recente collezione
Angeletti con alcuni strumenti oculistici donati da G. Scuderi.
Key words: Cataract - Surgical ophthalmological instruments - Museum of
History of Medicine of Rome
403
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
Le prime testimonianze della cura della cataratta si trovano nei papiri
medici egiziani, in cui particolare attenzione viene data alle patologie oculari, probabilmente diffuse e variegate per quelle condizioni ambientali tipiche delle zone desertiche dove sole e sabbie
giocano un ruolo rilevante nelle affezioni degli occhi. Il famoso
papiro di Ebers riporta oltre un centinaio di ricette, e quindi una
fornita casistica, inerenti le patologie oculari, tra cui quattro per la
cataratta. L’opacizzazione del cristallino viene interpretata come un
eccesso di acquosità nell’occhio, curata con pozioni medicamentose,
spesso anche di matrice magico-popolare, a base di estratti di piante,
minerali ed animali, la più frequente delle quali è la crisocolla1, ma
soprattutto con impacchi o fumigazioni di fegato animale, specie di
bovino2.
Nella medicina greca l’interpretazione eziologia della cataratta
è naturalmente legata alle conoscenze anatomiche della struttura
oculare e della percezione visiva acquisite a partire dal VI sec. a.C.,
grazie agli studi ed alle osservazioni compiute dai naturalisti, in particolare da Alcmeone da Crotone (VI secolo a. C.), che, con dissezioni
e vivisezioni condotte su animali, individua i nervi ottici, canali che
collegano il globo oculare, su cui si riflettono i raggi emanati dagli
oggetti, al cervello, centro delle sensazioni e, quindi, della rielaborazione dei dati sensibili e dei processi cognitivi.
La concezione della percezione visiva come fenomeno di riflessione degli oggetti nella parte trasparente dell’occhio, viene riassorbita nella dottrina ippocratica: una vena si porta dalla membrana
del cervello sino ad arrivare, biforcandosi e penetrando attraverso
l’osso, ad ogni occhio, estendendo così una parte della membrana
cerebrale, che diviene estremamente tenue, sino alla parte esterna
dell’orbita, ed andando a costituire la parte diafana dell’occhio su cui
si riflettono i raggi luminosi degli oggetti3, mentre la pupilla è nera
perché situata sul fondo del bulbo ed avvolta da membrane scure. In
Ippocrate l’occhio è composto da tre tuniche (cheratoide, coroide,
404
History of cataract surgery
aracnoide) che proteggono e contengono l’umore proveniente dal
cervello, il bulbo, l’iride e la pupilla4. Le parti costitutive dell’occhio
vengono nutrite del liquido celebrale, concepito quindi come propagazione dell’encefalo e strumento di trasmissione delle impressioni
direttamente al cervello5.
L’umore oculare è glutinoso e fluido, ma raffreddandosi può divenire
secco e vitreo.
Le patologie oculari più gravi sono quelle relative alla discesa della
pituita dal cervello lungo i canali nervosi e/o venosi oculari, per cui
si verifica un impedimento visivo dovuto ad atrofia, danneggiamenti
o disseccamenti della struttura dei canali stessi o una alterazione
dell’umore vitreo. La terapia prevede sia trattamenti generali per
l’evacuazione del flegma, mediante diete e salasso, sia medicamenti
ad uso topico, con impacchi e colliri, o di idratazione qualora insorgesse un fenomeno di disseccamento dei canali che impedissero la
discesa dell’umore cerebrale. Poche le indicazioni per la chirurgia
oculare, consigliata solo per malformazioni congenite o patologie che
provocano processi di formazioni esostotiche facilmente asportabili.
Ippocrate identifica e descrive diverse malattie proprie dell’occhio,
prestando particolare attenzione ai sintomi ed ai decorsi patologici,
tra cui alcuni disturbi tipici della vecchiaia che potrebbero esser
identificati con la cataratta. Possibili riferimenti alla cataratta nei
testi ippocratici possono rinvenirsi nella descrizione di un deposito
scintillante che si addensa nell’occhio impedendo la vista6.
Ulteriori conoscenze anatomo-fisiologiche dell’occhio si devono ai
medici alessandrini, in particolare ad Erofilo, che individua quattro
membrane costitutive dell’occhio (cornea, cheratoide e sclerotica, coroide), descritte come prolungamento della membrana del
cervello stesso attraverso il nervo ottico, canale di trasporto dello
pneuma psichico e sensoriale all’occhio, e che inglobano la retina,
che contiene l’umore vitreo, e l’iride con la pupilla7.
405
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
A Roma, dove la medicina prevede competenze specifiche, si affermano diverse specialità mediche, tra cui emerge l’oculistica, come
dimostrato dalle numerose testimonianze storiche ed archeologiche
pervenuteci. Generalmente la cura dell’occhio è affidata al medicus
ocularius o ab oculis, distinto dal chirurgus ocularius, addetto ad
intervenire nei casi di ferite, gravi lesioni per esiti di patologie e
malformazioni congenite che impediscono l’attività visiva.
Testimonianza fondamentale per la ricostruzione delle conoscenze e
delle pratiche chirurgiche nel campo dell’oculistica è il De re medica
di A. C. Celso (25 a.C.-50 d.C.), in cui si riferisce di varie malattie
oculari e dei rispettivi trattamenti.
L’autore considera la cataratta come un addensamento dell’umore
che si trova tra la cornea e l’uvea, all’altezza della pupilla. Riferisce
infatti di due tuniche esterne: quella più in superficie, detta cheratoide, è spessa nella parte bianca e va assottigliandosi sulla regione
della pupilla dove vi si congiunge un’altra tunica, forata nel centro,
all’altezza della pupilla, detta coroide. Queste due membrane, che
inglobano la sostanza oculare, si congiungono dietro il lobo e, assottigliandosi e fondendosi in un unico ramo, arrivano alla membrana
del cervello. Sotto le due tuniche, all’altezza della pupilla, vi è uno
spazio vuoto, sotto cui si trova la tunica più tenue, denominata da
Erofilo aracnoide, che raccoglie l’umore vitreo che da colore alla
pupilla. Sopra di esso c’è una goccia di umore, simile al bianco
dell’uovo, da cui proviene e dipende la facoltà visiva: il cristallino.
Nel suddetto spazio vuoto, che si trova sotto le due tuniche, può
formarsi, per malattia o per trauma, un umore che va gradualmente
indurendosi e sino a compromettere e talvolta impedire la vista. Così
Celso definisce la suffusio: qualora la cataratta fosse piccola, immobile e di colore simile all’acqua marina, e persistesse lateralmente
la capacità percettiva della luminosità, è possibile curarla, con trattamenti terapeutici generali, quali diete e salasso, e localizzati, dalla
406
History of cataract surgery
cauterizzazione delle vene nelle tempie all’impiego di fumigazioni e
colliri acri ed irritanti.
Se è estesa, mobile e la parte nera dell’occhio ha cambiato forma e
colore, divenendo celeste o dorata, è poco trattabile. La situazione
di maggior gravità si ha quando la cataratta è accompagnata da una
grave malattia o in seguito ad un trauma di grande entità.
Il trattamento della cataratta risulta difficile negli anziani, poiché
la capacità visiva è già compromessa, nei bambini e in coloro che
hanno occhi troppo piccoli o concavi.
Per intervenire chirurgicamente è opportuno seguire l’evoluzione
naturale della suffusio, aspettando che si coaguli ed acquisti durezza.
Prima dell’intervento si deve osservare un periodo di dieta: per tre
giorni il paziente deve assumere solo liquidi ed astenersi dal cibo,
digiunando completamente il giorno immediatamente precedente
all’operazione.
Fig. 1 - Riproduzione di una cassetta per colliri di epoca romana, Museo di Storia della
Medicina – Sapienza Università di Roma.
407
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
Il paziente viene fatto sedere avanti al chirurgo, in una stanza luminosa, mentre l’assistente gli sorregge la testa da dietro perché non
possa muoversi durante l’intervento. Per rendere immobile l’occhio
da trattare si pone sull’altro dell’ovatta. Per l’occhio destro il chirurgo
deve operare con la mano sinistra, per il sinistro con quella destra.
Si deve scegliere un ago sufficientemente appuntito ma non troppo
sottile, per poterlo inserire dritto attraverso le due tuniche esterne
nel “medio loco inter oculi nigrum et angulum tempori propiorem, et
regione mediae suffusionis, sic ne qua vena laedatur”8, direzionandolo poi verso la cataratta e premendo perché venga abbassata nella
zona sottostante alla pupilla ed abbassandolo per esercitare pressione
finché la cataratta vi aderisca e possa così esser abbassata con l’ago.
Qualora si riformi per una risalita dell’umore denso, Celso propone,
mediante lo stesso ago, la lacerazione della cataratta, che, dividendosi in molteplici e minuscoli pezzetti, non impedisce la capacità
visiva.
Dopo l’intervento si copre l’occhio con albume d’uovo e lana soffice,
ed il paziente segue un regime alimentare di integrazione graduale
del cibo nel passaggio da un’alimentazione liquida a quella solida,
secondo l’insegnamento ippocratico.
L’intervento descritto da Celso resterà la base della terapia chirurgica della cataratta nei secoli successivi.
Tra i reperti di epoca romana conservati al Museo, vi sono strumenti
presumibilmente identificabili con aghi di uso chirurgico, per i quali
è in corso un lavoro di ricognizione, datazione e catalogazione sulla
base delle indicazioni fornite dagli autori antichi e dall’iconografia
dei testi di medici bizantini ed arabi.
Gli studi sinora condotti sullo strumentario romano non hanno però
ancora contemplato tali reperti, e risulta pertanto difficile, ancora,
poter fornire indicazioni certe sulla loro identificazione.
Ulteriori sviluppi delle conoscenze anatomo-fisiologiche dell’occhio
si devono a Galeno di Pergamo (129 – 210ca d.C.), che seguendo
408
History of cataract surgery
Fig. 2 - Aghi di uso chirurgico di epoca romana. Museo di Storia della Medicina – Sapienza
Università di Roma
l’insegnamento ippocratico, riconosce le tre membrane costitutive
dell’organo: la più interna, con struttura reticolare, ossia la retina; la
seconda, con struttura uniforme, ossia la coroide, al cui interno esiste
un foro, detto pupilla; infine una membrana corniforme, la cornea.
Le tre tuniche, “permeate” e congiunte al nervo ottico, sono direttamente collegate al cervello, cui trasmettono i dati sensibili, impressi
dai raggi degli oggetti, attraverso il cristallino, dove il pneuma
psichico emanato dal cervello incontra il mondo esterno. Individua
inoltre una quarta membrana, la congiuntiva, che non è però collegata al cervello, bensì al pericranio.
Galeno descrive la struttura ad X dei nervi ottici, che originandosi in due sedi diverse del cervello, vanno congiungendosi
durante il loro percorso verso le orbite per poi nuovamente dividersi, individuando nel punto di fusione dei due canali la facoltà
di percepire una visualizzazione completa ed unificata, che faccia
“geometricamente”coincidere i piani visivi.
Spiega i disturbi visivi come esiti di un’alterazione dello pneuma o
del mancato passaggio di questo attraverso i pori del nervo ottico9.
409
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
Il cristallino, situato al centro del bulbo oculare e sostenuto e nutrito
dall’umore vitreo infuso di pneuma psichico, è il centro della percezione visiva.
Galeno riferisce di un umore acquoso e denso nella regione
retroiridea, posto avanti al cristallino per nutrirlo ed evitare che si
dissecchi10, che se ispessito origina la cataratta. Lo descrive come
una materia simile alla chiara dell’uovo, ma che a volte è denso e
scuro al punto da impedire parzialmente, o completamente, la vista.
La mobilità di questo umore può provocare, soprattutto in fase di
insorgenza della patologia, la visione di mosche volanti, o corpuscoli
in movimento11.
La correlazione tra vecchiaia e formazione di cataratta come raccolta
ed addensamento di un umore in eccesso, si fonda essenzialmente
sull’idea di condizione di debolezza organica, imputabile ad una
lunga malattia o a ripetuti episodi patologici, o ad una natura fredda
ed umida, condizioni tipiche delle persone anziane.
Galeno definisce la cataratta come una “concretio aquaosi humoris
quae visum magis minusve impedit”12, e che, distillando dalla pupilla,
va solidificandosi sino ad impedire la vista13.
Attribuisce l’origine della cataratta ad un’eccessiva umidità e
mollezza delle membrane, per cui si riversano umori che vanno ad
addensarsi avanti al cristallino. Oltre ad un eccesso materia flemmatica, ed ai vapori che ne esalano, che scendendo lungo il nervo
ottico ed i vasi, compromette struttura e funzioni delle parti costitutive dell’occhi, Galeno attribuisce la formazione della cataratta
anche a quelle disfunzioni dell’apparato digerente, che comportano la produzione nello stomaco di umori densi e viscosi che, per
mancata evacuazione, emanano vapori corrotti che arrivano al capo,
provocando la formazione di un umore che, fuoriuscendo dai pori
della pupilla, si addensa avanti al cristallino.
Per la cura della cataratta prescrive impacchi e colliri14 ad uso
topico e trattamenti generali di evacuazione degli umori. Per quanto
410
History of cataract surgery
concerne l’operazione chirurgica, riprende l’insegnamento celsiano,
inserendo lateralmente l’ago sino a che penetri nello spazio vuoto,
poi spingendolo verso l’iride e premendo l’umore concreto situato
intorno alla pupilla verso il basso15. Ne distingue i generi in base
al colore, all’ampiezza, alla posizione che assume in relazione al
cristallino ed al grado di compromissione della capacità visiva.
Distingue quella molle, facilmente asportabile e trattabile, da quella
dura, difficilmente curabile, soprattutto se scura. Valutando tali segni
è possibile stabilire il grado di acrità, densità e viscosità dell’umore
disceso dai canali nervosi ed individuare così la natura della patologia e stabilirne la terapia16.
Conoscenze patologiche ed affinamento delle tecniche operatorie e
dello strumentario chirurgico si sviluppano ulteriormente nel periodo
bizantino e nella medicina araba.
Per l’operazione dei cataratta, Paolo d’Egina (VII sec. d.C.), propone
un campo operatorio più ampio rispetto a quanto riferito da Celso,
consigliando di inserire l’ago non lungo il margine esterno della
cornea, ma in un punto esterno allo stesso, e più alto, per poter esercitare maggior pressione nell’operazione di abbassamento17.
Nella medicina araba l’interpretazione della cataratta riprende la
concezione ippocratica di un umore pituoso proveniente dal cervello
che, per raffreddamento, si coagula e, ricoprendo la pupilla, impedisce la facoltà visiva. All’operazione dell’abbassamento, si affianca
il sistema della “suzione” per l’estrazione della cataratta molle, praticata mediante un’incisione che ne permetta l’aspirazione, mediante
un apposito tubicino di vetro per succhiarla.
L’oculistica, come disciplina che si avvale di un sapere essenzialmente pratico, trova largo sviluppo tra i medici della Scuola di
Salerno, che ci hanno lasciato importanti testimonianze delle conoscenze patologiche e della terapia e chirurgia oftalmologiche18, e
diviene, nel corso nel basso Medioevo, una specialità chirurgica
prevalentemente eseguita da quei “cerusici” che, spesso privi di una
411
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
cultura medica, si affermano per l’abilità tecnica e per la conoscenza
pratica dell’arte.
Il dualismo espresso da Galeno sulla natura della cataratta in base
alla diversa origine degli umori che si raccolgono continua ad esser la
base dell’interpretazione eziologica della patologia per secoli: nella
sua Anathomia, Mondino de’ Liuzzi (1275ca-1326) ne imputa l’insorgenza al vapore disceso dal cervello oppure salito dallo stomaco e
che, arrivato all’altezza della pupilla, si pone fra questa ed il cristallino, impedendo così la percezione visiva. Poiché questo vapore è
generalmente mobile, le immagini sembrano esser in movimento,
o addirittura generate da un corpo esterno che stimola la vista, così
da dare la percezione di mosche volanti, o cimici o formiche che
camminino sulle pareti. Quando questo vapore si converte in acqua,
si condensa e si trasforma in cateratta stabilizzata, che impedisce
parzialmente o completamente la vista a secondo della posizione in
relazione alla pupilla19.
Anche G. da Vigo (1450-1525), ne La Practica in arte chirurgica
copiosa (Roma, 1514), attribuisce la formazione della cataratta alle
umidità che arrivano alle pupille dalla materia flemmatica che si
addensa nei canali del capo, e distingue quella “per comunicanza”
da quella “per essenza”. La prima è causata dai vapori emanati dagli
umori densi e viscosi che si formano nello stomaco, e che, salendo
verso la testa, apportano umidità agli occhi; la seconda dipende invece
da un eccesso di umore direttamente nei canali oculari. L’intervento
chirurgico è assolutamente conforme a quello descritto da Celso nel
I sec.; colpisce però la dovizia di particolari inerenti la fase preparatoria, dal regime terapeutico ed alimentare dietetico purgante nei
giorni precedenti e dalle medicazioni successive all’intervento, alla
cura che il medico deve avere nel rassicurare il paziente, sia da un
punto di vista emotivo che pratico, disponendolo in una posizione
che non rechi disagio, non facendo manovre che provochino dolore.
412
History of cataract surgery
A. Parè (1510-1590), interpreta la cataratta come una pellicola che
si pone tra la cornea e il cristallino, aprendo la via agli studi ed alle
indagini sulla correlazione tra quest’organo e l’origine della cataratta. In base alla sua esperienza pratica, suggerisce di costringere il
paziente, una volta effettuata la depressione della cataratta, a guardare in alto, per volgere il globo oculare all’insù e spingerla così
dentro il corpo vitreo per evitare che risalga.
G. F. d’Acquapendente descrive ancora la cataratta un’alterazione
dovuta a “crudi scilicet humoris generationem, eiusdemque concretionem, densitatem, et obdurationem, materiae inqua pituitosae”, e,
sulla base degli studi dissettivi e dell’esperienza chirurgica, sostiene
che la cataratta si formi sotto il foro dell’uvea. Tratta la cataratta
molle e giovane con i colliri, per l’applicazione dei quali escogita una
cucurbita di vetro, la cui bocca corrisponda all’intera cavità dell’occhio, su cui viene appoggiata di modo che i colliri e gli unguenti
possano effettivamente arrivarvi e mantenervisi per il tempo necessario all’assorbimento.
Raccomanda l’intervento chirurgico solo nel caso di assoluta necessita, quando la cataratta è densa e congelata, ma sconsiglia di infilare
l’ago in un angolo troppo laterale o distante dalla cornea, poiché i
movimenti da effettuare per abbassare la cataratta, premendo l’ago
verso il basso e riportandolo poi in alto per farla scendere totalmente
e definitivamente, possono danneggiare tutte le tuniche oculari, il
cui punto di congiunzione è esattamente nella parte posteriore del
cristallino. In tal modo si evitano i danni di incisioni troppo lunghe e
penetrazioni che potrebbero lacerare le membrane, e si può controllare la fuoriuscita dell’umore dalla cornea.
Propone pertanto di infilare l’ago o nella cornea o in un punto ad
essa vicino, così che non sia troppo lontano dal cristallino, lasciando
comunque uno spazio di manovra sufficiente per muovere l’ago, sia
in alto che in basso, finché non si abbassi la cataratta20.
413
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
G. A. dalla Croce (1509?-1580) fornisce un’importante documentazione storica ed iconografica per lo strumentario chirurgico, e
distingue l’ago retto, da lui detto almagda, dall’alberid, con punta a
lancia per agevolare la penetrazione nel lobo oculare21.
Il Museo conserva una collezione di aghi da cataratta del XVIII
secolo, ancora simili, per morfologia e foggia, a quelli utilizzati già
a partire dalla fine del XVI secolo, e descritti ed illustrati nelle opere
di A. Parè, di G.F. d’Acquapendente e di G. Bartish (1535-1607),
con meccanismo a vite nella presa esterna perché potessero esser
avviatati nella custodia e regolati nella lunghezza a secondo del tipo
di presa necessaria per le diverse fasi dell’intervento, con custodia
rigida e concava cui viene avvitata la presa esterna dell’ago, così da
ottenere un manico lungo e maggiormente duttile per le varie fasi
dell’intervento.
Grazie ai progressi delle conoscenze anatomiche, si avvia uno studio
sperimentale sui meccanismi e sulla fisiologia della visione, che
porta alla dimostrazione cartesiana che non il cristallino ma la retina,
come prolungamento della sostanza midollare del nervo ottico, è
l’organo della percezione visiva.
Ma è solo nel XVIII secolo che si arriva ad identificare la cataratta
con un processo di oscuramento ed opacizzazione del cristallino,
sulla base di studi autoptici condotti su individui che, avendo subito,
intra vitam, l’intervento chirurgico di abbassamento della cataratta,
presentano un cristallino opaco o scurito, e spostato o completamente distaccato.
Maitre-Jean (1650-1725), chirurgo francese, identifica la vera natura
della cataratta nell’opacizzazione del cristallino e ne tenta l’estrazione, così come la esegue Petit (1674-1760) nel 170822. P. Brisseau
(1631-1717) nel Traité de la cataracte et du glaucome (Paris, 1709),
espone le due diverse nuove opinioni sull’interpretazione della cataratta, ossia quella che ne attribuisce l’origine a corpuscoli opachi
che, trasportati dal moto degli umori o dal circolo sanguigno, filtrano
414
History of cataract surgery
attraverso le ghiandole e si agglutinano sulla superficie impedendo
la vista, e l’idea di un distaccamento di alcune lamelle del cristallino che, galleggiando poi nell’umore acquoso, si attaccherebbero
alla pupilla. Avvalendosi di una casistica di esami autoptici da lui
condotti su cadaveri di individui affetti da cataratta, dimostra che
“c’est le cristalin obscurcu, qui forme la Cataracte”23. Brisseau
procede analizzando in sede autoptica gli esiti degli interventi
chirurgici di abbassamento della cataratta da lui stesso effettuati,
dimostrando così che in tutti i casi di pazienti sottoposti intra vitam
a tale operazione il cristallino risulta spostato in basso rispetto alla
sua sede naturale, e spesso opacizzato o deformato. Non distingue
diversi generi di cataratta, definendo solo il grado di solidità e di
opacità come fattori che ne determinano la tipologia. Distingue le
cause esterne, come un colpo troppo duro sul capo e un freddo eccessivo, da quelle interne, prodotte per l’alterazione del liquore nutritivo del cristallino. Sconsiglia di intervenire sulle cataratte troppo
molli, poiché per abbassarle sono necessari molteplici spostamenti
dell’ago, che danneggerebbero la struttura del vitreo.
Considera gli aghi sinora creati ed utilizzati difettosi, poiché sono
stati costruiti immaginando la cataratta come una membrana; ne crea
uno con una lama più larga e piatta, lievemente arrotondata a forma
di grano di orzo, con margini taglienti per poter incidere e penetrare
nel bulbo oculare.
Questi aghi sono piatti da un lato e merlato dall’altro, arrotondandosi
poi in punta, e la superficie scanalata è quella che l’operatore deve
appoggiare sul cristallino.
C. Saint-Yves (1667-1736) distingue invece le cataratte membranose, dovute ad affezioni della coroide e dell’uvea, da quelle cristalline, legate all’alterazione dell’umore cristallino, che costituiscono
la vera cataratta. Individua l’eziologia di tale patologia nell’eccessivo rammollimento o in un indurimento del cristallino, dovuto
nella maggior parte dei casi al condensamento ed alla viscosità dei
415
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
“sughi” nutritivi che passano nei vasi della membrana che lo avvolge
e che vanno quindi ad intasare ed otturare i suddetti vasi, provocando ascessi e suppurazioni. Il cristallino, induritosi e staccatosi
dall’anello dell’umore vitreo, si porta verso la pupilla e resta nella
camera posteriore, dove matura la cataratta.
Per l’intervento chirurgico si avvale di un ago piatto e tagliente su
un lato, arrotondato sulla punta come una lancetta. Se la cataratta
è anteriore, s’incide trasversalmente la cornea trasparente sotto la
pupilla, ed attraverso quest’incisione si inserisce una sorta di stuzzica-orecchi che viene fatto passare dietro al corpo del cristallino e
poi piegato in avanti perché la cataratta venga portata fuori. Se la
cataratta è posteriore, l’ago deve essere infilato nel bianco dell’occhio, vicino alla cornea, senza tagliare i vasi e senza toccare l’iride.
Va poi direzionato nella parte posteriore del cristallino e spinto dentro
finché la punta dell’ago non abbia oltrepassato la zona centrale della
pupilla; si sposterà allora la punta verso il corpo della cataratta e si
abbasserà perché questa scenda sino alla parte posteriore dell’iride24.
Il Museo di Storia della medicina conserva una serie di aghi per l’abbassamento della cataratta, con manici torniti in avorio ancora corti e
lunghe punte acuminate o terminanti a piccole lance sottili, analoghi
a quelli descritti e rappresentati nelle tavole dei trattati chirurgici di
fine XVII e primi XVIII secolo25.
L. Heister (1683-1758) si ricollega alla tradizione dei grandi anatomisti del XVII secolo, come Borel, Gassendi, Rolfink, che, con le
loro osservazioni avevano intuito la reale natura della cataratta, attribuendo però a chirurghi francesi, come Maitre Jan, il merito di aver
dimostrato che la causa di tale patologia non risiede nella formazione
di una membrana prodotta dall’umor acqueo, ma in un’alterazione
del cristallino, grazie ad esperimenti pratici e studi autoptici su occhi
malati. Riporta i risultati di cinque autopsie da lui stesso praticate, ed
esempi di altri medici tedeschi ed italiani (tra cui G.M. Lancisi), per
attestare la veridicità di una nuova interpretazione fondata sull’evi416
History of cataract surgery
denza dei dati autoptici. Distingue la cataratta matura, ossia molle
e mobile in cui la pupilla è completamente offuscata ma ancora è
distinguibile la luce dal buio, facilmente operabile, da quella immatura, di difficile guarigione.
Considera curabili quelle cataratte che sono semplici, mature e
mobili, ma non troppo colorate, poiché ciò è segno di una mollezza
che difficilmente consente l’abbassamento, mentre risultano inope-
Fig. 3 - Aghi da cataratta con manico tornito in osso (XVII-XVIII sec.), Museo di Storia
della Medicina – Sapienza Università di Roma
417
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
rabili le cataratte in cui il cristallino si è glutinato con la pupilla,
tanto da deformarla.
Heister consiglia di infilare l’ago nella parte bianca dell’occhio,
nella zona compresa tra la cornea e l’angolo dell’occhio seguendo
una direzione lineare, sino ad arrivare alla cataratta, che viene così
portata sotto la pupilla. Se la cataratta è dura, si abbassa immediatamente, mentre se è molle, per evitare che risalga, si deve tenere
premuta il più a lungo possibile. Nel caso in cui non si riesca a deprimerla, si procede alla frantumazione, mentre se è attaccata all’uvea,
propone di praticarvi un foro per permettere alla luce di penetrare nel
fondo oculare26.
Colpisce la premura con cui Heister descrive non solo l’operazione,
ma anche la fase preparatoria e le medicazioni e le terapie successive, con continui richiami all’importanza di una buona preparazione
medica ed anatomica e di una abilità pratica che possano distinguere
il vero chirurgo da cerusici e ciarlatani.
G.B. Morgagni (1682-1771) attribuisce l’origine della cataratta ad
un’alterazione dell’umore acqueo costitutivo del cristallino, per
disseccamento, indurimento o diminuzione dello stesso, o ad un’opacizzazione della sua tunica27.
Rifacendosi alle esperienze condotte da Maitre-Jan e da Petit, nel
1745 J. Daviel (1693-1762) compie l’estrazione chirurgica del
cristallino con un ago da lui stesso creato, appuntito, tagliente e
semicurvo, a forma di una lancetta, per fare la prima incisione nella
camera anteriore vicino alla sclerotica, evitando di ferire l’iride,
penetrando sino a sopra la pupilla. Si avvale poi di un ago smussato,
ma altrettanto tagliente e semicurvo, per allargare l’apertura eseguita
e praticare un’incisione a mezzaluna sulla cornea, per poter inserire
la branca di una cesoia con estremità curve e convesse nell’iride ed
eseguire una sezione semicircolare della cornea intorno alla pupilla.
Attraverso quest’apertura riesce a prelevare il cristallino infilando un
ago bitagliente ed una piccola spatola sotto l’iride e premendo con le
418
History of cataract surgery
dita verso il basso per far uscire il cristallino. Qualora la membrana
del cristallino fosse troppo spessa, deve esser tagliata circolarmente
e prelevata con delle pinzette. Per le cataratte membranose utilizza
invece un piccolo raschiatoio28.
Il procedimento di Daviel per l’estrazione del cristallino viene
seguito da molti autori, comportando una varietà di modificazioni ed
adattamenti dello strumentario sulla base delle esigenze di semplificazione e delle tecniche sperimentate ed adottate per l’intervento.
Il nuovo metodo chirurgico viene descritta da J. Janin (1730-1799),
che incide con la suddetta lancetta i due terzi del disco della cornea
e, con l’ausilio di una paio di forbici, divarica la “cristalloide”, esercitando una pressione sulla parte inferiore del globo per favorire
l’uscita del cristallino e della cataratta dall’occhio.
N. G. Pallucci (1719-1797) viene considerato il primo ad aver praticato l’intervento con un solo ago, con manico in argento e a doppia
punta, per unire contemporaneamente lo strumento di penetrazione e
quello di distaccamento del cristallino29.
Il medico napoletano M. Troja (1737-1828) definisce la cataratta
come “la malattia principale della lente cristallina”30, e ne distingue
tre forme: opacizzazione del cristallino, intorpidimento dell’umore
di Morgagni, perdita della trasparenza della lente cristallina, o cataratta membranosa. Descrive dettagliatamente le diverse tipologie
di esecuzione dell’estrazione del cristallino, con i relativi strumenti
utilizzati da ogni autore. Descrive così gli strumenti di G. Lafaye
(1799-1781), un coltellino con lama stretta e sottile leggermente
curva con dorso tagliente e un faringotomo con dimensioni ridotte
proporzionalmente all’impiego per l’operazione oculare; quello di P.
Guerin (1740-1827) che, riprendendo il metodo di Pamard, utilizza
una lancetta con margini sufficientemente ampi31.
A. Scarpa (1747-1832), autore del “Saggio di osservazioni ed esperienze sulle principali malattie degli occhi” (Venezia, 1802), fornisce
un corpus dottrinale e metodologico all’oftalmologia, come sintesi
419
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
delle conoscenze strutturali e fisiologiche dell’occhio acquisite nel
tempo, delle metodiche chirurgiche e terapeutiche sviluppatesi per
le diverse patologie oculari e delle nuove interpretazioni eziologiche
dei processi morbosi. Per la cura della cataratta si avvale del vecchio
metodo della depressione del cristallino, che predilige per sulla base
di un’analisi clinica degli esiti e degli effetti collaterali sui pazienti
sottoposti all’intervento di estrazione del cristallino, o mediante
l’ago o con un’incisione semicircolare nella regione inferiore o laterale della cornea.
Distingue la cataratta semplice, dovuta ad un graduale processo di
opacizzazione del cristallino senza alterazione strutturale, per cui il
paziente riesce a distinguere luce e colori, da quella causata da un’oftalmia precedente e grave o da un trauma. Si distanzia, invece, da coloro
che classificano la cataratta in base al colore ed alla consistenza, se dura
o molle o liquida, considerando tale diagnosi non solo difficile a priori,
ma anche poco utile ai fini della pratica terapeutica e chirurgica.
In presenza di un cristallino consistente e duro, ne propone lo
spostamento dall’asse visuale esercitando una pressione con l’ago
verso il basso e poi all’indietro per infossarlo nel corpo vitreo, ed
evitarne così la risalita. Scarpa individua l’eziologia della cataratta
membranosa secondaria, che spesso si forma dopo l’operazione di
estrazione o di depressione del cristallino, nella capsula lucida che,
dopo qualche giorno dall’intervento, va opacizzandosi impedendo la
vista; consiglia pertanto di forare la detta capsula sia nella convessità
anteriore che posteriore, per non offuscare completamente la vista
nel caso in cui non si riuscisse a staccarla completamente.
Pratica la depressione anche nei casi di cataratta membranosa,
poiché sia il cristallino morbido e fluido depresso che i “fiocchetti
membranosi”, nel caso in cui si sia proceduto ad uno sminuzzamento
dello stesso, vengono facilmente riassorbiti nell’umore acqueo. Per
l’intervento utilizza un ago uncinato e ricurvo, sottile ed appuntito
sufficientemente robusto per attraversare tutte le membrane oculari,
420
History of cataract surgery
dal momento che con quello con la punta retta, largamente usato, si
può erroneamente squarciare l’iride nel corso dei movimenti eseguiti
per l’abbassamento. L’ago deve pertanto avere un’estremità uncinata
convessa, piana sul dorso e tagliente ai lati, con concavità composta
da due piani obliqui in modo da formare nel mezzo una linea leggermente in rilievo.
Infila l’ago dall’angolo esterno, in prossimità del punto di congiunzione della cornea con la sclerotica, poco sotto il diametro trasversale della pupilla, spingendolo sino a che la convessità non arrivi
sopra il cristallino per spingerlo verso il basso, e la punta uncinata
passi tra la capsula ed il corpo cigliare, in modo che, una volta abbassata la lente, resti tra la pupilla e l’iride. Muove allora l’ago in modo
da farne aderire la convessità all’iride e con la punta squarciare la
Fig. 4 - Scarpa A., Saggio di osservazioni sulle principali malattie degli occhi. Venezia,
1802, Tav. III. Biblioteca di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma.
421
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
capsula ed infilzare il cristallino, per trasportarlo fuori dall’asse
visuale ed infossarlo nel corpo vitreo o, in caso di cataratta membranosa, lacerarlo e sminuzzarlo32. Avverte della necessità di asportare
l’intera capsula del cristallino, che, opacizzandosi, darebbe luogo
alla “cataratta membranosa secondaria”: l’operatore deve pertanto
penetrare con l’ago attraverso la pupilla sino ad infilzare la capsula,
prestando attenzione ad eventuali aderenze con l’iride, per cui è
opportuno muovere l’ago in modo che la punta tagliente laceri il
punto di unione della capsula del cristallino con la detta membrana.
In presenza di una cataratta liquida o molle, è sufficiente inserire
l’ago uncinato tra l’iride ed il margine della capsula del cristallino
ed infilzarlo profondamente per far fuoriuscire l’umore biancastro,
procedendo poi alla depressione della capsula.
Il cistotomo di Daviel e l’ago uncinato di A. Scarpa trovano largo
impiego nell’operazione di cataratta, divenendo la base di diversi
modelli di strumenti a lancia convessa, sino alla costruzione di
Fig. 5 - Aghi per l’estrazione di cataratta, con manico in avorio (XIX sec.), Museo di Storia
della Medicina – Sapienza Università di Roma
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History of cataract surgery
lancette composte da due bisturi combinati in modo da formare
un’unica lancia tagliente, che potesse incidere la cornea nella
lunghezza e nello spessore più congruo, e poi nuovamente sdoppiarsi in fase operatoria per l’estrazione del cristallino33, la creazione
di strumenti “meccanici”, ossia a manico unico ed a doppia lama,
manualmente regolabili grazie a perni e/o bottoni per allargare,
verticalmente o orizzontalmente,
Chirurgo all’ospedale della Carità a Lione e poi all’Hotel-Dieu di
Parigi, A. Petit (1766-1811) lascia manoscritti delle osservazioni e
dei resoconti degli interventi da lui praticati, pubblicati poi da A.
Lusterbourg34. Malgrado pratichi ancora l’abbassamento della cataratta, si fa sostenitore delle operazioni di asportazione totale del
cristallino, che pratica attraverso un’incisione longitudinale o a croce
nella cornea. Contrasta il sistema della divisione del cristallino,
poiché il movimento dello strumento in verticale ed in orizzontale,
può causare la perdita dell’umore acquoso, e, quindi, uno spostamento in avanti dell’iride, che verrebbe esposta al rischio di esser
ferita. Opera lasciando il paziente adagiato sul letto, esercitando una
pressione sulle palpebre in modo da tenere il lobo oculare tra il dito
indice ed il medio, per lasciare esposta solo la parte su cui interviene.
Dopo aver praticato l’incisione, chiude l’occhio per qualche minuto,
per permettere che la pupilla si dilati e che il cristallino si porti naturalmente in avanti, agevolandone così l’estrazione.
Per incidere la cornea propone lo strumento di Guerin, con lama
corta triangolare ad angolo acuto nella parte inferiore che ne facilita la penetrazione, ed il coltello di Wenzel, di cui ha però allargato la punta, perché la pupilla ne fosse completamente coperta, e
quindi protetta. Direziona lo strumento perpendicolarmente ed in un
punto più lontano dalla sclerotica di quanto si faccia abitualmente,
per evitare lesioni dell’iride. Loda il cistotomo di Rey, perfezionamento di quello di Lafaye, poiché la sua lama, come una lancetta,
è compresa tra due piccole colonne d’argento, che ne garantiscono
423
Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
Fig. 6 - Strumenti per operazione di cataratta, con manico in ebanite (XIX sec.), Museo di
Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma
l’igiene e che permette di esporre la lancetta solo al bisogno, e nella
parte posteriore un chiodo ne permette la regolabilità della punta
a secondo dell’uso e del bisogno. Si serve anche di cesoie, pinze
e di un cucchiaio di raschiamento, che utilizza soprattutto nei casi
di un “cristallino mucoso”, ossia meno solido ed accompagnato da
materia viscosa, che crea aderenze. Può, viceversa, capitare che la
sola incisione nella cornea sia sufficiente a far uscire il cristallino.
G. Pellier De Quengsy (1751-1835) crea un oftalmotomo con lama
falciata per praticare un’incisione semicircolare sulla cornea, arrivando sino al cristallino senza toccare l’uvea. Per coadiuvare l’operazione di estrazione, utilizza una pinza uncinata, con due estremità
appuntite e dentate nella superficie interna, per trattenere il lembo
della cornea sollevato35.
Von Graefe (1828-1870), considerato tra i fondatori della moderna
oftalmologia, sviluppa tecniche diagnostiche e chirurgiche per le
424
History of cataract surgery
patologie oculari, tra cui l’iredectomia totale o parziale in presenza
di glaucoma. Per l’operazione della cataratta utilizza un ago con
punta affilata e piatta, che ne permetta un’agevole penetrazione nel
corpo vitreo per abbassare o estrarre il cristallino, di cui il Museo di
Storia della Medicina conserva un esemplare.
L’estrazione del cristallino mediante un apposito ago resta la pratica
chirurgica più utilizzata anche nel corso del XX secolo, sebbene
si sperimentino nuove tecniche meno invasive, tra cui si ricorda la
ventosa di I. Barraquer (1884-1965), che segna il passaggio all’estrazione intracapsulare del cristallino.
Fig. 7 - Cassetta contenente strumenti per intervento di cataratta - XIX sec.
(Museo di Storia della Medicina – Sezione di Storia della Medicina
Università La Sapienza di Roma)
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Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
Fig. 8 - 1 ventosa di I. Barraquer per estrazione della cataratta. Donazione del Prof. Scuderi
2. 1bisturi di A. Von Graefe, in manico d’avorio, per l’estrazione della cataratta. Donazione
del Prof. Scuderi 3. 1 bisturi, in manico d’avorio, per incisione del corpo vitreo (XIX sec.).
Donazione del Prof. Scuderi 4. 1 bisturi per estrazione della cataratta (XX sec.) 5. (Museo
di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma)
BIBLIOGRAFIA E NOTE
1. Nitro fossile, anticamente utilizzato anche come collante soprattutto nella fusione dei metalli.
2. LECA A.G., La médecine égyptienne au temps des pharaons. Paris, Éd. R.
Dacosta, 1971.
3. IPPOCRATE, De carn. XVII, Li. 8, 576-615
4. IPPOCRATE, Loc. Hom. II, Li. 6, 273-349
5. IPPOCRATE, Loc. Hom. II, Li. 6, 273-349
6. IPPOCRATE, Loc. Hom. XIII, Li. 6, 273-349
7. Del De oculo di Erofilo, andato perduto, abbiamo notizie da autori successivi, quali Demostene Filatete (I.sec. a.C.), nel suo Ophtalmicus, e dai medici
bizantini, specie da Aezio d’Amida (502-575), autore del Librorum medicinalium tomus primus, trattato interamente dedicato all’oculistica, che oltre a
riprende l’interpretazione anatomo-fisiologica ed eziopatogenetica ippocrati-
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History of cataract surgery
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co-galenica, eredita le conoscenze pratiche e chirurgiche egiziane, in particolare dei medici della Scuola di Alessandria.
CELSO A.C., , De re medica, § VII.
GALENO C., De usu partium, X,14, K. III, 759-841
GALENO C., De usu partium, X, 6, K. III, 759-841
GALENO C., Hipp. Progn. Commentarius, I, XXIII, K. XVIIIB, 1-109.
GALENO C., Definitiones medicae, § CCCLXIII, k. XIX, 346-462.
GALENO C., De usu part. X, I, K. III, 168-265..
GALENO C., De composizione medicamentorum, IV, K. XII, 696-803.
Ibidem.
GALENO C., De locis affectis,VI, 2, K. VIII, 216-296.
Paolo di Egina, nel suo “Compendio di Medicina” e nella sua “Chirurgia”,
racchiude tutto lo scibile sull’oculistica dell’epoca, fornendo un cospicuo
elenco delle malattie oculari sino allora conosciute e indicandone i rispettivi
rimedi, medici e chirurgici. Il suo contributo maggiore sta proprio nell’esposizione degli interventi chirurgici.
Tra i testi interamente dedicati alle patologie oculari si ricordano il “Liber pro
sanitate oculorum” di D. Armenio (XII sec.); l’“Ars probata oculorum” di
Benvenuto Grasso (XIV sec.), considerato la massima autorità dell’oculistica
salernitana e autore del primo trattato, in lingua latina, di oculistica, in cui
ben espone la natura delle patologie e la pratica degli interventi terapeutici e
chirurgici usitati nella Scuola salernitana.
DE LIUZZI M., Anatomia riprodotta da un codice bolognese del secolo XIV
…. Sighinolfi L. (a cura di), Bologna, L. Cappelli, 1930,
D’ACQUPENDENTE G. F., Opera chirurgica in pentateuchum, et operationes chirurgicas distincta. Patavini, Tipis Matthei de Cadorinis, 1666.
DALLA CROCE G.A., Cirugia Universale e perfetta… In Venetia, presso G.
Ziletti, 1583, lib. VII.
Cfr. PELLIER DE QUENGSY G., Précis ou Cours d’opérations sur la chirurgie des yeux… A Paris, chez Didot- Mequignon, 1789, p.237.
BRISSEAU P., Traité de la cataracte et du glaucoma. Paris, chez Laurent
d’Houry, 1709, p. 37.
SAINT-YVES C., Nouveau traité des maladies des yeux…, A. Le Mercier,
1722.
Cf. DIONIS P., Cours d’opérations de chirurgie démontrées au Jardin royal.
Paris, 1714.
HEISTER L., Istituzioni Chirurgiche…Venezia, presso Pietro Gio. Gatti,
1743, T.1, cap. LV.
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Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi
27. Cfr. MORGAGNI G.B., De sedibus et causis morborum.., Venezia, 1761,
XIII, 9, 14-18; LXIII, 6, 10-11.
28. DAVIEL J., Sur une nouvelle méthode de guérir la cataracte par l’extraction du cristalin. In: Mémoire de l’Académie de chirurgie. 1753, tome II, pp.
337- 354.
29. Cfr. TROJA M., Lezioni intorno alle malattie degli occhi. Napoli, nella Stamperia Simoniana, 1780, pp.369-371; PELLIER DE QUENGSY G.,
Précis ou Cours d’opérations sur la chirurgie des yeux… A Paris, chez
Didot- Mequignon, 1789, pp.229-233.
30. TROJA M., Lezioni intorno alle malattie degli occhi. Napoli, nella Stamperia
Simoniana, 1780, p.337.
31. Cfr. GUERIN P., Traité sur les maladies des yeux. Lyon, 1769.
32. Cfr. SCARPA A., Trattato delle principali malattie degli occhi… Napoli,
Tipografia di G. Palma, 1825, vol.2, p.25
33. Cfr.VESPA G., Lettera del Dot. Giuseppe Vespa… ad un Amico, in occasione
d’un nuovo Strumento inventato per tagliare la Cornea Lucida… In Firenze,
nalla stamperia Moucke, 1769; GIORGI G., Memoria sopra un nuovo strumento per operare le cateratte… Imola, Dalla tipografia del seminario, 1822.
34. PETIT M.- A., Collection d’observations cliniques… A Lyon, chez A. Leroy,
1815.
35. PELLIER DE QUENGSY G., Précis ou Cours d’opérations sur la chirurgie
des yeux… A Paris, chez Didot- Mequignon, 1789, pp. 244 et segg.
Correspondence should be addressed to:
Silvia Marinozzi, [email protected]
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MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 429-451
Journal of History of Medicine
Museologia Medica/Medical Museology
LE COLLEZIONI SANITARIE DELL’OSPEDALE MAGGIORE
POLICLINICO, MANGIAGALLI E REGINA ELENA DI
MILANO
Paolo M. Galimberti
Fondazione irccs Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena
Servizio Beni Culturali, Milano, I
SUMMARY
THE MEDICAL COLLECTIONS OF MILAN MAJOR HOSPITAL
This essas shows the uncommon occurrence of collections developed in a
Hospital. In the past centuries the obstetrical gynaecological (since 18th
Century) and anatomical collections (since 1829) were oriented to medical
education, while the Pharmacy had a rich equipment. In the first half of 20th
century, a Museum open to the public was planned, but the second World War
and the absence of interest induce the loss of a large part of the materials. Since
2002 we had censed, collected, and listed the historical instruments, and in
2005 we realized a permanent exhibition. The collections combine about 1500
items. We have especial care to save also modern objects and equipments,
after they are disused. At last we hope to realize a real Museum, and we search
to assume peculiarities, goals, strength, potentials users, custom.
Le attuali raccolte di strumenti sanitari della Fondazione Ospedale
Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena rappresentano
un interessante caso di collezione sviluppata all’interno di un ente
ospedaliero di antica fondazione1. Il presente contributo esamina le
radici storiche e l’attuale configurazione delle raccolte, cercando di
delinearne le prospettive di sviluppo2.
Key words: Ancients instruments - Medical history museum - Hospital history
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