Cartellina Dobbiaco 2010

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Cartellina Dobbiaco 2010
Seminario Estivo di Dobbiaco
27 luglio - 3 agosto 2010
Reg. Num. 6188 - A
VILLA
NAZARETH
IL MONDO CONNESSO MODI, MOTIVI E CONSEGUENZE DELLA
COMUNICAZIONE NEL NOSTRO TEMPO
Villa Nazareth – Fondazione Comunità Domenico Tardini ONLUS
Via D. Tardini 33-35, 00167 Roma – Tel. 06-666971, Fax. 06-6621754
e-mail: [email protected], [email protected], [email protected]
Programma
Martedì 27 Luglio
Pomeriggio: arrivo e sistemazione presso il Centro Vacanze e Cultura Grand Hotel di
Dobbiaco
Ore 20:00
Cena e saluto del Card. Achille Silvestrini, di Mons. Claudio Maria Celli,
della Prof.ssa Angela Groppelli, del Prof. Carlo Felice Casula, di don Sergio
Bertocchi, del Dott. Marco Catarci, del Dott. Massimo Gargiulo;
Presentazione del Seminario da parte degli studenti della Commissione
Cultura
Mercoledì 28 Luglio
Ore 8:30
Colazione
Ore 9:15
Escursione di tutta la giornata
Ore 18:45
Celebrazione Eucaristica
Ore 19:30
Cena
Giovedì 29 Luglio
Ore 8:30
Ore 9:30
Colazione
“Sala degli Specchi” del “Centro Culturale Grand Hotel” di Dobbiaco
Preghiera
Conferenza: “Da Filippide a internet: l'evoluzione dei mezzi di
comunicazione”
Relatore:
Prof. Fulvio Babich, docente di “Trasmissione Digitale”
nell’Università di Trieste
Moderatore: Gabriele Tucciarone
Ore 13:00
Pranzo
Ore 16:00
Laboratorio degli studenti
Ore 18:45
Celebrazione Eucaristica
Ore 19:30
Cena
2
Venerdì 30 Luglio
Ore 8:00
Colazione
Ore 8:30
Escursione di tutta la giornata
Ore 18:45
Celebrazione Eucaristica presieduta dal Cardinale nell’ anniversario della
morte del Cardinale Domenico Tardini
Ore 19:30
Cena
Ore 21:30
Incontro della Commissione Cultura
Sabato 31 luglio
Ore 8:30
Colazione
Ore 9:30
“Foyer” del “Centro Culturale Grand Hotel” di Dobbiaco, Primo Piano
Preghiera
Conferenza: “Comunicare nel terzo millennio: perchè?”
Relatore: Prof.ssa Chiara Giaccardi, Docente di “Comunicazione
Interculturale” e “Sociologia e Antropologia dei Media” nell'Università
Cattolica di Milano
Moderatore: Marco Pusceddu
Ore 13:00
Pranzo
Ore 16:00
Incontro Gruppi Regionali (studenti Residenti e Non Residenti)
Ore 18:45
Celebrazione Eucaristica
Ore 19:30
Cena
Domenica 1 agosto
Ore 8:30
Colazione
Ore 9:15
Escursione di tutta la giornata
Ore 18:45
Celebrazione Eucaristica
Ore 19:30
Cena tipica
Lunedì 2 Agosto
Ore 8:30
Colazione
Ore 9:30
“Sala degli Specchi” del “Centro Culturale Grand Hotel” di Dobbiaco
Preghiera
Conferenza: “L'era dei social networks: i riflessi sulla società 2.0”
Relatore: Prof.ssa Nicoletta Vittadini, Docente di “Sociologia della
Comunicazione” e “Teorie e Tecniche dei Nuovi Media” nell'Università
Cattolica di Milano
Moderatrice: Martina Zambelli
Ore 13:00
Pranzo
Pomeriggio libero
Ore 18:45
Celebrazione Eucaristica conclusiva del Seminario
Ore 19:30
Cena
Martedì 3 Agosto
Ore 8:30
Colazione e partenza
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Indice del materiale a disposizione
 Pagina 6: Biografie dei relatori
 Pagina 8: Articolo n. 1: Alex Iskold, “L’evoluzione della comunicazione:
dall’e-mail a Twitter ed oltre”, dal blog www.readwriteweb.com
(http://www.readwriteweb.com/archives/evolution_of_communication.php),
4 giugno 2007
 Pagina 11: Articolo n. 2: Antonio Spadaro, “Il fenomeno Facebook”, da La
Civiltà Cattolica, gennaio 2009
 Pagina 21: Articolo n. 3: Antonio Spadaro, “«Twitter» cambierà la nostra
vita?”, da La Civiltà Cattolica, luglio 2009
 Pagina 30: Articolo n. 4: Alessandra Retico, “La seconda vita comincia su
internet”, da La Repubblica, 3 settembre 2005
 Pagina 32: Articolo n. 5: Marino Niola, “Villaggio blog, vista sul mondo – Le
nuove forme di dialogo”, da La Repubblica, 29 luglio 2008
 Pagina 35: Articolo n. 6: Pier Cesare Rivoltella, “Le pratiche mediali dei
giovani”, dal blog http://piercesare.blogspot.com/, 7 marzo 2010
 Pagina 37: Articolo n. 7: Monica Piccoli, “Come la rete sta cambiando il
nostro modo di comunicare. Un’analisi psicologica delle comunità virtuali”,
da Nuova umanità, maggio 2006
 Pagina 44: Bibliografia
 Pagina 45: Filmografia
 Pagina 47: Aforismi sulla comunicazione
 Da pagina 48: Programma delle Escursioni
Biografie relatori
Fulvio Babich
E' nato a Trieste il 5 Aprile 1959. Ha ricevuto la Laurea, con lode, in Ingegneria Elettrica, presso
l'Università di Trieste, nelluglio del 1984, discutendo la tesi dal titolo "Attenuation and dispersion
of single-mode fibers for telecommunications".
Dal 1984 al 1987 ha lavorato in Telettra, nei laboratori di Ricerca e Sviluppo di Vimercate
(Milano), dov'è stato coinvolto nel campo delle comunicazioni ottiche ad alta velocità.
Nel 1987 è entrato in Zeltron (Udine), dove ha contribuito a progetti europei per la definizione dei
problemi architetturali delle specifiche degli European Home Systems (EHS).
Nel 1992 è entrato a far pate del Dipartimento di Ingegneria Elettrica (DEEI) dell'Università di
Trieste, nella quale è Professore Associato di “Transmissione Digitale”.
Fulvio Babich è Senior member di IEEE.
Collaborazioni internazionali:
Eureka IHS Project (European Community) : 1987-1989
ESPRIT HS HOME : 1989-1991
ESPRIT HS Integrated Interactive Home : 1991-1992
ESPRIT HS Conformance : 1992-1994
Marzo 1997- Agosto 1997: visiting scholar al WINLAB, Rutgers University, NJ, lavorando a
protocolli di accesso multiplo e modelli di fading discreto.
Attuali attività di ricerca:
suoi attuali interessi nella ricerca sono nel campo delle reti wireless e delle comunicazioni
personali. E' coinvolto nella modellazione di canale, tecniche di accesso multiplo, codifica di
canale, decodifica iterativa, tecniche ARQ ibride.
Chiara Giaccardi
Carriera accademica: Laurea in Filosofia presso l'Università Cattolica di Milano (1984);
Master in Semiotica presso la Scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali, Università Cattolica di
Milano (1989);
PhD in Social Sciences presso la University of Kent (UK).
Insegna “Comunicazione Interculturale” e “Sociologia e Antropologia dei Media” presso
l'Università Cattolica di Milano.
Coordina la redazione della rivista “Comunicazioni Sociali”, e il dottorato in “Culture della
Comunicazione dell'Università Cattolica”.
Svolge attività didattica e partecipa a convegni in numerose sedi universitarie nazionali e
internazionali (nell'ultimo anno: UCA Buenos Aires e Ritsumeikan University Kyoto).
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Nicoletta Vittadini
Lavora presso l'Università Cattolica, dove ha studiato, dalla metà degli anni Novanta.
Ha ricoperto incarichi di docenza a contratto presso le sedi di Milano e di Brescia e attualmente è
Ricercatore in “Sociologia dei processi culturali e comunicativi”.
Insegna “Sociologia della comunicazione” (Laurea Triennale) e “Teoria e tecniche dei nuovi
media” (Laurea Magistrale) presso la Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere.
E' membro della Direzione dell'Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo (ALMED), dove
è anche coordinatore didattico e docente di Media digitali e informazione presso il Master in
Giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale e coordinatore didattico del Master in
Comunicazione, marketing digitale e pubblicità interattiva.
Svolge la sua attività di ricerca, oltre che presso il Dipartimento di Scienze della Comunicazione e
dello Spettacolo, anche presso l'OssCom (Centro di ricerca sui Media e la Comunicazione), dove è
Senior researcher.
“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
27 luglio 3 agosto
Articolo n.1
Alex Iskold, “L’evoluzione della comunicazione: dall’e-mail a
Twitter ed oltre”
dal blog www.readwriteweb.com
(http://www.readwriteweb.com/archives/evolution_of_communication.php),
4 giugno 2007
Abbiamo a malapena il tempo di fare una pausa e riflettere su quanto fortemente è progredita la
tecnologia delle comunicazioni ai giorni nostri. In un battibaleno siamo transitati dalla posta
elettronica alla chat, dai blog ai social networks e più recentemente a Twitter. Di seguito c’è una
rappresentazione del corrente ‘ecosistema’, che esploreremo in questo articolo:
In un post recente, Fred Wilson si chiede cosa soppianterà la posta elettronica, che ormai sta
diventando vecchia. Certamente la posta elettronica è ancora largamente la forma di comunicazione
digitale più usata, specialmente nel lavoro, ma essa sta iniziando ad essere sostituita? E, cosa ancor
più importante, perché?
Per rispondere a queste domande, abbiamo bisogno di capire quali solo le strutture che risiedono
dietro tutte le forme di comunicazione digitale, come si sviluppano e perché, e quali sono le
differenze tra di loro. Forse andando indietro e riguardando posta ordinaria, telefono e giornali
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
27 luglio 3 agosto
potremo trarre profonde intuizioni sulla potenziale durata di vita della posta elettronica, nonché
delle chat e di Twitter.
Posta elettronica vs. Posta ordinaria
È sempre utile partire dall’inizio e capire i principi fondamentali. Quanto è diversa la posta
elettronica dalla posta ordinaria? La posta elettronica è più veloce ed è virtuale (cioè non stampata).
È diversa economicamente, poiché inviare una email non costa nulla (almeno escludendo i costi di
connessione). Ora, poichè la posta elettronica è spedita più velocemente, ne mandiamo di più.
Poichè ne mandiamo di più, ogni messaggio è molto più piccolo di una tipica lettera. Così,
pensando in questa maniera, possiamo capire che la posta elettronica non è solo un altro modo di
spedire una lettera, ma essa ha creato una via di comunicazione completamente differente. Invece di
inviare tante informazioni poco frequentemente, inviamo meno informazioni più spesso. La
velocità e la quantità di comunicazione hanno generato un mezzo di comunicazione
qualitativamente differente.
Telefono vs. Chat
Prima dell'avvento di internet, c'era gia un modo per comunicare più velocemente delle lettere: il
telefono. I telefoni hanno permesso di metterci in contatto istantaneamente. Poi, quando il mondo è
andato online, hanno inventato la Messaggistica Istantanea (Instant Messaging o Chat) che, a
differenza della posta elettronica, ha consentito alle persone di raggiungere chiunque altro
immediatamente. Ma ci sono grandi differenze tra il telefono e la chat. Prima di tutto, la maggior
parte di noi, almeno inizialmente, non è brava a scrivere sulla tastiera così come invece sa parlare.
Anche oggi, le conversazioni via chat non sono così scorrevoli come una normale telefonata, in
quanto le persone hanno imparato ad avere più conversazioni multiple in chat. Che è qualcosa che
non si farebbe tipicamente con una telefonata (a meno che tu non sia un vero noioso centralinista!).
Malgrado le differenze, l’attributo comune chiave tra una telefonata e un messaggio istantaneo è
essenzialmente l’immediata raggiungibilità.
Giornali vs. Blog
La posta ordinaria e il telefono sono tipicamente usati per un tipo di comunicazione “uno a uno”. I
giornali e la radio sono forme più vecchie di comunicazione di tipo “uno a molti”. Questi metodi
sono esempi di trasmissioni o tecnologie push (ovvero spinte). A cavallo dell’ultima decade, sono
arrivati i Blog sulla scena e hanno avuto un tremendo successo come forma di comunicazione uno a
molti. La ragione risiede nel fatto che i blog hanno fatto leva su qualcosa che si trovava molto
raramente nei giornali e solo un po' di più nelle radio: il nostro bisogno di opinione. I blog hanno
eliminato le barriere alle opinioni. Chiunque può commentare un post (tipico modo di esporre un
messaggio/articolo inviato in blog e forum). La possibilità per le persone di farsi coinvolgere ed
esprimere le proprie opinioni ha creato una dinamica completamente differente. In un certo senso, le
pubblicazioni sui blog sono viste come un invio di massa ad una enorme lista CC (in copia
carbone), ma eseguito in una maniera molto più organizzata. Questa forma di comunicazione non
instantanea ha conquistato i nostri cuori, ma ha travolto i nostri lettori di Feed RSS. Tutto ciò, a sua
volta, ha generato una nuova forma di blogging, formato micro: Twitter.
Elettrodi vs. Twitter
Twitter è una nuova forma di comunicazione che è sia un’evoluzione naturale del blogging che un
bizzarro esperimento fatto da pazzoidi. Poichè i messaggi dei blog sono tipicamente lunghi, si è
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
27 luglio 3 agosto
sentito il bisogno di spezzarli in pezzi più piccoli. Così Twitter è arrivato sulla scena e in un certo
senso ci ha chiesto di dividere tutti i nostri pareri e le nostre azioni in messaggi sintetici. Come
risultato, i messaggi vengono inviati e processati più velocemente e spesso sono più di uno. Ancora
una volta, l’interazione fra velocità e quantità ha generato un’esperienza qualitativamente
differente. Le persone collaborano su Twitter in tempo reale. Scoprono notizie, guardano i Twitter
(cinguettii) degli altri e prendono consigli. Twitter li ha spinti tutti sull’onda della vera
comunicazione.
Ora possiamo inquadrare tutto
Tornando adesso al nostro schema, possiamo notare che sono stati soddisfatti tutti gli argomenti che
esso inquadra. Twitter, come ultimo arrivato, è comparso all'improvviso e ci ha dato una nuova
forma di comunicazione: la trasmissione istantanea con feedback. Ciascuno dei relativi predecessori
digitali è stato quindi un miglioramento o l’evoluzione della controparte fisica. Così la domanda è:
dopo Twitter, cos’altro può essere migliorato?
La spirale mobile
L’asse non riflesso nello schema qui sopra è la raggiungibilità. Con il recente boom dei dispositivi
mobili, la strategia di comunicazione è cambiata ancora una volta. Mentre con i tradizionali
computer la raggiungibilità istantanea non è sempre possibile, con i dispositivi mobili è stato risolto
anche questo problema. C’è stato un boom nel “chattare” e “twittare” con i cellulari, a
dimostrazione che la comunicazione in tempo reale è quello che la gente desidera.
E nel futuro?
Appena non riusciamo ad immaginare qualcosa che possa battere la natura di radiodiffusione in
tempo reale di Twitter, le cose si fanno ancor più strane. Nel popolare show Justin.tv c'è un ragazzo
che gironzola con la macchina fotografica fissata sulla testa, che registra tutto ciò che sta accadendo
intorno a lui. Mentre possiamo mettere in discussione la sanità e l’utilità di questo, non possiamo
negare che siamo incuriositi da questo fenomeno. Questa è un'aberrazione o una via verso il futuro?
La risposta non è un semplice “no”! Nella storia c'è molto di più di quello che noi riusciamo a
capire mentre la viviamo e le diamo forma.
E a proposito di stranezze, cosa pensereste se doveste fare un meeting di lavoro su Second Life,
com'è accaduto nel caso di Amazon? Forse questo non è impari, perché le persone stanno iniziando
a sviluppare sempre di più i servizi per Amazon su Second Life. Con la sempre maggior diffusione
di Second Life possiamo prevedere l'emergere di un nuovo mezzo di comunicazione, che avrà
nuove regole e nuove possibilità e che, indubbiamente, la gente farà di tutto per esplorare.
Conclusione
Siamo testimoni di uno sviluppo mozzafiato di nuove forme della comunicazione digitale. Più che
testimoniando, lo stiamo facilitando. Tutto ciò si sta verificando così rapidamente che non abbiamo
il tempo di fermarci un attimo a riflettere su che cosa sta accadendo. Ma se anche l'email sta
diventando una specie in via di estinzione, allora non possiamo non prestare attenzione a questi
fenomeni. Dunque la domanda è ancora questa: quali forme di comunicazione davvero differenti e
nuove conosceremo nel futuro? E' questo il quesito che lasciamo in sospeso in attesa di risposte.
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
27 luglio 3 agosto
Articolo n.2
Antonio Spadaro, “Il fenomeno Facebook”
da La Civiltà Cattolica, gennaio 2009
Nel novembre del 2007 sulla nostra rivista citavamo Facebook all’interno di un articolo più ampio
sulle piattaforme di aggregazione sociale presenti in internet (1). Già allora, quando superava i 50
milioni di utenti attivi nel mondo, lo indicavamo come un fenomeno destinato a espandersi, pure se
nel nostro Paese non aveva attecchito molto: si contavano solamente 500.000 utenti italiani, anche
perché allora era fruibile solamente in inglese. Cinque mesi dopo è arrivata la localizzazione
italiana (e in altre 20 lingue) e in tal modo si è assistito a una crescita rapida degli utenti.
Attualmente è possibile usare Facebook in 35 lingue. All’inizio del 2009 nel mondo ha superato i
140 milioni di iscritti, dei quali oltre il 70% fuori degli Stati Uniti, e in Italia si è passati in pochi
mesi da 500.000 a 5.300.000. Il nostro è uno dei Paesi con il tasso di crescita più elevato, tanto da
superare altre nazioni europee come Spagna, Germania e Francia. Facebook ha ormai ampiamente
attirato l’interesse di sociologi, psicologi, e dei media in generale rivelandosi come il fenomeno del
momento. Ma che cos’è Facebook e perché esercita tanto fascino?
Lo sviluppo e la diffusione
Facebook nasce nel febbraio 2004 quando Mark Zuckerberg, allora diciannovenne studente di
psicologia ad Harvard, lancia insieme a un piccolo gruppo di amici (Chris Hughes, Dustin
Moskovitz e Eduardo Saverin) (2) un progetto per mettere on line i profili degli iscritti ad Harvard,
in gergo appunto facebook. Pare che nel giro di un mese più di metà degli iscritti ai corsi di laurea
dell’Università si fossero registrati al sito. Da qui, visto il successo, l’estensione ad altre istituzioni
accademiche. Nel giro di appena quattro mesi la neonata piattaforma si diffonde nelle migliori
università del Paese. Cominciano così a fioccare i finanziamenti, e quindi l’estensione progressiva
della rete, prima al mondo scolastico e non solamente accademico, e poi dal maggio 2006 alle
organizzazioni aziendali. Dal settembre 2006 la rete si apre a tutti coloro che hanno compiuto 18
anni o che ne abbiano compiuti almeno 13 ma dichiarino di essere iscritti a una scuola superiore.
L’idea di base dunque è molto semplice: collegare studenti, rispondere a una voglia diffusa di
socializzazione e di nuove conoscenze all’interno di un ambito giovanile e di studio. Attualmente
l’uso di Facebook si sta sviluppando maggiormente tra persone intorno ai 25 anni o di età superiore,
e dunque persone che non sono più studenti.
Quando già più di un anno fa parlavamo di questo fenomeno dicevamo che esso rientrava in quello
più ampio dei cosiddetti social network, cioè delle opportunità di aggregazione sociale che si
espandono grazie a internet. Se l’uso più comune della Rete fino a qualche tempo fa era legato alla
consultazione di siti per ottenere informazioni, adesso l’approccio comune è radicalmente cambiato.
Internet non è più un agglomerato di siti web isolati e indipendenti tra loro, seppure collegati e
messi in rete, ma è da considerare, almeno a livello potenziale, come l’insieme delle capacità
tecnologiche raggiunte nell’ambito della diffusione e della condivisione dell’informazione e del
sapere. Il web oggi è dunque sempre più un luogo di partecipazione e di condivisione. Un social
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
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network è costituito da un gruppo di persone legate, in genere, da interessi comuni, aperte a
condividere pensieri, conoscenze, ma anche pezzi della loro vita: dai link ai siti che ritengono
interessanti fino alle proprie foto o ai propri video personali. Insomma i social network sono
composti da persone comuni, non da tecnici o esperti, che distribuiscono contenuti relativi ai propri
interessi o alla propria esistenza. La loro caratteristica è quella di essere aperti a tutti sia nella
fruizione sia nella costruzione.
Il fenomeno più recente in questo campo è invece la crescita di spazi chiusi, legati a piccoli gruppi
di persone che hanno qualcosa in comune o comunque selezionati in base a qualche criterio.
Partecipare se stessi a tutta la Rete può essere avvertito come spersonalizzante, e così si cercano
spazi più riservati e controllati, community che diano maggiormente il senso di una partecipazione
relativamente ristretta. Facebook si inserisce esattamente in questa evoluzione della Rete,
permettendo l’aggregazione di persone legate realmente o potenzialmente da qualcosa di specifico
(amicizia, interessi…) in maniera da poter anche scegliere chi accettare all’interno del proprio
gruppo di «amici» con i quali restare collegati.
Fra tutte le piattaforme di social network, Facebook si distingue per capacità di sviluppo: ha più
valore e successo perché alto è il potenziale numero di nuovi «amici», che si possono incontrare e di
quelli che già si conoscono ma dei quali nel tempo si sono perse le tracce (compagni di classe,
amici d’infanzia, persone conosciute durante viaggi, conoscenze all’estero…). La capacità di
collegare le persone è dunque il punto di forza di Facebook. Non è un caso che Chris Hughes, cofondatore di Facebook, studente di storia e letteratura e compagno di camera di Mark Zuckerberg ad
Harvard, a 25 anni sia diventato il coordinatore della massiccia e fortunata campagna elettorale in
Rete del nuovo presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Dove sta l’idea vincente che Hughes ha
portato nella campagna elettorale elettronica che ha avuto tanto successo? Hughes ha compreso che
fino a quel momento i mezzi di comunicazione erano funzionali a tenere un filo aperto tra i
candidati e i loro sostenitori. I sistemi di social network — e Obama è stato presente in 15 di essi —
invece hanno permesso ai sostenitori di comunicare tra di loro, generando un vero e proprio
movimento dal basso.
Che cos’è Facebook
Iscriversi a Facebook è molto semplice: basta inserire il proprio indirizzo e-mail e scegliere una
password. Quindi, entrati nel sistema, è possibile iniziare a cercare i propri amici. In questo network
ci si presenta per chi si è veramente, col proprio nome e cognome, e con il proprio volto reale.
Facebook non è il luogo dell’anonimato o dell’identità falsata, ma quello della condivisione di ciò
che si è e si fa realmente. Non manca l’ironia, ovviamente, nel modo di presentarsi, ma anche
questa fa parte, in fin dei conti, della propria «realtà». In genere, basta cercare i propri amici col
loro nome e cognome per trovarli, se essi sono già iscritti a Facebook, ovviamente. Man mano che
si trovano amici è possibile chiedere di diventare loro «amico» nel sistema. Se l’altro conferma, è
possibile accedere al suo profilo e vedere chi sono i suoi amici e così magari, sfogliando l’elenco, è
possibile anche trovare ancora altri amici e così via. Accettare un amico su Facebook significa
accettare di condividere l’elenco dei propri amici e dunque rendere possibile una sorta di scambio e
di conoscenza reciproca, di vita e di relazioni.
Ma che cosa si condivide con gli «amici»? Ciò che si pubblica nel proprio «profilo». Il profilo si
compone di molti elementi grazie a una serie di applicazioni in continua evoluzione. Tuttavia ci
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
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sono alcuni elementi di base che possiamo definire standard per ogni profilo: innanzitutto una
fotografia. Avere un account (un indirizzo) Facebook e avere un profilo privo di foto (cosa per altro
possibile) è quasi un controsenso, visto che letteralmente il nome della piattaforma significa «libro
delle facce». La scelta della foto non è irrilevante, perché essa è l’elemento principale del proprio
profilo, quella che esprime prima di ogni altro messaggio la propria personalità o ciò che di sé si
intende comunicare. Accanto alla foto si trovano una «bacheca», le «info», cioè le informazioni, e
le «foto». Le informazioni mostrano ciò che l’utente vuol dire di sé in maniera più ufficiale,
diciamo così, e sostanzialmente statica: i dati anagrafici, le attività professionali, il grado di
istruzione e i luoghi di formazione, la condizione di stato civile, ma anche l’orientamento sessuale e
quello religioso (Religious Views dell’interfaccia inglese originale diventa in italiano
«Orientamento religioso»).
Ma è la «bacheca» (o wall) ad essere il cuore di ogni profilo. Essa è una sorta di lavagna nella quale
è possibile scrivere momento per momento, usando una breve frase, quello che si sta facendo — il
proprio «stato» (status) nel gergo di Facebook — e in questo modo rendere queste informazioni
pubbliche per gli amici. La domanda essenziale dello status è dunque: «Che stai facendo?». La
risposta è una sorta di parola-chiave che attiva la conversazione. Nel momento in cui l’utente scrive
che cosa sta facendo, i suoi «amici» possono commentare il suo stato (3). Da quando è stata diffusa
l’applicazione che serve per aggiornare il proprio profilo direttamente dal cellulare, modificare di
frequente il proprio stato è cosa semplicissima. Le statistiche ufficiali dichiarano che 13 milioni di
utenti aggiornano il proprio stato almeno una volta al giorno. Quando poi si accetta l’amicizia di
una persona, il fatto viene reso pubblico sulla propria bacheca. E questo avviene anche quando si
modifica in qualunque modo il proprio profilo grazie ad applicazioni che ormai proliferano. Ad
esempio, quando si caricano fotografie, magari scattate al volo con un cellulare, o si pubblica una
nota di testo (una riflessione, una citazione, un pensiero…) o si risponde a un quiz o a un test, o si
aggiunge un link a una pagina web che si ritiene interessante o si carica un video pubblicato su
Youtube.
Le statistiche sono interessanti: pare che ogni mese siano caricate su Facebook circa 700 milioni di
immagini (attualmente sono circa 10 miliardi), quattro milioni di video e 15 milioni tra note, link e
post vari. Ogni aggiunta al proprio profilo può essere commentata dagli «amici»: i commenti
vengono tutti pubblicati sulla propria bacheca, uno dietro l’altro. Va precisato che, qualora uno dei
contenuti (che si chiamano post) non dovesse essere gradito o giudicato opportuno, può essere
facilmente cancellato. Ogni elemento aggiunto al proprio profilo o alla propria bacheca costruisce
un pezzo dell’identità dell’utente, cioè della sua immagine pubblica. Va da sé il rischio di crearsi
una rappresentazione artificiale, spesso allo scopo di sembrare più accettabili, graditi, perfino
desiderabili, anche sessualmente. Ecco uno dei punti problematici delle identità costruite in Rete:
presentarsi in pubblico in maniera non diretta e reale ma tramite un profilo «costruito» è sempre in
qualche modo fare «spettacolo» di sé con tutte le possibili derive narcisistiche.
Le applicazioni che si possono usare su Facebook e che permettono di aggiungere contenuti al
proprio profilo e alla propria bacheca sono in continuo aumento. Ad esempio, è possibile, grazie
all’applicazione Books, segnalare i libri che si stanno leggendo e così conoscere, tra coloro che nel
mondo la usano, gli altri che li stanno leggendo e, magari, condividere con loro impressioni di
lettura (4). È possibile anche grazie a Causes rendere pubblica una causa da difendere o invitare i
propri amici a aderire a petizioni o manifestazioni pubbliche. È possibile inoltre segnalare a tutti le
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
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città del mondo che si sono visitate, e così via. L’elenco delle applicazioni sarebbe davvero troppo
lungo per essere censito qui: ne esistono circa oltre 50.000, infatti, con una crescita di 140 al giorno.
Notiamo infine che le applicazioni possono apparire sul proprio profilo, che dunque viene costruito
graficamente pezzo per pezzo come un mobile che si monta o un appartamento che si arreda. La
scelta e l’ordine delle applicazioni che appaiono nel profilo dicono già qualcosa di chi lo ha messo
on line.
Su Facebook poi è possibile diventare fan di personaggi notevoli, grandi pensatori, artisti,
divulgandone la fama tra gli amici. Ma allo stesso modo è però anche possibile creare fan club di
persone di dubbia fama, modelli negativi, perfino di persone che si sono macchiate di delitti e
sanzionate dalla legge. È stato eclatante il caso del gruppo di fans che si è creato attorno a Totò
Riina, ad esempio, che ha aggregato oltre 6.000 persone, prima di essere annullato. È da precisare
che molti si erano iscritti per inviare commenti di biasimo, ma certo attorno al personaggio si è
creato un fenomeno che è stato poi rilanciato dai media. È possibile formare gruppi di interesse e
aggregare persone tra i propri amici e poi gli amici degli amici in un tam tam spontaneo. Ne
esistono attualmente circa 19 milioni. È poi possibile inviare un messaggio a tutti i membri o anche
costruire un evento a cui invitare amici e iscritti. Usare Facebook per darsi un appuntamento «reale»
è pratica che si sta diffondendo, sostituendo telefonate ed e-mail. Infatti Facebook, se si abilita la
funzione, provvede ad avvisare gli iscritti di ogni novità che riguarda nuove richieste di amicizia,
proposte di far parte di un gruppo, l’invito a un evento (che va dalla partecipazione a una
conferenza a una serata in pizzeria o al cinema, a un party…). Ogni mese vengono creati su
Facebook circa due milioni di eventi. L’avviso avviene via e-mail e, limitatamente agli utenti di
Stati Uniti, Canada e Regno Unito, via sms sul cellulare.
Nella pagina del proprio profilo appare anche pubblicità su una colonna laterale, in maniera
evidente, ma occorre dire anche non pesantemente invasiva. L’utente, se vuole, può esprimersi con
un sistema abbastanza semplice sulla pubblicità che vede apparire accanto al proprio profilo, e
valutarla positivamente o negativamente in modo che il sistema si autoregoli sulla base dei
contenuti offerti. In ogni caso quella pubblicità sta lì a ricordare che Facebook è un’azienda che
mira a creare profitti e non un gruppo filantropico.
A quali bisogni risponde?
Come valutare Facebook? È qualcosa di transitorio o è di destinato a durare nel tempo? Come
abbiamo già fatto in passato, è bene ricordare che le tecnologie che realizzano la Rete non sono
affatto da considerare semplicemente «effimere»: le forme di comunicazione non vengono mai
semplicemente «superate», ma vengono integrate a un livello superiore. E questo è il senso
dell’evoluzione del web e delle piattaforme di social network. La prima domanda da fare dunque
non è sul futuro ma, in certo senso, sul «passato», cioè sulle radici umane e sui bisogni profondi ai
quali Facebook ha risposto riscuotendo così tanto successo. Ci chiediamo dunque: a quale bisogno
risponde?
Potremmo sinteticamente rilevare che Facebook permette ai suoi utenti di sentirsi e vedersi parte di
una rete di relazioni che hanno un volto e una storia quotidiana alla quale si può partecipare con un
click. Se io vado sulla mia home, cioè la prima schermata che mi appare quando mi connetto alla
piattaforma, in un colpo d’occhio vedo lo stato aggiornato dei miei «amici», e dunque apprendo che
cosa stanno facendo, posso visitare poi il loro profilo e saperne di più, magari vedendo chi sono i
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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27 luglio 3 agosto
loro nuovi «amici» o leggere le loro riflessioni, vedere le nuove foto che hanno scattato, e così via.
È possibile trovare anche qualche amico on line e chattare con lui direttamente o inviare messaggi
grazie a un sistema ad hoc. Facebook dunque permette di sviluppare relazioni e, d’altra parte,
permette ad altri di svilupparle con noi. Infatti chi aggiorna il proprio stato o fa l’upload (cioè
«carica», come si dice in gergo) di materiali personali lo fa perché altri possano conoscerli, leggerli,
vederli. Facebook diventa parte di un più ampio lifestreaming, un flusso di vita vissuta che viene in
un modo o nell’altro diffuso e quindi condiviso con i propri contatti mantenendo un certo grado di
intimità, almeno apparente (5).
Le applicazioni sociali che fanno parte del lifestreaming forniscono una cronaca dettagliata e
puntuale delle esperienze quotidiane degli utenti. In fondo, tutto questo è una sorta di controllata
abolizione della privacy, affidata a quella che comunque è un’azienda che fa profitti proprio grazie
ai dati personali che le persone si scambiano tra loro. Da qui anche un fronte di opposizione a
Facebook che sta facendo sentire la propria voce (6). Fortunatamente su Facebook è possibile
impostare alti livelli di protezione dei dati forniti dall’utente, e tuttavia anche il livello massimo di
privacy consente agli «amici» l’accesso ai propri dati. Del resto, se così non fosse, la piattaforma
stessa perderebbe di senso.
Facebook dunque serve per entrare nella vita degli altri e permettere agli altri di entrare nella
propria. Gli «altri» non sono «tutti», ma coloro con i quali si decide di stabilire una relazione.
Ovviamente è possibile abbassare i livelli di privacy ed esporre il proprio profilo al mare della Rete,
ma anche questa logica, tutto sommato, è incoerente con quella della piattaforma, che invece tende
a creare una rete in qualche modo circoscritta di «amici» e non una sorta di pagina completamente
aperta al pubblico.
Conoscere e farsi conoscere
Il bisogno di conoscere e farsi conoscere, il bisogno di vivere l’amicizia sono bisogni «seri», che si
bilanciano con il rischio di confondere relazioni superficiali e sporadiche con l’amicizia,
comunicazione di sé ed esibizionismo, voglia di fare conoscenza e voyeurismo. Sebbene la
differenza tra le prime e le seconde sia radicale, per essere percepita ha bisogno di un’adeguata
educazione alle relazioni e alla percezione di sé. Facebook in questo senso è una sfida, perché come
tutte le piattaforme di social network è insieme un potenziale aiuto alle relazioni ma anche una
minaccia. La relazione umana non è un gioco e richiede tempi, conoscenza diretta (7). La relazione
mediata dalla Rete è sempre necessariamente monca se non ha un aggancio nella realtà. In alcuni
casi è stato testimoniato il desiderio di avere tanti contatti su Facebook e quindi di «collezionare»
amici, che appaiono con le loro foto in miniatura nella pagina del proprio profilo (8). È quasi una
sfida alla solitudine e un desiderio di sentirsi e apparire popolari. In effetti è da non sottovalutare il
desiderio di apparire estroversi, richiesti, cioè, in altre parole, amati. Avere molti amici significa
mostrarsi agli altri come socialmente attraenti (9). Anzi, a volte il proprio profilo serve proprio per
«adescare» potenziali «amici», e le motivazioni possono essere di ogni tipo: dalle più legittime alle
meno plausibili o accettabili. È ovvio, d’altronde, che, più cresce il numero degli «amici», più
Facebook rischia di perdere di significato divenendo un semplice indirizzario un po’ evoluto
tecnologicamente. Se si hanno pochi amici dunque non ha senso mantenere un profilo Facebook,
perché con questi ci si può sentire di frequente; se se ne hanno troppi è pure inutile perché non è
possibile tenere i contatti. È necessario un equilibrio. Su Facebook si tende, inoltre, a non negare
l’«amicizia» a chiunque la chieda, anche se si tratta soltanto di vaghe conoscenze o addirittura di
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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perfetti sconosciuti. La cosiddetta reciprocity rule (regola di reciprocità) a cui siamo abituati dice
infatti: «Se una persona ti dà qualcosa devi cercare di ripagarla». La Rete aumenta a dismisura gli
eventi che fanno scattare questa regola di reciprocità, che invece in questa sede deve essere gestita
con oculatezza e discrezione.
La logica originaria di Facebook implicava un aggancio alla vita reale, in particolare a quella
dell’ambiente di studio. L’uso ideale di Facebook, a nostro avviso, è quello che viene fatto a partire
dalle relazioni reali. È una strada ormai importante per ritrovare compagni di scuola, amici di
infanzia di cui non si sa più nulla, vecchie conoscenze. L’8,5% della popolazione italiana ha un
profilo Facebook e, considerando l’ambito di età predominante sulla piattaforma, è davvero difficile
che un giovane adulto non trovi almeno qualche vecchio amico o un compagno di classe. È anche
vero che spesso le persone si ritrovano all’improvviso, al di fuori di ogni contesto, magari saltando
anni o decenni di vita nei quali sono state separate e senza contatti reciproci. Nel frattempo le
persone che si contattano sono cambiate, e sarebbe un errore appiattire tutti gli «amici» in una sorta
di contemporaneità totale. Se però la piattaforma viene usata con una consapevolezza delle
relazioni, è certo che essa diventa una occasione interessante per consolidare rapporti che a causa
della distanza o per altri motivi rischiano di indebolirsi, oppure per recuperare rapporti che la vita
ha allentato. Non dimentichiamo che l’uso ordinario del telefono cellulare o delle e-mail sono
fenomeni relativamente recenti e quindi è possibile che, con i cambi di domicilio e le varie vicende
della vita, persone prima in contatto poi si perdano di vista.
Esiste la fede su «Facebook»?
Come ogni realtà di Rete che coinvolge direttamente la vita umana, i suoi desideri, le sue tensioni e
le sue relazioni, anche Facebook è un «luogo» nel quale la fede e la religiosità si esprimono e hanno
una loro rilevanza e manifestazione. Ovviamente ciò avviene secondo la logica propria della
piattaforma. Questo significa sostanzialmente che le forme di espressione religiosa sono le seguenti:
presenza tra gli utenti di religiosi o ministri di culto o di credenti che esplicitano la loro identità
religiosa nel proprio profilo, e la possibilità di stabilire con essi un rapporto di amicizia; creazione
di gruppi di fans o ammiratori di leader religiosi o figure notevoli del passato: santi, beati o figure
significative; creazione di gruppi; pubblicità di eventi reali; creazione di applicazioni di carattere
religioso.
Se andiamo alla ricerca della dimensione religiosa presente su Facebook troviamo che queste
possibilità hanno trovato una loro realizzazione e una loro forma. Sebbene non ancora censita, la
presenza di religiosi e sacerdoti su Facebook non è irrilevante. Chi ha assunto un compito pastorale,
specialmente se giovane, ad esempio, trova molto utile essere connesso tramite strumenti di social
network con le persone che fanno parte della propria parrocchia o dei propri gruppi. In tal modo
restano anche aperti, se lo vogliono, ad ampliare i propri contatti. In alcuni casi questi pastori
possono anche essere vescovi diocesani. In Italia è noto il caso del card. Crescenzio Sepe,
arcivescovo di Napoli, che con la sua iscrizione a Facebook ha addirittura toccato il limite massimo
di «amici» consentito dal sistema, cioè 5.000, e ha dunque dovuto aprire, oltre al proprio profilo
personale, un gruppo che contenesse le altre persone che continuano a chiedere la sua «amicizia»: in
poco tempo ha superato i 3.000 iscritti. Ma sono numerosi i leader religiosi di tante religioni dei
quali è possibile diventare fan. Così come è possibile di santi, beati o figure notevoli.
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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I gruppi sono numerosi: sia quelli espressione di realtà preesistenti e con valore territoriale, sia
quelli legati a una tematica specifica o ad un interesse particolare. Si va da gruppi come Faithbook,
un gruppo interreligioso che persegue il dialogo e la sconfitta di ogni estremismo, fino, in ambito
cattolico, a gruppi parrocchiali, ma anche movimenti ecclesiali e presenze di ordini religiosi.
Facciamo qualche esempio. Per i domenicani I love Dominicans, Movimento Giovanile
Domenicano e Gioventù Domenicana. Per i francescani, fra gli altri, Brothers and Sisters of St.
Francis of Assisi, per i carmelitani Carmelites Unite! Per i salesiani citiamo gruppi come Famiglia
Salesiana, Movimento Giovanile Salesiano o Salesians of don Bosco. Per i gesuiti si va da Jesuits
on Facebook gruppo aperto anche a laici, e Ignatian Circle, che collega persone che vivono la
spiritualità ignaziana. Casi peculiari sono quelli dei gruppi riservati soltanto ai membri di un ordine
religioso, e che dunque richiedono un’approvazione previa all’iscrizione come Jesuits in Formation,
riservato solamente ai religiosi gesuiti in formazione perché abbiano un collegamento
internazionale, che prevede anche responsabili nazionali, e The Jesuit Facebook Rec Room e
Societas Iesu, aperti a tutti i religiosi dell’Ordine. Così il caso del gruppo Missionaries Oblates of
Mary Immaculate on Facebook, riservato all’incontro tra i membri della congregazione degli Oblati
di Maria Immacolata.
Alcune riviste cattoliche come la statunitense America Magazine o l’italiana Letture hanno creato
gruppi. La rivista inglese Thinking Faith ha invece fatto una scelta più radicale e avanzata: ha creato
un’applicazione che permette di condividere gli articoli pubblicati sulla rivista rendendoli
immediatamente pubblicabili sulla bacheca personale di qualunque iscritto, aumentandone così la
diffusione.
Sul versante delle applicazioni occorre segnalare il lavoro di don Paolo Padrini, sacerdote della
diocesi di Tortona. A lui e al programmatore Dimitri Giani si deve l’applicazione iBreviary per
iPhone, che permette di scaricare sul palmare della Apple la Liturgia delle Ore del giorno. Sul
versante Facebook don Padrini ha creato Praybook, un’applicazione che permette di pregare con il
testo delle tradizionali preghiere cristiane e con la preghiera della Liturgia delle Ore, ma anche di
inviare ai propri amici preghiere o frammenti di testi evangelici. Esistono anche altre applicazioni di
questo tipo specialmente in lingua inglese come Prayers che permette di condividere nella propria
bacheca intenzioni di preghiera, e Bible che permette di pubblicare quotidianamente sul proprio
profilo una citazione biblica e i commenti di coloro che la usano. A volte si creano gruppi di
preghiera per intenzioni specifiche. Un recente caso singolare è Christians Praying for President
Obama, un gruppo che ha già raccolto oltre 93.000 iscritti che dicono di pregare per il neoeletto
presidente degli Stati Uniti e la sua azione di governo.
La creatività dei credenti in Rete dunque sembra attiva e in grado di trovare anche nei social
network forme e modalità di espressione. Ha ragione dunque p. Richard Malloy, gesuita, professore
di antropologia a Philadelphia, a parlare anche di Religious Life in the Age of Facebook (10), cioè
di vita religiosa, nel senso di vita consacrata, al tempo di Facebook. Le scelte di vita si fanno anche
sulla base delle relazioni che si instaurano, e i social network hanno un impatto proprio sulle
relazioni. Ci si rende conto che la riflessione su queste reti è importante anche in ordine alla vita di
fede, di evangelizzazione e persino alla vita consacrata. Il card. Angelo Bagnasco, presidente della
Conferenza Episcopale Italiana, ha centrato la questione affermando, più in generale, in un suo
recente intervento che «l’azione ecclesiale non deve tanto essere attenta all’utilizzo di “potenti
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mezzi”, ma deve ripartire dall’inculturazione del Vangelo in un ambiente ormai plasmato dai media
e al quale essi forniscono le informazioni e le chiavi di lettura della realtà» (11). Non si tratta
innanzitutto dell’uso di mezzi speciali, ma di comprendere che di fatto il mondo è già ampiamente
plasmato da piattaforme come i social network, le quali di fatto hanno una precisa incidenza sul
modo di leggere la realtà e di vivere le relazioni da parte delle persone che li usano.
Qualcuno in ambito protestante sta cercando di realizzare una riflessione specifica, tuttavia restando
ancora abbastanza in superficie. Un esempio è quello proposto da Facebook for Pastors di Chris
Forbes, un piccolo libro digitale che si può scaricare gratuitamente (12). Alla fine però si rivela una
sorta di semplice e chiara guida generale a Facebook con qualche riferimento alla pastorale
religiosa, che, a dir la verità, risente troppo di una mentalità da marketing del «prodotto» religioso.
Nella nostra lingua segnaliamo Religione 2.0 (13), aggiornato blog dedicato alle risorse religiose sul
web 2.0, realizzato da Luca Paolini, insegnante di religione.
Utopia o mezzo di relazione?
Facebook è una realtà sempre più importante della Rete e conferma che la logica fondamentale del
web è quella relazionale, sociale. Questa piattaforma, sebbene peculiare perché tutta centrata sulle
relazioni, non è affatto l’unica. È semmai il fenomeno emergente, la punta di iceberg di una realtà
più ampia, che ha in piattaforme come Myspace, Flickr, YouTube, Linkedin, Anobii, Ning, Plaxo,
Hi5, Baidu Space, Orkut, Friendster, Bebo, Netlog, Imeem, Catolink, altri luoghi di aggregazione
sociale, a volte di settore, rilevanti e frequentati. E non dimentichiamo che esistono anche network
«locali» come, ad esempio, Xiaonei, fondata nel dicembre 2005 da un gruppo di studenti della
Qinghua University di Pechino, la quale dal novembre 2007 è la piattaforma di social network più
popolare tra gli studenti cinesi, con 15 milioni di utenti registrati.
Il fenomeno Facebook, peculiare per caratteristiche, successo e rapidità di diffusione, più di altri ha
fatto comprendere come i rapporti tra le persone siano al centro del sistema e dello scambio dei
contenuti, che sempre più appaiono in rete fortemente legati a chi li produce o li segnala.
Riemergono dunque con forza i concetti di persona, autore, relazione, amicizia, intimità… Ma,
detto questo, occorre comprendere bene come questi concetti si modifichino e si evolvano a causa
della Rete. La vera novità di Facebook non è in tutti i servizi che offre e sempre di più offrirà
perché è una piattaforma aperta al contributo libero di chi vuole sviluppare applicazioni. Tutti questi
sono e resteranno arricchimenti di un nucleo centrale: la connessione della singola persona, che
appare in tutta la sua vita personale vincendo ogni forma di anonimato e di tutela della privacy
(davvero la cosa più a rischio su queste piattaforme), con la sua rete di amici. Prima di Facebook e
delle piattaforme ad esso simili, internet era sostanzialmente una rete di pagine e di contenuti, non
di persone. Le persone potevano contattarsi tra di loro e aggregarsi in newsgroup e mailing list,
come la nostra rivista scriveva già dieci anni fa (14), ma le relazioni umane in se stesse erano
invisibili al web.
Facebook, in fondo, incarna una utopia: quella di stare sempre vicini alle persone a cui teniamo in
un modo o nell’altro, e di conoscerne altre che siano compatibili con noi. Ma l’utopia deve
confrontarsi col rischio grave che cellulari e computer possano alla fine isolare e dare solamente
una parvenza di relazione, non fatta di incontri reali. D’altra parte la tecnologia da sempre, a partire
dall’invenzione dei messaggi di fumo o di strumenti come il telegrafo o il telefono, è un potente
ausilio alle relazioni personali. In questo lungo processo che compone la storia delle comunicazioni
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umane, Facebook sta giocando il suo ruolo specifico: fa sì che internet diventi innanzitutto una rete
di persone e accelera un processo che nel 2005 ha avuto nei blog (15) uno dei suoi passaggi
fondamentali, e che la nostra rivista ha ampiamente presentato. Facebook è dunque un momento
significativo di questo processo, non certo però un punto di arrivo.
NOTE
1 Cfr A. Spadaro, «Web 2.0: Internet come “rete sociale”», in Civ. Catt. 2007 IV 111-124.
2 Cfr http://www.facebook.com/press/info.php?founderbios
3 Questa forma di socializzazione è stata lanciata nel 2006 da Twitter, un servizio che consente di
lasciare un messaggio non più lungo di 140 caratteri tramite web, messenger o sms letto dalle
persone che hanno scelto di stare in contatto. Una sorta di microblog personale per tenere aggiornati
i nostri «amici» su ciò che stiamo facendo o pensando. Cfr http://twitter.com/
4 In Rete esiste anche Anobii, una piattaforma di social network che si fonda non sulla rete di
amicizia ma sulla rete di libri letti o che si stanno leggendo.
5 Il lifestreaming è l’attività di raggruppare in un singolo posto tutte le informazioni che una
persona mette in Rete in tempo reale sul suo flusso di vita. Inoltre esiste anche Flock, un social
browser che integra in se stesso vari servizi di social network.
6 (Cfr http://www.odiofacebook.net/). Uno degli attacchi più pesanti a Facebook è quello realizzato
da Tom Hodgkinson su The Guardian del 14 gennaio 2008 con un articolo dal titolo «With friends
like these…» che si legge in
http://www.guardian.co.uk/ technology/2008/jan/14/facebook e in traduzione italiana in
http://www.odiofacebook.net/segnalazioni/09-12-2008/con-amici-come-questi.html
7 Cfr E. McLuhan, «Dal villaggio al cyberspazio: una sfida per la fede», in Vita e Pensiero, 2008, n.
3, 82-87.
8 È possibile «giocare» con queste «collezioni» grazie ad alcuni strumenti. Fra questi Six degrees,
grazie al quale è possibile effettuare una ricerca per una qualsiasi persona registrata e verificare
quanti gradi di separazione ci distanziano e dunque anche ci uniscono, secondo l’ipotesi per cui una
persona può essere collegata a qualunque altra attraverso una catena di conoscenze con non più di
cinque intermediari. Altre applicazioni come Nexus e Friend Graph soddisfano la curiosità di avere
una resa grafica della propria rete di amicizie. Il primo crea una mappa a stella raggruppando gli
amici in «nodi» per interessi e affinità. Cliccando sui vari nodi è possibile visualizzare nome e foto
dei vari amici. Il secondo crea un grafico dove i nomi compaiono subito accanto ai nodi, che sono
spostabili con il mouse.
9 Cfr «Too Much of a Good Thing? The Relationship Between Number of Friends and
Interpersonal Impressions on Facebook», in Journal of Computer-Mediated Communication XIII
(2008) 531-549.
10 È il titolo di un suo articolo apparso in America, 7-14 July 2008.
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11 Dal discorso pronunciato il 2 ottobre 2008 in occasione della plenaria del Consiglio delle
Conferenze Episcopali Europee, tenutasi in Ungheria nella diocesi di Esztergom-Budapest.
12 In http://ministrymarketingcoach.com/free-e-books/
13 In http://www.religione20.net/
14 Cfr A. Spadaro, «Le nuove riviste letterarie in internet. Tra critica e telematica», in Civ. Catt.
1999 III 27-40.
15 Cfr Id., «Il fenomeno “blog”», ivi, 2005 I 234-247.
--------© La Civiltà Cattolica 2009 I 146-159 quaderno 3806
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Articolo n. 3
Antonio Spadaro, “«Twitter» cambierà la nostra vita?”
da La Civiltà Cattolica, luglio 2009
Il settimanale Time del giugno scorso ha dedicato la copertina a uno dei fenomeni della Rete
maggiormente in espansione, Twitter. All’interno della rivista si può leggere un articolo dal titolo:
«Come Twitter cambierà il nostro modo di vivere» (1). Che cos’è Twitter? In inglese questa parola
significa «cinguettìo», ma può essere anche un verbo, «cinguettare». Il simbolo di Twitter, infatti, è
un uccellino che cinguetta. Si tratta di una forma di socializzazione lanciata in Rete nel marzo 2006
dalla Obvious Corporation di San Francisco (2). Essa consente a una persona di inviare da un
computer o da uno smartphone un messaggio, detto tweet, non più lungo di 140 caratteri, che
raggiunge immediatamente coloro che hanno scelto di stare in contatto con lei, i suoi followers.
Gli aggiornamenti risultano visibili a chiunque, a meno che non si decida diversamente. Esistono,
inoltre, applicazioni come Twinkle, che permettono di «geolocalizzare» l’utente (cioè di individuare
le coordinate spaziali nelle quali si trova) e di intercettare i tweets inviati da altri twitters che sono
nelle sue vicinanze, creando occasioni di «conversazione». Esiste anche un motore di ricerca,
Twitter Search, che permette di compiere ricerche, aggiornate in tempo reale, su tutti i tweets che
vengono inviati nel mondo. Questa possibilità è centrale e ha acquisito un ruolo fondamentale nella
diffusione di Twitter. Infatti è possibile compiere ricerche su tutti i tweets di tutti gli utenti o, per
essere più precisi, di quelli che non abbiano disabilitato l’opzione che fa sì che tutti i propri post
siano resi pubblici.
Detto questo, in realtà, è detto tutto l’essenziale. Twitter infatti è quanto di più semplice ci possa
essere. È qualcosa di molto simile agli sms che si inviano dai cellulari, ma in questo caso l’invio
avviene gratuitamente tramite la Rete, e può raggiungere in contemporanea anche migliaia di
persone. Stare in contatto con tutti coloro che lo desiderano, cioè inviare i propri messaggi e
ricevere i loro può generare un «cinguettìo» continuo di testi, che mediano notizie, idee, domande,
comunicazioni su dove ci si trova e che cosa si sta facendo. I messaggi possono essere visualizzati
in ordine cronologico di arrivo nella pagina web del proprio profilo Twitter. Perché, dunque, un
sistema di messaggistica così semplice dovrebbe cambiarci la vita?
Che cosa stai facendo?
Diciamo subito che le radici di Twitter sono più profonde di quel che sembra. Questa forma di
comunicazione più che dai «messaggini» deriva dai blog, nati alla fine degli anni Novanta, che
hanno davvero cambiato il volto della Rete. Ce ne siamo occupati sulla nostra rivista alcuni anni fa
(3). Ricordiamo al lettore che i blog sono una forma di «diario in Rete», uno spazio virtuale, gestito
autonomamente, che consente di pubblicare contenuti di qualunque tipo che appaiono in ordine
cronologico, dal più recente fino al più vecchio, e conservati in un archivio sempre consultabile.
Man mano che i nuovi contenuti (post) vengono inseriti, quelli più datati si posizionano più in basso
fino a confluire nell’archivio settimanale, mensile o annuale. Successivamente sono nati i cosiddetti
tumblelog o tlog, che sono blog costituiti da post brevissimi inviati su una piattaforma che si chiama
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Tumblr, studiata espressamente come blocco appunti, cioè come un raccoglitore di contenuti
multimediali sparsi sulla Rete.
Un tweet, cioè un messaggino inviato su Twitter, è un sistema per inviare post in miniatura. Se un
post è praticamente un articolo e richiede comunque tempo e riflessione, un tweet può essere
un’idea, un concetto, un’informazione, un suggerimento, un appello… tutte cose che si scrivono
velocemente. Ma l’idea originaria era quella di comunicare in 140 caratteri la risposta a una precisa
domanda: What are you doing?, cioè «Che cosa stai facendo?». Twitter nasce dall’idea di rendere
partecipi gli altri della propria vita, istante per istante, «cinguettando» se stessi al mondo delle
proprie relazioni. Il messaggio di stato, cioè la risposta a quella domanda fondamentale, permette di
partecipare a una sorta di ampio lifestreaming, un flusso di vita vissuta che in un modo o nell’altro
viene diffuso e quindi condiviso con i propri contatti tramite i social networks (4), mantenendo un
certo grado di intimità, almeno apparente. Lo stesso Facebook ha incorporato questa idea, rendendo
il messaggio di stato il cuore di ogni profilo, una sorta di parola-chiave che attiva la conversazione
(5). Quando l’utente scrive su Facebook che cosa sta facendo in quel momento, i suoi «amici»
possono commentare il suo stato; su Twitter invece si può rispondere al messaggio in modo privato
o pubblico. Facebook ha tentato di acquistare Twitter per 500 milioni di dollari, ma senza successo.
Da ciò si può capire il valore economico della piattaforma, che si basa su una idea tanto elementare,
e quali speranze si ripongano in essa, anche se non produce introiti al momento perché il servizio è
del tutto gratuito: si affida agli investitori e agli azionisti che lo sostengono (6).
Il primo dato che appare evidente è la crescita delle visite che Twitter riceve. Secondo stime della
Nielsen nel solo mese di aprile 2009 esse sono state oltre 17 milioni. Certo non raggiungono il
numero delle visite del motore di ricerca Google, che ne ha contate oltre 131 milioni, e tuttavia la
differenza è che in un anno il tasso di crescita di Google è stato del 9% mentre quello di Twitter del
1.298%. Altre statistiche rilevano che in un anno il tempo speso su Facebook è cresciuto di circa il
700%, mentre quello speso su Twitter del 3.700% (7). Si tratta di una crescita vertiginosa. Il
numero di utenti non è precisato ufficialmente, ma sembra che si aggiri sui sei milioni, i quali
appartengono a una fascia media di età tra i 25 e i 50 anni, tagliando dunque fuori gli adolescenti,
che sembrano meno interessati a questa piattaforma di comunicazione. Ovviamente la diffusione
dell’uso del sistema non è omogenea nel mondo, anche a causa del digital divide (divario digitale).
Le statistiche di internetworldstats.com danno le seguenti percentuali d’uso: Asia 37,6%, Europa
27,1%, Nord America 17,5%; America Latina e Caraibi 9,8%, Africa 3,6%, Medio Oriente 3,0%,
Oceania 1,4%. Nel momento in cui scriviamo nel mondo vengono inviati in media 231 tweets al
secondo (8).
A che cosa si devono questi numeri e soprattutto tale crescita? Il primo motivo, il principale, è che
Twitter è semplice, versatile e adattabile a bisogni e usi disparati: ci può essere o non essere
reciprocità tra i twitters, e possono essere inviati messaggi privati; chiunque può scegliere di volta
in volta come ricevere o mandare gli aggiornamenti. Per fare qualche esempio concreto possiamo
verificare questi usi: scambio di messaggi tra un gruppo ristretto di amici per un aggiornamento
costante; flusso continuo di notizie all’interno di un gruppo che lavora a un progetto comune;
bacheca di avvisi in tempo reale; contatto tra studenti e docenti circa la didattica; sistema usato da
giornali o giornalisti per tenere aggiornati i propri lettori sugli articoli pubblicati, e così per la radio
e la televisione circa gli aggiornamenti dei programmi; mezzo di comunicazione tra uomini politici
e cittadini (9).
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Una «Twitter Theology»?
Non bisogna trascurare la presenza cristiana nel mondo dei twitters. Si è parlato di quella che viene
definita, con un neologismo, twitness, cioè di una testimonianza (witness, in inglese) della fede
tramite Twitter, ed esistono liste di utenti cattolici come Tweetcatholic e la lista elaborata da padre
Roderick Vonhögen, della diocesi cattolica di Utrecht, in prima linea nell’evangelizzazione tramite
gli strumenti elettronici (10). Il primo profilo di quest’ultima lista è quello del Papa, nel quale si
dice subito però che non si tratta di un profilo ufficiale, e che tuttavia ha lo scopo di tenere
aggiornati i followers sulle attività di Benedetto XVI. Esistono elenchi di vario genere, in realtà: un
esempio tra i tanti è quello dei profili di musicisti riconosciuti come cattolici (11). Tra i ministri
cristiani non cattolici è da segnalare Mark Brown, pastore anglicano neozelandese, anche lui, come
p. Vonhögen in ambito cattolico, tra le personalità del mondo cristiano più attive in Rete in maniera
intelligente e pionieristica.
Un uso peculiare è l’invio di brevi preghiere che vengono condivise con i followers, e che sono, in
un certo senso, una nuova forma di giaculatoria capace di coinvolgere molte persone
contemporaneamente (12). In realtà stanno emergendo nuove forme di piattaforme sociali di Rete
legate alla fede, ma in modo particolare alla preghiera (13). Uno tra i network più interessanti è
Kindle, attraverso il quale chiunque lo desideri può inviare una preghiera condividendola con altri,
che possono unirsi e segnalare la loro condivisione (14). Le preghiere più recenti vengono
visualizzare sulla homepage, e una mappa geografica, semplice ma di grande impatto, segnala
l’elevarsi delle varie preghiere dai vari continenti. È anche possibile selezionare un’opzione che
permette di inviare automaticamente la propria preghiera come tweet ai propri followers.
Qualcuno ha anche immaginato che Twitter possa essere una metafora della Chiesa intesa come
interconnessione di fedeli opposta alla radicale solitudine propria della condizione umana,
ipotizzando una «teologia di Twitter» (15). La Chiesa in questo senso verrebbe intesa come the
ultimate social network, la rete sociale definitiva. La metafora è interessante ma inadeguata:
l’«appartenenza» ecclesiale non è mai frutto di un «consenso» né è un «prodotto» della
comunicazione. La Chiesa non è una rete di relazioni immanenti, ma ha sempre un principio e un
fondamento «esterno». Se le relazioni in Rete dipendono dalla presenza e dall’efficace
funzionamento degli strumenti di comunicazione, la comunione ecclesiale è radicalmente un
«dono» dello Spirito. L’agire comunicativo della Chiesa ha in questo dono il suo fondamento e la
sua origine. Inoltre i rapporti di Rete rischiano di formare un’abitudine all’inutilità della mediazione
incarnata in un certo momento e in un certo luogo e, dunque, anche alla testimonianza e alla
comunicazione autorevole.
Tuttavia è possibile immaginare molti usi pastorali di Twitter senza alcun bisogno di costruire su
tale piattaforma una metafora inadeguata della Chiesa. Infatti può essere un sistema di rapida
informazione per gruppi o anche per ordini e congregazioni religiose, come lo è già nel caso di
alcune province della Compagnia di Gesù, per l’ordine degli agostiniani recolletti, per le missioni
salesiane e così via. Pensiamo all’invio di brevi messaggi con le notizie fondamentali della
parrocchia o di una comunità ecclesiale. La creatività dei credenti e dei pastori può trovare forme
nuove di diffusione e condivisione del Vangelo e della vita della Chiesa: nel mondo cristiano ci
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sono già alcune esperienze di questo tipo (16). Alcuni parroci, e anche qualche vescovo, pongono
domande durante l’omelia domenicale chiedendo ai fedeli di rispondere con tweets (17). A volte
sacerdoti o pastori «cinguettano» una frase del Vangelo o uno spunto di meditazione. Si tratta di usi
già attuati in comunità ecclesiali attive in contesti culturali molto sensibili alle nuove tecnologie e al
loro uso ordinario.
Perché dunque tanto successo?
Come ben si comprende, Twitter è una realtà molto flessibile perché può assumere varie valenze:
dall’instant messaging, al pari di un sms, a un vero e proprio strumento di social networking come
forma peculiare di blog collettivo, che permette di creare, scambiare e integrare idee, notizie e
concetti: insomma un vero e proprio laboratorio di micro-comunicazione in fermento (18). Su
Twitter si scambiano messaggi quali: «vado a dormire», «ho preso un caffè» e così via, fino a
notizie importanti in grado di raggiungere immediatamente chiunque o a forme di condivisione
abbastanza profonda, anche di fede. Notiamo, infine, che è anche possibile entrare a far parte di un
twibe (parola frutto della contrazione di Twitter Tribe, «tribù Twitter»), cioè di un gruppo di
twitters che si aggrega sulla base di interessi comuni (19). Esistono anche twibes di carattere
religioso e spirituale.
Una recente definizione del fenomeno Twitter è stata quella dell’everywhere messaging, che fa
riferimento all’abilità di inviare messaggi sempre e dovunque: comunicando in maniera sincrona, in
tempo reale, condividendo eventi e notizie. E questo può avvenire senza interrompere ciò che si sta
facendo, e senza che colui che ci segue, il nostro follower, ricevendo il nostro messaggio, sia
interrotto in maniera molto impegnativa dal messaggio ricevuto. Si capisce che tutto è relativo: se si
hanno molti amici attivi, il rischio è quello di avere un flusso continuo e alienante di tweets, se la
notificazione della ricezione dei messaggi è attiva sul proprio cellulare o smartphone. Tuttavia qui
si fa riferimento al fatto che i tweets in se stessi sono discreti e poco impegnativi, pur veicolando a
volte informazioni importanti: per scriverli occorre infatti esercitare l’arte dell’estrema sintesi.
Dunque: ubiquità, rapidità e semplicità sono tre fondamentali punti di forza di Twitter. Per questo,
anche più che ogni altro mezzo più complesso e articolato, testimonia l’ampia comunicazione che
avviene in Rete e fa emergere subito le novità, permettendo la diffusione di notizie, opinioni, idee.
Forse un esempio concreto vale più di molti discorsi. Riportiamo l’esperienza di Steven Johnson,
l’autore dell’articolo su Time citato sopra. Egli un giorno si è trovato a partecipare a un dibattito
sulla riforma dell’educazione, un incontro ristretto tra specialisti durato circa sei ore. All’inizio
della conferenza gli organizzatori hanno annunciato che sarebbe stato possibile inviare commenti
via Twitter ai lavori che venivano svolti, e che l’elenco (feed) dei tweets sarebbe stato proiettato in
tempo reale in sala su un maxischermo (20). La situazione finale è dunque chiara: mentre i lavori si
svolgevano e i relatori tenevano i loro interventi, i partecipanti avevano la possibilità di intervenire
e inviare i loro commenti o porre le domande in maniera visibile a tutti. Se allarghiamo la stessa
esperienza dai confini di una sala per conferenze al mondo intero intuiamo subito quali possano
essere le potenzialità del mezzo, oltre ai suoi rischi.
Queste potenzialità si sono moltiplicate esponenzialmente da quando è possibile fare ricerche sui
tweets, e da quando gli utenti hanno imparato a usare sistemi (21) per abbreviare i lunghi indirizzi
internet per cui è anche possibile segnalare lunghi articoli, discussioni, video e immagini in un
singolo tweet. Twitter ha dunque assimilato la tipica funzione dei tumblelog, i blog minimalisti,
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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portandola dentro il proprio sistema. Twitter perciò è diventato una miniera di informazioni
continuamente aggiornate in presa diretta, ponendosi in competizione con i tradizionali motori di
ricerca. Non si tratta di una competizione sullo stesso piano, ma su un livello ulteriore. Google, ad
esempio, usa un algoritmo per cui le risposte alle nostre ricerche segnalano, grazie a una selezione
automatica fatta da una «macchina», i siti che ricevono più citazioni in Rete, dunque quelli che sono
riconosciuti come più «popolari». Google è un sistema che si fonda su questa anonima
accumulazione di autorità.
Il sistema di ricerca di Twitter invece offre come risultati ciò che gli utenti si stanno dicendo su quel
particolare argomento nell’istante in cui la ricerca viene effettuata. Emergono dunque le pagine web
che su quell’argomento sono considerate più significative e attuali (22). La pagina principale di
ogni account Twitter segnala i cosiddetti Trending Topics, cioè gli argomenti più discussi in quel
momento all’interno di tutta la «twittersfera». Esistono anche sistemi che aggregano tweets per
canali tematici, come Tweetmeme. Viene insomma «servito» il super fresh web, come è stato
definito. Il giorno delle elezioni negli Stati Uniti le ricerche su Twitter sono aumentate di oltre il
40%. E ricordiamo che sono stati twitters i primi a segnalare nel mondo il terremoto nel Sichuan e
quello in Abruzzo o gli attacchi terroristici a Mumbai. È chiaro che, proprio per questo, diventa un
sistema per diffondere immediatamente, e in maniera incontrollabile anche da Governi repressivi,
notizie e inviti alla mobilitazione. Un esempio eclatante è quello a cui abbiamo assistito in Iran,
dove le notizie sulle elezioni e gli appelli alla protesta contro il Governo hanno utilizzato Twitter
come canale privilegiato di comunicazione. Poiché il sistema funziona anche via sms, per bloccarlo
bisognerebbe attuare un intervento troppo drastico oscurando completamente le telecomunicazioni.
Twitter, insomma, può essere una sorta di radar costituito non dall’intelligenza artificiale, come i
motori di ricerca, ma dalla viva selezione di persone: «Esplorare Twitter è come navigare in una
mente collettiva che elabora idee, filtra le informazioni, commenta le notizie» (23).
Attorno a queste potenzialità è cresciuto un mosaico di applicazioni (circa 11.000) non create
dall’azienda Obvious Corporation, proprietaria di Twitter, ma da «terze parti». È da notare
soprattutto che esse sono create da utenti (end-users), i quali da «consumatori» di un servizio
diventano «innovatori», capaci di trasformare la piattaforma, in sé molto semplice, in un sistema
complesso di comunicazione, informazione e ricerca. In termini informatici Twitter sta diventando
un mash-up («poltiglia»), cioè un’applicazione ibrida che include dinamicamente informazioni o
contenuti provenienti da più fonti; uno strumento multiuso, il «coltellino svizzero» dei social
networks, perché può diventare molte cose disparate: uno strumento di microblogging, un network
per condividere foto, video e musica, un motore di ricerca, ma anche una piattaforma e-commerce e
molto altro ancora.
Quando la comunicazione diviene narrazione
Accanto a questa dimensione plastica di Twitter però permane quella originaria, legata cioè alla
condivisione tra persone di momenti della propria vita, persino quelli più insignificanti, anzi
soprattutto di quelli (che cosa sto mangiando a colazione, quale film sto andando a vedere al
cinema…), collegati alla domanda-chiave: «che cosa stai facendo?». Perché, dunque, milioni di
persone condividono minuto per minuto la propria vita, realizzando ciò che viene definita «intimità
digitale»? (24). Essa si sviluppa a partire da piccole puntuali narrazioni sulla propria esistenza, le
quali sono come le tessere di un puzzle che si sviluppa progressivamente, e che fornisce
un’esperienza psicologica interpersonale molto particolare. Nessuno telefonerebbe in maniera
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sistematica ai propri amici al mattino per sapere che cosa stanno mangiando a colazione o che cosa
si preparano a fare in mattinata, o per comunicare un pensiero passeggero. Può accadere, però,
come è giusto che avvenga in una normale amicizia nella quale si condividono anche le cose meno
significative. Con Twitter, e così con altri sistemi di social network che permettono di pubblicare
messaggi di stato, è possibile invece avere tale conoscenza quotidiana degli amici nella misura in
cui essi la mettono a disposizione. Quindi, anche se si vive a centinaia di chilometri di distanza e ci
si vede solamente una volta ogni tanto, si ha la percezione che il contatto non sia mai stato davvero
interrotto. Al contrario si può cominciare a discutere di ciò che si è saputo tramite i tweets o si è
letto sul wall Facebook dell’altro. Si finisce per realizzare un legame sociale di una certa intimità.
Il legame di cui si sta parlando è generato da una comunicazione che risponde a un bisogno di
partecipare a storie. In un’epoca nella quale si fa fatica a pensare in termini di grandi storie, di
macro-narrazioni, di visioni ampie, di orizzonti condivisi e comuni nei quali riconoscersi, le micronarrazioni di Twitter, che portano con sé spesso traccia del calore di un’intimità di tipo emozionale,
aiutano a sentirsi parte di una storia, della storia di altre persone. Tanto più la condivisione è legata
a fatti minuti, privati, spesso insignificanti, tanto più il senso di partecipazione e condivisione risulta
essere profondo, perché, appunto, quotidiano. Twitter, con i suoi piccoli «cinguettii», porta le
persone dentro la vita e la storia degli altri, creando un «ambiente» che emotivamente ha il calore di
una narrazione. In un mondo sempre più strangolato da ritmi frenetici di vita, e da una mentalità
calcolante e pragmatica, il bisogno di raccontare e di sentirsi raccontare, via Twitter, che cosa si sta
mangiando a colazione, o qualunque altro particolare «insignificante» della propria vita,
paradossalmente può diventare una possibilità in più per testimoniare che il senso della nostra
esistenza si «gioca» in realtà su piccole cose e sulla condivisione della quotidianità.
D’altra parte però è anche vero che i twitters con i loro brevi «cinguettii» condividono notizie di
eventi di rilevanza ampia, prendendo così parte a una sorta di grande commentario live della storia
del mondo: pensiamo agli scambi avvenuti nel momento delle elezioni statunitensi o di quelle
iraniane; ma anche alla condivisione di frasi di un discorso del Papa o ad eventi ecclesiali come la
Giornata Mondiale della Gioventù. Twitter dunque è anche un modo per diventare parte di macronarrazioni. Occorre comprendere bene i bisogni antichi e profondi ai quali Twitter, a suo modo,
risponde per valutarli criticamente e comprenderne i significati, i rischi e le risorse.
Persino quando Twitter diventa un motore di ricerca si comprende che si ha bisogno non solamente
di un’informazione basata su un’autorità anonima anche se discretamente attendibile, come quella
ottenuta tramite Google, ma sulla testimonianza diretta di un’altra persona. Sono stati creati piccoli
programmi (scripts) utili a integrare le due esperienze di ricerca che permettono di visualizzare in
automatico nelle proprie ricerche su Google anche gli ultimi tweets che sono stati inviati sulla
parola o sulle espressioni che si stanno cercando. Insomma: anche l’informazione con Twitter
diventa parte di un racconto, di un’esperienza di cui si avverte il bisogno.
Rischi e opportunità
I rischi sono sostanzialmente legati a una percezione falsata della realtà dei rapporti. Facciamo un
esempio. Uno dei personaggi mediatici in assoluto tra i più seguiti su Twitter è Oprah Winfrey, la
celebre conduttrice televisiva e opinion maker degli Stati Uniti. Nel momento in cui lei invia su
Twitter un messaggio le si può rispondere, e molti lo fanno. Il rischio è di confondere un modo per
essere aggiornati su cosa lei sta facendo o pensando, con una strada facile per stabilire con lei una
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relazione in qualche modo personale. Notiamo che al momento in cui scriviamo la signora Winfrey
è seguita da oltre 1.600.000 followers. Si comprende, dunque, come l’eventuale percezione di
dialogo con lei possa essere un’illusione. Abbiamo fatto solamente un esempio macroscopico, che
però può essere adattato alle situazioni ordinarie per comprendere il rischio di un’intimità
apparente. Anche tra persone che si conoscono il rischio diventa quello di «trovarsi» senza
comunicare realmente fino a realizzare una sorta di «autismo sociale», una socializzazione di tipo
paradossalmente individualistico. Consideriamo inoltre che sarebbe tutta da valutare la quantità di
«abbandoni». Stando ai dati forniti dalla Nielsen mediamente il 60% degli utenti statunitensi non
ritornano su Twitter a meno di un mese dalla loro prima visita, e in un anno solamente 3 nuovi
utenti su 10 continuano a usare la piattaforma (25).
D’altra parte, nonostante i rischi, occorre comprendere come Twitter sia una tappa dell’evoluzione
tecnologica che ha già un impatto di un certo rilievo in alcuni contesti culturali e sociali, offrendo
opportunità notevoli nell’ambito dell’informazione e delle relazioni. È un dato di fatto che chi è in
relazione non solamente virtuale trova nei mezzi di comunicazione digitale e nei social networks
una grande risorsa per approfondire i rapporti che ha creato. Come, del resto, è possibile con i mezzi
elettronici far nascere rapporti umani veri e profondi, che poi successivamente prendono corpo
anche con la conoscenza diretta. La Rete e gli strumenti di informazione e relazione che essa
sviluppa, prima ancora di essere qualcosa da giudicare, sono un fatto, una realtà. Se nel recente
passato si avevano rapporti umani che non erano mediati dalla tecnologia, a parte il telefono, di
recente ha fatto irruzione nel nostro tessuto sociale una rilevante mediazione tecnologica: è un fatto
con il quale bisogna confrontarsi. Trincerarsi dietro un rifiuto drastico o un giudizio negativo
impedirebbe di gestire il fenomeno e di avere un approccio in termini educativi, che poi è quello di
cui c’è soprattutto bisogno. Al contrario oggi è necessario maturare una sana integrazione tra la
nostra vita quotidiana e le potenzialità che ci vengono offerte dall’ambiente virtuale. La Rete è
«virtuosa» se non è intesa come sostituto alienante della realtà, ma se arricchisce di potenzialità la
vita attuale, reale; anche la vita di relazione.
Twitter dunque può essere sia un modo per perdere tempo e per alienarsi dalla propria vita in una
marea di messaggi inviati e ricevuti, sia un modo nuovo per tenere vive relazioni, per comunicare
meglio e per essere informati in una maniera più efficace. In ogni caso — conclude l’articolo del
settimanale Time che citavamo all’inizio — «le previsioni del tempo continuano ad annunciare che
il cielo ci sta crollando addosso, ma ecco che milioni di noi stiamo lì a cercare di inventare nuove
vie per parlare gli uni con gli altri» (26).
NOTE
1 S. Johnson, «How Twitter will change the way we live (in 140 characters or less)», in Time, June
2009, 28-33.
2 Gli inventori di Twitter sono Evan Williams, Biz Stone e Jack Dorsey. Williams è nato a Clarks,
un paesino del Nebraska, da una famiglia di allevatori; dopo aver abbandonato l’Università è
approdato alla Silicon Valley, inventando il termine blogger e l’omonima società (blogger.com), poi
passata a Google. A lui si è affiancato Dorsey, nato a St. Louis nel Missouri, che aveva lasciato la
New York University, e Stone, originario di Wellesley, cittadina vicina a Boston. Venduta la società
a Google, Williams e Stone sono rimasti 20 mesi sotto la nuova proprietà, ma alla fine la voglia di
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indipendenza li ha spinti a lasciarla. Hanno quindi fondato Odeo, una società informatica, dove è
arrivato Dorsey a proporre l’idea dei messaggini di massa. Dorsey aveva fatto programmi per
tassisti e dispatcher, i centralini di prenotazione, che avevano bisogno in continuazione di conoscere
le condizioni del traffico in un certo momento. Da qui l’idea di estendere il servizio a chiunque.
3 Cfr A. Spadaro, «Il fenomeno “blog”», in Civ. Catt. 2005 I 234-247.
4 Cfr Id., «Web 2.0: Internet come “rete sociale”», ivi, 2007 IV 111-124.
5 Cfr Id., «Il fenomeno “Facebook”», ivi, 2009 I 146-159.
6 Cfr http://shrunklink.com/cosr
7 Cfr E. Assante, «Time incorona Twitter “Così i mini-blog cambieranno il mondo”», in la
Repubblica, 6 giugno 2009.
8 Il 14 giugno scorso è stato raggiunto il numero-soglia dei messaggi che possono essere inviati
sulla base di un limite di capacità di trattamento dei dati: 2.147.483.648. Questo ha generato una
serie di problemi definiti twitpocalypse, che sono stati risolti, ma che hanno creato difficoltà ad
applicazioni basate su Twitter. Cfr http://www.twitpocalipse.com/
9 Nel momento in cui scriviamo, ad esempio, il presidente Obama è seguito da oltre 1 milione e
500.000 followers, superato però da persone dello spettacolo quali Oprah Winfrey e Britney Spears.
10 Cfr http://fatherroderick.sqpn.com/2009/02/17/cool-catholics-on-twitter/
11 Cfr http://www.catholicjukebox.com/wp/?p=173
12 Cfr http://twitter.com/PauseForPrayer che ha circa 500 followers. Cfr anche
http://shrunklink.com/cotq
13 Liste utili sono le seguenti: http://thegospelblog.com/2009/06/a-list-of-40-christian-socialnetworks/ e http://www.iconocast.com/00023/N0/News9A.htm
14 Cfr http://www.kindlejoy.com/. Quest’ultima presenta anche una breve descrizione di ogni
piattaforma. Segnaliamo anche il blog di area cattolica http://catholictechtips/. stblogs.com/
15 Cfr http://www.midnightoilproductions.com/2009/05/sermon-series-the-theology-of-twitter e
http://www.christandpopculture.com/technology/a-theology-of-twitter
16 Cfr, ad esempio, l’esperimento di condividere la propria esperienza di Dio durante la Pasqua via
Twitter, anche in chiesa (cfr http://shrunklink.com/cplo). L’esperimento presenta insanabili
ambiguità se viene vissuto durante le celebrazioni «in diretta», perché il rischio è l’alienazione: si
condivide la propria esperienza con altri assenti finendo per trascurare ciò che si sta vivendo con i
fedeli presenti. Tuttavia, se la condivisione avviene in momenti adeguati, come partecipazione di
una risonanza personale, la proposta può diventare interessante.
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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17 Se cerchiamo su Google le parole The Gospel according to Twitter («Il vangelo secondo
Twitter») otteniamo come risultato ben 4.600.000 pagine web.
18 Esistono, fra l’altro, vari siti che tengono d’occhio la sua evoluzione. Ad esempio il blog
http://twitterfacts.blogspot.com
/
19 Cfr http://www.twibes.com/
20 Questo è stato possibile perché tutti erano invitati a inserire all’interno dei 140 caratteri la stringa
#hackedu (il titolo dell’incontro era infatti Hacking Education) che serviva da filtro per la ricerca e
la visualizzazione in automatico dei messaggi all’interno della «twittersfera».
21 Esistono i cosiddetti url-shortener, cioè siti che consentono di abbreviare lunghi indirizzi
internet, difficili non solo da ricordare ma anche da digitare in indirizzi brevi che contengono una
combinazione di pochi caratteri.
22 Cfr, ad esempio, questa pagina: http://shrunklink.com/cpig
23 L. Dello Iacovo, «Bussole per Twitter», in Nòva 24, 12 maggio 2009, 23.
24 Cfr C. Thompson, «Brave New World of Digital Intimacy», in The New York Times, 5
settembre 2008. Si può anche leggere on line in http://shrunklink.com/cowr
25 Cfr http://shrunklink.com/coyh
26 S. Johnson, «How Twitter will change the way we live…», cit., 33.
---------© La Civiltà Cattolica 2009 III 17-28 quaderno 3818
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Articolo n. 4
Alessandra Retico, “La seconda vita comincia su internet”
da La Repubblica, 3 settembre 2005
Sulla scia dei "Sims" un nuovo gioco fa il pieno di fan.
Un universo finto, ma con una moneta "convertibile".
Sesso, amore, soldi: mondo virtuale in 3D per 10 dollari al mese.
ROMA - Dieci dollari al mese e ciao ciao vita banale. Dieci dollari al mese et voilà, alto, biondo,
felice. Inventi tutto, sesso, carattere, carriera, cerchi il meglio, cioè l'impossibile: la casa con il
recinto, il cane che non morde, i vicini gentili. Una vita da sogno, più complessa, tutta diversa. E
perché no anche peggiore, sporca e imperfetta, perché essere sempre puntuale e affidabile può
diventare noioso. Magari compri pure un pezzo di terra, la rivendi, e si fanno anche soldi.
Quanta gente poi, parli, ti fidanzi, sposi e tradisci, ami ancora e ancora. Poche regole di convivenza
civili da non trasgredire altrimenti fuori, nessun altro limite.
Fantasia al potere per soli dieci dollari, un buon prezzo. 40mila persone lo pensano, e pagano per
vivere su Second Life, mondo virtuale in 3D fatto che sembra vero, genere The Sims, personaggi
quasi carne e anima, sentimenti e persino Tempo, esistenza che dura. Più di un videogame, una
simulazione della vita, una seconda vita, parallela. Gioco di ruolo di massa in onda sulla Rete, nome
in codice Mmog (Massively multiplayer on line game): su internet ne sono cresciuti 350 negli
ultimi anni. Ma questo è di più, Second Life è senza margini perché senza obiettivi precisi. Lo
scopo è starci, vivere proprio come se fosse vero, inventarsi.
Il funzionamento è facile: ti iscrivi su secondlife. com, scegli l'avatar, e cioè l'alter ego cui dare
corpo, vestiti, casa, carattere, partner. Ma non per sempre, in Second life tutto è precario, fluttuante,
mai chiuso. Tranne il business perché tutto il mondo è paese: anche qui si lucra. C'è una moneta
virtuale (Linden dollar), convertibile con vari tassi di cambio in verdoni veri. Commerci svariati,
abiti, oggetti, l'immobiliare va forte. Giro d'affari di oltre 2 milioni di euro al mese (ma i Mmog in
totale smuovono oltre 300 milioni di euro e 5 milioni di persone).
Un posto dove la vita è altrove. E dove inizi e finisca questo altrove certe volte sfugge. Una, due, tre
personalità, anche di più. Per essere tutto quello che non si è davvero: uomini se si è donne e
viceversa, soprattutto. Scienziati o farabutti, nessuno ti può giudicare. Leggi e costumi, geografia e
oggetti, chiunque può inventarli. Questa è una fabbrica di creatività. Non anarchia, no, governo
delle possibilità semmai: Wilde Cunningham è in realtà nove persone, pazienti di Mattapan,
Massachusetts, un centro per adulti con malattie cerebrali, alcuni paralizzati. Nel gioco camminano,
costruiscono, volano, e poi chiamali disabili. "Hanno aumentato la loro autostima" dice Jean-Marie
Mahay, capo del centro medico. SL è una spremuta di socializzazione, è incontro, energie umane
che sprigionano opere. Ci fanno giocare i bambini autistici o con sindrome di Asperger. "Favorisce
le relazioni". Aaron Delwiche, docente di sociologia alla Trinity University di San Antonio, fa
lezione qui, dentro questo laboratorio sociologico. Aule affollate. Altri corsi, della San Francisco
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State University, Rochester Institute of Technology, Vassar College. Anne Beamish insegna
urbanistica alla University of Texas a Austin: da Second Life ha preso idee per migliorare gli spazi
pubblici.
Ma in Second Life soprattutto si ama, si tradisce, si cerca sesso. "Giochi intensi, permettono di
sperimentare la parte più istintuale e sensuale di sé" spiega Tonino Cantelmi, psichiatra
dell'Università Gregoriana di Roma, esperto in tecnodipendenze, autore del recente Tradimento on
line. "La gente ci trova un destino incompiuto nel reale". A dieci dollari al mese, un buon prezzo.
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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Articolo n. 5
Marino Niola, “Villaggio blog, vista sul mondo – Le nuove forme di
comunicazione”
da La repubblica, 29 luglio 2008
Più che un sistema di comunicazione, rivela spazi collettivi in una società che li ha ridotti.
Un po' circolo, un po' palcoscenico, un po' piazza, un po' sezione di partito.
"Dovessi spiegarti che cos'è il mio blog ti direi che è un luogo, riscaldato d'inverno ed areato
d'estate, con un indirizzo e una buca delle lettere, finestre per guardarci dentro se passi nei pressi ed
una porta aperta per entrare se ti andrà. L'insieme dei blog che leggiamo e di quelli che ci leggono è
un villaggio particolarmente salubre fatto di abitanti che si siano scelti fra loro e non paracadutati lì
dal caso". Parola di blogger.
È evidente che il blog è molto più di un sistema di comunicazione. È un angolo di mondo, avrebbe
detto Herder. O una forma di vita, per dirla con Wittgenstein. In entrambi i casi uno spazio di
condivisione simbolica caratterizzato dai suoi usi, costumi, sensibilità, abitudini, codici sedimentati
- ma prima ancora creati - e da un linguaggio comune. I blog sono a tutti gli effetti le nuove forme
di vita prodotte dalla rete, degli autentici angoli di mondo virtuale.
Certo che il blog è un luogo di confronto e di scambio di idee, informazioni, pareri, servizi, ma è
anche di più, molto di più. Questa forma di diario in rete - il termine è la contrazione di web e di log
che significa appunto diario ma anche traccia - sta dando vita a una nuova cartografia sociale. Fatta
di punti di aggregazione fondati sulla circolazione delle opinioni.
Qualcuno li considera un po' come la versione immateriale dello Speaker's Corner, letteralmente
angolo dell'oratore, di Hyde Park a Londra, dove chiunque può montare su una cassetta di legno a
mo' di palco e predicare sul mondo in assoluta libertà. Occupando un angolo di spazio pubblico per
dire la sua. Quella minuscola cassetta garantisce una sorta di extraterritorialità che consente a
ciascuno di dire fino in fondo tutto ciò che pensa. A ben vedere il blog è proprio una occupazione di
immaginario pubblico, una sorta di tribuna virtuale. E contribuisce a rivelare la forma dei nuovi
spazi collettivi di una società che ha profondamente mutato le sue categorie spaziali e sta passando
dalle divisioni alle condivisioni, dai luoghi tradizionali - territori fisici delimitati, confinati, sul
modello delle nazioni - agli iperluoghi immateriali che ridisegnano le mappe del presente.
Nuovo luogo della condivisione pubblica in un tempo caratterizzato dalla scomparsa progressiva
dello spazio pubblico tradizionale: un po' circolo, un po' palcoscenico, un po' salotto, un po' sezione
di partito, un po' piazza, un po' caffè. I diari in rete rappresentano modi diversi di sentirsi comunità.
Non più comunità locali, e localistiche, basate sulla prossimità geografica, residenziale, cittadina,
ma su forme inedite di appartenenza.
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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Ecco perché il blog non è solo uno strumento del comunicare, ma è una potente metafora del nostro
presente in rapida trasformazione e un simbolo anticipatore del nostro futuro. A farne un mito
d'oggi è proprio la sua capacità di dirci qualcosa di profondo su noi stessi, di mostrarci con estrema
lungimiranza ciò che stiamo per diventare anche se ancora non lo sappiamo con precisione. Nei
grandi cambiamenti epocali il mito, la metafora, il simbolo si assumono proprio il compito di
lanciare dei ponti verso quelle sponde del reale che ancora non vediamo ma, appunto, intravediamo.
Anche se abbiamo già cominciato a viverci dentro istintivamente. In questo senso i comportamenti
del popolo dei blog ci aiutano a cogliere quanto stiano di fatto mutando le stesse categorie di
identità e di appartenenza: sempre meno materiali, sostanziali, fisse e sempre più fluttuanti, mobili,
convenzionali.
E come sia cambiata la stessa nozione di luogo di cui viene oggi revocato in questione il
fondamento primo, ovvero l'idea di confine naturale, in favore di quella di confine digitale. Il blog
anticipa una realtà che non è più quella del paese, della città, del quartiere, della classe d'età, della
famiglia, della parrocchia, del circolo. I bloggers si rappresentano come una comunità di persone
che si scelgono liberamente e su scala planetaria. E in questa dimensione extraterritoriale intessono
un nuovo legame sociale.
Comunità senza luogo? Niente affatto. È la vecchia nozione di luogo ad essere inadeguata. E
assieme a lei quella apparentemente nuova di non-luogo che della prima non è che la figlia
degenere. Perché è fondata su una idea pesante, solida, ottocentesca del luogo e della persona.
Un'idea che ha l'immobile solidità del ferro e non la mutevole fluidità dei cristalli liquidi. In realtà a
costituire il tessuto spaziale, ieri come oggi, sono sempre le relazioni, mai semplicemente le persone
fisiche. E oggi le relazioni sono sempre meno incarnate, sempre meno materializzate, ma non per
questo scompaiono.
La liquidità della rete è la vera materia sottile della trama sociale contemporanea, e perfino di quella
spaziale se è vero che oggi l'iperconnessione è il principio vitale che circola come sangue nel corpo
del villaggio globale. I cosiddetti non-luoghi sono in realtà più-che-luoghi, super-luoghi, sono
luoghi all'ennesima potenza, acceleratori di contatti, incroci ad alta densità, moltiplicatori di
collegamenti tra bande larghe di umanità. È questa la cartografia wi-fi della nuova territorialità, la
cosmografia del presente di cui Internet è il dio e Google è il primo motore immobile. Una
rivoluzione recente ma che sta già cambiando il vocabolario dell'essere: dal to be al to google e,
sopratutto, al to blog.
Non a caso bloggare è diventato un verbo. Il terzo ausiliare per chi è in cerca di casa, di lavoro, di
visibilità, di posizione insomma. È la terra promessa degli homeless digitali, la nuova frontiera dei
migranti interinali in cerca di hot spots, di porte wireless, di ambienti interconnessi. Un nuovo
paesaggio fatto di camere con vista sul web. Proprio così una blogger definisce il suo
miniappartamento virtuale. O un villaggio di villette monofamiliari dove si lascia sempre aperta la
porta di casa perché chi ne ha voglia possa entrare a prendere un caffè. Altro che fine del legame
sociale. La blogosfera è la traduzione della mitologia comunitaria nella lingua del web, la
declinazione immateriale della società faccia a faccia: la nostalgia del paese a misura d'uomo in un
download.
Frequentare i blog serve, fra l'altro, a smontare molti dei luoghi comuni sugli effetti nefasti della
digitalizzazione della realtà e sull'apocalisse culturale che essa comporterebbe. Fine della lettura,
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
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tramonto dell'italiano, declino dello spirito collettivo. In realtà questo sguardo luttuoso sul
cambiamento lamenta sempre la scomparsa delle vecchie forme e proprio per questo fa fatica a
riconoscere l'intelligenza del presente.
A parte quelli specializzati, espressamente attrezzati a luoghi di cultura, palestre di discussione
critica, gabinetti di lettura, atelier di scrittura, i blog sono in generale delle officine stilistiche e
retoriche in continua attività, dove la capacità di persuasione e l'estetizzazione della comunicazione
hanno spesso un ruolo fondamentale. "Qui sul blog è tutta un'altra cosa. Scrivo in modo molto
diverso da come scriverei su un diario. Le persone che mi conoscono commentano e dicono la loro,
e i pensieri pubblicati sono molto più profondi".
Per quanto diversi fra loro, i blogger nascono dal linguaggio e vivono di linguaggio. Un regime
democratico, dove ciascuno è opinionista nel libero mercato delle opinioni, senza gerarchie di
posizione, senza ruoli, senza il peso dell'autorità. Dove ognuno è quel che scrive, dove tutti hanno
pari facoltà d'interlocuzione. È la nuova utopia della libertà e dell'eguaglianza. Compensazione
simbolica al malessere attuale della democrazia in carne e ossa.
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
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Articolo n. 6
Pier Cesare Rivoltella, “Le pratiche mediali dei giovani”
dal blog http://piercesare.blogspot.com/, 7 marzo 2010
Il 3 marzo scorso sono stato invitato dalla Fondazione Ambrosianeum a commentare i dati del
Rapporto Città di Milano 2009. Si tratta di un rapporto che annualmente fotografa la situazione
della città dal punto di vista delle tematiche che meglio concorrono a definirne le linee di crescita e
gli spazi di intervento. Quest'anno il rapporto ruota interamente attorno alla condizione giovanile. A
me è stato chiesto di analizzarne i risultati dal punto di vista delle pratiche sociali dei giovani, tra
reale e virtuale, o meglio tra media vecchi e nuovi.
Lo sfondo a partire dal quale ho provato ad accostare il tema è quello della ricerca che negli ultimi
tre anni il mio centro, il CREMIT, ha sviluppato sull'argomento e i cui dati sono stati raccolti anche
nella città di Milano. Mi riferisco in particolare a: I-pod, You-tube e noi?, un progetto di ricercaintervento per la prevenzione del cyberbullismo in classe; Guinzaglio elettronico, una ricerca
sull'uso intergenerazionale del cellulare nel contesto delle relazioni familiari (ora pubblicato in
volume per Donzelli); A che gioco giochiamo, una ricerca sui comportamenti di gioco di bambini e
adolescenti (2500 tra gli 8 e i 16 anni ) in Diocesi di Milano per verificare il rapporto esistente tra
attività videoludica e di gioco all'aria aperta; infine Crescere nel conflitto (con l'Università di
Milano Bicocca) per sviluppare una cultura della mediazione rispetto ai conflitti tra gli adolescenti.
Da questo sfondo si possono isolare tre evidenze utili a leggere le istanze contenute nel Rapporto:
- il problema del luogo;
- il problema della relazione;
- il problema della trasgressione.
1. Sul tema del luogo, il Rapporto in maniera opportuna indica il superamento della dialettica
reale/virtuale. Non c'è discontinuità, ma continuità tra le pratiche poste in atto con e senza le
tecnologie. La tecnologia è migrata dentro le vite dei giovani, è "reale" anche quando dispone di
spazi di interazione mediata.
Piuttosto pare opportuno adottare come criterio di lettura delle pratiche giovanili un'altra coppia
categoriale, quella di dentro/fuori. Essa ha a che fare con la questione cruciale della ridefinizione
di ciò che è spazio pubblico e di ciò che invece è spazio privato: il confine tra le due dimensioni è
reso sottile dalle tecnologie. Nel caso dei giovani si traduce in una sporgenza verso il fuori:
estroflessione dell'identità, costruzione del sé nello spazio pubblico.
Infine, in relazione al luogo, occorre sottolineare lo sviluppo della tecnologia verso forme sempre
più comode di portabilità. Questo comporta:
- l'emancipazione dal luogo (delocalizzazione) con l'allontanamento del consumo dalla casa;
- la perdita del "controllo" da parte dell'adulto (soprattutto genitore).
2. Quanto alla relazione le nostre ricerche ci dicono che le forme di dipendenza e di autoreclusione
(per usare le parole di Charmet nel Rapporto) impattano fortunatamente in modo non significativo
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(circa l'1% da quanto risulta dal British Journal od Developmental Psychology che dedica un
numero monografico, il n.1 2009, al consumo mediale in adolescenza). Questo non significa non
preoccuparsene, ma percepire che educativamente parlando occorre lavorare sulla normalità e non
solo sulla patologia.
Lo studio della normalità suggerisce alcuni spunti:
- la tecnologia non sostituisce ma prolunga la possibilità della relazione;
- questo materializza un fortissimo bisogno di contatto;
- l'incontro negli ambienti fisici, il face to face, se possibile, è gradito (come emerge quando si
chiede riguardo al gradimento per il gioco all'aria aperta registrando come spesso il videogiocare sia
la conseguenza dell'impossibilità di giocare all'aperto, soprattutto per problemi legati alla
percezione di sicurezza dello spazio pubblico da parte del genitore).
Le attenzioni educative sono altre. Ne indico due:
- la tendenza a protesizzare le proprie competenze sociali attraverso la tecnologia (quando devo dire
a qualcuno una cosa spiacevole gli mando un SMS);
- la tendenza a colonizzare i non-tempi con il conseguente fenomeno della fuga dal silenzio (quando
ho un tempo libero lo riempio messaggiando, telefonando o giocando con il game-boy).
3. E siamo alla trasgressione. Qui occorre subito appuntare come il confine tra lecito e illecito sia
diventato sottile, soprattutto varcabile nelle due direzioni e in modo reversibile (un tratto comune
ad altri comportamenti giovanili a rischio, primo fra tutti l'abuso di sostanze). Esso è reso ancora
più sottile dai caratteri tecnologici dei media digitali. Penso in particolare alla socialità (confusione
tra dentro e fuori) e all'autorialità (facilità di pubblicazione).
Su questa base sono convinto che molti comportamenti trasgressivi siano dovuti sostanzialmente a:
- una cattiva conoscenza delle grammatiche e delle sintassi. Per seguire la metafora: mi pare che i
ragazzi imparino a parlare in fretta (in tema di media digitali), ma spesso in modo scorretto;
- un approccio leggero, superficiale, spesso poco consapevole di effetti e impatti delle proprie
azioni.
Questo richiama i compiti della famiglia e della scuola. Di fronte alla nuova socialità mediata
giovanile, l'atteggiamento è di vietare e sanzionare per proteggere o di negare ed espellere credendo
di educare. In questo modo si lascia solo l'adolescente con il suo problema, manifestando tutto il
proprio disagio. Occorre invece educare le responsabilità perché oggi la competenza mediale è una
delle competenze di cittadinanza-chiave. Nel Rapporto viene opportunamente richiamato.
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Articolo n. 7
Monica Piccoli, “Come la rete sta cambiando il nostro modo di
comunicare. Un’analisi psicologica delle comunità virtuali”
da Nuova Umanità, maggio 2006
1. LA COMUNITÀ VIRTUALE
La Rete è la vera rivoluzione che ha caratterizzato il passaggio da un millennio all’altro e che
sicuramente ci accompagnerà nel terzo millennio. I vantaggi che essa offre sono innegabili ed
inarrestabili.
In internet, se da un lato si tratta di un mondo virtuale, dall’altro il coinvolgimento e l’investimento
dei suoi frequentatori sono molto più intensi di quanto si possa pensare. Come in qualsiasi ambiente
sociale anche in internet esistono delle dinamiche che regolano i rapporti e le relazione tra gli
individui; dinamiche comuni e specifiche a quelle della «vita reale».
Una struttura reticolare è stata sempre alla base di importanti mutamenti nella storia dell’umanità:
basterà citare, per tutti, l’organizzazione viaria creata dai romani come scheletro
amministrativo/politico dell’impero o la struttura commerciale della Compagnia delle Indie. La rete
digitale non è una semplice questione di cavi, trasmettitori, satelliti, così come la rete viaria romana
non era solo una questione di strade ben lastricate.
Ogni società, ogni gruppo, è essenzialmente una rete di relazioni costruita su una rete di risorse.
La società che si sta costituendo in Internet rappresenta, in un certo senso, un esperimento di una
società nuova e avanzata nello stesso tempo: nuova perchè coinvolge tutte le culture del villaggio
globale, con tutta la diversità e la ricchezza che ne conseguono; avanzata perché è necessario
reinventare modalita diverse da quelle usuali nella vita reale poiché le dinamiche virtuali hanno
caratteristiche peculiari.
La comunità tradizionale è basata su alcuni pilastri simbolici:
– identificazione geografica: basta essere nati in un’area per appartenervi;
– appartenenza: un gruppo con il quale si condividono cultura, regole, e significati;
– sicurezza: il bisogno di una serie di regole che garantiscono una certa costanza negli
accadimenti.
La comunità virtuale è basata sulla rete di relazioni sociali (cf. Wellmann et al., 1999), non dislocate
geograficamente, ma tenuta insieme da rapporti mantenuti con innumerevoli strumenti di
comunicazione. Nel caso di internet il collante del gruppo è rappresentato dal capitale sociale e
cognitivo della rete di relazioni. Bob Melcalfe, l’inventore della rete Ethernet, sostiene che «il
valore cognitivo di una rete è correlato esponenzialmente al numero dei suoi membri». Io
aggiungerei che è connesso anche alla qualità dell’apporto di ognuno all’interno della comunità
virtuale.
Il villaggio globale di internet utilizza un’ampia varietà di canali di relazione fra cui: posta
elettronica, Multi-user Dungeons (MUDs), Newsgroup, instant messenger e Internet Relay Chat
(IRC). Tutti questi sistemi offrono la possibilità di creare e mantenere relazioni personali, scambiare
informazioni e assaporare il senso di appartenenza a un gruppo specifico.
Per chi desidera avvicinarsi a questo strumento, utilizzandone appieno le risorse ed evitando di
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perdersi nella sua infinità, può essere utile approfondire alcuni aspetti sulla natura, le specificità e
le componenti psicologiche che può sollecitare, per muoversi e comunicare con efficacia nel mondo
virtuale.
Caratteristiche della Rete
Internet è ormai così vasta e in così rapido accrescimento che ogni individuo può esplorarne
soltanto una minuscola parte. Questo è uno dei motivi che la rendono tanto affascinante: non si può
mai sapere dove si andrà a finire cliccando sul mouse alla ricerca di nuovi siti, ma questa stessa
caratteristica determina la divergenza di opinioni riguardo il valore della Rete nella nostra vita e
nella società in generale. Ogni individuo è utente di ambienti diversi nella Rete e la nostra
esperienza personale porta a opinioni differenti sull’argomento (cfr. Wallace, 2000).
Diversi psicologi – negli USA dove il fenomeno ha una storia e una frequenza maggiore – hanno
approfondito questo tema, fornendo alcune utili spiegazioni per poter comprendere meglio le
potenzialità di questo strumento e avvicinarsi alla Rete in modo costruttivo.
Purtroppo, parallelamente a chi sfrutta positivamente le molteplici potenzialità di questo strumento,
vi sono sempre più persone che, pur negandolo, hanno sviluppato un rapporto di dipendenza nei
confronti della Rete tanto da limitare interessi, relazioni e investimenti; tutto ciò che costituisce
quello che un utente della Rete chiamerebbe RL, acronimo per real life, vita reale.
Ma proviamo a capire che cosa affascina e quali bisogni, insiti nell’essere umano, soddisfa la Rete.
1) Internet è “viva”, è una comunità elettronica di esseri viventi, una seconda casa.
Le chat line e le comunità virtuali forniscono un nutrimento emotivo.
Le persone che si incontrano nelle chat line sembrano in grado di offrire compagnia,
interessamento, sostegno e incoraggiamento che richiedono spesso anni, nella vita reale.
Gli utenti internet che entrano in gruppi di discussione sulla politica, sulla finanza o sulla religione
apprezzano la libertà di poter esprimere con decisione le loro convinzioni profonde.
Le persone sole, anziane o nell’impossibilità di muoversi traggono un gran vantaggio dalla Rete per
uscire dall’isolamento.
Molti utilizzano la Rete come supporto nei momenti di rabbia o di sconforto per sfogare le proprie
emozioni. Su internet l’interazione è bidirezionale e immediata. In pochi minuti si ricevono decine
di messaggi di sostegno e di conferma. E quando trovi qualcuno sulla tua lunghezza d’onda, magari
lo si può invitare in un angolo privato dello spazio, per una discussione a due. L’autostima sale.
Alcuni arrivano a pensare che internet sia il solo luogo in cui ci si sente importanti e in cui le
proprie idee vengono apprezzate.
Inoltre, le normali variabili spazio-temporali che nei rapporti amicali sono presenti, sulla Rete sono
annullati. A qualsiasi ora e da qualsiasi posto ci si può connettere con qualcuno. Dal punto di vista
psicologico è una grande garanzia!
2) Internet elettrizza e stimola mentalmente.
«Mi sento in fibrillazione ogni volta che mi collego con la mente a questo flusso di informazioni
così intensamente potente» spiega Josh di 29 anni. «Quando entro nel cyberspazio divento tutt’uno
con la mia mente. È come essere il signor Spock con la sua fusione mentale vulcanica».
Chiunque si colleghi può essere avvinto dalla potenza, dagli stimoli e dall’eccitazione solamente per
il fatto di navigare in Rete.
Non è necessaria una grossa esperienza per farlo!
3) La Rete ci fa sentire potenti e capaci di entrare in rapporto con altri.
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La possibilità di comunicare a distanza, superando ogni barriera di nazionalità e di cultura, od
ogni difficoltà legata alle caratteristiche personali come la timidezza, la pigrizia o i complessi fisici
che ci limitano nei rapporti interpersonali, ci consente di elevare la percezione di noi stessi e ci fa
sentire efficaci.
4) La Rete può soddisfare un forte desiderio di fuga ed evasione.
Con internet possiamo andare dovunque, possiamo sognare di attraversare il mondo, conoscendo le
persone più diverse. Alcuni si rivolgono alla Rete molto frequentemente per trovare compagnia,
felicità o distrazione, forse per evitare qualcosa o qualcuno che non desiderano affrontare
direttamente.
2. COMUNICARE IN RETE
Molti affermano di preferire la comunicazione virtuale a quella vis-à-vis, soprattutto all’inizio di
una relazione interpersonale. Hanno la percezione di sentirsi più liberi e disinvolti. Altri, invece,
manifestano alcune difficoltà nell’utilizzo della comunicazione scritta, non riescono ad esprimersi
senza guardare in volto il loro interlocutore. Ognuno di noi, infatti, preferisce delle modalità di
comunicazione diverse anche a seconda delle proprie caratteristiche di personalità, delle attitudini,
della storia e delle
esperienze passate.
Alcune delle motivazioni che possono spingere le persone ad optare per la comunicazione on-line
sono:
1) Parlare con qualcuno che non ci vede in volto significa niente occhiate imbarazzate, niente
sopracciglia alzate ad esprimere sorpresa o disapprovazione. Sotto molti punti di vista è come fare
conversazione con una parte di noi stessi. In tal modo eliminiamo la comunicazione non verbale: i
gesti, la mimica, i toni e i movimenti del corpo.
I dati delle ricerche sulla comunicazione non verbale e sul ruolo che essa svolge nella formazione
delle impressioni sono numerosissimi e senza dubbio le parole e ciò che effettivamente una persona
dice, passano a volte in secondo piano rispetto ad altri atteggiamenti, soprattutto quando si stanno
valutando qualità come il calore o la freddezza di un interlocutore.
La distanza fornisce un rassicurante cuscinetto nei confronti della possibile richiesta di un incontro
personale. Ma nel contempo limita le informazioni a nostra disposizione.
2) Possiamo riscrivere mille volte la stessa frase, correggere, cancellare; il controllo razionale può
avere il sopravvento su quello emotivo, se lo desideriamo. In una discussione vis-à-vis, ciò che
diciamo in un momento di rabbia non può essere cancellato o rivisitato. In una mail sì. Nella rete il
coinvolgimento emotivo può essere addirittura annullato premendo semplicemente un tasto.
Nel contempo, proprio in seguito all’assenza degli interlocutori, le persone si sentono più libere di
esprimere le loro emozioni positive e negative senza limiti. La paura del giudizio altrui, solitamente
presente nelle relazioni tra le persone, è inferiore nelle relazioni a distanza.
3) Possiamo dare di noi l’immagine che desideriamo e costruirci percezioni degli altri lontane dalla
realtà.
Quando si vedono le persone solo attraverso le loro parole sullo schermo si è liberi di costruirsi
un’immagine assolutamente personale e arbitraria di chi e cosa siano queste persone nella realtà. Se
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lui si descrive come un bell’uomo, tu immagini Richard Gere. Se ti sembra sincero e dice cose
carine online, allora ti raffiguri un tipo alla Tom Hanks. Il suono della voce, lo sguardo, il modo in
cui potrebbe atteggiarsi nei tuoi confronti, tutti questi particolari vengono immaginati nella nostra
mente ma potrebbero essere molto lontani dalla realtà. Automaticamente diamo il visto di passaggio
a tutti quegli “sbarramenti” di verifica che normalmente vengono posti in una relazione personale.
In certi casi le persone adottano nuove personalità e identità, e non solo nei giochi di ruolo. Molte si
descrivono e raccontano di sé cose irreali, spesso ciò che vorrebbero essere.
Gestire la propria immagine in Internet è comunque un’impresa ardua. In un ambiente testuale è
impossibile far vedere il proprio aspetto fisico, i gusti nell’abbigliarsi, la simpatia espressiva, la
vivacità che ci contraddistingue. Sono aspetti difficili da evidenziare attraverso un testo scritto.
E infatti, il fenomeno delle home page personali si sta affermando rapidamente come mezzo utile
per poter dare un’immagine più completa grazie anche alle icone e alle foto.
Eleanor Wynn dell’Istituto di Scienza e Tecnologia dell’Università dell’Oregon ha passato in
rassegna molte home page. Ha osservato che la maggior parte delle persone non aveva cercato di
mostrare un’identità molto diversa da quella reale: «Una caratteristica peculiare è che essi si
muovono nella direzione opposta a quella ipotizzata dai navigatori postmoderni del cyberspazio;
piuttosto che frammentare il sé, le home page tendono a mantenere integro l’individuo, permettono
di affermare la propria identità e di mostrare in modo coerente e ripetibile ciò che l’individuo
rappresenta e quali sono i suoi valori » (E. Wynn - J.E. Katz, 1997, p. 297).
Le home page sono solitamente visitate da persone che ci conoscono o con cui siamo venuti a
contatto e che desideriamo approfondiscano la nostra conoscenza.
4) Le parole appaiono solide, definitive, trasmettono sicurezza.
Esattamente quello che avrebbe detto l’uomo o la donna ideale. Nella vita reale, siamo più attenti a
misurare nell’interlocutore il tono di voce, l’espressione del viso, il movimento delle mani, l’essere
guardati negli occhi. Ma su Internet il messaggio sembra portare in sé tutto quanto è essenziale per
chi l’ha inviato. È impossibile operare dei confronti tra il registro verbale e quello non verbale. Non
dobbiamo stupirci, dunque, se poi gli interlocutori spariscono quando magari decidiamo di
incontrarli. Gli elementi a disposizione per fare una valutazione, anche approssimativa delle persone
sulla Rete non sono sufficienti.
Nelle relazioni interpersonali quello che ci permette di valutare la veridicità di un messaggio sono
spesso le azioni concrete, gli atteggiamenti assunti dalle persone. Lo facciamo in modo automatico,
ma valutiamo la coerenza tra ciò che una persona dice e ciò che fa. Accade spesso che anche
involontariamente le persone pur credendo in quello che dicono, abbiamo poi delle difficoltà nella
concretizzazione. Tutto questo internet non lo permette. Dobbiamo fermarci alle affermazioni.
3. COLLABORAZIONE E SOLIDARIETÀ IN RETE
Anche su Internet, come nella vita reale, le notizie positive hanno spesso uno spazio inferiore a
quelle scandalistiche e aberranti. Ma così come nella realtà, dietro le quinte esiste un mondo diverso
fatto di altruismo, generosità e interesse reciproco che proprio per la struttura a rete arriva a
macchia d’olio ovunque.
Qualche esempio:
– molte persone dedicano il loro tempo all’organizzazione di punti di informazione e di assistenza,
ad aggiornare i server, all’orientare i nuovi arrivati, alla moderazione delle discussioni sui forum;
– molte persone dedicano il loro tempo a dare informazioni: uno dei motivi per cui si partecipa ai
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forum di discussione;
– alcuni degli esempi più belli di altruismo in internet provengono dai forum di assistenza emotiva,
in cui le persone che spesso condividono lo stesso problema, si ascoltano e si aiutano
reciprocamente e ciò avviene senza limiti di tempo e spazio.
La maggior forza di questo strumento sta proprio nella possibilità di comunicare con un’infinità di
persone in tempi ristrettissimi. Dunque anche le richieste urgenti possono essere soddisfatte in
tempi brevi, con una maggior percentuale di successo proprio per la numerosità di persone che
accede alla Rete. Molto spesso proprio le persone più bisognose hanno scarse relazioni e
appartengono a pochi gruppi che solitamente forniscono un supporto sia emotivo che concreto.
Internet può fornire in parte delle risposte sul piano informativo e supportivo. Non bisogna
dimenticare, infatti, l’importanza per gli esseri umani del contatto e della vicinanza fisica, di un
abbraccio o della condivisione, di un momento insieme che pur nel silenzio può comunicare da un
punto di vista emotivo molto di più che tante parole, soprattutto in un momento difficile.
4. EDUCARCI ALLA VITA SU INTERNET
Comunicare è costruire relazioni
La parola virtuale può far dimenticare che dall’altra parte dello schermo esistono delle persone che
hanno una mente, una storia, una cultura, un cuore e una sensibilità propria. Ricordare questo
aspetto può aiutarci a entrare in relazione veramente con gli altri, arricchendoci e accrescendo noi
stessi attraverso lo scambio reciproco.
Comunicare richiede competenze specifiche
Conoscere gli aspetti della comunicazione scritta è indispensabile per partecipare a qualsiasi
discussione che si svolge in luogo asincrono e molto utile come base per poter parlare anche in
ambienti dove la comunicazione è sincrona.
È importante ad esempio sapere che in Ascii il carattere maiuscolo, equivale ad urlare. O che per
esprimere enfasi si utilizzano gli asterischi o i trattini.
L’uso delle ormai conosciute emoticon, o “faccine” o smiley consente invece di esprimere
un’emozione o uno stato d’animo. Vanno utilizzate con moderazione, adeguandole al contesto.
Per comunicare in modo efficace, soprattutto in forma scritta, è necessario usare una forma
sintetica, chiara ed essenziale, utilizzando un linguaggio adeguato all’interlocutore. Se decidiamo di
entrare in contatto con altri attraverso la Rete dobbiamo essere consapevoli del forte potere della
parola scritta. Le persone hanno poco tempo per leggere e desiderano capire subito qual’è il focus
del discorso.
Comunicare richiede un pensiero critico
L’enorme quantità di materiale e di informazioni che esiste in Rete varia per qualità, attendibilità e
precisione. Tutti dovrebbero avere sempre un occhio critico nel giudicare la natura delle fonti da cui
sono estrapolate le informazioni. Lo stesso problema sussiste anche con altri mezzi di
comunicazione, ma l’esperienza maturata con questi mezzi è certamente più consolidata. Inoltre,
dato l’eccesso di link creati, non è facile sapere ogni momento dove ci si trova e se il materiale
proposto sia stato scelto e valutato da fonti attendibili.
Comunicare richiede la conoscenza delle dinamiche di gruppo
Ogni specifico luogo, definisce specifiche regole o particolari suggerimenti su come comportarsi: si
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tratta di messaggi di welcome o dei charter delle liste di discussione, dei Message of the day che
compaiono al momento del collegamento con i server IRC, dei manifesti dei Newsgroup, ecc.
Occorre non dimenticare che le dinamiche di gruppo, per quanto si utilizzi un nuovo mezzo di
comunicazione, sono e restano dinamiche di gruppo, secondo i ben collaudati schemi della vita
reale. Le persone, in Rete come altrove, tendono ad offendersi o ad inalberarsi per le stesse ragioni e
ad usare strumenti di difesa simili. Le buone prassi utilizzate nella comunicazione vis-à-vis devono
essere incrementate. Mancando il registro non verbale, le parole scritte hanno un peso maggiore. Il
nostro interlocutore non può immaginare che stiamo scherzando guardandoci in volto; le parole che
utilizziamo sono decisamente importanti.
Internet è un villaggio globale, in cui i confini fisici sono inesistenti. Non dobbiamo dimenticare
che è popolato di persone che hanno cultura, razza, ideologie, storie assai diverse dalle nostre. Se
desideriamo comunicare con loro e dunque entrare in relazione con loro, non possiamo dare per
scontato nulla. Non basta sapere bene l’inglese per comunicare con il mondo.
Comunicare richiede saper ascoltare
Comunicare non è soltanto parlare, ma soprattutto saper ascoltare.
Se ad esempio partecipiamo a newsgroup, ascoltare vuol dire limitarsi ad osservare e a seguire gli
interventi per un po’ di tempo. Questo permette di rendersi conto meglio degli argomenti trattati e
di iniziare a conoscere le caratteristiche degli interlocutori, il loro modo di discutere, le regole
codificate o non codificate che occorre rispettare per integrarsi in un determinato gruppo.
Se rispondiamo ad una mail, non è sufficiente una lettura veloce, come spesso internet ci porta a
fare. Proprio perché sintetici, certi messaggi nascondono molti livelli di comunicazione. Fermarsi al
primo, può limitare lo scambio comunicativo.
Se poi non rispondiamo alle mail che ci arrivano, dobbiamo ricordarci che anche questo
comunicherà qualcosa al nostro interlocutore. La sua interpretazione dipenderà da mille variabili! È
possibile che l’interpretazione non corrisponda alla realtà.
5. CONCLUSIONI
Da questi pochi accenni si può costatare quanto questo tema sia ampio, complesso ed ancora da
sviscerare. Gli aspetti chiamati in causa sono molteplici e dunque una visione focalizzata solo su
alcuni di essi può condurre a valutazioni dicotomiche, come spesso capita su questi temi, che
impoveriscono invece di arricchire la conoscenza sul fenomeno.
Come tutte le discipline che hanno come oggetto l’essere umano, le variabili sono complesse perché
estremamente varie ed eterogenee per la loro unicità.
La chiave di lettura che si è cercato di proporre parte proprio dall’uomo, mettendo in secondo piano
la Rete che è uno dei frutti della sua intelligenza. È l’uomo che determina lo strumento e non il
contrario. L’utilizzo della Rete dipende dunque da ciò che la persona è, dagli obiettivi che si
prefigge, dai valori che la
contraddistinguono; è dunque dall’uomo che dobbiamo partire per poter comunicare, con qualsiasi
mezzo. Se desideriamo veramente comunicare, e quindi entrare in rapporto con l’altro, è “l’essere”
che si comunica attraverso la parola, quest’ultima è solo un mezzo.
Nuova Umanità XXVIII (2006/5) 167, pp. 577-588
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RIFERIMENTI DELL'ARTICOLO
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Consultabile in http://www.apa.org/release/ internet.html.
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S.Turkle (1997), La vita sullo schermo, Apogeo, Milano.
G. Presti (2001), Lo psicologo nella rete, McGraw-Hill, Milano.
P. Wallace (2000), La psicologia di Internet, Cortina Editore, Milano.
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Bibliografia
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la comunicazione. Franco Angeli Editore, 2010
•
A cura di Mauro Ferraresi, Renata Borgato, Capelli Ferruccio, Facebook
come – Perchè piace, perchè non piace. Franco Angeli Editore, 2009
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Marco Liorni, Facebook – Tutti nel vortice. Curcio, 2009
•
Luca Conti, Comunicare con Twitter. Hoepli, 2010
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Antonio Fini, M. Elisabetta Cicognini, Web 2.0 e social networking – Nuovi
paradigmi per la formazione. Centro Studi Erickson, 2009
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Federico Casalegno, Cybersocialità – Nuovi media e nuove estetiche
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•
Eleonora Fiorani, La comunicazione a rete globale – Per capire e vivere la
mutazione d'epoca. Edc Lupetti, 1998
•
Manera Giuseppina, Metitieri Fabio, Dall' email al chat multimediale Comunità e comunicazione personale in Internet. Franco Angeli Ediore, 2000
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Filmografia
 Feisbum - Il Film
Un film di Dino Giarrusso, Alessandro Capone, Giancarlo Rolandi,
Emanuele Sana, Serafino Murri, Laura Luchetti, Mauro Mancini. Con
Giulia Bevilacqua, Corrado Fortuna, Pietro Taricone, Primo Reggiani,
Monica Scattini. 2009.
 Frequency - Il futuro è in ascolto
Un film di Gregory Hoblit. Con Dennis Quaid, James Caviezel, Andre
Braugher, Elizabeth Mitchell, Noah Emmerich. Titolo originale Frequency.
2000.
 C'è post@ per te
Un film di Nora Ephron. Con Parker Posey, Meg Ryan, Tom Hanks, Greg
Kinnear, Katie Sagona, Jean Stapleton. Titolo originale You've got Mail.
1998.
 Prima la musica, poi le parole
Un film di Fulvio Wetzl. Con Anna Bonaiuto, Amanda Sandrelli, Gigio
Alberti, Jacques Perrin, Barbara Enrichi. 1998.

S1mOne
Un film di Andrew Niccol. Con Al Pacino, Winona Ryder, Catherine Keener,
Evan Rachel Wood, Jason Schwartzman. 2002.
 Lo scafandro e la farfalla
Un film di Julian Schnabel. Con Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner,
Marie-Josée Croze, Anne Consigny, Patrick Chesnais. Titolo originale Le
scaphandre et le papillon. 2007.
 Charlie Bartlett
Un film di Jon Poll. Con Anton Yelchin, Hpoe Davis, Robert Downey Jr.,
Megan Park, Jake Epstein. 2007.
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27 luglio 3 agosto
 Little Miss Sunshine
Un film di Jonathan Dayton e Valerie Faris. Con Greg Kinnear, Toni
Collette, Steve Carell, Alan Arkin. 2006.
 The Social Network
Un film di David Fincher. Con Jesse Eisenberg, Justin Timberlake, Andrew
Garfield, Rashida Jones. 2010.
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“Il Mondo Connesso: Modi, Motivi e Conseguenze della
Comunicazione nel Nostro Tempo”
27 luglio 3 agosto
 Comunicare. È la prima cosa che impariamo davvero nella vita. La cosa
buffa è che più noi cresciamo, impariamo le parole e cominciamo a parlare
e più diventa difficile sapere cosa dire, o peggio ottenere quello che davvero
vogliamo. (Dalla serie televisiva “Grey's Anatomy”)
 Credo sia più importante comunicare che comprendere. (Agnès Varda)
 La banalizzazione è il prezzo della comunicazione. (Nicolás Gómez Dávila)
 La comunicazione multimediale mette in mutuo contatto molti uomini di
tutto il mondo. Essa tuttavia non crea ciò che è essenziale per la
comunicazione fra gli uomini: l'impegno reciproco. (Christoph Schönborn)
 La comunicazione perfetta esiste. Ed è un litigio. (Stefano Benni)
 Parlare in continuazione non significa comunicare. (Dal film “Se mi lasci ti
cancello”)
 Solo chi ha imparato a vivere in un rapporto di comunicazione personale ed
a comportarsi in modo responsabile sarà capace di usare in maniera saggia
i nuovi mezzi di comunicazione. (Christoph Schönborn)
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