Internazionale.n.945.20
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Internazionale.n.945.20
MARCOLIN - INFO 800.500.000 20/26 aprile 2012 • Numero 945 • Anno 19 “E poi che senso ha un bar se non ci puoi fumare?” Sommario ANDrew hussey, pAgiNA iN copertiNA La settimana Contro Sarkozy Opachi AfricA e MeDio orieNte 24 Sudan-Sud Sudan portfolio AMeriche Bbc Embassy Newsweekly ritrAtti ecoNoMiA e lAvoro Q Magazine 108 Un mondo viAggi Página 12 cultura grAphic jourNAlisM 84 alla crisi è il suicidio The New York Times 78 Parigi società 81 Allergia alla realtà 40 Gioco solo altri due minuti The New York Times Magazine ciNA 48 Le tigri cinesi Newsweek bielorussiA 54 Dittatore al verde Le Monde MeDio orieNte 6o La lunga marcia dei Fratelli The Economist di tassi truccati The Economist 74 Il sentiero del lago visti DAgli Altri 32 Se la soluzione di Larry Page Bloomberg Businessweek 70 Raed Arafat AsiA e pAcifico 28 Afghanistan 106 L’anno di un’altra Europa Danilo De Marco Le Monde 26 Argentina tecNologiA 64 I partigiani Cinema, libri, musica, video, arte Chantal Montellier Le opinioni ciNeMA Vedomosti pop 96 Camminare 99 è politica Will Self Palestina a Las Vegas Alma Khasawnih 25 Amira Hass 27 Jason Horowitz 36 Manuel Castells 38 Will Hutton 86 Gofredo Foi 88 Giuliano Milani 90 Pier Andrea Canei 92 Christian Caujolle 100 Tullio De Mauro 103 Anahad O’Connor scieNzA 109 Tito Boeri 102 Ogni bambino nasce con i suoi batteri New Scientist le rubriche 12 Posta 15 Editoriali 112 Strisce 113 L’oroscopo 114 L’ultima le principali fonti di questo numero Newsweek Insieme a Time, è uno dei più importanti newsmagazine statunitensi. È stato fondato nel 1933. L’articolo a pagina 48 è uscito il 12 marzo 2012 con il titolo Tigress tycoons. The New York Times Magazine È il magazine della domenica del New York Times. Il primo numero risale al 1896. L’articolo a pagina 16 è uscito il 15 aprile 2012 con il titolo The soft middle of François Hollande. L’articolo a pagina 40 è uscito l’8 aprile 2012 con il titolo Just one more game… Q Magazine Fondato nel 2007, è uno dei principali settimanali d’attualità romeni (qmagazine.ro). L’articolo a pagina 70 è uscito il 15 gennaio 2012 con il titolo Raed Arafat: “Mi s-a spus de multe ori ‘a venit şi arabul ăsta să ne înveţe medicină’”. Vedomosti È un quotidiano economico russo. L’articolo a pagina 81 è uscito il 22 marzo 2012 con il titolo Rossijanie ne khotiat videt realnost na ekrane. Internazionale pubblica in esclusiva per l’Italia gli articoli dell’Economist. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 5 internazionale.it/sommario “In giro per il mondo ci sono forze molto potenti schierate contro il web aperto. Fa paura”. Sergey Brin è nato a Mosca ma vive negli Stati Uniti da quando aveva sei anni: i genitori lasciarono l’Unione Sovietica per via del clima di antisemitismo che si respirava in quel periodo. Ha fondato Google con Larry Page quando aveva 25 anni. Oggi ne ha 38 ed è miliardario. In un’intervista al Guardian, Brin identiica i tre principali nemici di internet. I paesi come la Cina, l’Arabia Saudita o l’Iran, che fanno di tutto per censurare la rete e impedire l’accesso al web. L’industria dello spettacolo, che cerca di far approvare delle leggi per bloccare i siti pirata. E inine Facebook e la Apple, che stanno recintando i giardini digitali attraverso un controllo molto stretto sul software e sui contenuti che possono circolare all’interno delle loro piattaforme. Naturalmente quest’ultima accusa insospettisce molti. Facebook sta per andare in borsa e Brin sembra voler infastidire un pericoloso concorrente. Anche perché, scrive Emily Bell sempre sul Guardian, Google non è mai stata famosa per essere un’azienda particolarmente aperta o trasparente. E se c’è una minaccia al web aperto, viene proprio da una piccola élite di imprenditori ricchissimi, quasi tutti maschi e ferocemente competitivi, che prendono decisioni poco chiare e creano sistemi opachi con le loro società da cui tutti noi dipendiamo sempre di più. Giovanni De Mauro [email protected] François Hollande alla conquista di una Francia divisa e in crisi. Gli articoli di The New York Times Magazine (p. 16), The Observer (p. 18), Jacques Attali (p. 19) e Libération (p. 22). Foto di Stéphane Lavoué (Pascoandco.com). Immagini Per il Grande leader Pyongyang, Corea del Nord 16 aprile 2012 Un concerto a Pyongyang per festeggiare i cent’anni dalla nascita di Kim Ilsung (1912-1994), padre della nazione. Alle celebrazioni del 15 aprile il nuovo presidente Kim Jong-un, nipote di Ilsung, ha tenuto il suo primo discorso pubblico, in cui ha afermato che la Corea del Nord è “in grado di battere tutti i suoi nemici”. Con 1,2 milioni di soldati, l’esercito nordcoreano è il quarto più grande del mondo. Gran parte delle sue armi, però, sono obsolete. Il 13 aprile il lancio di un razzo per portare in orbita un satellite è stato un iasco. Foto di David Guttenfelder (Ap/Lapresse) Immagini In pensione Washington, Stati Uniti 17 aprile 2012 Un aereo della Nasa trasporta lo shuttle Discovery verso la sua nuova dimora: lo Steven F. Udvar-Hazy center di Chantilly, in Virginia, un museo aerospaziale non lontano dall’aeroporto internazionale Dulles di Washington. Il Discovery è la navetta spaziale della Nasa rimasta più a lungo in servizio, realizzando 39 missioni. Il primo volo risale al 30 agosto 1984, mentre l’ultima missione si è conclusa il 9 marzo 2011. Foto Nasa/Ap/ Lapresse Immagini Il peso del ieno Dargai, Pakistan 13 aprile 2012 Un camion ribaltato per un carico eccessivo a 160 chilometri da Islamabad, la capitale pachistana. Trasportava ieno. Secondo l’ultimo rapporto del Pakistan institute of development economics, l’economia del paese continua a trovarsi in diicoltà. La crescita è debole e i principali indicatori macroeconomici hanno valori preoccupanti. Secondo il rapporto, anche se l’agricoltura si sta riprendendo dai danni delle alluvioni, nell’anno iscale 2012 l’economia non raggiungerà il target del 4,2 per cento di crescita. Foto di Mian Khursheed (Reuters/ Contrasto) [email protected] I fantasmi del capitale u Perché questo articolo pedante (Arundhati Roy, 6 aprile)? Poche e non documentate informazioni, opinioni immotivate, non poche contraddizioni… Ne esco in stato di confusione. Mi è venuta voglia di leggere qualcosa di approfondito e ben argomentato sul tema. Claudio Vitali La resa di Mario Monti u Sono irritato dall’articolo sulla presunta resa di Mario Monti (13 aprile) riguardo alle modiiche all’articolo 18 e dalle propagandistiche conclusioni del Wall Street Journal che accusa i “potenti sindacati” di trascinare l’Italia sull’orlo del baratro. Mi pare di ricordare che l’articolo 1 della nostra costituzione stabilisce che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. La scelta di Monti di non consentire il licenziamento per “motivi economici” tutela almeno in parte il lavoratore dipendente, già schiacciato dalla crisi e dalla pressione iscale. Quella che si indica come una “modesta riforma” darebbe il via libera a contrattazioni sempre più vantaggiose per chi, con l’alibi della crisi, specula sulla risorsa umana. Carlo Esposito Errata corrige u Nell’articolo “L’Italia punta sul biologico” (6 aprile), per colpa di una virgoletta nel posto sbagliato, la frase “Oggi invece si tratta perlopiù di burocrati, formati dagli stessi consorzi di veriica che poi li mandano a controllare le aziende agricole. Burocrati che nel peggiore dei casi falsiicano documenti per ottenere un proitto” sembra di Alessandro Triantafyllidis mentre invece è della giornalista. Ci scusiamo con Triantafyllidis e con Birgit Schönau. L’Aiab ci tiene anche a sottolineare che “la proposta fatta al ministero per le politiche agricole alimentari e forestali per la formazione dei tecnici certiicatori non è l’introduzione di un esame di stato, bensì l’introduzione di corsi di formazione e aggiornamento accreditati dal Mipaaf. Inine, rispetto alla questione della terra, il presidente dell’Aiab Alessandro Triantafyllidis non ha fatto riferimento alle speculazioni maiose, ma ha evidenziato le diicoltà di accesso alla terra legate al costo dei terreni e alle diicoltà di accesso al credito”. u Nel numero del 13 aprile, a pagina 24, le vittime della guerra in Bosnia sono state centomila, non diecimila. A pagina 30, Renzo Bossi è stato eletto con circa 12mila preferenze, non con una lista bloccata. Nella cartina a pagina 75, il iume Giordano sfocia nel mar Morto, non prosegue a sud. Sempre a pagina 75, la frase corretta è: “L’obiettivo del governo giordano è avere programmi propri”. A pagina 95, il nome corretto dell’artista israeliana è Michal Rovner. gamaschi non sono tutti come lei, ma immagino che la provincia non dia grandi possibilità di lavoro stimolante. Tra Bergamo e il resto del mondo però c’è una stazione intermedia: Milano. La locomotiva dell’economia italiana di lavori stimolanti ne ha da ofrire, e tuo iglio abiterebbe a un’ora di treno dal padre. Forse Milano è la stazione intermedia tra la tua e la sua felicità. Claudio Rossi Marcelli è un giornalista di Internazionale. Risponde all’indirizzo [email protected] Giulia Zoli è una giornalista di Internazionale. L’email di questa rubrica è correzioni @internazionale.it PER CONTATTARE LA REDAZIONE Telefono 06 441 7301 Fax 06 4425 2718 Posta viale Regina Margherita 294, 00198 Roma Email [email protected] Web internazionale.it INTERNAZIONALE È SU Facebook.com/internazionale Twitter.com/internazionale Flickr.com/internaz YouTube.com/internazionale La stazione intermedia Con i igli si perde la libertà di non avere radici. Anche se non avevi mai pensato di fare il giro del mondo, improvvisamente ti secca di non poterlo più fare. Nel mio caso, per esempio, accanto all’immensa gioia di diventare padre sentivo una vocina che mi diceva: 12 “Puoi dire addio a quel progetto di mollare tutto e farti monaco zen a Kamakura”. E, credimi, io quel progetto non l’avevo mai fatto! Quando poi i genitori non sono una coppia, le radici che ti ancorano al terreno non sono neanche le tue, ma quelle di tuo iglio. Non conosco Bergamo. Me ne sono tenuto lontano per anni, da quando un’amica di Bergamo Alta mi disse che “quelli di Bergamo Bassa son dei terroni” (io, da bravo romano, m’illudevo che la linea del Mezzogiorno passasse a sud di Roma). Poi ho scoperto che i ber- Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Lettura a ostacoli u Anche se è meno usata rispetto ad altri segni di punteggiatura, per esempio la virgola, la lineetta – da non confondersi con il trattino che serve a unire due parole – è uno dei pochi segni di punteggiatura che sulla pagina salta all’occhio – basta leggere queste righe per accorgersene. In una frase, le lineette delimitano delle interruzioni improvvise – inserzioni parentetiche direbbero i grammatici – che aprono la strada ad altri pensieri o ad altre voci. Ma si prestano anche a molti altri usi – forse troppi. Nello scorso numero John Lanchester – che oltre a essere un giornalista è uno scrittore – e si vede – le usa spesso, sia per interrompere un pensiero con un altro pensiero – tipico delle persone curiose e brillanti come lui – sia per spiegare o aggiungere informazioni. Certi scrittori usano le lineette per fare capolino – a volte in modo chiaramente pretestuoso, no? – nella narrazione. Gli americani le usano spesso per enfatizzare un’affermazione – qualsiasi afermazione. C’è chi le usa al posto di un altro segno di punteggiatura – i due punti. Ma tante lineette possono essere il sintomo di una frase troppo lunga o mal costruita. Internazionale usa le lineette con parsimonia perché – come avrete notato – troppe interruzioni danno fastidio. Dear daddy Vivo in provincia di Bergamo e vorrei partire in cerca di un lavoro stimolante. Non voglio allontanare mio iglio dal mio ex compagno, ma se accetto questa mediocrità morirò lentamente. Che fare? –Maria Le correzioni Editoriali “Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante se ne sognano nella vostra ilosoia” William Shakespeare, Amleto Direttore Giovanni De Mauro Vicedirettori Elena Boille, Chiara Nielsen, Alberto Notarbartolo, Jacopo Zanchini Comitato di direzione Giovanna Chioini (copy editor), Stefania Mascetti (Internazionale.it), Martina Recchiuti (Internazionale.it), Pierfrancesco Romano (copy editor) In redazione Carlo Ciurlo (viaggi), Camilla Desideri (America Latina), Simon Dunaway (attualità), Mélissa Jollivet (photo editor), Alessandro Lubello (economia), Alessio Marchionna (Italieni), Maysa Moroni, Andrea Pipino (Europa), Francesca Sibani (Africa e Medio oriente), Junko Terao (Asia e Paciico), Piero Zardo (cultura), Giulia Zoli (Stati Uniti) Impaginazione Pasquale Cavorsi, Valeria Quadri Segreteria Teresa Censini, Luisa Cifolilli Correzione di bozze Sara Esposito, Lulli Bertini Traduzioni I traduttori sono indicati dalla sigla alla ine degli articoli. Marina Astrologo, Matteo Colombo, Stefania De Franco, Andrea De Ritis, Enrico Del Sero, Andrea Ferrario, Antonello Guerrera, Giusy Muzzopappa, Floriana Pagano, Francesca Rossetti, Fabrizio Saulini, Andrea Sparacino, Francesca Spinelli, Mihaela Topala, Bruna Tortorella Disegni Anna Keen. I ritratti dei columnist sono di Scott Menchin Progetto graico Mark Porter Hanno collaborato Gian Paolo Accardo, Luca Bacchini, Francesco Boille, Annalisa Camilli, Catherine Cornet, Gabriele Crescente, Giovanna D’Ascenzi, Sergio Fant, Anna Franchin, Francesca Gnetti, Anita Joshi, Odaira Namihei, Andrea Pira, Lore Popper, Fabio Pusterla, Marta Russo, Marc Saghié, Andreana Saint Amour, Diana Santini, Angelo Sellitto, Laura Tonon, Pierre Vanrie, Nicola Vincenzoni, Guido Vitiello Editore Internazionale srl Consiglio di amministrazione Brunetto Tini (presidente), Giuseppe Cornetto Bourlot (vicepresidente), Emanuele Bevilacqua (amministratore delegato), Alessandro Spaventa (amministratore delegato), Antonio Abete, Giovanni De Mauro, Giovanni Lo Storto Sede legale via Prenestina 685, 00155 Roma Produzione e difusione Francisco Vilalta Amministrazione Tommasa Palumbo, Arianna Castelli Concessionaria esclusiva per la pubblicità Agenzia del marketing editoriale Tel. 06 809 1271, 06 8066 0287 [email protected] Subconcessionaria Download Pubblicità S.r.l. 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Poi ha perino fatto un sorrisetto compiaciuto quando sono state mostrate le immagini dei danni prodotti dalla bomba che aveva messo a Oslo. E inine si è commosso quando è stato proiettato in aula il suo grotte- sco video di propaganda. Devono ancora succedere molte cose, ma le prime giornate del processo hanno messo in evidenza le virtù di una civiltà democratica di fronte al terrorismo. Poco dopo il massacro il primo ministro norvegese aveva preso un impegno solenne: il paese non avrebbe risposto con la vendetta, ma con più democrazia, più apertura, più umanità. “Risponderemo all’odio con l’amore”, aveva dichiarato. Il 16 aprile abbiamo visto cosa significa tutto questo: moderazione, misura, sensibilità, tolleranza e un processo giusto e corretto. È una lezione per il resto del mondo. u ma Banca mondiale poco globale Le Monde, Francia Barack Obama avrebbe fatto un gesto molto coraggioso affidando la presidenza della Banca mondiale al candidato più competente tra quelli in competizione: la ministra nigeriana delle inanze ed ex numero due della banca, Ngozi Okonjo-Iweala. Ma se il presidente degli Stati Uniti, in piena campagna per la rielezione, avesse rotto con la regola non scritta che dal 1944 attribuisce questo posto a uno statunitense (e quello di direttore generale del Fondo monetario internazionale a un europeo), i suoi avversari repubblicani lo avrebbero subito accusato di aver indebolito Washington sulla scena internazionale. Così Obama non ha tenuto conto della promessa fatta dal consiglio di amministrazione della banca di un’elezione fondata “sul merito”. È vero, il suo candidato, il dottor Jim Yong Kim, è stato eletto a grande maggioranza il 16 aprile (con la complicità degli europei, dei giapponesi, dei coreani e dei canadesi). Ma nonostante la “trasparenza” del processo elettorale voluta dai 187 stati membri della banca, è ancora una volta la nazionalità – e non la competenza – che ha determinato la presidenza della Banca mondiale. Ed è ancora uno statunitense che la dirigerà per i prossimi cinque anni. Tuttavia questi giochi di potere delle potenze occidentali non dureranno a lungo. Per la prima volta infatti il candidato ha dovuto fare i conti con una concorrenza forte e con dei candidati qualiicati – la nigeriana Ngozi Okonjo e l’ex ministro delle inanze colombiane, José Antonio Ocampo, che alla ine si è ritirato per favorire la candidata africana. Per la prima volta la Casa Bianca è stata obbligata a impegnarsi in trattative serrate e a cercare un candidato che non fosse né bianco né banchiere né politico né di origini statunitensi. Un fatto signiicativo è che, anche se nessuno dei tre candidati uiciali è nato negli Stati Uniti, tutti e tre hanno studiato nelle università americane: Ocampo a Yale, Ngozi Okonjo e Kim a Harvard. Insomma, si tratta di candidati seri e preparati. In altre parole gli Stati Uniti, quando non gli conviene, non si impegnano veramente nella globalizzazione. Ma non sono gli unici responsabili di questi accordi e di queste ipocrisie, che frenano il progresso verso un governo mondiale libero dagli egoismi degli stati. Anche i paesi emergenti hanno la loro parte di responsabilità. Questi governi, che non perdono mai occasione di gridare allo scandalo per il condominio occidentale sulle due istituzioni gemelle di Bretton Woods (Banca mondiale e Fondo monetario), non sono stati capaci di mettersi d’accordo su un candidato comune né all’Fmi nel 2011 né alla Banca mondiale quest’anno. Diicile in queste condizioni sostenere delle soluzioni alternative rispetto a quelle dei paesi occidentali sulle questioni monetarie e sui diritti dell’uomo. La speranza è che il nuovo presidente della Banca mondiale, Jim Yong Kim, si ricordi di essere nato in Corea del Sud, di essere cresciuto in Nordamerica, di aver lavorato in Perù e di essere abbastanza cittadino del mondo per non dover seguire gli ordini del ministero del tesoro statunitense in materia di sviluppo. u adr Internazionale 945 | 20 aprile 2012 15 Hollande contro Sarkozy LIoNEL CHARRIER (MYoP/LUzPHoto) In copertina Steven Erlanger, The New York Times Magazine, Stati Uniti Ha studiato nelle migliori università ed è molto diverso dal presidente uscente. Ma perino nel suo partito è considerato poco autorevole. Ecco perché il candidato socialista è il favorito nel voto francese onostante la dieta preelettorale dell’anno scorso – meno vino, meno formaggi e soprattutto meno cioccolata – François Hollande, il leader politico socialista che potrebbe diventare il prossimo presidente francese, ha ancora la pelle del viso laccida e sembra piuttosto trasandato nei suoi abiti grigi. Lo chiamano “Flanby”, dal nome della marca di un budino al caramello. Ma è solo uno dei soprannomi ofensivi aibbiati a questo allegro signore che, ino a poco tempo fa, era considerato un politico di secondo piano. Lo hanno chiamato anche “marshmallow” e “mister barzelletta”, e l’anno scorso Martine Aubry, segretario del Partito socialista francese, l’ha deinito un couille molle, rammollito. Dopo che la sua ex compagna e madre dei suoi quattro igli, Ségolène Royal, è diventata ministro e poi candidato socialista alle presidenziali del 2007, in molti hanno cominciato a chiamarlo “signor Royal”. Inoltre Hollande non era la prima scelta N 16 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 del partito per la presidenza: prima di lui c’era l’ex direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, che è uscito di scena dopo essere stato accusato di aver stuprato una cameriera a New York (le accuse poi sono cadute). Solo allora Hollande – che a 57 anni non è mai stato ministro e che, dal 1997 al 2008, è stato segretario di un partito socialista in grave diicoltà – è sembrato un candidato credibile. A dire il vero Hollande non è ancora un candidato del tutto credibile, soprattutto in questi tempi di crisi economica, paure legate all’islam e all’immigrazione e dubbi sul ruolo della Francia nel mondo. Una ragione del suo successo si basa senza dubbio sul fatto che molti francesi si sono stancati di Sarkozy, dei suoi amici impresentabili e dei suoi comportamenti immaturi. Ma un’altra ragione sta nel fatto che Hollande rappresenta una visione più tradizionale, e per molti più rassicurante, di quello che dovrebbe essere un politico francese. Hollande ripete spesso di essere un uo- mo normale. Sarkozy, iglio di immigrati che non rappresenta esattamente gli standard francesi, lo ha preso in giro per questo. Il presidente si esprime in modo diretto, ha spinto per tagliare le tasse ai ricchi e alle grandi imprese ed è considerato un “americano” sia in politica sia per i suoi modi di fare. Al contrario, Hollande ricorda con orgoglio le sconitte del passato per dimostrare di essere oggi un uomo migliore. Con la sua modestia e la sua antipatia per i ricchi, Hollande rappresenta anche un ritorno alla politica francese tradizionale. Ha preparato la sua carriera politica nel modo più francese possibile. Si è laureato in una delle migliori università del paese, le cosiddette grandes écoles. L’élite francese si forma in queste istituzioni più di quanto succeda con la Ivy League negli Stati Uniti. E gli ex studenti delle grandes écoles non si perdono di vista. All’École nationale d’administration, con Hollande c’erano anche il diplomatico Jean-Maurice Ripert, l’ex primo ministro Dominique de Villepin, il presidente di una grande compagnia di assicu- François Hollande a Vincennes, il 15 aprile 2012 Da sapere u Il 22 aprile in Francia si svolgerà il primo turno delle elezioni presidenziali. Il ballottaggio è previsto per il 6 maggio. Secondo il sondaggio realizzato dalla società Csa e pubblicato il 18 aprile da Libération, i favoriti sono il candidato del Partito socialista François Hollande e il presidente uscente Nicolas Sarkozy. Primo turno, intenzioni di voto, % François Hollande 29,0 Partito socialista Nicolas Sarkozy 24,0 Ump Marine Le Pen 17,0 Front national Jean-Luc Mélenchon 15,0 Front de gauche François Bayrou 11,0 MoDem Eva Joly 2,0 Verdi Nicolas Dupont-Aignan 1,5 Debout la République Philippe Poutou 1,0 Npa, anticapitalista Nathalie Arthaud 0,5 Lutte ouvrière Jacques Cheminade 0,5 Solidarité & Progrès Secondo turno 58 François Hollande Nicolas Sarkozy razioni, il capo della borsa francese, diversi ex ministri e Ségolène Royal. Sarkozy, invece, non è riuscito a laurearsi in una delle grandes écoles, e si dice che ancora oggi sia invidioso nei confronti di chi ce l’ha fatta. Da ragazzo Hollande si è dissociato dalle idee di estrema destra del padre, ma non si è mai deinito un ribelle. Da giovane, la sua più grande avventura è stata viaggiare con gli amici per l’Europa su un vecchio furgoncino Peugeot J7, ascoltando canzoni dei Beatles e di Jimi Hendrix. Nel 1974 Hollande ha ottenuto una borsa di studio per trascorrere l’estate negli Stati Uniti, dove ha studiato il modello del fast food americano, in particolare McDonald’s e Kentucky Fried Chicken. “Avrei potuto fare una fortuna con i cheeseburger, ma alla ine ho scelto la politica”, mi ha detto una volta a Marsiglia. Secondo l’analista politico Pascal Perrinau, oggi la sinistra francese non rappresenta più del 42 per cento degli elettori. Quindi Hollande ha bisogno dei voti del centro e perino dell’estrema destra per vincere. All’inizio della campagna elettorale aveva un vantaggio a due cifre sul presidente uscente. Poi Sarkozy ha cominciato a rimontare. Per il ballottaggio, previsto per il 6 maggio, Hollande è avanti di 7 punti, ma il margine si sta assottigliando. Tutto cambia La strategia di Sarkozy è molto simile a quella di George W. Bush nel 2004. Il presidente vuole evitare di far passare le elezioni presidenziali di quest’anno come un referendum sul suo mandato. Al contrario, vuole ridurre il voto a una scelta tra un leader deciso, capace di guidare la nazione fuori dal tunnel, e uno che viene paragonato a un budino caramellato. Sarkozy ha provato a spostare il dibattito dall’economia – che in genere favorisce Hollande, contrario alle misure di austerità – ad altri temi scottanti come crimine, terrorismo e islam. Temi che uniscono la destra e destano preoccupazione nella classe media, soprattutto dopo la strage di Tolosa del 19 marzo, che Sarkozy ha paragonato all’11 settembre. Durante la nostra intervista, Hollande 42 ha criticato l’atteggiamento di Sarkozy. “La paura lo aiuta”, ha detto, “perché alle persone impaurite non piace il cambiamento. Ma sa rassicurare queste persone? Questo è il problema”. Un consigliere di Sarkozy mi ha detto che secondo lui il presidente in carica perderà comunque le elezioni. Ma allo stesso tempo crede che Hollande non riesca a emozionare gli elettori. Perrinau è d’accordo: due terzi dei francesi che voteranno per Hollande al ballottaggio dicono che il loro è soprattutto un voto contro Sarkozy. E molti francesi si chiedono se Hollande, che è stato protagonista di una campagna elettorale sottotono, possa essere un leader abbastanza forte. Ma tutto questo non turba più di tanto il candidato socialista, che tempo fa ha ricordato il grande scetticismo che c’era all’inizio nei confronti di François Mitterrand, il primo e unico presidente socialista francese. “Capita tutto in un istante: vieni eletto, un attimo dopo incarni la Francia. E tutto cambia”. u ag Internazionale 945 | 20 aprile 2012 17 In copertina Andrew Hussey, The Observer, Gran Bretagna La distanza tra centro e periferia del paese non è mai stata così grande. Viaggio nella Francia profonda alla vigilia del voto del 22 aprile no dei grandi paradossi della Francia è che i suoi abitanti sono convinti di essere la nazione più civilizzata del mondo e al tempo stesso hanno improvvisi e laceranti crolli di autostima. Hanno perino un nome per questa sindrome: la chiamano malaise français, malessere francese. I sintomi, sempre gli stessi, compaiono quando si avvicina un’elezione importante: valanghe di dibattiti televisivi e articoli sul malcontento generale del paese e accorate considerazioni sul posto che la Francia occupa nel mondo. I politici dicono la loro, ma nessuno gli crede. È andata così anche quest’anno. Il sentimento dominante inora è stata la noia. Eppure non si può dire che la politica sia diventata meno interessante: negli ultimi mesi il caso StraussKahn, l’intervento in Libia e l’ondata di suicidi scatenata dalla disoccupazione hanno fatto discutere i francesi. Più di recente, la strage di Montauban e Tolosa (un francese di origine algerina ha ucciso prima tre soldati di origine nordafricana poi tre bambini e un insegnante in una scuola ebraica) ha profondamente scosso il paese, risvegliando antichi ricordi legati all’antisemitismo e al passato coloniale. In queste elezioni sono in gioco alcune questioni fondamentali. L’economia francese rischia di sprofondare nella crisi. La soluzione proposta da Sarkozy è il protezionismo unito alla lotta contro l’evasione iscale, mentre il principale candidato U 18 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 dell’opposizione, François Hollande, ha promesso un rafforzamento dello stato, l’abbassamento dell’età pensionabile e una tassazione al 75 per cento sui redditi sopra il milione di euro. I francesi non sembrano convinti da nessuno dei due. Nel frattempo i fatti di Tolosa e Montauban hanno riportato in primo piano la questione della sicurezza e dell’islamismo. L’estrema sinistra e l’estrema destra lanciano appelli rispettivamente a raforzare il centralismo dello stato e a inasprire la lotta all’immigrazione, ma la verità è che, alla vigilia del voto, nessun politico francese sembra avere le idee chiare su come gestire il paese. Da alcuni anni la cultura politica francese sta cambiando. Per due secoli la Francia è stata il paese più centralizzato d’Europa: amministrazione, inanze e cultura erano sotto il controllo di Parigi. Da una decina d’anni il controllo si sta allentando e le province francesi stanno scoprendo una nuova identità nazionale e internazionale grazie all’aumento dei collegamenti, ai nuovi aeroporti e ai treni ad alta velocità. I francesi si saranno pure stufati dei loro leader, ma fuori da Parigi l’energia e la iducia non mancano, e stanno trasformando il paese. Il cinismo di Marsiglia Nelle ultime settimane ho cercato di capire meglio questi cambiamenti viaggiando attraverso la Francia. Ho visitato Marsiglia, Lione e Lilla, spostandomi da sud a nord, dal Midi alla Manica, prima di tornare a Parigi, dove vivo. Volevo capire cosa stava succedendo in quelle città, che pensavo di conoscere bene, e quale poteva essere l’impatto di quel cambiamento sulle elezioni. Volevo scattare un’istantanea della nuova rivoluzione francese: la rivolta delle province contro la capitale. Ho cominciato da Marsiglia, che ho raggiunto partendo in macchina da Parigi e attraversando la Pro- STéPHANE LAVoué (TENDANCE FLouE/LuzPHoTo) Lontani da Parigi venza. All’inizio della primavera le colline grigio-azzurre sono sul punto di esplodere in un tripudio di colori alla Cézanne. Ma il motivo per cui sono andato a Marsiglia è che si vanta di essere una città irriducibilmente proletaria e immune all’arroganza, l’opposto dello snobismo elitario parigino. Agli occhi sdegnosi dei parigini, i marsigliesi sono dei fannulloni sentimentali con uno strano accento. I marsigliesi, dal canto loro, si considerano persone brillanti e irriverenti, la cui missione nella vita è essere schietti. L’ostilità tra Parigi e Marsiglia non è solo un aspetto essenziale del calcio francese, è anche un dato politico. Per questo a Marsiglia è facile trovare persone convinte che la loro città sia la vera capitale della Francia o almeno la capitale L’opinione Sarkozy e l’arma della paura Jacques Attali, L’Express, Francia Il presidente in carica ha puntato su una strategia già collaudata. Che però questa volta non funzionerà sservando i sondaggi, che si accumulano senza più con traddirsi, l’esito delle elezioni appare scontato: François Hollande sa rà il prossimo presidente francese. Ma c’è qualcosa che può ancora ribaltare il pronostico? Innanzitutto i risultati del primo turno potrebbero essere diversi da quelli immaginati. È altamente pro babile che Marine Le Pen o JeanLuc Mélenchon ottengano più voti del pre visto. È diicile, invece, che i sondaggi si sbaglino del tutto, e che possa essere rimesso in discussione il rapporto di forze che si è delineato tra destra e sini stra a una settimana dal voto, con i so cialisti in grande vantaggio, perino più che nel 1981. Se questo rapporto di forze fosse di verso, se l’intera sinistra non superasse il 44 per cento al primo turno, i sondag gi verrebbero pesantemente screditati e gli sviluppi successivi sarebbero im prevedibili. Se, al contrario, i dati attua li corrispondono alla realtà, la vittoria di François Hollande è inevitabile, a meno di cambiamenti improvvisi pri ma del ballottaggio. Ma un’ipotesi si mile è davvero possibile? Nicolas Sarkozy sembra crederci ancora. La sua visione della Francia lo porta a pensare che il modo migliore di procedere sia riproporre la vecchia strategia della destra al potere, che in passato è stata eicace: spaventare gli elettori e poi ergersi a difensore del pa ese contro chi potrebbe mettere in di scussione i loro diritti. Per ora questa tattica sembra non bastare: ammesso che i francesi considerino il presidente uscente l’uomo giusto per afrontare le diicoltà attuali, ci vorrebbe una crisi O Parigi , 18 marzo 2012. Sostenitori di Jean-Luc Mélenchon della vera Francia fuori dai conini dell’odia ta Parigi. “Gli abitanti di Marsiglia sono au tentici”, dice Olivier Vinet, un uomo sulla quarantina che dirige un’azienda di soft ware. Questo pomeriggio sta prendendo il sole seduto nella terrasse di un cafè del Vec chio porto. “Puoi non essere d’accordo con quello che dicono”, aggiunge, “ma puoi star certo che pensano quello che dicono”. Vinet si è trasferito qui qualche mese fa, innamo randosi subito della città. Ora la preferisce a Parigi, dove viveva. Vinet ha colto perfettamente lo spirito di Marsiglia. È una città piacevole, soprat tutto per i motivi che la fanno disprezzare ai parigini. È spigolosa e scostante, ma ha an che un suo stile e una sua trasandata ele ganza. Quando ci si avvicina al porto, il ru more del traico svanisce lentamente, ce dendo il posto al suono delle onde contro il molo. Marsiglia è una città che guarda a sud. Dopo di lei comincia l’Africa. Se per decenni Marsiglia ha suscitato il timore e il disprezzo di Parigi, è anche per ché è considerata una città più “africana”, o almeno più nordafricana, che europea. Nell’immaginario parigino era un posto pe ricoloso, corrotto e pieno di criminali. Oggi le autorità locali assicurano che la città è stata ripulita, in tutti i sensi. È vero: le strade sono meno sporche di un tempo e il tasso di criminalità è lo stesso delle altre città fran molto più drammatica per sovvertire gli equilibri di oggi. Ma quale crisi? Un peggioramento della crisi inanziaria? Un attacco di Israele all’Iran? Manife stazioni violente tra i due turni eletto rali, magari in occasione del 1 maggio? Diicile credere che una di queste eventualità, tutte plausibili, possa con vincere gli elettori a cambiare opinione e persuaderli che non bisogna voltare pagina. Ipotesi catastroiche a parte, il presidente uscente – quali che siano i suoi meriti – non è riuscito a convincere la maggioranza dei francesi che lui è in sostituibile e che Hollande farà peggio di lui. Sarkozy non è più considerato il difensore dei francesi, anche se proprio su questo ha puntato la sua campagna elettorale. In questo senso ha già perso. Cos’altro potrebbe cambiare le ten denze attuali? Una manovra difamato ria verso il candidato socialista impos sibile da smentire in tempo? Con un candidato limpido come François Hol lande è diicile immaginarlo. Per la destra c’è un’ultima possibili tà: una settimana in cui non succeda nulla. Se il presidente uscente credesse sul serio nella bontà del suo program ma, dovrebbe pensare che l’unico fat tore in grado di ribaltare la situazione è il silenzio: la quiete prima della tempe sta. I francesi potrebbero fermarsi a ri lettere per capire che non bisogna rin negare una politica proprio quando – dovrebbe sostenere Sarkozy a questo punto – sta cominciando a tirare fuori il paese dalla crisi. Scegliendo di puntare sulla paura, invece, il presidente ha ri velato qual è la sua opinione sui france si: irrazionali e disinteressati ai pro grammi dei candidati. Solo il tempo ci dirà se Sarkozy ha avuto ragione. u as Jacques Attali è un professore e saggista francese. È stato consigliere di François Mitterrand e tra il 2007 e il 2008 ha collaborato con Sarkozy. continua a pagina 20 » Internazionale 945 | 20 aprile 2012 19 cesi. Marsiglia inoltre ha una grande ambizione: vuole diventare una capitale dell’arte, del calcio e del turismo. La Barcellona francese. La prossima tappa di questo progetto è il 2013, quando Marsiglia sarà la capitale europea della cultura. In un bel pomeriggio di primavera ne ho parlato con Julie Chénot, che ha la diicile missione di portare la città a quel traguardo. Negli ultimi tempi è andata spesso ad Algeri e – stranamente – a Liverpool, la mia città di origine. “Come lei sa, Marsiglia ha un’importante comunità algerina. Inoltre Algeri è una città splendida, una sorta di specchio di Marsiglia”, spiega Chénot. Stiamo chiacchierando nel suo uicio nella Maison Diamantée, un magniico ediicio del cinquecento che afaccia sul Vecchio porto. Se Algeri le è piaciuta tanto, cos’ha trovato a Liverpool, la discussa capitale europea della cultura del 2008? Chénot ha un attimo di esitazione. “Non molto”, ammette. “Marsiglia e Liverpool sono due città proletarie molto diverse. Il iume Mersey non è il mar Mediterraneo”. Difficile contraddirla, mi sono detto mentre passeggiavo al porto, un tempo in rovina e oggi rimesso a nuovo. Campioni mondiali di cinismo, i marsigliesi sono scettici su “Marsiglia 2013”. Il Bar des sports, qui al porto, si sta riempiendo di tifosi per la partita di campionato di stasera: Olympique Marsiglia contro Evian. La prima cosa che noto entrando è che fumano tutti. In Francia il divieto di fumare nei bar, locali e ristoranti è in vigore dal 2008, ma qui nessuno sembra farci caso. Mentre mi accendo una sigaretta provo una strana sensazione, come se fossi tornato in un mondo più libero e malsano. Chiedo al barista, un tunisino di nome Samy, come mai è così elastico sulla legge: “Questa è Marsiglia”, risponde. “La legge è lessibile. E poi che senso ha un bar se non ci puoi fumare?”. I clienti approvano. Quando chiedo di Marsiglia capitale della cultura, i fumatori scoppiano a ridere e a tossire. “È uno scherzo”, commenta Laurent, tenendo un occhio sullo schermo. “Parlano di cultura, ma non è la cultura di Marsiglia”. “E cos’è la cultura di Marsiglia?”, chiedo. “Be’, come prima cosa non siamo come i parigini, non siamo snob. Siamo ringard e ci piace esserlo”. Non è facile tradurre ringard, ma vuol dire più o meno “sigato fuori moda”. Mi guardo intorno – uomini in tuta, sigarette, calcio e alcol – e capisco cosa vuol dire Laurent. Questo è l’esatto contrario della Parigi alla moda. È 20 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 STéPHANE LAVOué (TENDANCE FLOuE/LuzPHOTO) In copertina Parigi , 18 marzo 2012. Sostenitori di Jean-Luc Mélenchon una strana forma di ribellione, ma se si ha una sigaretta in mano e un pastis nell’altra si riesce a capirne la logica. La tappa seguente è Lione, considerata la città più convenzionale e borghese di Francia. Questa reputazione è in gran parte giustiicata. Lione è una città incantevole, con un bel quartiere medievale, ma è anche molto chiusa e non ha mai sidato Parigi troppo apertamente, né in campo politico né in campo artistico. Lione è famosa soprattutto per la sua cucina. Presentata come la migliore di Francia, la cucina locale è un insieme semplice e saporito di piatti a base di sangue e budella, tripes, andouillettes e quenelles. Lontana da tendenze culinarie più cosmopolite, incarna una visione tipicamente ottocentesca della felicità provinciale. Fino a poco tempo fa Lione era chiamata “la città nera”, per via della sporcizia che copriva i muri dei suoi eleganti palazzi. Quella patina è stata scrostata e oggi il centro è pulito e arioso, con nuove linee di tram e un servizio di bike sharing. Ho parlato di queste novità con l’energico e spiritoso Thierry Frémaux. A 51 anni, Frémaux è direttore del prestigioso museo del cinema di Lione, l’istituto Lumière, e delegato generale del festival di Cannes. Tutto questo fa di lui uno dei più celebri lionesi di Francia. Frémaux critica l’evidente torpore della città, ma è anche abbastanza ottimista sul suo futuro. “Ci stiamo lentamente rendendo conto di non avere sempre bisogno di Parigi”, spiega. Anche Lione punta a diventare la Barcellona francese. Ma nonostante i tanti cambiamenti, fa fatica a liberarsi della sua reputazione di città di estrema destra. Il problema è emerso con forza nel 2004, quando l’università di Lyon 3 è inita sotto inchiesta perché alcuni suoi docenti erano stati accusati di difondere tesi negazioniste dagli anni ottanta. L’immagine dell’università risentiva anche della presenza di Bruno Gollnisch, il numero due del Front national, il partito di Jean-Marie Le Pen, tra i docenti dell’ateneo. L’inchiesta non ha concluso granché, ma l’università continua a lottare contro la sua brutta fama. Quando venni a studiarci negli anni ottanta – allora ero un fan degli Smiths e un appassionato lettore della rivista New Musical Express – non riuscivo a capacitarmi del razzismo dei miei compagni di studi. Nonostante la sua apparenza borghese, Lione era e rimane una città violenta, molto più di Marsiglia, almeno per quello che ho visto io. È qui, non a Parigi, che sono scoppiati i primi grandi scontri razziali nel 1984. Ho raggiunto in bicicletta il quartiere di Saint-Jean e mi sono fermato in un cafè a chiacchierare con il barista, Benjamin, uno studente di Lyon 3. Volevo sapere cos’era cambiato da quando ero partito. Benjamin mi ha detto di non essere razzista, e sono certo che è vero, ma ha aggiunto che la cultura dell’odio è ancora presente. “Lione è una città molto complicata”, ha spiegato. “La politica qui non è come a Parigi. La nostra è una cultura locale, le cose cambiano lentamente”. Ho parlato con due ragazzi di origine nordafricana, un tunisino e un algerino, che passeggiavano per La Guillotière, un quartiere vicino all’università. Negli anni ottanta vivevo qui, e la zona era nota per la forte presenza di stranieri, l’alto tasso di criminalità e le risse tra studenti e immigrati. Da allora la situazione è migliorata, ma non troppo. I fatiscenti palazzi ottocenteschi sono ancora qui. Ho chiesto ai due ragazzi, che indossavano vestiti hip-hop di un bianco immacolato, se Lione fosse una città razzista. “È tutta una lotta”, ha risposto Mohamed, l’algerino, indicando l’università. “Gli studenti fachos (fascisti) non ci lasciano in pace e noi non lasciamo in pace loro”. Rachid, il tunisino, ha annuito. “Abbiamo il diritto di stare qui. Questo è anche il nostro paese”. “Se serve”, ha aggiunto Mohamed, “insegneremo ai razzisti francesi il rispetto e la buona educazione”. Anche se Lione è sempre meno chiusa e deferente verso Parigi, rimane una città divisa. Da sapere I programmi dei principali candidati Fisco, Europa e immigrazione François Bayrou MoDem Il leader centrista sostiene da anni la necessità di ridurre il debito pubblico. Per questo propone tagli alla spesa pubblica per cinquanta miliardi di euro, l’aumento dell’iva di due punti e imposte maggiori sui redditi più alti. Bayrou è anche favorevole a una pianiicazione industriale di lungo periodo: ha presentato un’agenda per lo sviluppo 2012-2020 ispirata a quella varata dalla Germania lo scorso decennio. È favorevole all’elezione a sufragio universale del presidente del consiglio europeo. Sviluppo e povertà Il giorno seguente ho preso un treno per Lilla. Ero impaziente di arrivarci. Ho sempre avuto un debole per il nord della Francia, una regione che pochi francesi apprezzano. Sul nord della Francia esistono gli stessi stereotipi che gli inglesi hanno sul nord dell’Inghilterra: cumuli di scorie minerarie, pioggia, accenti incomprensibili. Ma questa è anche una regione di frontiera. Lilla si trova a una ventina di chilometri dal Belgio: molti abitanti sentono di avere più cose in comune con i cugini di Liegi o di Bruxelles che con quelli di Parigi. Si vede e si sente: Lilla è una città profondamente settentrionale. Da Parigi il treno ci mette solo un’ora: quando sono sceso nella graziosa stazione ottocentesca ho notato subito i mattoni rossi, i tram e il cielo umido. Lilla ricorda Manchester o Bruxelles: una bella città costruita sul duro lavoro e sul commercio. In passato gli abitanti si vergognavano della loro città. “Per molto tempo mi è sembrato che a Lilla tutto fosse brutto”, ammette Grégoire Morel, assistente all’università di Lilla, un ateneo sempre più apprezzato. “Quando visitavamo altre parti del paese, ci dicevamo che la nostra città non meritava di stare in Francia. Ora invece siamo ieri di essere di qui”. A Lilla molte cose sono cambiate con l’arrivo dell’Eurostar. L’economia è cresciuta, i cafè e i ristoranti si sono moltiplicati per rispondere all’aumento del turismo. Edoucontinua a pagina 22 » François Hollande Partito socialista François Hollande si è presentato come il candidato “nemico del debito”. Ha promesso di portare il deicit al 3 per cento del pil nel 2013. È favorevole a una riforma iscale che introduca aliquote maggiori per i redditi più alti: 45 per cento oltre i 150mila euro e 75 per cento sopra il milione. In materia di istruzione, punta a ricreare i circa 60mila posti di lavoro persi nel settore scolastico negli anni di Sarkozy. Per facilitare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, propone un “contratto generazionale”, con aiuti alle imprese che assumono. Vuole rinegoziare il patto europeo di bilancio e chiede misure più coraggiose per far ripartire la crescita. Marine Le Pen Front national Sul piano economico, la candidata del partito di estrema destra propone un “protezionismo ragionato”, che prevede l’introduzione di dazi doganali sulle merci straniere. Per combattere la crisi vuole tassare soprattutto i grandi gruppi e i grandi patrimoni e, sotto il proilo sociale, punta a privilegiare i francesi, attraverso il principio della “preferenza nazionale”. Ferma oppositrice dell’immigrazione, è favorevole alla soppressione dello ius soli, all’uscita dal trattato di Schengen e alla ine dei ricongiungimenti familiari. Punta a ridurre l’immigrazione legale da 180mila a diecimila ingressi l’anno. Jean-Luc Mélenchon Front de gauche Il candidato del Front de gauche, che riunisce diverse anime della sinistra francese, vuole aumentare le tasse sulle rendite inanziarie e propone un’imposta del 100 per cento sui redditi che eccedono i 360mila euro. È favorevole al ritorno alla settimana lavorativa di 35 ore e all’aumento del salario minimo a 1.700 euro lordi. Vuole riportare a sessant’anni l’età pensionabile, come era prima della riforma approvata da Sarkozy. In politica estera chiede il superamento del trattato di Lisbona e, per le questioni istituzionali, è favorevole alla nascita di una VI Repubblica e alla riduzione dei poteri del presidente. Nicolas Sarkozy Ump, presidente uscente “Vista la situazione attuale della Francia, dell’Europa e del mondo, rinunciare a chiedere di nuovo la iducia dei francesi sarebbe come abbandonare il proprio posto”, ha detto il presidente in carica a febbraio. Sotto il proilo iscale, Sarkozy punta al pareggio di bilancio nel 2016, ma è contrario all’aumento delle imposte sul reddito. Vuole una politica più rigorosa in tema di immigrazione, propone di aidare la materia interamente alla giustizia amministrativa e chiede un’intensiicazione dei controlli di frontiera e la revisione del trattato di Schengen. L’Express, Le Monde Internazionale 945 | 20 aprile 2012 21 In copertina ard, uno studente di giornalismo, si è fermato sentendoci parlare in inglese e mi ha detto che preferisce Londra a Parigi: “La gente lì ci somiglia di più, è più rilassata dei parigini. È facile sentirsi a casa a Londra. E poi Lilla è più vicina alla Manica che al périphérique” (la circonvallazione di Parigi). Se Lilla, e il nord in generale, hanno acquistato sicurezza, è anche grazie al successo del ilm del 2008 Bienvenue chez les ch’tis (Giù al nord). Ch’tis (che viene da ch’timi, la lingua piccarda) è un termine gergale usato per indicare i settentrionali. Il ilm è una commediola su un francese del sud che scopre con orrore di essere stato trasferito per lavoro tra gli ch’tis. Tutto inisce per il meglio, nonostante la pioggia e gli strani accenti. Gli ch’tis si rivelano dei burloni afettuosi che parlano in modo bufo. Dopo il successo di Giù al nord Lilla si è un po’ montata la testa. Oggi in città è possibile bere birra Ch’ti al bar Ch’ti mentre si sfoglia una guida chiamata Le Ch’ti. “Siamo ieri di essere ch’tis”, mi dice Aurélie, una studentessa di economia e commercio che incontro a un ricevimento organizzato in comune per promuovere la guida. “Non ci vergogniamo più quando andiamo a Parigi e non ci sentiamo obbligati a pensare come loro”. I problemi di sempre Il nord della Francia sarà pure diventato uficialmente chic, ma ha ancora i suoi problemi. A un quarto d’ora dal centro agghindato della città, intorno alla stazione della metropolitana Gambetta, sembra di stare in una qualunque città disagiata del nord della Gran Bretagna. La piazza principale, che puzza di piscio e benzina, è pattugliata da alcuni tipi dall’aria minacciosa, intenti a bere birre ad alta gradazione alcolica in compagnia dei loro cani dall’aria ancora più minacciosa. Sono venuto qui per incontrare il rapper Kamini e chiedergli com’è crescere al nord quando si è neri. “Più facile di quanto si creda”, mi assicura, seduto nel suo studio. “Il nord è sempre stato povero, e di fronte alle diicoltà le persone uniscono le forze. Ora la situazione economica di Lilla è migliorata, ma i vicini e gli amici per noi rimangono più importanti della capitale. Non abbiamo bisogno di Parigi”. Serviranno ancora molti sforzi, però, prima che la regione si liberi del doppio spettro della povertà e della disoccupazione. Ad appena venti minuti di treno da Lilla c’è Roubaix, la città più povera del paese. Il 22 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 suo iglio più illustre è Lionel Dumont, un ex soldato bianco, di origini modeste, che sta scontando una pena a trent’anni di carcere come membro di Al Qaeda. Dumont ha dichiarato guerra alla Francia e i giornali lo chiamano le ch’ti islamiste. Gli altri francesi, in particolare i parigini, prendono in giro il nuovo orgoglio degli ch’tis e il loro senso di solidarietà. Nel 2008, durante una partita di calcio tra il Lens (una città del nord della Francia) e il Paris SaintGermain, è apparso uno striscione con la scritta “Pédophiles, chômeurs, consanguins: benvenue chez les ch’tis” (pedoili, disoccupati, consanguinei: benvenuti tra gli ch’ti). I tifosi che avevano srotolato lo striscione sono stati multati, anche se il loro avvocato sosteneva che “il cattivo gusto è un diritto”. Il resto del paese si è fatto una risata. Lilla mi è piaciuta molto, soprattutto per l’atmosfera ruvida e calorosa dei bar nella zona di place Rihour e dell’università. È una Francia diicile da trovare a Parigi o più a sud. Tutta questa birra e questa giovialità semmai ti fanno sentire ancora più a nord. Lilla guarda perino oltre la Francia, e questo le dà ancora più sicurezza. Dopo una settimana di viaggio dal Midi alla Manica sono tornato a Parigi. La prima cosa che ho notato è che i parigini non sanno molto del resto del paese o forse se ne inischiano. E sbagliano. La Francia provinciale del ventunesimo secolo sta rapidamente superando tutti i pregiudizi che i parigini possono ancora avere sull’arretratezza della vita di provincia. Seguo le elezioni francesi da vent’anni e non ricordo di aver mai visto una distanza così grande tra Parigi e il resto della Francia. Il motivo è in parte che nessuna delle soluzioni politiche proposte sembra realistica. La parola che inora gli elettori di provincia hanno usato più spesso per descrivere le elezioni è “futili”. Non è che non s’interessino più alla politica. Non s’interessano più a Parigi. Certo, anche se la provincia si sta sviluppando, ha ancora i suoi vecchi problemi, diversi in ogni regione. Ma la grande novità è che non aspetta più le risposte da Parigi. Chiunque diventerà presidente dovrà tenere conto di questa Francia: una nuova realtà che è già in movimento. u fs L’AUTORE Andrew Hussey è uno storico britannico che vive a Parigi. Ha studiato i movimenti politici e sociali francesi. L’opinione L’incognita Mélenchon Paul Quinio, Libération, Francia in dove arriverà il successo di Jean-Luc Mélenchon? Il candidato del Front de gauche è la vera sorpresa di questa campagna elettorale. Al di là del suo grande talento oratorio e degli interrogativi che continuano a ronzare nella testa degli elettori di François Hollande, il consenso che si è guadagnato Mélenchon può essere interpretato come la traduzione politica del successo in libreria dell’indignato Stéphane Hessel. Prima di suicidarsi politicamente al Soitel di New York, Dominique Strauss-Kahn aveva costruito la sua credibilità sulla competenza, considerata necessaria per lottare contro la crisi. Un fattore che spiega anche l’attuale solidità di Hollande. Ma la persistenza della crisi, le afermazioni aggressive di Nicolas Sarkozy contro gli eccessi dei mercati, le indecenti remunerazioni dei dirigenti delle principali imprese del paese hanno inito per favorire Mélenchon. Il candidato del Front de gauche, infatti, sa bene come rivolgersi al massimalista che sonnecchia in ogni elettore di sinistra. Dopo il successo degli ultimi comizi del Front de gauche, i notabili dell’Ump di Nicolas Sarkozy continuano a soiare su quello che considerano un fuoco ostile a Hollande. Certo, quanto maggiore sarà il successo di Mélenchon, tanto più forti saranno i rischi di tensioni all’interno del Partito socialista. Ma questi sono rischi di cui è al corrente lo stesso Mélenchon. Le gofe dichiarazioni della destra, invece, cercano soprattutto di mascherare il vero problema di Sarkozy: la sua assenza di una riserva di voti per il secondo turno. u adr F Europa Norvegia MACEDONIA Tensione dopo la strage Breivik alla sbarra L’omicidio di cinque uomini, trovati morti la sera del 13 aprile presso un laghetto artiiciale po co lontano da Skopje, ha rinfo colato le tensioni interetniche tra i macedoni e gli albanesi, che rappresentano un quarto della popolazione del paese. Le vitti me, tutte senza precedenti pe nali, erano di etnia slava e, no nostante la polizia non abbia fornito dettagli sugli omicidi, si è subito fatta strada l’ipotesi di un movente etnico, anche a cau sa degli incidenti avvenuti nelle settimane precedenti tra le due comunità. Come racconta Utrinski Vesnik, poco dopo il delitto centinaia di persone han no manifestato a radišani, la cittadina delle vittime, gridando slogan contro gli albanesi, men tre il 17 aprile un migliaio di ra gazzi è sceso in piazza a Skopje, per una protesta sfociata in scontri con la polizia. La scelta di Orbán Con ogni probabilità il nuovo presidente ungherese sarà János Áder (nella foto), europarlamen tare del partito al governo Fi desz. Áder, scelto dal primo mi nistro Viktor Orbán, dovrebbe prendere il posto del dimissio nario Pál Schmitt, travolto da uno scandalo per aver copiato la tesi di dottorato. Il voto del par lamento, previsto per il 2 mag gio, non dovrebbe presentare ostacoli, considerato che Fidesz dispone di una maggioranza dei due terzi. “Con il presidente del parlamento László kövér, Áder è tra gli uomini di iducia di Or bán”, scrive il giornale di oppo sizione Népszava. “E insieme continueranno nella loro opera di smantellamento della demo crazia ungherese”. PORTOGALLO Fedeli all’austerità Il 13 aprile il Portogallo è stato il primo paese dell’Unione euro pea ratiicare il patto iscale eu ropeo. Insieme al iscal compact, il parlamento di Lisbona ha an che dato il via libera al nuovo meccanismo di stabilità, che so stituirà il Fondo di stabilità i nanziaria. Critico il commento del Correio da Manhã: “La vo lontà di arrivare primi è solo un esercizio di ipocrisia e debolez za, e come tale sarà apprezzato dai mercati e dai ministeri degli esteri degli altri paesi europei”. Il 16 aprile si è aperto il processo ad Anders Behring Breivik, l’autore delle stragi di Oslo e Utøya, in cui la scorsa estate sono morte 77 persone. Breivik è entrato in aula salutando con il braccio teso e il pugno serrato. Ha riconosciuto i fatti, ma si è dichiarato non colpevole e ha contestato la legittimità della corte: una strategia, scrive il quotidiano norvegese Dagbladet, che sarà “diicilmente sostenibile”. Secondo lo svedese Göteborgs-Posten, il processo non deve trasformarsi in un circo: “È importante che tutto si svolga in modo decoroso. La democrazia e lo stato di diritto devono prevalere anche quando hanno a che fare con i propri peggiori nemici”. Ma soprattutto, aggiunge Nrc Handelsblad, Breivik non dovrà essere messo in condizione di usare l’aula come un palcoscenico per le sue idee. “L’accusato”, scrive il giornale olandese, “cercherà di sfruttare il processo per indebolire il sistema democratico, questa volta con le parole, e per difondere il suo odio contro l’islam e il multiculturalismo. Per evitare che ci riesca serve uno sforzo enorme da parte dei giudici, degli avvocati, dei sopravvissuti alla strage, dei politici e dei giornalisti, in Norvegia come all’estero”. Intanto, però, racconta su Newsweek la scrittrice norvegese Åsne Seierstad, gli avvocati di Breivik hanno scelto una strategia discutibile: “Vogliono dimostrare che le sue idee hanno un forte seguito in Europa, e per farlo hanno convocato come testimoni personaggi che lottano contro l’islam e l’immigrazione. Breivik ha agito da solo, ma non viveva certo in un mondo vuoto e isolato”. Un altro giornalista norvegese, Sven Egil Omdal, sullo Stavanger Aftenblad contesta invece la lettura che la stampa straniera ha dato della strage: tutti hanno scritto che il 22 luglio ha segnato la perdita dell’innocenza per la Norvegia, ma la verità è che quel giorno “non è andato in frantumi il paradiso, ma solo lo specchio che noi norvegesi ci eravamo costruiti”. u GEtty IMAGES UNGHERIA HAkON MOSVOLd LArSEN (AFP/GEtty IMAGES) dr Anders Behring Breivik in tribunale il 16 aprile 2012 IN BREVE Gran Bretagna Il 17 aprile la polizia ha arrestato a Londra l’imam radicale Abu Qatada (nella foto), che potrebbe essere estradato in Giordania. Danimarca Il 13 aprile è comin ciato a Copenaghen il processo a quattro islamici – tre svedesi di origine araba e un tunisino – ac cusati di aver pianiicato un at tentato mancato contro gli im piegati del quotidiano Jyllands Posten, che aveva pubblicato delle caricature del profeta Maometto. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 23 Africa e Medio Oriente La guerra mascherata tra Juba e Khartoum Jean-Philippe Rémy, Le Monde, Francia Le violenze tra il Sudan e il Sud Sudan non si sono ancora trasformate in un conlitto vero e proprio. La Cina, che ha interessi in entrambi i paesi, potrebbe fare da mediatrice l Sudan e il Sud Sudan possiedono un’arte: quella di far inta di non com battere pur muovendo le loro pedine su una gigantesca scacchiera. Dopo la secessione del Sud Sudan nel luglio del 2011, Khartoum e Juba hanno assistito a un’escalation di violenze nelle zone di con ine, intervallate da negoziati promossi dal la comunità internazionale. Finora non è ancora scoppiata una guerra aperta ma i due paesi stanno esaurendo tutte le possi bilità di trovare la pace. Il 10 aprile le forze armate sudsudanesi (Spla), dopo essersi scontrate con l’esercito del nord (Saf ), hanno occupato la zona di Heglig, che ospita i più importanti giaci menti petroliferi rimasti sotto il controllo di Khartoum dopo la secessione. Poi hanno fermato la produzione. Heglig fornisce il 90 per cento del greggio sudanese. ADRIANE OHANESIAN (AFP/GEtty IMAGES) I Ma il fatto più signiicativo è che i due eserciti regolari si sono afrontati aperta mente, facendo temere lo scoppio di nuovi scontri. Il 12 aprile il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha preteso che i due paesi ponessero fine immediatamente e senza condizioni ai combattimenti. Il Con siglio ha chiesto all’Spla di ritirarsi da Heg lig e all’esercito del nord di interrompere i bombardamenti contro gli obiettivi nel Sud Sudan, tra cui l’importante centro petroli fero di Bentiu. Nel frattempo i due paesi hanno lancia to degli appelli per una mobilitazione gene Manifestazione a favore dell’esercito a Juba, il 13 aprile 2012 24 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 rale. Il 12 aprile il presidente sudsudanese, Salva Kiir, ha annunciato di essere pronto a partecipare ai negoziati, ma ormai il danno era fatto. A causa delle caratteristiche par ticolari del greggio locale, ci vorranno setti mane, se non mesi, di manutenzione sugli oleodotti per far ripartire la produzione. Prima di allora Khartoum rischia una crisi economica, che porterebbe a manifesta zioni di massa contro un potere indeboli to. Secondo alcune fonti, è proprio su quest’eventualità che il governo del sud sta basando la sua strategia. La presa di Heglig segna dunque una nuova tappa in questa guerra mascherata. Inoltre, Heglig si trova nel Sud Kordofan, uno stato già colpito dal la guerriglia del Movimento di liberazione popolare sudanese al Nord (SplmNord), un gruppo ribelle alleato di Juba che com batte in Sudan. Si moltiplicano i fronti Negli ultimi mesi l’SplmNord è riuscito a mobilitare al suo ianco altri gruppi ribelli, come il Movimento per la giustizia e l’ugua glianza (Jem), attivo anche in Darfur. La situazione per Khartoum è grave. Innanzi tutto, come fa notare una fonte ben infor mata, i soldati sudanesi “stanno perdendo la guerra nel Sud Kordofan” e l’SplmNord avanza minaccioso verso il nord. Su un se condo fronte, quello nello stato del Nilo Azzurro, i ribelli alleati con il Sud Sudan hanno perso alcune città, ma continuano le loro azioni di guerriglia contro le basi e i convogli dell’esercito sudanese. Le forze armate di Khartoum non rie scono ad avere la meglio su nessuno dei due fronti. Man mano che l’esercito si riti ra, Khartoum risponde con dei bombarda menti efettuati da aerei Antonov pilotati da stranieri, che lanciano con grande im precisione ordigni artigianali. Ma non è in questo modo che il Sudan riuscirà a cam biare il corso degli eventi, perché la vera battaglia si gioca a terra. In questa fase la Cina, che ha interessi sia in Sudan sia in Sud Sudan, potrebbe svolgere un ruolo più attivo come mediatri ce. A meno che lo stallo in cui si trovano Khartoum e Juba non sia totale. In questo caso la situazione si sbloccherà solo con la sconitta di uno dei due paesi. Ma né le for ze governative né i ribelli sono riusciti a ot tenere una vittoria definitiva durante la guerra civile che, dal 1983 al 2005, ha pro vocato due milioni di morti. u gim SENEGAL Bafatá Oceano Atlantico Tregua inesistente Gabú GUINEA BISSAU GUINEA in breve YOuTubE/AFp Bissau Siria 50 km guinea biSSau isolati dopo il golpe Il 12 aprile l’esercito ha messo in atto un golpe arrestando il presidente ad interim Raimundo pereira e l’ex premier Carlos Gomes Junior, favorito al ballottaggio presidenziale previsto per il 29 aprile. Mentre gli abitanti hanno cominciato a scappare dal paese, i militari hanno chiuso lo spazio aereo e marittimo guineano. La Guinea bissau è stata sospesa dall’unione africana e minacciata di sanzioni dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale. Secondo African Arguments, il golpe nasce dai timori che Gomes Junior potesse usare le truppe angolane presenti a bissau per raforzare la sua posizione ai danni dell’esercito. maLi il premier è un astroisico “Dopo diciassette giorni di intense trattative”, scrive Jeune Afrique, “i militari golpisti e la classe politica maliana hanno trovato un accordo sul nome del primo ministro del governo di transizione: è Cheick Modibo Diarra, astroisico e presidente di Microsoft Africa dal 2006”. Nel frattempo l’inviato della presidenza maliana, Tiébilé Dramé, ha incontrato il 15 aprile a Nouakchott i leader del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad e del gruppo islamico Ansar eddine per risolvere la crisi nel nord del paese. Aleppo, 14 aprile 2012. Un ragazzo ferito dall’esercito Il 16 aprile sono arrivati in Siria i primi osservatori, guidati dal colonnello marocchino Ahmed Himmiche, come prevede il piano di pace promosso da Koi Annan. Ma il cessate il fuoco è inesistente, scrive Al Hayat. A Homs, Hama e Idlib sono stati segnalati nuovi bombardamenti e violenze, che hanno ucciso decine di persone. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i morti dall’inizio della rivolta sono più di 11.100. Lo stesso giorno l’emiro del Qatar, in visita a Roma, ha dichiarato che il piano di pace “ha appena il 3 per cento di possibilità di successo”. u Algeria Il 17 aprile è stata liberata l’italiana Mariasandra Mariani, rapita nel febbraio del 2011 da Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi). Bahrein Centinaia di oppositori hanno partecipato il 17 aprile a una manifestazione per protestare contro il gran premio di Formula uno del 22 aprile. Camerun L’ex premier Inoni Ephraim e l’ex segretario alla presidenza Marapha Amidou Yaya sono stati arrestati il 16 aprile. Sono accusati di corruzione. Egitto Il 17 aprile la commissione elettorale ha respinto i ricorsi di Khairat al Shater, dei Fratelli musulmani, dell’ex vicepresidente Omar Suleiman e del predicatore salaita Hazem Abu Ismail, che non potranno presentarsi alle presidenziali di ine maggio. Tra i candidati rimasti, i favoriti sono Amr Moussa, ex capo della Lega araba, e Abdel Moneim Abul Futuh, un dissidente dei Fratelli musulmani. Israele Il 17 aprile 1.200 prigionieri palestinesi hanno cominciato uno sciopero della fame per protestare contro le loro condizioni di detenzione. Da ramallah Amira Hass L’esagerazione della minaccia Ancora prima della formazione dello stato di Israele, la comunità ebraica in palestina tendeva a esagerare la minaccia posta dagli arabi in generale e dai palestinesi in particolare. È una delle principali conclusioni di un saggio del sociologo israeliano Yagil Levy, e corrisponde alla mia esperienza degli ultimi 18 anni. Levy sostiene che i politici e i militari israeliani hanno volutamente esagerato la minaccia palestinese per giustiicare l’uso della forza e la rinuncia a una soluzione politica. Ma questa tesi si può applicare anche alla questione iraniana, con il governo israeliano che vuole arrivare allo scontro armato con Teheran. Secondo Levy, la politica israeliana ha alimentato la spirale della violenza, mentre l’opinione pubblica veniva indottrinata e convinta che gli aggressori erano sempre gli arabi. Quello che Levy non poteva prevedere era che l’esagerazione della minaccia sarebbe stata applicata anche ai cittadini stranieri, com’è accaduto per l’iniziativa benvenuti in palestina di domenica scorsa. Come previsto, il governo ha chiesto alle compagnie aeree di cancellare i voli su cui viaggiavano centinaia di attivisti occidentali che volevano raggiungere la Cisgiordania. Sono stati cancellati anche alcuni voli con passeggeri estranei all’iniziativa, tra cui diplomatici e uomini d’afari. Solo dodici persone, forse meno, sono riuscite a raggiungere betlemme. Ma l’assenza degli altri ha fatto molto più rumore di quanto ne avrebbe fatto la loro presenza. u as Internazionale 945 | 20 aprile 2012 25 Americhe DANIEL GARCIA (AFP/GEttY IMAGES) La presidente argentina Cristina Fernández Argentina e Spagna ai ferri corti Vladimir Hernández, Bbc, Gran Bretagna Buenos Aires ha deciso di espropriare la compagnia petrolifera Ypf, estromettendo la spagnola Repsol. Una scelta che potrebbe costituire un precedente importante ra gli applausi e i cori di sostegno, la presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner ha annunciato il 16 aprile un disegno di legge per espropriare il 51 per cento delle azioni della compagnia petrolifera spagnola Repsol in Yacimientos Petrolíferos Fiscales (Ypf ). La reazione spagnola non si è fatta attendere. José Manuel Soria, ministro per l’industria, l’energia e il turismo ha deinito la decisione della presidente argentina “ostile” e “discriminatoria”. Visto che il governo argentino può contare sulla maggioranza sia alla camera dei deputati sia al senato, è praticamente certa l’approvazione da parte del parlamento. Per procedere, la presidente ha dovuto dichiarare che il patrimonio da espropriare era di “interesse nazionale”. E questo è forse l’aspetto fondamentale, più dell’espro- T 26 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 prio stesso. “Significa che la compagnia non sarà più gestita come un bene privato o di mercato, perché quando c’è un interesse nazionale la priorità va ai bisogni del paese”, ha spiegato alla tv pubblica l’analista di questioni energetiche Raúl Dellatorre. Secondo diversi analisti del settore che hanno preferito restare anonimi, questa decisione può costituire un precedente: d’ora in poi lo stato potrebbe assumere un ruolo preponderante nel settore energetico nazionale. “Potrebbero nascere proposte simili per altre compagnie straniere che operano nel paese, come Chevron o Petrobras, visto che in fondo l’interesse nazionale non riguarda Ypf ma il petrolio”, ha detto Eduardo Fernández, esperto di questioni petrolifere. Pochi investimenti Cristina Fernández è stata perentoria: “Questa non è una nazionalizzazione. È il recupero della sovranità e del controllo di uno strumento fondamentale. Ypf rimane una società per azioni, e funzionerà secondo la legge che regola le imprese private”. Poi ha speciicato: “Eravamo l’unico paese della regione a non gestire le sue risorse naturali”. Il governo argentino ha giustii- cato il progetto di esproprio con gli scarsi investimenti da parte di Repsol in Argentina. Una situazione che, secondo la presidente, impedisce di coprire la domanda energetica del paese e che nel 2010 ha costretto per la prima volta il governo a importare idrocarburi, a un costo che nel 2011 ha siorato i dieci miliardi di euro, una cifra quasi equivalente al surplus commerciale argentino nello stesso periodo. Secondo la deputata argentina Elisa Carrió, che nel 2011 aveva sfidato Fernández alla presidenza, il governo è responsabile della situazione che ha portato all’esproprio. Carrió sostiene infatti che il rappresentante dello stato nel consiglio di amministrazione di Ypf ha sempre approvato la ridistribuzione degli utili agli azionisti a scapito degli investimenti. L’insoddisfazione del governo centrale è stata sostenuta anche dai governi provinciali, che alla ine del 2011 hanno cominciando a togliere alla compagnia le concessioni per diversi pozzi e ad assumere direttamente il controllo delle esplorazioni. D’ora in poi anche i governatori avranno un ruolo chiave, visto che il 49 per cento della quota espropriata sarà gestito dalle province che producono gli idrocarburi. Secondo alcuni analisti, questa compartecipazione potrebbe diventare un problema al momento di prendere delle decisioni nella nuova Ypf. Il rappresentante del governo dovrà trattare con dieci autorità provinciali prima di presentarsi con una posizione concordata davanti al consiglio di amministrazione della compagnia. “Potrebbe esserci una paralisi o una politicizzazione delle decisioni”, ha detto uno degli analisti consultati. u fr Da sapere u Secondo El País, la decisione di Buenos Aires di prendere il controllo dell’azienda petrolifera Ypf non si giustiica con la riappropriazione delle risorse energetiche nazionali. Nelle mani di Buenos Aires, aferma il quotodiano spagnolo, Ypf si trasformerà in uno strumento per elargire sovvenzioni che inirà con il dilapidare le risorse del paese. Il quotidiano argentino Página 12 ricorda che Ypf è stata una compagnia statale ino al 1993, e che la decisione serve a riparare gli efetti devastanti della ristrutturazione neoliberista degli anni novanta. Dopo l’approvazione del disegno di legge, un tribunale argentino isserà la somma che Buenos Aires dovrà pagare a Repsol per le azioni espropriate. Processo a Zimmerman IN BREVE Bolivia Il 10 aprile il presidente Evo Morales ha rescisso il contratto con l’azienda brasiliana Oas per la costruzione di una strada nella foresta amazzonica. Il progetto era contestato dalle comunità indigene. Stati Uniti Il 14 aprile, undici agenti della scorta del presidente Barack Obama sono stati sospesi per il loro coinvolgimento in uno scandalo di prostituzione durante il vertice delle Americhe a Cartagena, in Colombia. Arianna Huington, la fondatrice dell’Huington Post DIPLOMAZIA Il nuovo asse americano ANN JOHANSSON (CORBIS) George Zimmerman, la guardia di quartiere che il 26 febbraio, a Sanford, ha ucciso il diciassettenne afroamericano trayvon Martin, è stato accusato di omicidio di secondo grado e arrestato. “Il caso ha scatenato un dibattito nazionale sulle discriminazioni razziali, la legge sull’autodifesa della Florida e la giustizia penale statunitense”, scrive il New York Times. Il Pulitzer premia i siti Per la prima volta un giornalista dell’Huington Post, David Wood, ha vinto il premio Pulitzer, grazie ai suoi articoli sui reduci dall’Afghanistan e dall’Iraq. Il premio per le vignette politiche è andato a Matt Wuerker di Politico, un’altra testata online. Sara Ganim, 24 anni, del quotidiano PatriotNews, ha vinto per le sue inchieste sugli abusi sessuali alla Penn state university. Altri premi importanti sono andati a giornalisti del New york times, del Seattle times, dell’Associated Press e al Philadelphia Inquirer. Il Pulitzer per la narrativa non è stato assegnato. u Da Washington Jason Horowitz Romney aggiusta il tiro Ora che inalmente è il candidato repubblicano in pectore, Mitt Romney può ricominciare a comportarsi da moderato. Almeno così sembra dai commenti fatti il 15 aprile durante una raccolta fondi privata a Palm Beach – commenti puntualmente arrivati all’orecchio dei giornalisti assiepati fuori sul marciapiede. Romney ha detto di voler abbassare le detrazioni iscali sulla seconda casa per i proprietari più ricchi, una posizione più equilibrata rispetto alle posizioni ultraconservatrici imposte dal clima delle primarie. CRIS BOURONCLE (AFP/GEtty IMAGES) Stati Uniti STATI UNITI Il passaggio dalle primarie alle elezioni generali porta quasi sempre un certo grado di moderazione nei candidati. tradizionalmente, i politici (di destra e di sinistra) una volta conquistata la nomination si allontanano dagli estremi per riavvicinarsi al centro, dove si decidono le elezioni generali. Romney, però, non è un candidato come gli altri. Molti lo considerano un voltagabbana che direbbe qualsiasi cosa pur di essere eletto. Qualsiasi suo tentativo di aggiustare il tiro, perciò, rischia di confermare questa opinione. In que- ste elezioni i repubblicani sono più che mai trincerati su posizioni ideologiche, e i compagni di partito di Romney al congresso non sembrano disposti a fare compromessi in chiave centrista. A porte chiuse Romney potrà anche sussurrare parole moderate, ma i duri e puri del suo partito da quell’orecchio non ci sentono. u fas Jason Horowitz segue la campagna elettorale statunitense per Internazionale. La rubrica di Yoani Sánchez è online: intern.az/Yoani La sesta Cumbre de las Americas, che si è svolta a Cartagena, in Colombia, il 14 e 15 aprile, si è chiusa con un generico accordo per la creazione di un centro interamericano contro il crimine organizzato nella regione. Inoltre, tutti i partecipanti (tranne Stati Uniti e Canada) hanno dato un sostegno uicioso all’Argentina sulla questione delle Falkland/Malvinas, e alla ine dell’isolamento di Cuba. Secondo Semana, l’incontro non ha segnato i passi avanti che molti speravano. Questo soprattutto a causa della posizione degli Stati Uniti. “In vista delle elezioni presidenziali di novembre, era diicile immaginare che Barack Obama (nella foto) potesse sostenere la ine dell’isolamento di Cuba e aprire alla legalizzazione delle droghe”, osserva il settimanale colombiano. Secondo Clóvis Rossi, del quotidiano brasiliano Folha de São Paulo, l’esito del vertice dimostra come gli equilibri politici nell’emisfero oggi siano determinati soprattutto dai rapporti bilaterali tra Stati Uniti e Brasile. Nella regione sta nascendo una sorta di G2: lo confermano i tanti incontri degli ultimi mesi, a cominciare da quello tra Obama e Dilma Roussef pochi giorni prima di Cartagena. “Washington ha capito che deve avere il Brasile dalla sua parte per inluenzare la regione sui temi della democrazia, della sicurezza, dell’ambiente e degli scambi commerciali”, conclude Rossi. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 27 JOHANNES EISELE (AFP/GETTy ImAGES) Asia e Paciico Un taliban morto a Kabul, 16 aprile 2012 L’ofensiva dei taliban e la strategia occidentale Gwynne Dyer, Embassy Newsweekly, Canada Gli attacchi del 15 aprile nel centro di Kabul segnano l’inizio di una nuova stagione di violenza. E dimostrano ancora una volta il fallimento della missione Nato el pieno degli attacchi dei taliban del 15 aprile nel centro di Kabul, un giornalista ha telefonato all’ambasciata britannica per un commento. “Non ho idea del perché lo stiano facendo”, sono state le parole dell’esasperato diplomatico che ha risposto al telefono. “Tra due anni ce ne andremo di qui. Non devono far altro che aspettare”. La versione uiciale è che tra due anni, quando le forze degli Stati Uniti e della Nato lasceranno l’Afghanistan, il governo che hanno creato sarà in grado di funzionare senza alcun aiuto esterno. Probabilmente il diplomatico non la pensa così, e insieme a lui la maggioranza degli osservatori stranieri. Com’era facilmente prevedibile, il generale John Allen, comandante della missione Nato, si è detto “molto orgoglioso” della risposta delle forze di sicurezza afgane, che avrebbero gestito da sole la risposta N 28 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 ai taliban, e diversi alti uiciali hanno sottolineato che l’addestramento sta dando i suoi frutti. Tanta sfacciataggine è quasi ammirevole: Kabul e altre tre città afgane subiscono una serie di attacchi simultanei e questo signiica che la strategia occidentale sta funzionando. Gli attacchi nella capitale hanno colpito il parlamento, il quartier generale della Nato e le ambasciate di Gran Bretagna, Germania, Giappone e Russia. I combattimenti sono durati diciotto ore, circa cinquanta persone sono morte e altrettante sono rimaste ferite. L’ultimo attacco del genere a Kabul risale al settembre del 2011. Se que- sta fosse la guerra del Vietnam, saremmo nelle condizioni del 1971. Il governo degli Stati Uniti ha già detto che intende lasciare l’Afghanistan tra due anni. Nel 1971 Richard Nixon, prima di staccare la spina, voleva aspettare le elezioni in cui avrebbe corso per il secondo mandato, esattamente la stessa situazione in cui si trova oggi Barack Obama. I taliban stanno chiaramente vincendo la guerra in Afghanistan, così come allora le truppe nordvietnamite stavano vincendo nel Vietnam del sud. All’epoca la strategia statunitense fu deinita ironicamente “dichiarati vincitore e scappa”. Più di quarant’anni dopo non è cambiato nulla, come non sono cambiate le bugie per coprire la realtà dei fatti. “È come se vedessi al rallentatore gli uomini morire per nulla, senza poter far niente per salvarli”, ha dichiarato il tenente colonnello Daniel Davis, un uiciale statunitense che ha servito per due volte in Afghanistan. Nel 2011 Davis è tornato a casa consumato dalla rabbia per la distanza sempre più grande tra le promesse di successo ripetute dai comandanti e la reale situazione sul campo. Non era necessario invadere l’Afghanistan. Dopo gli attacchi dell’11 settembre i leader taliban erano furiosi con Al Qaeda per la minaccia d’invasione a cui li aveva esposti. Sarebbe bastato aspettare un po’ di più, corrompere i personaggi giusti e gli Stati Uniti avrebbero potuto sconiggere Al Qaeda senza dover combattere una guerra. Ormai è troppo tardi. Oggi Al Qaeda sopravvive più come ideologia che come organizzazione, e la maggior parte degli afgani (inclusi i taliban) non ha alcun interesse per quello che succede oltre conine. Chiunque andrà al potere a Kabul dopo il 2014 diicilmente vorrà attaccare gli Stati Uniti. ma ino ad allora molte persone continueranno a morire per nulla. u as Da sapere u Il 15 aprile un gruppo di taliban ha attaccato sette ediici nel centro di Kabul, tra cui la sede del parlamento, quella della Nato e alcune ambasciate. Contemporaneamente ci sono stati altri attentati in tre province. Nel rivendicare gli attacchi annunciando l’inizio dell’ofensiva di primavera, i taliban hanno dichiarato: “Questo è un messaggio per chi sosteneva che avessimo perso slancio”. Il riferimento è alle parole del portavoce della missione Nato che il 9 aprile aveva ipotizzato un cambiamento nella strategia dei taliban. Secondo gli esperti dietro gli attacchi ci sarebbe la rete pachistana Haqqani. Il presidente Hamid Karzai ha parlato di “errori d’intelligence”, in particolare da parte della Nato. u Il 17 aprile l’Australia ha annunciato il ritiro delle sue truppe entro la ine del 2013. u Il 18 aprile i ministri degli esteri e della difesa della Nato si sono riuniti a Bruxelles per discutere il inanziamento delle forze di sicurezza afgane dopo il ritiro della coalizione nel 2014. Una decisione in proposito sarà presa al summit dei capi di stato e di governo in programma a Chicago il 20 e 21 maggio. www.fratelliorsero.it Ci mettiamo la firma Asia e Paciico cina coReA del sud trionfano i conservatori Regolare gli espropri AP/LAPReSSe Caixin, Cina coReA del noRd il pragmatismo di Kim Jong-un In seguito al lancio di un satellite efettuato il 13 aprile e subito fallito, il consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso di inasprire le sanzioni contro la Corea del Nord. Sembra inoltre che Pyongyang non voglia consentire agli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica di accedere ai suoi siti nucleare, come previsto dall’accordo di febbraio con gli Stati Uniti che avevano promesso in cambio aiuti alimentari. “È possibile che Pyongyang faccia un nuovo test atomico”, scrive Hankyoreh, “ma Kim Jong-un (nella foto) sembra mostrare segnali di pragmatismo”. Il Mainichi Shimbun, infatti, ha rivelato che Kim Jong-un ha parlato della necessità di riforme economiche anche con “mezzi capitalistici”. Quindi è possibile che il regime sia aperto a dei cambiamenti. Ma a cambiare, conclude Hankyoreh, dev’essere anche la politica d’isolamento del consiglio di sicurezza. timoR leste Ruak presidente Al ballottaggio del 16 aprile l’ex leader della guerriglia antindonesiana Taur Matan Ruak ha vinto con il 61 per cento dei voti. Sulla vittoria di Ruak ha pesato il sostegno del premier Xanana Gusmao, che si conferma molto inluente, scrive The Age. Il governo cinese sta accelerando l’iter per l’approvazione della riforma del sistema degli espropri terrieri, una delle principali fonti di tensione sociale nel paese. A causa del rapido sviluppo urbano il tema è uno degli obiettivi politici di Pechino da ormai dieci anni, scrive Caixin. Durante l’ultima plenaria dell’assemblea nazionale del popolo, il premier Wen Jiabao ha esortato ad approvare rapidamente la riforma. Passi concreti potrebbero arrivare già a giugno con la presentazione di due bozze di emendamento alla legge sulla gestione della terra e al regolamento sull’acquisizione delle terre collettive. “Al centro della riforma dovranno esserci i risarcimenti per gli espropriati”, spiega Gan Zangchun, vicedirettore dell’uicio legislativo del governo. Inoltre, bisognerà chiarire quali sono le “necessità d’interesse pubblico” che giustiicano gli espropri e come i contadini potranno opporsi alle decisioni dei governi locali, che spesso traggono proitti d’accordo con i costruttori. ◆ società Accuse indecenti Il presidente indonesiano Susilo Bambang Yodhoyono ha creato una task force incaricata di applicare la legge antipornograia in vigore nel paese dal 2008. Secondo la legge è pornograia tutto ciò che “suscita desiderio sessuale e vìola il senso della decenza”, spiega il Jakarta Globe. Il ministro per gli afari religiosi Suryadharma Ali, che presiede la squadra, ha proposto di bandire le minigonne. L’iniziativa segue le dichiarazioni del presidente della camera dei rappresentanti, Marzuki Alie, che ha minacciato di vietare alle deputate di indossare gonne corte perché “recentemente ci sono stati molti casi di stupro dovuti al fatto che le donne non si vestono in modo appropriato”. La proprosta di Suryadharma e le parole di Marzuki hanno suscitato dure critiche e messo in luce le tensioni tra conservatori e liberali nel paese musulmano più popoloso del mondo, scrive il quotidiano. Un dibattito simile è in corso anche in India sulle pagine di Tehelka. Un’inchiesta del settimanale tra i poliziotti dell’area metropolitana di New Delhi – spesso deinita la capitale degli stupri – ha confermato i pregiudizi nei confronti delle vittime di stupro degli uomini delle forze dell’ordine, da tempo denunciati dagli attivisti per i diritti delle donne. Secondo la maggior parte dei poliziotti intervistati “è sempre colpa delle donne” e di come si vestono. Molti dubitano perino che si tratti di stupri: le vere vittime non si rivolgono alla polizia e quelle che lo fanno vogliono in realtà estorcere denaro agli uomini. “La vittoria a sorpresa del partito di governo alle elezioni parlamentari dell’11 marzo in Corea del Sud potrebbe preigurare il risultato delle presidenziali previste per dicembre”, scrive The Diplomat. I conservatori del Saenuri (partito della nuova frontiera), che ino a febbraio si chiamava Grand national party, hanno ottenuto 152 seggi su 300. “Il partito conservatore è riuscito, grazie a una profonda riorganizzazione e a una imponente campagna sul web, a ribaltare il risultato deludente ottenuto solo un anno fa e a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi. Concentrarsi sui temi del lavoro e del welfare, dunque, ha funzionato, anche se alcuni dirigenti lamentano un eccessivo spostamento a sinistra del partito”. in bReve Pakistan Il 15 aprile un commando taliban ha attaccato una prigione a Bannu, nel nordovest del paese, liberando circa quattrocento detenuti, tra cui molti ribelli islamici. Birmania Il governo australiano ha annunciato il 16 aprile la revoca delle sanzioni contro la Birmania. Il 18 aprile un portavoce di Aung San Suu Kyi ha annuciato che la leader democratica a giugno andrà all’estero per la prima volta in 24 anni. Filippine Il 16 aprile gli eserciti di Filippine e Stati Uniti hanno avviato delle esercitazioni militari congiunte. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 31 Visti dagli altri Se la soluzione alla crisi è il suicidio Elisabetta Povoledo e Doreen Carvajal, The New York Times, Stati Uniti Dall’inizio del 2011 ventitré imprenditori si sono tolti la vita perché non riuscivano più a pagare i debiti delle loro aziende. L’inchiesta del New York Times l 31 dicembre 2011 Antonio Tamiozzo, 53 anni, si è impiccato nel magazzino della sua ditta di costruzioni nei pressi di Vicenza perché molti suoi debitori non gli avevano saldato le fatture. Il 12 dicembre 2011 Giovanni Schiavon, 59 anni, titolare di una ditta appaltatrice nei dintorni di Padova, si è sparato nella sede della sua impresa edilizia. Era oppresso dai debiti e si trovava di fronte alla prospettiva di dover licenziare, per di più nel periodo di Natale, i dipendenti della ditta, un’azienda familiare fondata dal padre. Nel suo messaggio di addio ha scritto: “Scusatemi, non ce la faccio più”. La crisi economica che scuote l’Europa ormai da tre anni ha minato le basi, un tempo solide, della vita di tante persone, determinando un’allarmante impennata del numero dei suicidi, specialmente nei paesi più fragili dell’Unione europea, come la Grecia, l’Irlanda e l’Italia, e soprattutto tra i titolari di piccole aziende: un fenomeno che alcuni giornali europei hanno cominciato a definire “suicidio per crisi economica”. La morte di molti di loro, come Tamiozzo e Schiavon, non ha fatto scalpore. In altri casi, come quello del pensionato di 77 anni che si è sparato il 4 aprile davanti al parlamento di Atene, i suicidi hanno trasformato la loro disperazione personale in un’espressione pubblica di rabbia contro i leader politici, colpevoli di non aver saputo attenuare l’impatto della crisi. Non è facile tracciare un quadro completo del fenomeno in tutta Europa: alcuni paesi tardano a riferire i dati oppure ci sono dei medici legali che, per proteggere i parenti degli scomparsi, evitano di classiica- I 32 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 re queste morti come suicidi. I paesi che sofrono di più sono quelli che si trovano sulla linea del fronte della crisi. Secondo le statistiche uiciali, tra il 2007 e il 2009 in Grecia il numero dei suicidi è aumentato del 24 per cento. In Irlanda, durante lo stesso periodo, è aumentato di oltre il 16 per cento. In Italia i suicidi motivati da diicoltà economiche sono aumentati del 52 per cento, passando dai 123 del 2005 ai 187 del 2010. Secondo i ricercatori quest’anno, in Italia, i suicidi potrebbero aumentare anche per via delle misure di austerità decise dal governo. “La crisi inanziaria ha messo a rischio la vita di tante persone, ma ancor più pericolosi sono i tagli agli ammortizzatori sociali”, aferma David Stuckler, un sociologo dell’università di Cambridge che ha diretto uno studio pubblicato sulla rivista scientiica The Lancet. Il fenomeno colpisce con particolare durezza il Veneto, la regione che negli anni novanta è stata il motore della crescita economica dell’Italia. In questa regione, negli ultimi tre anni si sono uccisi più di trenta piccoli imprenditori per motivi legati al lavoro: calo degli ordinativi, aumento della concorrenza cinese e la stretta creditizia delle banche. Ultimamente, però, questo fenomeno si è esteso a città come Bologna, Catania e Roma. Nella capitale, il 4 aprile si è tolto la vita Mario Frasacco, 59 anni, titolare di una Da sapere u Dal 1 gennaio 2011 in Italia si sono tolti la vita 23 imprenditori. Lo rivela una ricerca pubblicata il 14 aprile dal centro studi della Cgia di Mestre (Associazione artigiani e piccole imprese). u Il 16 aprile è nata a Vigonza, in Veneto, l’Associazione dei familiari degli imprenditori che si sono suicidati. u Il 17 aprile la giunta regionale del Veneto ha stanziato sei milioni di euro per un fondo per combattere il fenomeno dei suicidi. u Il 18 aprile si è svolta al Pantheon a Roma una iaccolata silenziosa per ricordare tutti gli imprenditori che si sono tolti la vita. ditta di costruzioni in alluminio, gettando nello sgomento l’associazione delle piccole imprese romane del cui direttivo Frasacco aveva fatto parte. Diversi suoi colleghi erano già rimasti sorpresi quando Frasacco aveva annullato un viaggio d’afari a Dubai che avrebbe dovuto compiere insieme a loro in maggio. L’11 aprile la stessa associazione ha organizzato una veglia a lume di candela per commemorare le vittime della crisi economica a Roma. Depressione celtica Per quanto riguarda l’Irlanda, si è voluto collegare il fenomeno dei suicidi a quella che alcuni psicoterapeuti chiamano “la depressione della tigre celtica”. Nel periodo successivo al 2008, infatti, in seguito allo scoppio della bolla immobiliare irlandese, un gran numero di persone di mezza età è entrato in terapia per insonnia e inappetenza. Per far luce sul fenomeno i ricercatori della National suicide research foundation di Cork hanno intervistato i familiari di 190 persone morte suicide nella contea di Cork tra il 2008 e il marzo del 2011: erano prevalentemente maschi con un’età media di 36 anni. Come spiega Ella Arensman, direttrice dell’uicio studi della fondazione, quasi il 40 per cento era disoccupato e il 32 per cento lavorava nell’edilizia. Tra loro molti erano idraulici, elettricisti e imbianchini. Il sociologo Stuckler concorda: in tutta Europa la fascia di popolazione più a rischio sono gli uomini, in particolare quelli non sposati, che hanno legami familiari meno saldi e che non godono di politiche di sostegno da parte dei governi. Un fattore che contribuisce a spingerli al suicidio è l’abuso di alcol. “In tempi così diicili è importantissimo poter contare su amici e parenti, persone di cui potersi fidare”, aggiunge Stuckler. In Italia il problema è che lo stato o le amministrazioni locali non pagano i loro debiti, mettendo in grave diicoltà gli imprenditori. Le leggi adottate per contenere la spesa pubblica hanno costretto l’ammi- FABRIzIo GIRALDI (LUzPhoTo) Vicenza. La zona industriale nistrazione centrale e quelle locali ad accumulare miliardi di euro in debiti, e così hanno gettato sul lastrico molte piccole imprese. “È la follia di questa crisi”, osserva Massimo Nardin, un portavoce della camera di commercio di Padova: “Ci sono persone che si uccidono perché la pubblica amministrazione non paga”. In Italia gli enti pagano i debiti in media a 180 giorni, ma nella sanità pubblica questi tempi si dilatano spesso ino a tre anni. Siamo tra i peggiori d’Europa, dice Marco Beltrandi, un parlamentare dei Radicali italiani secondo le cui stime i debiti della pubblica amministrazione oscillano tra i 118,3 miliardi e trecento milioni e i 131,5 miliardi e mezzo di euro. “Che l’amministrazione sia lenta a pagare è noto, ma ora i tempi si sono dilatati a dismisura. Ecco perché è esploso il fenomeno suicidi”, dice Beltrandi. “Il problema sta nel sistema. Pubblico o privato, nessuno paga più: è tutto bloccato. La situazione di stallo è generale, e ho l’impressione che nessuno sappia come uscirne”, spiega Salvatore Federico, segretario generale della Filca-Cisl del Veneto, il sindacato dei lavoratori edili. In Veneto l’ondata di suicidi è un segnale di disagio sociale, in un territorio dove un tempo la chiesa cattolica contava molto. “La nostra religione è diventata il lavoro, e con il passare del tempo questo ha indebolito la famiglia, perché quando uno non fa altro che lavorare, se le cose vanno male non ha più molto su cui contare”, osserva don Davide Schiavon, della Caritas di Treviso, che ultimamente ha varato un programma di assistenza agli imprenditori in diicoltà inanziarie (e che non ha rapporti di parentela con Giovanni Schiavon). Poca attenzione Secondo i sociologi, anche in tempi di crisi ci sono paesi, come la Svezia e la Finlandia, che sono riusciti a evitare un’impennata del numero dei suicidi perché hanno investito in progetti sul mercato del lavoro, iniziative per aiutare chi lo ha perso a rimettersi in piedi. In alcuni paesi, enti beneici e associazioni di base hanno messo insieme una serie di programmi di sostegno, senza però trascurare le campagne di sensibilizzazione per prevenire il fenomeno dei suicidi. Lungo le strade che portano a Dublino, a ogni stazione di servizio si trova aisso il numero di telefono per chiamare gratuitamente il servizio di prevenzione dei suicidi. Inoltre il tema viene apertamente afrontato da molte personalità, tra cui il presidente della repubblica irlandese. In Italia sia i sindacati sia le associazioni di categoria, in una rara manifestazione di unità, si dichiarano ugualmente frustrati per la scarsa attenzione riservata a quest’ondata di suicidi. “È un segno di profondo disagio sociale. In fondo al tunnel in cui ci troviamo non si vede nessuna luce”, aferma Salvatore Federico, il cui sindacato sta mettendo in piedi una nuova fondazione per prestare assistenza alle vittime della crisi economica. Tra i soci c’è anche le iglia di Antonio Tamiozzo. “Le persone non si uccidono solo perché sono indebitate”, spiega Federico. “A spingerle alla disperazione è una combinazione di fattori. Tutte queste storie, però, sono legate da un elemento comune: l’indiferenza e la mancanza di rispetto per gli anni di lavoro alle spalle. Atteggiamenti che probabilmente hanno avvertito anche loro”. u ma Internazionale 945 | 20 aprile 2012 33 Visti dagli altri FRANCESCO STELITANO (LUZPhOTO) Milano. La sede del consiglio regionale Una nuova ondata di scandali Guy Dinmore, Financial Times, Gran Bretagna La corruzione dei politici che emerge dalle indagini della magistratura potrebbe raforzare il governo di Mario Monti A lcuni politici italiani hanno proposto una riforma del inanziamento pubblico dei partiti, in risposta ai recenti episodi di corruzione. Questi scandali hanno spinto molti a chiedere a Mario Monti di restare in carica come presidente del consiglio anche dopo le elezioni previste per il 2013. Le proposte di riforma sono state sostenute dai leader dei tre principali partiti durante un incontro con Monti il 12 aprile, ma sono state criticate dai commentatori e da altri esponenti politici che chiedono un taglio ai inanziamenti pubblici invece di un maggior livello di trasparenza e di controlli esterni. Le cifre rese pubbliche dalla corte dei conti hanno scatenato un’ondata di indignazione: dal 1994 a oggi le forze politiche presenti in parlamento hanno ricevuto 2,25 miliardi di euro per coprire i costi di cam- 34 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 pagne elettorali, in cui hanno investito solo 579 milioni di euro. La legge prevede che ogni cittadino possa donare ino a cinquantamila euro ai partiti mantenendo l’anonimato. La riforma propone di ridurre questa cifra a cinquemila euro. In Italia l’ultimo personaggio coinvolto in uno scandalo è stato Umberto Bossi, che si è dimesso da segretario della Lega nord quando le procure hanno accusato il tesoriere del partito di aver usato una parte dei soldi del inanziamento pubblico destinati alla Lega per darli alla famiglia Bossi. Renzo, figlio e probabile successore di Umberto Bossi, si è dimesso dal consiglio regionale della Lombardia dopo che i siti dei giornali hanno pubblicato il video in cui si vede il suo autista mentre gli consegna delle banconote. Padre e iglio negano di aver commesso illeciti. Stando ai dati divulgati dai mezzi d’informazione italiani, più del 10 per cento dei consiglieri regionali della Lombardia è indagato per corruzione. Quasi tutte le persone coinvolte appartengono al Popolo della libertà. Alcuni scandali hanno colpito anche il centrosinista. In uno di questi episodi è coinvolto Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita. I magistrati lo accusano di aver intascato i soldi del rimborso elettorale che il suo partito ha continuato a ricevere anche dopo la fusione con il Partito democratico. Lusi è indagato per appropriazione indebita. La somma ammonterebbe a 13 milioni di euro, ma non è stato ancora rinviato a giudizio e sta collaborando con i giudici. La percezione di una corruzione politica dilagante e la sensazione che l’élite non stia facendo molto per arginarla potrebbero raforzare la posizione di Monti. Ma anche se gode di una relativa popolarità, il premier è accusato di non essere abbastanza duro con i politici da cui dipende per l’approvazione in parlamento delle sue riforme economiche. Il partito di Berlusconi ha fatto capire che il mandato del governo è limitato agli interventi sull’economia. Monti e la grande coalizione Oltre a una campagna contro l’evasione iscale, inora l’esecutivo di Monti non ha fatto molto per afrontare le appropriazioni indebite, anche se il governo sta preparando un disegno di legge che prevede l’aumento di alcune pene. Nelle classifiche sulla corruzione globale dell’organizzazione non governativa berlinese Transparency international, l’Italia occupa il sessantanovesimo posto. Un senatore, deluso quanto gli elettori, ha detto che i partiti rischiano l’autodistruzione. Secondo alcuni sondaggi meno del 10 per cento degli italiani si ida di loro. “Per i partiti l’unico modo di salvarsi sarebbe formare una grande coalizione con Monti premier”, ha dichiarato il senatore. Le sue parole rispecchiano l’opinione di un numero crescente di italiani e di investitori stranieri, nonostante le riforme volute dal governo siano risultate deludenti e le ambizioni politiche di Monti siano poco chiare. Secondo un’indagine dell’istituto di ricerca Eurisko, il 43 per cento degli italiani voterebbe per un’ipotetica grande coalizione guidata da Monti e il 24 per cento ha dichiarato che potrebbe prendere una decisione del genere. Il Corriere della Sera ha pubblicato una dichiarazione di Remo Lucchi, l’amministratore delegato dell’Eurisko: “Gli italiani stanno dicendo a Mario Monti: ‘Smetti di comportarti da tecnocrate, fai lo statista e garantiscici stabilità anche oltre il 2013’”. u fp Le verità dell’elefante ogni sera in tv John Hooper, The Guardian, Gran Bretagna iuliano Ferrara è un giornalista obeso che a metà degli anni novanta è stato ministro del primo governo guidato da Silvio Berlusconi. Oggi è il protagonista di Qui radio Londra, il programma di Rai uno che va in onda subito dopo il telegiornale delle 20. La trasmissione non potrebbe avere una collocazione migliore nel palinsesto: in prima serata ha la possibilità di raggiungere un grandissimo numero di telespettatori. Qui radio Londra consiste in Giuliano Ferrara seduto davanti a una telecamera a dare lezioni al pubblico per sette minuti, su qualsiasi argomento gli vada a genio. Il conduttore è un uomo brillante: si esprime in modo chiaro, è provocatorio e colto. Ma è inequivocabilmente un uomo di Berlusconi. Il suo giornale, il Foglio, è stato fondato grazie ai fondi messi a disposizione dall’ex moglie del Cavaliere. Quando l’ultimo governo Berlusconi è entrato in crisi, Ferrara è stato chiamato a dare i suoi consigli. È diicile immaginare un altro paese europeo, eccetto forse la Bielorussia, in cui un giornalista così sfacciatamente di parte possa avere la possibilità di “chiarire” il senso delle notizie. Il fatto che Ferrara abbia dato al suo programma lo stesso nome della trasmissione radiofonica della Bbc rivolta alla resistenza antinazista, come a dire che Qui radio Londra dà voce alle vittime di una dittatura, è grottesco. Fino a novembre Silvio Berlusconi è stato presidente del consiglio per otto anni negli ultimi dieci. Durante il periodo berlusconiano la Rai, il cui consiglio di amministrazione rilette gli equilibri di potere in parlamento, ha dato voce alla linea del governo su due dei suoi tre canali televisivi. Degli altri più importanti canali televisivi, tre su quattro sono di PAOLO TRE (A3/CONTRASTO) Il programma di Giuliano Ferrara dimostra che l’arrivo di Monti non ha scalito il potere di Berlusconi sull’informazione G proprietà di Berlusconi. Ferrara si deinisce “l’elefantino”. In questo contesto il termine è doppiamente appropriato, perché Qui radio Londra indica l’elefante nella cristalleria della politica italiana: tutto il resto potrà anche cambiare con l’arrivo del nuovo governo guidato da Mario Monti, ma l’impressionante potere televisivo di Berlusconi è rimasto intatto. Ed è diicile che le cose possano cambiare prima delle prossime elezioni, previste per la primavera del 2013. L’unica iniziativa di rilievo in materia di mezzi d’informazione del nuovo governo tecnico è stata di chiedere che sia messo all’asta un pacchetto di nuove frequenze per il digitale terrestre. Il governo Berlusconi aveva deciso che sarebbero state regalate, e non è diicile immaginare a chi. Una mossa comunque coraggiosa. Il governo di Mario Monti è sostenuto da un’alleanza formata dai principali partiti presen- Giuliano Ferrara dà lezioni al pubblico su qualsiasi argomento gli vada a genio ti in parlamento, il più grande dei quali è ancora il Popolo della libertà (Pdl), il partito di Berlusconi. Il governo ha chiesto una riforma della Rai, ma i partiti che lo sostengono pare abbiano posto il veto. Il mese scorso il ministro Corrado Passera ha annunciato imbarazzato che non c’è abbastanza tempo per riformare le regole per la composizione del consiglio di amministrazione della Rai prima della scadenza del mandato. Se negli ultimi anni l’oscena concentrazione di potere dell’informazione italiana è stata scalita, non è certo merito dei politici. Sky Italia, di proprietà di Rupert Murdoch, oggi può contare su cinque milioni di abbonati. Il canale che trasmette notizie 24 ore al giorno ofre una copertura equilibrata, anche se un po’ anestetizzata, dell’attualità. E poi c’è internet. Molti giovani italiani ignorano i telegiornali e preferiscono aidarsi ai siti d’attualità per tenersi informati. Il cambiamento, comunque, è abbastanza lento. I dati sull’inluenza di internet in Italia sono tra i più bassi dell’Unione europea. Secondo Eurostat, l’anno scorso circa il 40 per cento degli italiani non si era mai collegato alla rete. In Gran Bretagna la percentuale è del 10 per cento. Alcuni studi indicano che gli italiani ricevono quattro quinti delle notizie dalla televisione. Realtà percepita Gli efetti di questa situazione sono impossibili da individuare. Tuttavia nel 2010 un ente pubblico, l’Isae (Istituto di studi e analisi economica), ha condotto una ricerca per fare luce sulla percezione che hanno gli italiani dell’economia, confrontandola con la realtà dei fatti. Le risposte su ognuno dei tre temi proposti (crescita, inlazione e disoccupazione) mostrano un quadro particolarmente interessante: quando al potere c’era Berlusconi gli italiani avevano una percezione esageratamente positiva rispetto alla realtà dei fatti, mentre con i governi dell’opposizione succedeva il contrario. Nel 2007, per esempio, quando l’Italia era guidata dal centrosinistra, le persone pensavano che la disoccupazione fosse al 14,2 per cento. In realtà la percentuale di disoccupati era meno della metà. Quando Berlusconi è tornato al potere, il tasso percepito è sceso al 9,5 per cento, anche se il dato reale è rimasto sostanzialmente lo stesso. u as Internazionale 945 | 20 aprile 2012 35 Le opinioni La probabile ine di Sarkozy e Merkel Manuel Castells L’ Unione europea vive da tempo sotto partecipativa e ambientalista. I giovani si sono mobilila supervisione di questo matrimonio tati: il 25 per cento voterà per Mélenchon. E anche se d’interesse chiamato Merkozy. Per Mélenchon toglierà voti al socialista Hollande, glieli paura di essere scagliati nelle tenebre restituirà al ballottaggio imprimendo però una svolta a esterne, i paesi della zona euro hanno sinistra, con uno sguardo alle elezioni politiche di giudovuto indossare l’uniforme tedesca gno. Hollande intanto ha reso il suo programma più dell’austerità iscale in stile Merkel, condita da un toc- radicale, con la proposta di tassare al 75 per cento i redco parigino di xenofobia nazionalista alla Sarkozy. Ri- diti oltre il milione di euro, anticipare la pensione a sessultato: le economie europee sono in recessione e sco- sant’anni e costruire case popolari per i giovani. Conta sui voti della sinistra e degli ambientaliraggiano gli investitori. E visto che i consti, e oggi si prevede che al ballottaggio ti della nonna (“non spendo quello che Se Merkozy Hollande vincerebbe contro Sarkozy con non ho”) non funzionano nella gestione scompare dal il 53 per cento dei voti contro il 47. Così di economie complesse, il debito pubbli- irmamento Merkozy si ritroverebbe monco, con l’agco e quello privato continuano a crescere europeo tutto è gravante che Merkel ha riiutato di inin una spirale distruttiva. possibile, il gioco si contrare Hollande per favorire il suo soI governi incassano meno perché riapre. È nella cio. l’economia non cresce e le spese non so- politica francese e Ma la storia non inisce qui. La stessa no state ridotte abbastanza, perciò devotedesca che si gioca Merkel, che dovrà afrontare le elezioni no continuare a indebitarsi su mercati la gestione della crisi nel 2013, è in grave diicoltà. A marzo è finanziari sempre più sospettosi della europea stato eletto presidente della Germania il solvibilità degli enti pubblici e privati di pastore Joachim Gauck, difensore dei quasi tutta l’Europa. Ecco perché è aumentato il premio di rischio, l’interesse che devono diritti umani, in sostituzione del corrotto merkeliano pagare i governi sui titoli di stato. Ecco perché Italia e Christian Wulf. E la politica tedesca sta cambiando Francia sono in diicoltà e perché i panzer-contabili di come rilesso dei movimenti sociali nel paese. Il Partito Merkozy minacciano d’intervenire sull’economia spa- dei pirati ha ottenuto il 10 per cento dei voti a livello gnola. In termini economici questo processo porta alla nazionale (il 20 per cento tra i giovani). I suoi obiettivi: catastrofe, alla disintegrazione dell’euro, a una crisi i- difesa a oltranza della libertà su internet e democrazia nanziaria mondiale e a una lunga recessione. La coe- reale, trasparente e partecipativa. Se uniamo queste sione europea è in gioco, mentre i paesi si accusano l’un intenzioni di voto al 14 per cento dei verdi, al 7 per cenl’altro (Monti contro Rajoy, Finlandia contro Grecia, to della Linke e al 27 per cento dei socialisti si raggiunge Londra contro il trattato europeo) e il tentativo di fede- il 58 per cento delle intenzioni di voto contro il 35 per ralismo in salsa tedesca suscita reazioni nazionaliste a cento di Merkel e il 3 per cento dei suoi alleati liberali. A unire tutte queste forze è l’opposizione all’austerità. È difesa della sovranità. Ma alla base di tutto non c’è nessuna necessità chiaro che se i socialdemocratici avessero mano libera strutturale. È una politica sostenuta a difesa dei propri tornerebbero a fare promesse per poi correggere il tiro. interessi da Merkozy e dai suoi sostenitori. Se Merkozy Ma non hanno mano libera, perché in parlamento poscompare tutto è possibile, il gioco si riapre, tornano le trebbero governare solo in minoranza. Intanto anche alternative. Quindi è nella politica francese e tedesca Merkel sta cercando di adattarsi e di cambiare rotta, che si gioca la gestione della crisi europea. Brutte noti- diventando più sociale e meno austera nel suo stesso zie per i merkoziani. Le presidenziali del 22 aprile in paese. Se si salvasse, eventualità improbabile, sarebbe Francia sono segnate dall’ascesa di Jean-Luc Mélen- grazie a un’altra politica. Quindi tutti questi politici europei (a cominciare chon e del Front de gauche, che ha raggiunto il 15 per cento delle intenzioni di voto e ha conquistato il terzo dagli spagnoli Zapatero e Rajoy) che sono stati intimoposto, scavalcando Marine Le Pen. Il suo programma è riti dal piglio di Merkozy, che hanno seguito alla lettera apertamente di sinistra e ricorre al vecchio metodo dei le ricette proposte in nome dei mercati ma che i mercacomizi e delle manifestazioni. Linguaggio e program- ti non si bevono, potrebbero ritrovarsi senza Merkozy e ma rilettono le posizioni che potrebbe avere il movi- con una nuova politica in Francia e in Germania. Permento spagnolo 15-M: far pagare la crisi alle banche e ché hanno disprezzato i movimenti rifugiandosi in ai ricchi, difesa del welfare, nazionalizzazioni, aumen- maggioranze ittizie. Dimenticando che niente è imti degli stipendi e contratti per i giovani, salario minimo mutabile. E che le idee penetrano attraverso le pareti di 1.700 euro, verso una sesta repubblica sociale, laica, della mente. u fr 36 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 MANUEL CASTELLS è un sociologo spagnolo. Insegna all’University of Southern California. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Comunicazione e potere (Università Bocconi editore 2009). Quest’estate godetevi le meraviglie della Norvegia con Foto: Trym Ivar Bergsmo Fot HURTIGRUTEN IL POSTALE DEI FIORDI € Quo te a pa rt ir e da 2.025 w w w.g iv er vi ag gi .c om Vi portiamo più vicino alla Norvegia Perché HURTIGRUTEN è il modo migliore per esplorare la costa norvegese Visita 34 porti incantevoli NAVIGAZIONE LUNGO LA COSTA NORVEGESE Tour esclusivi con accompagnatore in lingua italiana quote in Euro* partenze settimanali da maggio a settembre giorni a partire da • La Costa Norvegese con navigazione circolare da Bergen a Bergen 14 2.800 • Oslo o Helsinki, Lapponia, Caponord e navigazione con Hurtigruten lungo la Costa Norvegese (rotta verso Sud) 9 2.040 • Bergen, Oslo, Caponord e navigazione con Hurtigruten lungo la Costa Norvegese (rotta verso Nord) 10 2.270 Partenze Speciali: Tour individuali - itinerari suggeriti • Crociera Bergen - Kirkenes - Bergen in pensione completa 14 1.770 • Navigazione da Bergen a Kirkenes o vv. in pensione completa 9/10 1.320 • Navigazione da Bergen a Svolvær e soggiorno alle Isole Lofoten 9 1.380 Capo Nord - punto più a nord d’Europa Navi confortevoli con atmosfera intima NAVIGAZIONE E AVVENTURE TRA I GHIACCI partenze da giugno 2012 a febbraio 2013 • Spitsbergen - La Costa Ovest - Le terre dell’Orso Bianco • Groenlandia con la M/n Fram - La Disko Bay • Antartide - da ottobre 2012 a febbraio 2013 - Itinerario Classico - Crociera di Natale e Capodanno: Buenos Aires - Antartide - Falklands/Malvinas - Spedizione nel Mare di Weddell e Marguerite Bay *Quote indicative incluso voli di linea dall’Italia, pernottamenti, escursioni, passaggi in bus, ove previsti, e navigazione Hurtigruten, come da programmi dettagliati disponibili sul catalogo “Hurtigruten 2012” e sul sito I cataloghi Giver Viaggi e Crociere non sono più disponibili presso le agenzie Bluvacanze Un Mondo di Natura Cataloghi, informazioni e prenotazioni nelle migliori Agenzie di Viaggi www.giverviaggi.com quote in Euro* giorni a partire da 9 9 5.390 6.200 10 6.275 15/16 7.290 22 18 10.580 9.090 Le opinioni Una primavera a Pechino Will Hutton o Xilai ino a poco tempo fa era uno dei perciò cita Confucio e non Marx. Bo Xilai concordava politici cinesi più amati. Ora è stato de- sulla necessità di continuare a seguire quella che Deng stituito da tutte le cariche ed è agli arresti Xiaoping aveva deinito “l’economia di mercato sociadomiciliari. La sua ambiziosa moglie, lista”, ma sosteneva che il partito doveva fare qualcosa l’avvocato Gu Kailai, è accusata di essere di più per sottolineare la componente socialista, altricoinvolta nell’omicidio di un uomo d’af- menti sarebbe stato travolto da una crisi di legittimità. fari britannico. In questa storia non manca nulla per Perciò, quando era segretario del partito a Chongquing colpire la fantasia dei mezzi d’informazione. Giornali e aveva lanciato una campagna contro la corruzione, fatv uiciali di Pechino stanno facendo di tutto per far ap- cendo arrestare centinaia di funzionari. Aveva distribuparire Bo e Gu come una coppia ubriaca di potere, ri- ito aiuti a milioni di poveri citando Mao e aveva orgaportata alla legalità dalla saggezza del partito. E il resto nizzato manifestazioni in cui si cantavano gli inni della rivoluzione culturale. Aveva varato un progetto verde del mondo sembra stare al gioco. Ma questa non è solo la storia di un politico troppo per la megalopoli, piantando alberi e ripulendo l’aria, e potente schiacciato dalla macchina comunista. Ciò che aveva corteggiato gli investitori stranieri perché aiutaspochi vogliono ammettere è la colossale crisi di legitti- sero la crescita economica. Era un nuovo tipo di funzionario di partito rigoroso, nazionalista e mità del Partito comunista cinese. Il conmolto popolare. Era pericoloso per due litto tra Bo e i suoi leader riguarda piut- Il conlitto tra Bo motivi. Primo perché rappresentava un tosto la legittimità del partito stesso che, Xilai e i leader del se non troverà una strategia convincente, Partito comunista è nuovo fenomeno: un leader carismatico nell’arco dei prossimi dieci anni dovrà sulla legittimità del pronto ad attaccare le diseguaglianze e la corruzione con il sostegno di una base afrontare una primavera cinese. partito stesso. Che popolare. E soprattutto perché per i riforIl diritto del partito a governare il pa- deve trovare una matori stava giocando con il fuoco. Bo ese si basa sul fatto che ha guidato la rivo- strategia associava la lotta alla corruzione e la riluzione comunista, l’alba di un’era convincente prima duzione delle disuguaglianze al “vero dell’uguaglianza in cui questo campione che i cittadini si comunismo”, contestava la posizione del proletariato avrebbe diretto l’econoribellino ideologica del partito e aggravava la sua mia e la società in modo armonioso crisi di legittimità. Bisognava reagire. nell’interesse di tutti. Ma la crescita della Cina, anche se è stata eccezionale e ha sollevato dalla Ora ci sarà un processo farsa, ma l’ala riformista deve povertà 400 milioni di persone, ha ben poco a che fare ancora imparare a guadagnarsi la legittimità. Wen può con il socialismo e con l’uguaglianza. I leader della rivo- anche battersi il petto per i suoi errori e perché lo stato luzione sono morti da tempo e sono stati sostituiti da non può più inanziare progetti di infrastrutture in perun’élite di amministratori corrotti che somiglia sempre dita per garantire la crescita, ormai la più bassa degli più alla casta dei mandarini confuciani eliminata dalla ultimi anni. Ma il primo ministro non ha mosso un dito rivoluzione. È stato creato un modello economico cor- per cambiare le cose, anche perché a questo punto c’è porativo e non trasparente in cui le persone che sono poco da fare. Quella cinese deve diventare un’econoall’interno, soprattutto i igli degli ex leader della rivo- mia “normale” con più centri decisionali, una maggioluzione, si arricchiscono impunemente. Non esistono re capacità di innovazione e una minor dipendenza dal stato di diritto né controlli. I funzionari del partito non credito dello stato e dai suoi investimenti sulle infrapossono sostenere di essere eroi della rivoluzione per strutture. Ma questo è impossibile in un paese governagiustiicare i posti che occupano. Sono amministratori to da un partito unico. I leader dell’Unione Sovietica si trovarono di fronte che in cambio di favori concedono al popolo un migliore livello di vita. Ma se non dovessero più riuscirci l’in- allo stesso dilemma all’inizio degli anni ottanta. Dopo sessant’anni le rivoluzioni perdono legittimità e i protero ediicio imploderebbe. Il primo ministro Wen Jiabao è il politico più consa- blemi economici diventano irrisolvibili. Gorbaciov depevole della crisi. Si è scusato con i suoi concittadini per cise di accelerare le riforme. I nuovi leader cinesi, che il non aver fatto di più per la trasparenza e la legalità. Ve- prossimo autunno vedranno rinnovato il loro incarico de anche i punti deboli dell’economia cinese, dice che per altri dieci anni, cercheranno di tirare avanti senza ha una crescita sbilanciata, non coordinata e insosteni- cambiare troppo. Ma la sida di Bo alla loro legittimità bile. Dopo l’arresto di Gu ha preferito citare un passo di resta aperta. Se il cambiamento non avverrà dall’alto, Confucio sulla necessità che i leader siano onesti. Wen partirà dal basso. Nei prossimi dieci anni scoppierà una Jiabao sa che il comunismo come ideologia è morto, primavera cinese. Resta solo da vedere quando. u bt B 38 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 WILL HUTTON è un giornalista britannico. Ha diretto il settimanale The Observer, di cui oggi è columnist. In Italia ha pubblicato Il drago dai piedi d’argilla. La Cina e l’Occidente nel XXI secolo (Fazi 2007). Società ZyNGA HALFBrICk STUdIOS Fruit ninja Gioco solo alt Sam Anderson, The New York Times Magazine, Stati Uniti Internet e gli smartphone hanno favorito la difusione di videogiochi come Angry birds, Farmville e Bejeweled: estremamente semplici ma capaci di creare una vera e propria dipendenza. Milioni di persone in tutto il mondo ci giocano e molte aziende li usano per pubblicizzare i loro prodotti el 1989, mentre il comunismo cominciava a sgretolarsi nell’Europa dell’est (nel novembre di quell’anno i tedeschi avrebbero fatto a pezzi il muro di Berlino), anche il colosso giapponese dei videogiochi Nintendo propose la sua versione dell’idea di libertà lanciando negli Stati Uniti il Game Boy, una console portatile a forma di piccola lavagnetta. Il Game Boy era di plastica, funzionava con le pile e prometteva di liberare gli appassionati di videogiochi dalla tirannia delle sale giochi. Nel prezzo era compreso Tetris, un videogioco semplice ma irresistibile. Il suo N 40 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 scopo era ruotare blocchi di mattoncini che cadevano dall’alto – e caduto uno, ne arriva un altro e poi un altro e poi un altro e poi un altro – per costruire un muro nel modo più eiciente possibile. Anche se in realtà, quando lo costruivi nel modo giusto, il muro si distruggeva e quindi non era più un muro. Comunque, Tetris e Game Boy si rivelarono un’accoppiata perfetta. La graica era abbastanza semplice da funzionare bene sul piccolo display in scala di grigi della console. Il gioco era abbastanza lento da non creare troppa confusione. L’azione era ripetitiva e senza trama, e poteva essere avviata in ogni momento e situazione. Furono venduti più di 70 milioni di Game Boy con Tetris incluso, ofrendo a chiunque la libertà di costruire compulsivamente questi muri mentre si stava seduti in cucina o si faceva la ila in banca. Nacque così una tradizione che chiamerò, sia per chiarezza sia per vendicarmi di tutte le ore che mi ha fatto perdere, dei “giochi stupidi”. Nei circa trent’anni passati dall’invenzione di Tetris – e specialmente negli ultimi cinque, con l’arrivo degli smartphone – quel videogioco e tutti i suoi successori (Angry birds, Bejeweled, Fruit ninja) hanno colonizzato le tasche e i cervelli delle persone, modiicando il modello economico del settore. Oggi viviamo, nel bene e nel male, in un mondo di giochi stupidi. I ricercatori di ludologia (sì, esistono anche cose del genere) sottolineano sem- Angry birds ClICkGAMER.CoM Farmville tri due minuti pre che i giochi tendono a rispecchiare la società in cui vengono creati e usati. Un caso esemplare è il Monopoli: lanciato negli anni trenta, ai tempi della grande depressione, permetteva a chiunque di sentirsi un uomo d’afari. Risiko, lanciato negli anni cinquanta, rispecchia la realpolitik della guerra fredda. Twister è la rivoluzione sessuale della metà degli anni sessanta tradotta in un gioco di società. Un critico l’ha chiamato sex in a box, sesso in scatola. Da questo punto di vista Tetris è stato inventato nel posto e nell’epoca più prevedibili, cioè in un laboratorio informatico sovietico nel 1984. E il gioco rispecchia le sue origini. In Tetris il nemico non è un cattivo facilmente identiicabile, ma una forza sconosciuta, irriducibile e irrazionale che minaccia costantemente di travolgere il giocatore. È un nemico che produce senza sosta blocchi di mattoni a cui ci si può opporre solo riordinandoli in modo ripetitivo e meccanico. È burocrazia allo stato puro, un lavoro inutile e senza scopo a cui non si può sfuggire. E l’insulto inale del gioco è l’annientamento del libero arbitrio. Tuttavia, nonostante la sua ovvia futilità, per qualche motivo è impossibile smettere e continuiamo a ruotare quei blocchi di mattoncini. Tetris, come tutti i giochi stupidi che sono venuti dopo, porta al masochismo. Nel 2009, venticinque anni dopo l’invenzione di Tetris, anche la Rovio, un’azienda inlandese sull’orlo della bancarotta, ha trovato una simbiosi perfetta tra gioco e strumento: Angry birds. Il gioco consiste nel lanciare degli uccelli arrabbiati contro dei maiali verdi. Il meccanismo alla base del gioco – ossia l’uso di un dito per caricare la ionda – rappresenta l’impiego perfetto della nuova tecnologia touchscreen: abbastanza semplice da attirare un nuovo e immenso mercato di giocatori occasionali e abbastanza appagante per conquistarli completamente. Nel giro di pochi mesi Angry birds è diventato il gioco più popolare per iPhone, per poi approdare su tutti gli altri smartphone. Finora è stato scaricato più di 700 milioni di volte. Il gioco ha anche ispirato un impero del merchandising: ilm, magliette, pantofole e perino progetti di parchi a tema ispirati ad Angry birds dove pos- sono giocare i bambini. Per mesi fuori dall’oicina del meccanico della mia città c’è stato un cartello che diceva: “Una penna Angry birds gratis ai nostri clienti”. A marzo è uscita l’ultima versione del gioco, Angry birds space, sostenuta da un lancio promozionale di Walmart, T-Mobile, National Geographic Books, Mtv e Nasa (c’è stato un annuncio sulla Stazione spaziale internazionale). Sembra che Angry birds sia il Tetris di oggi: una silza di rosari digitali con cui possiamo passare il tempo nei momenti di estasi o di ansia economica, politica o esistenziale. Un potere inquietante Mi sono imposto di non comprare un iPhone per un periodo di tempo che mi è sembrato lungo decenni (in realtà, stando alle coordinate temporali della Terra, sono passati solo quattro anni), perché avevo paura dei suoi giochi. Da ragazzino ho passato anni a giocare, diventando esperto, nonché drogato, dei videogiochi degli anni ottanta e dei primi anni novanta, cioè il periodo che ha cambiato l’industria dei videogiochi (quello che va più o meno da Internazionale 945 | 20 aprile 2012 41 Società 42 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Plants vs. zombies PoPCAP Super Mario bros a Mortal kombat). Si può dire, quindi, che i videogiochi abbiano avuto un ruolo cruciale nella mia adolescenza. Mentre mi liberavo dell’esoscheletro di grasso, i pixel squadrati della Nintendo cominciavano a fondersi in rainate curve a 64 bit. Mentre la mia voce diventava più grave, le colonne sonore metalliche dei videogiochi diventavano piccole sinfonie. Mentre la mia cerchia sociale si espandeva al di là di un piccolo gruppo di amici sudati e sboccati, il mercato dei videogiochi faceva breccia (o almeno ci provava) tra nuove categorie di persone: adulti e ragazze. Durante i miei ultimi anni a scuola, in preda a un attacco di determinazione postadolescenziale, avevo deciso di rinunciare per sempre ai videogiochi. Avevo capito che avevano un potere inquietante su di me – un potere oppiaceo – e così speravo di coltivare altre passioni, più apprezzabili, durante il mio tempo libero. Aspiravo alla cultura con la “c” maiuscola, così cominciai a dedicarmi ai libri, uno svago più tranquillo e socialmente più rispettato. Sapevo che se avessi avuto ogni giorno accesso ai videogiochi, avrei passato letteralmente ogni giorno a giocarci, per sempre. Così decisi di darci un taglio, entrando più o meno in astinenza. Il risultato? Ero diventato più o meno felice e produttivo. Poi, a metà della selva oscura della mia vita adulta, è arrivato l’iPhone. Questo oggetto presenta un problema unico: non è solo un telefono, una videocamera, una bussola, una mappa e un minuscolo display attraverso il quale si può navigare in internet. L’iPhone è anche una console da gioco tascabile, tre volte più soisticata di quelle con cui sono cresciuto. Mia moglie, che non era mai stata una giocatrice accanita, ha comprato un iPhone e quasi subito è diventata una fanatica di un gioco che era una versione in piccolo di Scarabeo: Words with friends. Giocava da sei a dieci partite in contemporanea, contro persone di tutto il mondo. A volte si fermava nel bel mezzo di un discorso: appena il suo telefono faceva brinnng o pvomp o dernalernadern-dern, andava a vedere se il suo avversario aveva creato una nuova parola. Io ho cercato di non fare una piega. Le ho detto che volevo inventare qualcosa chiamato iPaddle: una piccola “paletta” di legno, grande quanto lo schermo dell’iPhone, che avrei fatto scivolare davanti al telefono ogni volta che si fosse distratta. Sulla paletta ci sarebbero stati messaggi umani dal mondo reale, come “Ti amo” o “Rimani qui”. Inevitabilmente l’isolamento che mi ero imposto con i miei princìpi non è dura- Gli antichi egizi giocavano a un gioco da tavola chiamato senet che, secondo gli archeologi, era simile a un backgammon sacro to a lungo. Circa un anno fa, incapace di resistere a questa moda culturale sempre più difusa e volendo (così mi sono convinto) una fotocamera per scattare foto ai miei bambini, mi sono arreso e ho comprato un iPhone. Per un po’ l’ho usato solo per leggere, inviare email e fare foto. Poi ho scaricato il gioco degli scacchi, che non mi sembrava troppo nocivo. Ma presto gli scacchi si sono rivelati solo un gioco di passaggio. Dopo aver preso il vizio di divertirmi a giocare con il mio onnipresente schermo tascabile, il tredicenne che era ancora in me ha ripreso il sopravvento. Così ho scaricato giochi orribili come Bix (nel quale si guida un puntino in uno spazio tra altri puntini) e MiZoo (in cui si devono mettere in ila teste di animali esotici). Questi sono stati l’anticamera di giochi più belli ma che richiedevano ancora più tempo, come Orbital, Bejeweled, Touch physics, Anodia, che a loro volta hanno rimandato a giochi ancora più belli come Peggle e Little wings. Un piccolo capolavoro, Plants vs. zombies, mi ha fatto perdere, credo, il tempo che avrei potuto impiegare per leggere tutto Anna Karenina. Un giorno, mentre ci giocavo (in quel momento avevo appena scoperto che com- binando in un certo modo le piante che facevano crescere denaro con quelle all’aglio si poteva restare tutto il giorno a raccogliere le monete del gioco), mia moglie mi ha ricordato lo scherzo dell’iPaddle. Questa cosa mi ha fatto innervosire moltissimo. Insomma, i videogiochi sono tornati a far parte della mia vita. Certo, non sono l’unico a essere caduto nel mondo dei giochi stupidi: negli ultimi anni sono state risucchiate in questo vortice milioni di persone. Come ha detto la scorsa estate a Vanity Fair l’investitore John Doerr, “questi giochi non sono per tutti, è vero, ma sono la cosa più per tutti che esiste”. Nel 2011 l’amministratore delegato della Rovio ha detto che i giocatori di Angry birds passavano ogni giorno circa duecento milioni di minuti a giocare, una quantità di tempo che sembra assurda ma allo stesso tempo plausibile. Un numero del genere, tuttavia, non ci dice molto sulla qualità di questi minuti, non dice quanto di questo tempo speso è stato divertente o appagante. Uno spazio vuoto Gli esseri umani hanno sempre fatto dei giochi stupidi. I dadi, per esempio, sono un gioco antichissimo. Gli antichi egizi giocavano a un gioco da tavola chiamato senet che, secondo gli archeologi, era simile a un backgammon sacro. Poi ci sono la morra cinese, il tris, la dama, il domino, il solitario: giochi astratti dove alcune semplici regole si applicano a situazioni sempre più complicate (gli scacchi, si potrebbe dire, sono il più eccelso dei giochi stupidi: il punto in cui i giochi stupidi incontrano il genio). Ma i giochi prima di Tetris avevano una dif- POPCAP Peggle ferenza fondamentale: richiedevano avversari umani o almeno un supporto materiale, lo spostamento di oggetti tridimensionali nello spazio. Quando uno si sedeva per giocare, era perché voleva sedersi e mettersi a giocare. I giochi stupidi, invece, sono raramente una circostanza a sé. Sono progettati per farsi largo nei vuoti di altre circostanze. Ci giochiamo in modo casuale, ambivalente, compulsivo, quasi accidentale. Rappresentano uno spazio vuoto nella nostra giornata più che una vera e propria attività, sono più una distrazione da altri passatempi che un passatempo in sé. Dai un’occhiata all’agenda e ti accorgi che all’appuntamento mancano ancora quaranta minuti: c’è un solo quadro a dividerti dal prossimo livello e quindi puoi concederti il lancio di un altro uccello. Spesso negli ultimi venticinque anni è stato facile sfuggire a questi giochi. L’industria dei videogiochi si è basata prevalentemente su un modello in stile Hollywood: le grandi aziende hanno investito nella produzione di quelli che sono stati chiamati i giochi “da tripla A”, l’equivalente dei blockbuster estivi del cinema. Giochi realizzati per girare principalmente su console. Come i blockbuster estivi, questi giochi includevano di solito avventure, guerre e fantastici effetti speciali per attirare gli adolescenti. Un gioco da tripla A poteva avere un budget iniziale di 25 milioni di dollari, con centinaia di sviluppatori al lavoro per anni e una campagna pubblicitaria da 50 milioni di dollari per garantire la massima visibilità al momento dell’uscita. Grazie a questo modello i proventi delle vendite dei videogiochi sono più che raddoppiati tra il 1996 e il 2005: gran parte di questi soldi è arrivata da una minuscola cerchia di eccezionali serie di videogiochi come Halo, World of warcraft, Call of duty e Battleield. Il modello hollywoodiano, tuttavia, ha inito con l’attirare le stesse critiche che da decenni erano rivolte alle grandi case cinematograiche: i giganteschi investimenti di tempo e denaro avevano creato una cultura poco disposta a rischiare. Tutto si riduceva a imitazioni, adattamenti, prequel, sequel e perino sub-sequel. Per esempio, non esiste solo Halo 3, ma anche Halo 3: Odst (Orbital drop shock troopers). Nel frattempo le aziende più grandi (Microsoft, Electronic Arts, Rockstar Games) dominavano il mercato in modo così capillare che gli autori indipendenti, da cui sarebbero potute arrivare idee nuove, praticamente non avevano modo di vendere i loro prodotti ai consumatori. Poi nel 2007 è arrivato l’iPhone. Sviluppare i giochi e distribuirli, attraverso l’App store, è diventato molto più facile. Invece Da sapere Entrate mondiali del mercato dei videogiochi, miliardi di dollari. Fonte: The Economist Telefonino Console Online Computer Spot all’interno dei videogiochi 100 Previsioni 80 60 40 20 0 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 di far girare i prodotti passandoseli sui blog, all’improvviso i game designer indipendenti avevano un modo per arrivare a chiunque. Non solo ai giocatori fanatici, ma anche alle loro madri, ai postini, ai professori d’università: consumatori che prima non avrebbero mai messo piede in una sala giochi o usato la Xbox 360, ora avevano sempre con sé una soisticata console per videogiochi. Questo ha avuto un impatto profondo sui giochi. Nell’era delle console la maggior parte dei videogiochi era concepita per prendere vita in un oggetto che stava fermo al suo posto, come la tv o lo schermo del computer. I giochi si fondavano quindi su narrazioni piuttosto lunghe (avventure, guerre, ascese e cadute di civiltà) che potevano essere esplorate comodamente da casa, seduti a gambe incrociate sul tappeto del soggiorno. Una fusione di Tetris e Sudoku I giochi per smartphone, invece, si basano su un modello molto diverso. Lo schermo di un iPhone è grande più o meno quanto una carta da gioco. Non risponde ai comandi di più bottoni premuti convulsamente sul controller, ma a movimenti più intuitivi e immediati: toccare, grattare, pizzicare. Questo ha dato vita a giochi completamente diversi, e cioè giochi come Tetris, che vanno bene per chiunque, dovunque e in ogni contesto, e che si possono usare senza dover leggere un manuale. Qualcuno potrebbe dire che siamo di fronte a giochi puri, realizzati per il puro piacere di giocare senza la distrazione della storia. Ai creatori di Angry birds piace paragonare il loro gioco a Super Mario bros. Ma mentre ci vuole un minuto e mezzo per completare il primo livello di Super Mario bros, per il primo livello di Angry birds ci vogliono circa dieci secondi. Di tutti i giochi stupidi che ho fatto, solo uno è diventato una droga: Drop7, una fusione colorata di Tetris e Sudoku. Praticamente un parco giochi per ossessivi-compulsivi. Il computer prova a riempire lo schermo mentre il giocatore cerca di tenerlo libero. Ci ho messo giorni a capire le strategie di base del gioco (fare attenzione ai dischi grigi) e poi qualche altra settimana per capire gli stratagemmi più avanzati (concentrarsi ai lati della griglia) e presto sono entrato nella zona pericolosa: mi mettevo a giocare quando avrei dovuto lavare i piatti, fare il bagno ai miei igli, chiacchierare con i miei parenti, leggere il giornale e soprattutto (dico soprattutto) scrivere. Per me il gioco era un anestetico, un Internazionale 945 | 20 aprile 2012 43 Società 44 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Bejeweled PoPCAP guscio di salvataggio, ossigeno, uno Xanax, un igienista dentale con il quale mi abbandonavo a insensate ma rilassanti chiacchierate prima di sottopormi al martello pneumatico della vita. Presto ho capito di essere un vero drogato di Drop7. Perfino quando premevo sul tasto “nuova partita”, il cervello mi diceva, molto lucidamente, che avrei dovuto fermarmi. Ma non lo facevo. Anzi, ho contagiato altre persone: mia moglie, i miei amici, mia madre. Mi sono ritrovato a giocare in ogni tipo di situazione estrema: alle 3 del mattino, durante una grave crisi gastrointestinale; subito dopo una discussione intensa con mia madre; poco dopo aver saputo che il mio cane – il dolce e ultraemotivo mammifero con il quale ho vissuto per dodici anni – sarebbe probabilmente morto di cancro. Volevo capire com’era riuscito un gioco così piccolo, e in un lasso di tempo così breve, a instillarsi al centro della mia vita. Così ho inviato un’email a Frank Lantz, la persona che ha disegnato Drop7. Lantz è tra i fondatori dell’azienda di videogiochi Area/Code, dirige il Game center della New York university ed è una delle personalità più rispettate di New York per quanto riguarda i misteri dei giochi (una volta ha perino supervisionato una partita “isica” di Pac-Man, impersonata da veri esseri umani, nelle strade della città). La sua azienda era stata appena comprata da Zynga, un gigante dei giochi stupidi. Volevo chiedergli: qual è il segreto dei giochi stupidi? Perché mi prendono così tanto? Come ha fatto Drop7 a prendere il controllo del mio cervello? Per prima cosa, però, gli ho chiesto se per caso conosceva qualche giovane autore geniale che stava lavorando al problema dei giochi stupidi. Qualcuno che probabilmente avrebbe inventato il prossimo Drop7, ma che doveva essere ancora assunto da una grande azienda. Lantz ha risposto con un’email che conteneva solo un nome: Zach Gage. La prima cosa che ha fatto Zach Gage quando sono entrato nel suo appartamento è stata scusarsi per il disordine. Aveva appena inito di costruire in un angolo del suo soggiorno un arcade, uno di quei videogiochi che un tempo si vedevano nei bar e nelle sale giochi, una specie di tecno-altare di legno, grande come un distributore automatico di bibite. Questo arcade, però, aveva lo schermo di un Mac, un Mac mini all’interno e includeva più di tremila giochi: dai superclassici (Space invaders, Pac-Man) ai giochi sperimentali che Gage e i suoi amici hanno creato senza budget e spesso in poche ore. Gage deinisce il suo arcade “un piccolo santuario dei giochi”. Mi ha detto che è stato il suo progetto dell’estate: gli è costato circa sei settimane di lavoro e mille dollari. Ha ordinato i pezzi da Hong Kong, per poi staccare e tagliare circa cento ili e creare un software per farli corrispondere ai vari bottoni. Ha dovuto imparare le differenze tra i joystick giapponesi (precisi, delicati, sensibili) e quelli statunitensi (più duri, per resistere alla costante violenza di mani grandi e inesperte). Gage è afamato di tecnologia. È nato nel 1985, un anno dopo la nascita di Tetris in Unione Sovietica, e questo signiica che è cresciuto nell’era delle console. Da nerd dei videogiochi, ha provato a immaginare com’era stata l’età dell’oro delle sale giochi, con tutti quei corpi che condividevano lo stesso spazio isico per immergersi, moneta dopo moneta, nei mondi digitali: è Da sapere Valore del mercato dei videogiochi, miliardi di dollari. Fonte: The Economist Stati Uniti Corea del Sud Francia Cina Gran Bretagna Altri Giappone Germania 100 Previsioni 80 60 40 20 0 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 una specie di gioco protosociale. Con il suo arcade voleva provare a capire quel mondo. Quest’esperienza gli ha ispirato rilessioni che, ascoltate dalla bocca di un ventiseienne, mi hanno sorpreso. “Dopo aver costruito questo afare, ho capito quanto in realtà odio internet”, mi ha detto. “Voglio dire, mi piace un sacco il web, che per i giochi è stato eccezionale. Ma per altri aspetti la rete è veramente terribile. Gli arcade facevano un sacco di cose intelligenti che non abbiamo mai apprezzato. C’è un sacco di psicologia sociale in questi oggetti”. L’Xbox, ha aggiunto, ofre solo qualche titolo per giocare con altre persone, insieme nella stessa stanza. “Nessuno fa più giochi del genere, è davvero terribile”. Torri di parole Gage è un game designer indipendente, come un allevatore di tacchini all’aperto in confronto all’azienda agricola Zynga. Lavora da casa, porta i capelli lunghi e un’ombra di barba perenne. Collabora raramente con gli amici, e qualche volta sprofonda in sessioni di ricerca molto coinvolgenti che possono durare anche settimane. Di recente ha cercato di capire perché alle persone piacciono i giochi con le parole, un genere che ha sempre odiato (Gage crede che sia un imbroglio basare un gioco su un sistema già esistente, come le parole o i numeri). Così ha trascorso due settimane a giocare a Bookworm, Words with friends e Wurdle, arrivando alla conclusione che questo genere ha una grave mancanza di strategia. Il risultato dei suoi sforzi è stato SpellTower, un gioco che permette di creare delle torri formando parole con le lettere a disposizione nelle inestre a ianco. Con SpellTo- ANDrEAS ILLIGEr Tiny wings wer, dice Gage, ha guadagnato abbastanza per campare due anni. Il viaggio di Gage nel mondo dei giochi stupidi è cominciato, come quello di molte altre persone, con Tetris. Un giorno ha notato la sua ragazza che ci giocava sull’iPod e si è accorto che l’interfaccia touchscreen del gioco era scomodissima. Gage ne era disgustato (riesce a indignarsi in modo davvero esilarante di fronte a quello che considera un brutto design). “L’iPhone ha delle caratteristiche meravigliose che nessuno sfruttava”, mi ha detto. “Tutti cercavano un modo per mettere nella nuova piattaforma alcuni giochi vecchi. Tetris non era stato costruito per un touchscreen. Se avessimo avuto prima il touchscreen, non avremmo mai avuto un gioco del genere. Così mi sono chiesto come sarebbe stato Tetris in versione multitouch”. Il risultato è stato Unify, una specie di Tetris bidirezionale in cui dei blocchi colorati arrivano da diversi angoli dello schermo e s’incontrano al centro. È una droga. Sembra che serva a esplorare qualche intersezione cerebrale, precedentemente trascurata, tra le funzioni motorie e la nostra capacità di seguire più oggetti contemporaneamente. Unify è stato acclamato dalla critica, ma ha avuto un successo modesto in termine di vendite. A Gage però non importa. “Il mio interesse”, ha detto, “è semplicemente quello di poter giocare con qualche nuova tecnologia che inora ha creato problemi. Con Unify, per quello che ne so io, è la prima volta che viene creato un gioco rompicapo multitouch con dei blocchi che cadono”. Entrambi i suoi genitori sono artisti, mentre lui ha preso un master in belle arti Se solo potessimo trovare un modo per imporre i meccanismi dei giochi alla vita di ogni giorno, gli esseri umani si sentirebbero sicuramente meglio alla Parsons di New York. È il classico giovane artista che lavora duro nella soitta di casa. Solo che al posto dei libri di anatomia, dell’essenza di trementina e delle tele, è circondato da giochi da tavolo, vecchi controller e dischetti per Xbox. Per anni Gage è riuscito a sopravvivere grazie a lezioni private, conferenze e vendite di giochi. Ma ora non sembra che pensi ai soldi. Uno dei suoi progetti attuali è una satira sull’industria dei videogiochi e in particolare sulla tendenza delle aziende a provare a far soldi copiando l’ultima moda. Il titolo provvisorio del gioco è Unify Birds. È uguale a Unify, solo che al posto dei blocchi ci sono uccelli colorati dagli occhi grandi. “Ho fatto un paio di altri piccoli cambiamenti”, dice, “ma in linea generale ho reso tutto superadorabile. È stato davvero interessante, perché l’ho mostrato alla gente a cui piaceva Unify. Loro ci giocano e dicono: ‘Ehi, Zach. È davvero un bel gioco. È meglio’. Si chiedevano cosa avessi cambiato”. Gage mi ha fatto giocare a Unify Birds. Penso che potrebbe perino diventare un successo. Ci sono persone che vedono di buon occhio la proliferazione dei giochi stupidi. Credono che i giochi possano essere la risposta a tutti i problemi dell’umanità. Nel suo libro La realtà in gioco, Jane McGonigal sostiene che i giochi stupidi sono probabilmente l’attività migliore, più salutare e produttiva che possa intraprendere un essere umano: un mezzo per arrivare a uno stato psicologico ideale. I giochi non sono una fuga dalla realtà, sostiene McGonigal, ma un sistema ottimale per prendervi parte. Se solo potessimo trovare un modo per imporre i meccanismi dei giochi alla vita di ogni giorno, gli esseri umani si sentirebbero sicuramente meglio. Si potrebbe usare un approccio del genere perino per provare a risolvere i problemi del mondo reale come l’obesità, la mancanza d’istruzione e gli abusi del governo. Alcuni fautori di questi prodotti mettono in evidenza dei casi di successo di giochi applicati alla vita di ogni giorno: Weight Watchers e i programmi frequent lyer, per esempio. Strategie aziendali Le grandi aziende hanno usato per decenni strategie simili, facendo in modo che i consumatori si afezionassero ai loro prodotti e concedendogli ogni tanto piccole soddisfazioni per fargli spendere soldi (si pensi a quando un gioco come Monopoli è stato riciclato da McDonald’s). La parola d’ordine in questo senso è gamification (l’uso di meccaniche e dinamiche dei giochi in contesti esterni al gioco), e l’ubiquità dei computer e degli smartphone ha solo sviluppato a dismisura questi metodi. Gartner, un’azienda specializzata in ricerche sul mercato hi-tech, ha previsto che nel prossimo futuro “un servizio basato sui giochi e destinato al marketing dei beni di consumo e alla fidelizzazione del cliente sarà importante come Facebook, eBay o Amazon”. Le aziende hanno già sfruttato i giochi online per pubblicizzare i cereali dolci rivolgendosi, in modo subdolo, direttamente ai bambini. Anche se c’è un certo fascino utopistico nel modello “giochi per il cambiamento” di McGonigal, sono preoccupato dal potenziale distopico della gamiication. Invece di bombardarci di slogan, le grandi aziende potranno istillare direttamente nelle nostre menti i loro messaggi con pubblicità mascherate da giochi. La gamiication vuole trasformare il mondo in una tabella gigante piena di adesivi che premiano gli obiettivi raggiunti, il tipo di cose che i genitori progettano per i loro igli. Ma in questo caso bisogna chiedersi: chi sono i genitori? Ho paura che questo sia il futuro distopico dei giochi stupidi: cioè aziende Internazionale 945 | 20 aprile 2012 45 Società senza scrupoli che assumono squadre di psicologi del comportamento per scansionare le nostre manie e specularci sopra. Di recente Mark Pincus, fondatore e presidente di Zynga, ha detto che i sistemi di gioco “saranno l’abilità più preziosa nell’era della new economy”. E sa di cosa parla. Il suo Farmville, un gioco che simula la vita di un agricoltore e che ha spopolato su Facebook, è uno dei più apprezzati e discussi giochi stupidi di sempre (all’inizio del 2010 aveva quasi 85 milioni di giocatori). Farmville è diventato famoso, specialmente nei primi giorni dopo il lancio, per il suo fervore espansionistico: basta vedere il modo in cui ha usato Facebook per difondersi viralmente, postando in automatico, sulle bacheche degli utenti, aggiornamenti di stato relativi al gioco. Il gioco è gratuito, ma incoraggia insistentemente i giocatori a spendere soldi e reclutare amici. All’inizio del 2010 milioni di persone erano entrate a far parte dei gruppi anti-Zynga su Facebook e alla ine il social network ha chiuso quelli più estremi. Ora Zynga ha allargato i suoi orizzonti ai cellulari. Mentre l’economia del mondo reale crollava, le economie virtuali di Zynga crescevano sempre di più, generando una fortuna reale. Nel 2010 l’azienda ha registrato utili per circa 400 milioni di dollari. Nell’estate dello stesso anno, quando ha celebrato il suo terzo anno di vita, Zynga aveva sedi a Pechino, Tokyo, Dallas, Boston, Baltimora, Bangalore, Los Angeles, Dublino e New York. In un periodo particolarmente attivo, ha comprato una casa di videogiochi al mese. Sembra che abbia perino provato a comprare la Rovio con un’oferta (riiutata) di 2,25 miliardi di dollari. Il gioco più famoso di Zynga, Draw something, ha 14 milioni di giocatori al giorno. Grazie alle sue enormi dimensioni, l’azienda sembra spingere l’economia dei giochi per iPhone verso qualcosa di simile al vecchio modello tripla A. Uno dei suoi giochi più recenti, Empires and allies, è stato lanciato contemporaneamente in dodici paesi e ha conquistato dieci milioni di giocatori in dieci giorni. Qualcuno sostiene che i giochi simbolo di Zynga – Farmville, Fishville – non dovrebbero essere neanche chiamati giochi. Come ha scritto Nicholas Carlson sul sito Business Insider, “sono macchine da clic alimentate dal bisogno umano di fare progressi attraverso scelte prevedibili e il pagamento di piccole somme di denaro”. Ma uno potrebbe rispondere che i giochi come Farmville sono in realtà 46 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 il logico epilogo della gamiication. Sembrano giochi, stimolano l’impulso a giocare, ma per molte persone non sono divertenti come altri giochi. Tutto questo ci riporta alla mia dipendenza da Drop7. Quando ho parlato con Lantz, mi è sembrato soprafatto dal suo stesso gioco. Mi ha detto che Drop7 sembrava qualcosa che lui e il suo team avevano scoperto, non creato: “Un piccolo angolo dell’universo che le persone non avevano mai visitato, che risale a un’epoca passata e che sopravvivrà a noi”. Lantz non sa con certezza perché il gioco crea dipendenza. Sa solo che è così. Alla ine, ha aggiunto, gli è perino piaciuto mentre lo provava, nonostante questo sia di norma un processo esclusivamente analitico. La spiegazione migliore di Lantz è che Drop7 occupa un “cardine nell’universo” che è sia matematico (perché permette di giocare tra il senso ordinale e cardinale di un numero) sia spirituale: tiene il giocatore in un limbo tra la lucida risoluzione di problemi e l’intossicazione pura. Il che, pensandoci bene, è probabilmente l’aspetto principale, a livello cognitivo, di tutti i grandi giochi stupidi. Lantz non mi è sembrato scosso dal lato oscuro dei giochi stupidi, come la dipendenza e la cinica prepotenza delle aziende. Ha detto che i giochi veri sono troppo fragili e complessi per poter essere sviluppati dalle aziende e che spesso il loro fascino è molto più complesso rispetto alle ricompense del gioco. “Non è facile creare un gioco davvero buono, perché si incontrano le stesse diicoltà di quando si vuole fare un ilm, un’opera o un cappello veramente belli”, mi ha detto. “Certo, la matematica c’entra molto, ma di mezzo c’è anche la cultura. Il tipo di gioco con cui si cimenta una persona è legato anche alla considerazione che il giocatore ha di sé. E non c’è nessuna formula che possa risolvere quest’equazione. È impossibile, perché è ininitamente profonda e meravigliosa”. Qualcuno sostiene che i giochi simbolo di Zynga – Farmville, Fishville – non dovrebbero essere neanche chiamati giochi Per quanto riguarda il mio incubo di un mondo ridotto in pezzi a causa della dipendenza dai giochi stupidi, Lantz vede la cosa in un altro modo. Gli piace pensare che Drop7 non provochi solo dipendenza ma che, in un certo senso, si concentri anche sulle dipendenze stesse. I giochi, mi ha detto, sono “una neuroscienza artigianale, una piccola droga digitale che può essere usata per fare esperimenti sul proprio cervello”. Un motivo per cui bisogna lasciarsi sedurre dai giochi, secondo Lantz, è che poi si esce dal tunnel diventando persone più interessanti e consapevoli delle proprie forze, debolezze, vizi e desideri. “È come eroina astratta, compressa o stilizzata”, ha osservato, “ti apre una inestra nel cervello, ma il cervello non subisce danni”. Muri fatti di numeri Ho provato a pensare a cosa avevo imparato da questa nuova inestra nel mio cervello. Come il loro antenato spirituale Tetris, la maggior parte dei giochi stupidi si basa su muri che vengono costruiti, scalati, abbattuti. Muri fatti di numeri, muri fatti di mattoncini digitali, muri dietro i quali si nascondono maiali verdi. Sono come piccoli campi di addestramento in miniatura per isolarsi. In in dei conti, ho capito che questi giochi si basano anche sulla costruzione di muri più subdoli e misteriosi: cioè le barriere interne che solleviamo per spezzettare il nostro tempo, la nostra attenzione, le nostre vite. Una volta il leggendario game designer Sid Meier ha deinito i giochi semplicemente come “una serie di scelte interessanti”. Forse è questo il segreto dei giochi stupidi: ci costringono a fare una serie di scelte interessanti sulle cose importanti della nostra vita, momento dopo momento. Lantz mi ha detto che il gioco che ha amato di più è stato il poker, per il quale aveva sviluppato una dipendenza quasi pericolosa. “In qualche modo essere sempre al limite mi divertiva molto”, mi ha detto. “Era come camminare su un ilo tra questo mondo cerebrale, bellissimo e trascendentale, che ti ofriva ininite opportunità per migliorarti (attraverso lo studio e l’autodisciplina, potenziando la mente come un muscolo), e l’autodistruzione pura. Non c’è una parola che possa descrivere una cosa che incarna contemporaneamente efetti così diversi. Ma è meraviglioso”. Gli ho chiesto se conosceva una parola con le stesse caratteristiche in un’altra lingua. Mi ha risposto di no. Ma poi ci ha pensato un minuto e ha detto: “Credo che sia ‘gioco’. Credo che la parola adatta sia gioco”. u ag Cina Le tigri cinesi Amy Chua, Newsweek, Stati Uniti ome una persona ambiziosa che ha obiettivi sempre più alti, la Cina non fa che collezionare superlativi. Tra le grandi economie, è quella che che registra il ritmo di crescita più veloce. Vanta la centrale idroelettrica, il centro commerciale e l’allevamento di coccodrilli (centomila bestie azzannatrici) più grandi del mondo. Sta costruendo un aeroporto da record. E, inine, oggi conta più miliardarie di qualsiasi altro paese al mondo. E non solo perché in Cina ci sono più donne che altrove. Molte di queste miliardarie sono venute su dal nulla pur vivendo in una società tradizionalmente patriarcale e sono uno spot accattivante della “Nuova Cina”: coraggiosa, imprenditoriale, che rompe le tradizioni. Tra le straordinarie nuove superdonne cinesi, ne spiccano quattro: Zhang Xin, l’operaia diventata miliardaria e potente imprenditrice immobiliare, oggi seguita da tre milioni di persone su Weibo, l’equivalente cinese di Twitter; Yang Lan, la regina dei talk-show, un misto di Audrey Hepburn e Oprah Winfrey; Zhang Lan, la magnate della ristorazione che da bambina dormiva tra il porcile e il pollaio; e inine Peggy Yu Yu, cofondatrice e amministratrice delegata di uno dei più grandi gruppi di vendite online della Cina. Nessuna di queste quattro donne è un’ereditiera, e a diferenza di C 48 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 tanti cinesi ricchi, restii a permettere che s’indaghi troppo a fondo su come hanno fatto i soldi, tutte e quattro sono orgogliose di raccontare la loro storia. E allora come hanno fatto queste donne ad arrivare così in alto nel selvaggio est? Che prezzo hanno pagato sul piano della vita familiare o professionale? Cosa le distingue dai loro connazionali noti per la loro propensione al duro lavoro? Quando ho cominciato a cercare la risposta a questi interrogativi ero animata in parte da un interesse personale. Tutte e quattro le donne in questione hanno trascorso lunghi periodi in occidente. Io che sono un’americana di origine cinese e mi sono guadagnata l’epiteto poco lusinghiero di tiger mom, “mamma tigre”, ero curiosa di capire ino a che punto queste nuove tigri cinesi fosse- Da sapere u Secondo l’ultimo rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni unite, la Cina si trova al 101° posto nella classiica della disuguaglianza di genere. u In parlamento le donne sono il 21,3 per cento. u Nel 2010 il 54,8 per cento delle donne con più di 25 anni aveva almeno un titolo d’istruzione secondaria, contro il 70,4 per cento degli uomini. u Nel 2009 il 67,4 per cento delle donne lavorava contro il 79,7 per cento degli uomini. MATTHEW NIEDErHAuSEr (INSTITuTE) La Cina è il paese con il maggior numero di miliardarie del mondo. Dietro al loro successo ci sono un’educazione severa in stile confuciano e l’incontro con l’occidente, scrive Amy Chua ro… cinesi. Ho scoperto che ciascuna, a modo suo, rappresenta una combinazione dinamica tra oriente e occidente, e forse questo è uno dei segreti del loro travolgente successo. La storia di Zhang Xin sembra uscita dalla penna di Dickens. È nata a Pechino nel 1965. L’anno seguente Mao ha avviato la rivoluzione culturale e milioni di persone, intellettuali e dissidenti del partito compresi, sono stati epurati o forzosamente trasferiti in arretratissime zone rurali. I bambini erano incoraggiati a denunciare genitori e insegnanti come controrivoluzionari. Zhang è tornata a Pechino nel 1972, dove ricorda di aver dormito su scrivanie d’uicio con dei libri come guanciali. All’età di 14 anni è partita con la madre per Hong Kong, dove per cinque anni ha lavorato in una fabbrica di giorno e ha frequentato la scuola di notte. “Da bambina ero molto infelice”, racconta. Con la sua elegante giacca di pelle e la sua risata contagiosa, oggi la cofondatrice dell’impero Soho China (del valore di 4,6 miliardi di dollari) è uno strano misto di Da sinistra Zhang Lan, Amy Chua, Yang Lan e Zhang Xin calcolo misurato e calda spontaneità. “Quando ero a scuola mia madre mi spingeva con durezza a studiare. La gente di quella generazione non era capace di esprimere afetto. Comunque non ero solo io a essere infelice: tutta la Cina lo era. Credo che nessuno fosse felice, a quel tempo. Basta guardare le foto di quel periodo, nessuno sorride”. E qui Zhang fa il nome di un artista contemporaneo, Zhang Xiaogang, noto per i volti “freddi e privi d’emozione” che dipinge: “È esattamente così che siamo cresciuti tutti quanti”. A vent’anni, spinta da un disperato desiderio di fuga, Zhang ha raggiunto la Gran Bretagna portandosi dietro un vocabolario, un wok e poco altro. “Nell’istante stesso in cui sono arrivata in Inghilterra, per me tutto è cambiato”, ricorda. Mentre in Cina “era impensabile che una come me potesse andare all’università, in Gran Bretagna è così semplice… Non hai soldi? Fai domanda per una borsa di studio”. E così è cominciata la storia d’amore tra Zhang e l’occidente. Si è iscritta all’università del Sussex e lì “ho letto un sacco di sto- ria e di ilosoia… Adoravo l’opera lirica. Ho viaggiato qua e là e ho fatto un’immersione totale nella cultura europea e nell’illuminismo”. Nel 1992, un anno dopo la laurea in economia a Cambridge, Zhang lavorava già alla Goldman Sachs. Eppure, sognava di tornare in Cina. La moglie straniera Nel 1994 si trovava a Pechino quando ha conosciuto Pan Shiyi, un imprenditore del settore immobiliare di origini ancora più umili delle sue, che aveva già fatto un sacco di soldi con la speculazione durante una delle “bolle” immobiliari cinesi. Tra i due è scoccata una scintilla e quattro giorni dopo Pan le ha proposto di sposarlo. L’anno seguente la coppia ha fondato la società che poi sarebbe diventata Soho China. I primi tempi, tuttavia, non sono stati facili. La disinvoltura tutta occidentale di Zhang si scontrava con gli atteggiamenti più tradizionali del marito, e i due litigavano di continuo. Alcuni dei colleghi di Pan la deinivano sprezzantemente “la tua moglie straniera”. A un certo punto i due si sono sepa- rati per un po’ e Zhang è tornata in Gran Bretagna. Ma la coppia non si è sciolta, sono nati due igli e il connubio tra la sagacia e gli agganci di Pan e il iuto di Zhang per i progetti architettonici innovativi l’ha proiettata al vertice dell’élite immobiliare di Pechino. Da ormai dieci anni Pan e Zhang sono la coppia più in vista di Pechino, quella che di giorno costruisce alcune delle nuove strutture più rappresentative della città e di sera dà feste frequentate da persone famose. Proclamata da Forbes una delle 50 donne più potenti del mondo, Zhang è stata l’ideatrice della spettacolare “Commune by the Great wall”, costruita da Soho China, che le è valsa un premio della biennale di Venezia. Si tratta di un comprensorio residenziale rannicchiato ai piedi della Grande muraglia che conta una serie di ville private progettate da dodici dei più importanti architetti asiatici. Secondo Zhang la scarsa capacità d’innovazione è uno dei problemi persistenti del paese. “Per andare avanti abbiamo bisogno di persone dotate d’inventiva. Il motivo per cui alla Cina manca uno Steve Jobs sta nel sistema scolastico (che ha urgente bisogno di essere riformato), in quello sanitario e in quello politico. In Cina non s’insegna a un numero suiciente di persone l’autonomia di pensiero”. Ed efettivamente Zhang s’identiica con Jobs: “Ero proprio come lui: una perfezionista”, dice. Di fronte a ogni progetto che uno dei suoi dipendenti le sottoponeva, “io dicevo sempre: ‘Non va bene, non va bene!’, e mi arrabbiavo, perché quando hai degli standard altissimi e qualcuno non li raggiunge, ti senti frustrata”. Tuttavia, nonostante il successo, Zhang e Pan hanno cominciato ad avvertire un vuoto spirituale nella loro vita, e nel 2005 si sono convertiti alla fede bahai. A sentire Zhang quell’esperienza l’ha trasformata: “Non che la mia motivazione sia venuta meno o i miei standard si siano abbassati. Ho solo capito che ognuno di noi ha bisogno che anche gli altri crescano ”. Ai due, che sembrano sempre un passo avanti ai loro concorrenti, non nuoce l’avere fatto proprio pubblicamente un nuovo sistema di valori in un momento in cui in Cina aumentano le tensioni di classe e non si fa che parlare del grande “vuoto morale” del paese. Come madre, però, Zhang è più cinese che occidentale. Quando i suoi due igli maschi, che ora hanno 11 e 13 anni, tornano a casa da scuola, lei li fa esercitare in cinese scritto per due ore al giorno, sorda alle loro Internazionale 945 | 20 aprile 2012 49 Cina implorazioni di andare a casa dei compagni o a giocare a calcio. Le nuove generazioni saranno troppo iacche per farsi strada come hanno fatto i genitori? “Oggi in Cina gli insegnanti sono disperati”, mi ha spiegato Yang Lan. Con la carnagione di porcellana e i capelli tirati su, Yang irradia il potere della celebrità. “Temono che tutti questi ‘piccoli imperatori’, cioè tutti questi igli unici che abbiamo in Cina, crescano viziati ed egoisti e non rispettino più i loro genitori”. Yang mi ha raccontato che i dirigenti di una scuola hanno invitato un migliaio di genitori a sedersi sulle sedie nel cortile dell’istituto, “dopodiché hanno chiesto agli alunni di lavare i piedi ai genitori da- per il primo ministro Zhou Enlai. A 21 anni, insieme ad altre mille giovani donne, ha partecipato alle selezioni per diventare conduttrice del talk show più seguito della tv cinese. Dopo aver superato con successo sei provini, uno dei giudici le ha detto: “Lei non è abbastanza bella”. Dapprima si è sentita morire per l’umiliazione, ma poi ha deciso di spuntarla “dimostrando che ero più intelligente di quelle più belle di me”. A chi le chiedeva se avrebbe mai “osato indossare un bikini”, ha risposto che dipendeva da dove si trovava: su una spiaggia nudista francese un bikini poteva essere di troppo. Quella risposta le è valsa la vittoria, e in quel momento è cominciata la sua carriera di superstar. Sono trent’anni che il governo ha adottato la politica del iglio unico e molti in Cina temono di ritrovarsi con un miliardo di bambini viziati vanti a tutti, in segno di devozione iliale”. Mi è tornata in mente mia nonna che, quando abitava da noi nell’Indiana, si faceva il pediluvio in un bacinella di plastica azzurra, e mi sono ricordata che ogni giorno, quando mio padre tornava dal lavoro, io gli silavo le scarpe. “Capisco la disperazione degli insegnanti”, ha proseguito Yang. “Hanno paura che i bambini cinesi perdano quello che da noi si chiama xiao dao, cioè il rispetto e la sollecitudine nei confronti dei genitori, che un tempo erano tra i pilastri del confucianesimo”. A 43 anni Yang è un misto di modernità e tradizione. Anche se è sempre in volo qua e là per il mondo a stregare uditori occidentali con le sue conferenze Ted, vive ancora a casa dei genitori. “La nostra è una famiglia tradizionale, in cui tre generazioni diverse abitano sotto lo stesso tetto”, spiega. Come la maggioranza dei cinesi, preferisce l’acqua tiepida a quella ghiacciata perché “nella medicina tradizionale cinese il pericolo più grave per una donna è prendere freddo”. E anche se nega di fare pressione sui igli (“il mestiere del genitore è aiutare il iglio a scoprire la sua vera passione”), parlando con me le è scappata una tipica battuta da genitore cinese: “A me basta che a scuola prendano almeno nove”. Delle quattro donne che ho intervistato Yang è quella che ha avuto l’infanzia più privilegiata. La sua famiglia, originaria di Shanghai, era benestante; suo padre era un professore d’inglese con agganci politici che occasionalmente faceva l’interprete 50 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Quattro anni dopo ha lasciato gli schermi per iscriversi alla Columbia University di New York, dicendo di voler vedere il mondo. Mentre studiava per prendere il suo master in politica internazionale, ha conosciuto Wu Zheng, detto Bruno, rampollo di una ricca famiglia di Shanghai. Si sono sposati all’hotel Plaza di New York nel 1995. Nel 1998, con suo marito, Yang ha lanciato una trasmissione di attualità e interviste tutta sua. Stavolta ha puntato veramente in alto: nel corso degli anni tra i suoi ospiti ha avuto personalità come i Clinton, Tony Blair, Kobe Bryant ed Henry Kissinger (più qualcuna minore, come me). Nel 2000, lei e Bruno hanno fondato in pompa magna Sun tv, un’emittente con sede a Hong Kong. Ci hanno investito milioni di tasca loro e si sono messi in competizione diretta con la Star tv di Rupert Murdoch. Ma è stato un fallimento: non solo la nuova emittente non è riuscita a scalzare Murdoch, ma le autorità cinesi le hanno vietato di trasmettere in tutta la Cina continentale. Distrutta, nel 2003 Yang è stata costretta a svendere gli impianti: “Quando ho venduto Sun tv”, ricorda, “mi sono sentita come una madre costretta a dare il iglio in adozione. Ci ho messo anni per superarlo”. Ma poi lei e Bruno hanno avuto un’idea: la tv delle donne. A quel tempo, in Cina, i talk-show al femminile quasi non esistevano. I due hanno ideato una trasmissione intitolata “Il villaggio di lei”, che aveva come target le giovani donne di città, e di tan- to in tanto ospitava le conidenze di personaggi famosi. Nato nel 2005, il programma ha avuto un grande successo, che ha proiettato Yang e Bruno alla guida di uno degli imperi mediatici privati del paese: secondo la graduatoria dei cinesi più ricchi stilata dal sito Hurun, attualmente la coppia vale al netto 1,1 miliardi di dollari (anche se la cifra non è documentata). Sono ormai trent’anni che il governo ha adottato la politica del iglio unico e molti in Cina temono di ritrovarsi con un miliardo di bambini viziati. Da madre, anche Yang diida dei genitori che crescono i igli nella bambagia, “prima facendogli i compiti, poi comprandogli casa”. Ma i “piccoli imperatori” della Cina di oggi sono viziati in un modo tipicamente cinese. È vero che le madri e i padri li coccolano e li servono, ma è anche vero che questi igli unici sono caricati delle aspettative enormi dai genitori che in loro hanno investito tutti i loro sogni, oltre che i loro soldi. Non è raro, quindi, che questi bambini, pur viziati, studino e si esercitino ogni santo giorno dalle 7 del mattino alle 10 di sera. “Per tante donne”, mi ha detto Yang, “la situazione è davvero triste: tutta la loro autostima dipende dai voti che i igli prendono agli esami. Delle università straniere conoscono solo pochi nomi, come Harvard o Yale, ma non sanno neanche cosa ci s’insegna”. La regina della ristorazione Dal 2000, anno d’apertura del ristorante più prestigioso della catena – situato nel China world tower, un grattacielo di 81 piani a Pechino – i locali dell’impero South Beauty sono diventati i templi della convivialità per i cinesi che contano. Al timone dell’impero e del marchio c’è Zhang Lan, 45 anni, la prima cinese a diventare una ristoratrice celebre, e che emana un umorismo non convenzionale e alla buona. Nata a Pechino da genitori intellettuali, Zhang aveva nove anni quando la rivoluzione culturale ha lacerato la sua vita. Insieme a sua madre è stata spedita in un campo di rieducazione nella provincia rurale dello Hubei. Lì si occupava del porcile: di notte dormiva sul pavimento di terra battuta, e la sera, alla mensa, assisteva allo spettacolo di sua madre obbligata a inginocchiarsi a terra reggendo un cartello in cui si autodenunciava come dissidente politica. “A quel tempo la Cina intera era immersa nell’oscurantismo”, mi ha raccontato Zhang (in cinese perché è l’unica delle mie quattro intervistate a non parlare inglese). MArTIN KOLLAr (Vu/EMBLEMA) MArK LEONg (rEDuX/CONTrASTO) Zhang Xin, amministratore delegato di Soho China Zhang Lan al suo Lan Club di Pechino “Mia madre, però, non ha mai pianto né si è lamentata neanche una volta”. A sentir lei, il tempo trascorso al campo le ha insegnato il chi ku, che in cinese signiica “mandar giù bocconi amari”. Anni dopo la rivoluzione culturale, quando ha visto suo iglio Xiaofei tremare per il freddo nel loro alloggio mal riscaldato da una stufa a carbone, Zhang ha giurato a se stessa che prima o poi sarebbe fuggita in occidente. Quando, tramite uno zio, ha avuto la possibilità di andare in Canada, non se l’è lasciata sfuggire: è partita lasciando il iglio alle cure di sua madre e di sua nonna. Arrivata a Toronto, il suo unico obiettivo era quello di mettere da parte ventimila dollari e tornare in Cina da suo iglio. Ci sono voluti anni, ma inalmente ha raggranellato quella cifra facendo una miriade di lavori part-time, soprattutto come sguattera e donna delle pulizie nei ristoranti: “Per raddoppiare la paga lavoravo nei ine settimana e nei giorni festivi. Non ho mai preso un giorno di riposo”. Tornata a Pechino nel 1990, ha usato il gruzzolo per avviare un’attività nella ristorazione. Ha cominciato con un piccolo locale, ma ha subito capito una cosa che ad altri era sfuggita: in Cina c’era ormai un buon numero di colletti bianchi e di professionisti che cercava locali di un certo tipo dove l’alta cucina cinese si sposasse con un’atmosfera occidentale. Oggi l’impero di Zhang conta più di quaranta locali in tutto il paese e vale circa 500 milioni di dollari. Lei continua a esserne presidente ma ultimamente ha lasciato la poltrona di amministratore delegato al iglio Xiaofei. Zhang è stata una madre severa che sgridava e sculacciava il iglio se non prendeva il massimo dei voti. Quando Xiaofei ha compiuto 14 anni l’ha spedito in collegio in Francia imponendogli di lavorare per pagarsi la retta. Oggi, madre e iglio sono molto legati, e lui mi ha ripetuto quanto le sia grato. Lei ha divorziato da suo padre e ora vive con il suo compagno, un fotografo cinese. Quanto a Xiaofei, fa una vita da nababbo: ha trent’anni, guida una Ferrari, ha fatto un matrimonio da iaba con Barbie Hsu, un’attrice di Taiwan; insomma, è il classico ragazzo viziato. In Cina li chiamano fu er dai: sono i rampolli delle famiglie ultraricche che con il loro stile di vita eccessivo attirano spesso l’ostilità delle persone comuni. Ma Zhang lo difende afermando che si è guadagnato ogni centesimo del suo patrimonio: “Da me ha ereditato i valori e la personalità”. I valori sono della massima importanza anche per Peggy Yu Yu, il cui iglio Xander, 14 anni, non usa le bacchette e fa colazione ogni mattina da McDonald’s, ma in compenso fa l’attore comico e ha un piccolo business. Yu, 46 anni, amministratrice delegata della Dangdang, l’impero della vendita al dettaglio online, con un patrimonio personale valutato 330 milioni di dollari netti, me lo racconta con malcelato orgoglio mentre prendiamo il tè nel suo uicio a Pechino: “È un ragazzo molto intraprendente e indipendente. Siamo un modello e un’ispirazione l’una per l’altro”. Ma Peggy Yu Yu ha avuto un’infanzia più dura di Xander. Benché sia sempre stata una studentessa-modello, “per i miei non facevo mai abbastanza: se in una materia non prendevo 10, erano botte”. Essendo stati perseguitati durante la rivoluzione culturale, i genitori di Peggy hanno fatto subire a lei quel che avevano subìto: “Quando facevo qualcosa che non andava, mi obbligavano a scrivere una lettera di autocritica e l’appendevano al muro”. Come le altre tre donne che ho intervistato, anche Peggy Yu Yu si può deinire una hai gui, letteralmente “una tartaruga tornata a casa”, cioè una cinese rientrata in patria dopo un periodo in occidente. Ma non mancano i miliardari che non se ne sono mai andati dalla Cina: hanno una mentalità molto meno cosmopolita e spesso rifiutano di rivelare le fonti della loro ricchezza, soprattutto ai mezzi d’informazione occidentali. Alcuni di loro non hanno voluto farsi intervistare. Il primo incontro di Yu con degli occidentali risale a quando studiava all’università di Pechino. A quel tempo le è capitato Internazionale 945 | 20 aprile 2012 51 Cina di fare da tutor a studenti statunitensi in visita: “Erano così allegri”, ricorda, “che mi è venuta voglia di conoscerli meglio”. Poi, nel 1987, Peggy ha avuto l’occasione di visitare gli Stati Uniti: “Appena ne avevo il tempo mi attaccavo al telefono della hall del mio albergo per vedere se c’era qualche università statunitense disposta ad accordarmi un colloquio… Avevo solo bisogno di fare il grande balzo dalla Cina agli Stati Uniti, poco importava dove”, ricorda. E così ha cominciato frequentando l’università dell’Oregon, e ha proseguito con una laurea alla scuola di amministrazione aziendale Stern dell’università di New York. Negli Stati Uniti Peggy si è innamorata del consumismo occidentale: “Se avevo voglia di scarpe o di vestiti, la scelta era ininita”. In Cina, invece, “fare shopping era una pena”. Nel 1995, mentre lavorava a Wall street, le è giunta voce che Amazon stava cominciando le vendite online: incuriosita, ha comprato qualcosa e da allora lo shopping in rete è diventato la sua droga. L’anno seguente, Peggy ha conosciuto il suo futuro marito, Li Guoqing, ambizioso che le mie quattro intervistate, salvo Zhang Lan, hanno potuto contare sull’apporto di mariti afermati e con buone relazioni in politica. È anche vero che almeno la politica, in Cina, rimane dominata dai maschi: nel parlamento e nel comitato centrale del Partito comunista le donne sono fortemente sottorappresentate. Al punto che molte ragazze cinesi, persa ogni illusione di affermarsi in un mondo economico che molti giudicano praticabile solo da chi ha i soldi e le conoscenze giuste, sostengono che per una donna l’unica speranza è “sposare un uomo ricco”. In una trasmissione per cuori solitari di grande ascolto sulla tv cinese, una modella ha respinto un corteggiatore simpatico ma spiantato dicendo: “Preferisco piangere su una Bmw che ridere sul sellino posteriore di una bici”. Il China Daily riferisce che in un sondaggio condotto su più di 50mila cinesi nubili l’80 per cento ha convenuto che “solo gli uomini che guadagnano più di quattromila yuan al mese (480 euro) meritano di avere una relazione con una donna”. Tutte concordano nel dire che in Cina, almeno nel mondo degli afari, le donne si muovono su un piano di parità rispetto agli uomini editore e imprenditore. La Dangdang l’hanno fondata insieme a Pechino nel 1999, e all’inizio, come Amazon, vendeva solo libri, ma piano piano ha allargato l’offerta. “A muovermi non è stato il desiderio di arricchirmi”, spiega oggi Peggy. “Semplicemente, volevo comunicare agli altri cinesi la mia bella esperienza con lo shopping online”. Nonostante il suo amore per gli Stati Uniti, Peggy Yu Yu ci ha tenuto a spiegarmi che le cinesi sono avvantaggiate rispetto alle donne statunitensi: “In Cina, per esempio, i domestici costano poco e dei bambini piccoli, per tradizione, se ne occupano i nonni”. Efettivamente, tutte e quattro le donne che ho intervistato concordano nel ritenere che in Cina, almeno nel mondo degli afari, le donne si muovono su un piano di parità rispetto agli uomini. Secondo Peggy Yu Yu, “almeno una cosa buona, questi sessant’anni di comunismo ce l’hanno data, ed è una vera parità tra i sessi. I cinesi sono educati in da piccoli a considerare le donne altrettanto capaci degli uomini”. È vero, qualcuno potrebbe osservare 52 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 A quanto pare, gli atteggiamenti nei confronti del sesso e del matrimonio stanno cambiando in tutto il paese. Per molti aspetti, l’era maoista è stata una deviazione: un’ondata antintellettuale, anticonfuciana e collettivista che ha scosso un paese dove la famiglia era al centro. Adesso che la Cina si sta scrollando di dosso la cappa del comunismo, ha avviato un processo non solo di occidentalizzazione, ma anche di risinizzazione, intesa come riscoperta dei valori tradizionali. Ma questi valori stanno subendo una mutazione. La famiglia cinese tradizionale, per esempio, era una piramide con pochi e riveriti anziani al vertice e tante generazioni più giovani alla base. Oggi la famiglia cinese tipica è ancora una piramide ma rovesciata: alla base c’è un “piccolo imperatore”, iglio unico, per il quale genitori e nonni perdono la testa e si fanno in quattro. Al tempo stesso, se l’intensa pressione competitiva tipica del confucianesimo è tornata d’attualità, non è così per gli altri valori confuciani che le facevano da contraltare: l’altruismo, la solidarietà, l’onore e la rettitudine. Di conseguenza, molti te- mono che nella Cina uscita dall’era comunista gli unici altri valori saranno la ricchezza e il materialismo. “Quando eravamo ragazzi”, ricorda Yang, “da grandi volevamo diventare infermieri, medici, astronauti o insegnanti. Oggi invece qualsiasi aspirazione nobile è guardata con sospetto: i ragazzi vogliono solo diventare ricchi e potenti”. Nel 2009, nelle scuole di Guangzhou, è stato condotto un sondaggio tra gli alunni a cui è stato chiesto, tra l’altro, cosa volevano fare da grandi. La risposta di un’adorabile bambina di sei anni che è stata ripresa in un ilmato difusissimo su internet (prima di essere bloccato) è stata: “Una funzionaria corrotta”. La formula magica La Cina è un paese talmente antico che non succede mai nulla di nuovo: nei suoi cinque millenni di storia i periodi di corruzione e quelli di esame di coscienza si sono alternati spesso. Ma ci sono stati anche periodi di apertura cosmopolita e altri in cui tante persone si sono arricchite velocemente. Né sono mancate igure femminili molto potenti, dall’imperatrice Wu Zetian alla moglie di Mao, la calcolatrice Jiang Qing. Le quattro donne che ho intervistato, invece, sono una specie nuova: progressiste, con i piedi per terra, aperte nei confronti dei mezzi d’informazione, per molti aspetti non rappresentative della Cina né di ieri né di oggi. Forse sono solo le fortunate vincitrici della grande gara all’arricchimento che si è aperta nel paese negli anni novanta. Forse, però, quella inestra si sta già chiudendo. O forse, invece, sono l’avanguardia di una Cina di là da venire, in cui le vie del successo sono ancora più aperte. In ogni caso, ciascuna di loro ha trovato un suo modo di realizzare una fusione dinamica tra oriente e occidente, ino a raggiungere un incredibile successo. Magari ci vorrà ancora molto tempo, ma se la Cina riesce a trovare la stessa formula, cioè a realizzare il connubio tra il suo straordinario potenziale economico e i suoi valori tradizionali da una parte, e la capacità d’innovazione, lo stato di diritto e le libertà individuali dell’occidente dall’altra, diventerà davvero un paese delle opportunità diicile da superare. u ma L’AUTRICE Amy Chua insegna legge all’università di Yale. In Italia ha pubblicato Il ruggito della mamma tigre (Sperling&Kupfer 2012). LE DONNE E IL FUTURO DEL MONDO MUSULMANO www.librimondadori.it Bielorussia A vent’anni dal crollo dell’Unione Sovietica, Minsk resiste ancora a ogni apertura democratica. Ma il regime di Aleksandr Lukashenko è minacciato da una crisi economica gravissima Dittatore al verde Piotr Smolar, Le Monde, Francia Foto di Davide Monteleone na casa anonima e malandata alla periferia di Minsk. Il bambino di Anja dorme nel suo passeggino all’aperto, a 15 gradi sottozero. A quanto pare il freddo fa bene alla circolazione. In cucina l’acqua per il tè bolle in una vecchia pentola smaltata. Volodia, il fratello di Anja, è arrabbiato con la nonna, che non è d’accordo con lui. Volodia vuole convincerci di quella che per lui è un’ovvietà: cioè che il 2011 è stato un incubo per i bielorussi. La moneta nazionale, il rublo bielorusso, ha perso due terzi del suo valore e l’inlazione ha toccato il 108 per cento. “Però abbiamo da mangiare”, mormora la babushka, occupata a rammendare un accappatoio rosa. “Ma che dici?”, riprende il nipote, mentre la donna si torce le mani inquieta per la presenza di un estraneo in casa sua. “Ma se vivi di pane e latte cagliato!”. Poi, rivolto a me: “Venga a vedere il frigorifero”. All’interno un po’ di burro e barattoli di conserve fatte in casa con le verdure dell’orto. “L’ultimo pezzo di carne l’abbiamo comprato un mese fa”. Anja (che ci ha chiesto di non rivelare il cognome) ha 25 anni e lavora in un asilo nido. L’unico presidente di cui ha memoria è Aleksandr Lukashenko, al potere dal 1994. Anja guadagna 50 euro al mese e vive con la nonna e il fratello. Volodia fa il tassista, ma lavora sempre di meno. Ormai nemmeno 54 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 nei giorni più freddi la gente si concede il lusso di una corsa in taxi. Il 19 dicembre 2010, la sera delle elezioni che hanno consegnato a Lukashenko il quarto mandato presidenziale di ila, la curiosità aveva spinto Volodia ad andare a vedere cosa stava succedendo in piazza Indipendenza, dove si erano raccolti quasi trentamila manifestanti per protestare contro i brogli elettorali. Ma durante la protesta Volodia è stato arrestato insieme a centinaia di altre persone, tra cui i leader dell’opposizione. Ha passato quindici giorni in una cella con altre sette persone. Un’esperienza che lo ha deinitivamente allontanato da batka, il padre del popolo, come i bielorussi chiamano Lukashenko. “Fino a due o tre anni fa tutti i pensionati, le persone come mia nonna, votavano per Lukashenko perché aveva aumentato le pensioni. Oggi nessuno lo sostiene più, a parte un piccolo VII U Il presidente Aliaksandr Lukashenko alla tv bielorussa nel 2006 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 55 Bielorussia gruppo di fanatici”. I bielorussi sono rimasti a lungo abbagliati da un miraggio che aveva un nome preciso: stabilità. Lontana dalle convulsioni della Russia degli anni novanta, Minsk ha dato vita a un sistema politico in cui i cittadini erano protetti e inquadrati da uno stato onnipotente. Ancora oggi il settore privato rappresenta meno del 30 per cento dell’economia, e anche in questo campo la presenza dello stato è imponente. Subito prima delle ultime presidenziali il regime ha deciso di aumentare generosamente gli stipendi e le pensioni. Questa manovra populista, messa in atto con le casse dello stato vuote e l’economia in grande diicoltà, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dal marzo del 2011 il rublo bielorusso ha cominciato a perdere valore. Ma invece di ricorrere alla svalutazione il regime ha adottato una linea ambigua, alimentando la paura. Migliaia di persone hanno preso d’assalto gli uici di cambio per avere valuta pregiata. “Per sette mesi, fino al settembre 2001, abbiamo vissuto un periodo di follia amministrativa”, spiega l’economista Sergej Chaly. “Invece di adottare il più rapidamente possibile un tasso luttuante per il rublo, le autorità hanno mantenuto a lungo un tasso artiiciale per evitare che i redditi reali crollassero. Poi siamo tornati alla realtà, alla solita ineicienza della nostra economia. I trecento dollari dello stipendio medio sono quello a cui possiamo aspirare. Non abbiamo tempo da perdere, servono delle riforme radicali”. Questo ritorno alla realtà è stato possibile grazie all’aiuto di un generoso e interessato benefattore, la Russia. La Bielorussia oggi somiglia a un drogato alla ricerca del denaro necessario per la sua dose quotidiana. Ma il denaro non può salvare il paese: gli può permettere al massimo di arrivare a ine giornata, senza impedire una lenta decomposizione. “La situazione è migliorata rispetto a qualche mese fa”, riconosce l’economista Oleg Romančuk, che è stato candidato alle ultime presidenziali. “Ma è solo un miglioramento temporaneo. Quest’anno dobbiamo rimborsare 12 miliardi di dollari. E le nostre riserve in valuta estera e in oro sono di otto miliardi”. Di recente la rappresentante del Fondo monetario internazionale a Minsk ha ammesso la sua perplessità di fronte alle previsioni uiciali di crescita per il 2012, che il governo stima al 5,5 per cento. Un modo educato per dire: le cifre sono ancora più ostinate di voi, la festa è inita. Il governo ha 56 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 preparato una lista di imprese da privatizzare per un valore complessivo di 2,5 miliardi di dollari. La vendita dei gioielli di famiglia continua senza pensare al futuro. Un grande kolchoz Il mercato di Zanoviči è un enorme spazio commerciale nella parte meridionale di Minsk: banchi di carne, frutta e verdura, ma anche elettronica e abbigliamento. Quello che colpisce sono i prezzi, molto alti per gli standard bielorussi. Un chilo di carne di manzo costa l’equivalente di sei euro. Nei bar e nei ristoranti di Minsk una triste gioventù balla al ritmo di musica molto cadenzata. Ragazze belle e slanciate intrattengono grassi stranieri di passaggio, che ricambiano a modo loro: con cocktail, soldi e gioielli. Scappare, andare via, ovunque, possibilmente in Russia, dove tutto sembra migliore. Anche i giovani imprenditori, stanchi di una burocrazia avida e onnipresente, preferiscono trasferirsi dall’altra parte della frontiera. “A Mogilev, dove sono nato, ci sono agenzie che reclutano lavoratori da mandare in Russia per qualche mese”, spiega Dzianis Meljantsu, dell’Istituto bielorusso per gli studi strategici (Biss). “Il regime è soddisfatto: questi lavoratori mandano soldi a casa e non partecipano alle proteste”. Andrei Karpunin, da 13 anni proprieta- Da sapere u Indipendente dal 1991, la Bielorussia è governata dal 1994 da Aleksandr Lukashenko. Dopo le presidenziali del 19 dicembre 2010, che hanno dato a Lukashenko il quarto mandato, migliaia di persone hanno manifestato a Minsk per protestare contro i brogli e chiedere nuove elezioni. La repressione è stata durissima: centinaia di persone, tra cui alcuni candidati alla presidenza, sono state arrestate. Il 14 aprile Lukashenko ha deciso a sorpresa di concedere la grazia e la libertà ad Andrei Sannikov, candidato alle presidenziali del 2010 e condannato dopo il voto a 5 anni di reclusione per aver organizzato manifestazioni non autorizzate, e a un suo collaboratore. u Nel 2011 il paese – la cui economia è ancora in gran parte sotto il controllo dello stato – è stato colpito da una grave crisi economica, legata in parte all’aumento della spesa pubblica alla vigilia del voto del 2010. L’inlazione ha toccato il 108 per cento e il rublo bielorusso ha perso un terzo del suo valore. Negli ultimi mesi, anche grazie agli aiuti russi, la situazione si è stabilizzata e la banca centrale ha deciso di tagliare il costo del denaro. Tra gennaio e marzo l’inlazione è stata dell’1,5 per cento su base mensile. rio della società Registr, è un importante imprenditore che si occupa di editoria, immobili e pubblicità. Il suo successo sembra inarrestabile nonostante il rallentamento dell’economia. A 36 anni Karpunin si dice pessimista, anche se preferisce non sbilanciarsi troppo. Solo un mese fa un’intera équipe di programmatori lo ha abbandonato per trasferirsi a Mosca. “Non posso fabbricare soldi”, sospira. “Non ho licenziato nessuno dei miei dipendenti che avevano manifestato contro il regime nel 2010. Anzi, ho dato 15 giorni di ferie a chi era stato arrestato e aveva passato il capodanno lontano dalla famiglia”. Quando i suoi dipendenti sono usciti di prigione, Karpunin è andato ad aspettarli con una bottiglia di cognac. Karpunin viaggia spesso. Si guarda attorno ed è molto preoccupato per quello che vede. Per le riforme, sostiene, non c’è tempo da perdere. “Il problema non è tanto sapere se a guidare il paese sarà Lukashenko da solo o in tandem con il presidente russo Vladimir Putin. L’attività delle imprese è sottoposta al controllo di 80 diversi enti pubblici”, sospira Karpunin. “Se usano la forza, vuol dire che sono i servizi di sicurezza. Se si presentano con il sorriso sulle labbra, allora si tratta del isco. Ma siamo comunque più tranquilli di tre anni fa, quando il regime aveva esplicitamente deciso di impadronirsi del 10 per cento dei redditi di ogni impresa”. Karpunin pensa che l’attuale periodo di relativa stabilità, arrivato dopo il caos del primo semestre del 2011, stia per inire. “Entro breve il governo dovrà trovare i inanziamenti per il settore agricolo, almeno 15 miliardi di rubli. Ma questi soldi non ci sono. E in qualche modo bisognerà trovarli”. La conseguenza potrebbe essere un nuovo ciclo inlazionistico. Abbiamo voluto vedere da vicino uno dei progetti faro del regime di Lukashenko, gli agrogorodki: degli insediamenti rurali voluti per rilanciare l’agricoltura ed evitare lo spopolamento delle campagne. Lukashenko punta a costruirne 1.500. Per visitare Žuravliny, vicino Brest, nell’ovest del paese, bisogna chiedere l’autorizzazione alla direzione della struttura, che riunisce tre villaggi. Nell’area, precisa il sito web della struttura, ci sono tre scuole medie e superiori, due materne, tre palazzi della cultura, due cliniche e tre chiese ortodosse. Il problema è che per vederle bisogna ottenere l’autorizzazione del dipartimento per il lavoro ideologico del distretto. Un permesso che non arriverà mai. Il regime, intanto, alimenta una visione idilliaca del popolo bielorusso, puro e inno- VII Una contadina nella zona chiusa dopo l’incidente di Cernobyl nel 2006 cente, e in particolare di quello rurale, attaccato alle tradizioni, alla terra e ai vecchi valori. Lukashenko è il direttore di quel grande kolchoz che è il paese e i cittadini sono i suoi dipendenti. Il regime bielorusso ha superato lo stadio del comunismo. Del passato ha conservato solo il dirigismo, il controllo delle masse e le vie dedicate agli eroi sovietici. In ogni fabbrica, in ogni kolchoz, in ogni amministrazione, il capo ha un addetto al lavoro ideologico. Ma di ideologia non c’è traccia: si tratta solo di individuare gli oppositori e chi crea problemi. La Bmw dell’oligarca Tuttavia, spesso sono proprio quelli che non ilano dritto gli unici che riescono a rimanere in piedi. Nella città di Mikaševičij, a duecento chilometri da Minsk, incontriamo alcune di queste persone. Il cuore pulsante della città è l’azienda Granit, il cui nome lascia facilmente intuire il settore di attività. Nel dicembre 2011 in questa impresa, molto redditizia, si è veriicato un evento incredibile, che i mezzi d’informazione nazionali hanno volutamente ignorato. Duecento operai (su tremila) hanno deciso di creare un nuovo sindacato. Chiedevano stipendi più alti e relazioni migliori con la dirigenza. Questa decisione è stata accom- pagnata da un aperto gesto di sida: gli operai hanno chiesto di uscire dal sindacato ufficiale, la Federazione dei sindacati di Bielorussia, che ha quattro milioni di iscritti e si articola in migliaia di organizzazioni locali. La Federazione è molto ricca: possiede alberghi, strutture mediche e sportive. Ed essendo la prima partner dello stato, se non una sua diretta appendice, non è particolarmente attiva nella difesa dei suoi iscritti. A dicembre, quando il movimento ha cominciato a crescere considerevolmente, le pressioni sui lavoratori ribelli si sono fatte sempre più forti. E, considerato che i rimproveri non sembravano bastare, la direzione ha organizzato degli incontri individuali. Molti operai sono stati minacciati e alla ine ottanta lavoratori hanno ripreso la tessera della Federazione. Il leader dei contestatori, Oleg Stakhaievic, autista di camion, ha subìto una strana procedura per infrazione al codice della strada. Accusato di non aver dato la precedenza a un pedone e di aver guidato in stato di ebbrezza, oggi rischia la sospensione della patente, e quindi il licenziamento. Ma Stakhaievic non è tipo da lasciarsi intimidire e l’avvicendamento di alcuni dirigenti di punta alla Granit è stato per lui una prima vittoria. La strada da Minsk a Mikaševičij è dritta ma in pessime condizioni. Quando arriviamo a destinazione c’è un pallido sole che dà un certo fascino alle vecchie casette in legno, aiancate da ediici in mattoni più recenti ma piuttosto malridotti. Passiamo accanto a un monumento che celebra i partigiani della seconda guerra mondiale, a una statua di Lenin, a un cane randagio e a qualche antenna parabolica. In lontananza si staglia nel cielo una ciminiera della Granit. Nei pressi dello stabilimento ci sono i palazzi degli operai, di colore grigio sporco e piuttosto deprimenti, ma ben riscaldati. Nell’appartamento di Anatoli Litvinko, 36 anni, incontriamo alcuni dei dissidenti. “Per ora siamo come dei conigli che corrono in tutte le direzioni senza meta”, dice Litvinko. “Vogliamo un riconoscimento uiciale e una sede, come prevede la legge”. Il gruppo parla senza problemi delle condizioni di lavoro, in continuo peggioramento. “Ma non vogliamo fare politica, altrimenti zac!”, mette subito in chiaro Dmitrij, che preferisce non rivelare il cognome, passandosi il pollice sulla gola: “Qui tutti si conoscono. Se qualcuno protesta, la moglie o il padre rischiano il licenziamento”. Dmitrij lavora alla Granit da quindici anni. Guadagna circa 250 euro al mese. E, come tutti gli altri, quando cucina le polpette aggiunge alla carne, ormai carissima, sempre più pane secco. Aleksandr Kushnerevic, un ragazzo loquace di 27 anni, prende uno stipendio più alto. Guida un camion nuovo da 55 tonnellate e lavora moltissimo. “La corruzione è tale che non riesco ad avere nemmeno i soldi per i pezzi di ricambio”, spiega. “E poi le condizioni meteorologiche sono durissime. Si può dire che siamo come dei kamikaze. D’estate nelle cabine, che non hanno l’aria condizionata, la temperatura arriva a 50 gradi. D’inverno i denti delle ruspe elettriche si rompono per il gelo”. Prima di diventare padre e di accollarsi il mutuo dell’appartamento, Aleksandr non si faceva molti problemi: “Vivevo per divertirmi”. Ha anche votato per Lukashenko, in segno di riconoscimento per i suoi 800 euro mensili di stipendio, che nel 2001 gli hanno permesso di comprare una vecchia Bmw. Un’auto che gli ha attirato non poche battute ironiche da parte degli amici. Il suo soprannome è “l’oligarca”. Oggi, tuttavia, Aleksandr è molto arrabbiato: contro le autorità, contro i dirigenti della Granit e contro il comune, che si disinteressa dei bisogni delle famiglie. Per l’arcaico regime bielorusso, l’opposizione più pericolosa è quella dei suoi igli, che non riesce più a nutrire dignitosamente. u adr Internazionale 945 | 20 aprile 2012 57 Medio Oriente La lunga marcia dei Fratelli The Economist, Gran Bretagna. Foto di Francesca Leonardi Per la prima volta nella loro storia, i Fratelli musulmani hanno vinto le elezioni in vari paesi arabi. Hanno rinunciato alla violenza e alle idee più radicali, ma ora li aspetta la sida del governo. L’analisi dell’Economist n’onda verde si sta allungando sul mondo arabo, e non perché i suoi grandi deserti si stiano ritirando. Il verde è il colore dell’islam, e i movimenti musulmani sono stati quelli che hanno ottenuto i maggiori beneici dalle rivolte del 2011. Non tutti sono cresciuti allo stesso modo. Nella regione che va dall’oceano Atlantico al golfo Persico, a maggioranza sunnita, non se la sono cavata bene né gli estremisti che s’ispirano ad Al Qaeda né i sostenitori di una teocrazia in stile iraniano né gli islamici progressisti. I successi maggiori li hanno ottenuti i partiti moderati, vicini ai Fratelli musulmani, che preferiscono i cambiamenti graduali a quelli rivoluzionari e sono più attenti all’identità e all’etica islamica che all’introduzione di rigide norme dettate da Dio. I partiti allineati con i Fratelli musulmani dominano la scena politica in Egitto e in Tunisia, dove hanno ottenuto quasi la metà dei seggi in parlamento nelle prime elezioni dopo la rivoluzione. Per evitare di fare la ine dei presidenti di questi due paesi, re Mohammed VI ha rafforzato la Fratellanza anche in Marocco, nominando come primo ministro Abdelillah Benkirane, leader del Partito per la giustizia e lo sviluppo. Le milizie islamiche sono state tra le più eicaci nella guerra in Libia, e alcuni gruppi armati di simile ispirazione stanno giocando un ruolo di primo piano in Siria. Dal punto di vista politico i Fratelli musulmani (ikhwan in arabo) non sono dei no- U 60 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 vellini. In Giordania il Fronte di azione islamico, braccio politico della Fratellanza locale, è stato per decenni il partito più forte del paese, dove ricopriva il ruolo dell’opposizione rispetto al governo nominato dal re. Il Partito islamico iracheno ha continuato a esistere sia sotto Saddam Hussein sia dopo l’invasione statunitense nel 2003. Le sezioni della Fratellanza in Algeria, in Bahrein, in Kuwait e nello Yemen hanno mantenuto in dagli anni novanta una solida rappresentanza in parlamento. Il Fronte nazionale islamico, braccio politico degli ikhwan in Sudan, appoggiò il colpo di stato del 1989 e ottenne in cambio un bel po’ di seggi parlamentari. In Palestina il Movimento di resistenza islamico, meglio conosciuto come Hamas, deriva da un’istituzione beneica dei Fratelli musulmani attiva in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Nelle elezioni del 2006 Hamas ha sconitto Fatah, il principale partito palestinese. Quando il governo controllato da Hamas non è stato ricono- Le rivolte arabe hanno favorito i partiti moderati, più attenti all’identità e all’etica islamica che all’introduzione di norme rigide sciuto dall’occidente, il partito islamico ha assunto il controllo della Striscia di Gaza. La capacità di sopravvivenza di Hamas, di fronte agli attacchi israeliani e alle condanne a livello internazionale per i suoi atti di terrorismo, è un’ulteriore dimostrazione di quanto siano profonde le radici della Fratellanza. Il rovescio della medaglia Dopo la primavera araba alcuni governi occidentali sembrano più disposti a dialogare con i Fratelli musulmani. Molti diplomatici si sono afrettati a incontrare Mohamed Badie, la guida generale degli ikhwan egiziani, quando ha inaugurato il suo uicio al Cairo. Alla ine di gennaio del 2012 Badie si è fatto fotografare mentre salutava con una calorosa stretta di mano Anne Patterson, l’ambasciatrice statunitense in Egitto. Questo gesto è doppiamente signiicativo: da un lato, gli Stati Uniti avevano sempre evitato i contatti con i Fratelli musulmani; dall’altro, Badie ha dimostrato che i Fratelli non hanno un atteggiamento moralista e puritano nei confronti delle donne. Tutto questo signiica dunque che la società segreta nata in Egitto nel 1928 sta inalmente per realizzare i suoi sogni? Nel 1938 il fondatore del movimento, Hassan al Banna, salì sul palco di un raduno al Cairo per proporre di unire gli stati sorti dalle ceneri dell’impero ottomano. “L’islam non conosce frontiere né ammette distinzioni di razza o di sangue, ma considera tutti i musulmani come parte di un’unica umma (comunità)”, sosteneva Banna. CoNTrASTo Il leader dei Fratelli musulmani egiziani Mohamed Badie, al centro della foto, all’inaugurazione di una libreria del Cairo nell’aprile del 2011 Nel 1949, l’anno in cui Banna fu assassinato, la Fratellanza aveva già centinaia di migliaia di seguaci in sei paesi diversi. Secondo i piani del fondatore, gli appartenenti alla congregazione avrebbero dovuto nominare un organismo globale per eleggere un nuovo califo, che sarebbe andato al potere al posto del sultano ottomano, spodestato dagli europei. Alcuni ideologi della Fratellanza aspira- no ancora alla rinascita di un impero panislamico. “Ma prima dobbiamo mettere ordine nelle nostre case”, ammette Jamal Hourani, un dirigente del Fronte di azione islamico giordano. A giudicare da quello che succede al Cairo dovranno aspettare un po’. Nonostante il successo elettorale, i Fratelli musulmani egiziani non possono stare ancora tranquilli. Alla ine di gennaio, durante una manifestazione al Cairo per commemorare l’anniversario della rivoluzione, il gazebo che ospitava gli oratori della Fratellanza era circondato da persone che contestavano Badie. I laici accusano i Fratelli musulmani di aver stretto un accordo con i generali dell’esercito, riemersi dall’ombra dopo la caduta del vecchio regime. Secondo alcune voci, in cambio di una libertà totale nella legislatura, i Fratelli avrebbero accettato di prolungare la durata dello “stato nello stato” formato dai militari. Tuttavia, rimane il fatto che neanche i generali si idano degli ikhwan e che cercano di indebolirli in ogni occasione. Dal canto loro, gli islamici progressisti accusano i Fratelli egiziani di sterilità ideologica, di avere una struttura di comando troppo rigida e di privilegiare gli accordi sottobanco. Invece gli interpreti più rigidi Internazionale 945 | 20 aprile 2012 61 Medio Oriente dell’islam, i salaiti, che alle elezioni hanno conquistato un sorprendente secondo posto dietro i Fratelli musulmani, accusano gli ikhwan di annacquare il loro programma basato sull’islam per rassicurare l’occidente. I salaiti si lamentano inoltre di essere stati ignorati dalla Fratellanza, che preferisce coalizzarsi con i laici. In Egitto i Fratelli musulmani stanno scoprendo che il potere porta con sé un peso non indiferente. Non sono i soli. Quando i partiti degli ikhwan hanno lasciato la politica d’opposizione e sono entrati nel governo, quasi tutti hanno dovuto afrontare diicoltà simili. Pochi anni dopo il colpo di stato in Sudan del 1989, il generale Omar al Bashir ha estromesso dal potere la Fratellanza, incarcerando i suoi leader. Gli esperti di politica palestinese fanno notare che all’inizio di febbraio del 2012, proprio mentre i Fratelli raggiungevano il potere negli altri paesi, il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshal, ha irmato un accordo per sostituire il governo di Gaza con uno di unità nazionale guidato dal leader di Fatah, Abu Mazen. In Kuwait e in Bahrein, le uniche monarchie del golfo Persico che hanno dei parlamenti attivi – ma fortemente limitati nei loro poteri – i Fratelli musulmani non sono riusciti a creare un fronte unito con gli altri gruppi islamici, perdendo terreno a favore di avversari più inluenti dal punto di vista tribale o religioso. Per ragioni simili, i partiti ispirati alla Fratellanza conquistano pochi seguaci e ottengono scarsi risultati elettorali nei complessi scenari politici di Algeria, Iraq e Yemen. Un’analisi più approfondita del funzionamento dell’organizzazione potrebbe contribuire a dissipare i timori legati alla possibile nascita di un impero arabo governato dai Fratelli musulmani. Gli ikhwan hanno una tanzim al alami, un’organizzazione globale, che è formata da almeno due rappresentanti per ognuna delle loro comunità sparse per il mondo. Il leader simbolico è la guida suprema egiziana e per tradizione i rappresentanti di livello più basso baciano la sua mano destra. Alcuni sperano che la tanzim possa servire da ombrello istituzionale quando verrà creata una più stretta confederazione di stati arabi. In realtà l’organizzazione globale esercita un’autorità piuttosto blanda. Invece di seguire un modello unico, gli uici esecutivi nei vari paesi gestiscono le loro organizzazioni in modo diverso e usano meccanismi di inanziamento diferenti. “Gli egiziani non interferiscono negli afari dei pale- 62 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 stinesi”, spiega Mahmoud Musleh, un parlamentare di Hamas a Ramallah. In Tunisia, Rachid Ghannouchi, il leader del partito Ennahda, legato ai Fratelli musulmani, ha dichiarato di voler tollerare sia l’alcol sia i bikini e che il governo continuerà a permettere la prostituzione. Tutto il contrario di quanto promesso dalla coninante sezione libica, in continuità con le politiche del colonnello Muammar Gheddai. In passato alcuni rami della Fratellanza si sono scontrati violentemente. Nel 1990 l’invasione irachena del Kuwait divise per i dieci anni successivi la comunità musulmana in fazioni a favore e contro l’Iraq. I Fratelli musulmani siriani, in esilio dopo i massacri del regime baathista negli anni ottanta, hanno a lungo rimproverato ad Hamas di aver mantenuto il quartier generale a Damasco. Le strategie con cui la Fratellanza si è preparata ad andare al potere hanno reso ancora più profonde le divisioni geograiche. Per spingere re Abdallah II ad ammetterla al governo, i Fratelli giordani hanno annunciato la separazione formale dalla controparte palestinese, dimostrando di anteporre gli interessi della Giordania a quelli della Palestina. La fonte di tutti i problemi I sospetti nei confronti degli ikhwan difusi in occidente sono condivisi dai dittatori ancora al potere nei paesi arabi. Nayef bin Abdul Aziz, il potente ministro dell’interno ed erede al trono saudita, rimprovera ai Fratelli musulmani la scarsa gratitudine dimostrata per l’accoglienza che hanno ricevuto durante le persecuzioni nel passato. Nayef è noto anche per aver detto che i Fratelli musulmani sono “la fonte di tutti i problemi nel mondo arabo”. I ricchi governanti degli Emirati Arabi Uniti mantengono un tacito ma rigido bando contro gli ikhwan. Perino ora, mentre cercano di promuovere un’immagine moderata, i Fratelli musulmani non sembrano perfettamente a loro agio quando devono condividere il potere. I leader di Hamas nella Striscia di Gaza, responsabili nel 2007 del rovesciamento di un governo di unità nazionale in carica da tre mesi, potrebbero ancora impedire un accordo di riconciliazione che riuniichi le due metà della Palestina. In Tunisia Ennahda ha appoggiato la nomina di un presidente laico, Moncef Marzouki, ma ha tenuto per sé i ministeri più importanti. In ogni caso la Fratellanza si presenta come un movimento istituzionale, non come una copertura per un gruppo di megalomani. Le sezioni locali svolgono elezioni interne e fanno ruotare i loro capi. Questi uomini (e qualche donna) hanno spesso dimostrato di essere politici pragmatici, abili a siglare accordi per raforzare il movimento. In Egitto hanno trovato il modo di collaborare con la giunta militare. In Giordania si sono oferti di ricoprire incarichi di governo, con o senza elezioni. In tutto il mondo arabo professano l’adesione a una democrazia in stile turco, ai diritti civili e al libero mercato. Per dimostrare la loro tolleranza, i leader dei Fratelli egiziani hanno partecipato all’ultima messa di Natale nella cattedrale copta del Cairo. Inoltre cercano di mostrare un po’ di sensibilità per le questioni di genere: in Tunisia l’80 per cento delle don- Da sapere I Fratelli musulmani nel mondo arabo Egitto Fondata nel 1928 da Hassan al Banna, la società segreta dei Fratelli musulmani (ikhwan) è bandita nel 1954 e, salvo rare eccezioni, perseguitata ino alla caduta di Hosni Mubarak. Alle ultime elezioni il Partito per la libertà e la giustizia, legato ai Fratelli, ottiene il 37,5 per cento di seggi in parlamento. Giordania La Fratellanza nasce nel 1940, viene riconosciuta come organizzazione beneica nel 1946 e già negli anni quaranta fa parte del governo. Il Fronte d’azione islamico nasce nel 1992. Le relazioni con la monarchia peggiorano sotto l’attuale re. Libia Nata nel 1949, la società dei Fratelli musulmani è messa al bando da Muammar Gheddai. Il 3 marzo 2012 nasce il Partito per la giustizia e la costruzione, legato agli ikhwan. Marocco I Fratelli partecipano alle elezioni dal 1998. Il loro partito guida l’attuale governo. Territori palestinesi La sezione palestinese dei Fratelli musulmani nasce nel 1946. Nel 1987 fonda Hamas, che vince le elezioni nel 2006 e mantiene il controllo sulla Striscia di Gaza dal 2007. Sudan La Fratellanza sudanese viene creata nel 1954. Il partito Fronte nazionale islamico appoggia il golpe del 1989, ottenendo incarichi di governo. Siria I Fratelli musulmani sono al bando dal 1963. Dal 1980 chi fa parte dell’organizzazione rischia la pena di morte. Gli ikhwan partecipano alle rivolte del 1982, culminate nel massacro di Hama. Oggi sono in esilio. Tunisia Il partito Ennahda nasce nel 1981 ma è bandito nel 1992. Alle elezioni del 23 ottobre 2011 ottiene il 41 per cento dei seggi all’assemblea costituente. The Economist Il Cairo, aprile 2011. A una conferenza dei Fratelli musulmani Egitto La candidatura sbagliata Issandr el Amrani, The National, Emirati Arabi Uniti n Egitto il processo di transizione verso la democrazia cade a pezzi sotto il peso delle sue contraddizioni. Da una parte, un tribunale ha bloccato i lavori dell’assemblea costituente dominata dai partiti islamici. Dall’altra, le complicate regole per partecipare alle elezioni presidenziali del 23 e 24 maggio rischiano di escludere dalla competizione i candidati più popolari, tra cui quello dei Fratelli musulmani. In un primo tempo i Fratelli avevano dichiarato che non avrebbero presentato un candidato alle presidenziali e hanno espulso dall’organizzazione chi, come Abdel Moneim Abul Futuh (anche lui in corsa per la presidenza), si era opposto a questa decisione. Poi hanno cambiato idea e hanno deciso di schierare il loro uomo forte, Khairat al Shater, la cui candidatura è stata bloccata dalla commissione elettorale per le presidenziali. La decisione di presentare Shater non è stata una mossa per salvare la democrazia, ma il frutto di un calcolo: se i Fratelli riuscissero a controllare anche la presidenza avrebbero ancora più potere per opporsi ai generali, che non sembrano disposti a lasciare la guida del paese. Inoltre i Fratelli hanno infranto le speranze di chi pensava che sarebbero stati una forza politica inclusiva, in grado di unire i civili contro i militari. Poche settimane fa l’organizzazione non si è nemmeno preoccupata di discutere con l’opposizione non islamica la composizione dell’assemblea costituente (causando il boicottaggio dei lavori della costituente da parte di laici e copti). I Fratelli hanno dimostrato di essere rivoluzionari solo quando gli conviene. Agli occhi della popolazione cominciano a sembrare cinici e assetati di potere. u CONTrASTO I ne che sono entrate nell’assemblea costituente è stato candidato con i partiti islamici. Meshal, il leader di Hamas in esilio, ha promesso di aggiungere una donna al suo uicio politico, composto da nove uomini. Tutto sommato, la regione avrebbe potuto avere governi peggiori. Nonostante Hamas sia nota per usare il terrorismo come forma di lotta, il partito ha governato la Striscia di Gaza meglio di Fatah. Le sue forze di sicurezza sono più disciplinate, le strade sono più sicure e i burocrati più eicienti e meno corrotti. Gli iscritti alla Fratellanza sono in gran parte professionisti, non dei religiosi, e istintivamente sono poco inclini a concedere a questi ultimi un potere eccessivo. Per quanto riguarda l’imposizione della sharia, sono signiicative le dichiarazioni di Yusuf al Qaradawi, il predicatore di Al Jazeera considerato una delle autorità religiose preferite dalla Fratellanza. Secondo Qaradawi l’applicazione della legge coranica in Egitto dovrà aspettare almeno cinque anni. Bisogna notare inoltre che, dopo cinque anni di governo nella Striscia di Gaza, Hamas ha sostanzialmente mantenuto le strutture e le leggi esistenti, apportando solo qualche piccolo cambiamento. Ora che l’assedio di Israele è diventato meno pesante, anche il controllo sociale si è attenuato. Il ministro dell’interno ha proibito a uomini e donne di farsi vedere insieme in pubblico e a queste ultime di fumare il narghilè in pubblico, ma nei nuovi resort sulla spiaggia tutto questo avviene alla luce del sole. In tutto il mondo arabo i Fratelli musulmani hanno lavorato sodo, con anni di duro impegno sociale e diicili battaglie politiche, per raggiungere le stanze del potere. “È stato come tenere un bufalo legato a un palo coniccato per terra”, racconta uno dei nuovi parlamentari dei Fratelli musulmani in Egitto che, come molti dei suoi colleghi, è stato imprigionato e costretto all’esilio all’epoca di Mubarak. “Il governo cercava di inchiodarlo al suolo, ma noi continuavamo a disseppellirlo”. Questa paziente dedizione potrebbe essere proprio quello che serve ai nuovi governi dei paesi arabi, che devono afrontare gravi problemi sociali ed economici. Inoltre, il fatto che la Fratellanza sia cresciuta attraverso le elezioni e la lotta politica fa sperare che la corrente riformista dell’islam politico avrà la meglio sull’impetuosa e vana corsa alle armi che ha caratterizzato i gruppi islamici rivoluzionari, dall’assassinio del presidente egiziano Anwar al Sadat, nel 1981, ino ad Al Qaeda. u gim Internazionale 945 | 20 aprile 2012 63 Portfolio on chi è stato partigiano e ha scelto di non dimenticare il peso di un’intensa gioventù vissuta “contro”, Danilo De Marco ama sedersi a tavola, condividere la bottiglia, chiedere, ascoltare, discutere faccia a faccia. Alla ine li fotografa. Con i resistenti si può fare, con la resistenza no. La resistenza è astratta, non parla, non beve con te un bicchiere di vino, tende a farsi celebrare, la sua fotograia è una ila di autorità che si prendono sul serio. Nell’incontro con questi vecchi, poco propensi a essere mattoni del monumento al 25 aprile, capisci che c’è poco da celebrare, perché la loro resistenza non è racchiusa nei due o tre anni di lotta clandestina, ha tempi lunghi e itinerari complessi. Qui non siamo tra i resistenti che nel dopoguerra hanno trovato sistemazione; la loro dimensione internazionalista è un miscuglio di sradicamenti obbligati, svolte improvvise, percorsi penosi e diicili rientri: gli anni di esilio a Praga del Cid (Sergio Cocetta), la Germania Est per Maxi (Leopoldine Elizabeth Morawitz Jäger), il Canada per Lakis (Apostolis Santas), l’Ungheria di Nikos e Argiro Kokovulis, le miniere del Belgio per Colombo (Vincenzo Cevolatti), prima tappa di un viaggio che lo ha portato in Indocina, Algeria e Marocco. Cid, Colombo, Rado, Riki, Lino, Furia, L’abbé, Amazzone, Lupo, Andrea, Mosè, Sylvie, Johnny, Takle, Germann, Andrej, Fiamma, Barone rosso: la scelta di un nome di battaglia non era dettata solo dalle convenienze della clandestinità; passare da un nome all’altro era come passare una frontiera: la capacità di vivere identità diverse restando se stessi. Storie complesse, in tutta Europa. “Un partigiano deve tenere i suoi bagagli sempre pronti”, è la lezione del Cid a Danilo, che l’ha imparata. Alcune settimane fa l’immagine di Manolis Glezos ha fatto il giro del mondo: un bel vecchio di novant’anni in piazza ad Atene, a manifestare davanti al parlamento e a prendere manganellate dalla polizia. Settant’anni prima, a diciannove anni, la notte del 30 maggio 1941 Manolis era salito sull’Acropoli con l’amico Apostolis, si erano arrampicati sul Partenone e avevano strappato dal pennone l’enorme bandiera nazista. Un gesto gridato, a vincere il senso d’impotenza per un’invasione che sembrava intoccabile. Ma era solo l’inizio, perché la loro resistenza è andata poi ben oltre la guerra. Su Manolis sono piovute 28 condanne (tre a morte), ha conosciuto i muri della prigione, l’amaro del confino, le aule del C I partigiani di un’altra Europa Il fotografo Danilo De Marco ha ritratto quasi un migliaio di combattenti della seconda guerra mondiale. I loro occhi ci invitano a non dimenticare, scrive Gian Paolo Gri continua a pagina 69 » 64 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Sopra: Simone Ducreux, francese. Con il nome di battaglia di Sylvie, ha partecipato alla liberazione di Parigi. Nella pagina accanto: Manolis Glezos, greco, 89 anni. Durante la seconda guerra mondiale ha partecipato alla resistenza contro l’occupazione tedesca e italiana. Nel 1942 è stato catturato e torturato dai nazisti. Nel 1948, durante la guerra civile, è stato arrestato e condannato a morte, ma la sentenza non è stata eseguita, anche grazie a una mobilitazione internazionale. È inito nuovamente in prigione durante il regime dei colonnelli. È stato anche deputato al parlamento greco e a quello europeo. Negli ultimi mesi ha partecipato alle proteste in piazza ad Atene contro le misure di austerità. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 65 Portfolio Sopra: Lise London, francese. Militante comunista, ha partecipato con le Brigate internazionali alla guerra civile in Spagna e poi alla resistenza contro l’occupazione nazista in Francia. Dopo la cattura è stata deportata nel campo 66 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 di concentramento di Buchenwald. Nel 1949 si è trasferita a Praga con il marito, viceministro degli esteri cecoslovacco, ma i due sono entrati in conlitto con il regime comunista. È morta il 31 marzo 2012 a Parigi. GLI AUTORI Danilo De Marco è un fotografo nato a Udine nel 1952. Gian Paolo Gri è docente di antropologia culturale presso la Facoltà di lettere e ilosoia dell’Università degli studi di Udine. Sopra: André Radzynski, polacco. Di famiglia ebrea, un fratello è morto ad Auschwitz, un altro fratello e una sorella nella resistenza. Lui si è trasferito a Parigi dove ha partecipato alla resistenza contro l’occupazione nazista. Ha avuto tre nomi di battaglia: André, Rado e Leroux. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 67 Portfolio Sopra: Arsène Tchakarian, francese di origine armena, 95 anni. Nato in Turchia durante il genocidio degli armeni, si è trasferito in Francia. Con il nome di battaglia di Charles, ha partecipato alla resistenza contro l’occupazione nazista nel 68 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 gruppo di Missak Manouchian. Nella pagina accanto, a sinistra: Vincenzo Cevolatti, italiano, nome di battaglia Colombo. A destra: Alojse Kapun, 90 anni. Ha partecipato alla resistenza in Jugoslavia con il nome di battaglia di Andrej. LA MOSTRA Il progetto di Danilo De Marco 25 aprile. Il sentiero dei nidi di ragno sarà in mostra dal 29 aprile al 26 agosto 2012 al castello di Zucco a Faedis, in provincia di Udine. parlamento ad Atene e nel 1984 quelle dell’europarlamento, prima dell’ultima protesta in piazza. Davanti all’obiettivo di De Marco i due amici hanno la stessa postura diritta e seria assunta tante volte anni prima, senza i solchi degli anni sul volto, per le foto segnaletiche nei locali di polizia. Ho sotto gli occhi quella scattata a Missak Manouchian nel 1943 dopo un fermo. Mai vista tanta severa ierezza in uno sguardo. L’ultimo partigiano del Gruppo Manouchian, che De Marco ha potuto incontrare davanti a un bicchiere di raki, è Charles, alias Arsène Tchakarian. Nato in Turchia al culmine del genocidio armeno, Tchakarian racconta di come nella Parigi degli anni trenta la militanza incrociasse lo sforzo di valorizzazione della cultura armena, di quanto fosse grande l’amore della Francia per la libertà, l’uguaglianza e la fraternità. Parla della paura quotidiana e delle azioni clamorose (l’esecuzione del generale Julius Ritter, che aveva messo in schiavitù 600mila operai stranieri), di vigliaccheria ed eroismo, di capacità di sopportare l’insopportabile. Ricorda la prigionia, l’ultima lettera alla moglie Melinée, le parole di incoraggiamento di Missak ai compagni e il suo sorriso davanti al plotone nazista prima di essere fucilato. Tchakarian ha ragione: “Il gruppo Manouchian è l’incarnazione di un’Europa che abbiamo perduto”. L’Europa che avrebbe potuto essere e non è stata. Forse è di fronte a questo vuoto che Sylvie (Simone Ducreux) chiude gli occhi mostrando le rughe di una vita. Lei ha vissuto la liberazione di Parigi; una visione da trattenere negli occhi con tutte le forze. Anche per lei, come nelle mitologie che abbiamo avuto la sfacciataggine di deinire primitive, il meglio c’è già stato, ha colorato di energia e di speranze il momento inaugurale; poi la storia è entrata nella spirale dell’entropia. Per fortuna ci restano gli occhi miti di Andrej (Alojse Kapun) e lo sguardo senza ombre di Rado (Radzynski), ebreo-polacco-francese, che a Parigi rubava le armi ai tedeschi. Da diversi anni Danilo De Marco gira l’Europa, salta confini, scava, scopre, incontra, dialoga e cattura storie e volti degli ultimi partigiani. Ottanta, novant’anni: numeri che hanno inciso il volto, e non basta un pettine o un ilo di trucco a nascondere i segni di una vita intensa. Ho visto la foto della giovane Lise Ricol-London, combattente da sempre (prima le brigate internazionali in Spagna, poi la resistenza e il campo di concentramento, la persecuzione comunista, con suo marito processato a Praga nel 1956). È distesa sul prato con una ghirlanda di margherite sul capo, pochi giorni prima della cattura da parte della Gestapo. Il suo coraggio dopo l’occupazione nazista di Parigi le era valso la condanna a morte. Non è meno bella la fotografia di oggi: il volto un impasto di immagine e di biograia. Di partigiani, De Marco ne ha inquadrati quasi un migliaio, in qui. È diventato un collezionista di volti. Ma la sua non è una collezione all’occidentale, possessiva; ha creato un accumulo che sa di culture lontane, di potlach, dove non si rastrella per sé, per conservare, ma per far dono, per ridistribuire. Abbiamo di fronte una comunità nuova, fatta di volti. Le immagini sono il risultato di un lavoro condiviso: testimonianza di un incontro e di un profondo coinvolgimento di fotografo e fotografato. Si gioca sulla serialità: il primo piano, la messa a fuoco selettiva, sugli occhi, e gli altri piani del volto a degradare in nitidezza. L’uso della luce, le modalità di stampa materializzano la tellurica del viso. Iperrealismo, non ritorno nostalgico al neorealismo. Ha ragione De Marco a rifiutare l’etichetta di ritratti, per queste immagini, e a preferire per i suoi partigiani il termine “igure”. Il senso dell’etimologia, che rimanda alla manipolazione costruttiva, è davanti a noi, nelle screpolature dei volti: come il plasmare l’argilla per darle forma. Ultimi (e primi) gli occhi. Accostati, questi sguardi compongono una comunità ideale, che continua a ridersela dei conini, che invita a guardarsi intorno, a non dimenticare, a scegliere ancora e ogni giorno da che parte stare. u Internazionale 945 | 20 aprile 2012 69 Ritratti Raed Arafat Soccorso in testa Eveline Păuna e Mircea Sărărescu, Q Magazine, Romania Per i romeni è il medico palestinese che ha rinnovato il pronto soccorso. Ha ispirato la rivolta contro i tagli alla spesa pubblica e oggi è un eroe popolare aed Arafat è nato a Damasco ma si è trasferito presto con la famiglia a Nablus, in Cisgiordania. “Mio padre era un ingegnere e aveva una piccola impresa, mentre mia madre, anche se era laureata in lingue, ha fatto la casalinga”. Da ragazzino Raed ha scoperto di avere una passione per la medicina d’urgenza e così ha cominciato a seguire dei corsi di formazione. È entrato per la prima volta nella sala operatoria del più importante ospedale della città a quindici anni e, durante il liceo, ha fondato con degli amici un’équipe di pronto soccorso. Il padre voleva che Raed s’iscrivesse al politecnico, ma lui aveva le idee chiare: “O divento medico o faccio lo spazzino”. Quindi, a 16 anni, è andato in Romania. È entrato nel paese con un visto da studente per iscriversi a un’università tecnica, sapendo però che una volta arrivato avrebbe potuto cambiare facoltà e scegliere medicina. Arafat aveva fatto domanda anche negli Stati Uniti e in Grecia, ma ha scelto la Romania perché è stato il primo paese a rispondergli. In realtà i genitori non gli hanno detto che era stato accettato anche dagli atenei greci e statunitensi perché sperava- R 70 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 no che dalla Romania Raed sarebbe tornato da loro, una volta terminati gli studi. Lui non ha nemmeno considerato la possibilità di studiare nel suo paese. “Andare all’università era molto diicile. I palestinesi potevano studiare solo in Giordania. All’inizio ero stato accettato da un’università siriana. Ho frequentato le lezioni per qualche giorno ma non mi piaceva. Così ho deciso di partire”. La sua avventura romena è cominciata in aeroporto, con il tassista che gli ha fatto pagare 50 dollari più del dovuto per portarlo in città. Ma era solo l’inizio. La casa dello studente dove viveva, a Piteşti, sembrava un carcere e più volte Arafat è stato tentato dall’idea di tornarsene a Nablus. Al terzo Biograia ◆ 1964 Nasce a Damasco, in Siria, da una coppia di origine palestinese. A 14 anni comincia a lavorare come volontario nella medicina d’urgenza. ◆ 1991 Fonda lo Smurd, il servizio di primo soccorso romeno che collabora con il sistema sanitario nazionale per il trasporto dei malati nelle situazioni più gravi. Da medico Arafat guadagnava il corrispettivo di circa 1.500 euro al mese, mentre il suo stipendio da sottosegretario è di mille euro. ◆ gennaio 2012 Dopo aver criticato la riforma del sistema sanitario, si dimette da sottosegretario alla sanità. Le manifestazioni in piazza a favore del medico costringono poi il presidente Basescu a fare marcia indietro e a riaidare ad Arafat l’incarico. ◆ aprile 2012 Secondo un sondaggio Arafat, con un indice di gradimento del 71, 3 per cento, è il personaggio pubblico più popolare della Romania. anno di università è morto il padre. Una volta laureato, ha dovuto decidere se restare in Romania o trasferirsi in Francia. Ma era il 1989 e con il paese nel caos non è riuscito a chiedere in tempo il visto francese. Quindi è rimasto in Romania. Nel 1991 ha fondato lo Smurd, il Serviciul medical de urgenţă, reanimare şi descarcerare (servizio medico urgente, per rianimare ed estrarre i feriti dai veicoli), che è stato il primo sistema di pronto soccorso mobile e di medicina d’urgenza del paese. Vent’anni dopo, Raed traccia un bilancio positivo della sua esperienza: “Pochissimi paesi dell’ex blocco comunista sono riusciti a sviluppare una struttura tanto eiciente”. Subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica il vecchio servizio di pronto soccorso non aveva né il personale né gli strumenti o l’organizzazione necessari. “Era un sistema vecchio, basato su un modello che aveva funzionato in una situazione molto diversa”. Nel progetto pilota, sperimentato nella città di Târgu Mureș, sono stati coinvolti anche i vigili del fuoco, scelta che il personale delle ambulanze non ha apprezzato. Ma Arafat la difende. “Il sistema doveva poter afrontare casi diicili, come gli incidenti stradali, e casi gravi, per esempio gli arresti respiratori. Se adesso i vigili del fuoco svolgono un ruolo fondamentale nelle operazioni di soccorso, così come avviene in più della metà dei paesi dell’Unione europea, il merito è anche della loro mentalità militare e della loro capacità di adattamento”. Nel 1990 in Romania non esisteva nessun tipo di strumento per estrarre dalle automobili i feriti degli incidenti stradali. “Solo nel 1993, su nostra richiesta, sono arrivati i primi mezzi per afrontare questo tipo di emergenze. Li hanno donati allo Smurd i vigili del fuoco tedeschi e scozzesi”. In pratica Arafat non ha creato un sistema originale, ma ha adattato alle necessità romene un modello già funzionante in altri paesi. L’auto dello Smurd La prima ambulanza dello Smurd è stata la macchina di Arafat. Dopo qualche mese, una sua ex collega di università che lavorava in Germania ha messo da parte un po’ di soldi con l’aiuto della sua famiglia e di alcuni amici e gli ha regalato una vecchia ambulanza. Da quel momento varie organizzazioni internazionali hanno sostenuto il progetto. “Nel 1992”, racconta il medico, “sono venuti anche qui i vigili del fuoco di Glasgow e i medici del Royal hospital di Edimburgo. Hanno portato tantissima attrezzatura e hanno costruito dal nulla un VADIM GhIRDA (AP/LAPRESSE) Raed Arafat a Bucarest ambulatorio per le urgenze”. Da allora la creatura di Arafat non ha più smesso di crescere. Ma il cambiamento più importante è arrivato nel 2006, quando è stata approvata la nuova legge sulla sanità pubblica, che dedica un capitolo intero alla medicina d’urgenza. La legge disciplina l’assistenza pubblica come quella privata e il servizio di ambulanza e di pronto soccorso. La norma si basa in buona parte sull’esperienza accumulata da Arafat. Lui intanto continua a fare i turni alla guardia medica anche se la politica lo impegna sempre di più. Per alcuni Arafat è “l’arabo venuto a insegnare la medicina ai romeni”. Ma lui non se l’è mai presa troppo: “È vero, sono arabo, ma ho studiato medicina in Romania”, dice, “per cui in un certo senso posso considerarmi un prodotto di questo paese”. Il suo Smurd oggi è attivo in tutta la Romania, con più di duecento gruppi di lavoro. Per intervenire bastano in media 7-8 minuti e il nuovo sistema di telemedicina registra ogni anno tredicimila operazioni di soccorso. Nominato sottosegretario alla sanità nel 2007, nel governo di Calin Popescu-Tariceanu, qualche mese fa Arafat è stato accusato dal presidente Traian Basescu di essere il principale “nemico della riforma sanitaria” presentata alla ine del dicembre 2011. Nella sostanza, l’uomo che ha messo in piedi l’unico servizio valido all’interno del sistema sanitario romeno si è opposto a quella parte della riforma che ne avrebbe rivoluzionato il meccanismo. Del piano di Basescu, Arafat ha attaccato soprattutto la proposta di concedere risorse pubbliche alle unità di soccorso private, sostenendo che l’apertura di un settore così delicato ai privati avrebbe messo a rischio la struttura. La Smurd, del resto, ha ricevuto i complimenti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Francia e Israele hanno copiato il suo modello di telemedicina, che prevede a bordo dei veicoli di soccorso la presenza di strumenti in grado di trasferire in tempo reale i dati dei pazienti a una struttura sanitaria meglio equipaggiata. I contrasti tra Arafat e Basescu sulla riforma sanitaria hanno fatto emergere la differenza tra i politici, pronti ad andare all’estero per farsi curare nel caso ce ne fosse bisogno, e i medici, convinti di poter creare un servizio sanitario pubblico adeguato. Come conseguenza delle schermaglie con il presidente, il 10 gennaio Arafat si è dimesso da sottosegretario, mettendo in guardia i romeni sui pericoli della nuova legge. E il paese si è spaccato tra i suoi sostenitori e quelli di Basescu. L’opposizione non ha perso tempo e ha subito fatto sapere che, se avesse vinto le elezioni previste a novembre, avrebbe nominato il medico siriano ministro della sanità. In realtà, su Arafat cominciano a circolare anche voci meno lusinghiere. Dopo le sue dimissioni, alcuni mezzi d’informazione hanno scoperto che gran parte delle gare d’appalto per dotare lo Smurd di ambulanze e automobili sono state vinte da una ditta di forniture mediche di Cluj-Napoca, la Deltamed. L’azienda appartiene a un amico di vecchia data di Arafat, inanziatore del progetto. È noto che in Romania il miglior comInternazionale 945 | 20 aprile 2012 71 Ritratti mittente per le imprese private è lo stato e questa vicenda ha solo confermato che i soldi pubblici sono gestiti in maniera poco trasparente. Il punto è che ormai i romeni sono diventati in troppo indulgenti verso quelli che “rubano – come tutti – ma che alla ine qualcosa di buono lo fanno”. Per qualcuno questa storia è solo un tentativo per gettare fango su Arafat. Comunque, dopo i contrasti con il medico siriano, il presidente Basescu si è sentito in dovere di elencare pubblicamente quelli che secondo lui sono i cinque problemi fondamentali della sanità romena: “Il monopolio della Cassa nazionale delle assicurazioni sanitarie – un vero e proprio salasso per la spesa pubblica –, la politicizzazione del sistema, l’uso improprio dei fondi statali, la corruzione e, per ultimo, l’assenza di investimenti”. Una lettura della situazione che deve aver lasciato di stucco molti romeni, che si saranno chiesti cosa abbia fatto il presidente in questi anni per cambiare le cose. Ma Basescu ha ricevuto il colpo di grazia da quelli che in teoria dovevano sostenerlo e che invece hanno esteso le critiche dal terreno più circoscritto della medicina d’urgenza agli aspetti di fondo della riforma. L’Istituto di politiche pubbliche, per esempio, ha afermato che questa normativa non ha come obiettivo la tutela del malato, ma punta a garantire alti proitti alle compagnie di assicurazione e cerca di consegnare l’intero sistema sanitario nelle mani di gruppi privati. L’organizzazione di Bucarest ha anche sottolineato che nella riforma mancano alcune informazioni essenziali, per esempio il contenuto del pacchetto dei servizi di base o la normativa per la previdenza complementare, chiedendo di fatto il ritiro del progetto nato nel palazzo presidenziale di Cotroceni. Anche Alina Mungiu-Pippidi, presidente della Società accademica di Romania, sostiene Arafat: “La legge evita di afrontare problemi aperti. Anzi, rischia di crearne altri, ed è stata concepita in modo poco professionale, per non dire antidemocratico. Lo stato dovrebbe promuovere e valorizzare persone capaci come Arafat invece di metterle in diicoltà”. Gli interessi in gioco Come se non bastasse, il giornalista Victor Ciutacu ha ipotizzato che all’origine dei contrasti tra Basescu e Arafat ci sia anche una vicenda personale. Secondo Ciutaco, tempo fa il presidente avrebbe oferto al medico siriano la candidatura a sindaco di Bucarest con il Partito 72 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Se pensiamo che molti romeni non hanno neanche i soldi per comprare le medicine, è diicile immaginare che possano pagare altri contributi democratico-liberale. E Arafat avrebbe riiutato. Chi conosce Basescu può immaginare quanto questo riiuto lo abbia infastidito. Da quel momento Basescu avrebbe cominciato a mettere i bastoni tra le ruote alle iniziative del medico siriano. È uno scenario verosimile e sarebbe confermato dall’evoluzione dei rapporti tra i due. Ma non è tutto perché, al di là del piano politico, ci sono di mezzo consistenti interessi economici. In particolare, la gestione dei 4,5 miliardi di euro del bilancio annuale della cassa delle assicurazioni sanitarie, a cui vanno aggiunti altri 1,5 miliardi che provengono dalle assicurazioni private. La riforma di Basescu prevede che la maggior parte di questi fondi sia gestita da soggetti privati. Oggi, molti sostengono che presto i romeni vivranno in un paese dove l’assistenza medica non sarà più un diritto garantito dallo stato e chi non ha soldi e non è assicurato potrà anche rassegnarsi e morire. L’ex ministro della sanità, Eugen Nicolaescu, per esempio, ha afermato che con il nuovo sistema parte della popolazione rischia di non poter accedere all’assistenza sanitaria. Cambiamenti simili a quelli previsti dalla riforma, infatti, di solito vengono applicati in paesi dove la sanità pubblica, in generale, è in buono stato e la popolazione ha un reddito medio che le permette di pagare spese aggiuntive, oltre ai contributi obbligatori. Per Nicolaescu un sistema simile può funzionare solo se esiste una base di riferimento solida. Ci deve essere, in sostanza, un pacchetto di prestazioni sanitarie ben deinito, eiciente e capace di fornire i servizi essenziali. Oggi in Romania l’introduzione di un sistema del genere, invece, porterebbe a una diminuzione dei servizi e limiterebbe l’accesso alle cure me- diche. Se pensiamo che molti cittadini romeni non hanno neanche i soldi per comprare le medicine prescritte dai medici, è diicile immaginare che possano pagare altri contributi per accedere all’assistenza sanitaria. Sempre l’ex ministro ha ricordato anche che gli stessi enti assicurativi, per essere competitivi, dovrebbero scontrarsi con regole molto restrittive. “L’introduzione di questi criteri discriminatori dimostra come il progetto di legge tenda a favorire determinate aziende private. È una cosa immorale e va contro le norme sulla concorrenza. La verità è che l’obiettivo di Basescu è privatizzare la sanità, aidando la maggior parte delle prestazioni di un servizio sanitario comunque molto carente a una previdenza complementare e privata”. Ma la questione è ancora più complicata, perché non si sa come i contributi obbligatori versati allo stato saranno poi redistribuiti tra gli assicuratori privati. E se il datore di lavoro non efettua i versamenti dovuti, il dipendente avrà in ogni caso accesso alle cure mediche? In base alla riforma, le persone non possono pagare di tasca propria per i contributi non versati. Non è ancora chiaro cosa succederà. Sembra inoltre che anche per quello che riguarda la riorganizzazione degli ospedali, la riforma sia stata pensata senza criterio, perché di fatto trasferisce il patrimonio pubblico nelle tasche di privati in modo poco trasparente e soprattutto senza garantire che il passaggio avvenga a prezzi di mercato. Nemmeno il decentramento ha molto senso, perché la maggior parte degli ospedali è già di proprietà delle amministrazioni locali. E queste continueranno a far quello che vogliono, dato che a livello locale i controlli sono molto blandi. Dopo tutte queste polemiche e dopo le manifestazioni di piazza a sostegno di Arafat che a gennaio sono andate avanti per giorni in tutto il paese, il presidente Basescu ha chiesto pubblicamente al primo ministro di ritirare la riforma. “Nessuno vuole il cambiamento del sistema sanitario. Non lo vogliono gli ospedali, i medici di famiglia, il sistema della medicina d’urgenza. Prendo atto che gran parte dell’opinione pubblica respinge la riforma. Dato il contesto, chiedo pubblicamente al primo ministro il ritiro del piano di riforma della sanità romena”, ha dichiarato il premier in una conferenza stampa trasmessa in televisione il 13 gennaio. Un vittoria schiacciante per Raed Arafat, che qualche giorno dopo è stato reintegrato nel ruolo di sottosegretario. u mit Monty Python, Flying Circus - Photo: La Press Il comico. Dalla scrittura al personaggio Con: GIno & MIChele, ClauDIo BISIo 21 - 22 - 23 MaGGIo 2012 Per un approccio alla creatività e lo sviluppo di ipotesi di scrittura comica. Come scrivere una storia, un monologo o una battuta umoristica? Come costruire un personaggio comico pensato per il teatro, il cinema o la televisione? Info: 02 5796951 - [email protected] ofiCine fare e cinema Un Laboratorio sul cinema. Corsi e Workshop. Comitato Scientiico: Piera Detassis, Pierfrancesco Favino, Paolo Mereghetti, Silvio Soldini, Paolo Sorrentino. http://oficine.ied.it Viaggi Il sentiero del lago Il trekking nelle vallate andine dell’Argentina meridionale. In kayak nelle acque calme e trasparenti dei laghi di origine glaciale l viaggio comincia a El Bolsón, una meta classica della Patagonia andina. Un paese che negli ultimi anni è cresciuto molto ma per fortuna è stato risparmiato dalle discoteche e dai grandi centri commerciali. El Bolsón è stato un fugace paradiso hippie. Oggi è un luogo dove vengono a vivere alcuni cultori della new age. Comunque gli abitanti di El Bolsón sono in gran parte persone comuni che hanno scelto di vivere immerse nella natura e che tendono a fabbricare e produrre con le loro mani tutto quello che possono: dalla casa in cui vivono ino al cibo, passando per la birra. Per questo a El Bolsón ogni visitatore viene accolto con l’offerta di qualche bevanda preparata dagli ospiti, come il tradizionale liquore alla ciliegia. Da qui, una delle gite più belle da fare è un’escursione ino al belvedere del monte Saturnino, per poi arrivare alla cascata del Mallín Ahogado. La strada è impervia e arriva su un altopiano a novecento metri di altezza, da dove si può osservare un ampio panorama che comprende il centro urbano di El Bolsón, le montagne Piltriquitrón, Currumahuida, Dedo Gordo e Hielo Azul, e sullo sfondo il lago Puelo. La gita continua scendendo alla conluenza dei iumi Azul e Blanco dove, su un fuoristrada, si guada il iume con l’acqua all’altezza dei inestrini. Dopo tanta adrenalina facciamo un picnic sulla riva, a base di frittelle ripiene di lampone. Una delle vie di accesso alla cordigliera di Chubut è il paese di Lago Puelo, nella parte settentrionale della provincia. Lago I 74 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Puelo è una cittadina delle Ande circondata da iumi e ruscelli che scendono dalla montagna e sfociano in un lago cristallino. D’estate le alte temperature dell’acqua lo rendono una zona termale per eccellenza. Il posto migliore per fare il bagno è un angolo di spiagge bianche con l’acqua trasparente di origine glaciale chiamato la Playita, dove si può nuotare, andare in canoa o fare delle immersioni. Il paese vive di turismo e di piantagioni di fragole, more, lamponi e ribes, come tutti quelli della zona andina del quarantaduesimo parallelo. Per fortuna la zona continua a essere tranquilla nonostante i turisti. A cinque chilometri dal paese c’è il parco nazionale del lago Puelo, che occupa una valle scavata dalle glaciazioni. I ghiacci hanno aperto un passaggio nella cordigliera che ha consentito alla flora e alla fauna cilena della foresta di Valdivia di arrivare in territorio argentino. I boschi della cordigliera Sul molo del lago Puelo, all’interno del parco nazionale che porta lo stesso nome, Alberto Boyer ofre gite in kayak ai turisti. In genere si usano kayak biposto, ma se qualcuno nel gruppo ha molta esperienza può chiederne uno monoposto. I kayak biposto sono più lunghi di quelli comuni e hanno uno spazio riservato a chi guida e uno per il rematore meno esperto. Sono più stabili delle canoe, ogni persona usa un remo e all’interno dell’imbarcazione ci sono due pedali per muovere il timone. Dopo una lezione di quindici minuti comincia la gita, che attraversa la zona di Los Calabozos: l’acqua delle baie è immobile e di colore turchese. Percorriamo la parte occidentale del lago ino alla frontiera con il Cile, passando dalla foce del iume Azul. Accanto alla riva si vedono i boschi della cordigliera che circondano il lago Puelo, dove abbondano ciliegi del Cile, mirti, cipressi. L’acqua è così trasparente che si ve- DANITA DELIMONT (GETTY IMAGES) Julián Varsavsky, Página 12, Argentina de il fondo roccioso, i tronchi sommersi e le trote. Arrivando a Primer Calabozo (la prima baia) lo sguardo è attirato da una ripida parete di pietra, alta circa sessanta metri, che parte dalla montagna. Se il gruppo se la sente è possibile tornare al molo percorrendo una linea retta che attraversa il lago, altrimenti si costeggia la riva. È diicile che un kayak si ribalti in un lago così tranquillo, ma nel caso ci vogliono dieci minuti per risistemare l’imbarcazione e salirci di nuovo. Il percorso totale è di quattro chilometri e per completarlo serve un’ora e un quarto. Dopo quasi un’ora e mezzo di remata si sbarca per un picnic a base di sandwich e mate sulla riva. Quando è caldo quasi tutti fanno il bagno nel lago, e poi si può afrontare un percorso a piedi di cinquecento Un lago delle Ande argentine metri, che si spinge ino alla frontiera con il Cile. In tutto ci vogliono quattro ore tra andata e ritorno. Dal lago Puelo il viaggio può proseguire sulla ruta 40, che in questa zona è totalmente asfaltata, verso il lago Rivadavia, con una deviazione sulla destra sulla strada provinciale 71. Il vecchio larice Al lago Rivadavia ci sono dei bungalow e un campeggio dove si può fare base per visitare la parte settentrionale del parco nazionale Los Alerces, sei chilometri a sud del paese. Vale la pena di fermarsi al belvedere del lago Verde, all’Alerzal milenario (lariceto millenario), e provare alcuni circuiti di trekking dove è possibile incontrare i cervi delle Ande. Informazioni pratiche ◆ Arrivare e muoversi Il prezzo di un volo dall’Italia (British Airways, American Airlines, Alitalia) per Buenos Aires parte da 1.164 euro a/r. Le Aerolineas Argentinas collegano la capitale con Esquel. Il prezzo di un volo parte da 517 euro a/r. I pullman della Transporte Esquel (transportesesquel. com.ar) collegano ogni giorno Esquel con il lago Puelo. ◆ Dormire Sul lago Rivadavia, l’agriturismo Cerro La Momia ha una parte centrale con un ristorante e alcune camere. Chi invece vuole dormire in riva al lago può scegliere uno dei tre bungalow. ◆ Escursioni Il trekking per Piedra Parada parte dal paese di Gualjaina (dall’albergo Hostaria Mirador del Huancache). Il costo è di 160 euro a persona, cibo compreso (intern.az/HOU44I). Per una gita in kayak sul lago Puelo, si può contattare Alberto Boyer (0054 2944 499 197 ; 0054 2944 1551 0652). ◆ Leggere Mario Luzi, La cordigliera delle Ande e altri versi tradotti, Einaudi 1983, 10 euro. ◆ La prossima settimana Viaggio in Jacuzia, Siberia orientale. Ci siete stati e avete suggerimenti su tarife, posti dove mangiare o dormire, libri? Scrivete a viaggi@ internazionale.it. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 75 Viaggi Da lago Rivadavia si può raggiungere il paese di Cholila, accanto a un altopiano con ilari di pioppi che brillano sotto il cielo aperto. A Cholila regna la solitudine dei grandi spazi vuoti della steppa, attenuata dai pioppi, dalle montagne a ovest e da iumi e specchi d’acqua a est. Inoltre qualcosa nel paesaggio stabilisce una relazione non del tutto arbitraria con la parola “remoto”. Basta uno sguardo per capire che questo non poteva che essere il luogo prescelto per nascondersi dal mondo da Butch Cassidy e la sua banda quando iniziarono una nuova vita. Le strade di Cholila sono sterrate e nelle case basse, disposte quasi tutte intorno a una piazza, vivono 2.500 persone. L’architettura rilette l’evoluzione storica del luogo. Da una parte ci sono ancora case in legno circondate da una staccionata e legate originariamente ai creoli cileni e ai costumi tardivi dei mapuche. Piedra Parada è una roccia solitaria che svetta nell’altopiano centrale Questi ediici convivono con altri costruiti secondo lo stile del far west statunitense e separati gli uni dagli altri da estesi appezzamenti di terreno. L’esempio più emblematico è la casa di Butch Cassidy, aperta al pubblico. La tappa successiva è la città di Esquel, dove si arriva attraversando il parco nazionale Los Alerces e due strade provinciali molto belle dal punto di vista panoramico: la 71 e la 259. La destinazione principale raggiungibile da Esquel è anche in questo caso il parco nazionale Los Alerces, istituito nel 1937 per tutelare i boschi millenari di larici, giganti della foresta Valdiviana e tra gli esseri viventi più antichi del pianeta. Il larice più visitato del parco è l’Abuelo (il nonno), un albero risalente all’età della pietra. Nei 2.600 anni che gli sono serviti per crescere ino a 58 metri di altezza è stata fondata Roma, è caduta Costantinopoli ed è stata scoperta l’America. Proseguendo negli anni, Armstrong ha camminato sulla Luna e sono crollate le torri gemelle. Intanto il larice è rimasto incolume nella sua porzione di terra di due metri di diametro. Un’escursione molto popolare è quella a bordo dei treni Viejo expreso patagónico ed El Trochita, che da Esquel raggiunge un mercato artigianale della comunità mapu- 76 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 che di Nahuel Pan. A venti chilometri da Esquel, a Trevelin, vivono i discendenti dei primi coloni gallesi della zona, che si stabilirono qui nel 1888. C’è una sosta quasi obbligatoria per assaggiare il tè gallese. La gita continua fino a Nant y Fall, un’area protetta dove un iume forma sette cascate, tre delle quali visitabili. Diicile da spiegare Dopo una sosta a Esquel è il momento di andare qualche chilometro verso nord e visitare Piedra Parada, uno dei paesaggi più strani dell’Argentina meridionale. È una roccia solitaria che svetta nel mezzo dell’altopiano centrale della Patagonia. A prima vista questa mole rocciosa di 260 metri di altezza e cento metri quadri di base è del tutto inspiegabile, inché non si viene a sapere che questo luogo è stato il centro della caldera di un vulcano che migliaia di anni fa eruttava lava in un raggio di trenta chilometri. Quando si spense, le ultime colate incandescenti si solidiicarono formando la Piedra Parada. Da Esquel sono 99 chilometri, ci si arriva dalla ruta 40 andando verso nord. A metà strada c’è Gualjaina, dove pernottare per una o due notti. Da Gualjaina sono 42 chilometri attraverso la valle di Piedra Parada. Davanti alla Piedra Parada sorge la chiusa della Buitrera, ideale per fare un trekking spettacolare. La passeggiata comincia con un sentiero tra due enormi pareti di cinquanta metri piene di strane formazioni geologiche, come l’appuntito Manto de la Virgen. Secondo la guida, la chiusa è il risultato di una faglia geologica: non è stata scavata da un iume, è stata la terra ad aprirsi quando tutta la zona era un inferno di magma incandescente. Per questo le pareti a picco raggiungono anche i 250 metri di altezza. Nel corso della camminata osserviamo i falchi pellegrini, i rapaci più veloci, in grado di aferrare in volo le loro prede a 210 chilometri all’ora. Attraverso un sentiero vicino si raggiunge un incredibile ponte naturale di pietra: ma i viaggiatori continuano a chiedere spiegazioni sulla misteriosa Piedra Parada, e la guida risponde appellandosi ancora una volta alla geologia. Eppure la spiegazione non convince, perché la vista di quel panorama è irrazionale e la pietra irradia un mistero inspiegabile che riporta sempre alla stessa domanda: “Da dov’è uscita una pietra del genere per starsene ritta in quel modo?”. La risposta, in in dei conti, ce l’ha solo la Terra. u fr A tavola Sapori di Patagonia u In un ristorante tra le montagne della Comarca andina, scrive il sito Elbolson.com, un pasto tradizionale può cominciare con un piatto di formaggi locali, iletti di trota o salmone afumicati, carne secca di cervo o cinghiale, funghi conservati, lepre in escabeche (una preparazione di origine arabo-spagnola, che prevede l’uso dell’aceto) e verdure in salamoia. Tra i piatti portanti ci sono invece diversi tipi di paste fatte in casa e condite con funghi, i sorrentinos (i grandi ravioli rotondi tipici della tradizione italoargentina) ripieni di trota o di salmone o uno strudel di verdure, legato alla presenza nella zona di immigrati tedeschi e svizzeri. Ma il pezzo forte della cucina locale è l’agnello patagonico, che può essere preparato arrosto, stufato, sotto forma di rollé e profumato con erbe aromatiche, o accompagnato da salsa criolla, a base di cipolla, peperoncini e pomodoro. Per assaggiare queste a altre ricette tradizionali, a El Bolsón si può provare il ristorante Opiparo, specializzato in pesci afumicati e capretto, o il Patio Venzano, parrilla e piatti locali. La carne alla griglia – agnello, capretto, vitello, maiale e chorizo argentino – è invece la specialità della Parrilla El Quincho, di Ebenézer, di Carlitos e del ristorante Patagonia Andino de Comidas, appena fuori città. Per ritrovare i sapori e gli ingredienti della Patagonia a Buenos Aires, invece, El Clarín consiglia Patagonia sur, del cuoco Francis Mallmann (famoso il suo agnello cotto per sette ore a fuoco lentissimo e accompagnato da purè di patate e mandorle), e Ayres de Patagonia, a Puerto Madero: tortelli di agnello al marsala, salmone e trota afumicati in arrivo da Bariloche e piatti di cacciagione, per esempio il cervo alla cacciatora e il cinghiale al miele. Graphic journalism Cartolina da Parigi 78 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Chantal Montellier è una pittrice e autrice di fumetti. Nata nel 1947 a Bouthéon nella Loira, vive a Ivry-sur-Seine, alla periferia di Parigi. Il suo ultimo libro è L’inscription (Actes Sud bd 2011). Internazionale 945 | 20 aprile 2012 79 Cultura Cinema WaLt DISNEy StUDIoS John Carter Allergia alla realtà Aleksandr Rodnyanskiy, Vedomosti, Russia Dal successo di un ilm si può capire molto del pubblico. E a giudicare da quello che guardano, i russi non vogliono pensare S tati Uniti. The help, un ilm senza particolari pretese e senza grandi star, che parla dei rapporti tra le domestiche nere e le loro padrone bianche, è riuscito a incassare la somma incredibile di 170 milioni di dollari. Questo ci dice chiaramente che il tema dei rapporti interraziali non ha perso d’interesse nel paese che ha eletto un presidente nero. Ma forse è stato eletto proprio perché negli ultimi sessant’anni sono stati girati ilm come questo, che cercavano risposte a diicili questioni sociali. Pensiamo alla Russia. In Russia i punti di tensione non sono certo meno che negli Stati Uniti, eppure un ilm su questi temi non solo non registrerebbe incassi signiicativi, ma con ogni probabilità non sarebbe nemmeno distribuito. Negli Stati Uniti l’interesse degli spettatori è un barometro degli umori dell’opinione pubblica. Sulla base dei ilm che riscuotono più successo è possibile stabilire come vive e cosa pensa il paese. Psicoterapia nazionale Con Rocky, che nel 1976 ha battuto ogni record d’incassi, era possibile misurare la profondità della depressione in cui era sprofondato un paese tormentato dalla guerra in Vietnam e scosso dallo scandalo del Watergate. La storia ottimista di un pugile dei bassifondi che diventa campione del mondo si trasformò in una specie di seduta di psicoterapia nazionale. Cosa indica il barometro russo? Qual è la pressione della società? L’esempio più recente è John Carter, trasposizione cinematograica di un romanzo fantasy di Edgar Rice Burroughs. Nei primi tre giorni ha incassato in Russia la cifra record di 16,6 milioni di dollari, e per due settimane ha occupato il primo posto nelle classiiche degli incassi. Negli Stati Uniti questo “gigante” ha incassato 30 milioni di dollari in due settimane, in un numero di sale doppio. Un vero e proprio fallimento, se si considera che è costato alla Disney 350 milioni di dollari, praticamente, tanto per fare un esempio, quello che è costato il nuovo terminale dell’aeroporto Borispol di Kiev. Perché gli spettatori russi hanno reagito in modo così diverso da quelli americani? Più di 16 milioni di spettatori nel primo ine settimana è uno dei debutti migliori nella storia del cinema russo moderno, soprattutto se si pensa che è un risultato ottenuto senza un particolare bombardamento pubblicitario. Mentre non c’è da meravigliarsi che a ottenere questo successo sia stato un ilm sulle avventure marziane di un eroe della storia passata. Si tratta di un eroe lontanissimo dal pubblico che lo adora. E tutti i campioni del botteghino degli ultimi anni hanno in comune proprio questo: una siducia categorica per la realtà in tutte le sue incarnazioni. Un rigetto autistico. In Russia i fantasy, il ilm di Internazionale 945 | 20 aprile 2012 81 Cultura Cinema Transformers 3 PaRaMOUNT PICTURES xxxxxxxxx fantascienza e i cartoni animati battono regolarmente i record di incassi. Invece, tutto quello che può essere messo in relazione con la vita reale del paese e con la gente, viene completamente ignorato. Tutto quello che è legato agli aspetti sociali, ai rapporti reali, e non melodrammatici, di solito è un insuccesso, se mai riesce a raggiungere gli schermi. Perciò i drammi, le storie umane, le storie in cui le situazioni diicili vengono superate, le storie che raforzano la iducia nella vita, sono comprensibilmente poche in Russia: anche quando ci sono, nessuno le nota. Per esempio, un ilm commovente e facile da comprendere, realizzato in maniera virtuosa, come Il discorso del re ha incassato in Polonia 6,1 milioni di dollari, più di Transformers 3 (3,4 milioni di dollari). In Russia la situazione è esattamente opposta: Il discorso del re ha incassato 1,6 milioni di dollari contro i 45,5 milioni di dollari di Transformers 3. Fare un confronto tra gli incassi dei ilm drammatici in Russia e negli Stati Uniti è assolutamente impossibile, perché le dimensioni sono completamente diverse. Ma i risultati sono inequivocabili: negli Stati Uniti esiste un pubblico che sceglie in modo consapevole, e non cerca meccanicamente un “universo alternativo”. Gli spettatori russi dimostrano invece un disprezzo patologico nei confronti della realtà, un desiderio incrollabile di staccar- 82 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 sene e di sfuggire ogni discorso che richieda una messa in discussione di se stessi, una scelta individuale, e uno sforzo di pensiero o spirituale. Nella variegata oferta di ilm hollywoodiani i russi scelgono irrimediabilmente le favole. E lo stesso vale per i ilm nazionali. Un regime rassicurante C’è chi dice che il tempo non scorre nello stesso modo in tutti i paesi. In alcuni l’atteggiamento mentale è quello del ventunesimo secolo, in altri è quello del medioevo. In termini di cinema di massa è come se noi russi continuassimo a vivere nell’Unione Sovietica. Tutti i nostri successi di botteghino sono legati a quell’epoca: per esempio Vysotskiy, il seguito di Ironia del destino, La nona compagnia. Nel giorno delle elezioni, dai televisori traboccanti di dati ha fatto bella mostra di sé un grande successo dell’era sovietica come Mosca non crede alle lacrime (1979), seguito alcuni giorni dopo da Romanzo d’ufficio (1977). Questi film portano impressa l’immagine di quel mondo, che in qualche modo suona rassicurante: allora non si era responsabili di nulla, non si aveva in mano il proprio destino e quindi il più terribile di tutti i pericoli, il pericolo della libertà di scelta, non minacciava nessuno. E il pubblico di oggi sembra apprezzarlo molto. Gli spettatori russi riconoscono immediatamente ogni tentativo di parlare di cose serie, anche in modo leggero. Ogni cartone animato hollywoodiano, anche il più modesto, incassa dai 40 milioni di dollari in su, a condizione che non metta in alcun modo ansia agli spettatori. Madagascar 2 ha incassato 40 milioni di dollari, mentre Wall-E della Pixar solo 11 milioni di dollari. Gli animali che dicono cose senza senso non angosciano lo spettatore con messaggi nascosti sui pericoli del consumismo e su uno sfruttamento senza limiti della natura. Recentemente in Francia Quasi amici ha incassato 240 milioni di dollari, una cifra inimmaginabile per il cinema francese. Si tratta di un ilm che racconta la commovente storia dei rapporti tra un ragazzo nero proveniente dalle banlieue e un miliardario paralizzato. Nel ilm è chiaro il tema portante delle diferenze sociali, che sono mostrate in un contesto articolato. È un ilm che racconta un dramma umano autentico e ofre uno sguardo critico sullo stato della società contemporanea. Il tutto proposto in una confezione divertente. Gli statunitensi, nella persona dell’iperattivo Harvey Weinstein, hanno immediatamente acquistato i diritti d’autore per un remake del ilm. Una versione russa non avrebbe nessuna possibilità di successo. Ogni autenticità, anche quella più edulcorata, è estranea al nostro pubblico. E si tratta di un sintomo preoccupante. Nel migliore dei casi, è il sintomo di un’assoluta apatia depressiva. u af Tutto lo stile di SH300i a condizioni spettacolari. Da oggi la gamma SH è ancora più protagonista con uno straordinario finanziamento senza interessi e senza spese di istruttoria (TAN FISSO 0% TAEG 1,64%)*. Scopri di più su www.hondaitalia.com o presso le concessionarie Honda aderenti. hondaitalia.com Info Contact Center: 848.846.632 Honda Italia Moto *Finanziamento fino a 24 mesi riservato alla gamma SH. L’importo finanziabile va da un min di € 1.500 a un max di € 5.100. Es.rappresentativo: importo totale del credito € 3.100 in 24 rate da € 129,17 -TAN fisso 0% TAEG 1,64%; costo totale credito: interessi € 0 + spese istruttoria € 0 + imp.bollo € 14,62, bolli rendiconti € 1,81 (per importi superiori a € 77,47) + spesa mensile gest. pratica € 1,50; importo totale dovuto € 3.152,51. 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Una cartolina dalla città eterna 84 Alec Baldwin, Penelope Cruz, Jesse Eisenberg insieme a Roberto Benigni hanno partecipato con Woody Allen all’anteprima mondiale del nuovo ilm del regista newyorchese, To Rome with love, nella città dove è stato realizzato. Il ilm, proiettato in una versione doppiata in italiano, è stato accolto in modo tiepido dalla stampa italiana, ma questo non sembra aver guastato l’umore del regista e degli attori presenti. Gran parte delle critiche riguardano la presunta superi- To Rome with love cialità con cui Allen ha ritratto Roma. Il regista ha ribattuto che il suo scopo non era di dare una visione dall’interno della società e della politica italiana, ma solo di realizzare un ilm divertente, ambientato a Roma. Allen ha anche smentito qualsiasi voce secondo cui il suo prossimo ilm sarà ambientato a Copenaghen. Invece lo girerà a San Francisco e New York, anche se non ha escluso di tornare a lavorare in Europa in futuro. Per ben due volte, durante l’incontro con i giornalisti, è saltato fuori il nome di Berlusconi e mai in tono lusinghiero, con un certo imbarazzo da parte di Giampaolo Letta, amministratore delegato di Medusa, società controllata da Berlusconi, che ha coprodotto il ilm. To Rome with love esce nelle sale italiane venerdì 20 aprile in 600 copie. Negli Stati Uniti l’uscita è prevista per il 22 giugno. The Hollywood Reporter Massa critica Dieci ilm nelle sale italiane giudicati dai critici di tutto il mondo T G HE ra D n A Br I e LY LE tag T n EL Fr F EG an I G a ci A R a R A O PH G C LO an B ad E a AN D T M G HE A ra G IL n U Br A et R T a D G H E gn I A ra a N n IN Br D et E P L a E Fr IBÉ gna N D an R EN ci AT a T IO LO N St S at A iU N n GE L E i ti L E Fr M S T an O IM ci N a D E S E T St H E at N iU E n W T i t i YO St H E R at W K T iU A IM ni S H E ti I S N G T O N PO ST Diaz Di Daniele Vicari. Con Elio Germano, Claudio Santamaria, Jennifer Ulrich. Italia/Francia/ Romania 2012, 120’ ● ● ● ●● La paura, lo smarrimento, la violenza cieca, brutale, impietosa. Con una grandissima abilità di regia, Daniele Vicari ricostruisce la mattanza avvenuta nella scuola Diaz alla ine del G8 di Genova del 2001 e l’ignobile trattamento subìto dagli arrestati nella caserma di Bolzaneto. Le scene di colpi e di sangue sono prolungate ma inevitabili per tentare di rendere conto di una tale violazione dei diritti civili da parte di forze dell’ordine di uno stato democratico. Nessuna immagine di troppo, nessun primo piano inutile o eccessivo pathos, bensì la traduzione eicace dello spavento, come quando le urla delle vittime fanno da sfondo a un scena ferma. Ma Diaz non è solo un ilm di testimonianza. È anche un ilm politico in quanto mette in evidenza il rischio di lasciare spazio a meccanismi collettivi terribili – ino alla tortura – quando la politica in qualche modo scompare. In iligrana, e senza perdersi in facili teoremi, Vicari distilla con sapienza e sottigliezza rilessioni sugli eventi di Genova attraverso scene brevi ma evocative: dalla rinuncia alla violenza simbolica del giovane black block, al vecchio sindacalista ferito che grida ai poliziotti: “Avete fatto una grande cazzata”. Anteprima mondiale a Roma per il nuovo ilm di Woody Allen Media THE Rum DiARY 11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 50/50 11111 - 11111 11111 - AcT of vAloR 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 biAncAnEvE 11111 - 11111 11111 - lA fuRiA DEi TiTAni 11111 - 11111 11111 11111 - 11111 - 11111 - GHosT RiDER 11111 11111 - 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 THE lADY - 11111 - 11111 11111 - 11111 - 11111 11111 - 11111 - 11111 - 11111 11111 11111 - - 11111 11111 11111 11111 11111 11111 11111 unA spiA non bAsTA 11111 11111 11111 11111 11111 - 11111 11111 11111 11111 11111 TAkE mE HomE… 11111 11111 - 11111 - - 11111 - 11111 11111 YounG ADulT 11111 - 11111 11111 - - 11111 - 11111 11111 11111 11111 Legenda: ●●●●● Pessimo ●●●●● Mediocre ●●●●● Discreto ●●●●● Buono ●●●●● Ottimo Internazionale 945 | 20 aprile 2012 I consigli della redazione In uscita Una spia non basta Di McG. Con Chris Pine, Tom Hardy, Reese Witherspoon. Stati Uniti 2012, 120’ ●● ● ●● Una spia non basta è due ilm in uno. Il primo è una commedia romantica con Reese Witherspoon. Il secondo è una commedia su due amici – bromantic comedy come si dice oggi – agenti della Cia. Entrambi i ilm sono terribili. FDR (Chris Pine) e Tuck (Tom Hardy) sono appena stati messi in punizione dal loro capo per aver mandato all’aria un’operazione a Hong Kong e sono costretti al lavoro d’uicio. Con un po’ di tempo a disposizione decidono entrambi di mettersi in cerca dell’anima gemella e – incredibile coincidenza! – prendono appuntamento con la stessa donna, Lauren (Reese Witherspoon). Tra i due scatta una competizione per conquistarla. L’appartamento della ragazza viene riempito con qualsiasi gadget tecnologico abbia a disposizione la Cia per spiare una persona. La cosa potrebbe sembrare un po’ inquietante, ma niente nella sceneggiatura di Timothy Dowling e Simon Kinberg ha qualcosa a che fare con la vita reale. Comunque la sorpresa veramente negativa è Reese Witherspoon. A un certo punto Lauren, che ha dato appuntamento contemporaneamente a due uomini, si Una spia non basta Diaz Di Daniele Vicari (Italia/Francia/ Romania, 120’) Mare chiuso Di Andrea Segre, Stefano Liberti (Italia, 60’) chiede quale sia la cosa peggiore che possa capitarle. Parlando della carriera di Witherspoon, questo ilm è senz’altro una delle peggiori disgrazie in cui si poteva imbattere. Anthony Quinn, The Independent The rum diary Di Bruce Robinson. Con Johnny Depp, Aaron Eckhart, Amber Heard. Stati Uniti 2011, 120’ ●●●●● The rum diary, diretto da Bruce Robinson (Shakespeare a colazione) e basato sull’omonimo romanzo di Hunter S. Thompson, piacerà a quelli che coltivano un’idea romantica sugli alcolici, sul giornalismo di una volta o sui mad men di quell’epoca, a cavallo tra la ine degli anni di Eisenhover e i primi anni di Kennedy, in cui gli anni sessanta si preparavano a cambiare il mondo. Anche gli amanti dei cappelli di paglia e degli occhiali da sole avranno pane per i loro denti, come gli aicionados del fumo di sigaretta e delle sbronze pomeridiane vissute senza sensi di colpa. Il ilm è anche un toccante tributo a Hunter S. Thompson. L’alter ego del giornalista morto suicida nel 2005, Paul Kemp, è interpretato da Johnny Depp. Il che fa di questo ilm una sorta di prequel di Paura e delirio a Las Vegas. Kemp, almeno a prima vista, è un tipo molto più convenzionale del protagonista del ilm di Terry Gilliam. Arriva a Puerto Rico per lavorare in un giornale locale in lingua inglese, il San Juan Star e s’imbatte in una serie di personaggi che animano il neocolonialismo statunitense nell’isola caraibica. The rum diary non è proprio Paura e delirio a Puerto Rico, piuttosto è l’equivalente letterario di una di quelle storie che raccontano le origini di Il castello nel cielo un supereroe, una di quelle storie in cui si racconta in che modo un tipo più o meno ordinario si trasforma nell’eroico archetipo. L’evoluzione di Kemp in Hunter S. Thompson è preconizzata nel ilm in un modo che piacerà ai lettori affezionati a questo scrittore. A.O. Scott, The New York Times Ho cercato il tuo nome Di Scott Hicks. Con Zac Efron, Taylor Schilling, Jay R. Ferguson. Stati Uniti 2012, 101’ ●● ●●● A giudicare dalle follie che sono pronte a fare le adolescenti anche solo per intravedere Zac Efron, sembrerebbe che il nuovo ilm di cui è protagonista sia a prova di critica e destinato a dominare il botteghino. Se si aggiunge il dettaglio che la storia è tratta da un romanzo di un certo Nicholas Sparks, si potrebbe anche pensare di dare agli autori la licenza di stampare direttamente cartamoneta. Tutto questo probabilmente è riuscito a convincere Scott Hicks a dirigere il ilm, e anche se è improbabile che riesca a ritrovare la magia di Shine, il suo stile lirico ha sempre una discreta presa sul pubblico. Insomma, proprio come sembrano indicare le premesse, questo melodramma romantico ha tutte le carte in regola per soddisfare il suo pubblico (femminile) di riferimento. Efron è Logan, un marine Cesare deve morire Di Paolo e Vittorio Taviani (Italia, 76’) convinto di essere sopravvissuto in Iraq solo grazie a una foto, avuta per caso, di una ragazza bionda. Logan, tornato negli Stati Uniti, decide di trovarla per ringraziarla di persona. Il materiale romantico e lacrimoso da cui è tratto il ilm (è il settimo romanzo di Sparks ad arrivare sullo schermo, e non sarà l’ultimo) è elaborato nel modo più tipico possibile e tutto diventa incredibilmente prevedibile. Speriamo solo che questo ilm faccia guadagnare a Hicks abbastanza credito negli studios hollywoodiani da aidargli qualcosa di più sostanzioso. Ed Gibbs, The Sun-Herald Il castello nel cielo Di Hayao Miyazaki. Giappone 1986, 124’ ●●●●● Il fantasioso maestro giapponese Hayao Miyazaki prende spunto da un piccolo riferimento contenuto nei Viaggi di Gulliver per dare vita a una favola modernistica con un sottile messaggio ecologico che arriva al pubblico dopo due ore di un’avventura degna del migliore Indiana Jones. Pazu, un orfano che lavora in una miniera, ma ha sempre la testa tra le nuvole, s’imbatte in Sheeta, una misteriosa ragazza che è scesa lentamente dal cielo, proprio nelle braccia di Pazu. La loro avventura è solo all’inizio. Il castello nel cielo è molto migliore dei cartoni animati giapponesi che hanno invaso le tv dei ragazzi. Il mondo di Miyazaki, così pieno di colori e di vita, è sempre un po’ al di là del limite della realtà. I dettagli precisi sono ammorbiditi da nuvole e ombre, i suoi princìpi svelati più dalle azioni che dalle parole. Un ilm per tutti. Richard Harrington, The Washington Post (1989) Internazionale 945 | 20 aprile 2012 85 Cultura Libri Dalla Spagna I libri italiani letti da un corrispondente straniero. Questa settimana Salvatore Aloïse, del quotidiano francese Le Monde. Nicchia globale Fabio Bussotti Il cameriere di Borges Perdisa Pop, 291 pagine, 16 euro ● ● ● ●● Il commissario c’è. C’è anche un amico di Che Guevara, agente segreto e cameriere di Juan Jorge Borges. E in ballo ci sono pure un documento compromettente, che contiene i nomi dei veri genitori degli orfani del regime di Videla, e un racconto inedito dello scrittore argentino, con tanto di messaggio in codice da decifrare. Un po’ giallo, un po’ thriller, il nuovo romanzo di Bussotti, Il cameriere di Borges, nasce come soggetto cinematograico e forse un giorno sarà un ilm. Con produzione italoargentina, visto che la storia si dipana tra un quartiere di Roma, l’Esquilino, e i barrios di Buenos Aires, con vicini di casa che spariscono, sparatorie, inseguimenti, antiquari improbabili e vecchi cafè pieni di fascino. Ma l’ingrediente che fa volare via le pagine è il commissario Flavio Bertone che torna dopo la sua apparizione in L’invidia di Velàzquez. Molisano trapiantato nella capitale, un po’ depresso, un rapporto non del tutto risolto con l’ex moglie, un nuovo amore carnale con una prosperosa spagnola e un vago desiderio di paternità. Sarà per le sue debolezze ma lo si sente vero. Sembra quasi di averlo già incontrato, lungo il suo percorso da abitudinario, tra il ristorante cinese del quartiere e la scuola multietnica Di Donato. Viene voglia di ritrovarlo presto in un’altra non-inchiesta. 86 Una casa editrice andalusa di ebook pubblicherà testi che parlano di un solo argomento: il lamenco Rocío Navarro è iglia di due professori universitari e sicuramente ha una certa familiarità con i libri. Il modo in cui ha deciso di guadagnare con i libri, però, dimostra anche che è una iglia del suo tempo. Ha fondato una casa editrice, e in qui niente di strano. Pubblicherà e venderà solo ebook, libri elettronici. Il suo progetto si chiama Libros con Duende e sarà specializzato su un unico argomento, il lamenco. L’idea è quella di vendere libri in tutti gli angoli del pianeta, sfruttando la popolarità e la difusione globale di un patrimonio della regione andalusa. Il lamenco, appunto. Libros con Duende MIGUEL ANGEL MoRENATTI (AP/LAPRESSE) Italieni nasce dopo una ricerca che Navarro, laureata in statistica, ha condotto in un certo numero di librerie. Il suo sito non esclude la possibilità di stampare libri su richiesta, mentre mette immediatamente a disposizione i volumi in ogni parte del mondo. Quanto alla scelta dell’argomento, quella è stata la decisione più semplice: “Il lamenco è la nostra passione, è il genere che conosciamo meglio”. In poche parole, sul lamenco librosconduende.es non ha rivali. El País Il libro Gofredo Foi Il destino della natura Franco Ferrarotti Atman. Il respiro del bosco Empirìa, 112 pagine, 16 euro Racconto, cultura, pensiero, è una strana piccola serena memoria o quasi-conferenza (o cicalata) intorno alla propria vita presa nel suo ritmo essenziale, dentro e fuori la storia e rilettendo da ilosofo sulla natura e sul suo destino attuale, quella che un sociologo di fama e di talento ha scritto a 85 anni per una piccola casa editrice che pubblica poeti. E certamente non stona tra i libri di poesia se Internazionale 945 | 20 aprile 2012 parte da Le opere e i giorni capolavoro in versi di Esiodo su proprietà e ritmo della natura e dall’immagine di se stesso bambino, iglio di contadini piemontesi che ragiona su una pietra di mica usata come amuleto, contatto con l’alterità e vicinanza della natura. La sociologia italiana è nata rurale a sud (Rossi-Doria) e industriale a nord (Pizzorno) e ha trovato nell’olivettiano Ferrarotti un luogo in cui campagna e città si sono incrociate, in epoca di scontri e di incontri, ma oggi la natura è inita addomesticata (radicalmente violentata) e l’industria ci ha abbandonati al dominio di tecnica e comunicazione. Tra ricordo e presente, vissuto e teoria, ricordi “bassi” e citazioni “alte” e pregnanti, è l’amore per la natura ad avere il predominio. Che è qui amore per gli alberi, per la vita vegetale a cui si sogna di tornare, nel ciclo dell’esistenza più profonda (“l’anima”, l’atman, il respiro) tramutandosi come nei miti in albero, in quercia e bosco. u I consigli della redazione Julie Otsuka Venivamo tutte per mare (Bollati Boringhieri) Il romanzo Johanna Skibsrud I sentimentali Fandango, 250 pagine, 16,50 euro ● ● ● ●● I sentimentali, il romanzo di debutto di Johanna Skibsrud, è una cupa storia sui fantasmi mentali della guerra e sulla natura inaidabile della memoria. Skibsrud è una poetessa, e si sente chiaramente nella sua prosa, che procede per segmenti, prima lenta poi veloce, con grande precisione e senso del ritmo. Il libro lascia spazio alla rilessione, alle evoluzioni di pensiero e di parola, più che alla trama e allo sviluppo dei personaggi. C’è una grande attenzione per l’aspetto e il suono delle cose, e questo è uno dei punti di forza del romanzo. L’autrice è in grado di catturare i momenti della vita in cui ci si ferma a rimuginare sul senso del dolore, sullo scopo della famiglia e il concetto di casa. Per la giovane narratrice, trapiantata ogni anno di luogo in luogo quando era bambina, c’è un solo posto che possa ancora chiamare casa: quella di Casablanca, Ontario, in cui vive Henry, il cui iglio è morto mentre combatteva a ianco del padre di lei, Napoleon, nella guerra del Vietnam. Napoleon è il personaggio più riuscito del romanzo: un burbero ubriacone dal cuore d’oro che non si è mai ripreso appieno da un incidente che ha avuto in guerra e di cui non parla mai, basato su quello capitato davvero al padre di Skibsrud in Vietnam nel 1967. La narratrice non ha nome, non sappiamo molto di lei, a COLIN MCCONNeLL (ZUMA PreSS/COrBIS) Le ferite del padre Johanna Skibsrud eccezione delle parti in cui cerca si svelare i segreti del padre prima che lui muoia, per tentare di capire le sue scelte di genitore. Al centro del romanzo c’è la storia di Napoleon, lo conosciamo soprattutto attraverso gli occhi della iglia e tramite i lashback di altre persone che rievocano la guerra e la vita di Henry da giovane. Come molte opere prime, I sentimentali può sembrare a tratti un puledro insicuro, con momenti di eccezionale bellezza e altri in cui la prosa fatica a trovare l’equilibrio sulle sue gambe nuove. I lettori possono amare le frasi infarcite di aggettivi e congiunzioni, o trovarle ridondanti ed esagerate. Il libro avrebbe potuto trarre vantaggio da un editing più rigoroso. Altre volte Skibsrud dipinge la scena con incantevole precisione. Tutto sommato, è un debutto promettente e un bellissimo omaggio alla relazione tra padre e iglia. Zoe Whittall, The Globe and Mail Annie Zaidi I miei luoghi (Metropoli d’Asia) Agata Tuszynska Wiera Gran. L’accusata Einaudi, 336 pagine, 20 euro ●●●●● Puoi essere ebrea, sopravvissuta al ghetto di Varsavia, piangere la tua famiglia morta nelle deportazioni e, dopo tutto questo, vivere una vita impossibile per colpa di un’accusa che corre di bocca in bocca: l’accusa di collaborazionismo. È la storia tragica della cantante polacca Wiera Gran. Il libro di Agata Tuszynska è una ricerca (della verità), un’inchiesta (su un’epoca, un mondo), una raccolta di testimonianze (dell’eroina, dei sopravvissuti), un racconto di vita e una creazione romanzesca. L’autrice mira a calare il lettore nel punto di vista della vittima, così da fargli provare che non ha il potere di giudicare. Wiera Gran è nata in Polonia nel 1916 ed è morta a Parigi nel 2007. Aveva la bellezza di Greta Garbo e una voce da Marlene Dietrich. A 23 anni, già famosa, canta nel ghetto, accompagnata dal pianista a cui Polanski ha dedicato un ilm. Per chi canta? Nella sala ci sono traicanti, informatori della Gestapo, forse anche tedeschi. Wiera sopravvive alla tragedia, e qui comincia il suo destino, all’ora dei regolamenti di conti. Alcuni testimoni l’accusano, altri ritrattano, altri la elogiano. I processi la assolvono dalle accuse. Ma i suoi spettacoli sono boicottati in Israele, e lei non ha nessuno a difenderla. Agata Tuszynska ha lavorato dieci anni per conoscere la sua eroina, dal ghetto ino a Parigi dove l’ha incontrata. Il suo racconto mescola tutto: la giovane cantante in pericolo, la donna matura che si difende in tutto il mondo, la vecchia signora in delirio di persecuzione. Alice Ferney, Le Figaro Oliver Adam Il cuore regolare (Barbès) Judy Budnitz L’altro colore dell’inverno Alet, 304 pagine, 16 euro ●●●●● Il primo romanzo di Judy Budnitz non è la tipica storia dell’arrivo in America. Il viaggio dal vecchio al nuovo, raccontato migliaia di volte, nelle sue mani diventa magico. L’altro colore dell’inverno è una sorta di favola su Ilana, un’audace ragazza europea, nata in campagna. Infelice con la madre feroce e prepotente, fugge via una notte per crearsi una vita sua. Mentre arranca verso la libertà, il mondo che Ilana incontra è una strana mescolanza di fantasia e dura realtà. La ragazza è costretta a fare sesso con un soldato subdolo e vede il suo villaggio ridotto a “una cicatrice nera nella neve” prima che Shmuel, il suo futuro marito, la porti con sé in America. Ilana è una narratrice afascinante, al punto che anche i suoi racconti più farseschi suonano veri. Nella seconda metà del romanzo, tuttavia, quando la iglia, la nipote e la pronipote raccontano le loro storie di vita, perino i fatti più elementari della narrazione di Ilana sembrano essere messi in discussione. Si resta con il brivido delizioso di essere stati raggirati da una maestra dell’afabulazione. Nora Berkley Krug, The New York Times David Monteagudo Fine Guanda, 343 pagine, 18 euro ●●●●● Nove personaggi si riuniscono in un rifugio montano della Spagna profonda per passarvi un ine settimana e mantenere una fumosa promessa fatta 25 anni prima. Sette sono amici da quell’epoca, e a questi si aggiungono la giovane moglie di uno di loro e la prostituta che Internazionale 945 | 20 aprile 2012 87 Cultura Libri François Vallejo Le sorelle Brelan Del Vecchio, 256 pagine, 14,50 euro ● ● ●●● La storia comincia alla ine della seconda guerra mondia- le. Gli zii delle sorelle Brelan, minorenni e orfane, annunciano che le prenderanno sotto la loro tutela, ma questo non piace alle interessate. Quel giorno stesso Marthe, la primogenita, festeggia i suoi ventun anni ed entra legalmente nella maggiore età. Decide, con il loro accordo, di farsi carico delle sorelle minori: le Brelan vogliono sbrigarsela da sole nella vita. Il padre, Louis, dirigeva uno studio di architetto, e Marthe si fa assumere come segretaria. Quando, malata, è mandata in un sanatorio, Sabine le succede. Ossessionata dal successo e dai soldi, sposa presto un ricco imprenditore tedesco. Al contrario di Sabine, Judith, la più piccola, sogna un destino e un amore che siano fuori del comune. E s’innamora di un criminale.Marthe la materna, Sabine l’arrivista, Judith l’utopista: François Vallejo ha composto tre ritratti contrastati e accattivanti. Claire Julliard, Le Nouvel Observateur Ersi Sotiropoulos Il sentiero nascosto delle arance Newton Compton, 249 pagine, 9,90 euro ●●●●● Non è facile morire d’estate: nella sua stanza d’ospedale, Lia pensa alla vita che se ne va. Suo fratello Isidoros, “Sid”, è uno scapolo nottambulo che vive con un merlo indiano. Lia sorride di questo fratello minore che non sa combinare nulla di buono. Ma ecco che si presenta a Sid un’occasione per rendersi utile. Nel piano d’ospedale dove è ricoverata Lia lavora un infermiere che la donna non sopporta, e contro cui vuole vendicarsi con l’aiuto del fratello. Ersi Sotiropoulos costruisce una specie di labirinto a più piani, in cui si va a zigzag tra Atene e la campagna, e tra diferenti età. Sotiropoulos riesce a far perdere il lettore nel garbuglio della storia che ha un unico ilo conduttore: la solitudine. Rose Sean James, Libération Non iction Giuliano Milani Occupai. E poi? Scrittori per il 99% Occupy Wall Street Feltrinelli, 224 pagine, 14 euro; A cura di Janet Byrne The Occupy handbook Black Bay, 535 pagine, 9 euro Mentre negli Stati Uniti e altrove continua la lotta, in libreria cominciano ad arrivare i primi bilanci dell’esperienza di Occupy Wall street. Per chi è interessato a conoscere la genesi del movimento c’è Occupy Wall Street, una raccolta di testimonianze degli attivisti sull’avvio e i primi passi della protesta. 88 Per quanti invece vogliono capire quale sia la posta in gioco del movimento e rilettere in un orizzonte più largo sui problemi sollevati, è più utile The Occupy handbook, una raccolta di 66 interventi brevi e incisivi in cui i pareri dei pensatori che hanno animato la protesta (come Lewis e Graeber) si alternano a quelli di economisti (come DeLong o Krugman), scienziati sociali e antropologi (come Appaduraj) e scrittori (Solnit o Dorfman), dando complessivamente un’immagine ricca e sfaccet- Internazionale 945 | 20 aprile 2012 tata di cosa sappiamo sull’ineguaglianza, i suoi pericoli e i modi per evitarla. Centrato sugli Stati Uniti, ma aperto al resto del mondo, il libro ha il merito di mettere insieme prospettive che spesso sono tenute separate e, pur mostrando una pluralità di posizioni talvolta in contrasto, rivela che tutto sommato è chiaro non solo come siamo arrivati a questa crisi inanziaria e cosa questa stia provocando nella vita delle persone, ma anche come se ne potrebbe uscire. u Australia BASSO CANNArSA (BLACKArChIVES) un altro ha ingaggiato perché facesse inta di essere la sua idanzata. L’ultimo componente di questa riunione di dieci persone che inirà in tragedia è l’uomo che ha organizzato tutto: Andrés il Profeta, che ino alla ine non conosceremo se non tramite allusioni. Paralizzati da un black out, i “dieci piccoli indiani” di Monteagudo cominciano ad addentrarsi in un territorio sempre più incerto e apocalittico, su cui incombe la presenza sfuggente del Profeta. L’angoscia suscitata da Fine si accentua quando avvertiamo che c’è un undicesimo personaggio. È il narratore, trasformato in una sorta di spia. Mauricio Montiel Figueiras, Letras Libres Peter Carey The chemistry of tears Faber & Faber Catherine, esperta di orologi in un museo, è incaricata di rimettere in sesto un uccello automatico del novecento e s’immerge in una storia misteriosa. Carey è nato nello stato di Victoria nel 1943. Fiona Higgins The mothers’ group Allen & Unwin Un gruppo di neomamme si incontra sulle spiagge a nord di Sydney per darsi sostegno: un’avvocata in carriera, una single alternativa, un’ex manager, un’emigrata sposata a un anziano, una psicologa e una che lavora nell’editoria. Patrick White The hanging garden Random House Durante la seconda guerra mondiale due orfani si rifugiano in un giardino sul golfo di Sydney. romanzo incompiuto di Patrick White (1912-1990), l’unico scrittore australiano a vincere il Nobel, nel 1973. Neil Grant The ink bridge Allen & Unwin L’amicizia tra due ragazzini: Omed, afgano rifugiato in Australia, e hector, australiano, che lavora in una fabbrica di candele. Nato a Glasgow, Grant vive in Australia da quando aveva 13 anni. Maria Sepa usalibri.blogspot.com Ricevuti Fumetti Il capitano sfortunato Paolo Bacilieri Sweet Salgari Coconino press/Fandango, 156 pagine, 17,50 euro Un capitano mai veramente capitano. Gli studi al Regio istituto tecnico e nautico Paolo Sarpi di Venezia, infatti, non gli valsero la licenza. Cavaliere invece sì. Fu però solo un’onoriicenza, anche se di alto prestigio, visto che la proposta di insignirlo del titolo di Cavaliere dell’ordine della corona d’Italia venne dalla regina Margherita in persona. Molta gloria per il noto scrittore Emilio Salgari che quasi mai riuscì a viaggiare. La sua vita e quella della moglie e dei igli, furono invece una tragedia continua. La spensieratezza e la meraviglia che creavano le sue opere erano proporzionali ai dolori personali, acuiti dalla grande ingenuità di Salgari e dalla grave mancanza di scrupoli da parte degli editori nello sfruttarne il talento. Paolo Bacilieri, noto per i suoi fumetti non sense a cominciare dalla costruzione delle tavole, propone una biograia lineare malgrado i continui salti temporali, pregnante nella sua leggerezza di tono e scorrevolezza di lettura. Come in Salgari. Bacilieri ci accompagna nell’ultimo giorno di vita dello scrittore ino al suo incredibile suicidio (anche nelle modalità), non inserendo frammenti visivi delle sue opere, ma frammenti scritti, che fanno da contrappunto e complemento ai luoghi di quella banale quotidianità che lo scrittore si appresta ad abbandonare. Si opera un miracolo: i frammenti scelti dell’immaginario sono perfetti per commentare quei luoghi reali, spesso proletari, e i luoghi scelti perfetti per far sognare assieme ai testi. Le due opposizioni della vita di Salgari trovano inalmente la loro unità. Una rilessione vera. Francesco Boille Francesca Caferri Il Paradiso ai piedi delle donne Mondadori, 164 pagine, 17 euro Francesca Caferri ci guida in un viaggio nel mondo musulmano, visto attraverso gli occhi femminili. Dall’Arabia Saudita al Marocco, dal Pakistan allo Yemen. dalla minoranza che non ruba, non paga né riceve tangenti. Ali Al-Muqri Il bell’ebreo Piemme, 148 pagine, 10 euro E se Giuletta e Romeo fossero vissuti nel 1600 in Yemen? La storia d’amore tra Fatima, musulmana, e Salem, ebreo. Massimo Fini La guerra democratica Chiarelettere, 289 pagine, 14,90 euro I principali interventi e articoli di Massimo Fini sulla inzione dei cosiddetti interventi umanitari. Un viaggio lungo vent’anni, dalla prima guerra del Golfo alla guerra eterna in Afghanistan. Luciano Ligabue Il rumore dei baci a vuoto Einaudi, 163 pagine, 15 euro Ci sono molti tipi di amore, in queste storie. Nessuno facile. Monica Rufato e Massimo De Marchi Veneto e nuvole Cleup, 219 pagine, 13 euro Cosa sta cambiando del territorio Veneto e cosa resta inalterato? Come lo vivono i giovani? Come stanno cambiando i nostri paesaggi? David E. Cooper Una ilosoia dei giardini Castelvecchi, 182 pagine, 19,50 euro Dato l’entusiasmo per i giardini nella civiltà umana antica e moderna, orientale e occidentale, è sorprendente che la questione sia stata così a lungo trascurata dalla ilosoia. Armando Massarenti Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi conviene Guanda, 131 pagine, 12 euro Per rovesciare la tendenza generale e imporre nuovi comportamenti si deve ripartire Georges Castellan Storia dell’Albania e degli albanesi Argo, 219 pagine, 19 euro La storia dell’Albania dall’occupazione romana alla separazione dal Kosovo. Dario Fo, Giuseppina Manin Il paese dei misteri bui Guanda, 208 pagine, 15 euro Giuseppina Manin ha proposto a Dario Fo di ripensare ai tanti altri “misteri”, pochissimo bui ma terribili e grotteschi, che in questo mezzo secolo hanno scosso l’Italia. Carlos Alberto Montaner La moglie del colonnello Edizioni a Nord Est, 215 pagine, 15 euro La storia di un adulterio e delle sue conseguenze. Montaner approitta di un tema universale come l’adulterio per analizzare la repressione della sessualità a Cuba. Esmahan Aykol Divorzio alla turca Sellerio, 213 pagine, 14 euro Nel suo terzo caso, l’avventurosa libraia di Istanbul, Kati Hirschel, indaga sul presunto omicidio della moglie del rampollo di una delle casate più in vista del paese. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 89 Cultura Musica Dalla Gran Bretagna Peter Kernel Segrate (Mi), 26 aprile, circolomagnolia.it; Genova, 27 aprile, magazzinigenerali.it Folk ma poco dolce The Maccabees Firenze, 25 aprile, viperclub.eu; Bologna, 26 aprile, estragon.it; Ciampino (Rm), 27 aprile, orionliveclub.com Om Bologna, 22 aprile, locomotivclub.it; Roma, 23 aprile, circoloartisti.it; Milano, 24 aprile, tunnel-milano.it Asteroid Galaxy Tour Milano, 25 aprile, magazzinigenerali.it; Bologna, 26 aprile, locomotivclub.it; Roma, 27 aprile, circoloartisti.it Arriva il primo album di Beth Jeans Houghton Siamo in un bar di Londra e io faccio la mia domanda più scomoda: è vero che lei parla con Marc Bolan, il cantante dei T. Rex, morto nel 1977? “Ma no, non è lui che parla, sono io che parlo con la sua voce! Sarebbe bello avere un amico come Marc. Così lo uso un po’ come si fa con una nonna inta”. Una che? “Una nonna inta! Una nonna che non è davvero la tua. Io ne avevo una, era una persona importante per me. Ora è morta, ma ci parlo lo stesso”. Viviamo in un’epoca di musicisti pop che dicono solo cose DAVID CHAVANNES Dal vivo Beth Jeans Houghton ovvie, quindi è un piacere avere una conversazione come questa. Houghton – nata a Newcastle upon Tyne 22 anni fa – ha appena pubblicato il suo primo vero album, Yours truly, cellophane nose, un disco straordinario per una voce atletica. L’anno scorso ha avuto una storia con Anthony Kiedis dei Red Hot Chili Pep- per, ed è stata vista in giro con Neil Young: “I miei amici a Los Angeles sono amici e basta”. Parlare con lei signiica incontrare una ragazza normale, e tra un cafè e una sigaretta iniamo a chiacchierare di Starsky e Hutch, di vecchi dischi e della sua musica. L’unica cosa che la irrita è l’etichetta che le hanno appioppato di cantante nu-folk. “Wikipedia diceva che sono un’interprete di folk dolce e gradevole, così sono andata a cambiare il testo. Mi hanno bloccato perché, mi hanno detto, non potevo toccare il proilo di una persona che non conoscevo. Mah…”. Pat Gilbert, Q The Twilight Sad Torino, 23 aprile, spazio211.com Black Van Roma, 27 aprile, laniicio159.it Spoek Mathambo Milano, 27 aprile, thisisplastic.com; Torino, 28 aprile, spazio211.com; Foligno (Pg), 29 aprile, serendpt.it; Roma, 30 aprile, brancaleone.eu Kristof Hahn, Michael Gira Ravenna, 27 aprile, bronsonproduzioni.com Asteroid Galaxy Tour 90 Playlist Pier Andrea Canei Provincia di Vudù VeneziA Dolce è la sera Alcuni western nascono nei garage della profonda provincia palermitana; nell’aria il puzzo di gomme bruciate e nella memoria robe scritte da Giorgio Vasta. La musica di questo trio a sonagli, raccolta nell’album La culla, è come la migliore musica del peggiore western di tutti i tempi, con pistoleri di risulta e pugnalate alla milza, tra Tom Waits e certa edilizia “einstürzende Neubauten” molto Zen. Armonica a bocca e blues, colla e raucedine, tastiere lucertole e batterie calcinate; e in Andrea Venezia si sente tutta una comica maledizione d’esistere. 1 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Offlaga Disco Pax A pagare e morire… Fare il freelance della riscossione aitto a casa di un indigente disperato aggressivo. Finire picchiato. Considerare l’opportunità di aprire una posizione Inail per un mestiere usurante: “scudo umano della classe media”. Una delle storie di Gioco di società, più che un album un suadente, straniante audiolibro di gente da Reggio Emilia (“Questa città inutilmente bella, questa città zitella”: Arturo Bertoldi, citato qui). Sfondi di economica elettronica per frammenti di vite diroccate e umili epifanie; letteratura di accessi negati e scalate sinite. 2 L’Orso Con i chilometri contro Sociopatia e banjo, ritorni a casa, titoli di Tuttosport. La provincia uccide, o almeno mette sete. Mattia Barro da Ivrea versa birra in un nome da band, si stordisce al Magnolia, scrive canzoni intelligenti (le gote fanno rima con Goethe). Sulla complanare che da Brunori Sas va verso Sujan Stevens apre un cantiere, insegue un mare di idee. Bisogna crederci, pedalare folk e inserire i iati da qualche parte e trovare posti dove suonare e ofrire download dal sito di Garrincha records (adesso, l’ep La domenica). Una leggerezza profonda che esce alla distanza. 3 Jazz/ impro Scelti da Antonia Tessitore Franco D’Andrea Traditions and clusters (El Gallo Rojo) Ma a dare fuoco alle polveri è soprattutto la stupenda voce della ventiduenne Brittany Howard, grezza come la carta vetrata. Una voce potente e dinamica che giustiica i para goni con Tina Turner, Aretha Franklin e Janis Joplin. Hermione Hoby, The Observer Chromatics mente un tentativo di amplia re il loro pubblico internazio nale. Ma con tutti questi ospiti è quasi inevitabile che non funzioni troppo bene, distrug gendo il particolarissimo equilibrio della coppia, che è capace di renderli speciali. Peter Kane, Q Rock Alabama Shakes Boys & girls (Rough Trade) ●●●●● Gli Alabama Shakes sono un gruppo doppiamente raro, perché si sono scelti un nome appropriato e perché hanno dimostrato di meritare tutta la pubblicità che hanno. I com ponenti del quintetto sponso rizzato da Jack White vengono da una piccola cittadina dell’Alabama e la loro musica provoca alle orecchie e al cor po degli ascoltatori tutto quel lo che ci si aspetterebbe da un gruppo che riscopre le radici del soul rock più rumoroso. Elettronica John Foxx The shape of things (Metamatic) ●●●●● Trentacinque anni fa Dennis Leigh, meglio noto come John Foxx, inventò il synthpop con gli Ultravox. Ora torna con The shape of things, frutto della collaborazione con la band The Maths e in particolare con il giovane musicista e produt tore Ben “Benge” Edwards. Per molti versi è il miglior al bum di Foxx dai tempi di Metamatic, il suo debutto solista del 1980, una pietra miliare dell’elettronica. Questo per ché Foxx, come i suoi compa gni di viaggio Gary Numan e David Sylvian, non si è mai la sciato intrappolare nel circui to dei nostalgici degli anni ot tanta, ma anche perché i sin tetizzatori non passano mai di moda. Il loro suono è ancora avanti, come lo era nel 1980. E Foxx ne è ancora un interprete fantastico. Garry Mulholland, Bbc Colonne sonore PURPLE SNEAKERS Amadou & Mariam Folila (Because) ●●●●● Il supporto di Manu Chao e Damon Albarn aveva trasfor mato Amadou & Mariam nell’esportazione africana più redditizia degli ultimi dieci anni. Ora arriva il loro nuovo album, registrato un po’ in tra sferta a New York e un po’ in casa a Bamako, con la parteci pazione, tra gli altri, di Santi gold, musicisti da Tv On The Radio e Scissor Sisters, e del controverso rocker francese Bertrand Cantat. È chiara ROLLING TUFF Pop Chromatics Kill for love (Italians Do It Better) ●●●●● Il quarto album dei Chroma tics è la colonna sonora di una gita in una squallida metropo li occidentale. Ugualmente strutturato su momenti cupi ed enigmatici ma anche lumi nosi e raggianti, ricorda i pri mi lavori del regista John Car penter come compositore, un debito ammesso anche da Jo hnny Jewel, polistrumentista della band. Già nel pezzo di apertura Into the black, cover inaspettata di Hey hey, my my (Into the black) di Neil Young, la sensazione resta quella di ritrovarsi nei titoli di testa con Kurt Russell. Il minimalismo è una scelta che percorre tutti i novanta minuti dell’album, mantenendo sempre un equi librio, come in una partita a ping pong tra luce e ombra. Je wel riesce qui a esprimere tut te le sue idee e i suoi suoni, reinventando l’italo disco e il modo di avvicinarci all’elet tronica, un genere che ha bi sogno di autori. Lui lo è. Michael Rofman, Consequence of Sound Guano Padano 2 (Tremolos) Alabama Shakes Teho Teardo Music, ilm. Music (Specula) ●●●●● Teardo fa parte della nuova le va dei compositori italiani di colonne sonore, e può davvero camminare sul sentiero trac ciato dai maestri a cui s’ispira. Questa è una compilation del Elton Dean’s Ninesense The 100 Club concert, 1979 (Reel Recordings) le sue colonne sonore più re centi ed è afascinante. La musica è profonda, non artii ciosa e molto moderna (nel senso che l’autore mescola be ne tecniche vecchie e nuove). Teardo ha un grande orecchio per la melodia e gli arrangia menti e qua e là è capace di colpire all’improvviso con qualcosa di molto inatteso, come un pezzo classico che suona come fosse reggae. Il suo lavoro non solo si può ac costare a quello dei grandi maestri italiani degli anni ses santa, ma c’è anche qualcosa del Gainsbourg più malizioso. L’unica traccia che non con vince è una specie di triphop, ma il resto è talmente buono che perdonarlo è facile. Record Collector Classica Yury Martynov Beethoven/Liszt: sinfonie n. 2 e 6 Yury Martynov, piano (Zig-Zag Territoires) ●●●●● Il pianoforte che Martynov ha scelto per questo disco è un Érard del 1837, l’anno nel qua le Liszt si appropriò amorevol mente della Pastorale di Bee thoven. Per la formidabile va rietà dei colori e la ricchezza dei piani sonori che permette di creare, è uno strumento che sembra lanciare la sida della trascrizione dell’orchestra. I suoi timbri fruttati, un po’ aci duli, e le sue risonanze si of frono spontaneamente alla Pastorale, al suo spettacolo della natura e ai suoi lunghi pedali armonici. Martynov gestisce alla perfezione i con trasti dinamici, fa borbottare i contrabbassi e cantare i iati. Non s’era mai sentito nulla di simile. Laurent Marcinik, Diapason Internazionale 945 | 20 aprile 2012 91 Cultura Video In rete Pourquoi t’y crois? Negri de Roma Domenica 22 aprile, ore 21.00 Babel Il documentario di Sabrina Varani prende il titolo da un cd realizzato da Indelebile inchiostro, un gruppo di musicisti rap di origine africana che vivono a Roma. Bat, Diamante e Aceto cantano in italiano, tra nuova identità culturale e conservazione delle loro radici. Page One Domenica 22 aprile, ore 21.15 Rai5 Dopo l’anteprima italiana a Internazionale a Ferrara e il tour con Mondovisioni, alla vigilia dell’uscita in dvd, la prima tv del documentario di Andrew Rossi sul presente e il futuro del giornalismo visti dalla redazione del New York Times. Così mangiavano Domenica 22 aprile, ore 23.00 Rai Storia Cinquant’anni di trasformazioni sociali del nostro paese attraverso il cibo e le abitudini culinarie. La storia privata della famiglia di una delle registe si mescola alla cronaca di mode e consumi, dalla fame del dopoguerra a oggi. 25 aprile. La memoria inquieta Mercoledì 25 aprile, ore 18.00 Rai Storia Documentario realizzato da Guido Chiesa e dallo storico Giovanni De Luna nel 1995, sulle celebrazioni del 25 aprile nell’Italia del dopoguerra. La voce Stratos Venerdì 27 aprile, ore 23.00 Rai Storia Ritratto di Demetrio Stratos, cantante prima del gruppo dei Ribelli, poi tra i fondatori degli Area, dove ainerà la sua ricerca espressiva sull’uso della voce come strumento. 92 Dvd Passaggio in Svizzera Mentre Vol spécial, secondo capitolo del lavoro di Fernand Melgar sull’immigrazione in Svizzera, raccoglie allori nei festival, esce in Francia il dvd di La forteresse del 2008, realizzato grazie al permesso di ilmare per la prima volta all’interno di un centro di accoglienza. Nel 2006 gli elettori elvetici hanno votato per una nuova procedura di richiesta di asilo, rendendola più severa e impermeabile. Senza commenti o interviste, ci immergiamo nell’attività quotidiana di un luogo di transito e reclusione da cui dipende il destino di centinaia di persone che vi approdano illudendosi di aver trovato la loro meta. laforteresse.ch pourquoitycrois.com Le elezioni politiche francesi arrivano al culmine di una lunga campagna dominata dal confronto tra Sarkozy e Hollande. Pourquoi t’y crois? ha seguito da settembre 2011 sei giovani militanti, impegnati nelle campagne dei partiti principali: oltre al Ps e all’Ump, il Modem di François Bayrou, il Front national di Marine Le Pen, il Front de gauche di Jean-Luc Mélenchon e i verdi dell’Eelv. Diversi video documentano le loro attività, la dedizione alla politica in generale e alle cause dei singoli gruppi, per scoprire le motivazioni della militanza e raccontare la campagna dal basso, attraverso la fatica quotidiana dei volontari invece che attraverso i comizi dei leader. Fotograia Christian Caujolle Mantenere il controllo Abbiamo già parlato dei software che, sfruttando la nostalgia per la fotograia di una volta, permettono di fare “vecchie foto con nuovi apparecchi” e di dare quindi un aspetto vintage (con una certa predilezione per le Polaroid) alle immagini digitali scattate con apparecchi moderni, telefoni cellulari e altro. Facebook, che dietro la maschera del social network è diventato il più grande circuito di difusione delle immagini, ha appena acquistato Instagram per oltre un Internazionale 945 | 20 aprile 2012 miliardo di dollari: un’azienda con una quindicina di dipendenti che non ha fatturato. Perché sborsare una cifra del genere per un’azienda vecchia di 550 giorni che vale forse la metà della cifra pagata da Facebook? Prima di tutto perché Facebook vuole che gli utenti di telefoni cellulari siano dipendenti dal social network e facciano ogni cosa attraverso le sue pagine. E quindi anche il ritocco delle immagini secondo la moda del momento. I due creatori di Insta- gram avevano appena lanciato la loro applicazione anche per Android recuperando un milione di utenti che usavano il sistema sviluppato da Google per i telefoni cellulari. E poi, e soprattutto, perché il mercato dell’immagine è senz’altro uno dei più interessanti, a livello economico. Non tanto per quello che riguarda i contenuti, ma senz’altro per quello che riguarda il controllo delle reti. In ogni caso ci sono due nuovi milionari contenti – e sorpresi – in circolazione. u Un giardino pieno di vita I giardini tascabili di Eugea. Tre kit di semi per avere fiori e un piccolo orto sul tuo balcone l’orto giardino Semi di pomodoro ciliegia, pisello rampicante, lattughine da taglio, calendula, per creare un piccolo angolo di campagna. il giardino degli insetti utili Semi di 4 varietà diverse: calendula, coreopsis tintoria, facelia e pisello odoroso. Seminare da aprile ad agosto. il giardino delle farfalle Semi di piante molto gradite alle farfalle adulte: cosmos bipinnatus, facelia, finocchio selvatico e zinnia. Seminare da maggio ad agosto. shop.internazionale.it Cultura Sculture nel parco Antony Caro, ino al 1 luglio, chatsworth.org Caro è stato l’avanguardia dell’arte britannica per più di mezzo secolo. Le sue sculture astratte, spesso saldate insieme da consistenti pezzi d’acciaio, emanano un’aura da industria pesante. L’ultimo posto dove ci si immagina di trovarle è la Chatsworth house, la residenza barocca dei duchi di Devonshire. Per i prossimi tre mesi 15 sue sculture saranno ospitate nel meraviglioso parco disseminato di statue, urne ed eleganti fontane. Le sculture di Caro sono tutt’altro che decorative. Possono essere poetiche, ma mai miti o gentili. Alla ine del lago ci sono alcuni pezzi degli anni sessanta, quando Caro sottrasse la scultura al piedistallo e cominciò ad assemblare rottami. Capital s’impone con il suo arancione brillante e i bordi frastagliati. The Daily Telegraph Un futuro radioso Per celebrare, a modo suo, il primo anniversario dell’incidente alla centrale di Fukushima, a marzo, lo street artist francese Combo si è introdotto nell’area di Cernobyl. Il sito, controllato da agenzie ucraine, è stato aperto ai turisti l’anno scorso, ma l’artista l’ha visitato senza autorizzazione riuscendo a raggiungere indisturbato la zona interdetta. Combo ha aisso una serie di immagini promozionali dell’industria nucleare sul sito e nella città di Cernobyl. Un lavoro dirompente. Sullo sfondo delle rovine della centrale ha messo anche un’immagine sorridente dei Simpson per affrontare la realtà di questo luogo e il futuro radioso che ci prospetta. Libération HAnS-Peter FeLDmAnn Arte David, 2006 Londra Vernacolare spettacolare Hans-Peter Feldmann Londra, ino al 3 giugno, serpentinegallery.org Die Toten, la morte, è un libro tascabile di fotograie dell’artista tedesco Hans-Peter Feldmann. È un indice cronologico dei decessi registrati su tutti i fronti durante gli anni del terrorismo in Germania. Il libro è una raccolta di immagini ritagliate dai giornali e dalle riviste del tempo, riprodotte a buon mercato in bianco e nero, una per ogni pagina, con il nome della vittima, la data di morte e una croce nera accanto. Questo piccolo triste me- moriale, che registra il periodo storico con totale assenza di sentimento, è una delle opere più semplici di Feldmann. La sua impaginazione povera mette in evidenza la violenza e la futilità delle morti. Anche se questa struttura è tipica della maggior parte delle sue opere, la sua narrativa lineare è meno ambigua di molte altre, fatte con centinaia di immagini vernacolari prese da qualsiasi fonte iconograica: riviste, pacchetti di sigarette, album di famiglia, libri per bambini, fotograie scattate dall’artista. Per oltre cinquant’anni Feldmann ha mantenuto questa formula, un miscuglio di immagini sparse assemblate in serie o a caso e pubblicate in libri. Il suo lavoro, che afonda le radici nel dadaismo, è sopravvissuto a pop, concettualismo, postmodernismo e neorealismo, mantenendo un legame con ciascun movimento. In un’epoca in cui le strategie di mercato degli artisti sono molto evidenti, Feldmann non ha mai messo un limite alla tiratura delle sue opere né le ha mai irmate. Financial Times Internazionale 945 | 20 aprile 2012 95 Pop Camminare è politica Will Self a donna vaga per le strade della città. I braccia. “Scusa il ritardo”, ansima lei, perfettamente suoi occhi, incapaci di mettere a fuoco, consapevole dei suoi tre chili di troppo. “La metro è lonassorbono a tratti una confusione di pa- tana chilometri”. Di fatto, ha percorso esattamente rallelogrammi grigi, marroni e rossi, che 723 metri. Mi auguro che questo venga considerato per quello lei, pur consapevole del loro peso immenso, percepisce inconsistenti come che è: una descrizione lievemente poeticizzata della spore di soione; e a tratti issano i volti delle persone condizione mentale che caratterizza una giovane donna alle prese con lo spazio urbano. Il moche incrocia con una tale intensità che, quando si concentra su un’unica isiono- Il numero di tragitti do in cui reagisce ai suoi concittadini, al mia, sente che basterebbe un piccolo ul- percorsi a piedi nelle traico stradale, alla necessità di orientarsi utilizzando un gps portatile mentre teriore sforzo per riuscire a dedurre tutto città continua ascolta musica sul suo lettore di mp3 è di quell’individuo: età, occupazione, a diminuire. Anzi, nel complesso abbastanza normale, epesperienze sessuali, ailiazioni politiche, secondo studi pure, osservato in questi termini, mi nomi di parenti e amici. Per una frazione recenti entro sembra che abbia delle indiscutibili anadi secondo, la donna è traitta dalla per- la metà di questo logie con quello che la medicina deinisonalità unica dell’individuo, che tuttasecolo saranno sce uno stato psicotico. Come succede a via viene subito riassorbito dalla folla. deinitivamente chi sofre di psicosi, la percezione che la Accanto, nella carreggiata, scorre il trafnostra giovane donna ha della realtà è ico: rombano gli autobus, stridono i ca- tramontati radicalmente diversa dall’ambiente in mion, scattano le automobili, serpeggiano le motociclette, eppure non si sentono rumori mec- cui si trova: è circondata da ediici reali, con dei nomi canici, tutti quei parallelogrammi d’acciaio si sovrap- precisi e comprensibili; le persone che incrocia lungo il pongono, si mescolano e si succedono accompagnati cammino sono una massa di sconosciuti; né loro né i da pigolii, gorgoglii e ronzii elettronici, una colonna so- veicoli si muovono in sincrono con la musica che ascolnora sulla quale la nostra camminatrice può coreogra- ta; e inine la sua percezione della distanza è distorta, fare tutto il traico, umano e veicolare, mentre i suoi mentre la sua capacità di interagire con l’ambiente diocchi, saettando abili, imbastiscono un ordine impec- pende da sistemi esterni alla sua mente, il cui funzionacabile nel caos che la circonda, e che dunque pulsa al mento le risulta incomprensibile quanto i rituali di uno ritmo imposto dalla sua volontà divina. È completa- sciamano. La verità è che, pur di riuscire ad arrivare mente smarrita: non saprebbe dirvi il nome di una sola all’appuntamento con il suo idanzato, per la nostra giovane donna non farebbe alcuna diferenza consultare via o ediicio di rilievo. È disorientata, eppure avanza attraverso lo spazio un feticcio o gettare una manciata d’ossa sul marciapieurbano lungo una traiettoria perfettamente organizza- de, per scegliere dove dirigere i suoi passi. Che il nostro modo di esistere nell’ambiente urbano ta: guarda il luminoso, sfaccettato gioiello che regge nel palmo della mano, e altri parallelogrammi si sovrap- industrializzato (e ora postindustriale) sia per alcuni pongono, si mescolano e si succedono reagendo ai gesti versi profondamente distorto è un’osservazione tutt’aldelle sue dita, che ora pizzicano, ora scattano come la tro che inedita. Negli anni quaranta dell’ottocento, bacchetta di un direttore d’orchestra. Le dice dove an- Friedrich Engels scriveva della “brutale indiferenza, dare, il gioiello, e quando la donna se lo accosta all’orec- l’insensibile isolarsi di ciascuno nel proprio interesse chio le parla, ordinando alle sue gambe incerte di por- privato” che “si fa tanto più repellente e ofensivo quantarla a destra, a sinistra, dritto davanti a sé, ino a incon- to più questi individui si accalcano uno sull’altro in uno trare un volto che inalmente riconoscerà, o forse no. spazio limitato”. Quello che Engels deiniva come il Senza che lei lo voglia l’occupazione, i precedenti ses- principio fondamentale delle società di ogni luogo, non suali, le ailiazioni politiche, i nomi di parenti e amici di era comunque “mai così sfrontatamente scoperto, così lui la raggiungono. Eppure, nei millisecondi che tra- consapevole, come qui, nella calca della grande città”. Ma già Thomas de Quincey, scrivendo vent’anni scorrono prima che i due si intercettino, lei è attraversata dalla terribile sensazione che la personalità dell’uo- prima, aveva percepito nella frenesia delle grandi stramo sia solo uno stereotipo. Fino a quando lui, miseri- de di Londra un’alterazione fondamentale nella natura cordiosamente liberato dalla folla, non le approda tra le dei legami umani. Fuggito di casa da adolescente, rac- L WILL SELF è uno scrittore britannico. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Una sfortunata mattina di mezza estate (Fanucci 2011). Questo articolo è uscito sul Guardian con il titolo Walking is political. 96 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 gabrIella gIandellI contava di essere stato salvato da una ragazzina, ann, con cui aveva trascorso alcune settimane, e che gli aveva evitato di morire di fame per strada. Il giorno in cui avrebbero dovuto salutarsi, de Quincey cercò di organizzare un appuntamento con lei. Se uno dei due non fosse riuscito ad arrivare, avrebbero ritentato la sera successiva. Ma la ragazza non si presentò per molte sere consecutive e lui, pur avendola cercata in lungo e in largo per la città, non la ritrovò mai più. “È questa”, dice, “tra i problemi che aliggono la vita di quasi tutti gli uomini, la mia alizione più grande. Se fosse stata viva, di certo prima o poi ci saremmo cercati nello stesso istante nei poderosi labirinti di londra”. Qualcuno potrebbe dire che se lui e ann avessero avuto accesso a internet si sarebbero potuti individuare senza margine d’errore; che i poderosi labirinti di londra – la cui popolazione all’epoca era circa un ottavo di quella di oggi – sarebbero stati irrilevanti. de Quincey dice che il non essere riuscito a ritrovare ann è la sua “alizione più grande”, e così facendo sembra rendere la sua perdita emblematica dell’abbandono dei legami personali di un’intera società. Chiede di ann a molte persone, ma l’unica cosa che conta, nella città, l’unica che sia misurabile, è la folla. l’individuo, soprattutto se povero e di sesso femminile, non ha alcun valore. nel racconto di edgar allan Poe L’uomo della folla, pubblicato nel 1840, il narratore anonimo è colpito da una certa isionomia “per l’assoluta singolarità della sua espressione. non rammentavo d’aver mai veduto una cosa del genere. Com’ebbi posato lo sguardo su Internazionale 945 | 20 aprile 2012 97 Pop Storie vere I piccoli annunci commerciali abusivi attaccati sui muri delle città sono un fenomeno comune. Peter Bober, sindaco di Hollywood, in Florida, ha avuto un’ideona per combattere il fenomeno: “Sugli annunci c’è sempre un numero di telefono, perché chi li mette vuole che noi li chiamiamo. Allora noi li chiamiamo e li richiamiamo ino a fargli scoppiare la testa”. Così ha installato un sistema di telefonate automatiche, battezzato Robocall, che chiama ino a venti volte al giorno i numeri delle pubblicità illecite. Dopo solo un giorno di attività, ha reso noto Bober, sono decine i casi di pubblicità abusive rimosse pur di fermare Robocall. 98 quel volto, il primo pensiero che attraversò il mio cervello fu che, se Retzsch lo avesse incontrato, subito ne avrebbe fatto un modello per le sue rappresentazioni pittoriche del demonio”. Non è necessario avere familiarità con le incisioni di Moritz Retzsch per capire dove voglia andare a parare Poe, in particolare se si considera che, ino a quel momento, i volti delle persone che il narratore aveva incontrato nelle brulicanti vie di Londra erano stati descritti come semplici variazioni di tipi predeiniti: l’uomo della folla che dà il titolo al racconto è il primo individuo autentico in cui s’imbatte. Tuttavia (e qui l’ironia di Poe prefigura in modo drammatico il senso di alienazione urbana del novecento), mentre segue questa particolare persona, il narratore si rende lentamente ma inesorabilmente conto che la sua preda non può esistere separata dalla folla, che la sua espressione diabolica e il suo aspetto consunto sono un efetto diretto del bisogno che quell’uomo ha di trovarsi costantemente in mezzo ad altre persone. L’epigrafe che Poe sceglie per L’uomo della folla è di La Bruyère: “Ce grand malheur, de ne pouvoir être seul” (che gran disgrazia non poter essere soli). Qualcuno potrebbe sostenere che la città ofra un’esperienza liberatoria, che sottraendoci al controllo – morale e politico – delle piccole comunità chiuse, l’esistenza urbana abbia favorito la realizzazione di sé e, per estensione, la sanità mentale. Ma gli esempi di Engels, De Quincey e Poe appartengono a un’epoca di urbanizzazione rapida, in cui il paesaggio della città si poteva ancora attraversare a piedi. Forse la genialità di questi scrittori della prima metà dell’ottocento è stata di preigurare le conurbazioni del mondo occidentale del duemila, in cui il controllo della folla è aidato a telecamere a circuito chiuso, sorvegliate solo sporadicamente e in modo casuale, mentre la distanza e l’orientamento sono astratti dalla dimensione isica. Io non credo che sia un’ipotesi fantasiosa. L’anonimo narratore di Poe è incapace di sperimentare la solitudine in senso sociale, ed è la sua stessa personalità a dipendere dalla massiicazione urbana. La nostra camminatrice, per contro, è incapace di sperimentare la solitudine in senso isico: non sapendo dove si trova e non avendo le risorse isiche necessarie ad attraversare porzioni considerevoli della città aidandosi alla sola forza motrice del suo corpo, è condannata a un’esistenza nello spazio socializzata. Nel suo magistrale libro Storia del camminare, Rebecca Solnit descrive il senso di pericolo provato durante le sue passeggiate notturne a San Francisco: “Fui avvisata di restare a casa di notte, di portare abiti informi, di coprire o tagliare i capelli, di cercare di somigliare a un uomo, di trasferirmi in una zona più facoltosa, di spostarmi in taxi, di comperare l’automobile, di muovermi in gruppo, di farmi accompagnare da un uomo: tutte versioni aggiornate delle mura greche e dei veli assiri”. E quindi si rende conto che “molte donne perfettamente socializzate, prendendo atto del posto che era stato scelto per loro, avevano accettato vite più gregarie e conformiste senza neppure comprenderne le ragioni. Avevano così sofocato il semplice desiderio di camminare da sole”. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Epicuro sosteneva che il libero arbitrio è solo una sensazione illusoria che si sperimenta quando le azioni imposte dalle circostanze coincidono casualmente con quello che desideriamo. A mio avviso, la descrizione si adatta perfettamente alla percezione psicotica dello spazio che caratterizza buona parte degli abitanti delle città del nostro tempo, mentre le minacce esistenziali che aliggono le donne e quelle che, con l’autorizzazione dello stato, gravano in special modo sui giovani maschi neri delle città britanniche, sono state interiorizzate perino da chi – i bianchi, gli individui di mezza età e del ceto medio – non avrebbe ragione di esserne oppresso. In sostanza, privati dei mezzi di locomozione meccanici – automobili, autobus, treni – e senza il supporto della tecnologia, di solito i cittadini urbani non sanno dove si trovano, e non sono in grado di andare altrove servendosi solo dei propri mezzi. Ma non sono neppure in grado di formulare il desiderio di farlo. Per quel che li riguarda, i tragitti che devono compiere per andare al lavoro, a fare acquisti, a divertirsi, a mantenere i contatti con le loro conoscenze, coincidono con lo sfruttamento dell’ambiente urbano. E anche il camminare volontario e non pianiicato si mantiene entro i conini di questi contesti: l’esempio più eclatante è quello dei centri commerciali. Eppure, ino a poco più di un secolo fa, il 90 per cento dei londinesi preferiva ancora fare a piedi i tragitti inferiori a dieci chilometri: in molti casi era per andare e tornare dal lavoro, è vero, ma anche camminare verso il posto di lavoro implica una presa di possesso isica dell’ambiente e l’esercizio delle proprie capacità di orientamento. Anno dopo anno, il numero di tragitti percorsi a piedi continua a diminuire. Anzi, secondo studi recenti entro la metà di questo secolo saranno deinitivamente tramontati. Non più soggetta al controllo umano, la città ha già acquisito lineamenti distorti: lunghe e ampie arterie aiancate da vicoli ciechi, mentre l’architettura che Rem Koolhaas ha deinito “spazio spazzatura” presuppone che solo il corridoio possa essere accettabile, soprattutto se provvisto di un bancomat. La periferia, e l’interzona tra la città in senso stretto e il suo hinterland rurale, sono l’incarnazione tangibile di questo disinteresse, nel loro essere sequele di località geograiche ormai incapaci di trasmettere alcun senso di luogo. Ripensiamo a Borges e alla sua “mappa dell’impero che aveva l’immensità dell’impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le generazioni seguenti, meno portate allo studio della cartograia, pensarono che questa mappa enorme era inutile e non senza empietà la abbandonarono alle inclemenze del sole e degli inverni. Nei deserti dell’ovest sopravvivono lacerate rovine della mappa, abitate da animali e mendichi; in tutto il paese non c’è altra reliquia delle discipline geograiche”. Gli animali e i mendichi di Borges sono coloro che ancora indagano le norme della geograia isica: comprendiamo che camminare nella città e nei suoi dintorni equivale, in un senso assai potente, a usarli. Il lâneur contemporaneo è, per natura, una forza democratizzante che persegue la parità dell’accesso, la libertà di movimento e la dissoluzione del controllo esercitato dalle aziende e dallo stato. u mc angelo monne Palestina a Las Vegas Alma Khasawnih as Vegas dev’essere un paradiso per chi non ha molte occasioni di viaggiare: Parigi, Venezia, new York, perino giza. Tutte le meraviglie del mondo afastellate in un posto solo. Quando, un paio di settimane fa, mia zia ci ha proposto di ritrovarci lì per una specie di raduno di famiglia, mi sono ricordata le parole di un amico: “Che non ti venga mai in mente di andare a las Vegas, è capitalismo allo stato puro”. eppure eccoci lì, un improbabile gruppo di arabi tra cui accademici con la testa fra le nuvole, iperattivi direttori esecutivi, scrittrici dislessiche, dottorandi stressati, un’artista e un avvocato. Una metà di noi è del tutto priva di senso dell’orientamento, un’altra metà sofre di disturbo ossessivo-compulsivo, e siamo quasi tutti dei maniaci del controllo. Perciò andare a las Vegas, città superafaccendata, ultrastimolante e connessa da passaggi sotterranei, doveva essere interessante. nell’istante in cui siamo atterrati, mi è venuto da pensare ai paesi del golfo, soprattutto a Dubai. Riempire il deserto di vegetazione istantanea ed ediici smisurati dev’essere il sogno professionale di ogni architetto. Fa’ quel che ti pare, purché sia enorme e vistoso. Si direbbe che al maktoum, l’emiro di Dubai, sia venuto a las Vegas e abbia deciso di emulare questa città. Probabilmente la sola diferenza è che las Vegas è un po’ meno seria di Dubai, il che ha reso più facile per me e la mia famiglia oltrepassare i conini ed essere persone diverse da quelle che siamo di solito. la nostra prima serata è stata piuttosto tranquilla, L salvo il fatto che ho vinto 0,05 centesimi di dollaro e ne ho persi 18 (dollari, non centesimi). mia zia aveva dato a ognuno di noi 18 dollari da puntare con l’intesa che, in caso di grosse vincite, mille dollari o più, gliene avremmo dato il 10 per cento. Perciò mi sono piazzata davanti a una serie di slot machine tutte diverse (da un centesimo, venticinque centesimi, un dollaro). Di fronte alle luci e allo strepito che usciva da quei marchingegni mi sono messa a premere pulsanti. Continuavo a premerli inché non si muoveva qualcosa. Suppongo di aver vinto alla macchina da un centesimo. la verità è che non avevo la minima idea di come funzionassero quegli aggeggi, e non ho giocato abbastanza per venirne a capo. nel corso dell’intero viaggio credo di aver totalizzato una vincita di un dollaro e trenta centesimi. ma che importa? Vegas ha la capacità di farti credere che il denaro sia irrilevante. Inili dei soldi in una macchina e quella ti stampa un voucher pari alle tue vincite. Una mano di black jack o un bicchierino di margarita dal sapore dolciastro costano dieci dollari, ma in qualche modo l’alcol è obbligatorio, perciò ne bevi più del giusto sperando che il baccano inisca o che l’alcol riesca in un modo o nell’altro a farti vincere milioni. Però non succede niente del genere. nel migliore dei casi ti ubriachi e passi una bella serata, nel peggiore fai cose che senti di dover lasciare a las Vegas. Personalmente, ho fatto cose che vorrei poter lasciare a las Vegas, e non dover nominare o discutere mai più. ma gli scandali nascono quando cerchiamo di nascondere qualcosa. Perciò, nell’intento di fare piena luce, ecco qua le mie confessioni. Durante i quattro giorni e le tre notti che ho trascorso a las Vegas, ho bevuto tre tazze di cafè Starbucks e comprato due grandi bottiglie di Coca Cola. Che cosa sarà mai? Sarà che ho sacriicato diciotto anni di un sano principio: evitare il mal di testa da cafeina e la probabilità di essere oltremodo sgradevole per i miei compagni. lo so, lo so: a Seattle c’è uno Starbucks a ogni ango- ALMA KHASAWNIH è una giornalista nata ad amman. Vive a Seattle. Questo articolo è uscito sul Seattle globalist con il titolo Full disclosure on my weekend in Vegas. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 99 Pop LUTZ SEILER è un poeta e saggista nato a Gera nel 1963. Questa poesia è raccolta in Ricostruzioni. Nuovi poeti di Berlino, a cura di Theresia Prammer (Scheiwiller 2011). Traduzione di Milo De Angelis e Theresia Prammer. lo. A Seattle quell’azienda ci è nata. Forse avrei dovuto provare un certo orgoglio cittadino a scoprire che la mia salvezza mattutina era aidata a una ditta nostrana. Ma non è andata così. Vedete, da Amman (dove per altro Starbucks non solo c’è, ma si sta impossessando di piccoli esercizi di ogni tipo) sono riuscita a trasferirmi a Seattle anche se era infestata da Starbucks, perché in città c’erano anche alternative al cafè della compagnia che boicotto dal 1997 per il modo in cui tratta i coltivatori di cafè in Sudamerica, e poi – con veemenza ancora maggiore – da quando ho saputo che Howard Schultz, amministratore delegato della società, è un fervente sostenitore di Israele. Eppure eccomi lì, eccoci tutti lì. Non c’è una sola persona della mia famiglia che non boicotti Starbucks, ma eccoci lì a bere il loro cafè ogni mattina nel nostro albergo. Las Vegas è uno strano posto. Per certi versi, tratta tutti da uguali. Ci si siede allo stesso tavolo, si getta lo stesso dado, e la perdita è assicurata per tutti. Una volta fatto il pieno di baccano e di multinazionali, abbiamo deciso di andare in gita alla diga di Hoover, dove ci siamo presi una rivincita. Attraversato il ponte e scattate un mucchio di foto, siamo arrivati davanti a una targa dedicata al dottor Elwood Mead, specialista di fama mondiale in ingegneria idraulica e dell’irrigazione. La diga di Hoover era stata l’ultimo progetto di una carriera di dimensioni globali, inclusa la conservazione dell’acqua e i tentativi di irrigazione in Palestina. Sulla lastra igurava davvero la parola Palestina! La targa commemorativa era stata collocata e inaugurata il 3 novembre 2007. Durante la vita del dottor Mead (18581936) esisteva un paese sovrano chiamato Palestina. Sono rimasta ferma davanti alla lapide, ho scattato un numero esagerato di fotograie e, prima di allontanarmi, ho fatto notare la parola agli altri perché la leggessero: Palestina, vedete, Palestina. Noi siamo palestinesi. Poesia Stai attento da bambini volevamo sempre marciare in altri paesi, ma ai conini del bosco eravamo vecchi & dovevamo tornare indietro. una pupilla la madre, una pupilla il padre; & se di sera dovevamo essere per tempo a casa, con le loro capriole ci indicavano la strada. Lutz Seiler Eccomi lì: un’araba, una palestinese originaria di una nazione ufficialmente non riconosciuta eppure sempre difamata, in piedi davanti a una lastra di pietra alla diga di Hoover, fuori dal trambusto di Las Vegas dove avevo rinunciato ai miei princìpi per una tazza di cafè mattutino, a riafermare il mio impegno nei confronti del boicottaggio. La gita a Las Vegas, dove credevo di andare per un raduno semifamiliare, dove avevo intenzione di scatenarmi con whisky e birra e di vincere un sacco di soldi, si è trasformata in un viaggio pieno di contrasti e di conferme. Quel che succede a Las Vegas resta a Las Vegas. Ma se mai ci rimetterò piede, mi porterò dietro il mio cafè. u mn Scuole Tullio De Mauro Se il computer non vale un Perù Le scuole elementari peruviane permettono, loro malgrado, di veriicare i limiti dell’introduzione delle tecnologie informatiche nella didattica. Come altri paesi di Sudamerica e Africa, il Perù ha aderito al progetto One laptop per child (Olpc), ideato e lanciato da Nicholas Negroponte e sostenuto inanziariamente da Google e altre grandi imprese del settore. L’idea, di cui qui già abbiamo parlato, è produrre computer a basso costo e consumo minimo, e arrivare a dotarne ciascun bambino in dai pri- 100 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 mi passi della scolarizzazione nei paesi meno sviluppati. A efetti positivi registrati altrove, fanno riscontro efetti nulli o negativi nelle elementari del Perù. Al ministero dell’educazione di Lima i funzionari osservano che gli insegnanti non sono preparati a sfruttare il nuovo mezzo. A quanto pare si limitano a farlo usare per far copiare quello che loro scrivono sulla lavagna: una specie di quaderno più ingombrante e fastidioso da aprire e chiudere. Così si perde tempo inutilmente e ne ri- sulta un peggioramento nell’apprendimento di scrittura e aritmetica. Lo ha rilevato un rapporto della Inter-American Development Bank (The Economist, A disappointing return from an investment in computing, 7 aprile 2012). Si conferma così la conclusione cui nel 2011 erano arrivate le analisi di un’agenzia educativa indipendente, McRel: l’insegnamento via computer è prezioso per i bravi insegnanti, ma in mano ai mediocri ha efetti nulli o negativi. u Scienza RIChARD SChULTz (CORBIS) legate allo stile di vita della madre. Tutte le laureate dello studio hanno partorito igli con un microbioma dominato dai batteri dell’acido lattico, mentre la maggioranza delle donne che avevano studiato ino a dodici anni ha avuto igli con l’intestino dominato dai batteri enterici. Sembra inoltre che le fumatrici incoraggino il microbioma enterico, mentre il consumo di cibi biologici favorisce i batteri dell’acido lattico. I ricercatori non sanno ancora con certezza come avvenga il passaggio dei batteri dalla madre al feto, ma è probabile che il tramite sia la placenta. Anche perché si è visto che i batteri sono presenti nel sangue prelevato dal cordone ombelicale, che collega il feto alla placenta. Correggere il microbioma Ogni bambino nasce con i suoi batteri Jessica Hamzelou, New Scientist, Gran Bretagna Non è vero che i feti sono sterili, sostiene un nuovo studio. Già nell’utero sono contaminati dai batteri materni, che inluenzano il sistema immunitario del nascituro i è sempre pensato che il feto vivesse in un mondo sterile, protetto dagli innumerevoli batteri della madre. E che il neonato acquisisse la sua prima lora batterica intestinale al momento della nascita, dalla vagina della madre o dall’ambiente in cui nasceva. Sembra invece che nasciamo sporchi, e che i batteri comincino a colonizzare il nostro intestino quando siamo ancora nell’utero, inluenzando il nostro sistema immunitario. Alcune prove della possibilità che i mammiferi sviluppino un microbioma prima della nascita vengono da studi sui topi pubblicati quattro anni fa. Ora nuove ricerche indicano che lo stesso succede negli esseri umani. Pilar Francino e i suoi colleghi dell’università di Valencia hanno prelevato e congelato il meconio – le prime feci S 102 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 – di venti neonati. Dopo aver rimosso lo strato esterno di ogni campione, per eliminare qualsiasi germe preso dopo la nascita, hanno esaminato il dna batterico. L’équipe ha così individuato i batteri presenti nel meconio, che prima si riteneva sterile, e ha trovato anche comunità molto sviluppate, classiicabili in due categorie. Circa la metà dei campioni sembrava dominata dai microrganismi che producono acido lattico, come i lattobacilli, mentre l’altra metà conteneva soprattutto una famiglia di batteri enterici, come l’Escherichia coli. Elisabeth Bik dell’università di Stanford, in California, è rimasta molto colpita dalla ricerca: “Forse le tecniche precedenti non erano abbastanza rainate da individuare questo dna batterico”. Poiché il microbioma può incidere sul rischio di contrarre alcune malattie, l’équipe di Francino ha valutato lo stato di salute dei bambini a un anno e a quattro anni e, con sua grande sorpresa, ha scoperto che quelli nati con più batteri dell’acido lattico avevano maggiori probabilità di sviluppare sintomi come l’asma, mentre quelli nati con più batteri enterici avevano un maggiore rischio di eczema. Queste prime comunità batteriche sembravano inoltre col- Pur avendo bisogno di essere confermati, i risultati indicano che una donna incinta può inluenzare la natura del microbioma del iglio prima della nascita. E potrebbe anzi essere il momento ideale per farlo, perché i primi batteri che colonizzano l’intestino inluenzano poi le specie successive. Un microbioma alterato è stato collegato a una serie di disturbi, dalla sindrome dell’intestino irritabile all’obesità. E potrebbe inluenzare anche alcuni tratti della personalità. “Secondo me ci sono buone probabilità che i primi batteri inluenzino lo sviluppo dell’intestino e del sistema immunitario di un neonato”, dice James Kinross, chirurgo dell’Imperial college di Londra che studia il microbioma intestinale. “Se riusciamo a stabilire quali sono i batteri più importanti, e quali hanno conseguenze sulla salute e sui disturbi immunitari futuri, potremmo fare in modo che siano presenti prima del parto”, spiega Francino. Le donne incinte potrebbero provarci cambiando dieta e stile di vita, aggiunge. Si potrebbe anche studiare il meconio di un neonato per prevedere eventuali disturbi futuri individuando i batteri mancanti, e quindi intervenire somministrando sostanze probiotiche per rimpiazzarli. Prima, però, i medici dovranno accettare l’idea che nasciamo con i batteri. “Secondo la consuetudine medica il feto è sterile”, spiega Kinross. “Il fatto che lo sviluppo dell’intestino sia inluenzato dai batteri materni è un’ipotesi sorprendente. Si tratta di un modo del tutto nuovo di pensare alla malattia umana”. u sdf NEUROSCIENZE Le letture dei babbuini SALUTE Staminali cinesi SAndwIChGIrl (FlICkr) Per riconoscere le parole scritte che hanno un senso non serve una competenza linguistica. lo hanno dimostrato sei babbuini dell’università di Marsiglia. lasciati liberi in uno spazio, i babbuini avevano a disposizione degli schermi tattili dove comparivano le sequenze di quattro lettere che formavano parole in inglese reali o senza senso (come done e dran). Cliccando sullo schermo i babbuini potevano indicare se la parola aveva senso. In caso di risposta corretta, ricevano un premio. In 44 giorni hanno svolto circa 60mila test, e tre volte su quattro le risposte erano corrette. I babbuini, spiega Science, sapevano distinguere anche parole mai viste prima, dimostrando che non avevano imparato le parole in sé, ma le regole sulla posizione delle lettere. lo studio fa luce sull’evoluzione dei processi cognitivi legati alla scrittura e alla lettura: quando gli esseri umani hanno imparato a leggere e scrivere hanno sfruttato una struttura neuronale preesistente usata per il riconoscimento dei volti e degli oggetti. Salute Nature, Gran Bretagna Molti ospedali cinesi continuano a usare trattamenti basati sulle cellule staminali non sperimentati e proibiti. Un’inchiesta di nature rivela che queste terapie, usate per malattie gravi come il morbo di Parkinson e il diabete, sono la norma in molti istituti. Il ministro cinese della sanità ha vietato queste cure tre mesi fa, ma la situazione non sembra cambiata. Secondo le direttive del governo, le industrie devono registrare le ricerche in corso, le attività cliniche, la fonte delle cellule staminali usate e le procedure etiche adottate. Sono state anche bloccate momentaneamente tutte le nuove sperimentazioni cliniche. Ma inora non è stata registrata nessuna ricerca, mentre i trattamenti continuano a essere oferti. È quanto avviene a Shanghai, a Changchun e a Pechino. le cure, che si basano su costose iniezioni di cellule staminali, potrebbero essere inutili o addirittura pericolose, in quanto potrebbero provocare il cancro o malattie autoimmuni. Sono un centinaio le aziende operanti in Cina nel settore delle cellule staminali, in grande crescita negli ultimi anni. Alcuni di questi centri vantano collaborazioni con prestigiosi centri di ricerca occidentali, come l’harvard medical school o l’università della California di Irvine, che però negano ogni legame. u IN BREVE Zoologia Un nuovo censimento condotto via satellite rivela che gli esemplari adulti di pinguino imperatore sono 600mila, quasi il doppio di quanto inora stimato. Gli uccelli, scrive Plos One, sono stati osservati durante la stagione della riproduzione in aree remote del continente antartico, diicilmente accessibili. Salute Anche in Canada è praticata la selezione sessuale a danno delle bambine: le donne originarie dell’India, soprattutto dopo il primo parto, tendono ad avere più igli maschi che femmine, scrive il Canadian Medical Association Journal. Salute I lavoratori dei turni notturni avrebbero un maggiore rischio di obesità e diabete. Il cambiamento dei ritmi del sonno porta a livelli anomali di glucosio nel sangue, scrive Science Translational Medicine. Davvero? Anahad O’Connor Antibiotici in natura L’ora giusta contro le infezioni In un lago nella grotta di lechuguilla, nel parco nazionale delle Carlsbad Caverns in nuovo Messico, sono stati trovati dei batteri resistenti agli antibiotici. Questi batteri non sono patogeni per l’uomo né sono mai venuti a contatto con dei farmaci. la scoperta, avvenuta in una delle grotte più isolate al mondo, suggerisce che la resistenza sia stata provocata da antibiotici presenti in natura, che potrebbero rivelarsi utili nel trattamento di infezioni incurabili. non resta che trovarli, scrive Plos One. L’orologio biologico inluenza il sistema immunitario? le difese cellulari salgono e scendono con i ritmi circadiani quotidiani del corpo. I livelli dei linfociti T circolanti, per esempio, raggiungono il picco massimo di notte per poi diminuire gradualmente. Gli studi hanno anche dimostrato che il sistema immunitario reagisce ad alcune infezioni manipolando i geni dell’orologio cir- cadiano per favorire il sonno, causando la stanchezza che spesso accompagna la malattia. Un nuovo studio dell’università di Yale, pubblicato sulla rivista Immunity, sostiene che le luttuazioni circadiane possono incidere sull’eicacia delle vaccinazioni, confermando l’idea che la predisposizione alle infezioni dipenda dall’ora del giorno. la ricerca è stata condotta sui topi, ma i risultati coincidono con studi precedenti sugli esseri umani e altri animali. Queste luttuazioni potrebbero essersi evolute per massimizzare la protezione da malattie come la malaria, trasmessa da zanzare che hanno pattern di alimentazione quotidiani. la ricerca potrebbe inoltre spiegare perché il jet lag, che altera i ritmi circadiani, incida sul sistema immunitario. Conclusioni l’immunità alle infezioni può variare con i ritmi circadiani quotidiani. The New York Times Internazionale 945 | 20 aprile 2012 103 Il diario della Terra Ethical living Siccità all’inglese Gran Bretagna Stati Uniti Grecia 5,3 M Stati Uniti Cina India Pakistan PapuaNuova Guinea 7,0 M 45,0°C Tillabery, Niger Messico 6,9 M Zimbabwe Perù Namibia Indonesia 5,9 M Cile 6,3 M -73,3°C Polo Sud, Antartide JULIE DENEShA (GETTY IMAGES) nellate di mais a causa della siccità che ha colpito il paese. Incendi Centinaia di pompieri hanno spento un incendio che si era sviluppato a Central park, a New York. Wichita, Kansas Tornado Sei persone sono morte nel passaggio di più di cento tornado sul centro degli Stati Uniti, dal Texas al Wisconsin. Le vittime si trovavano a Woodward, nell’Oklahoma, dove i tornado hanno distrutto 89 case e 13 negozi. Terremoti Un sisma di magnitudo 7 sulla scala Richter è stato registrato al largo della Papua Nuova Guinea. Non ci sono state vittime. Scosse più lievi sono state registrate nell’ovest dell’Indonesia, in Messico, in Cile e in Grecia. u Il bilancio del terremoto di magnitudo 8,6 che ha colpito l’isola indonesiana di Sumatra è salito a dieci vittime. Siccità L’agenzia britannica per l’ambiente ha annunciato che metà dell’Inghilterra è in stato di siccità dopo due inverni consecutivi con scarse precipitazioni. u Il governo zimbabwiano ha annunciato che il paese importerà 600mila ton- 104 Ghiacciai I ghiacciai del Karakorum, al conine tra Cina, India e Pakistan, non si sono ridotti negli ultimi dieci anni malgrado i cambiamenti climatici. Lo rivela uno studio dell’università francese di Grenoble basato sull’analisi delle immagini satellitari. Delini La morte di circa tremila delini rinvenuti lungo le coste del Perù negli ultimi mesi è stata causata dai sonar usati per la ricerca petrolifera. Lo ha annunciato un gruppo ambientalista locale. Serpenti Centinaia di serpenti sono stati segnalati in un villaggio nel nordovest della Namibia. Probabilmente i rettili sono stati spinti nella zona dallo straripamento di un iume. Uccelli I parchi eolici hanno un impatto limitato sugli uccelli selvatici. Secondo uno studio condotto in Gran Bretagna, gli impianti sono più dan- Internazionale 945 | 20 aprile 2012 nosi durante la costruzione che quando sono in attività. Si è visto che le pale lasciano immutate le popolazioni di pernici, fanno diminuire quelle di chiurlo e fanno aumentare quelle di allodole, scrive il Journal of Applied Ecology. Carta Quanta carta consumiamo? Uno statunitense ne usa in media l’equivalente di quasi sei alberi di 12 metri all’anno (con un diametro di 15-20 centimetri, pari a circa 40 chili di carta). La tabella indica il consumo apparente, cioè la produzione di carta, più le importazioni, meno le esportazioni. Questo distorce un po’ i consumi reali perché alcuni paesi, come la Finlandia, esportano la carta anche sotto forma di altri prodotti. Consumo annuo pro capite di carta nel mondo, in alberi di 12 metri, 2010 Fonti: Risi, Bir, Epa, Assocarta, The Economist Belgio 8,51 Gran Bretagna 4,48 Finlandia 7,28 Italia 4,44 Austria 6,83 Francia 4,18 Germania 6,35 Spagna 3,74 Giappone 5,83 Portogallo 2,87 Svezia 5,67 Irlanda 2,21 Stati Uniti 5,57 Cina 1,81 Danimarca 5,54 Messico 1,69 Svizzera 5,37 Brasile 1,29 Paesi Bassi 5,24 Russia Corea del Sud 5,18 Indonesia Canada 4,89 India 1,21 0,67 0,23 A causa della siccità le autorità inglesi hanno messo al bando dal 5 aprile, e probabilmente per tutta l’estate, i tubi per innaffiare prati e giardini, lavare le auto o riempire le piscine di plastica. Insomma l’acqua va usata solo per gli usi essenziali. Il Guardian esplora le alternative e in particolare la possibilità di avere un pozzo privato. A seconda del terreno e della falda acquifera, è possibile scavare un pozzo (uno piccolo costa circa 3.500 sterline) ed estrarre fino a ventimila litri d’acqua al giorno, gratuitamente. Questo volume è ampiamente sufficiente a irrigare un giardino, e può essere sfruttato anche per gli usi domestici non potabili, come gli scarichi del water e la lavatrice. Se filtrata e trattata, l’acqua può diventare potabile. In realtà, lo scavo di un pozzo privato è raramente considerato positivo dal punto di vista ambientale, perché ha un impatto su un territorio già sotto stress idrico. Inoltre, può entrare in conflitto con il punto di prelievo pubblico, generando una competizione per la risorsa. Sorgono quindi dei dubbi sulla giustizia sociale e l’eticità dell’operazione. Il Guardian ricorda, però, che i pozzi privati riducono i costi di trasporto dell’acqua e permettono la coltura locale di frutta e verdura, più verdi di quelle del supermercato. In alternativa, si può fare ricorso a strategie consolidate, come la raccolta di acqua piovana, la scelta di piante resistenti al secco, l’adozione delle tecniche della permacultura. Infine, si può provare a riciclare l’acqua usata a scopo domestico. Il pianeta visto dallo spazio 28.03.2012 La nebbia sul mar Giallo Nord 100 km Pyongyang Seoul Qingdao Mar Giallo eArthobSerVAtory/NASA Shanghai u In primavera capita spesso che il mar Giallo sia immerso nelle nebbia. Questo mare poco profondo, che ha molti porti attivi, ha generalmente cinquanta giorni di nebbia all’anno. Il 28 marzo 2012 lo spettroradiometro Modis a bordo del satellite Aqua ha scattato questa foto di un banco di nebbia che avvolge la costa coreana. La bassa formazione nuvolosa copre una supericie grande quasi quanto tutta la penisola, e scende per circa novecento chilometri dalla baia di Corea alla città cinese di u Shanghai. Lungo la costa cinese si nota una foschia marroncina, dovuta probabilmente alle emissioni delle zone industriali. Di solito la nebbia è più itta ai bordi, dove il manto delle nubi appare piuttosto uniforme. Verso il centro, invece, ha un aspetto meno compatto, a indicare una possibile convezione e la probabile presenza di stratocumuli. Queste nuvole che si formano nell’atmosfera più in alto rispetto alla nebbia non incidono sulla visibilità al livello del mare. Gli scienziati del Goddard space light center della Nasa hanno simulato le condizioni meteorologiche che possono creare una formazione nuvolosa simile a quella nell’immagine scoprendo che si tratta probabilmente di nebbia da advezione. è un tipo di nebbia che si forma in genere quando i venti spingono l’aria calda e umida su una supericie più fredda. In questo caso i venti di nordest hanno spinto dell’aria calda sul mar Giallo. L’acqua è più fredda perché il sole la riscalda meno rapidamente di quanto faccia con la terra e perché le correnti oceaniche provenienti dalla costa ovest della Corea portano in supericie acqua fredda. Secondo gli scienziati dell’università dell’oceano della Cina, la stagione della nebbia da advezione comincia all’inizio di aprile e inisce ad agosto con il cambiamento dei venti nella regione. Di solito la nebbia dura circa due giorni. La scarsa visibilità causa spesso incidenti tra le imbarcazioni. Secondo i dati del governo cinese, circa la metà delle collisioni nel grande porto di Qingdao è provocata dalla nebbia.–Adam Voiland Internazionale 945 | 20 aprile 2012 105 Tecnologia L’anno di Larry Page Il cofondatore di Google fa il punto del suo primo anno da amministratore delegato. Che lo ha visto impegnato in una sida continua con la concorrenza arry Page è accerchiato. Da un lato deve fare i conti con Facebook, il social network esplosivo che sta per essere quotato in borsa. Dall’altro lato c’è la Apple, che ha spostato il campo di gioco dai computer agli smartphone e ai tablet. E così l’amministratore delegato di Google, che ha assunto la carica un anno fa, ha il compito di guidare l’azienda di cui è cofondatore in un territorio delimitato da due rivali, difendendo la sua creatura dall’accusa di essere diventata l’ennesimo monopolista ingombrante o, peggio ancora, un follower, un imitatore della concorrenza. È il 3 aprile e Page si fa intervistare nel Googleplex di Mountain view, in California. L’abbigliamento è curato ma informale, da geek: giacca di pile, maglietta con logo, jeans e un paio di Converse nere. Alla minima insinuazione che Google non sia più innovativa come un tempo, Page reagisce stizzito. “La nostra priorità assoluta”, dice, “è realizzare il miglior prodotto possibile per gli utenti. Crediamo di averlo dimostrato in tutti questi anni, con le side che abbiamo afrontato da un capo all’altro del mondo”. Page non è il primo fondatore a riafermarsi come leader dell’azienda che ha contribuito a mettere in piedi. C’è stato il caso di Howard Schultz, tornato alla guida di Starbucks con ottimi risultati, e quello di Michael Dell, che ha ripreso le redini dell’omonima azienda di computer, con esiti meno felici. E poi c’è Steve Jobs, anche se le circostanze non sono proprio le stesse: a diferenza di Jobs, Page non ha mai lasciato l’azienda che ha fondato. In un certo senso, però, il paragone è calzante: negli anni L 106 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 novanta, la Apple aveva bisogno di un sistema operativo più soisticato per afrontare i cambiamenti nel mondo dell’informatica, e così rilevò la NeXT, l’azienda di Jobs. Oggi anche Google deve fare i conti con un mondo nuovo, nel quale gli utenti vedono sempre più spesso il web attraverso il iltro dei loro amici, anziché quello di un algoritmo matematico. Anche se nell’ultimo decennio Google ha creato social network come Orkut, Page riconosce che la sua azienda ha sottovalutato l’importanza delle amicizie in rete. “La nostra missione è stata quella di organizzare e rendere accessibili e utili a tutti le informazioni del mondo intero”, spiega. “Probabilmente abbiamo trascurato un po’ troppo il fattore umano”. L’aver abbracciato in ritardo i social network, più una serie di altre scelte, hanno esposto l’azienda a critiche che raramente aveva dovuto afrontare quando era un colosso in ascesa. Negli Stati Uniti e in Europa le autorità antitrust stanno veriicando se Google, invece di agire come arbitro neutrale, favorisca i suoi contenuti nei risultati di ricerca. I gruppi di controllo sulla privacy stanno chiedendo a gran voce di cambiare la sua politica sulla privacy, perché abuserebbe della iducia degli utenti. E i blogger si chiedono ormai sistematicamente se Google sia diventata evil (cattiva), alludendo al famoso motto dell’azienda Don’t be evil (non comportarti male). Page risponde alle accuse con un sorriso, sostenendo che in realtà Google non è “Il tasso di litigiosità nel nostro settore è molto alto”, dice. “Si spendono troppi soldi in processi e avvocati, invece di usarli per nuove idee” BrUNO FErT (PICTUrETANK) Brad Stone, Bloomberg Businessweek, Stati Uniti cambiata afatto. “I nostri valori sono sempre gli stessi”, dice. “Stiamo solo cercando di usare le innovazioni tecnologiche su vasta scala per aiutare le persone e migliorare la vita di tutti. I progetti che stiamo portando avanti, tra cui le automobili con pilota automatico, si basano sull’uso della tecnologia al servizio dell’uomo. E credo che ci sia ancora moltissimo lavoro da fare”. Un nome comune Page ha fondato Google insieme a Sergey Brin nel 1998, all’età di 25 anni. La loro azienda è una delle più importanti nella storia della Silicon valley: nata da un progetto di ricerca all’università di Stanford, in poco più dieci anni è diventata un colosso multimiliardario. Nei mesi che hanno preceduto la sua nomina uiciale ad amministratore delegato, Page è stato impegnato a riorganizzare il consiglio direttivo. Uno degli obiettivi era quello di velocizzare il processo decisionale in un’azienda che ormai contava quasi 30mila dipendenti. Page ha anche cominciato a eliminare i progetti che non funzionavano: servizi come Knol, la risposta a Wikipedia, e Google Wave, un complicato strumento pensato per migliorare la produttività, sono initi nel cosiddetto “cimitero di Google”. La nuova organizzazione aziendale si basa su sette divisioni: ricerca, Larry Page con due collaboratori Da sapere Numero di utenti, gennaio 2012. Fonte: ComScore, Twitter 850 milioni 140 Facebook pubblicità, YouTube, Android, Chrome, commercio e social network. Page ha lavorato alla deinizione di obiettivi chiari per i responsabili di ciascun gruppo. “Per certi versi abbiamo gestito l’azienda in modo da far sbocciare mille iori, ma ora dobbiamo comporre un bouquet coerente”, ha dichiarato Brin lo scorso autunno durante una conferenza sulle nuove tecnologie. A giugno del 2011 Google ha presentato l’ultima creazione della divisione social network: Google+. Page ha chiesto a tutti i dipendenti dell’azienda di dedicarsi al progetto, ofrendo bonus di ine anno legati ai risultati. E si dice soddisfatto dei progressi compiuti inora. “Siamo partiti meno di un anno fa e abbiamo ottenuto risultati molto positivi, decisamente superiori alle mie aspettative”, spiega. “Non signiica che domani diventeremo il primo social network del mondo. Non è un’ipotesi realistica. Ma credo che Google+ stia crescendo più velocemente rispetto ad altri servizi”. Molti osservatori, e non pochi azionisti e analisti di Google, non ne sono così sicuri. Secondo la società di ricerca ComScore, nel mese di gennaio i 100 milioni di iscritti a Google+ hanno usato il servizio per una media di 3,3 minuti. Gli 850 milioni di utenti di Facebook trascorrono in media 7,5 ore al mese sul sito. Page cita il numero dei suoi follower su Google+, pari a due milioni di 100 milioni milioni Twitter Google+ utenti, a dimostrazione del fatto che le persone stanno cominciando a usare il social network. Inoltre, aferma, Google+ ha anche dato un valore aggiunto ai risultati di ricerca di Google. Racconta il caso di un suo amico, un ingegnere di Google che si chiama Ben Smith. È un nome così comune che la ricerca restituisce milioni di risultati. Ora che Google sa che Page e un certo Ben Smith sono in contatto, i risultati sono più accurati. Un nome comune “è un vantaggio se si tiene alla privacy, ma è uno svantaggio per chi vuole essere rintracciato dagli amici”, spiega. “Per la prima volta, è possibile digitare ‘Ben Smith’ nel motore di ricerca e trovare la persona che conosciamo”. La realtà distorta Il collegamento dei dati da Google+ al suo motore di ricerca, tuttavia, ha anche suscitato critiche. L’integrazione tra Google e Google+, conosciuta con il nome Search, plus your world (il tuo mondo nella ricerca di Google), è stata presentata a gennaio tra un coro di proteste da parte di blogger, gruppi di difesa della privacy e concorrenti, che hanno accusato l’azienda di riservare un trattamento di favore ai suoi contenuti. Secondo Bloomberg News, la Federal trade commission ha messo sotto esame Google+ nell’ambito di un’indagine antitrust su eventuali abusi, da parte di Google, del suo monopolio nella ricerca. In Europa e negli Stati Uniti gli organi di controllo stanno anche indagando su una serie di cambiamenti sulla privacy grazie ai quali l’azienda può monitorare il modo in cui i consumatori usano i suoi servizi. Page è visibilmente irritato da questo scetticismo. Sarebbe felice, spiega, di integrare i dati di Facebook e Twitter nei risultati di ricerca di Google, ma non può farlo perché questi siti non lo permettono. “Ci piacerebbe molto poter accedere ai dati esterni. Ma non è possibile, ed è una cosa frustrante”, dice. Cita come esempio la questione della trasferibilità a senso unico delle rubriche dei contatti tra Gmail e Facebook. I nuovi iscritti a Facebook possono rintracciare velocemente i loro contatti Gmail, ma non viceversa: i nuovi utenti di Gmail non possono trovare in modo altrettanto semplice i loro amici su Facebook. Page si lamenta anche del fatto che, spesso, le aziende di tecnologia si fanno causa a vicenda per questioni legate alla proprietà intellettuale. “Nel nostro settore il tasso di litigiosità è particolarmente alto”, dice. “Si spendono troppi soldi per avvocati e processi, invece di usarli per realizzare buoni prodotti”. Aggiunge che Google non ha mai intrapreso azioni aggressive per far rispettare i suoi brevetti di ricerca, e poi spara a zero sui fautori della guerra nel campo delle piattaforme mobili: “Se un’azienda arriva a quel punto vuole dire che è alla ine del suo ciclo di vita o non ha molta iducia nella sua capacità di afrontare la concorrenza”. Alla ine della conversazione, Page ricorda un episodio raccontato nella fortunata biograia di Steve Jobs scritta da Walter Isaacson. Nel libro si legge che Page chiamò Jobs, ormai in in di vita, per chiedergli un consiglio sulla gestione di Google. Jobs aveva minacciato una “guerra termonucleare” contro Google, colpevole di aver copiato in Android alcuni elementi dell’iPhone, ma mise da parte il risentimento e ofrì i suoi consigli. Page racconta la vicenda in modo diverso. Dice che fu Jobs a contattarlo, non viceversa, e quando si incontrarono, qualche mese prima della sua morte, il fondatore della Apple gli diede indicazioni utili su come gestire l’azienda. Page è convinto che l’ostilità di Jobs nei confronti di Google servisse solo per “fare scena”. L’apparente rancore di Jobs nei confronti di Android, spiega, serviva solo a motivare i dipendenti della Apple. “Molte aziende hanno bisogno di trovare un concorrente contro cui coalizzarsi. Personalmente credo che sia meglio puntare più in alto, e non guardare alla concorrenza”. Potrebbe essere un classico caso di distorsione della realtà, in perfetto stile Silicon valley. Ma il pioniere di questa pratica, l’unico che potrebbe dirci come stanno veramente le cose, non c’è più. Oggi il numero uno è Larry Page e dovrà lavorare sodo, più di quanto non stia già facendo, per restarlo. u eds Internazionale 945 | 20 aprile 2012 107 Economia e lavoro Un mondo di tassi truccati The Economist, Gran Bretagna In Europa, Nordamerica e Asia sono in corso indagini per capire se le grandi banche manipolano i tassi d’interesse applicati ai prestiti. Provocando forti perdite ai loro stessi clienti utti danno per scontato che le banche calcolino il tasso d’interesse valutando onestamente quanto gli costa prestare soldi. Ma le autorità inquirenti di diversi paesi in Europa, Nordamerica e Asia sospettano che gli istituti abbiano manipolato il Libor (London interbank ofered rate, tasso di riferimento per i prestiti tra banche), un valore che varia ogni giorno in base alle stime fatte dagli istituti e che inluenza i tassi applicati a prestiti e titoli. Finora sono emerse poche informazioni dalle indagini, ma alcuni documenti delle autorità canadesi e statunitensi dipingono un quadro della vicenda poco incoraggiante. Il sospetto che nel Libor ci fosse qualcosa che non andava era sorto già nel 2008. All’epoca la crisi aveva acuito i rischi inanziari, ma il tasso, che sarebbe dovuto salire di conseguenza, non si è mosso. Quello stesso anno un gruppo di economisti statunitensi ha difuso un documento in cui si dimostrava che le stime elaborate dalle singole banche erano stranamente simili, anche se ogni istituto era esposto a livelli di rischio diferenti. Ma secondo Rosa Abrantes-Metz, docente dell’Università di New York che ha partecipato allo studio, mancavano prove schiaccianti. Ora da un’indagine avviata dall’autorità antitrust del Canada emergono ulteriori elementi a conferma del fatto che alcuni dati forniti dalle banche erano stati manipolati. Nei documenti si solleva il sospetto che un gruppo di operatori inanziari fosse in contatto per cercare di inluenzare il Libor applicato alle operazioni in yen. Tra le carte ci sono anche le sintesi di messaggi inviati dall’operatore A, dipendente di una banca, rimasta anonima, che ha collaborato con gli inquirenti. Nell’indagine sono implicati molti istituti, ma il brano che segue si riferisce alla Royal Bank of Scotland (Rbs). “L’operatore A ha spiegato al trader della Rbs con chi era d’accordo e come aveva alterato il Libor per lo yen. Inoltre ha illustrato le sue operazioni sul mercato, ha espresso il desiderio che il Libor per lo yen seguisse un certo andamento e ha chiesto all’operatore della Rbs di convincere la sua banca ad adeguare le stime per il Libor ai suoi desideri. Il trader della Rbs ha preso atto delle informazioni e ha confermato che si sarebbe comportato di conseguenza”. La Rbs sostiene di disporre di “prove legali e fattuali” per difendersi da queste accuse. T 108 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Il caso di Baltimora RUBBERBALL/CORBIS Se le indagini in Canada gettano luce sulle manovre delle banche per manipolare il Libor, le cause civili avviate dai loro clienti negli Stati Uniti indicano quali sarebbero le vittime di questi tassi truccati. Secondo Bill Butterield e Anthony Maton, dello studio legale Hausfeld, oltre alle grandi società d’investimento, sono coinvolti tre diferenti gruppi di clienti. Uno è composto dagli operatori di borsa penalizzati dalla manipo- lazione del Libor. Un altro è quello di chi ha investito in obbligazioni aziendali collegate al Libor, che avrebbero avuto un rendimento più alto se il tasso non fosse stato abbassato artificialmente. L’ultimo gruppo è quello dei clienti che hanno comprato dalle banche dei titoli swap sui tassi d’interesse. Per esempio l’amministrazione comunale di Baltimora, la cui storia è emblematica. I comuni si fanno prestare denaro per inanziare la costruzione di grandi opere pubbliche, come strade e sistemi fognari. Spesso il prestito meno costoso è quello a tassi variabili, che però non ha la stabilità del mutuo a tasso isso. Allora si può ridurre il rischio sottoscrivendo uno swap. In base all’accordo, la banca paga al comune degli interessi variabili basati sul Libor, che compensano quelli del prestito. A sua volta il comune versa all’istituto degli interessi a tasso isso. Baltimora ha sottoscritto swap per più di cento milioni di dollari. Una contrazione artiiciale del Libor, quindi, avrebbe causato al comune una perdita annuale di milioni di dollari. Se Baltimora vincerà la causa, anche altre città che hanno comprato gli stessi prodotti potranno chiedere il risarcimento. Secondo il Fondo monetario internazionale, nel 2010 negli Stati Uniti sono stati irmati swap per un valore compreso tra 250 e 500 miliardi di dollari. Alcuni processi, inoltre, sono istruiti in base allo Sherman act, la legge antitrust statunitense, che prevede un risarcimento pari al triplo dei danni subiti. I comuni degli Stati Uniti potrebbero aver diritto a un indennizzo di quaranta miliardi di dollari. u fp Banca mondiale Miliardari soddisfatti IN BREVE Giappone Il governo inanzierà il Fondo monetario internazionale per 60 miliardi di dollari, venendo incontro alla richiesta dell’istituto di ampliare le sue risorse per afrontare la crisi del debito nell’eurozona. Arriva l’austerità Un medico per presidente PEDRO LADEIRA (AFP/GETTY IMAGES) Il 16 aprile il senato degli Stati Uniti ha bocciato la cosiddetta Bufett rule, una proposta di legge voluta dal presidente Barack Obama. Il progetto, scrive il Washington Post, prevede un’aliquota minima del 30 per cento per l’imposta sul reddito dei cittadini con entrate annuali superiori a un miliardo di dollari. La Bufett rule prende il nome dall’investitore Warren Buffett, una delle persone più ricche del mondo. All’inizio del 2011 Bufett ha dichiarato pubblicamente che gli statunitensi ricchi come lui pagano troppo poche tasse in proporzione al loro reddito. ARMI Brasilia, 5 aprile 2012. Jim Yong Kim Jim Yong Kim, medico statunitense di origine sudcoreana, è il nuovo presidente della Banca mondiale. Per la prima volta, scrive il Guardian, il ruolo non è stato aidato a un esponente della inanza, ma a un esperto di sanità. Kim, sostenuto da Stati Uniti, Europa, Giappone e Canada, ha battuto Ngozi Okonjo-Iweala, la ministra dell’economia nigeriana sostenuta dai paesi emergenti, sempre più critici verso la predominanza occidentale sulle nomine alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale. u Il numero Tito Boeri 475 milioni I contributi dello stato ai partiti per le elezioni del 2008 ammontano a 475 milioni di euro. Purtroppo la proposta AlfanoBersani-Casini si limita ad aggiungere qualche regola di trasparenza, evitando il problema vero: la dimensione delle risorse pubbliche messe a disposizione dei partiti. I dati mostrano che i partiti hanno speso per la campagna elettorale del 2008 solo un quinto dei inanziamenti ricevuti. Questo signiica che si potrebbero ridurre dell’80 per cento i fondi per i “rimborsi delle spese elettorali”. Biso- Negli ultimi dieci anni le spese militari sono cresciute del 40 per cento, tenendo fuori dalla crisi il settore delle armi. Ma ora, scrive la Frankfurter Allgemeine Zeitung, Stati Uniti ed Europa devono tagliare i costi degli armamenti. Secondo l’istitut0 di ricerca svedese Sipri, nel 2011 le spese militari nel mondo sono rimaste ferme a 1.740 miliardi di dollari, mettendo in diicoltà i grandi esportatori. Tra i motivi della stagnazione, i tagli in paesi indebitati come Spagna e Italia. Le spese militari, invece, crescono in Asia, Africa e Medio Oriente. I paesi che spendono di più per le armi Miliardi di euro Variazione delle spese tra il 2010 e il 2011 , % Stati Uniti 711 -1,2 Cina 143 +6,7 Russia 73 +9,3 Gran Bretagna 63 -0,4 Francia 63 -1,4 Giappone 59 0 India 49 -4,9 Arabia Saudita 49 +2,2 Germania 47 -3,5 Brasile 35 -8,2 t s s t t t s t t CINA gnerebbe collegarli al numero di voti efettivamente ricevuti e non agli elettori “potenziali”. Lo stato, inoltre, deve pretendere che le spese siano documentate, invece di elargire i soldi ex ante come fa ora. Per stabilire il rimborso dovuto per ogni voto raccolto si può fare riferimento al partito più virtuoso. Secondo calcoli fatti da lavoce.info, in questo caso è la Lega, con una spesa accertata di 0,52 euro per voto. Con questi semplici princìpi, per le elezioni del 2008 la Lega non avrebbe ricevuto 7,30 euro per voto e anche gli altri partiti avrebbero dovuto adeguarsi al rimborso più basso. In tutto lo stato avrebbe risparmiato 443 milioni. Non pochi di questi tempi. Oltretutto, i partiti sono associazioni volontarie a favore delle quali i cittadini possono fare donazioni, se documentate e trasparenti. Quindi, se non bastassero i soldi elargiti dallo stato, potranno comunque provvedere iscritti e simpatizzanti. Stabilendo, però, un tetto alle singole donazioni. Per evitare che qualche straricco si “compri” un partito. u Lo yuan è più libero Dal 16 aprile il cambio dello yuan può aumentare o diminuire dell’1 per cento rispetto al valore issato quotidianamente dalla banca centrale cinese. “Questa decisione”, spiega Le Monde, “è un ulteriore passo nella politica delle autorità di Pechino volta a liberalizzare la moneta e a farla diventare una valuta internazionale. L’obiettivo a lungo termine del governo, infatti, è rendere lo yuan una moneta pregiata come il dollaro o la sterlina, la cui posizione riletta l’importanza della Cina nell’economia mondiale”. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 109 FONTE: FRANKFURTER ALLGEMEINE zEITUNG STATI UNITI Annunci 110 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Annunci Vuoi pubblicare un annuncio su queste pagine? Per informazioni e costi contatta: Anita Joshi [email protected] 06 4417 301 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 111 Strisce non posso credere che oggi, nel bel mezzo di aprile, arriveremo a 32 gradi. questo può voler dire una sola cosa: una telefonata da tutta la famiglia. perché i parenti sono così ossessionati dal meteo? stanno lì ad aspettare il minimo cambiamento di temperatura per chiamarti e annoiarti a morte con il tempo. ti giuro, per loro il Weather Channel è un po’ come un canale porno. aspetta, non starai mica dicendo che...? certo. mentre guardano il meteo i tuoi ci danno dentro. questo spiega perché lo guardano con un sottofondo jazz. ugh. Sono così contenta che Obama ha vinto. Ora tutto mi sembra possibile. Ti prego, dimmi che hai fatto un viaggio nel tempo. No, ma penso che il primo presidente nero rappresenti una nuova speranza per questo paese in crisi. Va bene, mi accontento. È da un po’ che penso a questo killer della motosega che sta terrorizzando i boschi. ma non prendete la scossa a sedervi lì? 112 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Quel pazzo taglia in due gli alberi e li trasforma in fogli di carta su cui scrive qualcosa. il segreto sta nell’evitare i cavi che puzzano di pollo fritto. E poi, non contento, si mette a leggere le sue storie agli alberelli più giovani. L’oroscopo Rob Brezsny Hai dovuto afrontare il test prima di aver potuto studiare. È giusto? Assolutamente no. Questa è la cattiva notizia. Quella buona è che si trattava solo della prova di un esame molto più importante e approfondito al quale manca ancora qualche settimana. E c’è anche una notizia migliore: le cose che dovrai sapere prima di allora ti stanno venendo incontro e continueranno ad arrivare. Applicati con diligenza, Ariete. Hai molto da imparare, ma per fortuna hai tutto il tempo per prepararti come si deve. liante che hanno. Sarei felice se diventasse l’apertura dei notiziari, per ricordare quanto è misterioso il mondo. Mi piacerebbe che gli amanti lo dicessero al culmine del loro atto d’amore. Ho deciso che sarai tu a lanciare questa moda, Vergine. Sei la scelta migliore perché il tuo, tra tutti i segni dello zodiaco, è quello che nelle prossime settimane ha più probabilità di vivere le avventure più straordinarie. TORO BILANCIA Sai cos’hanno in comune Salvador Dalí, Martha Graham, Stephen Colbert, David Byrne, Maya Deren, Malcolm X, Willie Nelson, Bono, Dennis Hopper, Cate Blanchett, George Carlin, Tina Fey, Sigmund Freud? Sono tutti e tutte del Toro. Diresti che sono persone sensate, materialiste, pigre e ossessionate dalle comodità e dalla sicurezza, come le descrivono di solito i testi di astrologia? No. Sono (o sono stati) tutte persone innovatrici dotate di uno stile unico e di una grande creatività. Loro sono i tuoi modelli nella fase di massima espressione di te stesso che stai attraversando. ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA GHERMANDI GEMELLI Nel dicembre del 1946 tre pastori beduini stavano sorvegliando il gregge sulle rive del mar Morto quando scoprirono una piccola grotta. Sperando che contenesse un tesoro nascosto, decisero di esplorarla. Il più esile dei tre riuscì a entrarci e portò fuori dei vecchi rotoli polverosi racchiusi in vasi di terracotta. I pastori rimasero delusi. Ma quei manoscritti, noti poi come i rotoli del mar Morto, sarebbero stati uno dei ritrovamenti più importanti dell’archeologia. Ricordati questa storia, Gemelli, perché credo che presto ti succederà qualcosa di metaforicamente simile: una preziosa scoperta all’inizio potrebbe apparirti in una forma tutt’altro che eccitante. CANCRO Un giorno il diavolo riunì i suoi collaboratori più stretti. Era seccato: il reclutamento delle persone nate sotto il segno del Cancro era sceso al di sotto delle previsioni. “È inaccettabile”, disse furioso il signore delle tenebre. “Da qualche tempo quegli insopportabili Granchi sono troppo sani di mente per lasciarsi abbindolare dalle nostre bugie. Francamente, non so più cosa fare. Suggerimenti?”. Il suo esperto di marketing disse: “Raddoppiamo gli sforzi per convincerli che il mondo inirà il 21 dicembre 2012”. E il suo vicepresidente: “Sfruttiamo la loro paura di restare senza ciò di cui hanno bisogno”. Il capo dei servizi segreti ebbe un’altra idea: “Io direi di ofrirgli qualcosa di attraente ma inutile per distrarli dai loro veri obiettivi”. Quando una stella marina perde un braccio può farselo ricrescere. Secondo la mia lettura dei presagi, nella prossima fase del tuo ciclo astrale sarai molto simile a una stella marina. Sarai più brava del solito a recuperare parti di te che hai perso e risvegliarne altre che sono cadute in letargo. Nel prossimo futuro, le tue parole magiche saranno “ringiovanire”, “ripristinare” e “risvegliare”. Se ti concentrerai davvero e ti riempirai della luce del sole spirituale, potresti addirittura attuare una sorta di resurrezione. LEONE “Se non gestisci la tua vita, qualcun altro lo farà per te”, diceva lo psicologo John Atkinson. Ricordatelo nelle prossime settimane, Leone. Scrivilo su un grosso foglio di cartone e mettilo dove puoi vederlo ogni mattina quando ti svegli. Usalo come stimolo per liberarti dalla pigrizia che non ti fa vivere la vita che vuoi veramente. Ogni tanto, chiediti anche se dipendi troppo dall’approvazione o dal riconoscimento degli altri. Hai deciso che una persona, un’ideologia o un’immagine di successo è più importante del tuo intuito? Hai ceduto il controllo di un settore della tua vita a un’autorità esterna? SCORPIONE Avere troppe cose buone non è sempre positivo (hai mai provato l’iperventilazione?). E averne troppo poche non va bene (sei mai stato disidratato?). Alcune cose fanno bene a piccole dosi ma fanno male se si esagera (pensa al vino o alla cioccolata). Anche una piccola quantità di una cosa veramente cattiva è pericolosa (è diicile fumare crack con moderazione). La prossima settimana sarà il momento ideale per questo tipo di rilessioni, Scorpione. Capirai molte cose se soppeserai e misurerai tutto quello che c’è nella tua vita e deciderai quello che è troppo e quello che è troppo poco. VERGINE Le ultime parole che ha pronunciato il pioniere dell’informatica Steve Jobs prima di morire sono state: “Oh wow. Oh, wow. Oh, wow”. Propongo di promuovere l’uso di questo mantra quanto quello delle altre creazioni di Jobs come l’iPhone e l’iPad. Mi piacerebbe che tutti lo pronunciassero ogni volta che si rendono conto della vita strabi- SAGITTARIO Lo scultore Constantin Brancusi per la sua arte aveva una strategia: “Crea come un dio, domina come un re, lavora come uno schiavo”. Ti consiglio di adottare una tattica simile nelle prossime settimane, Sagittario. Potresti fare rapidi progressi in un progetto che ti è molto caro. Quindi cerca di avere una visione chiara del sogno che vuoi realizzare. Traccia un piano d’azione audace e deinitivo. E poi raccogli il più possibile la forza, la concentrazione e l’attenzione ai dettagli necessarie per trasformare il tuo desiderio in forma concreta. CAPRICORNO “Se nel castello c’è una porta che ti hanno detto di non varcare mai”, dice la scrittrice Anne Lamott, “devi assolutamente farlo. Altrimenti, continuerai a spostare i mobili in stanze che già conosci”. Penso che per te le prossime settimane saranno il momento ideale per superare quella porta proibita, Capricorno. Le esperienze che ti attendono dall’altra parte potrebbero non essere quelle di cui hai sempre avuto bisogno, ma forse sono quelle di cui avrai bisogno in futuro. E il tabù che vieta di avventurarsi nell’ignoto è ormai vecchio. Il rischio più grande che puoi correre è liberarti di una paura che ormai è diventata una dipendenza. ACQUARIO Quando cade sulla terra arida, la pioggia attiva nel terreno certi composti chimici che emettono un odore particolare. Se lo senti quando non sta piovendo signiica che è scoppiato un temporale nelle vicinanze e il vento lo sta portando ino a te. Ho il sospetto che presto sarai inondato da una versione metaforica di quel profumo, Acquario. Una zona arida della tua vita sta per ricevere l’acqua di cui ha tanto bisogno. PESCI Il 40 per cento degli statunitensi non sa che i dinosauri si estinsero molto prima della comparsa degli esseri umani sulla terra. Quando vedono un vecchio cartone animato in cui Fred Flintstone cavalca un diplodoco, pensano che sia un fatto storico. Nelle prossime settimane, Pesci, dovrai tenerti alla larga da chi coltiva convinzioni tanto sbagliate. È più importante del solito che tu frequenti persone con un minimo di conoscenza della storia dell’umanità e della realtà. Circondati di inluenze intelligenti, per favore. Internazionale 945 | 20 aprile 2012 113 internazionale.it/oroscopo ARIETE COMPITI PER TUTTI A quale ilm somiglia la tua vita da qualche mese? tom, tRouw, paEsI bassI L’ultima Na!, RuE89, fRaNcIa tagli in Europa. mIx & REmIx, l’hEbdo, svIzzERa titanic, la verità sul naufragio. “afondato!”. baRsottI wuERkER, polItIco, statI uNItI francia, sarkozy non riesce a distanziare hollande nella corsa alla presidenza. “Non è facile correre con i tacchi alti”. “ti ricordi quando dicevi che la cosa più diicile sarebbe stata unire il popolo afgano?”. Matt Wuerker ha vinto il Pulitzer 2012. “Ehi ragazzi, siamo invitati a un barbecue”. Le regole Insalata 1 l’insalata in busta non sa di niente. Neanche di terra, però. 2 Non dire “insalatona”. 3 Era l’alimento base delle modelle, prima che arrivasse l’Evian. 4 vacci piano coi semi, non sei mica una gallina. 5 È davvero bio solo quando ci trovi un verme. 6 se ci metti pollo, würstel, feta, avocado, maionese e uova sode, tanto vale che ti mangi un big mac. [email protected] 114 Internazionale 945 | 20 aprile 2012 Dall’autore di The Corporation, il libro che racconta la guerra nascosta per conquistare la mente, la salute e il futuro dei nostri figli Feltrinelli FOREVER NOW Le icone: il nastro verde e rosso. Ispirato al fascino e all’eleganza del mondo equestre. Colori simbolo della nostra tradizione.