Dicembre 2014 - Master in Giornalismo

Transcript

Dicembre 2014 - Master in Giornalismo
Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità
ANNO XII
NUMERO I
DICEMBRE 2014
www.campusmultimedia.net/labiulm/news
Il gioco
del cemento
Le città da rigenerare tra dissesto,
speculazione e progettazione sostenibile
da pag 4 a pag 9
news
pag 22-2
3
TRUFFE
EDITORIALE
di GIOVANNI PUGLISI
La liquefazione dell'Italia
e l'indifferenza per gli ultimi
Stiamo assistendo alla liquefazione dell'Italia. Una liquefazione a più
canali, da quello ambientale, a quello paesaggistico, da quello politico
a quello morale. Le recenti vicende
climatiche hanno acceso i riflettori su
decenni di politiche urbanistiche sbagliate, fatte da trascuratezza di amministratori, più interessati al consenso
elettorale che alla difesa della propria
IULM
terra; su decine di condoni edilizi,
fatti per fare cassa e clienti, piuttosto
che su ordinanze di abbattimenti di
eco-mostri sorti come funghi in ogni
dove; su sciagurate autorizzazioni di
deforestazione e disboscamento, che
facevano a gara solo con i piromani
estivi, piuttosto che su vigili politiche
di difesa della natura e dell'ambiente.
segue a pag.24
LE COSCHE PUNTANO
SUI FARMACI pag 10-11
IMMIGRATI
CITTADINANZA E VOTO
VINCE LA PAURA pag 12-13
SOCIAL E REAL pag 14,15
NUOVO CINEMA MILANO pag 16,17
CENTO ANNI DI PUSH-UP pag 20,21
DICEMBRE 14 / GENNAIO 15 - N° 1 - A 12
International University of Languages and Media
Diretto da
IVAN BERNI e GIOVANNI PUGLISI (responsabile)
Progetto grafico Stefano Scarpa
In redazione: Cinzia Caserio, Marco Demicheli, Cosimo Firenzani, Federico Fumagalli, Elena Iannone, Mariella Laurenza, Daniele
Lettig, Barbara Montrasio, Adriano Palazzolo, Federica Palmieri,
Matteo Palmigiano, Roberta Russo, Stefano Scarpa, Alessandra
Teichner, Girolamo Tripoli, Omar Bellicini, Francesca Del Vecchio,
Azzurra Digiovanni, Salvatore Drago, Daniele Fiori, Francesca
Romana Genoviva, Edmondo Lorenzo Gottardo, Lorenzo Grossi,
Lorenzo Lazzerini, Alessandra Parla, Marta Proietti, Claudio Rinaldi, Giulia Ronchi, Carlo Terzano, Federica Zille.
via Carlo Bo,1 - 20143 - Milano
02/891412771 [email protected]
Registrazione Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002
Stampa RS Print Time (Milano)
Master in Giornalismo Campus Multimedia In-Formazione
Direttore: Giovanni Puglisi
Coordinatore didattico: Ivan Berni
Responsabile laboratorio redazione digitale: Paolo Liguori
Tutor: Silvia Gazzola
Docenti
Federico Badaloni (Architettura dell'informazione)
Camilla Baresani (Scrittura creativa)
Ivan Berni (Storia del giornalismo, Editing e Deontologia)
Marco Brindasso (Tecniche di ripresa, luci, montaggio)
Marco Capovilla (Fotogiornalismo)
Toni Capuozzo (Videoreportage)
Piera Ceci (Giornalismo radiofonico)
Marco Boscolo (Data Journalism)
Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale-TV)
Cipriana Dall'Orto (Giornalismo periodico)
Luca De Vito (Riprese e montaggio)
Giuseppe Di Piazza (Progettazione editoriale e Giornalismo Periodico)
Dario Di Vico (Giornalismo economico e finanziario)
Guido Formigoni (Storia contemporanea)
Giulio Frigieri (Infodesign e mapping)
Marco Giovannelli (Digital local news)
Riccardo Iacona (Videogiornalismo)
Bruno Luverà (Giornalismo e società)
Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo)
Matteo Marani (Giornalismo sportivo)
Marco Marturano (Giornalismo e politica)
Pino Pirovano (Doppiaggio)
Andrea Pontini (Gestione dell’impresa multimediale)
Marco Pratellesi (Gestione delle imprese editoriali Web)
Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza)
Alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico)
Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano)
Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia)
Vito Tartamella (Giornalismo scientifico)
Fabio Ventura (Trattamento grafico dell’informazione)
Marta Zanichelli (Publishing digitale)
Marco Subert - Francesco Del Vigo - Lavinia Farnese (Social Media Curation)
SOMMARIO
Il territorio italiano sembra sbriciolarsi a causa di edificazione selvaggia e maltempo. Mentre nel passato l’imperativo era costruire,
oggi imprenditori e costruttori sono tutti d’accordo che la parola
chiave del futuro dovrà essere riqualificare, ossia dare nuova vita a
ciò che esiste già. Si intravede nelle istituzioni la volontà di cambiare
rotta, ma il tentativo è ancora troppo timido.
DOSSIER
TERRITORIO
Stop al cemento. Ora si rigenera
4
Intiglietta: "Il futuro è la riqualificazione"
5
Napoli, il rebus dei Quartieri Spagnoli
6
La storia del centro storico
7
Fare squadra con l'archistar
8
Architetto Pastore: "Il G124 mi ha cambiata"
9
ATTUALITÀ
La grande truffa delle pillole rubate
10
Ius soli e voto, la paura vince ancora
12
"Hanno calpestato la Costituzione"
13
Quando il social diventa real
14
Citroni: "La città è nata per socializzare"
15
Nuovo Cinema Milano
16
La scuola di film-maker nell'ex Manifattura
17
Erasmus Plus, l'Unione di fatto
18
SPECIALE
Un secolo push-up
20
Sexy o casto, il segreto della femminilità
21
Un feticcio dell'era contemporanea
21
IULM news
22
SOCIAL
twitter.com/labiulmcampus
youtube.com/clipreporter
facebook.com/Masteringiornalismo
Presidente: Giovanni Puglisi
Vice Presidente: Gina Nieri
Amministratore Delegato: Paolo Liguori
Direttore generale: Marco Fanti
Consiglieri: Gian Battista Canova, Mauro Crippa,
Salvatore Carrubba, Paolo Proietti
3
IVAN BERNI
Quel talk show
genera mostri
D
a anni provo un’insofferenza crescente
verso i talk show. La ragione principale
è che trovo siano una specie di virus ( e
qui mi scuso con l’omonimo talk show)
della politica italiana, peraltro già notevolmente
malmessa di suo, quanto a stato di salute. Il talk
show all’italiana non solo induce comportamenti
forzati e distorti, obbligando persone altrimenti
civili e mansuete a digrignare i denti, interrompere l’interlocutore e prorompere, spesso, in una
caterva di insulti, ma sta producendo una vera e
propria alterazione nella selezione della classe dirigente dei partiti. Non si tratta, badate, di censurare il fatto che i più telegenici ( o più disinvolti)
siano preferiti ai timidi e agli introversi. Viviamo
da decenni nell’era della tivù ed è ovvio che chi
risulta più “sciolto” e a proprio agio davanti alle
telecamere sia preferito. Il fatto è che la barbarie
televisiva italiana ha trasformato il “talk” in una
specie di caravanserraglio, dove vincono la protervia, la manipolazione dei concetti e delle dichiarazioni dell’avversario, la menzogna sui dati,
VINCENZO RUSSO*
Agromafie
un business
da 14 miliardi
T
rattare il tema delle mafie è un dovere morale e un impegno accademico di grande
valore. Purtroppo non se ne parla mai abbastanza. Per questo motivo l’Università
IULM, insieme alle università milanesi, ha firmato
due anni fa un protocollo di intesa con l’Associazione Libera di Don Ciotti affinché si trattassero
i temi delle mafie nelle università nel rispetto dei
temi e degli argomenti che più caratterizzano i singoli Atenei. L’università IULM ha avviato questo
progetto con una prima conferenza sul tema della
rappresentazione della Mafia nella comunicazione
televisiva e nel cinema. Quest’anno, alla vigilia
dell’Expo Milano 2015, il tema scelto è stato quello
delle Agromafie ma un’accezione propositiva, ovvero come combatterle attraverso percorsi virtuosi
in grado di valorizzare le risorse produttive, culturali e paesaggistiche del territorio. Da qui è nata
la conferenza che si è tenuta il 25 novembre dal
l’attacco personale. Dove vince, in sostanza, la disonestà intellettuale. Si dirà, ma i talk sono spettacolo e quindi prima di tutto valgono le leggi dello
spettacolo. Se scorre il sangue (metaforico, finora,
per fortuna), l’audience si impenna. I conduttori
lo sanno bene e quindi, nella gran parte dei casi,
arruolano alla bisogna una platea di arruffapopoli.
Ma questo è proprio il punto: se il bravo politico
televisivo non può che essere un bullo da strada o
una erinni carica di rabbia, che cosa rimane allo
spettatore-cittadino-elettore dopo tre ore di un simile spettacolo? Rimane un gran senso di nausea
e di, ulteriore, rigetto della politica. E infatti non è
un caso che alla moltiplicazione dei talk show nei
palinsesti (costano poco e durano molto, coprendo
l’intero arco della prima serata) stia corrispondendo un calo complessivo dell’audience e anche dei
singoli programmi. Tuttavia è sorprendente che il
calo di audience non sia un vero e proprio tracollo,
come meriterebbe l’involuzione della formula e la
sempre più bassa qualità dello spettacolo. I brutti
talk show all’italiana (chi più chi meno, per carità…) sono comunque seguiti da alcuni milioni di
telespettatori che, evidentemente, gradiscono. Detto altrimenti, si pone il problema , assai serio, che
la mutazione antropologica riguardi non solo i politici da piccolo schermo ma anche, e in profondità,
i cittadini che di questo pessimo, ripetuto e rissoso
cattivo spettacolo sono i fruitori. Se il criterio dei
talk show all’italiana è il tifo ultrà applicato alla
politica, con frequenti cadute nella volgarità esibita e negli attacchi personali, e se questo “format”
rimane comunque un genere seguito da un popolo
televisivo di circa 2 milioni e mezzo di spettatori (più o meno quanto si registra il martedì sera,
quando Floris e Giannini sono in gara con Di Martedì e Ballarò sulla 7 e RaiTre) allora se ne deve dedurre che questa televisione fa male al paese molto
più di quanto si immagini. E viene da rimpiangere
il vecchio “giornalaio” Gianfranco Funari, pioniere
dello sdoganamento della politica nelle trasmissioni di intrattenimento. Lui, agli albori dell’infotainment politico-televisivo, nei primi anni Novanta,
inventò il genere, salvo pagare la sua indipendenza con l’emarginazione dai grandi network. Quasi
tutti i suoi epigoni, oggi, pensano di essere dei geni
del giornalismo. E invece mettono in onda la politica come una telenovela. Brutta, rissosa e noiosa.
Per giunta.
titolo “Valorizzazione delle risorse del territorio
contro le Agromafie: dai terreni confiscati alla produzione di valore” e che ha visto la partecipazione
di numerosi operatori del settore, oltre gli studenti del Master in Food and Wine Communication.
Ha introdotto i lavori il Magnifico Rettore prof.
Giovanni Puglisi segnalando, da una parte, quanto importante sia discutere di mafia nella nostra
Università per sensibilizzare e preparare i giovani
professionisti della comunicazione ad affrontare
con attenzione e cura i numerosi temi legati alla
mafia, e, dall’altra, ribadendo l’opportunità di un
vero e proprio cambiamento paradigmatico nella
comunicazione al fine di potere dedicare più tempo
ed energia nel trattare e presentare soluzioni utili
per valorizzare le magnifiche risorse del territorio
aiutando le imprese e il mercato del lavoro contro
le costrizioni delle agromafie. Le Agromafie movimentano un mercato di enorme valore come sostenuto dal Presidente di Eurispes Gian Maria Fara
che nel presentare il suo 2° Rapporto sulle Agromafie di Eurispes e Coldiretti, da cui si evince che
l’attività mafiosa esprimendo una vasta gamma di
reati (usura, racket estorsivo, furti di attrezzature
e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine, danneggiamento delle colture, contraffazione e
agropirateria, abusivismo edilizio, saccheggio del
patrimonio boschivo, caporalato, truffe ai danni
dell'Unione europea) muove . un volume d'affari
complessivo quantificabile in circa 14 miliardi di
euro. A questo si devono aggiungere i 60 miliardi
di euro di business dell’Italian sounding, ovvero
del fenomeno della imitazione e falsificazione dei
prodotti agroalimentari italiani operate da aziende
straniere o anche spesso da aziende italiane che,
attraverso la delocalizzazione e l’utilizzo di materie prime “altre”, sfruttano, come dimostrato dal
Direttore Divisione Sicurezza agroambientale e
agroalimentare Corpo forestale dello Stato Giuseppe Vadalà, con richiami semantici e visivi il brand
italiano causando enormi danni alla nostra produzione agro-alimentare, soprattutto con l’introduzione nei mercati internazionali di prodotti di scarsa, quando non infima, qualità. A fronte di questo
enorme mercato del malaffare agroalimentare gli
altri ospiti hanno offerto un esempio di impegno
fattivo sul territorio come mostrato dal Direttore
della Fondazione Con il SUD Marco Imperiale, da
Aurelio Angelini - Direttore della Fondazione Siti
Unesco in Sicilia e l’esempio introdotto da Lorenzo Frigerio - Giornalista di Libera Informazione e
referente di Libera Lombardia di un imprenditore
di una rete cooperativa Alessandro Leo “Terre di
Puglia Libera Terra”. Ha chiuso i lavori Ivan Berni,
ricordando il lavoro svolto insieme al caro collega
Angelo Agostini sulle terre confiscate.
*Docente Iulm
DOS
SIER
TERRITORIO
Stop al cemento
Ora si rigenera
Edificazione selvaggia e maltempo: l’Italia cede
Basta costruire, è ora di cambiare rotta
DI ALESSANDRA TEICHNER
M@AleTeichner
I
ntere regioni che crollano. È questo il risultato di anni e anni di edificazione selvaggia.
Complice il maltempo, il territorio italiano sta
cedendo pezzo a pezzo. Palazzi costruiti dove
non si poteva, fiumi tombati e mancata manutenzione hanno fatto il resto. Per questo, il ministro
dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha predisposto
un piano straordinario in sette anni per la messa in sicurezza del territorio nazionale, prevedendo lo stanziamento di 7 miliardi di euro. Ma
provvedimenti capillari sono stati presi anche di
regione in regione. In Lombardia, ad esempio, è
stata approvata una legge sul consumo di suolo
che ristabilisce regole urbanistiche. Tuttavia, le
buone intenzioni del legislatore si scontrano con
gli interessi del mercato e con le casse vuote dei
comuni. Costruire porta lavoro, lavoro porta denaro. Anche in forma di oneri di urbanizzazione,
una delle poche voci di entrata rimaste ai comuni.
Nonostante l’intenzione di limitare l’edificazione, infatti, lo stop al cemento partirà solo tra due
anni e mezzo, prima dei quali si potrà continuare
a costruire. Sempre due anni e mezzo, poi, sono
previsti per terminare opere edilizie già avviate.
Nonostante il tentativo di bloccare l’edificazione
selvaggia della Lombardia sia un po’ timido, sono
addirittura alcuni costruttori, come Antonio Intiglietta, presidente del RealEstate, a pensare che
di suolo sul quale costruire non ce ne sia più. Soprattutto perché, come spiega l’imprenditore, sul
territorio milanese esistono ancora molti stabili
inutilizzati, ma non tutte le esigenze dei suoi cittadini sono realizzate. “Mancano, ad esempio, case
con prezzi accessibili per le famiglie ‘medie’ che
non possono permettersi di pagare abitazioni di
lusso”, spiega Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco
e assessore all’Urbanistica del Comune di Milano.
Il ministro dell’ambiente Galletti
Ha stanziato 7 miliardi di euro
Per la messa in sicurezza
Del territorio nazionale
Rigenerare, dunque, dovrebbe essere la nuova parola chiave. Riqualificare secondo le esigenze dei
cittadini, ridare nuova vita a tutti quegli edifici e a
quelle aree che negli anni sono rimasti dismessi e
che costituiscono un danno alla comunità, poiché
molto spesso vengono lasciati in stato di degrado.
Dati alla mano, sono 174 gli immobili inoccupati
a Milano (di cui 62 fanno parte del settore produttivo, 45 sono residenziali , 34 del settore terziario,
19 sono aree libere, 7 edifici rurali, 6 commerciali
ed un parcheggio interrato), un numero che non
può passare inosservato. “È l’incuria il problema. Bisogna fare una distinzione tra ‘vuoto’ ed
abbandonato. Se io lascio vuoto un edificio, ma
continuo a prendermene cura, non creo un danno alla collettività. È quando lo abbandono che
cominciano i problemi, perché non solo finisce
in uno stato di decadenza, ma può essere anche
occupato abusivamente, il che genera chiaramente ulteriori problemi”, specifica la De Cesaris. I
motivi per cui gli stabili vengono lasciati vuoti
sono diversi, ma sicuramente uno di questi è la
lentezza della macchina normativa. “Oggettivamente il settore dell’urbanistica e dell’edilizia è
imbrigliato da una regolamentazione faticosa,
che rallenta gli interventi e a volte li rende addirittura obsoleti al momento dell’approvazione”,
spiega il vicesindaco. Bisogna, per questo, far sì
che i singoli possano intervenire sui propri stabili
con meno difficoltà, “che ci sia un buon rapporto
tra pubblico e privato, in cui il comune cittadino
sia messo in condizione di poter fare i propri interessi, ma il pubblico riesca comunque a tenere
il controllo della situazione per il bene della collettività”, commenta la De Cesaris. Poi aggiunge:
“Certo, l’imprenditore che vuole riqualificare non
può essere lasciato completamente libero, perché
ogni intervento ha una ricaduta sul territorio, ma
sicuramente bisognerebbe creare delle norme che
consentano interventi più celeri”. Da qui il nuovo
regolamento edilizio, secondo il quale il Comune
avrà più potere sul destino di questi spazi. Il re-
5
INTERVISTA
Intiglietta, costruttore milanese:
“Il futuro è la riqualificazione”
DI BARBARA MONTRASIO
M@BAMontrasio
174 L’
totale degli
immobili
inoccupati
a Milano
62
golamento prevede, infatti, che il Comune possa intervenire in via sostitutiva per
eseguire interventi di ripristino e messa
in sicurezza di aree o edifici abbandonati da oltre cinque anni, attribuendo a tali
beni un uso pubblico. La nuova direzione
da prendere, dunque, è quella di un’urbanistica che risponda alle esigenze dei cittadini. Perciò, innanzi tutto riqualificare
l’esistente, e poi, eventualmente, costruire da nuovo. Ma solo se ce ne sarà dav-
Nonostante la legge
sul consumo di suolo
in Lombardia si potrà costruire
ancora per altri due anni
vero necessità, come ad esempio quella di
realizzare abitazioni a prezzi accessibili.
Non si può più costruire senza pensare
all’utilità di ciò che si sta creando, spiega
la De Cesaris, e anche nel riqualificare è
necessario tener conto delle esigenze dei
cittadini. “Bisogna evitare di fare luoghi
dormitorio, luoghi lavoro, luoghi divertimento; è assolutamente necessario integrare, ed è quello che stiamo cercando di
fare”, conclude il vicesindaco. ■
immobili
inoccupati
del settore
produttivo
45
immobili
inoccupati
del settore
residenziale
34
immobili
inoccupati
del settore
terziario
unico modo per uscire dalla
crisi è puntare sulla rigenerazione del patrimonio pubblico
e privato. Io sono per lo sviluppo a consumo zero di suolo”. Così Antonio Intiglietta, presidente di Gestione
Fiere ed Eire, Expo Italia Real Estate, in
un’intervista per Affaritaliani.it, in cui
ha affrontato il tema dell’edilizia a Milano e in Italia. Lo abbiamo intervistato.
Cosa significa per lei riqualificare?
Io amo parlare di rigenerazione. La riqualificazione è una conseguenza. Un
bene immobiliare serve a rispondere
alle esigenze di una comunità. Io devo
costruire un’infrastruttura che colga a
pieno le esigenze di chi vive. La rigenerazione è un problema di concezione
dello spazio e non solo di ristrutturazione. La riqualificazione non serve, se
non ha uno scopo. Rigenerare è dare un
nuovo senso alle cose, come nella vita.
<< Il DOMANI non è costruire
dei mini Bronx, ma creare
spazi integrati di socialità
soprattutto per i giovani >>
Si può immaginare di costruire le
case come una volta?
No, bisogna cambiare l’idea di come si
concepisce l’abitazione. Bisogna immaginare una fusione di funzioni e rapporti sociali. Credo che il futuro dell’abitare debba prevedere la condivisione
di spazi tra generazioni e non debba più
fossilizzarsi sulla separazione di luoghi
per le varie attività della giornata. Tutto
va ripensato dentro una logica di integrazione tra abitazione, formazione e
occupazione, senza dimenticare l’housing sociale per i giovani e monolocali
per singoli. Il futuro non è costruire dei
mini Bronx, ma creare spazi integrati di
socialità.
A Milano ci sono numerosi palazzi
originariamente costruiti per ospi-
tare uffici che, complice la crisi,
oggi sono vuoti. Si può pensare a
una riqualificazione di edifici costruiti per il terziario?
Il mutamento del tessuto sociale costringe inevitabilmente la trasformazione degli spazi abitativi esistenti.
Oggi la grande sfida che l’Italia ha
davanti è quella di cambiare i beni che
ha, con la massima duttilità ed estrema
creatività. Bisogna rispondere ai bisogni dei cittadini, ma allo stesso tempo
essere realisti e operare secondo le condizioni economiche delle persone a cui
ci rivolgiamo.
Quale sarebbe una politica che aiuti
la riqualificazione?
Si aprono due sfide: innanzi tutto c’è
bisogno di dinamicità delle istituzione
pubbliche, che devono mettere i costruttori nelle condizioni di realizzare i
loro progetti senza rimanere incastrati
nella burocrazia. L’amministrazione deve essere flessibile in materia di
utilizzi urbanistici e soprattutto deve
garantire che il tutto venga fatto in
tempi rapidi, onde evitare che quando
l’immobile è pronto sia già obsoleto. È
finita l’era in cui i costruttori fanno i
“palazzinari”, in cui si costruisce a poco
e si vende a tanto. L’edilizia è andata
avanti per anni secondo la logica per
cui si guadagnava tantissimo rischiando quasi nulla. Oggi il costruttore deve
diventare un imprenditore come tutti
gli altri. Guadagnando come un qualsiasi imprenditore.
A proposito di soldi, a lei tutto ciò
conviene? Costruire da zero non
costerebbe meno?
Costruire da zero costa meno, infatti
nelle aree industriali dismesse si abbatte e si edifica da capo. Il brutto perché
mantenerlo? In alcuni casi bisogna buttar giù e ricostruire, quando quello che
c’è non ha senso di rimanere in vita. Ci
sono, invece, strutture che hanno ragione d’esistere come memoria storica
e ristrutturare fa acquistar loro ancora
più valore. ■
DOS
SIER
TERRITORIO
Napoli: il rebus
dei Quartieri
Immaginare il recupero del centro storico
tra ricchezze architettoniche e miserie sociali
DI ROBERTA RUSSO
M@roberta_erre
LO ABBIAMO
CHIESTO A
SANDRO
RAFFONE
Architetto
e professore
all'Università
Federico II
È
possibile immaginare un progetto di riqualificazione
urbana nella città più irredimibile d’Italia? Ovvero, si
possono applicare a una città antica e irrazionale come
Napoli alcuni dei principi che regolano il recupero dei
centri urbani? Con l’aiuto dell’architetto Sandro Raffone, professore di Composizione architettonica e urbana all’Università
Federico II di Napoli, abbiamo provato ad immaginare un’impresa temeraria: riqualificare i Quartieri Spagnoli, parte del
centro storico del capoluogo partenopeo, un dedalo di stradine
chiuso tra piazza del Plebiscito e via Montecalvario. La bizzarra
anarchia di queste vie inizia dalla segnaletica stradale, spesso
scritta a mano: entrando nei vicoli si ha la sensazione di trovarsi in un unico ambiente privato dove in alcuni punti la strada
lascia il posto a ingressi e balconcini abusivi. Miseria e degrado sociale si mescolano al pittoresco in un’alcova popolare che
però nasconde al proprio interno tesori architettonici e cultu-
rali. “Napoli è una delle città più antiche al mondo – spiega il
professor Raffone – e il suo tessuto urbano è rimasto lo stesso
da quando è nata. A questo va aggiunta una particolare conformazione che vede la città chiusa dal mare e costretta a svilupparsi verso le montagne”. I Quartieri Spagnoli conservano le
caratteristiche spaziali e decorative della seconda metà del ‘500:
“si tratta di un’area con case piccole e alta densità abitativa, con
vicoli stretti e scarsa illuminazione che fin da subito divenne famosa per la delinquenza e la prostituzione”. Scampati alla grande campagna di risanamento urbano del 1875, che ne chiedeva
l’abbattimento, i Quartieri sono un caso emblematico per la
presenza di criticità sociali prima che strutturali. Sebbene non
siano mancati interventi di ristrutturazione, essi hanno riguardato quasi sempre singoli fabbricati, senza un piano organico.
“Esistono parametri – continua il professore – che regolano la
distribuzione del carico urbano, cioè il suo impatto complessivo
sulla città: nel caso dei Quartieri non sono mai stati presi in
considerazione, con il conseguente disequilibrio di tutta l’area”.
Per la particolarità della loro struttura urbanistica, oltre che per
il fascino di luogo a sé, queste strade sono da sempre al centro
di dibattiti sul tema del recupero edilizio, che però date le enor-
SCHEDA
Da via Toledo ai bassi:
cinquecento anni
zero soluzioni
DI STEFANO SCARPA
M@StefanoScarpa1
I
mi criticità e gli ingenti sforzi economici che i progetti comporterebbero, non hanno mai prodotto risultati apprezzabili.
Negli ultimi anni sono state sperimentate iniziative volte a un
più generale rinnovo della zona, ad esempio la ripavimentazione e pedonalizzazione di via Toledo, una nuova illuminazione
nella parte bassa dei Quartieri e il tentativo di trovare una diversa funzione per i bassi (abitazioni di un’unica stanza che occupano i pianterreni). Prove timide, se si guarda ai problemi
ancora presenti. Una riqualificazione completa dei Quartieri
Spagnoli è difficile innanzitutto perché si tratta di vicoli stretti
IL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE SOSTANZIALE
NON DIPENDE SOLO DAGLI ASPETTI URBANISTICI
MA SI SCONTRA CON LE RESISTENZE DEGLI ABITANTI
CHE VIVONO SECONDO REGOLE E COSTUMI PROPRI
e ripidi che diventano improvvisamente ciechi, rendendo difficile la circolazione di auto e motorini anche per chi non ci è
nato e cresciuto, e pressoché impossibile quella dei camion per
il trasporto dei materiali edili. A questo si aggiunge la forma
irregolare dei palazzi, composti da strati che si sovrappongono, diversi per epoca e architettura. La solidità degli edifici è
poi resa precaria delle cavità del sottosuolo, mentre gli affreschi
antichi presenti sui soffitti rendono necessari, prima di qualsiasi intervento, restauri accurati. Il progetto di un recupero sostanziale si scontra inoltre con le resistenze degli abitanti. Per
il professore “un esempio emblematico è il Mercato coperto di
Sant’Anna, realizzato per ospitare le bancarelle della zona in
uno spazio unico, ma mai entrato in funzione perché i venditori
si sono rifiutati di trasferirvisi”. La riqualificazione si scontra
quindi con una realtà che prescinde dagli aspetti urbanistici. È
l’essenza stessa dei Quartieri Spagnoli, luogo incantato e maledetto che non può sopravvivere senza le sue contraddizioni
strutturali, culturali e sociali. Forse allora bisogna chiedersi non
se è possibile un recupero urbano dei Quartieri, ma se si è disposti a sacrificare a questo scopo un luogo anacronistico ma
pieno di fascino. ■
Quartieri Spagnoli sono un conglomerato urbano che si estende su
un'area di circa 765 mila metri quadrati, situata a ridosso del centro
storico della città di Napoli. La pianta
a schema ippodameo, rappresenta
la naturale prosecuzione della parte
antica realizzata in età greco-romana. Il reticolato è composto da cardini e decumani che si incrociano a
formare una scacchiera (come nella
foto in basso) e prosegue sulla superficie della collina che giunge fino
a San Martino.
La progettazione e costruzione dei
Quartieri risale al XVI secolo, durante la dominazione spagnola. Il
vicerè Don Pedro di Toledo decise
di estendere il centro abitato oltre le
mura storiche della città superando il
divieto che impediva l'espansione urbana al di là del perimetro individuato
dalle mura di cinta.
Le abitazioni costruite furono utilizzate come dimora delle guarnigioni militari spagnole di stanza a Napoli per
sedare le eventuali rivolte della popolazione. Fin da subito, l'area divenne
un quartiere malfamato, famoso per
la malavita e la prostituzione. Inutili
furono gli sforzi del vicerè che provò
a debellare il fenomeno con l'emanazione di apposite leggi.
Le strade sono molto strette e per
la maggior parte in salita. In alcuni
punti, a causa dell'alta pendenza, la
viabilità è interrotta da scalinate, rendendo così molto difficile la circolazione di automobili.
All'interno di molti edifici è possibile
notare una vera e propria scala sociale che si sviluppa sui vari livelli
del palazzo. Di solito i piani alti sono
riservati alle persone più abbienti,
mentre a livello strada, si trovano piccole abitazioni conosciute come bassi: locali commerciali dismessi e convertiti in case formate da una singola
stanza corredata da angolo cottura.
Data la scarsa dimensione, la strada
si è trasformata nella naturale prosecuzione delle case, e non è difficile
vedere persone parlare "da un basso
all'altro", oppure svuotare secchi di
acqua sporca dopo aver lavato i pavimenti interni.
L'attività economica principale del
quartiere è l'artigianato. Le botteghe
sono sorte nei posti più impensabili
e non è raro imbattersi in opere di
"riqualificazione spontanea" come la
trasformazione di chiese o cappelle
sconsacrate in officine.
D'altro canto, non sono poche le
iniziative messe in piedi negli ultimi anni per avviare un processo di
riqualificazione dell'area. Dal 2001
è attivo il progetto "Sirena", grazie
all'intervento di una società costituita dal Comune di Napoli, che mira al
recupero dei bassi per riconvertirli a
locali commerciali. Inoltre, nel 2003,
è stato avviato un programma di recupero denominato Urban, realizzato
con fondi stanziati dall'Unione Europea. Dal 2012, la zona è raggiunta
dalla metropolitana collinare di Napoli, la linea 1, grazie a un sottopassaggio che collega piazza Montecalvario
alla stazione di Toledo.
7
G124
DOS
SIER
TERRITORIO
Fare squadra
con l'archistar
Sei giovani architetti e il "Progetto periferie"
pagato con l'indennità di un famoso Senatore a vita
DI ADRIANO PALAZZOLO
M@AdrianoPalaz
È
soprattutto in un periodo come questo, in
cui case, strade e intere parti di città vengono portate via dall’acqua, che ritorna
attuale più che mai il discorso di Renzo
Piano sul rammendo edilizio, sulla necessità, cioè,
di raccogliere i pezzi di quello che già abbiamo,
di metterli assieme, di ricostruire e di valorizzare
quello che già si è fatto, abbandonando i progetti
di nuove cementificazioni, per sistemare case, strade e quartieri che già esistono e che troppo spesso sono dimenticati dalle amministrazioni e dagli
stessi cittadini.
G124 non è la sigla di un pianeta, una cometa o una
stella scoperta in chissà quale galassia lontana. È
qualcosa di molto più vicino e tangibile, il numero
civico di Palazzo Giustiniani dove si trova lo studio
da senatore a vita di Renzo Piano ed è con questa
sigla che è stato ribattezzato il gruppo di giovani
scelti dall’architetto genovese per rammendare
l’Italia.
Quando il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano lo ha nominato senatore a vita, Renzo
Piano ha deciso di destinare il suo compenso per
finanziare i progetti di giovani architetti. Ad una
condizione: basta con le colate di cemento, basta
con la costruzione, ora è tempo di riconvertire o,
come piace dire all’archistar, di rammendare, par-
tendo non dal centro delle città ma dalla periferia.
I temi che riguardano le periferie sono diversi:
l’adeguamento energetico, il consolidamento ed il
restauro degli edifici pubblici, i luoghi d’aggregazione, la funzione del verde, il trasporto pubblico e
i processi partecipativi per coinvolgere gli abitanti
nella riqualificazione del quartiere dove vivono.
La storia dei membri del G124 sembra quella del
sogno di una vita. Hanno partecipato ad un bando
anonimo per un workshop di un anno sulle perife-
COSTRUIRE NON È LA SOLUZIONE
GIUSTA PER L'ITALIA DEI NOSTRI TEMPI.
BISOGNA DARE ALL'ARCHITETTURA
UNA PROSPETTIVA ETICA E MORALE
rie. Tra i 600 che si sono presentati, ne sono stati
scelti sei e solo alla fine delle selezioni è stato detto
loro che avrebbero lavorato per Renzo Piano, uno
dei miti dell’architettura mondiale che fino a qualche anno prima avevano studiato all’università.
“Il progetto più importante siete voi” ha detto
l’architetto ai sei giovani scelti all’inizio del loro
percorso: Michele Bondanelli di Ferrara, laureato
all’Università degli studi Iuav di Venezia; Eloisa Susanna di Cosenza, laureata in Architettura
a La Sapienza di Roma; Roberto Giuliano Corbia,
di Alghero ma laureato all’Università di Firenze;
Roberta Pastore laureata all’Università di Napoli
Federico II; Federica Ravazzi di Alessandria e una
laurea all’Università di Ferrara; Francesco Lorenzi,
laureato in Architettura a La Sapienza. Il gruppo è
coordinato da tre tutor d’eccellenza: Massimo Alvisi, Mario Cucinella e Maurizio Milan.
Il contratto dei giovani architetti ha la durata di
un anno, così da lasciare la possibilità ad altri di
imparare ed ampliare la loro concezione dell’ architettura, troppo spesso legato all’idea lasciare
un’impronta ingombrante sulle nostre città.
“Rammendo, recupero e autocostruzione non sono
ripieghi ma un nuovo modo di vivere che contiene
un’infinità di opportunità”, ci racconta Roberta Pastore, una dei sei. “Ci occupiamo di verde, energia,
sostenibilità, partecipazione, mobilità, finanziamenti e consolidamento strutturale”.
Pur lavorando in tre studi diversi, il gruppo ha
confronti e incontri continui con un unico obiettivo comune. Dopo una fase di attenta analisi della situazione in generale delle periferie italiane, la
squadra ha deciso di intervenire su tre aree: Torino, Roma e Palermo.
“Una dignità urbana che pecca di anonimato” è il
giudizio dell’architetto Pastore su Borgo Vittoria,
a Torino; una realtà “in attesa di giudizio” – continua l’architetto - circondata da grandi interventi di
trasformazione urbana voluti dalle amministrazioni, da aree verdi da bonificare e dal tessuto urbano di tipo produttivo in fase di dismissione, in cui
la grande partecipazione dei cittadini alla vita di
quartiere mostra la volontà di una rinascita.
Il terzo municipio romano è, invece, la seconda
area di intervento del gruppo. Un tratto di rete
24
CHI É
9
RENZO PIANO
tramviaria destinata a collegare parti di città ma
che di fatto ora rappresenta una barriera inattraversabile che separa i quartieri o l’edificio ex
GIL, un grande contenitore di funzioni chiuso
in se stesso, sono esempi dei punti su cui si sta
lavorando. Qui la missione è quella di riconsegnare gli spazi ai cittadini.
Ripartire dai più piccoli è l’obiettivo per il quartiere “irrisolto” – lo chiama così Roberta Pastore
- di Librino, a Catania, dove il 55% della popolazione ha meno di 33 anni. Sulla carta c’è una
gran quantità di verde ma nella realtà ci sono
solo spartitraffico curati e un fiume di verde incolto. Qui i bambini giocano tra le macerie di
un teatro mai utilizzato, la segnaletica stradale
è messa in sicurezza con delle reti di ferro e il
Nato a Genova il 14 settembre 1937, è uno dei più
celebrati architetti italiani.
Ha vinto nel 1998 il Premio
Pritzker, consegnatogli dal
Presidente degli Stati Uniti
Bill Clinton alla Casa BIanca.
L'archistar, nel 2006, è stato
il primo italiano a comparire
nella classifica del Time sulle
100 personalità più infulenti
del mondo, ed è stato inserito
anche tra le dieci più importanti del mondo nella categoria Arte e intrattenimento. Dal
2013 è Senatore a vita.
INTERVISTA
ROBERTA PASTORE
«Fare parte del G124
ha rivoluzionato
il mio modo di progettare»
C
os'è per lei il rammendo?
«L’incuria e l’abbandono in alcune zone
delle nostre città sono diventate la norma
e neanche ci facciamo più caso, ci siamo
abituati al brutto e questo è grave. Basterebbero
piccoli interventi per ridare dignità, decoro e bellezza ad un edificio, ad una scuola, ad una piazza.
Da queste azioni può trarre giovamento tutta la
comunità. In questo vedo, personalmente, l’idea del
rammendo.
RIQUALIFICARE LE PERIFERIE CITTADINE
CONSENTE DI RESTITUIRE UNA DIGNITÀ
NON SOLO AI PALAZZI FATISCENTI, MA
ANCHE ALLE PERSONE CHE LI ABITANO
Di chi è la colpa del degrado delle periferie?
«Speculazioni di imprenditori, cecità politiche e
poca sensibilità progettuale hanno generato tutto
ciò. L’indignazione è la prima emozione che provo
di fronte alla cattiva amministrazione che in forme
diverse ha coinvolto e coinvolge le tre periferie che
abbiamo scelto. La rabbia è il sentimento del cittadino offeso e la mettiamo da parte perché, subito
dopo, gli occhi dell’ architetto vedono delle opportunità. Le opportunità che si nascondono dietro al
degrado e l’anonimato delle periferie sono la leva
stessa della loro rinascita.
simbolo infelice di questo quartiere che – dice
l’architetto – “non vive ma sopravvive”, è il Palazzo di Cemento, uno stabile con appartamenti
occupati e abbandonati, discarica di rifiuti dove
vige l’illegalità e latita lo Stato.
Di luoghi così ce ne sono a migliaia in tutta Italia
e i tre siti a cui il gruppo G124 ha messo mano
sono solo l’inizio. Da qualche parte bisognava
pur cominciare, per il resto aspetteremo ogni
anno sei nuovi giovani che, grazie all’idea di una
figura illuminata prestata alla politica, avranno
l’occasione di cambiare l’Italia non solo nella
forma ma anche nell’anima. ■
Il proposito di non continuare a costruire e
cominciare a “rammendare" è legato alla crisi
economica?
«Veniamo da un periodo (quello dei nostri genitori)
dove si ritenevano inesauribili le risorse economiche ed ambientali, la realtà è che non lo sono. Ora
bisogna fare i conti con quanto si è consumato e
sperperato e iniziare a dare il giusto valore alle cose
che si fanno, recuperare ciò che c’è da recuperare e
pesare tutti gli interventi. Penso che questo periodo
di austerity non sia un male, anzi nelle difficoltà la
creatività prende sempre tanta forza. Il rammendo e
il recupero non sono ripieghi ma un nuovo modo di
vivere che contiene infinite opportunità.
Meglio il centro città o la periferia?
«Io ho vissuto e vivo tuttora in periferia, a Salerno.
Fino a qualche anno fa era davvero un peso vivere
in un quartiere identificato solo come “Q4 “, dove
passava un autobus per andare in centro e dove
non c’erano luoghi di incontro se non una chiesa.
Ho passato tanti anni a fuggire in centro per andare al liceo, per andare a danza o per incontrare i
miei amici. Lo stato d’animo di chi vive in periferia
lo conosco bene e forse anche per questo mi sta
tanto a cuore questo progetto. Ora però vedo la
periferia come una fucina di animi giovani, ribelli
e creativi che vogliono cambiare le cose.
C'è bellezza nelle periferie?
«Le periferie di oggi purtroppo sono quasi tutte
brutte, realizzate solo con l’idea di creare dei “contenitori” di persone che avevano bisogno di una
casa. Spesso le opere di urbanizzazione che per
legge devono essere realizzate vivono solo sulla
carta ma di fatto mancano teatri, parchi, biblioteche. I “quartieri dormitorio” non sono solo degli
slogan ma intere aree dove le persone vanno solo
a dormire perché tutti i servizi, anche i minimi,
non sono garantiti. Chi vive in periferia a volte lo fa con senso di vergogna perché è difficile
identificarsi con la bruttezza e con luoghi privi
di riferimenti. L’iconicità delle periferie spesso
è solo legata ad immagini di degrado sociale ed
architettonico. Gli atti di vandalismo palesano in
modo drammatico un’ esigenza di attenzione del
cittadino offeso. Se si portassero dignità e bellezza
in questi posti aumenterebbe il senso civico degli
abitanti. Banalmente, se tu Comune realizzi una
cosa bella nel mio quartiere io la custodirò gelosamente perché dando dignità a un posto in cui abito
tu hai dato dignità ed attenzione anche a me non
facendomi sentire cittadino di serie B.
[a.p.]
10
ATTUALITÀ
ITALIA
La grande truffa
delle pillole rubate
Spariscono soprattutto antitumorali e farmaci rimborsabili
La criminalità organizzata ha trovato un nuovo business
DI COSIMO FIRENZANI
M@CosimoFirenzani
B
astano poche fiale e si mettono le mani
su centinaia di migliaia di euro. Farmaci
antitumorali, classificati tra quelli interamente rimborsati dallo Stato, spariti
dalla farmacia interna dell'Umberto I di Roma,
dove a luglio sono state arrestate otto persone,
tra le quali due dipendenti. E da altre centinaia
di strutture, tanto che si calcola che in media un
ospedale su dieci abbia subito almeno una volta
un furto (sono decine le inchieste delle Procure in
tutta Italia, soprattutto al Sud) per un danno complessivo di 18,7 milioni di euro. Sono soprattutto
gli ospedali grandi, quelli con più di 800 posti letto, ad essere più colpiti. Ed è facile capirne il motivo: è più complicato monitorarli. I farmaci spariscono di notte: in un caso su quattro non sono
stati riscontrati segni di effrazione, particolare
che fa ipotizzare complicità del personale interno.
E' un report del centro Transcrime dell'Università
Cattolica a cercare di mettere insieme i pezzi su
un fenomeno in netta crescita negli ultimi mesi
e negli ultimi anni, come ammette anche la stessa Aifa, che ha paventato per bocca di Domenico
Di Giorgio, dirigente dell'unità prevenzione con-
traffazioni, l'ombra della criminalità organizzata
campana ed Est europea, in particolare della camorra, dietro un crimine che non si improvvisa.
La ricerca di Transcrime parla, invece, di correlazione significativa tra criminalità organizzata e
il fenomeno. Il motivo è soprattutto geografico:
dove il controllo del territorio da parte delle mafie è più alto si verificano il maggior numero di
furti. Puglia e Campania dal 2006 al 2013 hanno
LE IPOTESI: I FARMACI SOTTRATTI
POTREBBERO ESSERE DESTINATI
A MERCATI DI PAESI DOVE
NON SONO RIMBORSATI DALLO STATO
rappresentato da sole il 45 per cento dei casi. L'agenzia del farmaco è corsa ai ripari, assieme ai
Nas dei carabinieri e alle associazioni di categoria, con una banca dati dei farmaci rubati: lo strumento minimo per cercare almeno di rintracciarli. Rintracciare? Sì, perchè tra le ipotesi avanzate
dallo studio (mancano sentenze o notizie certe)
non si parla solo di mercati neri, materia prima
per doping o sostanze stupefacenti, ma anche di
immissioni nei mercati legali di altri Paesi. E lo
studio di Transcrime, che non ha potuto contare
su dati forniti dalle forze dell'ordine, non prende
in considerazione gli assalti ai camion che trasportano medicine. E' il caso del furto subito dalla
Wassermann spa che si è vista soffiare neldurante il trasporto verso la Romania 32.310 confezioni
dell'antimicrobico Normix e due lotti da 18.816
confezioni ciascuno del Vessel, utilizzato contro
le ulcere venose croniche. In 32 su 68 furti dal
2006 al 2013 i farmaci rubati negli ospedali erano antitumorali e allo stesso tempo di alto costo.
Insomma, non si rubano aspirine. Ma c'è un altro
particolare: quelle medicine sono in gran parte in
classe A o H, quelle interamente rimborsate dal
Sistema sanitario nazionale. Al di là della milionaria perdita per le casse statali, questo fa pensare ai ricercatori di Transcrime e non solo, che la
destinazione finale possa essere il mercato legale
di Paesi che non hanno i sistemi di rimborso italiani, dove questi farmaci sono molto richiesti. Est
Europa, ma anche Grecia, dove più volte negli ultimi anni lo Stato in bancarotta ha tagliatpo i rimborsi. Che i farmaci rubati siano destinati anche
ai mercati legali di altri Paesi lo confermerebbe
il caso di alcuni lotti di Herceptin, farmaco della
Roche ad uso ospedaliero indicato nel trattamento del carcinoma mammario e gastrico. Senza una
segnalazione di un grossista inglese e senza una
banca dati dei farmaci rubati questi lotti sarebbero entrati nel mercato tedesco, dove alcuni farma-
11
FOCUS
Colpite di più le terre di mafia
e le regioni adriatiche
Alleanze con la mala dell'Est?
Un reato che non si improvvisa. Se eludere
i controlli di notte di un ospedale può sembrare un’impresa non impossibile, non è
altrettanto facile piazzare sul mercato quei
medicinali, spesso molto costosi e solo di
uso ospedaliero. La banca dati dei medicinali rubati creata da Aifa e Nas dei carabinieri un anno fa ha sicuramente reso la vita
più difficile per i traffici, che siano tentativi di
far entrare la refurtiva nei mercati legali che
completamente illegali. Ma anche senza una
banca dati, ogni lotto è contrassegnato da
codici per la tracciabilità. Proprio per la complessità dell’organizzare traffici del genere la
prima ipotesi è che dietro i raid notturni negli
ospedali, soprattutto del Sud Italia, ci sia la
mano della criminalità organizzata. Un’ipotesi ventilata dalla stessa Aifa e in qualche
modo ritenuta plausibile anche dallo studio
del centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano. Nel report si parla
di correlazione significativa per la posizione
geografica dei furti: soprattutto in Puglia e
Campania. Tutto ciò, proprio per l’alto livello
di controllo del territorio delle organizzazioni mafiose in queste zone, farebbe pensare ad un coinvolgimento. Ma c’è di più: una
quantità significativa di furti è stata registrata
anche in altre regioni Adriatiche, non solo in
Puglia, ad esempio in Friuli Venezia Giulia.
Per i ricercatori di Transcrime non sarebbe
un caso: ad attirare i trafficanti sarebbe la posizione geografica favorevole per gli scambi
con i Paesi dell’Est Europa, probabilmente in
accordo con organizzazioni albanesi, romene, bulgare, russe e georgiane.
[c.f.]
MAPPA DEI FURTI
PER REGIONE
SCHEDA
ci hanno prezzi maggiori a quelli italiani (come in
molti altri Paesi del Nord Europa). La banca dati è
quella creata da un anno da Aifa, Farmindustria,
Asso-Ram e Carabinieri con il supporto del Ministero della salute per “contrastare – come si ammette dalla stessa Agenzia del farmaco – un fenomeno in costante crescita”. Il caso dell'Herceptin
è stato ampiamente diffuso dall'Agenzia proprio
come esempio per invogliare tutti gli attori a se-
IL CASO HERCEPTIN: TRE LOTTI SOSPETTI
STAVANO ENTRANDO IN GERMANIA,
SONO STATI SEGNALATI DA UN GROSSISTA.
ERANO STATI RUBATI IN ITALIA
La maggioranza dei furti di
farmaci negli ospedali si sono
verificati al Sud. In particolare in
Puglia e in Campania, 17 nella
prima e 14 nella seconda. Nella
mappa sono colorate in scuro le
regioni più colpiti con gradazioni
di colore più chiare per quelle
che sono più estranee al fenomeno. Si calcola che un ospedale
italiano su dieci abbia subito
almeno un furto negli ultimi 10
anni. La media si alza vertiginosamente per il Molise (7 casi su
10), Campania (4 casi su 10),
Campania (3 casi su 10) e Friuli
Venezia Giulia (2 casi su 10).
Sotto, invece, i farmaci più rubati
negli ospedali italiani.
ANTITUMORALI
IMMUNOSOPPRESSORI
ANTIREUMATICI
BIOLOGICI
ORMONALI
DERMATOLOGICI
gnalare i casi sospetti. In questo caso, il grossista
inglese riscontra discrepanze troppo consistenti tra i numeri di lotto tra il primo e il secondo
confezionamento. E segnala il sospetto all'Aifa.
Sospetto fondato, perché alcuni numeri di lotto
corrispondono con altri presenti nella banca dati
dei farmaci rubati. Da qui partono le indagini dei
Nas: il grossista inglese ha comprato i lotti dalla
Farmaceutica Internazionale srl che risulta aver
cessato le attività. Un caso sul quale i carabinieri
continuano ad indagare. ■
17
14
da 6 a 4
meno di 4
ANTIVIRALI
SEDATIVI
PSICOFARMACI
EPO
NEUROLOGICI
OFTALMICI
1
1
3
2
2
5
5
5
10
13
12
32
12
ATTUALITÀ
ITALIA
Ius soli e voto
La paura
vince ancora
DI ELENA IANNONE
M@Elena_Iannone
O
bama ha promesso di regolarizzare 5 milioni di immigrati a partire dalla prossima
primavera. Nel 2003 Strasburgo ha raccomandato agli Stati Membri “di estendere
il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali
e del Parlamento europeo a tutti i cittadini di paesi
terzi che soggiornino legalmente nell’Unione europea
da almeno tre anni". Diritto di cittadinanza, oltre che
di voto rappresentano i presupposti per l’integrazione culturale e sociale all’interno di qualsiasi contesto
democratico. La modalità per metterli in atto ha a che
fare con la storia e la sensibilità di ogni singolo stato.
La “green card” ai residenti di lungo corso in America
DIRITTO
DI VOTO
STRANIERI
IN U.E.
FINLANDIA
elezioni municipali per
cittadini extracomunitari
SVEZIA
incostituzionale
IRLANDA
SOLO PER ALCUNI STRANIERI
provenienti da zone
culturalmente simili
riconosce pari dignità a coloro che da almeno cinque
anni vivono, lavorano e non hanno commesso reati
all’interno del Paese. Quelli che, ormai inseriti, aspettano di essere integrati. In Italia secondo i dati forniti
dal Ministero dell’Interno, sono presenti oltre 3 milioni e ottocento mila cittadini non comunitari, oltre il
6% della popolazione. Solo fra il 2013 e il 2014 si è verificato un aumento del 3% di quelli che sono regolarmente registrati (circa 110 mila persone). Una recente
ricerca dell’Istat ha valutato il grado di soddisfazione
dei cittadini stranieri che vivono in Italia, insieme al livello di fiducia e di discriminazione. Se 60% si dichiara
soddisfatto per le condizioni di vita in generale, contro
dopo un certo
periodo di residenza
senza un certo
periodo di residenza
REGNO
UNITO
LETTONIA
LITUANIA
OLANDA
POLONIA
BELGIO GERMANIA
LUX
REP.CECA
SLOVACCHIA
FRANCIA
AUSTRIA UNGHERIA
SLOVENIA
ROMANIA
su riserva
di reciprocità
PER TUTTI GLI STRANIERI
L’89,5% degli stranieri
dichiara di aver subito
discriminazioni sul lavoro
a causa delle proprie origini
DANIMARCA
ESTONIA
PORTOGALLO
SPAGNA
ITALIA
diritto di essere
candidati ed eletti
esteso alle
elezioni regionali
il 37,2% degli italiani, quando si parla di lavoro le cose
cambiano. L’89,5% degli stranieri ha dichiarato di aver
subito discriminazioni in ambito lavorativo a causa
delle proprie origi, così come il 17% degli adolescenti
figli di immigrati da parte dei compagni di scuola. In
Italia i cittadini stranieri sono esclusi dal diritto di voto
e possono ottenere la cittadinanza dopo almeno 10
anni di permanenza regolare e continuativa sul suolo
italiano. Però le regole che garantiscono il rinnovo del
permesso di soggiorno lungo questo decennio sono
BULGARIA
GRECIA
MALTA
piuttosto arbitrarie. Questi soggetti non condividono
con gli altri cittadini uguali diritti, ma soltanto uguali
doveri. Secondo l’Eurostat la Germania, che è il secondo Paese al mondo per immigrazione internazionale
dopo gli Stati Uniti, accoglie oltre 7 milioni e mezzo
di immigrati, mentre l’Inghilterra e Spagna superano
i 5 milioni. La Francia ha una minore percentuale di
stranieri a fronte di una più ampia politica di naturalizzazione sia per i natii che per i migranti. Tutti
questi stati, compresi anche i Paesi Bassi condividono
CIPRO
13
FOCUS
“Calpestata
la Costituzione”
L’
con l’Italia lo ius sanguinis, ovvero l’ottenimento
della cittadinanza quando uno dei due genitori la
possiede, e non per diritto di nascita sul territorio.
Al tempo stesso, però, hanno tutti una legislazione
che favorisce e accelera il procedimento, soprattutto per quanto riguarda i natii sul territorio. Un
bambino che nasce in Italia oggi, da genitori con regolare permesso di soggiorno deve invece attendere la maggiore età e solo al compimento del 18° può
richiedere la cittadinanza, usufruendo di una corsia
preferenziale. Stesso discorso vale per il diritto di
voto: è previsto alle amministrative nella maggior
parte dei paesi europei, o è molto acceso il dibattito
per concederlo, come in Francia. I recenti fatti di
cronaca che hanno riguardato gli Stati Uniti, l’omicidio del ragazzo afroamericano a Ferguson e le
feroci proteste per l’assoluzione del poliziotto che
gli ha sparato, avvengono in un contesto sociale
complesso, ma in evoluzione. Non è facile superare
le grandi discriminazioni razziali che hanno caratterizzato la storia degli USA che però, oggi, hanno
un presidente afroamericano e rigettano episodi di
violenza applicando politiche di integrazione in risposta a eventi di questa gravità. L’Italia in questo
senso si trova ad affrontare una sfida. La strada per
l’integrazione passa attraverso un iter legislativo in
grado di tutelare i cittadini residenti sul territorio.
E’ vero che ci siamo trovati a gestire in tempi relativamente brevi un forte incremento della popolazione straniera. Tra il 2003 e il 2004 la presenza non
comunitaria passò da 829.761 presenze a 1.479.381
(e la Romania era ancora fuori dall’Unione). Oggi,
dopo 10 anni, considerando anche i membri comunitari, ci avviciniamo ai 5 milioni di presenze:
è impensabile quindi non recepire questo dato con
l’urgenza di una legislazione adeguata, soprattutto
in risposta alle gravi manifestazioni razziste e discriminatorie che purtroppo cominciano a essere
frequenti anche nel nostro Paese. ■
articolo 3 della nostra Costituzione è
molto chiaro riguardo ai diritti dei suoi
abitanti e, in particolare, riguardo la
pari dignità sociale. “E’ compito della
Repubblica rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”. Se però sei straniero, anche se sei in
regola, paghi le tasse, non hai commesso alcun reato, non hai comunque accesso al voto,
a meno che tu non abbia acquisito la cittadinanza e comunque non prima di 10 anni, salvo
casi davvero eccezionali. Da Milano nel 2012
partì una campagna ormai defunta che puntava all’ottenimento dello ius soli e del diritto di
voto per gli stranieri. Così come altre proposte
di legge che giacciono inascoltate dall’inizio di
questa legislatura, tutto si risolse in un “nulla di fatto”. Come mai i cittadini stranieri di
lungo corso non protestano più per ottenere
questi diritti? Michel Koffi, presidente dell’Associazione Città Mondo, che raccoglie al suo
interno le associazioni delle comunità straniere, ci racconta un percorso complicato, fatto di
tanti problemi, su tutti la scarsa informazione. Le associazioni sono tante, e gli immigrati
condividono fra loro unicamente la condizione
di stranieri in Italia. Per il resto hanno storie,
culture e tradizioni radicalmente diverse. Ci
sono comunità forti, come quella senegalese,
che è molto strutturata e ricettiva. Ce ne sono
altre che sono composte da pochi individui e
anche per quelli è difficile raggiungere la totalità dei connazionali presenti sul territorio.
“C’è una parte di responsabilità anche per
quanto riguarda l’associazionismo certo, ma la
priorità in questo momento è quella di ottenere un iter giuridico chiaro, che non lasci spazio a interpretazioni arbitrarie. In Italia oggi
lo stesso rinnovo del permesso di soggiorno
è tutt’altro scontato”. “Ad esempio la comunità musulmana – aggiunge Daniela Pistillo
esponente del PD e responsabile del Forum
sull’Immigrazione – ottiene con più difficoltà
i permessi per una sorta di discriminazione
culturale”. Le cose oggi stanno così: se una
domanda viene rifiutata nessuno ha l’obbligo
Da Milano nel 2012 è partita
una campagna per il riconoscimento
dello ius soli e del diritto
di voto per gli stranieri
di motivarne la ragione. Il rilascio dei documenti dovrebbe avvenire all’adempimento di
una certa burocrazia, ma purtroppo spesso dipende da chi ci si trova di fronte. In Paesi come
il Belgio, la Danimarca, l’Olanda, la Spagna o
la Svezia il diritto di voto almeno alle amministrative è una realtà scontata da decenni. In
quelli che invece non lo contemplano i criteri di accesso alla cittadinanza sono molto più
flessibili di quelli italiani. “I diritti ti tutelano
LO ABBIAMO
CHIESTO A
DANIELA
PISTILLO
Responsabile
del Forum
sull'Immigrazione
MICHEL
KOFFI
Presidente
dell'Associazione
Città Mondo
soprattutto nei confronti dell’istituzione. Se
sei passibile di espatrio o di altri ricatti cerchi
di esporti il meno possibile.” dice Daniela Pistillo che aggiunge: “abbiamo accolto il voto
degli stranieri durante le primarie del Pd, che
I diritti ti tutelano anche
Nei confronti dell’istituzione:
Se sei ricattabile cerchi
di esporti il meno possibile
è un voto di partito, ma l’affluenza è stata davvero scarsa. D'altronde bisogna uscire da un
approccio di tipo sindacale in favore di una logica di partecipazione”. La questione riguarda
la volontà di essere parte attiva della Comunità. Durante l’ultimo Forum sull’Immigrazione
la portavoce della comunità rumena ha detto
che loro, pur avendone diritto come cittadini
comunitari, non esercitavano il voto alle elezioni. “Io ero molto sorpreso, ma il problema
fondamentale è che chi è stato emarginato
per lungo tempo non è consapevole dell’esercizio, oltre al fatto che c’è un senso di sfiducia” continua Koffi, che aggiunge riguardo
allo ius soli: “anche questa proposta di Renzi
dello Ius temperato (cittadinanza dopo un ciclo scolastico ndr) bisogna valutarla. Un bambino che nasce in Italia non l’ha scelto e non
ha colpe, ed è già integrato per il solo fatto di
andare a scuola e parlare italiano. Non vedo
perché non debba essere riconosciuto come
cittadino al pari dei suoi compagni di classe.”
Anche Daniela Pistillo riguardo a questa proposta ha usato termini molto fermi: “Bisogna
vedere a quale ciclo scolastico Renzi intende
far riferimento. Se intende concedere la cittadinanza a 16 anni anziché 18 è una presa
in giro. La questione dello ius soli è politica:
Bersani ripeteva in continuazione che se fosse
toccato a lui sarebbe stato tra i primi provvedimenti introdotti, ma la verità è che quando
si tratta di negoziare con altre forze politiche la mediazione è sempre al ribasso”. [e.i.]
14
ATTUALITÀ
MILANO
Quando il social
diventa real
La "fredda" Milano riscopre il suo lato umano
La svolta con Ape, Social Street e Cenaconme
DI MATTEO PALMIGIANO
M@palmi14
P
ensate a tutte le volte che vi siete trovati
in un luogo pubblico connessi sul vostro
pc, smartphone o tablet, completamente
persi nel mondo dei social network. Basta
confermare la vostra partecipazione ad un evento
o cavalcare l’onda di un hashtag e siete immediatamente collegati a un’enorme comunità di utenti.
Alla base di questa forma di interazione, c’è soprattutto l’inconscia volontà di relazionarsi con persone nuove. Individui di cui non sappiamo nulla e
che impariamo a conoscere solo attraverso i loro
profili online. Milano ha compreso questo desiderio dei giovani e ha sfruttato i social per renderlo
possibile. Da una semplice pagina in rete sono nati
progetti e associazioni che hanno restituito alla
gente la socialità di cui non ha mai potuto fare a
meno. Le realtà in questo ambito sono sempre più
numerose e il seguito è impressionante. Tra i più
attivi ci sono i ragazzi dell’Ape, un’associazione
nata nel 2012, ma con radici ancora più lontane:
“L'Ape nasce un po' per caso e un po' per necessità. Gli elementi essenziali di questa storia sono
un gruppo di amici molto affiatato e la proposta
Dalle 800 persone del Chiosco
alle 3000 davanti all’Arena
“Ape ha creato la serata ideale
a cui tutti volevano andare”
arrivata ad uno di loro di gestire l'aperitivo di un
chiosco ai Giardini di Porta Venezia”, ci raccontano
Pietro Panizza e Orsola Giunta, due degli organizzatori. “Nessuno dei fondatori aveva organizzato
già altri eventi, ma c'era la voglia di fare qualcosa
insieme. E' stato come pensare alla "serata ideale"
a cui ognuno di noi sarebbe voluto andare. Già
Piazza Affari durante una delle serate organizzate dall'Ape
durante il primo Ape, nella primavera del 2011, ci
siamo resi conto che tanti, non solo fra gli amici,
avevano apprezzato l'iniziativa”. Dopo Porta Venezia, l’Ape è cominciato a diventare itinerante:
“Abbiamo organizzato molti eventi in Piazza Affari, un luogo architettonicamente suggestivo, che la
sera si spegne insieme agli uffici. Poi davanti alla
Biblioteca di Parco Sempione e di fronte all'Arena. Il parco, in particolare, è il luogo pubblico per
eccellenza e si presta benissimo ad un evento di
musica dal vivo aperto a tutti”. Quanti giovani partecipano alle serate dell’Ape? “Il primo, in porta
Venezia, era stato un piccolo “boom” al di sopra
delle aspettative e persino al limite della capienza
dell’area intorno al chiosco di Pippo. C’erano probabilmente fra le 600 e le 800 persone. Nell'ultimo
ciclo di eventi al parco Sempione, invece, sono
passate circa 3000 persone “. L’Ape ha conquistato Milano. Un gruppo di ragazzi uniti e motivati
ha dimostrato che si può mettere in pratica idee
nuove, anche in città: “E’ difficile, ma possibile. Bisogna crederci ed essere anche un po’ fortunati”.
15
INTERVISTA
Sebastiano Citroni*:
“La città testimonia
la voglia di socialità”
DI MARCO DEMICHELI
M@marcodemi90
del cittadino. Osservando la Berlino di fine, ‘800
Georg Simmel rilevò, fra i primi, come l’uomo
moderno paghi la propria libertà al prezzo della
solitudine. Ma questa condizione alimenta uno
sfrenato desiderio di socialità, di superare i confini che ci lo separano dall’altro. Storici come John
Foot mostrano come a Milano, poi, sia particolarmente diffusa una nostalgia verso un passato
mitico di quartieri-villaggio (raramente esistiti)».
Ape, Social Street e Cenaconme: tre iniziative che stanno registrando una grande partecipazione. La gente quindi ha ancora voglia
di stare insieme?
«La “voglia di stare insieme” – come lei dice - è
tipica della città e della dimensione urbana. Solo
in tempi relativamente recenti la città è stata associata all’idea di anonimato, di legami fra estranei, di libertà dai vincoli comunitari: una libertà
che si associa a un inedito senso di solitudine
L'appuntamento in cui si litiga per eccellenza
è l'assemblea di condominio. Come si spiega
il successo delle Social Street?
«Questa è una forma la cui diffusione è da ricondurre alla facilità dello strumento Facebook. La
forma è nuova, l’istanza da cui nasce no. Il fatto
che si concentri nella propria strada è perché la
piccola scala è l’ambito in cui per eccellenza si
concentrano sia le nostalgie dei rapporti sociali caldi (quelli con i vicini di casa ad esempio),
sia le istanze di socialità che derivano da quelle
nostalgie. Nascono relazioni inedite rispetto ai
tradizionali rapporti di vicinato. Parlando dei litigi
nelle assemblee di condominio, se si studiano i
conflitti si vede bene come le persone litigando
vogliano metterci del proprio. Sono anche queste comunque forme di protagonismo sociale».
Anche con Cenaconme un evento nato dal
web trova il suo compimento poi nella realtà.
«Le ricerche sull’uso dei media digitali mostrano che mezzi come facebook sono usati non in
concorrenza agli incontri faccia a faccia, ma insieme, alimentando questi ultimi. Chi usa i social
media sa bene quanto siano poco fondate le retoriche sull’alienazione e l’isolamento associato
ai media digitali.
*Sociologo e ricercatore
Università Milano Bicocca
LO ABBIAMO
CHIESTO A
ROSSANA CIOCCA
ORSOLA GIUNTA
Gallerista milanese e
fondatrice di Cenaconme
Organizzatori dell’Ape. Pietro è uno dei creatori
dell’iniziativa. Orsola è la fotografa ufficiale
Non si tratta però dell’unico esempio virtuoso di
mobilità sociale milanese. Giorno dopo giorno, il
progetto Social Street sta riscontrando sempre più
successo. L’obiettivo è creare relazioni di buon vicinato tra i residenti della stessa via. “Social Street
nasce a Bologna dall’iniziativa di Federico Bastiani, che non conoscendo i vicini della sua zona, ha
deciso di creare un gruppo chiedendo alla gente di
iscriversi per instaurare un legame. L’iniziativa ha
avuto un successo immediato e ha cominciato ad
espandersi anche in altre città. Così ho deciso di
In Italia già 250 Social Street
solo a Milano ce ne sono 52
“La gente dalla piazza virtuale
passa all’incontro in strada”
darmi da fare anche io”, spiega Francesca Fedeli,
fondatrice della pagina Facebook per i residenti di
via Morgagni a Milano. “La cosa è piaciuta talmente tanto da sbarcare oltre confine”. In Italia ci sono
oltre 250 Social Street, 52 delle quali solo a Milano.
Specialmente nelle grandi città, però, non sempre è
facile costruire questo tipo di reti: “Spesso non abbiamo idea di chi siano le persone che vivono nel
nostro quartiere. Questo ci porta ad avere difficoltà
quando ci dobbiamo relazionare con loro e ci ritroviamo da soli in mezzo a tanta gente sconosciuta.
Lo scopo è dunque recuperare le abitudini di alcuni
piccoli paesi italiani, dove le persone si salutano e
si frequentano. Vogliamo inoltre fare in modo che
dalla piazza virtuale si passi all’incontro in strada”.
Detto, fatto: “La gente partecipa non solo per co-
PIETRO PANIZZA
noscere i propri vicini, ma anche per interessarsi
alla vita quotidiana del quartiere, solleticata da un
forte senso di appartenenza che ha solo bisogno
di essere tirato fuori”. E le amministrazioni come
hanno preso questa iniziativa? “I Consigli di Zona
ci hanno sostenuti da subito, cercando di portare
la cosa anche a livello comunale. L’idea era stilare un regolamento che snellisse le procedure per
la realizzazione di queste iniziative, ma dato che
Social Street non aveva personalità giuridica c’è
stato qualche problema burocratico”. Socializzare
con i propri vicini è dunque possibile e, allo stesso
tempo, ci si può anche godere una cena a lume di
candela con migliaia di commensali in un luogo
speciale della città, grazie a Cenaconme. Come si
legge dalla pagina Facebook, si tratta di “un progetto senza scopo di lucro che invita le persone a
riappropriarsi dello spazio urbano all’interno di
un evento che ha le caratteristiche di un flashmob
comunicato e diffuso utilizzando prevalentemente i social media”. A rendere uniche queste cene
sono i partecipanti, che portano il cibo da casa e
addobbano i tavoli messi a disposizione. Le madri
di questa iniziativa sono Rossana Ciocca e Alessandra Cortellezzi. “Cenaconme nasce tre anni fa,
prendendo spunto dalle Diner en Blanc di Parigi.
Per questo motivo, i primi eventi erano chiamati
Cene in Bianco”, ci racconta Rossana, gallerista
milanese. Un’idea messa in pratica grazie anche
all’appoggio delle amministrazioni locali: “Ci adorano. Siamo un’immagine bellissima della città.
Milano non ha le piazze di Roma, è molto più piccola. Ci sono comunque tante cose belle, che però
vengono dimenticate. Nel corso degli anni diversi
assessori hanno potuto apprezzare la semplicità di
FRANCESCA FEDELI
Cura la Social Street di
Via Morgagni su Facebook
questo contenitore”. Il nutrimento è uno dei temi
cardine di Expo. Può essere un’opportunità per
Cenaconme? “Noi ci saremo. E’ un’occasione importante per fare vedere che questa città ha ancora
tanto da dare”. L’iniziativa ha già toccato diversi
luoghi della città: “La prima cena l’abbiamo fatta
all’Arco della Pace, una sorta di saluto ai francesi.
Poi nel mezzanino della metro di Porta Venezia e
l'abbiamo chiamata Dinner in the Dark - considerata la location -, mentre Chapeau - dato che tutti
i commensali dovevano portare un cappello, oltre
al cibo – dentro la Rotonda di via Besana”. Successivamente sono arrivate le cene nei giardini Indro
Montanelli, in Piazza XXV Aprile e nella Galleria
Vittorio Emanuele II. I numeri sono in continua
crescita: "Stiamo riducendo ai minimi termini la
comunicazione del luogo della cena, perché la conta dello spazio è importante e non si può rischiare
di arrivare impreparati. Però il colpo d'occhio ti la-
Gli ospiti portano il cibo da casa
spazio e dress code fanno il resto
“Cenaconme ti sorprende sempre
è un ristorante a cielo aperto”
scia a bocca aperta, è un ristorante a cielo aperto.
Cenaconme nasce dalla viralità dei social, ma si realizza in luogo dove ci si trova e non si è più utenti,
ma persone". Ape, Social Street e Cenaconme, tre
realtà che hanno riaperto gli occhi di Milano. Una
città un po' fredda, ma che vive da sempre di socialità senza rendersene, quasi, conto. ■
16
ATTUALITÀ
MILANO
Nuovo
Cinema
Milano
DI FEDERICO FUMAGALLI
M@federicofum
N
oio volevan, volevon savuar...».
Una battuta tanto celebre che da sola
identifica un film (Totò, Peppino e la...
malafemmina), un attore (Antonio De
Curtis, in arte Totò) e una città.
Milano e il cinema. Un binomio non proprio imprescindibile. Visto che la città italiana “cinematografara”, detto alla capitolina, per eccellenza è appunto
Roma. Eppure non si può dire che la metropoli del
Nord, non abbia avuto un’intensa “vita sul set”. Qui
grandi autori del secondo dopoguerra hanno firmato capolavori e si sono imposti filoni di successo
come il poliziottesco anni ‘70 e i film comici degli
‘80. «Può sembrare un paradosso» dice il professor
Gianni Canova, critico e docente di Storia e Critica del Cinema all’Università Iulm, «ma l’atteggiamento disinteressato delle istituzioni ha indicato al
cinema milanese una strada alternativa. Partendo
dal basso si sono create forme di auto organizzazio-
Il disinteresse delle istituzioni
ha indicato nuove strade
al cinema milanese Contemporaneo.
Alcuni lavori sono eccellenti
ne interessanti». Il riferimento è alla florida realtà
festivaliera cittadina che con Milano Film Network
«riunisce sette festival di cinema» e alle tante società di produzione fondate da giovani, «di cui non
parla nessuno ma che fanno lavori eccellenti».
Sono produttori milanesi di lungo corso Lionello
Cerri, presidente di Lumière e Gianfilippo Pedote, a
capo della Mir Cinematografica. Cerri si è affermato al primo film: «Con Fuori dal mondo di Giuseppe
Piccioni, nel ‘99 ho vinto il David di Donatello».
Nonostante il successo è rimasto a Milano e ha
sempre resistito alle sirene della capitale: «Stare
lontano da Roma, che resta il cuore del cinema italiano, non è facile ma il lavoro del produttore si può
fare ovunque. Bisogna conoscere il pubblico, basta
quello». Per Pedote «il cinema è un tipo di prodotto poco concepibile senza aiuti pubblici. In questo
periodo di crisi il sostegno scarseggia e la cultura
ne risente. Produttori, distributori ed esercenti non
rischiano più. Si adeguano alle esigenze del grande pubblico». Sono le parole di un professionista
che ha spesso sfidato il mercato, credendo in film
“fuori”. Come Fame chimica: «Quello di Paolo Vari
e Antonio Bocola, nel 2003 è stato l’antesignano di
molti film girati al risparmio. Pochi mezzi ma tanta creatività». Per realizzare Fame chimica venne
intrapreso un percorso di finanziamento collettivo
e il film, ambientato nella periferia sud-ovest, a Milano incassò bene.
A muovere il complesso carrozzone ci sono anche
le Film Commissions, enti regionali no profit che
sostengono la realizzazione di prodotti audiovisivi,
per la promozione del territorio. Alberto Contri è il
direttore generale di Lombardia Film Commission:
«La Lombardia e Milano sono ai primi posti tra le
preferenze dei produttori e l’evento Expo 2015 non
ci troverà impreparati».
Quindi il cinema continua a subire il fascino di Milano: «È vero! Nonostante la città non abbia mai
fatto molto per favorirlo», dice Gianfilippo Pedote.
A dovere consigliare un film che l’abbia ben rappresentata, Pedote cita La vita agra di Carlo Lizzani perché «è bello riscoprire attraverso il cinema
quello che una città è stata in passato». È vario per
genere e periodo, l’elenco di “cinema milanese” di
Gianni Canova: «Non si può non aver visto Rocco
e i suoi fratelli di Luchino Visconti», un capolavoro assoluto che racconta la “Milano città aperta”
ai flussi di immigrati degli anni ‘60. Da riscoprire
secondo Canova anche Ratataplan che nel 1979
l’esordiente Maurizio Nichetti ambienta «in una
Milano surreale e danzante» e Un eroe borghese di
Michele Placido, sull’avvocato Giorgio Ambrosoli:
«Qui un grigio profondo domina la città».
Questi sono i ricordi di un passato cinematografico
da cui «non è possibile prescindere». Nell’ immediato futuro, per Gianfilippo Pedote ci saranno i
nuovi film di Daniele Vicari, Alina Marazzi, «l’esordio alla regia della sceneggiatrice Lara Fremder
e il ritorno del regista di Fame chimica Paolo Vari.
Sono progetti in cui crediamo molto».
Canova non indica nuovi autori di orbita milanese
su cui puntare - «ne conosco troppi, farei torto a
chi non cito» - ma assicura che di molto bravi «ce
ne sono tanti». Poi, conclude ottimista: «Se i germogli che già abbiamo sbocceranno, presto alcune
sorprese verranno da qui».■
GIRATI
IN CITTÀ
2000
CHIEDIMI SE
SONO FELICE
di Aldo, Giovanni,
Giacomo e M. Venier
1987
Alain Delon e Annie Girardot durante le riprese
di Rocco e i suoi fratelli
KAMIKAZEN
di Gabriele
Salvatores
FOCUS
Nell’ex Manifattura
la Scuola dei film-maker
«Finalmente a casa!». È contenta Laura Zagordi, direttore della Civica Scuola di Cinema di Milano, reduce da un recente e (probabilmente) definitivo trasloco. «La Scuola
è nata nel 1962 e da allora gli spostamenti
sono stati tanti. Fino a poco fa la nostra sede
era una vecchia scuola elementare, ora abbiamo uno spazio più in linea con le nostre
esigenze», dice il direttore. Lo spazio in questione è quello dell'ex Manifattura Tabacchi,
in viale Fulvio Testi 121, zona Bicocca, che
il Comune di Milano vorrebbe trasformare
nel polo audiovisivo della città. Il progetto è
ambizioso e complesso. Quello che rappresenta Cinecittà per Roma, oggi per Milano è
ancora un miraggio. Ma accanto alla Scuola già sorge il Museo Interattivo del Cinema
(MIC), istruttivo e divertente.
«È suggestivo pensare che lo spazio che noi
oggi occupiamo, sia stato un tempo quello di
una grande fabbrica. Perché Milano» prosegue Zagordi «è una città d'industria e tra i primi esperimenti cinematografici, a fine '800,
si ricorda il film breve dei fratelli Lumière che
mostrava l'uscita degli operai dalle officine».
Un bel gioco di specchi, di cui il cinema si è
sempre cibato.
I tempi moderni, citando Chaplin, non sono
facili e specie i più giovani rischiano di risentirne. A volte abbandonano il sogno del
cinema per intraprendere un mestiere che,
all'apparenza, dà maggiori garanzie. Laura
Zagordi non nasconde che «la nostra è una
scuola d'Arte ed è difficile fare arte pensando solo al lavoro. Nei tre anni di corso però,
gli studenti apprendono competenze utili a
svolgere una professione».
Daria ha 23 anni. È tra i 14 studenti ammessi
al corso di sceneggiatura: «La maggior parte
dei miei parenti non sa nemmeno cosa sia
uno sceneggiatore. Capita spesso che si
confondano e dicano che sono scenografa»,
racconta divertita. «Sono consapevole che
non sarà facile trovare lavoro, ma pronta a
seguire le mie passioni».
Per concludere, ecco l'annosa questione di
quale sia il ruolo della cultura in anni di crisi. Risponde il direttore Zagordi: «Non credo
nella formula "di cultura non si mangia". Viviamo in una società in cui, ad esempio, è
evidente il dominio delle immagini. Qualcuno
le dovrà pur pensare, progettare e realizzare!». È il lavoro della gente del cinema, che
pensa e crea immagini, da oltre cent'anni.
1951
MIRACOLO
A MILANO
di Vittorio
De Sica
1950
CRONACA
DI UN AMORE
di Michelangelo
Antonioni
17
18
ATTUALITÀ
EUROPA
Erasmus plus
l’Unione di fatto
Zhivko Zhelev, presidente di Academy of Success
racconta quali opportunità offre il programma
DI CINZIA CASERIO
M@CinziaCaserio
L’
Europa che non sono riusciti a fare burocrati e politici, la faranno i giovani.
L’hanno già fatta a partire dalla nascita
del programma Erasmus nel 1987 con i
viaggi, gli scambi, gli spostamenti, le associazioni,
dimostrando che il vero motore dell’Europa è l’iniziativa dal basso. Per questo, a distanza di 27 anni
dalla comparsa di Erasmus è nato il programma
Erasmus plus, per il quale sono stati stanziati ben
14,7 miliardi di euro da utilizzare in sei anni (20142020). Un grande investimento che permetterà alle
nuove generazioni di fare il passo decisivo verso
un’idea più concreta di Europa. Solo nel 2014 sono
stati messi a disposizione 1 miliardo e 800 milioni
di euro per finanziare programmi di scambio, volontariato, studio e lavoro. Ma di cosa si tratta? Per
capirci qualcosa di più, non c’è niente di meglio
che ascoltare l’esperienza degli youth workers e
delle Ong che hanno già fatto richiesta per parteci-
pare al progetto. Ci racconta Erasmus plus e l’esperienza degli scambi giovanili Zhivko Zhelev, presidente dell’associazione Academy of Success che ha
da poco concluso uno dei primi training courses
finanziati da Erasmus plus.
Cos’è l’Erasmus plus?
«È il programma sviluppato dall’Unione Europea
nel campo dell’educazione, della formazione, della
gioventù e dello sport. È partito nel 2014 e durerà
fino al 2020».
Come funziona?
«Combina programmi di successo già implementati in precedenza: The Lifelong Learning Programme
(programma di apprendimento permanente), Youth
in Action (scambi giovanili, training courses e EVS),
Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink e il programma di cooperazione con i Paesi industrializzati
(programmi di cooperazione nel campo dell’istruzione superiore). Infine, sostituisce e integra anche Comenius, Erasmus, Leonardo da Vinci e Grundtvig (rispettivamente programmi per l’istruzione scolastica,
superiore, professionale e l’educazione degli adulti)».
<< Erasmus plus farà la differenza
per tutti i giovani in Europa
perché permette di conoscersi,
scambiandosi idee e opinioni >>
In cosa si distingue rispetto ai precedenti programmi?
«È più aperto nei confronti dei giovani, l’accesso è
più semplice, tutti i progetti sono potenziati e naturalmente l’investimento è maggiore».
Ci puoi parlare di alcuni di questi programmi
nello specifico?
«EVS, ovvero European Voluntary Service, è un
programma dedicato a giovani fra i 18 e i 30 anni e
dà la possibilità di lavorare come volontario in un
altro Paese europeo, ricevendo un piccolo stipendio oltre al vitto e all’alloggio. Gli youth exchanges
o semplicemente “scambi giovanili” durano circa
una settimana e sono pensati per ragazzi dai 18 ai
25 anni che si incontrano in Europa per discutere
un tema specifico, mentre i training courses sono
19
DOVE
I progetti si tengono in tutta Europa.
Esistono diverse associazioni in Italia che
fanno da tramite con le associazioni di
altri Paesi europei per organizzare scambi
e training courses, ma le più note sono
Scambi Europei, Jump In, Joint e You Net,
sui cui siti internet è possibile trovare tutte
le informazioni sui progetti in partenza.
L’aggregatore per eccellenza è però il blog
di Scambi Europei (http://www.scambieuropei.info/), costantemente aggiornato, che
diffonde gli annunci di tutte le associazioni
italiane e anche altre opportunità di studio,
lavoro, volontariato, concorsi e conferenze
in Europa, in Italia e in tutto il mondo.
QUANDO
Scambi e training courses partono tutto
l’anno e durano da una settimana fino
a dieci giorni. Gli EVS invece possono
durare fino a un anno. Visto l’alto numero di
partecipanti, non appena si legge l’annuncio è consigliabile mandare subito il Cv (in
italiano oppure in inglese), allegando anche
una breve lettera di motivazione. Se scelti,
si verrà contattati prima dall’associazione
italiana, poi da quella del Paese in cui si
svolgerà lo scambio o il training course per
le questioni organizzative. Al termine del
progetto si ottiene il certificato “Youthpass”,
utile da allegare al proprio Cv.
simili agli scambi ma più intensivi, dedicati a tutti i
giovani e in particolare agli youth workers di altre
associazioni e Ngo».
Quando è nata Academy of Success?
«Academy of Success è nata nel 2012 a Stara Zagora
in Bulgaria grazie a un gruppo di giovani entusiasti
ma con tanta esperienza come partecipanti in training courses, seminari e scambi giovanili appartenenti al programma Youth in Action. Abbiamo
avuto un ottimo inizio, visto che due anni fa, con
il nostro primo progetto dal titolo “Volunticipation
all over” abbiamo vinto il premio “Best Practice”
in Bulgaria per il 2012 nell’ambito dei programmi
Youth in action».
Parlaci del vostro ultimo progetto.
«Active European Citizens si è tenuto dal 6 al 13
novembre 2014 a Samokov, paese a circa 50 chilometri da Sofia, sul tema della cittadinanza, democrazia e politica in Europa. I partecipanti provenivano da Italia, Bulgaria, Macedonia, Polonia,
Turchia, Romania, Germania, Spagna e Croazia.
Abbiamo organizzato giochi per favorire la conoscenza reciproca, tavoli di lavoro per discutere dei
temi principali, realizzato blog e video. Abbiamo
anche allestito una simulazione delle elezioni europee e abbiamo accompagnato i giovani in visita a musei e scavi archeologici. Un giorno siamo
andati a Sofia per conoscere una Ngo locale che
si occupa di orfani: quale migliore occasione per
visitare la capitale della Bulgaria? Non è mancata
poi la classica European night, in cui ciascun Paese
offre cibo e bevande tipiche della propria regione
agli altri partecipanti, e una sera si è tenuta anche
una Bulgarian night, con canti, balli e cibo tipico
del nostro Paese».
<< Quando penso all’Erasmus plus
ho in mente le foto dei progetti
dove i giovani si riuniscono
davanti alla bandiera europea >>
Quale sarà il vostro prossimo progetto?
«Saranno due. Uno riguarda l’imprenditoria sociale e l’altro la sensibilizzazione per la sicurezza
stradale dei giovani».
COME
Una volta arrivati a destinazione, si discute
il tema dello scambio in team, realizzando
progetti e prodotti mediali. Poi si visitano musei e associazioni e si incontrano i
rappresentanti della politica locale. Un’altra
attrazione di questi progetti è l’European
night, in cui i partecipanti condividono cibo
e bevande del proprio Paese con gli altri
giovani. Ogni scambio ha un suo tema, che
può essere: politica europea, giornalismo,
integrazione, lotta alla discriminazione, crisi
economica, disoccupazione, lo sport, il volontariato e così via. Partecipare non costa
quasi nulla: con Erasmus plus il viaggio
è rimborsato al 100% e il vitto e l’alloggio
sono a carico dell’associazione ospitante.
Cosa deve fare un’associazione per partecipare al progetto Erasmus plus?
«Il processo di iscrizione non è molto difficile,
anzi consiglierei a tutte le Ngo di partecipare al
programma. Ciascuna associazione deve seguire
le regole fissate dal proprio Paese di appartenenza, ma diciamo che in generale, per sperare in un
esito positivo della propria candidatura, può essere utile mostrare di avere partner affidabili, oltre a
una seria organizzazione interna. È prevista anche
la possibilità di iscriversi come “gruppi informali”,
ovvero enti non giuridici: in questo caso il processo è anche più flessibile e meno burocratico».
<< Un’opportunità del programma
riguarda l’educazione non formale:
l’apprendimento grazie al gioco,
studio e interazione in gruppo >>
Quanta esperienza bisogna avere per organizzare a propria volta dei progetti Erasmus
plus?
«Personalmente, come partecipante ho preso parte a circa 10 training courses, scambi giovanili e
seminari, a cui si aggiungono altri 4 organizzati
come presidente di Academy of Success e uno come
trainer/facilitatore. È fondamentale avere un buon
bagaglio di esperienze, perché gestire le attività di
un gruppo di 30-40 ragazzi di età diverse e provenienti da tutta Europa richiede passione ma anche
molto impegno e conoscenze acquisite sul campo.
Non ci si può improvvisare youth workers».
Pensi che Erasmus plus sia un’opportunità
per i giovani europei? E se sì, perché?
«Sì, è una delle opportunità presenti per i giovani in Europa, soprattutto perché l’investimento è
maggiore (14,7 miliardi per sei anni!), l’accesso è
più semplice e i programmi sono rinnovati. È una
grande occasione di crescita e confronto che nessun giovane europeo dovrebbe lasciarsi scappare».
Cosa consiglieresti ai giovani che volessero
intraprendere una carriera come youth workers, diventare team leader in un progetto di
scambio, o lavorare in una Ngo?
«Se volete conoscere persone provenienti da tutta
Europa, siete pronti a diffondere la vostra esperienza in altri progetti e amate viaggiare, questo lavoro
fa per voi. Seguite i vostri sogni, cercate di essere
sempre attivi nel vostro Paese o semplicemente
nella vostra città, e così facendo cambierete non
solo la vostra vita ma anche quella degli altri».■
20
C
COSTUME
ANNIVERSARI
0
10
un secolo
push-up
DI FEDERICA PALMIERI
C
osì recita un antico indovinello: «Lo
strumento che aiuta i bisognosi, contiene i forti, sostiene i deboli, raduna i
dispersi, separa la destra dalla sinistra,
solleva le masse e attira i popoli…». Qual è la soluzione? È… il reggiseno! A triangolo, a balconcino, con o senza spalline, con o senza ferretto,
nude look, impreziosito da gioielli, di pizzo o imbottito, ce n’è davvero per tutti i gusti. Compagno fedele di noi donne, insostituibile, elemento
principe della nostra lingerie, coniuga praticità
e seduzione da un secolo e non è mai passato di
moda.
Parigi, Esposizione Universale del 1889. Il detestato corsetto, simbolo di costrizione, malsano e
doloroso dispositivo ereditato dal Medioevo e dai
secoli successivi (in cui addirittura erano comparse armature di ossa di balena o metallo ad assolvere la funzione di sostegno del petto e compressione della vita), inizia il suo inevitabile declino.
Madame Herminie Cadolle mostra per la prima
volta la sua invenzione, il corselet-george, alias
“corsetto per il busto”, che però poco aveva a che
fare con l’odiato strumento di tortura che aveva
oppresso le donne fino a quel momento, conferendo loro quella strana forma a clessidra, un po’
alla Jessica Rabbit. Il nuovo supporto fasciava sì
la schiena, sorreggendo però i seni non più dal
basso, deformando inevitabilmente il busto, bensì dall’alto, con delle spalline in fibra elastica, e
soprattutto lasciando libero il diaframma durante
la respirazione. Tuttavia è un’altra geniale donna ad essere considerata la madre del reggiseno
moderno: Mary Phelps Jacob, esponente dell’alta
società di New York, che lo brevettò precisamente il 3 novembre 1914. Aveva comperato un abito molto elegante per partecipare a una serata di
gala. Ma, scontenta del fatto che il suo corsetto
mortificasse la profonda scollatura del vestito e si
mary phelps jacob, newyorkese,
brevetto' il reggiseno moderno
il 3 novembre 1914, e' passato
un secolo, ma e' ancora trendy
intravedesse avvilendo le trasparenze del tessuto,
escogitò un’estrosa soluzione con l’aiuto della sua
cameriera: cucì insieme due fazzoletti di seta da
allacciare con nastri rosa a mo’ di spalline, e ne
fece un supporto per i seni. Il nuovo indumento
intimo della Jacob incontrò l’entusiasmo della sua
cerchia di amiche, che subito ne vollero un modello da custodire gelosamente nel proprio cassetto della biancheria. Ma la potenziale attività di
business non ottenne il successo sperato: il Caresse Crosby, come la Jacob denominò il suo prodot-
to, non decollò, perché non riuscì a pubblicizzarlo
adeguatamente per farne un prodotto di mercato,
sicché la signora si decise a vendere il brevetto del
reggiseno per 1500 dollari alla Warner Brothers
Corset Company di Bridgport, Connecticut, che
di lì a pochi anni fatturò l’astronomica cifra di 15
milioni, sancendo definitivamente la fine del corsetto e la diffusione del modern bra.
Dal modello a fascia avvolgente preferito dalle Flappers dei “ruggenti anni Venti”, gli anni di
inizio dell’emancipazione femminile, del look alla
“maschietta” in cui si abbandonano gradualmente
i bustini per essere più libere nei movimenti, allo
strumento di seduzione per eccellenza delle giunoniche dive degli anni ‘30, ‘40 e ‘50, come Marlene Dietrich, Ginger Rogers, Ingrid Bergman, Marilyn Monroe, Anita Ekberg, Brigitte Bardot, e le
nostre Gina Lollobrigida e Sophia Loren, periodo
in cui l’avvenenza e il sex appeal esibiti conquistano l’immaginario collettivo maschile.
Bruciato in piazza dalle femministe degli anni ‘70,
durante la rivoluzione sessuale, viene rivalutato
nel corso degli anni ‘80 e ‘90 con le icone pop,
dalla maggiorata Pamela Anderson alla irriverente Madonna. Proprio negli anni ‘90 fa la sua prima apparizione il Wonderbra, ovvero il reggiseno
imbottito o push-up, che regala prodigiosamente
una taglia in più alle sfortunate con cui la natura
è stata poco generosa.
E allora, buon anniversario, intramontabile reggiseno, amato da chi lo indossa, ma anche da chi
lo ammira… ■
21
SCHEDA
Il mercato mondiale dell'intimo vale circa 50 miliardi
di euro all'anno, e quello
europeo 13,9 mld. Secondo
l'IFM (Institut Français de la
Mode), nei primi nove mesi
del 2013, la Francia era il
Paese dell'UE che spendeva di più per questi capi,
2,7 mld di euro, seguita da
Germania (2,57 mld), Regno Unito (2,4 mld), Italia
(2 mld) e Spagna (1 mld).
Una pubblicità degli anni '50
Pizzi e merletti sono protagonisti.
Il modello bandeau mette in risalto le curve.
2,4mld
REGNO UNITO
2,57 mld
2,7 mld
FRANCIA
1 mld
SPAGNA
ITALIA
Un feticcio
dell'epoca
contemporanea
DI CIPRIANA DALL'ORTO*
M@cipriana_dm
DI DANIELE LETTIG
<< Il primo reggiseno è un'iniziazione:
entri nel mondo adulto e ti appropri
dei misteri DELLA FEMMINILITà
Che ti rendono una donna >>
un tiro incrociato di esigenze pratiche, gusti estetici, messaggi erotici e altro. Io appartengo alla
generazione che negli anni '70 bruciava i reggiseni
in piazza, in segno di liberazione dagli stereotipi.
Francamente, pur essendo femminista, guardavo
un po' perplessa questo gesto dimostrativo. A me
il reggiseno piaceva, perché privarmi di un capo
che nessuno mi aveva imposto e che anzi, essendo poco "dotata", mi aiutava a valorizzarmi? Ma la
cosa interessante è che proprio poco tempo prima
di quell'epoca, esattamente nel 1961, nasceva, ad
opera della stilista canadese Louise Poirer, il reggiseno delle meraviglie, il Wonderbra: un modello
che avrebbe regalato un décolleté da urlo a tutte noi ma che avrebbe sfondato molti anni dopo,
comparendo sul mercato americano soltanto negli
anni '90, indossato per la prima volta in passerella
da una maliziosa Eva Herzigova. Oggi non conosco donna, di ogni età, che non indossi il reggiseno. Sportivo o sexy, castigato o audace, ti fa sentire come vuoi. E resta uno dei segreti più potenti
della femminilità. ■
Madonna in concerto
Il reggiseno a cono disegnato da Jean Paul
Gaultier. Lo indossò durante il tour del 1990.
2 mld
Sexy o casto:
un segreto
della femminilità
Non credo che esista, nel guardaroba maschile, un
capo così carico di significati simbolici come lo è il
reggiseno per una donna. Il primo reggiseno è una
vera e propria iniziazione: sei legittimata a fare il
tuo ingresso nel mondo adulto e, quindi, ad appropriarti dei misteri della femminilità. Altrettanto
importante che metterlo è toglierlo, al momento
giusto e con la persona giusta. Questi due piccoli
grandi riti personali si inseriscono non solo in un
contesto sociale, ma entrano nel girone infernale
del fashion system, così il rapporto tra una donna
e il suo reggiseno sarà per buona parte della vita
Sophia Loren indimenticabile
Una scena del film "Ieri, oggi, domani",
del 1963. La pellicola vinse l'Oscar nel 1965.
GERMANIA
*Giornalista, già condirettore
di Donna Moderna
«I capi di vestiario sono un sintomo delle tendenze
culturali dell’epoca a cui appartengono, e il reggiseno lo è in maniera esemplare», dice Nello Barile,
docente di Sociologia dei processi culturali all’Università IULM di Milano. «Quest’indumento infatti
rappresenta un’emancipazione strutturale dall’oggetto che lo precedeva, cioè il corsetto, simbolo di
un potere patriarcale che tende a inguainare il corpo femminile nell’immagine desiderata dall’uomo:
il reggiseno, invece, indica lo slancio di liberazione
della donna all’interno dello sviluppo della società
industriale».
In un saggio lei ha delineato un parallelo tra
reggiseno e cravatta. Ce lo illustra?
«La società capitalistica si è sviluppata secondo
questa dicotomia: il maschile è produttivo, il femminile dissipativo, ovvero l’uomo produce e la
donna consuma. La cravatta e l’abito sono il segno
di questa funzione produttiva mentre il reggiseno
era un simbolo del consumo, ed è questo il motivo
principale per cui le femministe lo bruciavano, più
ancora della discriminazione che era stata in parte
superata».
Oggi questa divisione non è più così netta.
«È vero. Nel caso della cravatta, l’obiettivo di mettere in discussione questo capo come simbolo di
potere è stato in certo modo raggiunto: in molti
ambienti essa non è più un obbligo formale. Per
quanto riguarda invece il reggiseno, c’è stata solo
la preparazione di un suo rilancio ulteriore: esso
non scompare, anzi viene esibito sempre più. Ciò
avviene massicciamente soprattutto negli anni ‘90,
un periodo decisivo nell’ambito della rappresentazione del corpo. L’esempio più celebre è il reggiseno a cono fatto da Jean Paul Gaultier per Madonna, che non a caso inaugura una fase totalmente
nuova della sua carriera. A partire da quest’epoca
il reggiseno viene caricato di un significato molto
più ampio rispetto alla sola dimensione funzionale:
diventa un vero e proprio feticcio lungi dall’essere
fuori moda». ■
IULM
news
Il campus
apre alla città
U
no spazio nuovo, dedicato non solo alla comunità degli studenti ma a tutti i cittadini di Milano, che mira a diventare
un punto di riferimento nella vita culturale della città: con
quest’idea è stato concepito il nuovo edificio del campus
dell’università IULM, il grande complesso che si aggiunge ai precedenti edifici sede dell’Ateneo. I lavori iniziati nel 2008 sono ormai
giunti alle battute finali, e l’inaugurazione ufficiale dovrebbe essere
prossima.
Lo scopo principale della nuova struttura – provvisoriamente identificata come Iulm 6 - è coniugare i servizi agli studenti con un ambi-
I
zioso piano di iniziative culturali. Per quanto riguarda il primo punto,
sono due le novità principali che riguardano direttamente gli studenti
dell’Ateneo: la prima è la nuova mensa, che sorgerà nella parte sinistra dell’edificio entrando dall’ingresso principale di via Carlo Bo.
La seconda è il trasferimento della sede del Master in Giornalismo,
che comprende un nuovo locale attrezzato a studio per le riprese
televisive e uno studio radiofonico.
Il palazzo segna, poi, un ulteriore passo in avanti nella collaborazione tra l’Università IULM e la Scuola Politecnica di Design (SPD),
iniziata nel 2011: i primi sette piani dell’ala destra, la torre, ospite-
CREATIVITA
INIZIATIVE
Al via il nuovo laboratorio
di teatro dello Iulm
Universiday: a Milano eventi
e incontri per gli studenti
l laboratorio di teatro dello Iulm
torna anche per l’anno accademico in corso. L’appuntamento,
per i venti studenti dell’ateneo
selezionati, è per gennaio 2015. Al
corso possono partecipare gli studenti iscritti a tutti i corsi di laurea
triennale e al corso di laurea magistrale in Televisione, cinema e new
media. Durante gli incontri, che
andranno avanti fino a marzo, si
avrà la possibilità di approfondire
la propria formazione in un settore
che punta tutto sulla creatività. Un
docente responsabile e un tutor
di riferimento accompagneranno
gli studenti durante il percorso.
Diverse le tematiche che saranno
affrontate: i ragazzi impareranno
a sviluppare uno spirito di osservazione delle proprie emozioni,
a improvvisare e svilupperanno
un’abilità all’ascolto. L’obiettivo
finale del laboratorio è portare sul
palcoscenico un testo o una performance.
[m.l.]
C
oinvolgere gli studenti
nella vita milanese, con
un occhio di riguardo ai 16
mila studenti stranieri che
hanno scelto la città per la propria
formazione. È con questo obiettivo
che è nato Universiday, il progetto
promosso dal Corriere della Sera, insieme a dodici istituti del capoluogo
lombardo, e a cui ha aderito anche
lo Iulm. L’iniziativa durerà sei mesi
e saranno organizzate conferenze,
incontri informali, contest in cui i
ragazzi potranno mettere alla prova
la propria creatività, partecipando a
gare di scrittura, fotografia, urban
art, video e musica, accompagnati
da “tutor” famosi, come giornalisti del Corriere e personaggi dello
spettacoli. Gli studenti potranno
anche raccontare la loro esperienza
di universitari a Milano attraverso
testi, foto e video, da condividere sui
social network (l’hashtag da usare è
#universiday e #lovemy per gli stranieri).
[m.l.]
FOCUS
ranno infatti gli studenti che la scuola di disegno industriale e
grafica richiama da tutto il mondo, rafforzando in questo modo il
legame tra essa e la IULM, e rendendo possibili nuove occasioni
di partnership.
Le realizzazioni più importanti del nuovo complesso, tuttavia,
sono gli spazi culturali, che ospiteranno non solo iniziative legate alla vita dell’università, ma aperte a tutto il pubblico, milanese
ma non solo. Ecco spiegato il perché dei due auditorium, uno più
grande da 600 posti e uno più piccolo da circa 146, e del grande
spazio espositivo da 800 metri quadrati cui si potrà accedere
anche da via Russoli. I due auditorium, quello piccolo e quello
grande, saranno abilitati alla proiezione di filmati in 4k, ultima
frontiera in fatto di definizione delle immagini, e si gioveranno
di una gestione coordinata dei sistemi di audio, video, luci e
regia. Particolare attenzione, inoltre, è stata posta nell’allestimento acustico delle due sale. Ci saranno anche due cabine per
la traduzione simultanea, per convegni e conferenze con relatori
stranieri. Lo spazio espositivo accessibile da via Russoli è progettato come destinazione ottimale per mostre e performance di
arte contemporanea, comprese installazioni di grandi dimensioni grazie alla considerevole altezza interna. Una novità assoluta
per le Università milanesi.
A questi spazi si accompagnano poi un ristorante, che sarà
aperto all’ottavo piano della torre, e uno “sky bar” che occuperà
la terrazza del nono piano. Un altro bar, infine, verrà allestito nel
foyer del grande teatro, al piano interrato, dove sono state previste anche due ampie gradinate, in un ambiente adibito a con-
Uno spazio nuovo per gli studenti, ma non solo:
Oltre alla mensa, due auditorium e un ristorante.
e poi lo sky-bar sulla terrazza del nono piano,
per creare un polo culturale per tutta Milano
ferenze e spettacoli da tenersi in particolare nel periodo estivo.
Sono tutti luoghi che avranno vita propria anche in termini di orari, saranno aperti anche al di là della normale attività universitaria e verranno animati da un cartellone di eventi che affolleranno
le nuove sale.
Saranno previste proiezioni cinematografiche, spettacoli teatrali
di prosa e opera, concerti, conferenze e convegni di studio, che
saranno organizzati anche in collaborazione con enti esterni sia
italiani che internazionali, con lo scopo di migliorare il network
di relazioni dell’università e accrescere il ritorno d’immagine del
nuovo polo culturale. Tra gli enti coinvolti, un posto particolare
lo ricoprirà la Triennale di Milano, con cui l’Università IULM già
collabora attivamente.
[d.l.]
Architettura dell'Informazione:
a gennaio il master Iulm
P
rodurre contenuti non
basta più, la vera sfida
del futuro è gestirli. Per
farlo, nasce la figura
dell’architetto dell’informazione,
un professionista che si occupa di
affiancare aziende, giornali, associazioni e persino start-up nell’attività di comunicazione digitale.
L’obiettivo è quello di sviluppare
progetti di editoria digitale e diversificare le attività di business,
coordinando la presenza sui social network e sfruttando al meglio interattività e partecipazione.
Altro aspetto sul quale si concentra l’architetto dell’informazione
è quello dell’user experience design, ovvero l’attività di orientare
la presenza digitale delle aziende, mettendo a fuoco soprattutto
l’utente e i suoi interessi. Tante
competenze, insomma, riunite in
un’unica figura, che da gennaio,
per la prima volta in Italia, trova
la sua formazione professionale
nel Master executive in Architettura dell’Informazione e User
Experience Design, all’Università IULM. Coordinatore didattico
sarà Federico Badaloni, una sorta di pioniere dell’architettura
dell’informazione. Infatti, mentre
nei paesi anglosassoni e nel nord
Europa questa è una figura centrale nel mondo della comunicazione, in Italia l’unico grande
gruppo editoriale che ha un team
di architetti dell’informazione è
il gruppo L’Espresso, all’interno
del quale Badaloni lavora. Il piano didattico prevede 216 ore di
formazione, che comprendono lezioni frontali, workshop e laboratori. È stato suddiviso in due fasi:
una prima, necessaria a formare
le basi per la professione, una
successiva, nella quale si apprenderanno competenze specifiche
dell’architetto dell’informazione.
Il corso tiene conto del fatto che
gli studenti possano provenire da
percorsi di apprendimento differenti, ma saranno avvantaggiati
coloro che arrivano professioni
e studi legati alla comunicazione, all’antropologia culturale, alla
sociologia, ma anche alla grafica,
al marketing e all’informatica. Il
Master, realizzato in collaborazione con Architecta, società italiana dell’Architettura dell’Informazione, presieduta dallo stesso
Badaloni, partirà il 23 gennaio e
terminerà l’8 giugno. Per informazioni: www.iulm.it; telefono:
02 891412311.
[b.m.]
JOBS
HELPING
Nasce l’incubatore per le idee
creative e le imprese sociali
Tutor alla pari in aiuto
delle matricole sperdute
L
e migliori idee imprenditoriali degli studenti dello
Iulm potranno diventare
progetti concreti. Questo
sarà possibile grazie all’Incubatore per le idee creative e le
imprese sociali, il progetto che
l’ateneo ha pensato per valorizzare il talento giovanile. Lo scopo è selezionare le migliori idee
e supportarne la crescita e lo sviluppo. Gli studenti saranno seguiti durante tutte le fasi del pro-
getto da mentor, tutor e manager,
con competenze specifiche, che
fanno parte del network Alium,
ovvero l’Associazione Laureati
dell’Università Iulm. Durante le
fasi operative, potranno partecipare anche altri studenti che ritengono quelle attività affini con
il loro corso di studi. Obiettivo:
entrare in contatto con il mondo
lavorativo e acquisire delle capacità richieste quando si esce
dall’università.
[m.l.]
T
utor alla pari, è questa la
novità introdotta allo Iulm
da quest’anno. Ai docenti
universitari, che svolgono
il classico tutorato didattico, si affianca un servizio di tutor peer to
peer, attivato in via sperimentale.
A venire in soccorso delle matricole sono gli studenti all’ultimo anno
dei corsi di laurea magistrale e i neo
laureati, che hanno frequentato l’università, selezionati questa estate.
L’idea è quella di facilitare il pro-
cesso di apprendimento e l’inserimento delle matricole nel percorso
accademico, così da promuovere la
partecipazione attiva alla vita accademica. I tutor possono fornire
informazioni su come funzionano i
corsi, dove reperire le informazioni
sul sito oppure su come pianificare
la sessione di esami. I tutor alla pari
sono disponibili un giorno alla settimana, il mercoledì dalle 13 alle 17, al
IV piano dell’edificio IULM 1, presso
l’Info-Point.
[m.l.]
23
24
L’Italia è un paese giunto alle soglie di una povertà inaspettata e carica di sofferenza sociale
La ricetta anticrisi è fare il proprio dovere
dalla prima pagina
Contemporaneamente assistiamo ad uno scontro
culturale senza precedenti fra territori, non più divisi
dalla linea gotica, ma selvaggiamente e trasversalmente lacerati da contrapposizioni campanilistiche.
Tutto ciò accompagnato da una imbarazzante guerra tra poveri, categoria questa sempre più estesa, i
quali si combattono per una casa, anche se di una
sola stanza, per un filone di pane o per giaciglio sotto
un ponte. Scambiando spesso la diversità culturale
come una caratteristica che separa, invece che come
fattore di ricchezza che unisce.
Dire che l'Italia non c'è più sarebbe fare un regalo agli
sfascisti, sempre in agguato di questo Paese, quindi
credo che sia più giusto parlare di...liquefazione. In
sostanza ci troviamo davanti ad una situazione magmatica drammatica: un Governo che sostanzialmente annaspa in un mare di insicurezza sociale e politica; un sindacato – tutte le sigle sindacali, proprio
tutte – il quale svicola dai veri problemi dell'occupazione e del lavoro, strangolato dalla disperata politica di non perdere tessere e contributi; un sistema di
autonomie territoriali ( Regioni, Comuni e quel che
resta delle cosiddette Provincie) stretto tra i bisogni
quotidiani della propria gente e le regole a strozzo
delle varie leggi di stabilità, che sono ispirate a Roma
solo dal bisogno di tirare a campare, senza testa e
senza cuore.
Rimane sullo sfondo, e paradossalmente insieme in
primo piano, l'Italia dei più umili, quella che in silenzio deve arrivare alla fine del mese: l'Italia degli
anziani, quella che non ha di  come mangiare, che
non si può curare, che spesso non sa neppure come
morire; l'Italia dei marginali, espressioni variegate di
quella diversità che ci affanniamo a definire una "ricchezza", ma che in realtà è un fastidio insopportabile
per tutti, amici e nemici, sodali e avversari.
È diventato sempre più il Paese dei "nascosti", degli
invisibili: gli ex-detenuti, i disoccupati e gli inoccupati, è il Paese degli omosessuali, delle vittime della
mafia, degli esodati; l'Italia dei giovani, quel leit-motiv della politica salottiera italiana che usa gli under
25 per coniare slogan politici, per gridare allo scandalo della fuga dei cervelli, per darsi vicendevolmente addosso di insipienza e miopia, ma avendo chiaro
che la strumentalità politica di questa posizione non
è mai e comunque verificabile, perché mancano le
condizioni alternative della differenza speculare in
tempi ragionevolmente accettabili.
Quest'Italia – come ha detto bene Papa Francesco –
non vuole elemosine, ma chiede attenzione politica
e sociale, rivendica dignità, urla il rispetto dei diritti,
a partire da quelli elementari dell'uomo. È un'Italia
spesso ricca di umanità e di dignità, giunta alle soglie di una povertà inaspettata e carica di sofferenza
sociale: è quell'Italia che ogni mattina vedo in fila
lungo le mura del "Pane quotidiano" di via Toscana
a Milano, silenziosa e dignitosa, estate ed inverno,
caldo e freddo, sole e pioggia che attende con scorrere lento, si direbbe stanco e rassegnato, il proprio
turno per portare a casa quel poco che viene a lei
donato, perché spesso non riesce ad averlo più come
risultante di una vita di lavoro.
E per ogni persona di queste che ha il coraggio – sì,
il coraggio, giacché per alcuni di loro di coraggio si
tratta – di mettersi in fila davanti all'uscio dell'organizzazione umanitaria, ce n'è almeno un'altra che
International University of Languages and Media
preferisce morire di inedia per non avere l'onta di
andare da postulante dove un tempo sarebbe forse
passato da donatore.
È possibile uscire da questa situazione? È pensabile
che il nostro Paese alzi la testa e torni a fronte alta
nel concerto delle nazioni, come la sua storia e la sua
dignità politica imporrebbero? Occorrerebbe che si
recuperasse quell'orgoglio nazionale, che, mettendo
da parte la partigianeria dei clan, desse alla politica
del Paese il senso del valore, prima che la spinta del
potere. È un'Italia che solo gli italiani possono scegliersi, andando al voto in modo cosciente e critico,
non già in modo routiniere e distratto.
Occorrerebbe anche trovare il coraggio di Francesco,
Francesco d'Assisi, che si spogliò di tutti i suoi beni
terrestri, per conquistare la ricchezza assoluta della
dignità: questa volta basterebbe che chi guida la barca si spogliasse dell'arroganza del potere e dall'ingordigia della ricchezza.
Giacché non è però più epoca di santi, basterebbe
che ciascuno facesse il proprio dovere per dare una
spinta definitiva alla attualizzazione dell'antica parabola evangelica delle beatitudini: gli ultimi saranno
i primi nel regno dei Cieli. Accorgersi in Italia oggi
degli “ultimi” sarebbe da solo sufficiente per fare ripartire il Paese, per lo meno per ridargli la forza della
dignità e l'orgoglio dell'identità, senza guardare al
censo, al colore della pelle o agli orientamenti sessuali o religiosi. Non diventerebbe così certo l'Italia
dei primi, ma non sarebbe sicuramente più quella
degli ultimi, fermando la sua liquefazione e ricominciando la sua ricostruzione.
Giovanni Puglisi