GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA JOURNAL OF HISTORY
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GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA JOURNAL OF HISTORY
MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA GIORNALE DI STORIA DELLA MEDICINA JOURNAL OF HISTORY OF MEDICINE Fondato da / Founded by Luigi Stroppiana QUADRIMESTRALE / EVERY FOUR MONTHS NUOVA SERIE / NEW SERIES VOL. 21 - No 1 ANNO / YEAR 2009 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 20/3 (2008) 7-9 Journal of History of Medicine Introduzione/Introduction Negli ultimi decenni è andato sempre più affermandosi il ruolo educativo dei musei, sia da un punto di vista prettamente didattico, con l’inserimento di visite guidate ed attività di laboratorio museale nei piani formativi delle scuole e dei corsi di laurea universitari, sia in una prospettiva più ampia, come luogo di comunicazione culturale per l’intera collettività. Da luoghi di conservazione ed esposizione, i musei sono divenuti veri e propri centri di ricerca e di formazione didattica, spazi “aperti” ed interattivi per la diffusione e la divulgazione dei saperi. Nell’ambito della storia della medicina, un esempio emblematico della trasformazione del ruolo sociale dei musei può esser rappresentato dal caso dell’antico Wellcome Museum, le cui collezioni sono state riassorbite dal Wellcome Trust come parti integranti di un sistema di diffusione della cultura medica a livello internazionale. Nei principali centri universitari di tutto il mondo, i musei storico-medici vengono ormai inseriti in percorsi didattico-formativi a più livelli, metodologicamente diversificati in base al tipo di pubblico, con visite guidate, laboratori didattici, organizzazione di mostre temporanee. Dedicare un volume monografico ai musei storico-medici significa allora esaminare il loro ruolo culturale in relazione al contesto ambientale e sociale di riferimento, analizzare i servizi didattici che offrono, ed in quale le loro collezioni museali divengano strumenti didattici nell’insegnamento della storia della medicina. Per questo motivo sono stati contattati musei (forse meno noti al pubblico non esperto del citato Wellcome o del Musée d’Histoire de la Medécine di Parigi), ma con servizi didattici e patrimoni museali altrettanto importanti e capillari nel territorio, che si caratterizzano per il loro legame a contesti storici ed ambientali specifici, e che rappresentano differenti impostazioni museologiche, in base alla missione con cui si sono costituiti nel momento della loro fondazione. 7 Introduzione In tal senso, si è voluto analizzare, attraverso la storia delle istituzioni e delle rispettive collezioni, in quale modo i musei di interesse storico-medico contribuiscano alla formazione professionale e culturale in diversi paesi del mondo, in una prospettiva di confronto che valorizzi la specificità di ogni singolo museo sia in relazione all’unicità del patrimonio che possiede, sia per i servizi e l’attività formativa che svolge sul territorio, sia per il valore culturale in sé che apporta alla storia della medicina. Possiamo così delineare tipologie diverse di istituzioni museali in relazione ai nuclei originari delle loro collezioni, ai luoghi in cui sono stati istituiti, al periodo storico in cui sono sorti, alla loro missione originaria. Dai contributi, emerge come il patrimonio dei musei universitari sia costituito da collezioni provenienti da fondi di istituzioni o di privati diversi, allo scopo di allestire un percorso espositivo che rappresenti, quanto più possibile, l’evoluzione del pensiero medico; in tal senso, una differenza sostanziale è data dalla storia dei vari Paesi, per cui i musei di nazioni di nuova costituzione rispetto all’Europa, come il Dittrick Museum di Cleveland, l’Healt Care Museum a Kingstone, il museo di Còrdoba, o l’Adler Museum di Johannesburg, conservano collezioni naturalmente meno antiche dei musei Europei, formate, per lo più, da reperti e strumenti risalenti al XIX secolo. Altri musei sono invece legati ad un nucleo centrale del patrimonio museali, che ne caratterizza criteri espositivi e percorsi didattici, come emerge dai contributi relativi al museo di Bruxelles, o quello di Barcellona, L’Hunterian Museum di Glasgow, il Museo Semmelweis a Budapest, il Museo Medico alla Charité di Berlino, il Musée Fragonard a Parigi, rappresentano esempi di musei legati, nella loro fondazione, a figure emblematiche che hanno segnato la storia della medicina, ai luoghi in cui hanno esercitato ed agli strumenti con cui hanno svolto i loro studi e la loro professione medica. L’organizzazione del percorso museale e dei relativi sistemi di comunicazione sono, quindi, natu8 French And Italian Medicine In Historical And Historiographical Context ralmente incentrati su quelle tematiche storico-mediche che contraddistinguono la natura del museo. Diversa è invece la connotazione museologica che caratterizza l’Old Operating Theatre di Londra, come modello museale fondato sulla specificità storica e di genere di un luogo che, attraverso l’integrità dei contesti ambientali che l’hanno connotato, è divenuto di per se stesso un museo. Anche in questo caso, le strategie di comunicazioni riflettono la peculiarità delle collezioni e dell’impianto museografico, con una didattica hands-on e simulazioni di interventi chirurgici che coinvolgono i visitatori. L’efficacia di un allestimento che ricrei situazioni e luoghi specifici dell’arte medica è testimoniata dall’uso frequente che i musei di storia della medicina fanno delle ricostruzioni di ambiente, una sorta di museo nel museo, che permette una comunicazione immediata ed interattiva. Nel museo di Melbourne, in Australia, dove è stata ricostruita l’antica Farmacia Savory & Moore di Londra, ed in quello dell’Università di Kaunas, in Lituania, dove si è ricreata una farmacia antica, i percorsi didattici prevedono anche dimostrazioni pratiche di come venivano preparati i farmaci; ricostruzioni di ambienti sono presenti anche nel Dittrick Museum, nel Museo dell’Università di Roma, nel Paul Stradins Museum in Lituania, e nel museo di Kiev, in Ucraina. Un’ultima notazione: si è voluto dare spazio, in questa sede, ad alcuni musei storico-medici dell’Europa orientale, in cui si sta ora valorizzando un patrimonio culturale reso nuovamente fruibile solo di recente. Si perdonerà di certo, soprattutto da parte di un pubblico culturale avvertito in materia di museologia scientifica, l’apparente ingenuità d’impianto di alcune di queste realizzazioni museali: le difficoltà storiche hanno fatto sì che solo oggi questi musei inizino a percorrere una strada praticata dalla museologia medica europea almeno a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo. Silvia Marinozzi 9 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 11-35 Journal of History of Medicine Articoli/Articles IL MUSEO DI STORIA DELLA MEDICINA DELLA “SAPIENZA” UNIVERSITA’ DI ROMA PER UNA COMMUNITY INTERUNIVERSITARIA ALESSANDRO ARUTA E SILVIA MARINOZZI Dipartimento di Medicina Sperimentale Sezione di Storia della Medicina “Sapienza” Università di Roma, I. Summary the museum of history of medicine at rome university la sapienza The Museum for the History of Medicine at Rome University has been from its very origins - conceived as a didactic device. In its organization and structure, it embodies a journey through medical history, frorm the remote antiquity to the contemporary age and accounting for continuities and changes. Objects are contextualized through different means - detailed verbal explications as well as new medias. The Museum is thus an institution open to different publics - from sophisticated scholars to young students. Le collezioni Il primo nucleo delle collezioni tuttora fruibili risale, in gran parte, al periodo della fondazione del Museo, tra gli anni ’30 del secolo scorso, quando i reperti furono stipati in due locali sotterranei dell’Istituto di Igiene (fig. 1), ed il 1954, anno dell’inaugurazione della sede definitiva, in Viale dell’Università 34/a1. Si tratta di un nucleo originario composto da oggetti di vario genere concernenti la storia della medicina, arricchito, nel dopoguerra, da nuove e imporKey words: Historical Collections - Medical education - Public programs Museum’s Community 11 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi tanti acquisizioni: prima fra tutte, quella raccolta dal cantante lirico Evan Gorga (1865 – 1957), che ancor oggi costituisce il nucleo principale è più prezioso del Museo. Tenore di successo ed interprete di Rodolfo nella Bohéme di Giacomo Puccini, Gorga, dopo soli cinque anni dagli esordi, decide di abbandonare la lirica, i teatri e la carriera per dedicarsi totalmente al collezionismo: Stanco di creare i suoi fantasmi d’arte con l’aurea fugacità della voce, voleva ad ogni costo avere tra le sue mani febbrili qualcosa che fosse men solubile nell’aria della sua voce d’oro2. Frutto della sua passione, e di sacrifici economici che lo condurranno all’indebitamento, sono le ammirevoli collezioni di strumenti musicali (eccezionalmente esposti a Castel Sant’Angelo in occasione dell’Esposizione Internazionale di Roma del 19113), di oggetti di valore archeologico, quali i reperti di civiltà italiche antiche, ed artistico, come terrecotte, bronzi, vetrerie, ceramiche policrome, marmi, statue, e, per quanto più ci riguarda, di collezioni di interesse scientifico, storico-medico, di sanità e di igiene. La mania di possedere rarità, cresciuta negli anni fino all’inverosimile, accomunata dalla una estrema generosità e da un animus donandi4, conduce inevitabilmente l’artista a contrarre debiti e a dare in pegno parte delle collezioni per far fronte alle pressioni sempre più inflessibili dei creditori. Lo Stato confisca così le collezioni, onde evitare l’alienazione e garantire l’integrità dei singoli oggetti e delle collezioni. Dopo circa 25 anni di giacenza nel sottosuolo della Galleria Nazionale delle Belle Arti, a Valle Giulia, nel 1947 il nucleo dei reperti di natura medico-sanitaria viene riportato alla luce ed assegnato, con l’incarico della catalogazione, a Pazzini per l’Istituto di Storia della Medicina di Roma. Si tratta di circa 8.000 reperti, le cui categorie di maggior rilievo sono costituite da oltre settecento vasi di farmacia, albarelli ed idrie, di manifattura italiana di diversa provenienza, tra cui Faenza, 12 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma Deruta, Caltagirone, Cafaggiolo; farmacie portatili eseguite con rara perizia artigiana tra il XVII e il XIX secolo; oggetti attinenti all’igiene, personale e pubblica; vetrerie alchemiche (circa 600) e farmaceutiche, tra cui vetri azzurri veneziani con ornati a colori, una collezione di bottiglie, dipinte a mano, per la ‘manna’ di San Nicola di Bari, albarelli e rocchetti in vetro di Murano, ciotole, scatole e bottiglie in cristallo; ferri chirurgici di diverse specialità, dalle civiltà pre-classiche all’evo moderno: strumenti di odontoiatria ed ostetricia, lancette, coppette e catini per il salasso, uretrotomi, ernotomi, castratori, cauteri, amputanti, coltelli e tronchesi per le dissezioni anatomiche, alfonsini, del XVI sec. per l’estrazione dei proiettili delle armi da fuoco, strumenti di contenzione, microscopi dei secoli XVII-XIX, di cui alcuni lavorati a mano, ed uno strumentario scientifico utilizzato, in medicina, per le ricerche e per la misurazione dei fenomeni organici; ma anche oggetti di storia materiale, dipinti, mobili ed un’importante collezione di ex-voto del periodo romano5. Un successivo nucleo di reperti, costituente la collezione anticoegizia, si aggiunge alle collezioni Pazzini e Gorga nel 1951. Si tratta di un deposito da parte della Soprintendenza alle Antichità di Torino, composto da alcuni oggetti funerari e relativi all’arte dell’imbalsamazione: vasetti per unguenti ed alimenti, cestelli, stuoie, amuleti e scarabei, due gruppi di statuette raffiguranti le squadre di ‘lavoranti’ per il defunto nell’aldilà, una testa ed una mano di una mummia, rotoli di bende di diverse lunghezze, poggiacapi lignei. Alla fine della seconda guerra mondiale, il numero degli oggetti acquisiti da Pazzini era così aumentato da colmare pienamente i locali sotterranei dell’Istituto di Igiene, tanto da impedire la fruibilità degli spazi. Già dalla fine degli anni ‘30 Pazzini si era adoperato per ottenere una nuova sede dotata di locali adeguati ad ospitare un Istituto con annessa biblioteca e museo. Una folta corrispondenza con i Ministeri del Tesoro e dei Lavori Pubblici6 testimonia la passione e l’impegno del medico romano per raggiungere l’ultimo e difficile traguardo della sua carriera. 13 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi Tra promesse svanite e delusioni, nel 1949, Pazzini riceve la lieta notizia che il Ministero dei Lavori Pubblici ha stanziato una congrua somma di denaro per la costruzione di edifici per opere universitarie. Da qui un ulteriore sforzo alla ricerca di una ditta edile che lavorasse secondo i termini di pagamento differito stabiliti dal Ministero e finalmente, nel 1953, iniziano i lavori che termineranno dopo un anno. Il 13 settembre 1954, dopo uno straordinario lavoro di allestimento del museo e di sistemazione della biblioteca, viene inaugurata, in occasione del XIV Congresso Internazionale di Storia della Medicina, la nuova ed attuale sede dell’Istituto di Storia della Medicina. Viene così a realizzarsi pienamente l’idea di formare un centro di studi e di ricerca dove lo studioso può attingere notizie, sussidi bibliografici, ricerche biografiche, indicazioni iconografiche, e, nello stesso tempo, raccogliere in un museo-documentario tutti quegli oggetti, o loro esattissime riproduzioni che stessero a documentare l’incessante lavorio della scienza dell’arte salutare7. Il centro studi del ’54 Nasce un centro di ricerca del tutto autonomo all’interno della città universitaria. Nell’edificio dell’Istituto di Storia della Medicina, disposto su 4 livelli, il primo ed il secondo piano, nonché gran parte del seminterrato, vengono allestiti per ospitare un percorso espositivo che possa ripercorrere la storia della medicina dall’antichità ai tempi moderni. Il piano terra accoglie invece la direzione la biblioteca, la sala di lettura, una grande aula per convegni e l’archivio, comprendente anche materiale cinematografico ed attrezzature per realizzarlo e proiettarlo8. Tenendo bene a mente l’esempio londinese del Wellcome Museum, Pazzini divide cronologicamente in otto sezioni il suo museo, completandolo nel 1955 con la realizzazione di alcune ricostruzioni d’ambiente9. Il percorso museale del 1954 si suddivide infatti in diverse 14 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma aree tematiche, seguendo un preciso ordine cronologico e concettuale: medicina primitiva, medicina delle prime civiltà, epoca classica, medioevo, rinascimento, seicento, settecento ed ottocento; le ricostruzioni di ambiente ripropongono una piazzetta medioevale, un laboratorio alchemico del XVII secolo, una spezieria del XVIII sec., il vano della strega, la rappresentazione di una visita medica, e la casa del chirurgo; infine, una sala dedicata completamente alla conservazione e alla fruizione della collezione delle ceramiche di farmacia10. Il ricorso ad artifici ricostruttivi di oggetti e strumenti fatti riprodurre fedelmente da abili artigiani, su modelli originali provenienti da diversi musei o da iconografie e descrizioni contenute nei trattati storico-medici custoditi in alcune biblioteche mediche, trova la sua ragione nella necessità di colmare le ovvie lacune di un museo che, vista la propria natura medico-didattica, deve ripercorrere, attraverso la cultura materiale, più di duemila anni di evoluzione medica. Del resto, il largo spazio che ancor oggi viene destinato alle copie di opere antiche, artistiche e non, nel museo romano della Sapienza, è indice della permanenza della forte valenza didattica di queste nel tempo. Il risultato ottenuto è un ‘museo documentario’ unico nel suo genere, che sviluppa diacronicamente le tematiche mediche, attraverso oggetti in parte originali ed in parte ricostruiti che determinano una singolare e stimolante interrelazione tra il reale e l’irreale (fig. 2). Ad integrare ulteriormente il patrimonio del Museo, vengono poi acquisite, poco dopo, le collezioni Sarnelli e Neuschuler: la collezione, appartenuta al medico e arabista Tommaso Sarnelli, fondatore del Centro Studi di Etnoiatrica, viene donata nel 1959 dall’Istituto Universitario Orientale di Napoli, e comprende erbe medicinali in genere suddivise in droghe vegetali e minerali, incensi e alcune tipologie di contenitori11; la collezione Neuschuler è invece costituita da vasi da farmacia e strumenti di oculistica legati all’attività dello specialista. Lo scopo fondante di Pazzini si esplica nella costruzione di un efficace strumento didattico, che possa non solo coadiuvare studiosi, 15 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi studenti e professori della facoltà Medica nella conoscenza della storia della medicina, ma anche stimolare e comunicare ad un pubblico non esperto: la suddivisione del percorso espositivo in diverse aree tematiche, la riproduzione dello strumentario medico che colmasse la mancanza di reperti originali, la ricostruzione di ambienti e di scene illustrative di specifiche pratiche mediche, l’acquisto e la realizzazione di busti e ritratti dei principali “protagonisti” della storia della medicina, concretizzano il disegno progettuale di un Museo che, unico in Italia, rappresenti, ed insegni, l’evoluzione del sapere medico. La didattica riveste un ruolo fondamentale nel Museo di Storia della Medicina della Sapienza, sin dalla sua fondazione. La ricerca di nuovi criteri di comunicazione è già viva nel DNA del museo sin dalle origini, quando Pazzini organizza seminari, congressi e visite guidate, ed elabora nuove strategie didattico-divulgative ‘fatte in casa’, come la realizzazione di filmati video che toccano gran parte degli aspetti della storia della medicina di allora. Di recente si è provveduto a riversare le vecchie ‘pizze’ in formato digitale DVD, sino alla costituzione di una piccola videoteca storica del Museo e della Sezione di Storia della Medicina, ora totalmente fruibile. Tra le produzioni cinematografiche ‘artigianali’ realizzate, di particolare interesse è il video incentrato sul museo, che, assemblando alcuni ‘spezzoni’, ripropone l’intero percorso museale nel suo primo allestimento nell’attuale edificio. Il video, importante di per se stesso per il proprio valore documentario, risulta oggi utile come strumento storico e museologico, poiché permette una comparazione tra i criteri dell’epoca della sua fondazione con le attuali tecniche e strategie allestitive e comunicative dell’odierna museologia scientifica, per una ricostruzione di una sorta di storia della museografia e della museologia. Si evince come la metodologia teorica di un approccio multidisciplinare per l’insegnamento e lo studio della storia della medicina abbia trovato, in Pazzini, una ricaduta immediata in una scelta museologica definita: il filmato Arte e Medicina, proponendo in chiave cronologica una rassegna iconografica di scene di pertinenza 16 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma medica, sia di patologie che di interventi terapeutici, ne offre un valido esempio12. Fig. 1 - Allestimento del Museo di Storia della Medicina nei locali dell’Istituto di Igiene (1938) 17 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi Fig. 2 - Museo di Storia della Medicina, I Piano (1954) Il museo oggi Eccetto una parziale rivisitazione avvenuta intorno alla metà degli anni ’60 del secolo scorso, l’impianto allestitivo e la ratio museologica originaria permangono nel Museo di Storia della Medicina per oltre un ventennio, sino alla morte del suo fondatore, sopraggiunta nel 1975. Si assiste, da questo momento in poi, ad un lento declino, che compromette seriamente la conservazione e la fruizione delle collezioni. Solo nella seconda metà degli anni ’90, grazie all’iniziativa dell’attuale Direzione Scientifica, le sorti del Museo iniziano a cambiare: l’attribuzione di fondi speciali per i musei d’Ateneo, in occasione dei 700 anni della Sapienza e l’impegno di un gruppo di ricerca dotato di elevate competenze scientifiche (e di senso del volontariato), nella realizzazione di progetti di finanziamento mini18 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma steriali (MiUR, Legge 6/2000 “Iniziative per la diffusione della cultura scientifica”)13, permettono alla struttura di risorgere. Si avvia così un processo di riqualificazione che, oltre ad interventi di restauro, ha previsto un lavoro di rivisitazione allestitiva e di aggiornamenti didattico-scientifici, e predisposto un programma di inventariazione, schedatura e catalogazione degli oggetti appartenenti alle varie collezioni. Nella versione attuale, il Museo di Storia della Medicina mostra chiaramente i segni delle trasformazioni avvenute nel tempo, ed appare profondamente rinnovato nelle tecnologie, negli approfondimenti scientifici e, soprattutto, nella missione educativa, conser- Fig. 3 e 4 - Museo di Storia della Medicina, I Piano (2000) 19 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi Fig. 5 e 6 - Museo di Storia della Medicina, II Piano (2005) vando, al tempo stesso, l’impronta didattico-documentaria originaria. Il percorso museale è articolato su tre piani ed è progettato come itinerario di un viaggio che, attraverso l’esposizione permanente di oggetti, reperti e strumenti medici e scientifici delle diverse epoche, permetta al visitatore di scoprire e seguire l’evoluzione del pensiero medico occidentale nella storia14. Per una nuova didattica Negli ultimi anni è andato sempre più affermandosi in Italia il valore “educativo” dei beni culturali ed ambientali, soprattutto in seguito alla Legge 59/1997, resa esecutiva con il Decreto Legislativo 112 del 1998, che, nel conferire funzioni e compiti amministrativi dello 20 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma Stato alle Regioni ed a Enti Locali, definisce ambiti e funzioni dei Beni Culturali ed Ambientali nella tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio e per la promozione e le attività culturali ad esso inerenti. Si propone, quindi, una distinzione tra beni ed attività culturali, intese come l’insieme delle azioni “rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte”, e tra valorizzazione, come attività di conservazione e di incremento della loro fruizione, e promozione, “diretta a suscitare e a sostenere le attività culturali”, ossia a diffondere cultura nel territorio (articolo 148). Va inoltre considerata l’incidenza che la normativa sull’istruzione primaria e secondaria, nota come “riforma Moratti”, ha avuto nello stimolare attività educative e culturali nei musei: l’implemento della formazione tecnologica (l’informatica), delle lingue straniere (l’inglese ed altra lingua della comunità europea) e l’inserimento di discipline professionalizzanti, ha comportato la riduzione dei programmi scolastici per le materie umanistiche, demandando agli enti territoriali di tutela del patrimonio culturale ed ambientale, ed in particolar modo ai musei civici e statali, il compito di collaborare nella formazione scolastica grazie a percorsi museali che permettano l’approfondimento di specifiche tematiche storiche, artistiche, letterarie e storico-scientifiche. E’ quanto chiaramente espresso anche dal Codice dei Beni culturali ed ambientali del 2004, che definisce il museo come “struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio” (art. 101) e che ribadisce, nell’articolo 119, l’importanza di convenzioni per l’elaborazione di percorsi didattici per le scuole e materiali di studio per l’aggiornamento dei docenti. Le visite ai musei sono, infatti, ormai abitualmente inserite nei piani delle varie P.O.F. delle scuole, che prevedono l’utilizzo dei musei come strumenti attivi nell’ambito della formazione scolastica determinando così la necessità di una collaborazione tra insegnanti e personale delle istituzioni territoriali per la formazione culturale, storica e civica degli studenti. La “missione educativa” dei musei si 21 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi evince, infatti, dalla progettazione e redazione dei curricoli disciplinari delle suole, che si avvalgono dei servizi didattici e culturali offerti dal personale del museo, che viene così assumendo un ruolo di complementarietà nella formazione scolastica, ma anche di diffusione e divulgazione del sapere per i cittadini. Esemplificativa di tale concetto è la definizione fornita dall’ICOM (International Council of Museums) di “museo” come un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico e che fa ricerche sulle testimonianze materiali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, le comunica e soprattutto le espone a fini di studio, di educazione e di diletto: luogo di comunicazione, quindi, di trasmissione della propria cultura attraverso contenuti strutturati e divulgati sulla base di un’elaborazione scientifica che miri a restituire, in tal modo, un patrimonio storico alla collettività che lo ha prodotto. Censire, raccogliere, catalogare ed esporre reperti presuppone, e comporta, un lavoro di ricerca scientifica sulle collezioni, sulla loro storia, un sapere specialistico, insomma, che si abbini anche a competenze museologiche tali da render possibile individuare le diverse prospettive con cui l’oggetto può esser analizzato, e quindi valutato, a secondo dell’impostazione critica e di ricerca che si persegue: semiofori e significanti di specifiche categorie concettuali, i reperti raccontano così le diverse e molteplici storie che li hanno prodotti in relazione a contesti storici e culturali di cui si fanno testimonianza. Ma a questi saperi “esperti”, perché i musei divengano strumenti attivi per la formazione culturale, deve potersi affiancare una professionalità didattica, l’abilità di tradurre contenuti scientifici in un linguaggio accessibile al pubblico inesperto. I beni culturali divengono quindi strumenti ed obiettivi dell’intervento didattico, svolto attraverso la fisicità degli oggetti: la missione educativa del museo, importante quanto la ricerca e la 22 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma conservazione, si concretizza nell’attività didattica che viene svolta negli spazi museali, con la formazione di mostre ed esposizioni tematiche nonché di specifici percorsi museali (tra qui quelli ambientali) che risultino efficaci nell’immediatezza comunicativa, in modo da stimolare gli utenti all’approfondimento di argomenti, discipline e saperi di cui il museo si fa portavoce. Per “comunicare” la propria cultura il museo deve considerare il contesto sociale, storico e territoriale in cui si colloca, nonché considerare il proprio ruolo all’interno di eventuali reti e sistemi museali, trovando nuove strategie di comunicazione atte a valorizzare e far conoscere il rispettivo patrimonio culturale. L’impostazione tradizionale dell’uso dei musei da parte delle istituzioni educative e formative, da sempre tese all’organizzazione di visite ai nei musei civici e di arte, potrebbe però comportare il rischio di ridurre la didattica museale al patrimonio artistico, archeologico ed architettonico, trascurando così “beni culturali” di rilevante importanza formativa ed educativa, come quelli naturalistici ed ambientali, e quelli scientifici e tecnologici, inclusi tra i “Beni oggetto di specifiche disposizioni di tutela” nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali del 1999. Si rende pertanto necessaria la costituzione di una “didattica museale” come metodologia e disciplina che miri al coinvolgimento degli utenti per comunicare concetti e contenuti di specifici beni culturali ed ambientali. L’attività didattica diviene un servizio fondamentale per colmare il divario tra la proposta museale ed i diversi destinatari cui è rivolta, perché ogni museo possa comunicare il proprio patrimonio culturale. La tradizionale metodologia della didattica orale, ossia delle visite guidate, e scritta (come i depliant che presentano le collezioni, le monografie, o lo stesso corredo grafico e didascalico che accompagna gli oggetti), viene oggi affiancata da una didattica tecnologica, (da supporti multimediali ed interattivi inseriti nel percorso espositivo e da siti internet di musei e e/o collezioni), e dal 23 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi laboratorio, ossia da attività che coinvolgano i visitatori, per meglio comunicare i contenuti salienti del patrimonio museale. E’ in tale prospettiva che, tra il 1998 ed il 2005, si è proceduto alla ristrutturazione ed al riallestimento del Museo di Storia della Medicina, con nuove strategie espositive e didattiche: l’impostazione museografica del secondo piano del Museo ha previsto criteri di comunicazione, di immediatezza ed essenzialità, con brevi spiegazioni didascaliche inserite in un contesto grafico che si è avvalso di molte immagini e di diverse gamme cromatiche. In particolare, sono state inserite postazioni video, con materiale audiovisivo e supporti multimediali didattico-divulgativi sui principali temi della storia della medicina e sui rapporti tra scienze biomediche e società, che integrano l’esposizione dei reperti e dello strumentario in un percorso museale progettato come strumento di comunicazione e di didattica della medicina e delle problematiche, passate ed attuali, che ne hanno condizionato evoluzioni e permanenze. Sono stati appositamente realizzati video, filmati e touch-screen che, oltre a comunicare specifiche tematiche, permettono una maggiore interattività, e quindi un incentivo alla partecipazione ed all’apprendimento. Tra le postazioni digitali particolare interesse riveste il touch screen relativo alla storia di alcune malattie infettive, che è tra i più consultati, forse proprio per la forte impostazione didattica e per la sua interattività, strutturato in modo da illustrare la storia delle malattie in relazione alle conoscenze acquisite nel tempo sulle rispettive cause eziologiche, la loro diffusione temporale e geografica, nonché la dimensione simbolica e l’influenza che hanno esercitato a livello culturale, istituzionale e sociale nei secoli. Uno dei lavori che ha maggiormente impegnato lo staff della Sezione di Storia della Medicina è stata, inoltre, la progettazione del video inserito nella sezione dedicata alla Medicina Sperimentale. Il filmato inizia con una spiegazione di Mirko Grmek sulla nascita e sviluppo della Medicina Sperimentale, grazie alla concessione dei diritti della RAI. Della Sezione di Storia 24 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma della Medicina è stata invece la progettazione della seconda parte del filmato, appositamente realizzata in formato 3D per il nostro Museo, in cui si possono seguire tutte le varie fasi che portarono Claude Bernard a scoprire e poi dimostrare la funzione glicogenica del fegato, con audio che recita il testo originale dell’articolo da lui stesso pubblicato nel 1855 Sul meccanismo della formazione dello zucchero nel fegato. Questo filmato è risultato avere una notevole capacità didattica per gli studenti dei corsi di laurea della Facoltà di Medicina e delle scuole medie superiori, così come grande interesse suscitano i video inerenti le attuali tecniche diagnostiche e la trapiantologia nella sezione del Museo dedicata alle nuove tecnologie. L’ approccio interattivo è risultato particolarmente efficace per gli studenti delle scuole, stimolati a passare dall’osservazione all’azione, da una ricezione passiva ad una manipolazione diretta che rende immediatamente comprensibili i fenomeni, che permette un approccio trasversale, multidisciplinare ed interattivo ai visitatori, di attestata efficacia didattica. I servizi di un museo rinnovato Il Museo di Storia della Medicina è divenuto, negli ultimi anni, un punto di riferimento non solo per studenti e ricercatori della Facoltà di Medicina della Sapienza, ma anche per altre istituzioni sul territorio nazionale e non, con una crescente richiesta di prenotazione di visite guidate, ricerche tematiche, materiale di studio. E’ in questa prospettiva che lo staff del Museo di Storia della Medicina ha predisposto nuove strategie di comunicazione e divulgazione, offerte di servizi bibliografici, consulenze, postazioni multimediali. In particolare, in accordo con la programmazione didattica delle scuole medie inferiori e superiori, il Museo offre visite guidate generiche o tematiche durante l’intero anno scolastico, con maggiore concentrazione nei mesi compresi tra febbraio e maggio. In occasione di eventi speciali come la Settimana della Cultura Scientifica 25 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi e Tecnologica, il Museo aderisce con allestimenti di mostre temporanee e seminari organizzati per gli studenti, per promuovere una sensibilizzazione ed un approfondimento di particolari aspetti medico-scientifici. A supporto del singolo visitatore sia italiano che straniero e per incrementare i servizi strettamente legati all’offerta didattico-museale, lo staff del Museo di Storia della Medicina ha da poco realizzato un’audioguida sia in italiano che in inglese con mappe grafiche di percorso, che permette di guidare l’utente attraverso le varie sezioni in cui si articola il percorso museale, fornendo spiegazioni sui reperti esposti ed integrandoli nel rispettivo contesto storico-medico. Per far conoscere il museo, illustrando e comunicando il nostro patrimonio museale e per divulgare i contenuti didattici espressi, è stato realizzato un CD-Rom strutturato in aree tematiche corrispondenti a quelle in cui è suddiviso il percorso espositivo, per permettere all’utente di scegliere la visualizzazione di immagini o filmati in base a specifiche tematiche o periodi storici Le informazioni logistiche e le attività della Sezione di Storia della Medicina sono pubblicizzate nel sito www.histmed.it, in cui è stato predisposto uno spazio per il Museo, con gallerie fotografiche, visite virtuali e filmati del percorso espositivo, e con l’indicazione dei vari servizi offerti, dei calendari delle attività e delle manifestazioni organizzate in collaborazione con altri enti o da altri musei. Il sito ha tra gli obiettivi principali quello di presentare la Sezione e le sue attività didattico-scientifiche, nel rispetto dell’immagine istituzionale dell’Università “la Sapienza” di Roma e di rendere maggiormente visibile il patrimonio rappresentato dalle diverse collezioni del Museo. Il sito diventa quindi un utile supporto didattico per i giovani e per le scuole al fine di poter costituire uno stimolo di approfondimento culturale e di visita alla struttura, nonché contatto con il personale didattico per lo sviluppo di programmi formativi generici e specializzati. Inoltre consolida e rafforza la visibilità 26 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma dell’Università romana, della Sezione di Storia della Medicina e del Museo, integrandone, tramite la rete internet, la tradizionale immagine con le nuove tecnologie messe a disposizione dal mondo digitale. A tali finalità mira anche lo spazio destinato dal portale della Sapienza Università di Roma al Polo Museale Sapienza, all’interno del quale ogni museo d’Ateneo gestisce uno propria pagina per la comunicazione di eventi, diffusi anche attraverso la mailing list dell’Università15. Il ruolo attivo svolto dal Museo di Storia della Medicina nel dibattito museologico-medico-scientifico internazionale è testimoniato, infine, dal coordinamento scientifico relativo alla parte dedicata alla museologia medica all’interno della rivista Medicina nei Secoli. Si tratta di uno spazio editoriale di ampio respiro che permette ai musei storico-medici di tutto il mondo di condividere informazioni, proposte, problematiche ed aspettative inerenti la valorizzazione del patrimonio tecnico-scientifico. Dal museo statico al museo dinamico: il Museo di Storia della Medicina come un nodo tra sistemi Un confronto tra l’attuale criterio allestitivo del Museo e la versione pazziniana del ’54, mostra chiaramente quanto quest’istituzione sia cambiata nel tempo e conforta l’idea che i musei, così come gli allestimenti temporanei, siano in realtà organismi vivi e mutevoli. I musei, infatti, nel rispecchiare il corso del tempo e delle società da un lato, e le diversità storiche, sociali e legislative esistenti tra gli Stati dall’altro, mutano diacronicamente e sincronicamente il loro modo di apparire e di trasmettere informazioni, conoscenze e sensazioni. In questo divenire cambiano le scelte museologiche, museotecniche e, quindi, i modi di comunicare. Le nuove tecnologie informatiche permettono di modernizzare le forme di conservazione e catalogazione, le modalità di esposizione di materiali e contenuti. Si creano quindi nuovi rapporti tra gli oggetti visibili fisicamente nel museo 27 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi e altri appartenenti ad altre istituzioni culturali. Tale processo ha comportato un aumento della complessità gestionale, il cui elemento maggiormente innovativo risiede nella volontà di stimolare la cooperazione tra gli attori del settore museale sia pubblici che privati e, ancor prima, tra le organizzazioni museali stesse, dando vita a nuove realtà organizzative quali le reti o i poli museali a vari livelli. In tale ambito, fondamentale è stato il ruolo svolto dal Museo di Storia della Medicina nella istituzione del Polo Museale Sapienza che, dopo anni di lavori e proposte, viene approvato e regolamentato recentemente e in maniera definitiva con Decreto Rettorale, prendendo a modello una proposta presentata dalla Direzione Scientifica del Museo di Storia della Medicina al Gruppo di lavoro per i Musei della Sapienza16. Il Polo Museale Sapienza trova la sua ragion d’essere nella necessità di determinare una progressiva integrazione tra i ventuno musei universitari, al fine di ottimizzare l’uso delle risorse e di realizzare un itinerario museale multidisciplinare che, unendo i saperi e le competenze specialistiche di discipline eterogenee, valorizzi il patrimonio culturale dell’Ateneo. I traguardi a cui il Polo Museale Sapienza tende nel breve e lungo termine sono: il raggiungimento di un maggiore coordinamento tra le istituzioni museali e gli archivi storici; la necessità di progettualità unitaria per gli sviluppi futuri da intendersi in primo luogo come possibilità di redigere progetti di finanziamento sopranazionali a largo spettro che coinvolgano non più solo il singolo museo ma determinino una sinergia tra intere aree museali d’Ateneo; la gestione unitaria dei rapporti con l’esterno e quindi la necessità di visibilità esterna ed identità unitaria. L’istituzionalizzazione dell’interazione tra i musei dell’Ateneo, determinata dalla nascita del Polo Museale Sapienza, rappresenta però solo il primo livello d’intervento a cui si auspica faccia seguito l’impegno di ogni singolo museo nell’avanzare proposte concrete, rivolte alla valorizzazione e alla comunicazione dei beni culturali di 28 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma cui sono custodi. In tale direzione è da inquadrare la nuova iniziativa che vede il Museo di Storia della Medicina intervenire per la tutela, la salvaguardia e la divulgazione delle collezioni appartenenti all’area museale bio-medica del Polo Museale Sapienza, con impegno diretto nella redazione di progetti miranti all’ottenimento di finanziamenti che permettano di ‘musealizzare’ le collezioni storico-mediche presenti nella I Facoltà di Medicina e Chirurgia della Sapienza Università di Roma17. L’idea di potenziare il livello di approfondimento specialistico delle tematiche mediche affrontate lungo il percorso didattico del Museo di Storia della Medicina, unita alla necessità di salvaguardare, e rendere fruibile al pubblico, parte del patrimonio medico-scientifico ancora poco conosciuto della Sapienza Università di Roma, rappresentano le motivazioni di fondo della nuova proposta progettuale, che tiene conto sia delle esigenze di un’utenza allargata (non necessariamente specialistica) sempre più interessata ad acquisire conoscenze mediche ‘di settore’; sia dalla reale possibilità di rispondere a tali richieste coinvolgendo la I Facoltà di Medicina e Chirurgia della Sapienza Università di Roma. A tal riguardo, è da tenere presente che la I Facoltà di Medicina e Chirurgia della Sapienza custodisce, all’interno dei Dipartimenti ad essa afferenti, un significativo numero oggetti e strumenti medico-scientifici che testimoniano le importanti fasi dell’evoluzione specialistica delle scienze mediche. Tali oggetti, a cui è attribuibile un importante valore didatticoscientifico e storico-documentario, si raggruppano principalmente intorno all’area della Dermatologia, dell’Urologia, Malattie infettive, Ginecologia, dell’Anatomia e dell’Oculistica. Con il progetto proposto, il Museo di Storia della Medicina intende realizzare ed organizzare, all’interno del proprio percorso, alcuni ‘spazi di approfondimento’ a cui fanno riferimento altrettante ‘enclavi specialistiche’, fisicamente collocate nei rispettivi Dipartimenti, interni alla Facoltà di Medicina e Chirurgia. La natura, i materiali e la storia 29 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi degli oggetti che si intende ‘musealizzare’ è varia, e chiaramente discende direttamente dalla specialità medica di riferimento: essi vanno dai modelli in cera di parti anatomiche riproducenti malattie dermatologiche molto diffuse nel passato, a modelli anatomici didattici in cartapesta con alto valore artistico; dagli strumenti urologici di inizio XIX secolo a quelli ginecologici ed oculistici. Consci delle difficoltà e dei tempi che la completa attuazione di tale progetto richiede, la strada da intraprendere è di certo quella di procedere per gradi di intervento distribuiti in un arco di tempo pluriennale: occorre partire da una prima fase di ricognizione, recupero e inventariazione degli oggetti e strumenti medici specialistici all’interno dei Dipartimenti della Facoltà di Medicina, per poi passare alla sistematizzazione, alla catalogazione informatica degli stessi secondo la normativa PST (patrimonio scientifico e tecnologico) in ambiente SiGeC, il tutto ricercando parallelamente documenti d’archivio ad essi legati; una seconda fase di interventi comporta la ricerca, la bonifica e l’adeguamento alle norme in materia di sicurezza degli ambienti da destinare all’esposizione (coinvolgendo la Soprintendenza e l’ICR), a cui segue la progettazione museologica e museotecnica dell’intero sistema espositivo ruotante intorno al Museo di Storia della Medicina; un ultimo intervento comporta l’elaborazione di un percorso didattico unitario, di pacchetti didattici diversificati per tematiche e tipologia di visitatore, e lo studio delle dinamiche comunicative, comprensivo della pubblicazione di una “guida alla visita dei musei e alle collezioni dell’area bio-medico della Sapienza Università di Roma”, corredato di immagini, informazioni scientifiche sullo strumentario, mappe dei percorsi e collegamenti con le principali istituzioni nazionali ed internazionali di settore. Tale guida, costituendo un progetto pilota per le altre quattro aree museali (Area Archeologica, Arte Contemporanea, Naturalistica e Scientifico-Tecnologica) appartenenti al Polo Museale Sapienza, 30 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma potrebbe rappresentare, in prospettiva futura, il primo capitolo di un volume dedicato all’intero Polo Museale Sapienza. A tale progetto che, secondo un approccio museologico outreach, mira ad allargare il percorso museale invitando il visitatore a recarsi presso strutture esterne al Museo di Storia della Medicina, al fine di ottenere un livello di approfondimento scientifico più esaustivo, si aggiungono, in maniera complementare, le numerose iniziative che tendono ad ‘importare’ all’interno delle strutture del Museo alcune attività solitamente svolte altrove18. Tra le tante iniziative si ricordano i laboratori didattici interattivi temporaneamente allestiti in occasione di eventi scientifici o concordati con gli Istituti Secondari per finalità didattiche e di orientamento per gli studenti che, di lì a poco, si accingono a scegliere il corso di studi universitario da intraprendere. In questi ultimi giorni, ad esempio, in occasione della XIX settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica, evento predisposto con cadenza annuale dal MIUR, il Museo di Storia della Medicina ha organizzato due giornate dedicate all’analisi e all’applicazione delle metodologie di estrazione del DNA antico e moderno: la prima, “interagire col passato: la paleopatologia e le recenti metodologie di estrazione del DNA da reperti biologici antichi”, in cui partendo dalla sezione del museo dedicata alla paleopatologia, i visitatori sono condotti presso i laboratori del Dipartimento di Medicina Sperimentale, all’interno del Policlinico Umberto I, per imparare a riconoscere i ‘segni antichi’ delle malattie, attraverso l’utilizzo delle più recenti tecniche diagnostiche del settore; la seconda, “interagire col presente: il Museo di Storia della Medicina come laboratorio didattico per l’estrazione del DNA”, in cui la visita al museo di Storia della Medicina si conclude con il coinvolgimento diretto degli studenti, grazie all’intervento di un esperto di medicina molecolare che guida alcuni di essi all’utilizzo di tutti gli strumenti necessari per l’estrazione del DNA. 31 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi L’organizzazione di eventi scientifici d’attualità miranti al diretto coinvolgimento dei visitatori implica, chiaramente, per il Museo di Storia della Medicina, la reale possibilità di disporre di ‘spazi dinamici’ da destinare a tematiche ed utenti che cambiano nel tempo. Per tale ragione, oltre alla già esistente sezione dinamica dedicata all’applicazione delle nuove tecnologie bio-mediche, dotata di espositori e punti video ‘rivisitabili’, è in fase di progettazione una nuova area, interna al secondo piano, esclusivamente dedicata all’allestimento di mostre temporanee, ad exhibit e ad esperienze hands on. Si prevede infatti che l’area in questione, attraverso l’esposizione temporanea di oggetti, libri, video e materiale interattivo di natura storico-medica, sia antico che tecnologico, sia di proprietà della Sezione di Storia della Medicina che richiesto in prestito ad altre istituzioni culturali, possa rappresentare un ulteriore elemento di approfondimento per convegni, iniziative ed eventi. Inoltre, tale sezione, dotata di espositori, illuminazione e punti video modulabili ed adattabili alle mutevoli necessità di allestimento che si presentano in itinere, potrebbe anche costituire una buona occasione per favorire un primo livello d’interazione tra i musei, e quindi tra il personale ad essi addetto, del neonato Polo Museale Sapienza. Ma in questo caso, affinché ciò diventi realisticamente realizzabile, sarebbe auspicabile che ogni museo del sistema Sapienza contemplasse uno spazio dinamico specifico, da destinare alle mostre temporanee e all’interazione con gli altri musei. Ad esempio, ogni museo potrebbe esporre, oltre ai propri, anche oggetti, video e testi scritti appartenenti ad altri musei del sistema, in modo da permettere un’apertura multidisciplinare verso la tematica affrontata. In tal modo ogni museo, oltre a diventare un potenziale link per gli altri (promozione reciproca), svolgerebbe una parte attiva nell’iniziale processo di promozione del sistema museale della Sapienza (promozione di un’identità unitaria). 32 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma Un’auspicata apertura Tutto quanto realizzato o auspicato per il Museo di Storia della Medicina e, in prospettiva più ampia, per i musei della Sapienza Università di Roma ha come scopo ultimo (da raggiungere nel tempo), quello di avviare un nuovo corso per i musei universitari, ancora purtroppo poco conosciuti perché spesso superficialmente legati ad un’idea di museo ‘chiuso’ e per esperti del settore. Invertire tale tendenza o l’opinione che di essa si ha, significa rendere tali istituzioni realmente attive nello scenario dell’offerta culturale internazionale. Il perseguimento di tale risultato rappresenta la sfida che gran parte dei musei universitari italiani intraprende già da qualche anno, e per la quale occorre ‘aprirsi’ e condividere saperi scientifici, cultura materiale e problematiche del singolo verso l’esterno: l’istituzionalizzazione di una community interuniversitaria dei poli museali rappresenterebbe sicuramente una solida base su cui far leva per garantire e esaltare le diversità sociali, storico-politiche, didattico-scientifiche e museologiche delle ‘cellule’ di cui si compone; allineare e confrontare le scelte in materia di tutela, conservazione, valorizzazione e promozione dei beni culturali; contestualizzare il messaggio culturale del singolo, nel più ampio panorama museologico che unisce trasversalmente le arti e i saperi dell’uomo. Appartenere al gruppo dei musei universitari diventerebbe quindi segno distintivo di eccellenza e di elevati standard qualitativi e gestionali. bibliografia e note 1. Per maggiori approfondimenti sulle vicende legate alla nascita dell’Istituto, del Museo di Storia della Medicina e alla figura del suo fondatore, Adalberto Pazzini, cfr. CONFORTI M., Adalberto Pazzini e le origini dell’Istituto di Storia della Medicina. Medicina nei Secoli 2006; 18. 1: 297-312. 2. VITI G. M., Evan Gorga e le sue grandi collezioni, Roma, Stabilimento Tipografico Editoriale Romano “S.P.E.” 1926, p.11. 33 Alessandro Aruta e Silvia Marinozzi 3. Per maggiori dettagli sull’Esposizione Internazionale di Roma del 1911 cfr. Esposizione Internazionale di Roma 1911, Guida Generale delle Mostre Retrospettive in Castel Sant’Angelo. Bergamo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche, 1911 4. VITI G. M., Evan Gorga, op. cit., p.20. 5. Cfr. STROPPIANA L., Un po’ di storia a mo’ d’introduzione. In: Il Museo Documentario nel giudizio di competenti italiani e stranieri. Roma, Istituto di Storia della Medicina, 1960, pp. 3-10 6. Archivio Pazzini, pro memoria sulla costituzione di un Istituto. Roma, Istituto di Storia della Medicina. 7. Cfr. PAZZINI A., L’istituto di Storia della Medicina della R. Università di Roma. Quaderni Italiani; serie VIII. Roma, I.R.C.E., 1943, p. 3. 8. Parte del materiale cinematografico realizzato dal Professor Pazzini è stato riversato recentemente su supporto digitale. Attualmente è possibile visionare i contribuiti filmici presso la Sezione di Storia della Medicina. Sull’argomento cfr. ARUTA A., DE ANGELIS E., L’archivio e la videoteca della Sezione di Storia della Medicina dell’Università di Roma. Medicina nei Secoli 2006; 18.1: 269-280 9. Per quanto riguarda il modelli museologici a cui Adalberto Pazzini fa riferimento nell’allestimento del Museo di Storia della Medicina cfr. ARUTA A., Le collezioni museali come fonti per la ricerca storico-medica: un caso italiano. In: MOTTA G. (a cura di), In bona salute de animo e de corpo. Milano, Franco Angeli, 2007, pp. 262-272. 10. Per una accurata e fedele ricostruzione dell’ambiente museale si rimanda a PAZZINI A. Il museo. Roma, Arti grafiche Cossidente, 1958. 11. La nascita dell’etnografia, gli studi sulle tradizioni popolari e sul primitivismo, caratterizzanti lo scenario antropologico europeo tra Otto e Novecento hanno di certo influenzato le scelte adottate da Pazzini nella strutturazione del Museo. Sull’argomento cfr. PUCCINI S., L’Itala gente dalle molte vite. Lamberto Loria e la Mostra di Etnografia italiana del 1911. Roma, Maltemi, 2005; ARUTA A., Un’‘idea’ di museo: la nascita del Museo di Storia della Medicina dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. Medicina nei Secoli, 2007; 19,3: 833-849. 12. Cfr. ARUTA A., DE ANGELIS E., L’archivio, op. cit. nota 8, 13. La legge 6/2000 per la diffusione della cultura scientifica, permette la redazione di progetti annuali volti alla promozione di attività museologiche, all’organizzazione di eventi, seminari, mostre temporanee e visite guidate tematiche per le scolaresche e gruppi di studio, all’interno del Museo e, in generale, delle Istituzioni Culturali che ne fanno richiesta. 34 Il museo di storia della medicina della “Sapienza” Universita’ di Roma 14. Per maggiori approfondimenti sulla recente rivisitazione degli allestimenti e sull’attuale percorso didattico del Museo di Storia della Medicina cfr. MARINOZZI S., ARUTA A., Un percorso museale per la storia della medicina. Medicina nei Secoli 2005; 17, 3: 823-836. 15. Cfr. l’indirizzo web http://www.uniroma1.it/musei/indexmusei2.asp 16. Per un approfondimento sulla natura e sulle vicende che hanno portato all’istituzione del Polo Museale Sapienza cfr. ARUTA A., Nuovi obiettivi per i musei della Sapienza Università di Roma. Medicina nei Secoli, 2008; 20,1: 351-380. 17. Il Polo Museale Sapienza è attualmente articolato in cinque aree di coordinamento museale. Per maggiori dettagli cfr. ARUTA A., Nuovi obiettivi, op. cit. nota 16. 18. Sugli approcci museologici outreach e inreach cfr. CORSANE G., DAVIS P., ELLIOT S., Liberating museum action and heritage management through ‘inreach’: Could a democratic curating process model based on ecomuseology be implemented in Turkey. Documento presentato alla Terza Conferenza Internazionale degli Ecomusei e dei Musei Comunitari, Rio de Janeiro, 13-17 September 2004. Correspondence shoul be addressed to: Alessandro Aruta, Silvia Marinozzi, Sezione di Storia della Medicina, Dipartimento di Medicina Sperimentale, “Sapienza” Università di Roma, Viale dell’Università 34\a – 00185 Roma , Italia. 35 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 37-56 Journal of History of Medicine Articoli/Articles FRAGONARD’S ECORCHÉS IN THE CONTEXT OF A NEW PROJECT FOR A HISTORICAL MUSEUM OF VETERINARY MEDICINE Christophe Degueurce* Jonathan Simon**, *Directeur du Musée de l’Ecole vétérinaire d’Alfort, F. **Maître de conférences, LEPS, Université de Lyon, F. SUMMARY This article presents a brief history of the collection held at the National veterinary school in Maisons Alfort, France. We consider the place of Fragonard’s anatomical preparations with particular attention, but also try to understand the evolution of the whole collection from its origins in the Enlightenment to the twenty-first century. We discuss the recent museological choices made by the museum’s current director. In particular, we contextualize the idea of presenting the museum close to the form it took a century ago. We also present the current research and teaching associated with the museum, underlining its integration into the veterinary school. Introduction In the autumn of 2007, the Musée Fragonard closed its doors to the public to undergo a long and costly renovation. In the end, this will mark the definitive closure of the museum under this name because when it re-opens in September 2008 it will no longer be the Musée Fragonard but the Museum of the Maisons-Alfort Veterinary School (MévA, Musée de l’Ecole Vétérinaire de Maisons Alfort). While the collection of objects presented to the public will remain substantially Key words: History – Museum – Medicine - Veterinary science 37 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 57-74 Journal of History of Medicine Articoli/Articles The Medical Collections at the University of Glasgow Maggie Reilly and Stuart W. McDonald* Curator of the Zoology Museum, Graham Kerr Building, Faculty of Biomedical and Life Sciences, University of Glasgow, Scotland, UK. * Senior Lecturer in Anatomy, Laboratory of Human Anatomy, Faculty of Biomedical and Life Sciences, University of Glasgow, Scotland, UK. Summary The medical and other collections in the University of Glasgow have at their core the generous bequest of Dr William Hunter (1718 – 1783), a local man who rose to become an internationally renowned anatomist and obstetrician. The University does not have a medical museum as such but an Anatomy Museum, a Zoology Museum, a Pathology Collection, medical displays in the main halls of the Hunterian Museum in the Gilbert Scott Building and a rich collection of antiquarian medical books and archives as well as contemporary libraries. The Hunterian Collection, since its inauguration at the University of Glasgow in 1807, has engendered a spirit of diversity and scholarship that embraces many disciplines across the campus. The Hunterian Museum was the first public museum in Scotland and service to the local, national and international communities and response to their academic needs is very much at heart of its function today. Introduction The medical collections in the University of Glasgow, broadly described, comprise tissue specimens, instruments and equipment, personalia, teaching models, fine books, and archives. Much of this material is part of the Hunterian Museum and Art Gallery or in the care of the Department of Special Collections at the Glasgow University Key words: William Hunter - Hunterian Museum – Glasgow - Medical collections 57 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 75-90 Journal of History of Medicine Articoli/Articles BASQUE MUSEUM OF THE HISTORY OF MEDICINE: CONSERVATION OF HERITAGE, TEACHING AND RESEARCH ANTON ERKOREKA Medikuntza Historiako Museoa, Bilbao, E SUMMARY The Basque Museum of the History of Medicine was founded in 1982 to preserve the historic memory of medicine in the Basque Country and conserve its scientific heritage. Its permanent exposition comprises approx. 6,000 medical objects of the 19th and 20th centuries arranged, thematically in 24 rooms devoted to different medical specialities: folk medicine, unconventional medicine, pharmacy, weights and measures, asepsis and antisepsis, microscopes, laboratory material, X-rays, obstetrics and gynaecology, surgery, anesthesia, endoscope, odontology, cardiology, ophthalmology, electrotherapy, pathological anatomy and natural sciences. Temporary exhibitions are also held. The Museum is located on the university campus (UPV/EHU) and is important in the training of students in the Faculty of Medicine and the students coming from other faculties. Teaching and research constitute two of the pillars of the Museum that are complemented with publications and the organization of conferences, lectures and other activities. The Basque Country did not have a University of its own until very recent times. In the Middle Ages, young men who wanted to study a university career went either to Salamanca or Montpellier. Over the last centuries their universities of choice have been Salamanca, Valladolid, Alcala de Henares, Madrid, Zaragoza, Paris, Bordeaux or Toulouse. Key words: Medical Museums – History of Medicine – 19th and 20th Centuries Basque Country. 75 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 91-115 Journal of History of Medicine Articoli/Articles for an interdisciplinary museology. the particular case of anatomical waxes Chloé Pirson Chargée de recherche au FNRS - Fonds National de la Recherche Scientifique / Musée de la médecine, Bruxelles Summary Nowadays, the anatomical models in three dimensions are often showed in Museums devoted to the history of Medicine. Due to their historical importance and the major role they played as scientific education tool, they are essentials to understand the heritage of the anatomical knowledge. Historically, within all materials used to cast the body, wax has been the most frequently used, so that the ceroplastical collection has become a part of the medical education before leading to a general public pedagogy. This paper has a double purpose. In one hand, it aims to survey the formal evolution and the uses of this production, from his creation on, in the other, to study this cultural heritage within the museology issue. 1. Introduction Les représentations anatomiques tridimensionnelles sont aujourd’hui très largement présentées dans les musées consacrés à l’histoire de la médecine. Leur importance et le rôle qu’elles ont joué en terme de pédagogie scientifique les placent en tant que référents incontournables à la compréhension des étapes marquantes de la transmission du savoir anatomique. De tous les matériaux expérimentés pour la modélisation de répliques de corps, la cire est historiquement le médium le plus usuellement Key words: Museology - Anatomical waxes - Interdisciplinary 91 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 117-140 Journal of History of Medicine Articoli/Articles Tracing life: The history, concept and goals of the new permanent exhibition in the Berlin Museum of Medical History at the Charité Thomas Schnalke Director of the Berlin Museum of Medical History at the Charité, D. SUMMARY The Berlin Museum of Medical History at the Charité has been in existence since 1998. The institution aims to showcase medicine, yet it wants to show not only what medicine is but also and especially, how medicine came to be what it represents today. In its new permanent exhibition, opened on 25 October 2007, the museum takes a look at the development of medicine from a western, natural historical and scientific perspective over the last three centuries. By using the exhibition title “Tracing Life”, The Berlin Museum of Medical History at the Charité makes a conscious connection to a scientific approach of one of modern medicine’s founders, the Berlin physician, scientist and politician Rudolf Virchow (1821-1902) espoused as a guiding principle1. As a pathologist, Virchow worked exclusively and explicitly on and with the bodies of dead human beings. Through his dissections and his macroscopic and microscopic studies, however, his research aimed at looking back at life to determine the course of diseases and also to find more precisely where the strength for resistance lay in the living human organism. He thus arrived at a unique analogy2: as a Prussian civil servant and a citizen predisposed to a republican form of government, he demanded during the Revolution of 1848 a democratic government formed as Key words: Medical Collection – Museological Conception and planes 117 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 141-171 Journal of History of Medicine Articoli/Articles THE ANATOMICAL COLLECTION OF THE CATALAN MUSEUM OF THE HISTORY OF MEDICINE IN BARCELONA Alfons Zarzoso Museu d’Història de la Medicina de Catalunya, S. Summary This paper deals with the anatomical collection of the Catalan Museum of the History of Medicine. It situates the origins of this collection in the institutions historically created for the teaching and training of surgeons and physicians in the city of Barcelona. Thus, it is analysed a period that started at the Royal College of Surgeons founded in 1760 and that continued at the restored Medical Faculty in the University of Barcelona at mid-nineteenth-century. 1. Introduction An extraordinary, well-preserved and beautiful anatomical Venus was recently donated to the Catalan Museum of the History of Medicine in Barcelona (Fig. 1). Such a wonderful piece of medical art was accompanied by some fifty anatomical models, representing a variety of normal and pathological human anatomies, executed in various materials between the middle of the nineteenth century and the first third of the twentieth century. This outstanding donation came from the Faculty of Medicine of Barcelona University1. This was not the first time that the Department of Anatomy and Embryology of the Barcelona Medical Faculty had enriched the museum collection with material that originally was acquired or elaborated to improve and complement the teaching of anatomy on Key words: Anatomical collection - Medical museum - Teaching institutions 141 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 173-182 Journal of History of Medicine Articoli/Articles Education in the Attic: an insight into the educational services of The Old Operating Theatre Museum and Herb Garret, London Bridge Stevie Edge The Old Operating Theatre Museum and Herb Garret, London Bridge (UK) SUMMARY Hidden for almost a century in the attic of St Thomas’ Church the oldest operating theatre in Britain is now part of a museum. This precious building now houses a collection of pre-anaesthetic tools, items relating to medicine in the home and various Apothecary displays. The museum aims to preserve the theatre and items relating to medicine, in order to contribute to the understanding of the development of medical knowledge, with particular reference to St Thomas’ hospital. An independent museum with a long history of educational provision: this article explores some of the education services of The Old Operating Theatre Museum and Herb Garret at London Bridge. Originally part of The Priory of St. Mary the Virgin, St Thomas’ Hospital in Lambeth is one of the oldest medical organisations in the world1. Now overlooked by the famous London Eye it can trace its heritage back to Southwark and the 12th century2. The hospital has been significant in its contribution to the development of medical education and in the attic of the Church of Old St Thomas’ Hospital; The Old Operating Theatre Museum and Herb Garret strives to continue the precedents it set for education. Key words: Anatomical collection - Medical museum - Teaching institutions 173 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 183-200 Journal of History of Medicine Articoli/Articles THE NATIONAL MUSEUM OF MEDICINE OF UKRAINE AS A SCIENTIFIC-EDUCATIONAL CENTRE SERHIY MYKHAYLYCHENKO The National museum of medicine of Ukraine, Kyiv, UA SUMMARY The popularity of museums in Ukraine has been growing in recent times. This is due to the socio-economical changes in the country, to the increasing cultural and general educational level of the people, to interest in history and historical memories. Moreover, it is an aspiration for a great number of people to use information with the help of direct contact with their origins. The main idea of the article is to describe the central forms of scientific-research and cultural-educational work at the National Museum of Medicine of Ukraine, its characteristics as a social institution, the influence of medical collections and expositions on the consciousness of people, the analysis of conceptual approaches in the effective work of a museum with a great number of visitors. Introduction A museum is an amazing creation of human mentality, a treasurehouse of great acquisitions of national documents and spiritual culture. Its mission is helping to analyze contemporary reality through the past, in order to influence both mentality and memory1. Historico-medical museums must deal with history as with a page of the cultural history of a country, not simply as the description of scattered medical topics or facts of a doctor’s life. In the history of culture the medical museums play a considerable role. Lots of great scientists worked in the field of medicine, and their achievements Key words: History of medical collections - Educational tools - Conservation 183 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 201-214 Journal of History of Medicine Articoli/Articles Education Through Experience. Telling the Story of Medicine at the Thackray medical Museum/Leeds Almut Grüner CEO, Thackray Medical Museum, Leeds, UK SUMMARY Medical Museums can make substantial contributions to the cultural and social well-being of their audiences. The Thackray Medical Museum in Leeds continues to develop a wide range of educational activities that aim not only to educate the public about medical history and science research, but also to address issues that are at the heart of society today. Almut Grüner, CEO of the Thackray Museum, makes the case for medical museums to use their collections and their knowledge to make a difference in people’s lives. Introduction The Museum was a fantastic eye opener, it was very interesting, beautifully presented – very enjoyable, fantastic experience. (Visitor to Thackray Medical Museum, 17 November 2008) Opened to the public in 1997, the Thackray Museum has one of the largest and broadest medical collections in the UK. In its short life so far, it has achieved a series of prestigious awards, including the Sandford Award for Museum Education and the Visitor Attraction of the Year Award. It was shortlisted for the European Museum of the Key words: Medical History - Medical Museology - Thackray Museum 201 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 215-243 Journal of History of Medicine Articoli/Articles EMERGENCE AND DEVOPMENT OF THE PAULS STRADIŅŠ MUSEUM OF THE HISTORY OF MEDICINE IN RĪGA JURIS SALAKS Paula Stradiņa Medicīnas vēstures muzejs. Rīga, Latvija SUMMARY This paper reviews the establishment, development and present day of the Pauls Stradiņš Museum of the History of Medicine in Rīga, Latvia. The museum initially represented the hopes of one very excited enthusiast, and what was decisive was that he was able to fill the vacuum of knowledge and information, expand on it, and legalise it as an institution protected by the state. No less important, however, has been the approach taken by government structures and the public at large in support of Pauls Stradiņš’ hopes. This comparatively liberal approach toward what could be seen as a private museum can be attributed to the fact that health care had been declared a priority in the Soviet Union at that time, and in ideological terms, the history of medicine was a fairly neutral issue. The museum celebrated its 50th anniversary in 2007. This paper reviews the basic functions and structures of the museum, as well as the changes which have occurred in the complex era of the 20th century. Some areas of activity are reviewed in greater detail, and there are statistics to offer a look at the museum today. The Concept and Origins of the Museum The Museum of the History of Medicine initially was not a properly organised and carefully considered presentation of the history of medicine. Instead, it represented the interests and passions of a single gentleman over the course of many decades. That was Dr Pauls Key words: Latvia- Museums- Collections- History of medicine 215 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 245-254 Journal of History of Medicine Articoli/Articles IL Museo di storia della medicina e della farmacia dell’Università di medicina di Kaunas Tauras Antanas Mekas Museo di Storia della Medicina e della farmacia. Università di Medicina di Kaunas, Lituania SUMMARY THE Museum of the History of Lithuanian Pharmacy and Medicine The exposition of Kaunas University of Medicine Museum of the History of Lithuanian Pharmacy and Medicine is arranged in a manner that allows the visitor to travel a century back in time as he enters an old pharmacy and physicians’ offices. The Museum is a place where students learn the history of their specialty by handling old instruments and being in an authentic environment. By participating in live archeology festivals, the employees of the Museum arouse interest in the ancient medicine even among people who previously were not interested in museums at all. Many of such people will eventually become visitors of the Museum. Il Museo di storia della medicina e della farmacia dell’Università di medicina di Kaunas è stato aperto nell’anno 1987, dopo l’unione dei due musei – il Museo della farmacia di Lituania ed il Museo dell’Istituto della medicina di Kaunas. Il nuovo museo venne aperto nel cinquecentesco edificio restaurato, in piazza Rotuses, a Kaunas. La collezione storica della farmacia ha avuto il ruolo più importante nella nascita del museo. La raccolta della collezione ha avuto Key words: Museum - History of medicine - History of pharmacy 245 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 255-275 Journal of History of Medicine Articoli/Articles EDUCATING STUDENTS IN A UNIVERSITY MUSEUM ENVIRONMENT: THE ADLER MUSEUM OF MEDICINE, FACULTY OF HEALTH SCIENCES, UNIVERSITY OF THE WITWATERSRAND, JOHANNESBURG Rochelle Keene Curator, Adler Museum of Medicine, Faculty of Health Sciences, University of the Witwatersrand, Johannesburg SUMMARY Museums are now very much part of the mainstream of education and are no longer regarded as peripheral to education. They increasingly serve in South Africa as formal partners in education at primary and secondary level. University museums particularly have a formal role to play in tertiary education, with most university collections having been established to further the teaching of a faculty or school. The Adler Museum of Medicine plays an important educational role within the Faculty of Health Sciences at the University of the Witwatersrand, Johannesburg (Wits) and is also increasingly used by schools. As the curricula for South African schools were changed after the first democratic election in 1994, and outcome-based education implemented in this country, more and more educators established contact with museums in particular learning areas of the curricula. In South Africa, there are three areas of the school syllabi which this particular Museum can directly address: great discoveries, technological advances and traditional healing and indigenous knowledge. Key words: Museums – Education – Exhibitions - Programmes 255 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 277-300 Journal of History of Medicine Articoli/Articles EDUCATION AT THE DITTRICK MUSEUM OF MEDICAL HISTORY, CASE WESTERN RESERVE UNIVERSITY, CLEVELAND, OHIO, USA James M. Edmonson Dittrick Museum of Medical History, College of Arts and Sciences, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA SUMMARY The Dittrick Museum of Medical History pursues an educational mission as being part of a major research university. While the Dittrick dates to 1899 as a historical committee of the Cleveland Medical Library Association, it first affiliated with Case Western Reserve University in 1966, and became a department of the College of Arts and Sciences of CWRU in 1998. The Dittrick maintains a museum exhibition gallery that is open to the public free of charge, and museum staff provide guided tours on appointment. Much of the teaching and instruction at the Dittrick is conducted by university professors; their classes meet in the museum and use museum resources in the form of artifacts, images, archives, and rare books. Class projects using Dittrick collections may take the form of research papers, exhibitions, and online presentations. Dittrick staff assist in these classes and are available to help researchers use museum resources. Introduction Situated within a university setting, the Dittrick Museum of Medical History is today thoroughly integrated into the intellectual life and learning experience of Case Western Reserve University (CWRU). It hasn’t always been so. Despite being located on a university campus, the Dittrick was originally part of a separate body, the Cleveland Key words: Museums – Education – Exhibitions - Programmes 277 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 301-319 Journal of History of Medicine Articoli/Articles The Museum of Health Care at Kingston: its Role in the Preservation of the Legacy of Health Care in Canada James A. Low Executive Director, Museum of Health Care at Kingston; Professor, Department of Obstetrics and Gynaecology, Queen’s University SUMMARY Beginning in the 16th century, museums were an important resource for medical education. By the mid 20th century, however, the perceived educational value of museum collections declined and museums adopted the strategy of turning collections into publicly accessible medical history. The Museum of Health Care at Kingston, governed by a Board of Directors, began in 1991. The collection reflective of health care in Canada is available as a research resource through the Museum website and Artefacts Canada. The Museum communicates the history and science of health and health care as it has occurred in Canada to the general public by means of special events, exhibits and educational programs. The outstanding challenge for the Museum, as a not-for-profit institution, is to meet the increasing demands of the annual operating budget and to establish an Endowment Fund to assure long-term financial stability of the Museum. Many of the first museums of Western society were cabinets of curiousities. Those developed by princely and wealthy families gathered and studied natural history. Canada, a young society, did not develop this tradition although small collections were developed in larger centers. The use of museums for medical education began in the 16th Century. In Italy, many Italian scholars adopted an order of arrangement Key words: Museum - Ann Baillie Building – Collection - Public programs 301 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 321-336 Journal of History of Medicine Articoli/Articles Western Medicine in a Chinese Cultural Setting Faith Chi Suk Ho Director of Hong Kong Museum of Medical Sciences Society, Hong Kong SUMMARY Hong Kong’s unique medical heritage stems from its development as a city with a predominantly Chinese population and a long history of exposure to the influence of Western cultural and scientific ideas and practices. This heritage is preserved and displayed in the Hong Kong Museum of Medical Sciences, where exhibits of both Traditional Chinese Medicine and Western medicine, particularly those aspects with special relevance to Hong Kong, are featured. This paper also describes the significance of the plague outbreak of 1894 in shaping Hong Kong’s medical history, and in bringing about the existence of the building which houses the museum, a 100 year-old protected monument originally named the Bacteriological Institute. The museum’s role in society, by providing programmes on health and heritage for the public’s education and enjoyment, and the need to preserve and identify both tangible and intangible aspects of our cultural heritage is also briefly explored. Introduction: Hong Kong’s unique Medical Heritage When British troops, with British merchants close on their heels, first landed in Hong Kong in 1841 to claim the island as their own, few would have anticipated the development of ‘this barren rock’ into its present-day position as “Asia’s World City”. The coexistence, and especially, intermingling of two peoples with radically different cultures on the same piece of Chinese soil had been strenuously resisted by the imperial rulers of the Ching Dynasty Key words: Medical Museum – Education – Exhibits - Health and disease Intangible Cultural heritage - Traditional Chinese medicine 321 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 337-351 Journal of History of Medicine Articoli/Articles DISPENSING HISTORY, ART AND MYSTERY IN THE MEDICAL HISTORY MUSEUM OF UNIVERSITY OF MELBOURNE Ann Brothers University of Melbourne, Victoria, Australia SUMMARY The installation of an 1849 Savory & Moore Pharmacy has been a popular attraction for visitors, yet under-utilised in the Museum as a means through which a deeper understanding of the making and taking of medication could be told. The opportunity to research and present these stories to a wider field of viewers in an online multimedia production is discussed here, and is set within the context of the challenges met by the Museum in terms of its relevance and sustainability within a University focused on the future as a graduate University. Under the radical reform of its curriculum, funding and students are more likely to be attracted to medical science than medical history, unless new questions are put to historical items and ways sought to draw on the curiosity and imagination of students who might gain a greater breadth of knowledge by learning through engagement with original objects. Introduction In the early months of 1971, one hundred and seventy six pallets of Late Regency cabinetry comprising the shop fittings of a London branch of the Savory & Moore Pharmacy arrived at the University of Melbourne Medical History Museum (MHM). How and why this small nineteenth-century pharmacy found its way across the globe to be installed in the Museum, have been questions frequently asked by visitors – now Key words: Pharmaceutical History - Museums in Universities - Multimedia Interpretation 337 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 353-366 Journal of History of Medicine Articoli/Articles A JOURNEY THROUGH THE SKILL OF HEALING AT THE HISTORICAL MUSEUM OF THE “HOSPITAL NACIONAL DE CLÍNICAS DE CÓRDOBA – ARGENTINA” Norma Acerbi Cremades Museo Historia “Hospital Nacional de Clínicas” - Facultad de Ciencias Médicas Universidad Nacional de Córdoba SUMMARY The Museum of History “Hospital Nacional de Clínicas”, from the National University of Cordoba, República Argentina, it’s charged with the knowledge continuity of the Health Science, in time and space. Its guiding motto says: “I’ll be a shield to stop the wind that wants to erase the imprint of men that shaped the history of the School of Medical Sciences by their work.” To accomplish the tasks, general and particular objectives were settled. The Museum has a Library divided in three sections: Classical, Contemporary and Virtual. It counts with a specialized Information and Documentation Centre. Courses about different topics are given as well as the course of History of Medicine for Grade and post grade careers, completing with humanistic contents, the students education exclusively scientific and technical. For high school and Bachelor students there is a program called: “Education – Apprenticeship strategies at the Museum”. These strategies are arranged to fit the programmes and levels of formal education for educational institutions. The heritage of the Museum consists of more than a thousand apparatus and tools that served the research and instruction at the different professorships of the School of Medical Sciences. Many of them obsolete they allow us to understand the evolution of science and technique, within the broad field of Health Science, since the creation of the School of Medical Sciences in 1877. Key words: Pharmaceutical History - Museums in Universities - Multimedia Interpretation 353 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 367-385 Journal of History of Medicine Note/Notes CARL WILHELM SCHEELE - HIS LIFE AND SCIENTIFIC ACHIEVEMENTS Stig Ekströ Medical Historical Museum in Uppsala Uppsala - Sweden Summary Carl Wilhelm Scheele must be regarded as one of Sweden greatest chemists. He was born in 1742 in Stralsund, where he grew up in a family well-known in northern Germany since the 15th century. He chose the pharmaceutical profession early and was only 15 years old when he left his home town for educational studies at the Unicorn pharmacy in Gothenburg in Sweden. The apothecary there, Martin Andreas Bauch, was a native of Mecklenburg with good relations to the Scheele family. Scheele came to stay in Sweden for the rest of his life and since 1775 he worked as an apothecary in the small town of Köping. In Sweden Scheele established a close friendship with Torbern Bergman, in his time one of the most leading chemists, and the friendship was a prerequisite for Scheele’s breakthrough as a scientific writer. His first paper was published in 1771 and was followed by another thirty publications. Scheele’s major work was “ Chemische Abhandlung von der Luft und Feuer”, where he describes the discovery of oxygen. Scheele remained a pharmacist and was working most of his time as an apothecary in Köping. However, he became early accepted as a scientist with an internationally good reputation. He was elected as a member of several academic societies. During his life he discovered seven elements – more than any other chemist has detected - and most of his about 20.000 laboratory notes have still not been examined. He died only 43 years old. He is buried in Köping. On his gravestone we can admire a statue of a torch-carrying genius. Key words: Carl Wilhelm Scheele 367 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 387-401 Journal of History of Medicine Note/Notes PARATHYROID HISTORY AND THE UPPSALA ANATOMIST IVAR SANDSTRÖM Henry Johansson Department of Surgery, University Hospital, and the Medical Historical Museum in Uppsala, Uppsala, Sweden Summary The parathyroid gland was first recognized in 1850 by Richard Owen during a dissection of an Indian rhinoceros at the London Zoo. The credit for the discovery of the parathyroid has, however, been given to the Uppsala anatomist Ivar Sandström, who was the first to demonstrate the gland in man. His dissection studies were undertaken between 1877 and 1880, when he still was a medical student in Uppsala. Sandström’s detailed anatomical and histological studies of the parathyroid gland were published in a Swedish journal, “Upsala Läkareförenings förhandlingar”, in 1880. Ivar Sandström, the man behind the discovery of the parathyroid gland, often called the last anatomical discovery, was a disharmonious person with psychiatric problems and he committed suicide in 1889 at the age of 37 years. Decades later Sandström’s findings turned out to be of considerable physiological and clinical importance, when the glands were realized to be crucially involved in calcium regulation and calcium regulatory disorders. The association between a hyperfunctioning parathyroid gland and the bone disease “osteitis fibrosa cystica”, Rechlinghausen’s disease, was suggested in 1915. By that the idea of surgical intervention was planted and in 1925 the first parathyroidectomy was performed when Felix Mandl in Vienna removed a parathyroid tumor in a 38-year-old trolley conducter suffering from Key words: Parathyroid history 387 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 403-428 Journal of History of Medicine Museologia medica/Medical museology Dalla suffusio al cristallino: storia della cataratta attraverso gli strumenti del Museo di Storia della Medicina della “sapienza” Università di Roma Alessandro Aruta*, Marco Marenco** e Silvia Marinozzi*** *Museo di Storia della Medicina, “Sapienza” Università di Roma, I ** Dip. Di Scienze Oftalmologiche, “Sapienza” Università di Roma, I *** Sezione di Storia della Medicina, “Sapienza” Università di Roma, I Summary History of cataract surgery By analysis of ancient surgical instruments it’s possible define the history of medical specialties, and acquaint the evolutions of specific surgical techniques and operations through the centuries. The aim of the article is to reconstruct the history of the conception of cataracts, of theories and pathological interpretations in different eras, through the descriptions of surgical instruments and methodologies found in medical texts and the analysis of the artefacts kept in the Museum of History of Medicine of Rome. Il Museo di Storia della Medicina possiede importanti reperti della specialità oculistica, che possono illustrare l’evoluzione della disciplina, e di specifiche tecniche terapeutiche e chirurgiche, tra cui l’intervento e la terapia della cataratta. La maggior parte degli aghi e delle cassette per l’operazione della cataratta sono databili tra il XVII e XIX secolo, e provengono dalle collezioni Gorga e Neuschuller, cui si aggiunge la recente collezione Angeletti con alcuni strumenti oculistici donati da G. Scuderi. Key words: Cataract - Surgical ophthalmological instruments - Museum of History of Medicine of Rome 403 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi Le prime testimonianze della cura della cataratta si trovano nei papiri medici egiziani, in cui particolare attenzione viene data alle patologie oculari, probabilmente diffuse e variegate per quelle condizioni ambientali tipiche delle zone desertiche dove sole e sabbie giocano un ruolo rilevante nelle affezioni degli occhi. Il famoso papiro di Ebers riporta oltre un centinaio di ricette, e quindi una fornita casistica, inerenti le patologie oculari, tra cui quattro per la cataratta. L’opacizzazione del cristallino viene interpretata come un eccesso di acquosità nell’occhio, curata con pozioni medicamentose, spesso anche di matrice magico-popolare, a base di estratti di piante, minerali ed animali, la più frequente delle quali è la crisocolla1, ma soprattutto con impacchi o fumigazioni di fegato animale, specie di bovino2. Nella medicina greca l’interpretazione eziologia della cataratta è naturalmente legata alle conoscenze anatomiche della struttura oculare e della percezione visiva acquisite a partire dal VI sec. a.C., grazie agli studi ed alle osservazioni compiute dai naturalisti, in particolare da Alcmeone da Crotone (VI secolo a. C.), che, con dissezioni e vivisezioni condotte su animali, individua i nervi ottici, canali che collegano il globo oculare, su cui si riflettono i raggi emanati dagli oggetti, al cervello, centro delle sensazioni e, quindi, della rielaborazione dei dati sensibili e dei processi cognitivi. La concezione della percezione visiva come fenomeno di riflessione degli oggetti nella parte trasparente dell’occhio, viene riassorbita nella dottrina ippocratica: una vena si porta dalla membrana del cervello sino ad arrivare, biforcandosi e penetrando attraverso l’osso, ad ogni occhio, estendendo così una parte della membrana cerebrale, che diviene estremamente tenue, sino alla parte esterna dell’orbita, ed andando a costituire la parte diafana dell’occhio su cui si riflettono i raggi luminosi degli oggetti3, mentre la pupilla è nera perché situata sul fondo del bulbo ed avvolta da membrane scure. In Ippocrate l’occhio è composto da tre tuniche (cheratoide, coroide, 404 History of cataract surgery aracnoide) che proteggono e contengono l’umore proveniente dal cervello, il bulbo, l’iride e la pupilla4. Le parti costitutive dell’occhio vengono nutrite del liquido celebrale, concepito quindi come propagazione dell’encefalo e strumento di trasmissione delle impressioni direttamente al cervello5. L’umore oculare è glutinoso e fluido, ma raffreddandosi può divenire secco e vitreo. Le patologie oculari più gravi sono quelle relative alla discesa della pituita dal cervello lungo i canali nervosi e/o venosi oculari, per cui si verifica un impedimento visivo dovuto ad atrofia, danneggiamenti o disseccamenti della struttura dei canali stessi o una alterazione dell’umore vitreo. La terapia prevede sia trattamenti generali per l’evacuazione del flegma, mediante diete e salasso, sia medicamenti ad uso topico, con impacchi e colliri, o di idratazione qualora insorgesse un fenomeno di disseccamento dei canali che impedissero la discesa dell’umore cerebrale. Poche le indicazioni per la chirurgia oculare, consigliata solo per malformazioni congenite o patologie che provocano processi di formazioni esostotiche facilmente asportabili. Ippocrate identifica e descrive diverse malattie proprie dell’occhio, prestando particolare attenzione ai sintomi ed ai decorsi patologici, tra cui alcuni disturbi tipici della vecchiaia che potrebbero esser identificati con la cataratta. Possibili riferimenti alla cataratta nei testi ippocratici possono rinvenirsi nella descrizione di un deposito scintillante che si addensa nell’occhio impedendo la vista6. Ulteriori conoscenze anatomo-fisiologiche dell’occhio si devono ai medici alessandrini, in particolare ad Erofilo, che individua quattro membrane costitutive dell’occhio (cornea, cheratoide e sclerotica, coroide), descritte come prolungamento della membrana del cervello stesso attraverso il nervo ottico, canale di trasporto dello pneuma psichico e sensoriale all’occhio, e che inglobano la retina, che contiene l’umore vitreo, e l’iride con la pupilla7. 405 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi A Roma, dove la medicina prevede competenze specifiche, si affermano diverse specialità mediche, tra cui emerge l’oculistica, come dimostrato dalle numerose testimonianze storiche ed archeologiche pervenuteci. Generalmente la cura dell’occhio è affidata al medicus ocularius o ab oculis, distinto dal chirurgus ocularius, addetto ad intervenire nei casi di ferite, gravi lesioni per esiti di patologie e malformazioni congenite che impediscono l’attività visiva. Testimonianza fondamentale per la ricostruzione delle conoscenze e delle pratiche chirurgiche nel campo dell’oculistica è il De re medica di A. C. Celso (25 a.C.-50 d.C.), in cui si riferisce di varie malattie oculari e dei rispettivi trattamenti. L’autore considera la cataratta come un addensamento dell’umore che si trova tra la cornea e l’uvea, all’altezza della pupilla. Riferisce infatti di due tuniche esterne: quella più in superficie, detta cheratoide, è spessa nella parte bianca e va assottigliandosi sulla regione della pupilla dove vi si congiunge un’altra tunica, forata nel centro, all’altezza della pupilla, detta coroide. Queste due membrane, che inglobano la sostanza oculare, si congiungono dietro il lobo e, assottigliandosi e fondendosi in un unico ramo, arrivano alla membrana del cervello. Sotto le due tuniche, all’altezza della pupilla, vi è uno spazio vuoto, sotto cui si trova la tunica più tenue, denominata da Erofilo aracnoide, che raccoglie l’umore vitreo che da colore alla pupilla. Sopra di esso c’è una goccia di umore, simile al bianco dell’uovo, da cui proviene e dipende la facoltà visiva: il cristallino. Nel suddetto spazio vuoto, che si trova sotto le due tuniche, può formarsi, per malattia o per trauma, un umore che va gradualmente indurendosi e sino a compromettere e talvolta impedire la vista. Così Celso definisce la suffusio: qualora la cataratta fosse piccola, immobile e di colore simile all’acqua marina, e persistesse lateralmente la capacità percettiva della luminosità, è possibile curarla, con trattamenti terapeutici generali, quali diete e salasso, e localizzati, dalla 406 History of cataract surgery cauterizzazione delle vene nelle tempie all’impiego di fumigazioni e colliri acri ed irritanti. Se è estesa, mobile e la parte nera dell’occhio ha cambiato forma e colore, divenendo celeste o dorata, è poco trattabile. La situazione di maggior gravità si ha quando la cataratta è accompagnata da una grave malattia o in seguito ad un trauma di grande entità. Il trattamento della cataratta risulta difficile negli anziani, poiché la capacità visiva è già compromessa, nei bambini e in coloro che hanno occhi troppo piccoli o concavi. Per intervenire chirurgicamente è opportuno seguire l’evoluzione naturale della suffusio, aspettando che si coaguli ed acquisti durezza. Prima dell’intervento si deve osservare un periodo di dieta: per tre giorni il paziente deve assumere solo liquidi ed astenersi dal cibo, digiunando completamente il giorno immediatamente precedente all’operazione. Fig. 1 - Riproduzione di una cassetta per colliri di epoca romana, Museo di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma. 407 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi Il paziente viene fatto sedere avanti al chirurgo, in una stanza luminosa, mentre l’assistente gli sorregge la testa da dietro perché non possa muoversi durante l’intervento. Per rendere immobile l’occhio da trattare si pone sull’altro dell’ovatta. Per l’occhio destro il chirurgo deve operare con la mano sinistra, per il sinistro con quella destra. Si deve scegliere un ago sufficientemente appuntito ma non troppo sottile, per poterlo inserire dritto attraverso le due tuniche esterne nel “medio loco inter oculi nigrum et angulum tempori propiorem, et regione mediae suffusionis, sic ne qua vena laedatur”8, direzionandolo poi verso la cataratta e premendo perché venga abbassata nella zona sottostante alla pupilla ed abbassandolo per esercitare pressione finché la cataratta vi aderisca e possa così esser abbassata con l’ago. Qualora si riformi per una risalita dell’umore denso, Celso propone, mediante lo stesso ago, la lacerazione della cataratta, che, dividendosi in molteplici e minuscoli pezzetti, non impedisce la capacità visiva. Dopo l’intervento si copre l’occhio con albume d’uovo e lana soffice, ed il paziente segue un regime alimentare di integrazione graduale del cibo nel passaggio da un’alimentazione liquida a quella solida, secondo l’insegnamento ippocratico. L’intervento descritto da Celso resterà la base della terapia chirurgica della cataratta nei secoli successivi. Tra i reperti di epoca romana conservati al Museo, vi sono strumenti presumibilmente identificabili con aghi di uso chirurgico, per i quali è in corso un lavoro di ricognizione, datazione e catalogazione sulla base delle indicazioni fornite dagli autori antichi e dall’iconografia dei testi di medici bizantini ed arabi. Gli studi sinora condotti sullo strumentario romano non hanno però ancora contemplato tali reperti, e risulta pertanto difficile, ancora, poter fornire indicazioni certe sulla loro identificazione. Ulteriori sviluppi delle conoscenze anatomo-fisiologiche dell’occhio si devono a Galeno di Pergamo (129 – 210ca d.C.), che seguendo 408 History of cataract surgery Fig. 2 - Aghi di uso chirurgico di epoca romana. Museo di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma l’insegnamento ippocratico, riconosce le tre membrane costitutive dell’organo: la più interna, con struttura reticolare, ossia la retina; la seconda, con struttura uniforme, ossia la coroide, al cui interno esiste un foro, detto pupilla; infine una membrana corniforme, la cornea. Le tre tuniche, “permeate” e congiunte al nervo ottico, sono direttamente collegate al cervello, cui trasmettono i dati sensibili, impressi dai raggi degli oggetti, attraverso il cristallino, dove il pneuma psichico emanato dal cervello incontra il mondo esterno. Individua inoltre una quarta membrana, la congiuntiva, che non è però collegata al cervello, bensì al pericranio. Galeno descrive la struttura ad X dei nervi ottici, che originandosi in due sedi diverse del cervello, vanno congiungendosi durante il loro percorso verso le orbite per poi nuovamente dividersi, individuando nel punto di fusione dei due canali la facoltà di percepire una visualizzazione completa ed unificata, che faccia “geometricamente”coincidere i piani visivi. Spiega i disturbi visivi come esiti di un’alterazione dello pneuma o del mancato passaggio di questo attraverso i pori del nervo ottico9. 409 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi Il cristallino, situato al centro del bulbo oculare e sostenuto e nutrito dall’umore vitreo infuso di pneuma psichico, è il centro della percezione visiva. Galeno riferisce di un umore acquoso e denso nella regione retroiridea, posto avanti al cristallino per nutrirlo ed evitare che si dissecchi10, che se ispessito origina la cataratta. Lo descrive come una materia simile alla chiara dell’uovo, ma che a volte è denso e scuro al punto da impedire parzialmente, o completamente, la vista. La mobilità di questo umore può provocare, soprattutto in fase di insorgenza della patologia, la visione di mosche volanti, o corpuscoli in movimento11. La correlazione tra vecchiaia e formazione di cataratta come raccolta ed addensamento di un umore in eccesso, si fonda essenzialmente sull’idea di condizione di debolezza organica, imputabile ad una lunga malattia o a ripetuti episodi patologici, o ad una natura fredda ed umida, condizioni tipiche delle persone anziane. Galeno definisce la cataratta come una “concretio aquaosi humoris quae visum magis minusve impedit”12, e che, distillando dalla pupilla, va solidificandosi sino ad impedire la vista13. Attribuisce l’origine della cataratta ad un’eccessiva umidità e mollezza delle membrane, per cui si riversano umori che vanno ad addensarsi avanti al cristallino. Oltre ad un eccesso materia flemmatica, ed ai vapori che ne esalano, che scendendo lungo il nervo ottico ed i vasi, compromette struttura e funzioni delle parti costitutive dell’occhi, Galeno attribuisce la formazione della cataratta anche a quelle disfunzioni dell’apparato digerente, che comportano la produzione nello stomaco di umori densi e viscosi che, per mancata evacuazione, emanano vapori corrotti che arrivano al capo, provocando la formazione di un umore che, fuoriuscendo dai pori della pupilla, si addensa avanti al cristallino. Per la cura della cataratta prescrive impacchi e colliri14 ad uso topico e trattamenti generali di evacuazione degli umori. Per quanto 410 History of cataract surgery concerne l’operazione chirurgica, riprende l’insegnamento celsiano, inserendo lateralmente l’ago sino a che penetri nello spazio vuoto, poi spingendolo verso l’iride e premendo l’umore concreto situato intorno alla pupilla verso il basso15. Ne distingue i generi in base al colore, all’ampiezza, alla posizione che assume in relazione al cristallino ed al grado di compromissione della capacità visiva. Distingue quella molle, facilmente asportabile e trattabile, da quella dura, difficilmente curabile, soprattutto se scura. Valutando tali segni è possibile stabilire il grado di acrità, densità e viscosità dell’umore disceso dai canali nervosi ed individuare così la natura della patologia e stabilirne la terapia16. Conoscenze patologiche ed affinamento delle tecniche operatorie e dello strumentario chirurgico si sviluppano ulteriormente nel periodo bizantino e nella medicina araba. Per l’operazione dei cataratta, Paolo d’Egina (VII sec. d.C.), propone un campo operatorio più ampio rispetto a quanto riferito da Celso, consigliando di inserire l’ago non lungo il margine esterno della cornea, ma in un punto esterno allo stesso, e più alto, per poter esercitare maggior pressione nell’operazione di abbassamento17. Nella medicina araba l’interpretazione della cataratta riprende la concezione ippocratica di un umore pituoso proveniente dal cervello che, per raffreddamento, si coagula e, ricoprendo la pupilla, impedisce la facoltà visiva. All’operazione dell’abbassamento, si affianca il sistema della “suzione” per l’estrazione della cataratta molle, praticata mediante un’incisione che ne permetta l’aspirazione, mediante un apposito tubicino di vetro per succhiarla. L’oculistica, come disciplina che si avvale di un sapere essenzialmente pratico, trova largo sviluppo tra i medici della Scuola di Salerno, che ci hanno lasciato importanti testimonianze delle conoscenze patologiche e della terapia e chirurgia oftalmologiche18, e diviene, nel corso nel basso Medioevo, una specialità chirurgica prevalentemente eseguita da quei “cerusici” che, spesso privi di una 411 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi cultura medica, si affermano per l’abilità tecnica e per la conoscenza pratica dell’arte. Il dualismo espresso da Galeno sulla natura della cataratta in base alla diversa origine degli umori che si raccolgono continua ad esser la base dell’interpretazione eziologica della patologia per secoli: nella sua Anathomia, Mondino de’ Liuzzi (1275ca-1326) ne imputa l’insorgenza al vapore disceso dal cervello oppure salito dallo stomaco e che, arrivato all’altezza della pupilla, si pone fra questa ed il cristallino, impedendo così la percezione visiva. Poiché questo vapore è generalmente mobile, le immagini sembrano esser in movimento, o addirittura generate da un corpo esterno che stimola la vista, così da dare la percezione di mosche volanti, o cimici o formiche che camminino sulle pareti. Quando questo vapore si converte in acqua, si condensa e si trasforma in cateratta stabilizzata, che impedisce parzialmente o completamente la vista a secondo della posizione in relazione alla pupilla19. Anche G. da Vigo (1450-1525), ne La Practica in arte chirurgica copiosa (Roma, 1514), attribuisce la formazione della cataratta alle umidità che arrivano alle pupille dalla materia flemmatica che si addensa nei canali del capo, e distingue quella “per comunicanza” da quella “per essenza”. La prima è causata dai vapori emanati dagli umori densi e viscosi che si formano nello stomaco, e che, salendo verso la testa, apportano umidità agli occhi; la seconda dipende invece da un eccesso di umore direttamente nei canali oculari. L’intervento chirurgico è assolutamente conforme a quello descritto da Celso nel I sec.; colpisce però la dovizia di particolari inerenti la fase preparatoria, dal regime terapeutico ed alimentare dietetico purgante nei giorni precedenti e dalle medicazioni successive all’intervento, alla cura che il medico deve avere nel rassicurare il paziente, sia da un punto di vista emotivo che pratico, disponendolo in una posizione che non rechi disagio, non facendo manovre che provochino dolore. 412 History of cataract surgery A. Parè (1510-1590), interpreta la cataratta come una pellicola che si pone tra la cornea e il cristallino, aprendo la via agli studi ed alle indagini sulla correlazione tra quest’organo e l’origine della cataratta. In base alla sua esperienza pratica, suggerisce di costringere il paziente, una volta effettuata la depressione della cataratta, a guardare in alto, per volgere il globo oculare all’insù e spingerla così dentro il corpo vitreo per evitare che risalga. G. F. d’Acquapendente descrive ancora la cataratta un’alterazione dovuta a “crudi scilicet humoris generationem, eiusdemque concretionem, densitatem, et obdurationem, materiae inqua pituitosae”, e, sulla base degli studi dissettivi e dell’esperienza chirurgica, sostiene che la cataratta si formi sotto il foro dell’uvea. Tratta la cataratta molle e giovane con i colliri, per l’applicazione dei quali escogita una cucurbita di vetro, la cui bocca corrisponda all’intera cavità dell’occhio, su cui viene appoggiata di modo che i colliri e gli unguenti possano effettivamente arrivarvi e mantenervisi per il tempo necessario all’assorbimento. Raccomanda l’intervento chirurgico solo nel caso di assoluta necessita, quando la cataratta è densa e congelata, ma sconsiglia di infilare l’ago in un angolo troppo laterale o distante dalla cornea, poiché i movimenti da effettuare per abbassare la cataratta, premendo l’ago verso il basso e riportandolo poi in alto per farla scendere totalmente e definitivamente, possono danneggiare tutte le tuniche oculari, il cui punto di congiunzione è esattamente nella parte posteriore del cristallino. In tal modo si evitano i danni di incisioni troppo lunghe e penetrazioni che potrebbero lacerare le membrane, e si può controllare la fuoriuscita dell’umore dalla cornea. Propone pertanto di infilare l’ago o nella cornea o in un punto ad essa vicino, così che non sia troppo lontano dal cristallino, lasciando comunque uno spazio di manovra sufficiente per muovere l’ago, sia in alto che in basso, finché non si abbassi la cataratta20. 413 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi G. A. dalla Croce (1509?-1580) fornisce un’importante documentazione storica ed iconografica per lo strumentario chirurgico, e distingue l’ago retto, da lui detto almagda, dall’alberid, con punta a lancia per agevolare la penetrazione nel lobo oculare21. Il Museo conserva una collezione di aghi da cataratta del XVIII secolo, ancora simili, per morfologia e foggia, a quelli utilizzati già a partire dalla fine del XVI secolo, e descritti ed illustrati nelle opere di A. Parè, di G.F. d’Acquapendente e di G. Bartish (1535-1607), con meccanismo a vite nella presa esterna perché potessero esser avviatati nella custodia e regolati nella lunghezza a secondo del tipo di presa necessaria per le diverse fasi dell’intervento, con custodia rigida e concava cui viene avvitata la presa esterna dell’ago, così da ottenere un manico lungo e maggiormente duttile per le varie fasi dell’intervento. Grazie ai progressi delle conoscenze anatomiche, si avvia uno studio sperimentale sui meccanismi e sulla fisiologia della visione, che porta alla dimostrazione cartesiana che non il cristallino ma la retina, come prolungamento della sostanza midollare del nervo ottico, è l’organo della percezione visiva. Ma è solo nel XVIII secolo che si arriva ad identificare la cataratta con un processo di oscuramento ed opacizzazione del cristallino, sulla base di studi autoptici condotti su individui che, avendo subito, intra vitam, l’intervento chirurgico di abbassamento della cataratta, presentano un cristallino opaco o scurito, e spostato o completamente distaccato. Maitre-Jean (1650-1725), chirurgo francese, identifica la vera natura della cataratta nell’opacizzazione del cristallino e ne tenta l’estrazione, così come la esegue Petit (1674-1760) nel 170822. P. Brisseau (1631-1717) nel Traité de la cataracte et du glaucome (Paris, 1709), espone le due diverse nuove opinioni sull’interpretazione della cataratta, ossia quella che ne attribuisce l’origine a corpuscoli opachi che, trasportati dal moto degli umori o dal circolo sanguigno, filtrano 414 History of cataract surgery attraverso le ghiandole e si agglutinano sulla superficie impedendo la vista, e l’idea di un distaccamento di alcune lamelle del cristallino che, galleggiando poi nell’umore acquoso, si attaccherebbero alla pupilla. Avvalendosi di una casistica di esami autoptici da lui condotti su cadaveri di individui affetti da cataratta, dimostra che “c’est le cristalin obscurcu, qui forme la Cataracte”23. Brisseau procede analizzando in sede autoptica gli esiti degli interventi chirurgici di abbassamento della cataratta da lui stesso effettuati, dimostrando così che in tutti i casi di pazienti sottoposti intra vitam a tale operazione il cristallino risulta spostato in basso rispetto alla sua sede naturale, e spesso opacizzato o deformato. Non distingue diversi generi di cataratta, definendo solo il grado di solidità e di opacità come fattori che ne determinano la tipologia. Distingue le cause esterne, come un colpo troppo duro sul capo e un freddo eccessivo, da quelle interne, prodotte per l’alterazione del liquore nutritivo del cristallino. Sconsiglia di intervenire sulle cataratte troppo molli, poiché per abbassarle sono necessari molteplici spostamenti dell’ago, che danneggerebbero la struttura del vitreo. Considera gli aghi sinora creati ed utilizzati difettosi, poiché sono stati costruiti immaginando la cataratta come una membrana; ne crea uno con una lama più larga e piatta, lievemente arrotondata a forma di grano di orzo, con margini taglienti per poter incidere e penetrare nel bulbo oculare. Questi aghi sono piatti da un lato e merlato dall’altro, arrotondandosi poi in punta, e la superficie scanalata è quella che l’operatore deve appoggiare sul cristallino. C. Saint-Yves (1667-1736) distingue invece le cataratte membranose, dovute ad affezioni della coroide e dell’uvea, da quelle cristalline, legate all’alterazione dell’umore cristallino, che costituiscono la vera cataratta. Individua l’eziologia di tale patologia nell’eccessivo rammollimento o in un indurimento del cristallino, dovuto nella maggior parte dei casi al condensamento ed alla viscosità dei 415 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi “sughi” nutritivi che passano nei vasi della membrana che lo avvolge e che vanno quindi ad intasare ed otturare i suddetti vasi, provocando ascessi e suppurazioni. Il cristallino, induritosi e staccatosi dall’anello dell’umore vitreo, si porta verso la pupilla e resta nella camera posteriore, dove matura la cataratta. Per l’intervento chirurgico si avvale di un ago piatto e tagliente su un lato, arrotondato sulla punta come una lancetta. Se la cataratta è anteriore, s’incide trasversalmente la cornea trasparente sotto la pupilla, ed attraverso quest’incisione si inserisce una sorta di stuzzica-orecchi che viene fatto passare dietro al corpo del cristallino e poi piegato in avanti perché la cataratta venga portata fuori. Se la cataratta è posteriore, l’ago deve essere infilato nel bianco dell’occhio, vicino alla cornea, senza tagliare i vasi e senza toccare l’iride. Va poi direzionato nella parte posteriore del cristallino e spinto dentro finché la punta dell’ago non abbia oltrepassato la zona centrale della pupilla; si sposterà allora la punta verso il corpo della cataratta e si abbasserà perché questa scenda sino alla parte posteriore dell’iride24. Il Museo di Storia della medicina conserva una serie di aghi per l’abbassamento della cataratta, con manici torniti in avorio ancora corti e lunghe punte acuminate o terminanti a piccole lance sottili, analoghi a quelli descritti e rappresentati nelle tavole dei trattati chirurgici di fine XVII e primi XVIII secolo25. L. Heister (1683-1758) si ricollega alla tradizione dei grandi anatomisti del XVII secolo, come Borel, Gassendi, Rolfink, che, con le loro osservazioni avevano intuito la reale natura della cataratta, attribuendo però a chirurghi francesi, come Maitre Jan, il merito di aver dimostrato che la causa di tale patologia non risiede nella formazione di una membrana prodotta dall’umor acqueo, ma in un’alterazione del cristallino, grazie ad esperimenti pratici e studi autoptici su occhi malati. Riporta i risultati di cinque autopsie da lui stesso praticate, ed esempi di altri medici tedeschi ed italiani (tra cui G.M. Lancisi), per attestare la veridicità di una nuova interpretazione fondata sull’evi416 History of cataract surgery denza dei dati autoptici. Distingue la cataratta matura, ossia molle e mobile in cui la pupilla è completamente offuscata ma ancora è distinguibile la luce dal buio, facilmente operabile, da quella immatura, di difficile guarigione. Considera curabili quelle cataratte che sono semplici, mature e mobili, ma non troppo colorate, poiché ciò è segno di una mollezza che difficilmente consente l’abbassamento, mentre risultano inope- Fig. 3 - Aghi da cataratta con manico tornito in osso (XVII-XVIII sec.), Museo di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma 417 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi rabili le cataratte in cui il cristallino si è glutinato con la pupilla, tanto da deformarla. Heister consiglia di infilare l’ago nella parte bianca dell’occhio, nella zona compresa tra la cornea e l’angolo dell’occhio seguendo una direzione lineare, sino ad arrivare alla cataratta, che viene così portata sotto la pupilla. Se la cataratta è dura, si abbassa immediatamente, mentre se è molle, per evitare che risalga, si deve tenere premuta il più a lungo possibile. Nel caso in cui non si riesca a deprimerla, si procede alla frantumazione, mentre se è attaccata all’uvea, propone di praticarvi un foro per permettere alla luce di penetrare nel fondo oculare26. Colpisce la premura con cui Heister descrive non solo l’operazione, ma anche la fase preparatoria e le medicazioni e le terapie successive, con continui richiami all’importanza di una buona preparazione medica ed anatomica e di una abilità pratica che possano distinguere il vero chirurgo da cerusici e ciarlatani. G.B. Morgagni (1682-1771) attribuisce l’origine della cataratta ad un’alterazione dell’umore acqueo costitutivo del cristallino, per disseccamento, indurimento o diminuzione dello stesso, o ad un’opacizzazione della sua tunica27. Rifacendosi alle esperienze condotte da Maitre-Jan e da Petit, nel 1745 J. Daviel (1693-1762) compie l’estrazione chirurgica del cristallino con un ago da lui stesso creato, appuntito, tagliente e semicurvo, a forma di una lancetta, per fare la prima incisione nella camera anteriore vicino alla sclerotica, evitando di ferire l’iride, penetrando sino a sopra la pupilla. Si avvale poi di un ago smussato, ma altrettanto tagliente e semicurvo, per allargare l’apertura eseguita e praticare un’incisione a mezzaluna sulla cornea, per poter inserire la branca di una cesoia con estremità curve e convesse nell’iride ed eseguire una sezione semicircolare della cornea intorno alla pupilla. Attraverso quest’apertura riesce a prelevare il cristallino infilando un ago bitagliente ed una piccola spatola sotto l’iride e premendo con le 418 History of cataract surgery dita verso il basso per far uscire il cristallino. Qualora la membrana del cristallino fosse troppo spessa, deve esser tagliata circolarmente e prelevata con delle pinzette. Per le cataratte membranose utilizza invece un piccolo raschiatoio28. Il procedimento di Daviel per l’estrazione del cristallino viene seguito da molti autori, comportando una varietà di modificazioni ed adattamenti dello strumentario sulla base delle esigenze di semplificazione e delle tecniche sperimentate ed adottate per l’intervento. Il nuovo metodo chirurgico viene descritta da J. Janin (1730-1799), che incide con la suddetta lancetta i due terzi del disco della cornea e, con l’ausilio di una paio di forbici, divarica la “cristalloide”, esercitando una pressione sulla parte inferiore del globo per favorire l’uscita del cristallino e della cataratta dall’occhio. N. G. Pallucci (1719-1797) viene considerato il primo ad aver praticato l’intervento con un solo ago, con manico in argento e a doppia punta, per unire contemporaneamente lo strumento di penetrazione e quello di distaccamento del cristallino29. Il medico napoletano M. Troja (1737-1828) definisce la cataratta come “la malattia principale della lente cristallina”30, e ne distingue tre forme: opacizzazione del cristallino, intorpidimento dell’umore di Morgagni, perdita della trasparenza della lente cristallina, o cataratta membranosa. Descrive dettagliatamente le diverse tipologie di esecuzione dell’estrazione del cristallino, con i relativi strumenti utilizzati da ogni autore. Descrive così gli strumenti di G. Lafaye (1799-1781), un coltellino con lama stretta e sottile leggermente curva con dorso tagliente e un faringotomo con dimensioni ridotte proporzionalmente all’impiego per l’operazione oculare; quello di P. Guerin (1740-1827) che, riprendendo il metodo di Pamard, utilizza una lancetta con margini sufficientemente ampi31. A. Scarpa (1747-1832), autore del “Saggio di osservazioni ed esperienze sulle principali malattie degli occhi” (Venezia, 1802), fornisce un corpus dottrinale e metodologico all’oftalmologia, come sintesi 419 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi delle conoscenze strutturali e fisiologiche dell’occhio acquisite nel tempo, delle metodiche chirurgiche e terapeutiche sviluppatesi per le diverse patologie oculari e delle nuove interpretazioni eziologiche dei processi morbosi. Per la cura della cataratta si avvale del vecchio metodo della depressione del cristallino, che predilige per sulla base di un’analisi clinica degli esiti e degli effetti collaterali sui pazienti sottoposti all’intervento di estrazione del cristallino, o mediante l’ago o con un’incisione semicircolare nella regione inferiore o laterale della cornea. Distingue la cataratta semplice, dovuta ad un graduale processo di opacizzazione del cristallino senza alterazione strutturale, per cui il paziente riesce a distinguere luce e colori, da quella causata da un’oftalmia precedente e grave o da un trauma. Si distanzia, invece, da coloro che classificano la cataratta in base al colore ed alla consistenza, se dura o molle o liquida, considerando tale diagnosi non solo difficile a priori, ma anche poco utile ai fini della pratica terapeutica e chirurgica. In presenza di un cristallino consistente e duro, ne propone lo spostamento dall’asse visuale esercitando una pressione con l’ago verso il basso e poi all’indietro per infossarlo nel corpo vitreo, ed evitarne così la risalita. Scarpa individua l’eziologia della cataratta membranosa secondaria, che spesso si forma dopo l’operazione di estrazione o di depressione del cristallino, nella capsula lucida che, dopo qualche giorno dall’intervento, va opacizzandosi impedendo la vista; consiglia pertanto di forare la detta capsula sia nella convessità anteriore che posteriore, per non offuscare completamente la vista nel caso in cui non si riuscisse a staccarla completamente. Pratica la depressione anche nei casi di cataratta membranosa, poiché sia il cristallino morbido e fluido depresso che i “fiocchetti membranosi”, nel caso in cui si sia proceduto ad uno sminuzzamento dello stesso, vengono facilmente riassorbiti nell’umore acqueo. Per l’intervento utilizza un ago uncinato e ricurvo, sottile ed appuntito sufficientemente robusto per attraversare tutte le membrane oculari, 420 History of cataract surgery dal momento che con quello con la punta retta, largamente usato, si può erroneamente squarciare l’iride nel corso dei movimenti eseguiti per l’abbassamento. L’ago deve pertanto avere un’estremità uncinata convessa, piana sul dorso e tagliente ai lati, con concavità composta da due piani obliqui in modo da formare nel mezzo una linea leggermente in rilievo. Infila l’ago dall’angolo esterno, in prossimità del punto di congiunzione della cornea con la sclerotica, poco sotto il diametro trasversale della pupilla, spingendolo sino a che la convessità non arrivi sopra il cristallino per spingerlo verso il basso, e la punta uncinata passi tra la capsula ed il corpo cigliare, in modo che, una volta abbassata la lente, resti tra la pupilla e l’iride. Muove allora l’ago in modo da farne aderire la convessità all’iride e con la punta squarciare la Fig. 4 - Scarpa A., Saggio di osservazioni sulle principali malattie degli occhi. Venezia, 1802, Tav. III. Biblioteca di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma. 421 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi capsula ed infilzare il cristallino, per trasportarlo fuori dall’asse visuale ed infossarlo nel corpo vitreo o, in caso di cataratta membranosa, lacerarlo e sminuzzarlo32. Avverte della necessità di asportare l’intera capsula del cristallino, che, opacizzandosi, darebbe luogo alla “cataratta membranosa secondaria”: l’operatore deve pertanto penetrare con l’ago attraverso la pupilla sino ad infilzare la capsula, prestando attenzione ad eventuali aderenze con l’iride, per cui è opportuno muovere l’ago in modo che la punta tagliente laceri il punto di unione della capsula del cristallino con la detta membrana. In presenza di una cataratta liquida o molle, è sufficiente inserire l’ago uncinato tra l’iride ed il margine della capsula del cristallino ed infilzarlo profondamente per far fuoriuscire l’umore biancastro, procedendo poi alla depressione della capsula. Il cistotomo di Daviel e l’ago uncinato di A. Scarpa trovano largo impiego nell’operazione di cataratta, divenendo la base di diversi modelli di strumenti a lancia convessa, sino alla costruzione di Fig. 5 - Aghi per l’estrazione di cataratta, con manico in avorio (XIX sec.), Museo di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma 422 History of cataract surgery lancette composte da due bisturi combinati in modo da formare un’unica lancia tagliente, che potesse incidere la cornea nella lunghezza e nello spessore più congruo, e poi nuovamente sdoppiarsi in fase operatoria per l’estrazione del cristallino33, la creazione di strumenti “meccanici”, ossia a manico unico ed a doppia lama, manualmente regolabili grazie a perni e/o bottoni per allargare, verticalmente o orizzontalmente, Chirurgo all’ospedale della Carità a Lione e poi all’Hotel-Dieu di Parigi, A. Petit (1766-1811) lascia manoscritti delle osservazioni e dei resoconti degli interventi da lui praticati, pubblicati poi da A. Lusterbourg34. Malgrado pratichi ancora l’abbassamento della cataratta, si fa sostenitore delle operazioni di asportazione totale del cristallino, che pratica attraverso un’incisione longitudinale o a croce nella cornea. Contrasta il sistema della divisione del cristallino, poiché il movimento dello strumento in verticale ed in orizzontale, può causare la perdita dell’umore acquoso, e, quindi, uno spostamento in avanti dell’iride, che verrebbe esposta al rischio di esser ferita. Opera lasciando il paziente adagiato sul letto, esercitando una pressione sulle palpebre in modo da tenere il lobo oculare tra il dito indice ed il medio, per lasciare esposta solo la parte su cui interviene. Dopo aver praticato l’incisione, chiude l’occhio per qualche minuto, per permettere che la pupilla si dilati e che il cristallino si porti naturalmente in avanti, agevolandone così l’estrazione. Per incidere la cornea propone lo strumento di Guerin, con lama corta triangolare ad angolo acuto nella parte inferiore che ne facilita la penetrazione, ed il coltello di Wenzel, di cui ha però allargato la punta, perché la pupilla ne fosse completamente coperta, e quindi protetta. Direziona lo strumento perpendicolarmente ed in un punto più lontano dalla sclerotica di quanto si faccia abitualmente, per evitare lesioni dell’iride. Loda il cistotomo di Rey, perfezionamento di quello di Lafaye, poiché la sua lama, come una lancetta, è compresa tra due piccole colonne d’argento, che ne garantiscono 423 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi Fig. 6 - Strumenti per operazione di cataratta, con manico in ebanite (XIX sec.), Museo di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma l’igiene e che permette di esporre la lancetta solo al bisogno, e nella parte posteriore un chiodo ne permette la regolabilità della punta a secondo dell’uso e del bisogno. Si serve anche di cesoie, pinze e di un cucchiaio di raschiamento, che utilizza soprattutto nei casi di un “cristallino mucoso”, ossia meno solido ed accompagnato da materia viscosa, che crea aderenze. Può, viceversa, capitare che la sola incisione nella cornea sia sufficiente a far uscire il cristallino. G. Pellier De Quengsy (1751-1835) crea un oftalmotomo con lama falciata per praticare un’incisione semicircolare sulla cornea, arrivando sino al cristallino senza toccare l’uvea. Per coadiuvare l’operazione di estrazione, utilizza una pinza uncinata, con due estremità appuntite e dentate nella superficie interna, per trattenere il lembo della cornea sollevato35. Von Graefe (1828-1870), considerato tra i fondatori della moderna oftalmologia, sviluppa tecniche diagnostiche e chirurgiche per le 424 History of cataract surgery patologie oculari, tra cui l’iredectomia totale o parziale in presenza di glaucoma. Per l’operazione della cataratta utilizza un ago con punta affilata e piatta, che ne permetta un’agevole penetrazione nel corpo vitreo per abbassare o estrarre il cristallino, di cui il Museo di Storia della Medicina conserva un esemplare. L’estrazione del cristallino mediante un apposito ago resta la pratica chirurgica più utilizzata anche nel corso del XX secolo, sebbene si sperimentino nuove tecniche meno invasive, tra cui si ricorda la ventosa di I. Barraquer (1884-1965), che segna il passaggio all’estrazione intracapsulare del cristallino. Fig. 7 - Cassetta contenente strumenti per intervento di cataratta - XIX sec. (Museo di Storia della Medicina – Sezione di Storia della Medicina Università La Sapienza di Roma) 425 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi Fig. 8 - 1 ventosa di I. Barraquer per estrazione della cataratta. Donazione del Prof. Scuderi 2. 1bisturi di A. Von Graefe, in manico d’avorio, per l’estrazione della cataratta. Donazione del Prof. Scuderi 3. 1 bisturi, in manico d’avorio, per incisione del corpo vitreo (XIX sec.). Donazione del Prof. Scuderi 4. 1 bisturi per estrazione della cataratta (XX sec.) 5. (Museo di Storia della Medicina – Sapienza Università di Roma) BIBLIOGRAFIA E NOTE 1. Nitro fossile, anticamente utilizzato anche come collante soprattutto nella fusione dei metalli. 2. LECA A.G., La médecine égyptienne au temps des pharaons. Paris, Éd. R. Dacosta, 1971. 3. IPPOCRATE, De carn. XVII, Li. 8, 576-615 4. IPPOCRATE, Loc. Hom. II, Li. 6, 273-349 5. IPPOCRATE, Loc. Hom. II, Li. 6, 273-349 6. IPPOCRATE, Loc. Hom. XIII, Li. 6, 273-349 7. Del De oculo di Erofilo, andato perduto, abbiamo notizie da autori successivi, quali Demostene Filatete (I.sec. a.C.), nel suo Ophtalmicus, e dai medici bizantini, specie da Aezio d’Amida (502-575), autore del Librorum medicinalium tomus primus, trattato interamente dedicato all’oculistica, che oltre a riprende l’interpretazione anatomo-fisiologica ed eziopatogenetica ippocrati- 426 History of cataract surgery 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. co-galenica, eredita le conoscenze pratiche e chirurgiche egiziane, in particolare dei medici della Scuola di Alessandria. CELSO A.C., , De re medica, § VII. GALENO C., De usu partium, X,14, K. III, 759-841 GALENO C., De usu partium, X, 6, K. III, 759-841 GALENO C., Hipp. Progn. Commentarius, I, XXIII, K. XVIIIB, 1-109. GALENO C., Definitiones medicae, § CCCLXIII, k. XIX, 346-462. GALENO C., De usu part. X, I, K. III, 168-265.. GALENO C., De composizione medicamentorum, IV, K. XII, 696-803. Ibidem. GALENO C., De locis affectis,VI, 2, K. VIII, 216-296. Paolo di Egina, nel suo “Compendio di Medicina” e nella sua “Chirurgia”, racchiude tutto lo scibile sull’oculistica dell’epoca, fornendo un cospicuo elenco delle malattie oculari sino allora conosciute e indicandone i rispettivi rimedi, medici e chirurgici. Il suo contributo maggiore sta proprio nell’esposizione degli interventi chirurgici. Tra i testi interamente dedicati alle patologie oculari si ricordano il “Liber pro sanitate oculorum” di D. Armenio (XII sec.); l’“Ars probata oculorum” di Benvenuto Grasso (XIV sec.), considerato la massima autorità dell’oculistica salernitana e autore del primo trattato, in lingua latina, di oculistica, in cui ben espone la natura delle patologie e la pratica degli interventi terapeutici e chirurgici usitati nella Scuola salernitana. DE LIUZZI M., Anatomia riprodotta da un codice bolognese del secolo XIV …. Sighinolfi L. (a cura di), Bologna, L. Cappelli, 1930, D’ACQUPENDENTE G. F., Opera chirurgica in pentateuchum, et operationes chirurgicas distincta. Patavini, Tipis Matthei de Cadorinis, 1666. DALLA CROCE G.A., Cirugia Universale e perfetta… In Venetia, presso G. Ziletti, 1583, lib. VII. Cfr. PELLIER DE QUENGSY G., Précis ou Cours d’opérations sur la chirurgie des yeux… A Paris, chez Didot- Mequignon, 1789, p.237. BRISSEAU P., Traité de la cataracte et du glaucoma. Paris, chez Laurent d’Houry, 1709, p. 37. SAINT-YVES C., Nouveau traité des maladies des yeux…, A. Le Mercier, 1722. Cf. DIONIS P., Cours d’opérations de chirurgie démontrées au Jardin royal. Paris, 1714. HEISTER L., Istituzioni Chirurgiche…Venezia, presso Pietro Gio. Gatti, 1743, T.1, cap. LV. 427 Alessandro Aruta, Marco Marenco e Silvia Marinozzi 27. Cfr. MORGAGNI G.B., De sedibus et causis morborum.., Venezia, 1761, XIII, 9, 14-18; LXIII, 6, 10-11. 28. DAVIEL J., Sur une nouvelle méthode de guérir la cataracte par l’extraction du cristalin. In: Mémoire de l’Académie de chirurgie. 1753, tome II, pp. 337- 354. 29. Cfr. TROJA M., Lezioni intorno alle malattie degli occhi. Napoli, nella Stamperia Simoniana, 1780, pp.369-371; PELLIER DE QUENGSY G., Précis ou Cours d’opérations sur la chirurgie des yeux… A Paris, chez Didot- Mequignon, 1789, pp.229-233. 30. TROJA M., Lezioni intorno alle malattie degli occhi. Napoli, nella Stamperia Simoniana, 1780, p.337. 31. Cfr. GUERIN P., Traité sur les maladies des yeux. Lyon, 1769. 32. Cfr. SCARPA A., Trattato delle principali malattie degli occhi… Napoli, Tipografia di G. Palma, 1825, vol.2, p.25 33. Cfr.VESPA G., Lettera del Dot. Giuseppe Vespa… ad un Amico, in occasione d’un nuovo Strumento inventato per tagliare la Cornea Lucida… In Firenze, nalla stamperia Moucke, 1769; GIORGI G., Memoria sopra un nuovo strumento per operare le cateratte… Imola, Dalla tipografia del seminario, 1822. 34. PETIT M.- A., Collection d’observations cliniques… A Lyon, chez A. Leroy, 1815. 35. PELLIER DE QUENGSY G., Précis ou Cours d’opérations sur la chirurgie des yeux… A Paris, chez Didot- Mequignon, 1789, pp. 244 et segg. Correspondence should be addressed to: Silvia Marinozzi, [email protected] 428 MEDICINA NEI SECOLI ARTE E SCIENZA, 21/1 (2009) 429-451 Journal of History of Medicine Museologia Medica/Medical Museology LE COLLEZIONI SANITARIE DELL’OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO, MANGIAGALLI E REGINA ELENA DI MILANO Paolo M. Galimberti Fondazione irccs Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena Servizio Beni Culturali, Milano, I SUMMARY THE MEDICAL COLLECTIONS OF MILAN MAJOR HOSPITAL This essas shows the uncommon occurrence of collections developed in a Hospital. In the past centuries the obstetrical gynaecological (since 18th Century) and anatomical collections (since 1829) were oriented to medical education, while the Pharmacy had a rich equipment. In the first half of 20th century, a Museum open to the public was planned, but the second World War and the absence of interest induce the loss of a large part of the materials. Since 2002 we had censed, collected, and listed the historical instruments, and in 2005 we realized a permanent exhibition. The collections combine about 1500 items. We have especial care to save also modern objects and equipments, after they are disused. At last we hope to realize a real Museum, and we search to assume peculiarities, goals, strength, potentials users, custom. Le attuali raccolte di strumenti sanitari della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena rappresentano un interessante caso di collezione sviluppata all’interno di un ente ospedaliero di antica fondazione1. Il presente contributo esamina le radici storiche e l’attuale configurazione delle raccolte, cercando di delinearne le prospettive di sviluppo2. Key words: Ancients instruments - Medical history museum - Hospital history 429