Dicembre 2014 - Master in Giornalismo
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Dicembre 2014 - Master in Giornalismo
Periodico del master in giornalismo dell’Università IULM - Campus Multimedia In-formazione - Facoltà di comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità ANNO XII NUMERO I DICEMBRE 2014 www.campusmultimedia.net/labiulm/news Il gioco del cemento Le città da rigenerare tra dissesto, speculazione e progettazione sostenibile da pag 4 a pag 9 news pag 22-2 3 TRUFFE EDITORIALE di GIOVANNI PUGLISI La liquefazione dell'Italia e l'indifferenza per gli ultimi Stiamo assistendo alla liquefazione dell'Italia. Una liquefazione a più canali, da quello ambientale, a quello paesaggistico, da quello politico a quello morale. Le recenti vicende climatiche hanno acceso i riflettori su decenni di politiche urbanistiche sbagliate, fatte da trascuratezza di amministratori, più interessati al consenso elettorale che alla difesa della propria IULM terra; su decine di condoni edilizi, fatti per fare cassa e clienti, piuttosto che su ordinanze di abbattimenti di eco-mostri sorti come funghi in ogni dove; su sciagurate autorizzazioni di deforestazione e disboscamento, che facevano a gara solo con i piromani estivi, piuttosto che su vigili politiche di difesa della natura e dell'ambiente. segue a pag.24 LE COSCHE PUNTANO SUI FARMACI pag 10-11 IMMIGRATI CITTADINANZA E VOTO VINCE LA PAURA pag 12-13 SOCIAL E REAL pag 14,15 NUOVO CINEMA MILANO pag 16,17 CENTO ANNI DI PUSH-UP pag 20,21 DICEMBRE 14 / GENNAIO 15 - N° 1 - A 12 International University of Languages and Media Diretto da IVAN BERNI e GIOVANNI PUGLISI (responsabile) Progetto grafico Stefano Scarpa In redazione: Cinzia Caserio, Marco Demicheli, Cosimo Firenzani, Federico Fumagalli, Elena Iannone, Mariella Laurenza, Daniele Lettig, Barbara Montrasio, Adriano Palazzolo, Federica Palmieri, Matteo Palmigiano, Roberta Russo, Stefano Scarpa, Alessandra Teichner, Girolamo Tripoli, Omar Bellicini, Francesca Del Vecchio, Azzurra Digiovanni, Salvatore Drago, Daniele Fiori, Francesca Romana Genoviva, Edmondo Lorenzo Gottardo, Lorenzo Grossi, Lorenzo Lazzerini, Alessandra Parla, Marta Proietti, Claudio Rinaldi, Giulia Ronchi, Carlo Terzano, Federica Zille. via Carlo Bo,1 - 20143 - Milano 02/891412771 [email protected] Registrazione Tribunale di Milano n.477 del 20/09/2002 Stampa RS Print Time (Milano) Master in Giornalismo Campus Multimedia In-Formazione Direttore: Giovanni Puglisi Coordinatore didattico: Ivan Berni Responsabile laboratorio redazione digitale: Paolo Liguori Tutor: Silvia Gazzola Docenti Federico Badaloni (Architettura dell'informazione) Camilla Baresani (Scrittura creativa) Ivan Berni (Storia del giornalismo, Editing e Deontologia) Marco Brindasso (Tecniche di ripresa, luci, montaggio) Marco Capovilla (Fotogiornalismo) Toni Capuozzo (Videoreportage) Piera Ceci (Giornalismo radiofonico) Marco Boscolo (Data Journalism) Andrea Delogu (Gestione dell’impresa editoriale-TV) Cipriana Dall'Orto (Giornalismo periodico) Luca De Vito (Riprese e montaggio) Giuseppe Di Piazza (Progettazione editoriale e Giornalismo Periodico) Dario Di Vico (Giornalismo economico e finanziario) Guido Formigoni (Storia contemporanea) Giulio Frigieri (Infodesign e mapping) Marco Giovannelli (Digital local news) Riccardo Iacona (Videogiornalismo) Bruno Luverà (Giornalismo e società) Caterina Malavenda (Diritto penale e Diritto del giornalismo) Matteo Marani (Giornalismo sportivo) Marco Marturano (Giornalismo e politica) Pino Pirovano (Doppiaggio) Andrea Pontini (Gestione dell’impresa multimediale) Marco Pratellesi (Gestione delle imprese editoriali Web) Giuseppe Rossi (Diritto dei media e della riservatezza) Alessandra Scaglioni (Giornalismo radiofonico) Claudio Schirinzi (Giornalismo quotidiano) Gabriele Tacchini (Giornalismo d’agenzia) Vito Tartamella (Giornalismo scientifico) Fabio Ventura (Trattamento grafico dell’informazione) Marta Zanichelli (Publishing digitale) Marco Subert - Francesco Del Vigo - Lavinia Farnese (Social Media Curation) SOMMARIO Il territorio italiano sembra sbriciolarsi a causa di edificazione selvaggia e maltempo. Mentre nel passato l’imperativo era costruire, oggi imprenditori e costruttori sono tutti d’accordo che la parola chiave del futuro dovrà essere riqualificare, ossia dare nuova vita a ciò che esiste già. Si intravede nelle istituzioni la volontà di cambiare rotta, ma il tentativo è ancora troppo timido. DOSSIER TERRITORIO Stop al cemento. Ora si rigenera 4 Intiglietta: "Il futuro è la riqualificazione" 5 Napoli, il rebus dei Quartieri Spagnoli 6 La storia del centro storico 7 Fare squadra con l'archistar 8 Architetto Pastore: "Il G124 mi ha cambiata" 9 ATTUALITÀ La grande truffa delle pillole rubate 10 Ius soli e voto, la paura vince ancora 12 "Hanno calpestato la Costituzione" 13 Quando il social diventa real 14 Citroni: "La città è nata per socializzare" 15 Nuovo Cinema Milano 16 La scuola di film-maker nell'ex Manifattura 17 Erasmus Plus, l'Unione di fatto 18 SPECIALE Un secolo push-up 20 Sexy o casto, il segreto della femminilità 21 Un feticcio dell'era contemporanea 21 IULM news 22 SOCIAL twitter.com/labiulmcampus youtube.com/clipreporter facebook.com/Masteringiornalismo Presidente: Giovanni Puglisi Vice Presidente: Gina Nieri Amministratore Delegato: Paolo Liguori Direttore generale: Marco Fanti Consiglieri: Gian Battista Canova, Mauro Crippa, Salvatore Carrubba, Paolo Proietti 3 IVAN BERNI Quel talk show genera mostri D a anni provo un’insofferenza crescente verso i talk show. La ragione principale è che trovo siano una specie di virus ( e qui mi scuso con l’omonimo talk show) della politica italiana, peraltro già notevolmente malmessa di suo, quanto a stato di salute. Il talk show all’italiana non solo induce comportamenti forzati e distorti, obbligando persone altrimenti civili e mansuete a digrignare i denti, interrompere l’interlocutore e prorompere, spesso, in una caterva di insulti, ma sta producendo una vera e propria alterazione nella selezione della classe dirigente dei partiti. Non si tratta, badate, di censurare il fatto che i più telegenici ( o più disinvolti) siano preferiti ai timidi e agli introversi. Viviamo da decenni nell’era della tivù ed è ovvio che chi risulta più “sciolto” e a proprio agio davanti alle telecamere sia preferito. Il fatto è che la barbarie televisiva italiana ha trasformato il “talk” in una specie di caravanserraglio, dove vincono la protervia, la manipolazione dei concetti e delle dichiarazioni dell’avversario, la menzogna sui dati, VINCENZO RUSSO* Agromafie un business da 14 miliardi T rattare il tema delle mafie è un dovere morale e un impegno accademico di grande valore. Purtroppo non se ne parla mai abbastanza. Per questo motivo l’Università IULM, insieme alle università milanesi, ha firmato due anni fa un protocollo di intesa con l’Associazione Libera di Don Ciotti affinché si trattassero i temi delle mafie nelle università nel rispetto dei temi e degli argomenti che più caratterizzano i singoli Atenei. L’università IULM ha avviato questo progetto con una prima conferenza sul tema della rappresentazione della Mafia nella comunicazione televisiva e nel cinema. Quest’anno, alla vigilia dell’Expo Milano 2015, il tema scelto è stato quello delle Agromafie ma un’accezione propositiva, ovvero come combatterle attraverso percorsi virtuosi in grado di valorizzare le risorse produttive, culturali e paesaggistiche del territorio. Da qui è nata la conferenza che si è tenuta il 25 novembre dal l’attacco personale. Dove vince, in sostanza, la disonestà intellettuale. Si dirà, ma i talk sono spettacolo e quindi prima di tutto valgono le leggi dello spettacolo. Se scorre il sangue (metaforico, finora, per fortuna), l’audience si impenna. I conduttori lo sanno bene e quindi, nella gran parte dei casi, arruolano alla bisogna una platea di arruffapopoli. Ma questo è proprio il punto: se il bravo politico televisivo non può che essere un bullo da strada o una erinni carica di rabbia, che cosa rimane allo spettatore-cittadino-elettore dopo tre ore di un simile spettacolo? Rimane un gran senso di nausea e di, ulteriore, rigetto della politica. E infatti non è un caso che alla moltiplicazione dei talk show nei palinsesti (costano poco e durano molto, coprendo l’intero arco della prima serata) stia corrispondendo un calo complessivo dell’audience e anche dei singoli programmi. Tuttavia è sorprendente che il calo di audience non sia un vero e proprio tracollo, come meriterebbe l’involuzione della formula e la sempre più bassa qualità dello spettacolo. I brutti talk show all’italiana (chi più chi meno, per carità…) sono comunque seguiti da alcuni milioni di telespettatori che, evidentemente, gradiscono. Detto altrimenti, si pone il problema , assai serio, che la mutazione antropologica riguardi non solo i politici da piccolo schermo ma anche, e in profondità, i cittadini che di questo pessimo, ripetuto e rissoso cattivo spettacolo sono i fruitori. Se il criterio dei talk show all’italiana è il tifo ultrà applicato alla politica, con frequenti cadute nella volgarità esibita e negli attacchi personali, e se questo “format” rimane comunque un genere seguito da un popolo televisivo di circa 2 milioni e mezzo di spettatori (più o meno quanto si registra il martedì sera, quando Floris e Giannini sono in gara con Di Martedì e Ballarò sulla 7 e RaiTre) allora se ne deve dedurre che questa televisione fa male al paese molto più di quanto si immagini. E viene da rimpiangere il vecchio “giornalaio” Gianfranco Funari, pioniere dello sdoganamento della politica nelle trasmissioni di intrattenimento. Lui, agli albori dell’infotainment politico-televisivo, nei primi anni Novanta, inventò il genere, salvo pagare la sua indipendenza con l’emarginazione dai grandi network. Quasi tutti i suoi epigoni, oggi, pensano di essere dei geni del giornalismo. E invece mettono in onda la politica come una telenovela. Brutta, rissosa e noiosa. Per giunta. titolo “Valorizzazione delle risorse del territorio contro le Agromafie: dai terreni confiscati alla produzione di valore” e che ha visto la partecipazione di numerosi operatori del settore, oltre gli studenti del Master in Food and Wine Communication. Ha introdotto i lavori il Magnifico Rettore prof. Giovanni Puglisi segnalando, da una parte, quanto importante sia discutere di mafia nella nostra Università per sensibilizzare e preparare i giovani professionisti della comunicazione ad affrontare con attenzione e cura i numerosi temi legati alla mafia, e, dall’altra, ribadendo l’opportunità di un vero e proprio cambiamento paradigmatico nella comunicazione al fine di potere dedicare più tempo ed energia nel trattare e presentare soluzioni utili per valorizzare le magnifiche risorse del territorio aiutando le imprese e il mercato del lavoro contro le costrizioni delle agromafie. Le Agromafie movimentano un mercato di enorme valore come sostenuto dal Presidente di Eurispes Gian Maria Fara che nel presentare il suo 2° Rapporto sulle Agromafie di Eurispes e Coldiretti, da cui si evince che l’attività mafiosa esprimendo una vasta gamma di reati (usura, racket estorsivo, furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine, danneggiamento delle colture, contraffazione e agropirateria, abusivismo edilizio, saccheggio del patrimonio boschivo, caporalato, truffe ai danni dell'Unione europea) muove . un volume d'affari complessivo quantificabile in circa 14 miliardi di euro. A questo si devono aggiungere i 60 miliardi di euro di business dell’Italian sounding, ovvero del fenomeno della imitazione e falsificazione dei prodotti agroalimentari italiani operate da aziende straniere o anche spesso da aziende italiane che, attraverso la delocalizzazione e l’utilizzo di materie prime “altre”, sfruttano, come dimostrato dal Direttore Divisione Sicurezza agroambientale e agroalimentare Corpo forestale dello Stato Giuseppe Vadalà, con richiami semantici e visivi il brand italiano causando enormi danni alla nostra produzione agro-alimentare, soprattutto con l’introduzione nei mercati internazionali di prodotti di scarsa, quando non infima, qualità. A fronte di questo enorme mercato del malaffare agroalimentare gli altri ospiti hanno offerto un esempio di impegno fattivo sul territorio come mostrato dal Direttore della Fondazione Con il SUD Marco Imperiale, da Aurelio Angelini - Direttore della Fondazione Siti Unesco in Sicilia e l’esempio introdotto da Lorenzo Frigerio - Giornalista di Libera Informazione e referente di Libera Lombardia di un imprenditore di una rete cooperativa Alessandro Leo “Terre di Puglia Libera Terra”. Ha chiuso i lavori Ivan Berni, ricordando il lavoro svolto insieme al caro collega Angelo Agostini sulle terre confiscate. *Docente Iulm DOS SIER TERRITORIO Stop al cemento Ora si rigenera Edificazione selvaggia e maltempo: l’Italia cede Basta costruire, è ora di cambiare rotta DI ALESSANDRA TEICHNER M@AleTeichner I ntere regioni che crollano. È questo il risultato di anni e anni di edificazione selvaggia. Complice il maltempo, il territorio italiano sta cedendo pezzo a pezzo. Palazzi costruiti dove non si poteva, fiumi tombati e mancata manutenzione hanno fatto il resto. Per questo, il ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti ha predisposto un piano straordinario in sette anni per la messa in sicurezza del territorio nazionale, prevedendo lo stanziamento di 7 miliardi di euro. Ma provvedimenti capillari sono stati presi anche di regione in regione. In Lombardia, ad esempio, è stata approvata una legge sul consumo di suolo che ristabilisce regole urbanistiche. Tuttavia, le buone intenzioni del legislatore si scontrano con gli interessi del mercato e con le casse vuote dei comuni. Costruire porta lavoro, lavoro porta denaro. Anche in forma di oneri di urbanizzazione, una delle poche voci di entrata rimaste ai comuni. Nonostante l’intenzione di limitare l’edificazione, infatti, lo stop al cemento partirà solo tra due anni e mezzo, prima dei quali si potrà continuare a costruire. Sempre due anni e mezzo, poi, sono previsti per terminare opere edilizie già avviate. Nonostante il tentativo di bloccare l’edificazione selvaggia della Lombardia sia un po’ timido, sono addirittura alcuni costruttori, come Antonio Intiglietta, presidente del RealEstate, a pensare che di suolo sul quale costruire non ce ne sia più. Soprattutto perché, come spiega l’imprenditore, sul territorio milanese esistono ancora molti stabili inutilizzati, ma non tutte le esigenze dei suoi cittadini sono realizzate. “Mancano, ad esempio, case con prezzi accessibili per le famiglie ‘medie’ che non possono permettersi di pagare abitazioni di lusso”, spiega Ada Lucia De Cesaris, vicesindaco e assessore all’Urbanistica del Comune di Milano. Il ministro dell’ambiente Galletti Ha stanziato 7 miliardi di euro Per la messa in sicurezza Del territorio nazionale Rigenerare, dunque, dovrebbe essere la nuova parola chiave. Riqualificare secondo le esigenze dei cittadini, ridare nuova vita a tutti quegli edifici e a quelle aree che negli anni sono rimasti dismessi e che costituiscono un danno alla comunità, poiché molto spesso vengono lasciati in stato di degrado. Dati alla mano, sono 174 gli immobili inoccupati a Milano (di cui 62 fanno parte del settore produttivo, 45 sono residenziali , 34 del settore terziario, 19 sono aree libere, 7 edifici rurali, 6 commerciali ed un parcheggio interrato), un numero che non può passare inosservato. “È l’incuria il problema. Bisogna fare una distinzione tra ‘vuoto’ ed abbandonato. Se io lascio vuoto un edificio, ma continuo a prendermene cura, non creo un danno alla collettività. È quando lo abbandono che cominciano i problemi, perché non solo finisce in uno stato di decadenza, ma può essere anche occupato abusivamente, il che genera chiaramente ulteriori problemi”, specifica la De Cesaris. I motivi per cui gli stabili vengono lasciati vuoti sono diversi, ma sicuramente uno di questi è la lentezza della macchina normativa. “Oggettivamente il settore dell’urbanistica e dell’edilizia è imbrigliato da una regolamentazione faticosa, che rallenta gli interventi e a volte li rende addirittura obsoleti al momento dell’approvazione”, spiega il vicesindaco. Bisogna, per questo, far sì che i singoli possano intervenire sui propri stabili con meno difficoltà, “che ci sia un buon rapporto tra pubblico e privato, in cui il comune cittadino sia messo in condizione di poter fare i propri interessi, ma il pubblico riesca comunque a tenere il controllo della situazione per il bene della collettività”, commenta la De Cesaris. Poi aggiunge: “Certo, l’imprenditore che vuole riqualificare non può essere lasciato completamente libero, perché ogni intervento ha una ricaduta sul territorio, ma sicuramente bisognerebbe creare delle norme che consentano interventi più celeri”. Da qui il nuovo regolamento edilizio, secondo il quale il Comune avrà più potere sul destino di questi spazi. Il re- 5 INTERVISTA Intiglietta, costruttore milanese: “Il futuro è la riqualificazione” DI BARBARA MONTRASIO M@BAMontrasio 174 L’ totale degli immobili inoccupati a Milano 62 golamento prevede, infatti, che il Comune possa intervenire in via sostitutiva per eseguire interventi di ripristino e messa in sicurezza di aree o edifici abbandonati da oltre cinque anni, attribuendo a tali beni un uso pubblico. La nuova direzione da prendere, dunque, è quella di un’urbanistica che risponda alle esigenze dei cittadini. Perciò, innanzi tutto riqualificare l’esistente, e poi, eventualmente, costruire da nuovo. Ma solo se ce ne sarà dav- Nonostante la legge sul consumo di suolo in Lombardia si potrà costruire ancora per altri due anni vero necessità, come ad esempio quella di realizzare abitazioni a prezzi accessibili. Non si può più costruire senza pensare all’utilità di ciò che si sta creando, spiega la De Cesaris, e anche nel riqualificare è necessario tener conto delle esigenze dei cittadini. “Bisogna evitare di fare luoghi dormitorio, luoghi lavoro, luoghi divertimento; è assolutamente necessario integrare, ed è quello che stiamo cercando di fare”, conclude il vicesindaco. ■ immobili inoccupati del settore produttivo 45 immobili inoccupati del settore residenziale 34 immobili inoccupati del settore terziario unico modo per uscire dalla crisi è puntare sulla rigenerazione del patrimonio pubblico e privato. Io sono per lo sviluppo a consumo zero di suolo”. Così Antonio Intiglietta, presidente di Gestione Fiere ed Eire, Expo Italia Real Estate, in un’intervista per Affaritaliani.it, in cui ha affrontato il tema dell’edilizia a Milano e in Italia. Lo abbiamo intervistato. Cosa significa per lei riqualificare? Io amo parlare di rigenerazione. La riqualificazione è una conseguenza. Un bene immobiliare serve a rispondere alle esigenze di una comunità. Io devo costruire un’infrastruttura che colga a pieno le esigenze di chi vive. La rigenerazione è un problema di concezione dello spazio e non solo di ristrutturazione. La riqualificazione non serve, se non ha uno scopo. Rigenerare è dare un nuovo senso alle cose, come nella vita. << Il DOMANI non è costruire dei mini Bronx, ma creare spazi integrati di socialità soprattutto per i giovani >> Si può immaginare di costruire le case come una volta? No, bisogna cambiare l’idea di come si concepisce l’abitazione. Bisogna immaginare una fusione di funzioni e rapporti sociali. Credo che il futuro dell’abitare debba prevedere la condivisione di spazi tra generazioni e non debba più fossilizzarsi sulla separazione di luoghi per le varie attività della giornata. Tutto va ripensato dentro una logica di integrazione tra abitazione, formazione e occupazione, senza dimenticare l’housing sociale per i giovani e monolocali per singoli. Il futuro non è costruire dei mini Bronx, ma creare spazi integrati di socialità. A Milano ci sono numerosi palazzi originariamente costruiti per ospi- tare uffici che, complice la crisi, oggi sono vuoti. Si può pensare a una riqualificazione di edifici costruiti per il terziario? Il mutamento del tessuto sociale costringe inevitabilmente la trasformazione degli spazi abitativi esistenti. Oggi la grande sfida che l’Italia ha davanti è quella di cambiare i beni che ha, con la massima duttilità ed estrema creatività. Bisogna rispondere ai bisogni dei cittadini, ma allo stesso tempo essere realisti e operare secondo le condizioni economiche delle persone a cui ci rivolgiamo. Quale sarebbe una politica che aiuti la riqualificazione? Si aprono due sfide: innanzi tutto c’è bisogno di dinamicità delle istituzione pubbliche, che devono mettere i costruttori nelle condizioni di realizzare i loro progetti senza rimanere incastrati nella burocrazia. L’amministrazione deve essere flessibile in materia di utilizzi urbanistici e soprattutto deve garantire che il tutto venga fatto in tempi rapidi, onde evitare che quando l’immobile è pronto sia già obsoleto. È finita l’era in cui i costruttori fanno i “palazzinari”, in cui si costruisce a poco e si vende a tanto. L’edilizia è andata avanti per anni secondo la logica per cui si guadagnava tantissimo rischiando quasi nulla. Oggi il costruttore deve diventare un imprenditore come tutti gli altri. Guadagnando come un qualsiasi imprenditore. A proposito di soldi, a lei tutto ciò conviene? Costruire da zero non costerebbe meno? Costruire da zero costa meno, infatti nelle aree industriali dismesse si abbatte e si edifica da capo. Il brutto perché mantenerlo? In alcuni casi bisogna buttar giù e ricostruire, quando quello che c’è non ha senso di rimanere in vita. Ci sono, invece, strutture che hanno ragione d’esistere come memoria storica e ristrutturare fa acquistar loro ancora più valore. ■ DOS SIER TERRITORIO Napoli: il rebus dei Quartieri Immaginare il recupero del centro storico tra ricchezze architettoniche e miserie sociali DI ROBERTA RUSSO M@roberta_erre LO ABBIAMO CHIESTO A SANDRO RAFFONE Architetto e professore all'Università Federico II È possibile immaginare un progetto di riqualificazione urbana nella città più irredimibile d’Italia? Ovvero, si possono applicare a una città antica e irrazionale come Napoli alcuni dei principi che regolano il recupero dei centri urbani? Con l’aiuto dell’architetto Sandro Raffone, professore di Composizione architettonica e urbana all’Università Federico II di Napoli, abbiamo provato ad immaginare un’impresa temeraria: riqualificare i Quartieri Spagnoli, parte del centro storico del capoluogo partenopeo, un dedalo di stradine chiuso tra piazza del Plebiscito e via Montecalvario. La bizzarra anarchia di queste vie inizia dalla segnaletica stradale, spesso scritta a mano: entrando nei vicoli si ha la sensazione di trovarsi in un unico ambiente privato dove in alcuni punti la strada lascia il posto a ingressi e balconcini abusivi. Miseria e degrado sociale si mescolano al pittoresco in un’alcova popolare che però nasconde al proprio interno tesori architettonici e cultu- rali. “Napoli è una delle città più antiche al mondo – spiega il professor Raffone – e il suo tessuto urbano è rimasto lo stesso da quando è nata. A questo va aggiunta una particolare conformazione che vede la città chiusa dal mare e costretta a svilupparsi verso le montagne”. I Quartieri Spagnoli conservano le caratteristiche spaziali e decorative della seconda metà del ‘500: “si tratta di un’area con case piccole e alta densità abitativa, con vicoli stretti e scarsa illuminazione che fin da subito divenne famosa per la delinquenza e la prostituzione”. Scampati alla grande campagna di risanamento urbano del 1875, che ne chiedeva l’abbattimento, i Quartieri sono un caso emblematico per la presenza di criticità sociali prima che strutturali. Sebbene non siano mancati interventi di ristrutturazione, essi hanno riguardato quasi sempre singoli fabbricati, senza un piano organico. “Esistono parametri – continua il professore – che regolano la distribuzione del carico urbano, cioè il suo impatto complessivo sulla città: nel caso dei Quartieri non sono mai stati presi in considerazione, con il conseguente disequilibrio di tutta l’area”. Per la particolarità della loro struttura urbanistica, oltre che per il fascino di luogo a sé, queste strade sono da sempre al centro di dibattiti sul tema del recupero edilizio, che però date le enor- SCHEDA Da via Toledo ai bassi: cinquecento anni zero soluzioni DI STEFANO SCARPA M@StefanoScarpa1 I mi criticità e gli ingenti sforzi economici che i progetti comporterebbero, non hanno mai prodotto risultati apprezzabili. Negli ultimi anni sono state sperimentate iniziative volte a un più generale rinnovo della zona, ad esempio la ripavimentazione e pedonalizzazione di via Toledo, una nuova illuminazione nella parte bassa dei Quartieri e il tentativo di trovare una diversa funzione per i bassi (abitazioni di un’unica stanza che occupano i pianterreni). Prove timide, se si guarda ai problemi ancora presenti. Una riqualificazione completa dei Quartieri Spagnoli è difficile innanzitutto perché si tratta di vicoli stretti IL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE SOSTANZIALE NON DIPENDE SOLO DAGLI ASPETTI URBANISTICI MA SI SCONTRA CON LE RESISTENZE DEGLI ABITANTI CHE VIVONO SECONDO REGOLE E COSTUMI PROPRI e ripidi che diventano improvvisamente ciechi, rendendo difficile la circolazione di auto e motorini anche per chi non ci è nato e cresciuto, e pressoché impossibile quella dei camion per il trasporto dei materiali edili. A questo si aggiunge la forma irregolare dei palazzi, composti da strati che si sovrappongono, diversi per epoca e architettura. La solidità degli edifici è poi resa precaria delle cavità del sottosuolo, mentre gli affreschi antichi presenti sui soffitti rendono necessari, prima di qualsiasi intervento, restauri accurati. Il progetto di un recupero sostanziale si scontra inoltre con le resistenze degli abitanti. Per il professore “un esempio emblematico è il Mercato coperto di Sant’Anna, realizzato per ospitare le bancarelle della zona in uno spazio unico, ma mai entrato in funzione perché i venditori si sono rifiutati di trasferirvisi”. La riqualificazione si scontra quindi con una realtà che prescinde dagli aspetti urbanistici. È l’essenza stessa dei Quartieri Spagnoli, luogo incantato e maledetto che non può sopravvivere senza le sue contraddizioni strutturali, culturali e sociali. Forse allora bisogna chiedersi non se è possibile un recupero urbano dei Quartieri, ma se si è disposti a sacrificare a questo scopo un luogo anacronistico ma pieno di fascino. ■ Quartieri Spagnoli sono un conglomerato urbano che si estende su un'area di circa 765 mila metri quadrati, situata a ridosso del centro storico della città di Napoli. La pianta a schema ippodameo, rappresenta la naturale prosecuzione della parte antica realizzata in età greco-romana. Il reticolato è composto da cardini e decumani che si incrociano a formare una scacchiera (come nella foto in basso) e prosegue sulla superficie della collina che giunge fino a San Martino. La progettazione e costruzione dei Quartieri risale al XVI secolo, durante la dominazione spagnola. Il vicerè Don Pedro di Toledo decise di estendere il centro abitato oltre le mura storiche della città superando il divieto che impediva l'espansione urbana al di là del perimetro individuato dalle mura di cinta. Le abitazioni costruite furono utilizzate come dimora delle guarnigioni militari spagnole di stanza a Napoli per sedare le eventuali rivolte della popolazione. Fin da subito, l'area divenne un quartiere malfamato, famoso per la malavita e la prostituzione. Inutili furono gli sforzi del vicerè che provò a debellare il fenomeno con l'emanazione di apposite leggi. Le strade sono molto strette e per la maggior parte in salita. In alcuni punti, a causa dell'alta pendenza, la viabilità è interrotta da scalinate, rendendo così molto difficile la circolazione di automobili. All'interno di molti edifici è possibile notare una vera e propria scala sociale che si sviluppa sui vari livelli del palazzo. Di solito i piani alti sono riservati alle persone più abbienti, mentre a livello strada, si trovano piccole abitazioni conosciute come bassi: locali commerciali dismessi e convertiti in case formate da una singola stanza corredata da angolo cottura. Data la scarsa dimensione, la strada si è trasformata nella naturale prosecuzione delle case, e non è difficile vedere persone parlare "da un basso all'altro", oppure svuotare secchi di acqua sporca dopo aver lavato i pavimenti interni. L'attività economica principale del quartiere è l'artigianato. Le botteghe sono sorte nei posti più impensabili e non è raro imbattersi in opere di "riqualificazione spontanea" come la trasformazione di chiese o cappelle sconsacrate in officine. D'altro canto, non sono poche le iniziative messe in piedi negli ultimi anni per avviare un processo di riqualificazione dell'area. Dal 2001 è attivo il progetto "Sirena", grazie all'intervento di una società costituita dal Comune di Napoli, che mira al recupero dei bassi per riconvertirli a locali commerciali. Inoltre, nel 2003, è stato avviato un programma di recupero denominato Urban, realizzato con fondi stanziati dall'Unione Europea. Dal 2012, la zona è raggiunta dalla metropolitana collinare di Napoli, la linea 1, grazie a un sottopassaggio che collega piazza Montecalvario alla stazione di Toledo. 7 G124 DOS SIER TERRITORIO Fare squadra con l'archistar Sei giovani architetti e il "Progetto periferie" pagato con l'indennità di un famoso Senatore a vita DI ADRIANO PALAZZOLO M@AdrianoPalaz È soprattutto in un periodo come questo, in cui case, strade e intere parti di città vengono portate via dall’acqua, che ritorna attuale più che mai il discorso di Renzo Piano sul rammendo edilizio, sulla necessità, cioè, di raccogliere i pezzi di quello che già abbiamo, di metterli assieme, di ricostruire e di valorizzare quello che già si è fatto, abbandonando i progetti di nuove cementificazioni, per sistemare case, strade e quartieri che già esistono e che troppo spesso sono dimenticati dalle amministrazioni e dagli stessi cittadini. G124 non è la sigla di un pianeta, una cometa o una stella scoperta in chissà quale galassia lontana. È qualcosa di molto più vicino e tangibile, il numero civico di Palazzo Giustiniani dove si trova lo studio da senatore a vita di Renzo Piano ed è con questa sigla che è stato ribattezzato il gruppo di giovani scelti dall’architetto genovese per rammendare l’Italia. Quando il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ha nominato senatore a vita, Renzo Piano ha deciso di destinare il suo compenso per finanziare i progetti di giovani architetti. Ad una condizione: basta con le colate di cemento, basta con la costruzione, ora è tempo di riconvertire o, come piace dire all’archistar, di rammendare, par- tendo non dal centro delle città ma dalla periferia. I temi che riguardano le periferie sono diversi: l’adeguamento energetico, il consolidamento ed il restauro degli edifici pubblici, i luoghi d’aggregazione, la funzione del verde, il trasporto pubblico e i processi partecipativi per coinvolgere gli abitanti nella riqualificazione del quartiere dove vivono. La storia dei membri del G124 sembra quella del sogno di una vita. Hanno partecipato ad un bando anonimo per un workshop di un anno sulle perife- COSTRUIRE NON È LA SOLUZIONE GIUSTA PER L'ITALIA DEI NOSTRI TEMPI. BISOGNA DARE ALL'ARCHITETTURA UNA PROSPETTIVA ETICA E MORALE rie. Tra i 600 che si sono presentati, ne sono stati scelti sei e solo alla fine delle selezioni è stato detto loro che avrebbero lavorato per Renzo Piano, uno dei miti dell’architettura mondiale che fino a qualche anno prima avevano studiato all’università. “Il progetto più importante siete voi” ha detto l’architetto ai sei giovani scelti all’inizio del loro percorso: Michele Bondanelli di Ferrara, laureato all’Università degli studi Iuav di Venezia; Eloisa Susanna di Cosenza, laureata in Architettura a La Sapienza di Roma; Roberto Giuliano Corbia, di Alghero ma laureato all’Università di Firenze; Roberta Pastore laureata all’Università di Napoli Federico II; Federica Ravazzi di Alessandria e una laurea all’Università di Ferrara; Francesco Lorenzi, laureato in Architettura a La Sapienza. Il gruppo è coordinato da tre tutor d’eccellenza: Massimo Alvisi, Mario Cucinella e Maurizio Milan. Il contratto dei giovani architetti ha la durata di un anno, così da lasciare la possibilità ad altri di imparare ed ampliare la loro concezione dell’ architettura, troppo spesso legato all’idea lasciare un’impronta ingombrante sulle nostre città. “Rammendo, recupero e autocostruzione non sono ripieghi ma un nuovo modo di vivere che contiene un’infinità di opportunità”, ci racconta Roberta Pastore, una dei sei. “Ci occupiamo di verde, energia, sostenibilità, partecipazione, mobilità, finanziamenti e consolidamento strutturale”. Pur lavorando in tre studi diversi, il gruppo ha confronti e incontri continui con un unico obiettivo comune. Dopo una fase di attenta analisi della situazione in generale delle periferie italiane, la squadra ha deciso di intervenire su tre aree: Torino, Roma e Palermo. “Una dignità urbana che pecca di anonimato” è il giudizio dell’architetto Pastore su Borgo Vittoria, a Torino; una realtà “in attesa di giudizio” – continua l’architetto - circondata da grandi interventi di trasformazione urbana voluti dalle amministrazioni, da aree verdi da bonificare e dal tessuto urbano di tipo produttivo in fase di dismissione, in cui la grande partecipazione dei cittadini alla vita di quartiere mostra la volontà di una rinascita. Il terzo municipio romano è, invece, la seconda area di intervento del gruppo. Un tratto di rete 24 CHI É 9 RENZO PIANO tramviaria destinata a collegare parti di città ma che di fatto ora rappresenta una barriera inattraversabile che separa i quartieri o l’edificio ex GIL, un grande contenitore di funzioni chiuso in se stesso, sono esempi dei punti su cui si sta lavorando. Qui la missione è quella di riconsegnare gli spazi ai cittadini. Ripartire dai più piccoli è l’obiettivo per il quartiere “irrisolto” – lo chiama così Roberta Pastore - di Librino, a Catania, dove il 55% della popolazione ha meno di 33 anni. Sulla carta c’è una gran quantità di verde ma nella realtà ci sono solo spartitraffico curati e un fiume di verde incolto. Qui i bambini giocano tra le macerie di un teatro mai utilizzato, la segnaletica stradale è messa in sicurezza con delle reti di ferro e il Nato a Genova il 14 settembre 1937, è uno dei più celebrati architetti italiani. Ha vinto nel 1998 il Premio Pritzker, consegnatogli dal Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton alla Casa BIanca. L'archistar, nel 2006, è stato il primo italiano a comparire nella classifica del Time sulle 100 personalità più infulenti del mondo, ed è stato inserito anche tra le dieci più importanti del mondo nella categoria Arte e intrattenimento. Dal 2013 è Senatore a vita. INTERVISTA ROBERTA PASTORE «Fare parte del G124 ha rivoluzionato il mio modo di progettare» C os'è per lei il rammendo? «L’incuria e l’abbandono in alcune zone delle nostre città sono diventate la norma e neanche ci facciamo più caso, ci siamo abituati al brutto e questo è grave. Basterebbero piccoli interventi per ridare dignità, decoro e bellezza ad un edificio, ad una scuola, ad una piazza. Da queste azioni può trarre giovamento tutta la comunità. In questo vedo, personalmente, l’idea del rammendo. RIQUALIFICARE LE PERIFERIE CITTADINE CONSENTE DI RESTITUIRE UNA DIGNITÀ NON SOLO AI PALAZZI FATISCENTI, MA ANCHE ALLE PERSONE CHE LI ABITANO Di chi è la colpa del degrado delle periferie? «Speculazioni di imprenditori, cecità politiche e poca sensibilità progettuale hanno generato tutto ciò. L’indignazione è la prima emozione che provo di fronte alla cattiva amministrazione che in forme diverse ha coinvolto e coinvolge le tre periferie che abbiamo scelto. La rabbia è il sentimento del cittadino offeso e la mettiamo da parte perché, subito dopo, gli occhi dell’ architetto vedono delle opportunità. Le opportunità che si nascondono dietro al degrado e l’anonimato delle periferie sono la leva stessa della loro rinascita. simbolo infelice di questo quartiere che – dice l’architetto – “non vive ma sopravvive”, è il Palazzo di Cemento, uno stabile con appartamenti occupati e abbandonati, discarica di rifiuti dove vige l’illegalità e latita lo Stato. Di luoghi così ce ne sono a migliaia in tutta Italia e i tre siti a cui il gruppo G124 ha messo mano sono solo l’inizio. Da qualche parte bisognava pur cominciare, per il resto aspetteremo ogni anno sei nuovi giovani che, grazie all’idea di una figura illuminata prestata alla politica, avranno l’occasione di cambiare l’Italia non solo nella forma ma anche nell’anima. ■ Il proposito di non continuare a costruire e cominciare a “rammendare" è legato alla crisi economica? «Veniamo da un periodo (quello dei nostri genitori) dove si ritenevano inesauribili le risorse economiche ed ambientali, la realtà è che non lo sono. Ora bisogna fare i conti con quanto si è consumato e sperperato e iniziare a dare il giusto valore alle cose che si fanno, recuperare ciò che c’è da recuperare e pesare tutti gli interventi. Penso che questo periodo di austerity non sia un male, anzi nelle difficoltà la creatività prende sempre tanta forza. Il rammendo e il recupero non sono ripieghi ma un nuovo modo di vivere che contiene infinite opportunità. Meglio il centro città o la periferia? «Io ho vissuto e vivo tuttora in periferia, a Salerno. Fino a qualche anno fa era davvero un peso vivere in un quartiere identificato solo come “Q4 “, dove passava un autobus per andare in centro e dove non c’erano luoghi di incontro se non una chiesa. Ho passato tanti anni a fuggire in centro per andare al liceo, per andare a danza o per incontrare i miei amici. Lo stato d’animo di chi vive in periferia lo conosco bene e forse anche per questo mi sta tanto a cuore questo progetto. Ora però vedo la periferia come una fucina di animi giovani, ribelli e creativi che vogliono cambiare le cose. C'è bellezza nelle periferie? «Le periferie di oggi purtroppo sono quasi tutte brutte, realizzate solo con l’idea di creare dei “contenitori” di persone che avevano bisogno di una casa. Spesso le opere di urbanizzazione che per legge devono essere realizzate vivono solo sulla carta ma di fatto mancano teatri, parchi, biblioteche. I “quartieri dormitorio” non sono solo degli slogan ma intere aree dove le persone vanno solo a dormire perché tutti i servizi, anche i minimi, non sono garantiti. Chi vive in periferia a volte lo fa con senso di vergogna perché è difficile identificarsi con la bruttezza e con luoghi privi di riferimenti. L’iconicità delle periferie spesso è solo legata ad immagini di degrado sociale ed architettonico. Gli atti di vandalismo palesano in modo drammatico un’ esigenza di attenzione del cittadino offeso. Se si portassero dignità e bellezza in questi posti aumenterebbe il senso civico degli abitanti. Banalmente, se tu Comune realizzi una cosa bella nel mio quartiere io la custodirò gelosamente perché dando dignità a un posto in cui abito tu hai dato dignità ed attenzione anche a me non facendomi sentire cittadino di serie B. [a.p.] 10 ATTUALITÀ ITALIA La grande truffa delle pillole rubate Spariscono soprattutto antitumorali e farmaci rimborsabili La criminalità organizzata ha trovato un nuovo business DI COSIMO FIRENZANI M@CosimoFirenzani B astano poche fiale e si mettono le mani su centinaia di migliaia di euro. Farmaci antitumorali, classificati tra quelli interamente rimborsati dallo Stato, spariti dalla farmacia interna dell'Umberto I di Roma, dove a luglio sono state arrestate otto persone, tra le quali due dipendenti. E da altre centinaia di strutture, tanto che si calcola che in media un ospedale su dieci abbia subito almeno una volta un furto (sono decine le inchieste delle Procure in tutta Italia, soprattutto al Sud) per un danno complessivo di 18,7 milioni di euro. Sono soprattutto gli ospedali grandi, quelli con più di 800 posti letto, ad essere più colpiti. Ed è facile capirne il motivo: è più complicato monitorarli. I farmaci spariscono di notte: in un caso su quattro non sono stati riscontrati segni di effrazione, particolare che fa ipotizzare complicità del personale interno. E' un report del centro Transcrime dell'Università Cattolica a cercare di mettere insieme i pezzi su un fenomeno in netta crescita negli ultimi mesi e negli ultimi anni, come ammette anche la stessa Aifa, che ha paventato per bocca di Domenico Di Giorgio, dirigente dell'unità prevenzione con- traffazioni, l'ombra della criminalità organizzata campana ed Est europea, in particolare della camorra, dietro un crimine che non si improvvisa. La ricerca di Transcrime parla, invece, di correlazione significativa tra criminalità organizzata e il fenomeno. Il motivo è soprattutto geografico: dove il controllo del territorio da parte delle mafie è più alto si verificano il maggior numero di furti. Puglia e Campania dal 2006 al 2013 hanno LE IPOTESI: I FARMACI SOTTRATTI POTREBBERO ESSERE DESTINATI A MERCATI DI PAESI DOVE NON SONO RIMBORSATI DALLO STATO rappresentato da sole il 45 per cento dei casi. L'agenzia del farmaco è corsa ai ripari, assieme ai Nas dei carabinieri e alle associazioni di categoria, con una banca dati dei farmaci rubati: lo strumento minimo per cercare almeno di rintracciarli. Rintracciare? Sì, perchè tra le ipotesi avanzate dallo studio (mancano sentenze o notizie certe) non si parla solo di mercati neri, materia prima per doping o sostanze stupefacenti, ma anche di immissioni nei mercati legali di altri Paesi. E lo studio di Transcrime, che non ha potuto contare su dati forniti dalle forze dell'ordine, non prende in considerazione gli assalti ai camion che trasportano medicine. E' il caso del furto subito dalla Wassermann spa che si è vista soffiare neldurante il trasporto verso la Romania 32.310 confezioni dell'antimicrobico Normix e due lotti da 18.816 confezioni ciascuno del Vessel, utilizzato contro le ulcere venose croniche. In 32 su 68 furti dal 2006 al 2013 i farmaci rubati negli ospedali erano antitumorali e allo stesso tempo di alto costo. Insomma, non si rubano aspirine. Ma c'è un altro particolare: quelle medicine sono in gran parte in classe A o H, quelle interamente rimborsate dal Sistema sanitario nazionale. Al di là della milionaria perdita per le casse statali, questo fa pensare ai ricercatori di Transcrime e non solo, che la destinazione finale possa essere il mercato legale di Paesi che non hanno i sistemi di rimborso italiani, dove questi farmaci sono molto richiesti. Est Europa, ma anche Grecia, dove più volte negli ultimi anni lo Stato in bancarotta ha tagliatpo i rimborsi. Che i farmaci rubati siano destinati anche ai mercati legali di altri Paesi lo confermerebbe il caso di alcuni lotti di Herceptin, farmaco della Roche ad uso ospedaliero indicato nel trattamento del carcinoma mammario e gastrico. Senza una segnalazione di un grossista inglese e senza una banca dati dei farmaci rubati questi lotti sarebbero entrati nel mercato tedesco, dove alcuni farma- 11 FOCUS Colpite di più le terre di mafia e le regioni adriatiche Alleanze con la mala dell'Est? Un reato che non si improvvisa. Se eludere i controlli di notte di un ospedale può sembrare un’impresa non impossibile, non è altrettanto facile piazzare sul mercato quei medicinali, spesso molto costosi e solo di uso ospedaliero. La banca dati dei medicinali rubati creata da Aifa e Nas dei carabinieri un anno fa ha sicuramente reso la vita più difficile per i traffici, che siano tentativi di far entrare la refurtiva nei mercati legali che completamente illegali. Ma anche senza una banca dati, ogni lotto è contrassegnato da codici per la tracciabilità. Proprio per la complessità dell’organizzare traffici del genere la prima ipotesi è che dietro i raid notturni negli ospedali, soprattutto del Sud Italia, ci sia la mano della criminalità organizzata. Un’ipotesi ventilata dalla stessa Aifa e in qualche modo ritenuta plausibile anche dallo studio del centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano. Nel report si parla di correlazione significativa per la posizione geografica dei furti: soprattutto in Puglia e Campania. Tutto ciò, proprio per l’alto livello di controllo del territorio delle organizzazioni mafiose in queste zone, farebbe pensare ad un coinvolgimento. Ma c’è di più: una quantità significativa di furti è stata registrata anche in altre regioni Adriatiche, non solo in Puglia, ad esempio in Friuli Venezia Giulia. Per i ricercatori di Transcrime non sarebbe un caso: ad attirare i trafficanti sarebbe la posizione geografica favorevole per gli scambi con i Paesi dell’Est Europa, probabilmente in accordo con organizzazioni albanesi, romene, bulgare, russe e georgiane. [c.f.] MAPPA DEI FURTI PER REGIONE SCHEDA ci hanno prezzi maggiori a quelli italiani (come in molti altri Paesi del Nord Europa). La banca dati è quella creata da un anno da Aifa, Farmindustria, Asso-Ram e Carabinieri con il supporto del Ministero della salute per “contrastare – come si ammette dalla stessa Agenzia del farmaco – un fenomeno in costante crescita”. Il caso dell'Herceptin è stato ampiamente diffuso dall'Agenzia proprio come esempio per invogliare tutti gli attori a se- IL CASO HERCEPTIN: TRE LOTTI SOSPETTI STAVANO ENTRANDO IN GERMANIA, SONO STATI SEGNALATI DA UN GROSSISTA. ERANO STATI RUBATI IN ITALIA La maggioranza dei furti di farmaci negli ospedali si sono verificati al Sud. In particolare in Puglia e in Campania, 17 nella prima e 14 nella seconda. Nella mappa sono colorate in scuro le regioni più colpiti con gradazioni di colore più chiare per quelle che sono più estranee al fenomeno. Si calcola che un ospedale italiano su dieci abbia subito almeno un furto negli ultimi 10 anni. La media si alza vertiginosamente per il Molise (7 casi su 10), Campania (4 casi su 10), Campania (3 casi su 10) e Friuli Venezia Giulia (2 casi su 10). Sotto, invece, i farmaci più rubati negli ospedali italiani. ANTITUMORALI IMMUNOSOPPRESSORI ANTIREUMATICI BIOLOGICI ORMONALI DERMATOLOGICI gnalare i casi sospetti. In questo caso, il grossista inglese riscontra discrepanze troppo consistenti tra i numeri di lotto tra il primo e il secondo confezionamento. E segnala il sospetto all'Aifa. Sospetto fondato, perché alcuni numeri di lotto corrispondono con altri presenti nella banca dati dei farmaci rubati. Da qui partono le indagini dei Nas: il grossista inglese ha comprato i lotti dalla Farmaceutica Internazionale srl che risulta aver cessato le attività. Un caso sul quale i carabinieri continuano ad indagare. ■ 17 14 da 6 a 4 meno di 4 ANTIVIRALI SEDATIVI PSICOFARMACI EPO NEUROLOGICI OFTALMICI 1 1 3 2 2 5 5 5 10 13 12 32 12 ATTUALITÀ ITALIA Ius soli e voto La paura vince ancora DI ELENA IANNONE M@Elena_Iannone O bama ha promesso di regolarizzare 5 milioni di immigrati a partire dalla prossima primavera. Nel 2003 Strasburgo ha raccomandato agli Stati Membri “di estendere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo a tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornino legalmente nell’Unione europea da almeno tre anni". Diritto di cittadinanza, oltre che di voto rappresentano i presupposti per l’integrazione culturale e sociale all’interno di qualsiasi contesto democratico. La modalità per metterli in atto ha a che fare con la storia e la sensibilità di ogni singolo stato. La “green card” ai residenti di lungo corso in America DIRITTO DI VOTO STRANIERI IN U.E. FINLANDIA elezioni municipali per cittadini extracomunitari SVEZIA incostituzionale IRLANDA SOLO PER ALCUNI STRANIERI provenienti da zone culturalmente simili riconosce pari dignità a coloro che da almeno cinque anni vivono, lavorano e non hanno commesso reati all’interno del Paese. Quelli che, ormai inseriti, aspettano di essere integrati. In Italia secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, sono presenti oltre 3 milioni e ottocento mila cittadini non comunitari, oltre il 6% della popolazione. Solo fra il 2013 e il 2014 si è verificato un aumento del 3% di quelli che sono regolarmente registrati (circa 110 mila persone). Una recente ricerca dell’Istat ha valutato il grado di soddisfazione dei cittadini stranieri che vivono in Italia, insieme al livello di fiducia e di discriminazione. Se 60% si dichiara soddisfatto per le condizioni di vita in generale, contro dopo un certo periodo di residenza senza un certo periodo di residenza REGNO UNITO LETTONIA LITUANIA OLANDA POLONIA BELGIO GERMANIA LUX REP.CECA SLOVACCHIA FRANCIA AUSTRIA UNGHERIA SLOVENIA ROMANIA su riserva di reciprocità PER TUTTI GLI STRANIERI L’89,5% degli stranieri dichiara di aver subito discriminazioni sul lavoro a causa delle proprie origini DANIMARCA ESTONIA PORTOGALLO SPAGNA ITALIA diritto di essere candidati ed eletti esteso alle elezioni regionali il 37,2% degli italiani, quando si parla di lavoro le cose cambiano. L’89,5% degli stranieri ha dichiarato di aver subito discriminazioni in ambito lavorativo a causa delle proprie origi, così come il 17% degli adolescenti figli di immigrati da parte dei compagni di scuola. In Italia i cittadini stranieri sono esclusi dal diritto di voto e possono ottenere la cittadinanza dopo almeno 10 anni di permanenza regolare e continuativa sul suolo italiano. Però le regole che garantiscono il rinnovo del permesso di soggiorno lungo questo decennio sono BULGARIA GRECIA MALTA piuttosto arbitrarie. Questi soggetti non condividono con gli altri cittadini uguali diritti, ma soltanto uguali doveri. Secondo l’Eurostat la Germania, che è il secondo Paese al mondo per immigrazione internazionale dopo gli Stati Uniti, accoglie oltre 7 milioni e mezzo di immigrati, mentre l’Inghilterra e Spagna superano i 5 milioni. La Francia ha una minore percentuale di stranieri a fronte di una più ampia politica di naturalizzazione sia per i natii che per i migranti. Tutti questi stati, compresi anche i Paesi Bassi condividono CIPRO 13 FOCUS “Calpestata la Costituzione” L’ con l’Italia lo ius sanguinis, ovvero l’ottenimento della cittadinanza quando uno dei due genitori la possiede, e non per diritto di nascita sul territorio. Al tempo stesso, però, hanno tutti una legislazione che favorisce e accelera il procedimento, soprattutto per quanto riguarda i natii sul territorio. Un bambino che nasce in Italia oggi, da genitori con regolare permesso di soggiorno deve invece attendere la maggiore età e solo al compimento del 18° può richiedere la cittadinanza, usufruendo di una corsia preferenziale. Stesso discorso vale per il diritto di voto: è previsto alle amministrative nella maggior parte dei paesi europei, o è molto acceso il dibattito per concederlo, come in Francia. I recenti fatti di cronaca che hanno riguardato gli Stati Uniti, l’omicidio del ragazzo afroamericano a Ferguson e le feroci proteste per l’assoluzione del poliziotto che gli ha sparato, avvengono in un contesto sociale complesso, ma in evoluzione. Non è facile superare le grandi discriminazioni razziali che hanno caratterizzato la storia degli USA che però, oggi, hanno un presidente afroamericano e rigettano episodi di violenza applicando politiche di integrazione in risposta a eventi di questa gravità. L’Italia in questo senso si trova ad affrontare una sfida. La strada per l’integrazione passa attraverso un iter legislativo in grado di tutelare i cittadini residenti sul territorio. E’ vero che ci siamo trovati a gestire in tempi relativamente brevi un forte incremento della popolazione straniera. Tra il 2003 e il 2004 la presenza non comunitaria passò da 829.761 presenze a 1.479.381 (e la Romania era ancora fuori dall’Unione). Oggi, dopo 10 anni, considerando anche i membri comunitari, ci avviciniamo ai 5 milioni di presenze: è impensabile quindi non recepire questo dato con l’urgenza di una legislazione adeguata, soprattutto in risposta alle gravi manifestazioni razziste e discriminatorie che purtroppo cominciano a essere frequenti anche nel nostro Paese. ■ articolo 3 della nostra Costituzione è molto chiaro riguardo ai diritti dei suoi abitanti e, in particolare, riguardo la pari dignità sociale. “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”. Se però sei straniero, anche se sei in regola, paghi le tasse, non hai commesso alcun reato, non hai comunque accesso al voto, a meno che tu non abbia acquisito la cittadinanza e comunque non prima di 10 anni, salvo casi davvero eccezionali. Da Milano nel 2012 partì una campagna ormai defunta che puntava all’ottenimento dello ius soli e del diritto di voto per gli stranieri. Così come altre proposte di legge che giacciono inascoltate dall’inizio di questa legislatura, tutto si risolse in un “nulla di fatto”. Come mai i cittadini stranieri di lungo corso non protestano più per ottenere questi diritti? Michel Koffi, presidente dell’Associazione Città Mondo, che raccoglie al suo interno le associazioni delle comunità straniere, ci racconta un percorso complicato, fatto di tanti problemi, su tutti la scarsa informazione. Le associazioni sono tante, e gli immigrati condividono fra loro unicamente la condizione di stranieri in Italia. Per il resto hanno storie, culture e tradizioni radicalmente diverse. Ci sono comunità forti, come quella senegalese, che è molto strutturata e ricettiva. Ce ne sono altre che sono composte da pochi individui e anche per quelli è difficile raggiungere la totalità dei connazionali presenti sul territorio. “C’è una parte di responsabilità anche per quanto riguarda l’associazionismo certo, ma la priorità in questo momento è quella di ottenere un iter giuridico chiaro, che non lasci spazio a interpretazioni arbitrarie. In Italia oggi lo stesso rinnovo del permesso di soggiorno è tutt’altro scontato”. “Ad esempio la comunità musulmana – aggiunge Daniela Pistillo esponente del PD e responsabile del Forum sull’Immigrazione – ottiene con più difficoltà i permessi per una sorta di discriminazione culturale”. Le cose oggi stanno così: se una domanda viene rifiutata nessuno ha l’obbligo Da Milano nel 2012 è partita una campagna per il riconoscimento dello ius soli e del diritto di voto per gli stranieri di motivarne la ragione. Il rilascio dei documenti dovrebbe avvenire all’adempimento di una certa burocrazia, ma purtroppo spesso dipende da chi ci si trova di fronte. In Paesi come il Belgio, la Danimarca, l’Olanda, la Spagna o la Svezia il diritto di voto almeno alle amministrative è una realtà scontata da decenni. In quelli che invece non lo contemplano i criteri di accesso alla cittadinanza sono molto più flessibili di quelli italiani. “I diritti ti tutelano LO ABBIAMO CHIESTO A DANIELA PISTILLO Responsabile del Forum sull'Immigrazione MICHEL KOFFI Presidente dell'Associazione Città Mondo soprattutto nei confronti dell’istituzione. Se sei passibile di espatrio o di altri ricatti cerchi di esporti il meno possibile.” dice Daniela Pistillo che aggiunge: “abbiamo accolto il voto degli stranieri durante le primarie del Pd, che I diritti ti tutelano anche Nei confronti dell’istituzione: Se sei ricattabile cerchi di esporti il meno possibile è un voto di partito, ma l’affluenza è stata davvero scarsa. D'altronde bisogna uscire da un approccio di tipo sindacale in favore di una logica di partecipazione”. La questione riguarda la volontà di essere parte attiva della Comunità. Durante l’ultimo Forum sull’Immigrazione la portavoce della comunità rumena ha detto che loro, pur avendone diritto come cittadini comunitari, non esercitavano il voto alle elezioni. “Io ero molto sorpreso, ma il problema fondamentale è che chi è stato emarginato per lungo tempo non è consapevole dell’esercizio, oltre al fatto che c’è un senso di sfiducia” continua Koffi, che aggiunge riguardo allo ius soli: “anche questa proposta di Renzi dello Ius temperato (cittadinanza dopo un ciclo scolastico ndr) bisogna valutarla. Un bambino che nasce in Italia non l’ha scelto e non ha colpe, ed è già integrato per il solo fatto di andare a scuola e parlare italiano. Non vedo perché non debba essere riconosciuto come cittadino al pari dei suoi compagni di classe.” Anche Daniela Pistillo riguardo a questa proposta ha usato termini molto fermi: “Bisogna vedere a quale ciclo scolastico Renzi intende far riferimento. Se intende concedere la cittadinanza a 16 anni anziché 18 è una presa in giro. La questione dello ius soli è politica: Bersani ripeteva in continuazione che se fosse toccato a lui sarebbe stato tra i primi provvedimenti introdotti, ma la verità è che quando si tratta di negoziare con altre forze politiche la mediazione è sempre al ribasso”. [e.i.] 14 ATTUALITÀ MILANO Quando il social diventa real La "fredda" Milano riscopre il suo lato umano La svolta con Ape, Social Street e Cenaconme DI MATTEO PALMIGIANO M@palmi14 P ensate a tutte le volte che vi siete trovati in un luogo pubblico connessi sul vostro pc, smartphone o tablet, completamente persi nel mondo dei social network. Basta confermare la vostra partecipazione ad un evento o cavalcare l’onda di un hashtag e siete immediatamente collegati a un’enorme comunità di utenti. Alla base di questa forma di interazione, c’è soprattutto l’inconscia volontà di relazionarsi con persone nuove. Individui di cui non sappiamo nulla e che impariamo a conoscere solo attraverso i loro profili online. Milano ha compreso questo desiderio dei giovani e ha sfruttato i social per renderlo possibile. Da una semplice pagina in rete sono nati progetti e associazioni che hanno restituito alla gente la socialità di cui non ha mai potuto fare a meno. Le realtà in questo ambito sono sempre più numerose e il seguito è impressionante. Tra i più attivi ci sono i ragazzi dell’Ape, un’associazione nata nel 2012, ma con radici ancora più lontane: “L'Ape nasce un po' per caso e un po' per necessità. Gli elementi essenziali di questa storia sono un gruppo di amici molto affiatato e la proposta Dalle 800 persone del Chiosco alle 3000 davanti all’Arena “Ape ha creato la serata ideale a cui tutti volevano andare” arrivata ad uno di loro di gestire l'aperitivo di un chiosco ai Giardini di Porta Venezia”, ci raccontano Pietro Panizza e Orsola Giunta, due degli organizzatori. “Nessuno dei fondatori aveva organizzato già altri eventi, ma c'era la voglia di fare qualcosa insieme. E' stato come pensare alla "serata ideale" a cui ognuno di noi sarebbe voluto andare. Già Piazza Affari durante una delle serate organizzate dall'Ape durante il primo Ape, nella primavera del 2011, ci siamo resi conto che tanti, non solo fra gli amici, avevano apprezzato l'iniziativa”. Dopo Porta Venezia, l’Ape è cominciato a diventare itinerante: “Abbiamo organizzato molti eventi in Piazza Affari, un luogo architettonicamente suggestivo, che la sera si spegne insieme agli uffici. Poi davanti alla Biblioteca di Parco Sempione e di fronte all'Arena. Il parco, in particolare, è il luogo pubblico per eccellenza e si presta benissimo ad un evento di musica dal vivo aperto a tutti”. Quanti giovani partecipano alle serate dell’Ape? “Il primo, in porta Venezia, era stato un piccolo “boom” al di sopra delle aspettative e persino al limite della capienza dell’area intorno al chiosco di Pippo. C’erano probabilmente fra le 600 e le 800 persone. Nell'ultimo ciclo di eventi al parco Sempione, invece, sono passate circa 3000 persone “. L’Ape ha conquistato Milano. Un gruppo di ragazzi uniti e motivati ha dimostrato che si può mettere in pratica idee nuove, anche in città: “E’ difficile, ma possibile. Bisogna crederci ed essere anche un po’ fortunati”. 15 INTERVISTA Sebastiano Citroni*: “La città testimonia la voglia di socialità” DI MARCO DEMICHELI M@marcodemi90 del cittadino. Osservando la Berlino di fine, ‘800 Georg Simmel rilevò, fra i primi, come l’uomo moderno paghi la propria libertà al prezzo della solitudine. Ma questa condizione alimenta uno sfrenato desiderio di socialità, di superare i confini che ci lo separano dall’altro. Storici come John Foot mostrano come a Milano, poi, sia particolarmente diffusa una nostalgia verso un passato mitico di quartieri-villaggio (raramente esistiti)». Ape, Social Street e Cenaconme: tre iniziative che stanno registrando una grande partecipazione. La gente quindi ha ancora voglia di stare insieme? «La “voglia di stare insieme” – come lei dice - è tipica della città e della dimensione urbana. Solo in tempi relativamente recenti la città è stata associata all’idea di anonimato, di legami fra estranei, di libertà dai vincoli comunitari: una libertà che si associa a un inedito senso di solitudine L'appuntamento in cui si litiga per eccellenza è l'assemblea di condominio. Come si spiega il successo delle Social Street? «Questa è una forma la cui diffusione è da ricondurre alla facilità dello strumento Facebook. La forma è nuova, l’istanza da cui nasce no. Il fatto che si concentri nella propria strada è perché la piccola scala è l’ambito in cui per eccellenza si concentrano sia le nostalgie dei rapporti sociali caldi (quelli con i vicini di casa ad esempio), sia le istanze di socialità che derivano da quelle nostalgie. Nascono relazioni inedite rispetto ai tradizionali rapporti di vicinato. Parlando dei litigi nelle assemblee di condominio, se si studiano i conflitti si vede bene come le persone litigando vogliano metterci del proprio. Sono anche queste comunque forme di protagonismo sociale». Anche con Cenaconme un evento nato dal web trova il suo compimento poi nella realtà. «Le ricerche sull’uso dei media digitali mostrano che mezzi come facebook sono usati non in concorrenza agli incontri faccia a faccia, ma insieme, alimentando questi ultimi. Chi usa i social media sa bene quanto siano poco fondate le retoriche sull’alienazione e l’isolamento associato ai media digitali. *Sociologo e ricercatore Università Milano Bicocca LO ABBIAMO CHIESTO A ROSSANA CIOCCA ORSOLA GIUNTA Gallerista milanese e fondatrice di Cenaconme Organizzatori dell’Ape. Pietro è uno dei creatori dell’iniziativa. Orsola è la fotografa ufficiale Non si tratta però dell’unico esempio virtuoso di mobilità sociale milanese. Giorno dopo giorno, il progetto Social Street sta riscontrando sempre più successo. L’obiettivo è creare relazioni di buon vicinato tra i residenti della stessa via. “Social Street nasce a Bologna dall’iniziativa di Federico Bastiani, che non conoscendo i vicini della sua zona, ha deciso di creare un gruppo chiedendo alla gente di iscriversi per instaurare un legame. L’iniziativa ha avuto un successo immediato e ha cominciato ad espandersi anche in altre città. Così ho deciso di In Italia già 250 Social Street solo a Milano ce ne sono 52 “La gente dalla piazza virtuale passa all’incontro in strada” darmi da fare anche io”, spiega Francesca Fedeli, fondatrice della pagina Facebook per i residenti di via Morgagni a Milano. “La cosa è piaciuta talmente tanto da sbarcare oltre confine”. In Italia ci sono oltre 250 Social Street, 52 delle quali solo a Milano. Specialmente nelle grandi città, però, non sempre è facile costruire questo tipo di reti: “Spesso non abbiamo idea di chi siano le persone che vivono nel nostro quartiere. Questo ci porta ad avere difficoltà quando ci dobbiamo relazionare con loro e ci ritroviamo da soli in mezzo a tanta gente sconosciuta. Lo scopo è dunque recuperare le abitudini di alcuni piccoli paesi italiani, dove le persone si salutano e si frequentano. Vogliamo inoltre fare in modo che dalla piazza virtuale si passi all’incontro in strada”. Detto, fatto: “La gente partecipa non solo per co- PIETRO PANIZZA noscere i propri vicini, ma anche per interessarsi alla vita quotidiana del quartiere, solleticata da un forte senso di appartenenza che ha solo bisogno di essere tirato fuori”. E le amministrazioni come hanno preso questa iniziativa? “I Consigli di Zona ci hanno sostenuti da subito, cercando di portare la cosa anche a livello comunale. L’idea era stilare un regolamento che snellisse le procedure per la realizzazione di queste iniziative, ma dato che Social Street non aveva personalità giuridica c’è stato qualche problema burocratico”. Socializzare con i propri vicini è dunque possibile e, allo stesso tempo, ci si può anche godere una cena a lume di candela con migliaia di commensali in un luogo speciale della città, grazie a Cenaconme. Come si legge dalla pagina Facebook, si tratta di “un progetto senza scopo di lucro che invita le persone a riappropriarsi dello spazio urbano all’interno di un evento che ha le caratteristiche di un flashmob comunicato e diffuso utilizzando prevalentemente i social media”. A rendere uniche queste cene sono i partecipanti, che portano il cibo da casa e addobbano i tavoli messi a disposizione. Le madri di questa iniziativa sono Rossana Ciocca e Alessandra Cortellezzi. “Cenaconme nasce tre anni fa, prendendo spunto dalle Diner en Blanc di Parigi. Per questo motivo, i primi eventi erano chiamati Cene in Bianco”, ci racconta Rossana, gallerista milanese. Un’idea messa in pratica grazie anche all’appoggio delle amministrazioni locali: “Ci adorano. Siamo un’immagine bellissima della città. Milano non ha le piazze di Roma, è molto più piccola. Ci sono comunque tante cose belle, che però vengono dimenticate. Nel corso degli anni diversi assessori hanno potuto apprezzare la semplicità di FRANCESCA FEDELI Cura la Social Street di Via Morgagni su Facebook questo contenitore”. Il nutrimento è uno dei temi cardine di Expo. Può essere un’opportunità per Cenaconme? “Noi ci saremo. E’ un’occasione importante per fare vedere che questa città ha ancora tanto da dare”. L’iniziativa ha già toccato diversi luoghi della città: “La prima cena l’abbiamo fatta all’Arco della Pace, una sorta di saluto ai francesi. Poi nel mezzanino della metro di Porta Venezia e l'abbiamo chiamata Dinner in the Dark - considerata la location -, mentre Chapeau - dato che tutti i commensali dovevano portare un cappello, oltre al cibo – dentro la Rotonda di via Besana”. Successivamente sono arrivate le cene nei giardini Indro Montanelli, in Piazza XXV Aprile e nella Galleria Vittorio Emanuele II. I numeri sono in continua crescita: "Stiamo riducendo ai minimi termini la comunicazione del luogo della cena, perché la conta dello spazio è importante e non si può rischiare di arrivare impreparati. Però il colpo d'occhio ti la- Gli ospiti portano il cibo da casa spazio e dress code fanno il resto “Cenaconme ti sorprende sempre è un ristorante a cielo aperto” scia a bocca aperta, è un ristorante a cielo aperto. Cenaconme nasce dalla viralità dei social, ma si realizza in luogo dove ci si trova e non si è più utenti, ma persone". Ape, Social Street e Cenaconme, tre realtà che hanno riaperto gli occhi di Milano. Una città un po' fredda, ma che vive da sempre di socialità senza rendersene, quasi, conto. ■ 16 ATTUALITÀ MILANO Nuovo Cinema Milano DI FEDERICO FUMAGALLI M@federicofum N oio volevan, volevon savuar...». Una battuta tanto celebre che da sola identifica un film (Totò, Peppino e la... malafemmina), un attore (Antonio De Curtis, in arte Totò) e una città. Milano e il cinema. Un binomio non proprio imprescindibile. Visto che la città italiana “cinematografara”, detto alla capitolina, per eccellenza è appunto Roma. Eppure non si può dire che la metropoli del Nord, non abbia avuto un’intensa “vita sul set”. Qui grandi autori del secondo dopoguerra hanno firmato capolavori e si sono imposti filoni di successo come il poliziottesco anni ‘70 e i film comici degli ‘80. «Può sembrare un paradosso» dice il professor Gianni Canova, critico e docente di Storia e Critica del Cinema all’Università Iulm, «ma l’atteggiamento disinteressato delle istituzioni ha indicato al cinema milanese una strada alternativa. Partendo dal basso si sono create forme di auto organizzazio- Il disinteresse delle istituzioni ha indicato nuove strade al cinema milanese Contemporaneo. Alcuni lavori sono eccellenti ne interessanti». Il riferimento è alla florida realtà festivaliera cittadina che con Milano Film Network «riunisce sette festival di cinema» e alle tante società di produzione fondate da giovani, «di cui non parla nessuno ma che fanno lavori eccellenti». Sono produttori milanesi di lungo corso Lionello Cerri, presidente di Lumière e Gianfilippo Pedote, a capo della Mir Cinematografica. Cerri si è affermato al primo film: «Con Fuori dal mondo di Giuseppe Piccioni, nel ‘99 ho vinto il David di Donatello». Nonostante il successo è rimasto a Milano e ha sempre resistito alle sirene della capitale: «Stare lontano da Roma, che resta il cuore del cinema italiano, non è facile ma il lavoro del produttore si può fare ovunque. Bisogna conoscere il pubblico, basta quello». Per Pedote «il cinema è un tipo di prodotto poco concepibile senza aiuti pubblici. In questo periodo di crisi il sostegno scarseggia e la cultura ne risente. Produttori, distributori ed esercenti non rischiano più. Si adeguano alle esigenze del grande pubblico». Sono le parole di un professionista che ha spesso sfidato il mercato, credendo in film “fuori”. Come Fame chimica: «Quello di Paolo Vari e Antonio Bocola, nel 2003 è stato l’antesignano di molti film girati al risparmio. Pochi mezzi ma tanta creatività». Per realizzare Fame chimica venne intrapreso un percorso di finanziamento collettivo e il film, ambientato nella periferia sud-ovest, a Milano incassò bene. A muovere il complesso carrozzone ci sono anche le Film Commissions, enti regionali no profit che sostengono la realizzazione di prodotti audiovisivi, per la promozione del territorio. Alberto Contri è il direttore generale di Lombardia Film Commission: «La Lombardia e Milano sono ai primi posti tra le preferenze dei produttori e l’evento Expo 2015 non ci troverà impreparati». Quindi il cinema continua a subire il fascino di Milano: «È vero! Nonostante la città non abbia mai fatto molto per favorirlo», dice Gianfilippo Pedote. A dovere consigliare un film che l’abbia ben rappresentata, Pedote cita La vita agra di Carlo Lizzani perché «è bello riscoprire attraverso il cinema quello che una città è stata in passato». È vario per genere e periodo, l’elenco di “cinema milanese” di Gianni Canova: «Non si può non aver visto Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti», un capolavoro assoluto che racconta la “Milano città aperta” ai flussi di immigrati degli anni ‘60. Da riscoprire secondo Canova anche Ratataplan che nel 1979 l’esordiente Maurizio Nichetti ambienta «in una Milano surreale e danzante» e Un eroe borghese di Michele Placido, sull’avvocato Giorgio Ambrosoli: «Qui un grigio profondo domina la città». Questi sono i ricordi di un passato cinematografico da cui «non è possibile prescindere». Nell’ immediato futuro, per Gianfilippo Pedote ci saranno i nuovi film di Daniele Vicari, Alina Marazzi, «l’esordio alla regia della sceneggiatrice Lara Fremder e il ritorno del regista di Fame chimica Paolo Vari. Sono progetti in cui crediamo molto». Canova non indica nuovi autori di orbita milanese su cui puntare - «ne conosco troppi, farei torto a chi non cito» - ma assicura che di molto bravi «ce ne sono tanti». Poi, conclude ottimista: «Se i germogli che già abbiamo sbocceranno, presto alcune sorprese verranno da qui».■ GIRATI IN CITTÀ 2000 CHIEDIMI SE SONO FELICE di Aldo, Giovanni, Giacomo e M. Venier 1987 Alain Delon e Annie Girardot durante le riprese di Rocco e i suoi fratelli KAMIKAZEN di Gabriele Salvatores FOCUS Nell’ex Manifattura la Scuola dei film-maker «Finalmente a casa!». È contenta Laura Zagordi, direttore della Civica Scuola di Cinema di Milano, reduce da un recente e (probabilmente) definitivo trasloco. «La Scuola è nata nel 1962 e da allora gli spostamenti sono stati tanti. Fino a poco fa la nostra sede era una vecchia scuola elementare, ora abbiamo uno spazio più in linea con le nostre esigenze», dice il direttore. Lo spazio in questione è quello dell'ex Manifattura Tabacchi, in viale Fulvio Testi 121, zona Bicocca, che il Comune di Milano vorrebbe trasformare nel polo audiovisivo della città. Il progetto è ambizioso e complesso. Quello che rappresenta Cinecittà per Roma, oggi per Milano è ancora un miraggio. Ma accanto alla Scuola già sorge il Museo Interattivo del Cinema (MIC), istruttivo e divertente. «È suggestivo pensare che lo spazio che noi oggi occupiamo, sia stato un tempo quello di una grande fabbrica. Perché Milano» prosegue Zagordi «è una città d'industria e tra i primi esperimenti cinematografici, a fine '800, si ricorda il film breve dei fratelli Lumière che mostrava l'uscita degli operai dalle officine». Un bel gioco di specchi, di cui il cinema si è sempre cibato. I tempi moderni, citando Chaplin, non sono facili e specie i più giovani rischiano di risentirne. A volte abbandonano il sogno del cinema per intraprendere un mestiere che, all'apparenza, dà maggiori garanzie. Laura Zagordi non nasconde che «la nostra è una scuola d'Arte ed è difficile fare arte pensando solo al lavoro. Nei tre anni di corso però, gli studenti apprendono competenze utili a svolgere una professione». Daria ha 23 anni. È tra i 14 studenti ammessi al corso di sceneggiatura: «La maggior parte dei miei parenti non sa nemmeno cosa sia uno sceneggiatore. Capita spesso che si confondano e dicano che sono scenografa», racconta divertita. «Sono consapevole che non sarà facile trovare lavoro, ma pronta a seguire le mie passioni». Per concludere, ecco l'annosa questione di quale sia il ruolo della cultura in anni di crisi. Risponde il direttore Zagordi: «Non credo nella formula "di cultura non si mangia". Viviamo in una società in cui, ad esempio, è evidente il dominio delle immagini. Qualcuno le dovrà pur pensare, progettare e realizzare!». È il lavoro della gente del cinema, che pensa e crea immagini, da oltre cent'anni. 1951 MIRACOLO A MILANO di Vittorio De Sica 1950 CRONACA DI UN AMORE di Michelangelo Antonioni 17 18 ATTUALITÀ EUROPA Erasmus plus l’Unione di fatto Zhivko Zhelev, presidente di Academy of Success racconta quali opportunità offre il programma DI CINZIA CASERIO M@CinziaCaserio L’ Europa che non sono riusciti a fare burocrati e politici, la faranno i giovani. L’hanno già fatta a partire dalla nascita del programma Erasmus nel 1987 con i viaggi, gli scambi, gli spostamenti, le associazioni, dimostrando che il vero motore dell’Europa è l’iniziativa dal basso. Per questo, a distanza di 27 anni dalla comparsa di Erasmus è nato il programma Erasmus plus, per il quale sono stati stanziati ben 14,7 miliardi di euro da utilizzare in sei anni (20142020). Un grande investimento che permetterà alle nuove generazioni di fare il passo decisivo verso un’idea più concreta di Europa. Solo nel 2014 sono stati messi a disposizione 1 miliardo e 800 milioni di euro per finanziare programmi di scambio, volontariato, studio e lavoro. Ma di cosa si tratta? Per capirci qualcosa di più, non c’è niente di meglio che ascoltare l’esperienza degli youth workers e delle Ong che hanno già fatto richiesta per parteci- pare al progetto. Ci racconta Erasmus plus e l’esperienza degli scambi giovanili Zhivko Zhelev, presidente dell’associazione Academy of Success che ha da poco concluso uno dei primi training courses finanziati da Erasmus plus. Cos’è l’Erasmus plus? «È il programma sviluppato dall’Unione Europea nel campo dell’educazione, della formazione, della gioventù e dello sport. È partito nel 2014 e durerà fino al 2020». Come funziona? «Combina programmi di successo già implementati in precedenza: The Lifelong Learning Programme (programma di apprendimento permanente), Youth in Action (scambi giovanili, training courses e EVS), Erasmus Mundus, Tempus, Alfa, Edulink e il programma di cooperazione con i Paesi industrializzati (programmi di cooperazione nel campo dell’istruzione superiore). Infine, sostituisce e integra anche Comenius, Erasmus, Leonardo da Vinci e Grundtvig (rispettivamente programmi per l’istruzione scolastica, superiore, professionale e l’educazione degli adulti)». << Erasmus plus farà la differenza per tutti i giovani in Europa perché permette di conoscersi, scambiandosi idee e opinioni >> In cosa si distingue rispetto ai precedenti programmi? «È più aperto nei confronti dei giovani, l’accesso è più semplice, tutti i progetti sono potenziati e naturalmente l’investimento è maggiore». Ci puoi parlare di alcuni di questi programmi nello specifico? «EVS, ovvero European Voluntary Service, è un programma dedicato a giovani fra i 18 e i 30 anni e dà la possibilità di lavorare come volontario in un altro Paese europeo, ricevendo un piccolo stipendio oltre al vitto e all’alloggio. Gli youth exchanges o semplicemente “scambi giovanili” durano circa una settimana e sono pensati per ragazzi dai 18 ai 25 anni che si incontrano in Europa per discutere un tema specifico, mentre i training courses sono 19 DOVE I progetti si tengono in tutta Europa. Esistono diverse associazioni in Italia che fanno da tramite con le associazioni di altri Paesi europei per organizzare scambi e training courses, ma le più note sono Scambi Europei, Jump In, Joint e You Net, sui cui siti internet è possibile trovare tutte le informazioni sui progetti in partenza. L’aggregatore per eccellenza è però il blog di Scambi Europei (http://www.scambieuropei.info/), costantemente aggiornato, che diffonde gli annunci di tutte le associazioni italiane e anche altre opportunità di studio, lavoro, volontariato, concorsi e conferenze in Europa, in Italia e in tutto il mondo. QUANDO Scambi e training courses partono tutto l’anno e durano da una settimana fino a dieci giorni. Gli EVS invece possono durare fino a un anno. Visto l’alto numero di partecipanti, non appena si legge l’annuncio è consigliabile mandare subito il Cv (in italiano oppure in inglese), allegando anche una breve lettera di motivazione. Se scelti, si verrà contattati prima dall’associazione italiana, poi da quella del Paese in cui si svolgerà lo scambio o il training course per le questioni organizzative. Al termine del progetto si ottiene il certificato “Youthpass”, utile da allegare al proprio Cv. simili agli scambi ma più intensivi, dedicati a tutti i giovani e in particolare agli youth workers di altre associazioni e Ngo». Quando è nata Academy of Success? «Academy of Success è nata nel 2012 a Stara Zagora in Bulgaria grazie a un gruppo di giovani entusiasti ma con tanta esperienza come partecipanti in training courses, seminari e scambi giovanili appartenenti al programma Youth in Action. Abbiamo avuto un ottimo inizio, visto che due anni fa, con il nostro primo progetto dal titolo “Volunticipation all over” abbiamo vinto il premio “Best Practice” in Bulgaria per il 2012 nell’ambito dei programmi Youth in action». Parlaci del vostro ultimo progetto. «Active European Citizens si è tenuto dal 6 al 13 novembre 2014 a Samokov, paese a circa 50 chilometri da Sofia, sul tema della cittadinanza, democrazia e politica in Europa. I partecipanti provenivano da Italia, Bulgaria, Macedonia, Polonia, Turchia, Romania, Germania, Spagna e Croazia. Abbiamo organizzato giochi per favorire la conoscenza reciproca, tavoli di lavoro per discutere dei temi principali, realizzato blog e video. Abbiamo anche allestito una simulazione delle elezioni europee e abbiamo accompagnato i giovani in visita a musei e scavi archeologici. Un giorno siamo andati a Sofia per conoscere una Ngo locale che si occupa di orfani: quale migliore occasione per visitare la capitale della Bulgaria? Non è mancata poi la classica European night, in cui ciascun Paese offre cibo e bevande tipiche della propria regione agli altri partecipanti, e una sera si è tenuta anche una Bulgarian night, con canti, balli e cibo tipico del nostro Paese». << Quando penso all’Erasmus plus ho in mente le foto dei progetti dove i giovani si riuniscono davanti alla bandiera europea >> Quale sarà il vostro prossimo progetto? «Saranno due. Uno riguarda l’imprenditoria sociale e l’altro la sensibilizzazione per la sicurezza stradale dei giovani». COME Una volta arrivati a destinazione, si discute il tema dello scambio in team, realizzando progetti e prodotti mediali. Poi si visitano musei e associazioni e si incontrano i rappresentanti della politica locale. Un’altra attrazione di questi progetti è l’European night, in cui i partecipanti condividono cibo e bevande del proprio Paese con gli altri giovani. Ogni scambio ha un suo tema, che può essere: politica europea, giornalismo, integrazione, lotta alla discriminazione, crisi economica, disoccupazione, lo sport, il volontariato e così via. Partecipare non costa quasi nulla: con Erasmus plus il viaggio è rimborsato al 100% e il vitto e l’alloggio sono a carico dell’associazione ospitante. Cosa deve fare un’associazione per partecipare al progetto Erasmus plus? «Il processo di iscrizione non è molto difficile, anzi consiglierei a tutte le Ngo di partecipare al programma. Ciascuna associazione deve seguire le regole fissate dal proprio Paese di appartenenza, ma diciamo che in generale, per sperare in un esito positivo della propria candidatura, può essere utile mostrare di avere partner affidabili, oltre a una seria organizzazione interna. È prevista anche la possibilità di iscriversi come “gruppi informali”, ovvero enti non giuridici: in questo caso il processo è anche più flessibile e meno burocratico». << Un’opportunità del programma riguarda l’educazione non formale: l’apprendimento grazie al gioco, studio e interazione in gruppo >> Quanta esperienza bisogna avere per organizzare a propria volta dei progetti Erasmus plus? «Personalmente, come partecipante ho preso parte a circa 10 training courses, scambi giovanili e seminari, a cui si aggiungono altri 4 organizzati come presidente di Academy of Success e uno come trainer/facilitatore. È fondamentale avere un buon bagaglio di esperienze, perché gestire le attività di un gruppo di 30-40 ragazzi di età diverse e provenienti da tutta Europa richiede passione ma anche molto impegno e conoscenze acquisite sul campo. Non ci si può improvvisare youth workers». Pensi che Erasmus plus sia un’opportunità per i giovani europei? E se sì, perché? «Sì, è una delle opportunità presenti per i giovani in Europa, soprattutto perché l’investimento è maggiore (14,7 miliardi per sei anni!), l’accesso è più semplice e i programmi sono rinnovati. È una grande occasione di crescita e confronto che nessun giovane europeo dovrebbe lasciarsi scappare». Cosa consiglieresti ai giovani che volessero intraprendere una carriera come youth workers, diventare team leader in un progetto di scambio, o lavorare in una Ngo? «Se volete conoscere persone provenienti da tutta Europa, siete pronti a diffondere la vostra esperienza in altri progetti e amate viaggiare, questo lavoro fa per voi. Seguite i vostri sogni, cercate di essere sempre attivi nel vostro Paese o semplicemente nella vostra città, e così facendo cambierete non solo la vostra vita ma anche quella degli altri».■ 20 C COSTUME ANNIVERSARI 0 10 un secolo push-up DI FEDERICA PALMIERI C osì recita un antico indovinello: «Lo strumento che aiuta i bisognosi, contiene i forti, sostiene i deboli, raduna i dispersi, separa la destra dalla sinistra, solleva le masse e attira i popoli…». Qual è la soluzione? È… il reggiseno! A triangolo, a balconcino, con o senza spalline, con o senza ferretto, nude look, impreziosito da gioielli, di pizzo o imbottito, ce n’è davvero per tutti i gusti. Compagno fedele di noi donne, insostituibile, elemento principe della nostra lingerie, coniuga praticità e seduzione da un secolo e non è mai passato di moda. Parigi, Esposizione Universale del 1889. Il detestato corsetto, simbolo di costrizione, malsano e doloroso dispositivo ereditato dal Medioevo e dai secoli successivi (in cui addirittura erano comparse armature di ossa di balena o metallo ad assolvere la funzione di sostegno del petto e compressione della vita), inizia il suo inevitabile declino. Madame Herminie Cadolle mostra per la prima volta la sua invenzione, il corselet-george, alias “corsetto per il busto”, che però poco aveva a che fare con l’odiato strumento di tortura che aveva oppresso le donne fino a quel momento, conferendo loro quella strana forma a clessidra, un po’ alla Jessica Rabbit. Il nuovo supporto fasciava sì la schiena, sorreggendo però i seni non più dal basso, deformando inevitabilmente il busto, bensì dall’alto, con delle spalline in fibra elastica, e soprattutto lasciando libero il diaframma durante la respirazione. Tuttavia è un’altra geniale donna ad essere considerata la madre del reggiseno moderno: Mary Phelps Jacob, esponente dell’alta società di New York, che lo brevettò precisamente il 3 novembre 1914. Aveva comperato un abito molto elegante per partecipare a una serata di gala. Ma, scontenta del fatto che il suo corsetto mortificasse la profonda scollatura del vestito e si mary phelps jacob, newyorkese, brevetto' il reggiseno moderno il 3 novembre 1914, e' passato un secolo, ma e' ancora trendy intravedesse avvilendo le trasparenze del tessuto, escogitò un’estrosa soluzione con l’aiuto della sua cameriera: cucì insieme due fazzoletti di seta da allacciare con nastri rosa a mo’ di spalline, e ne fece un supporto per i seni. Il nuovo indumento intimo della Jacob incontrò l’entusiasmo della sua cerchia di amiche, che subito ne vollero un modello da custodire gelosamente nel proprio cassetto della biancheria. Ma la potenziale attività di business non ottenne il successo sperato: il Caresse Crosby, come la Jacob denominò il suo prodot- to, non decollò, perché non riuscì a pubblicizzarlo adeguatamente per farne un prodotto di mercato, sicché la signora si decise a vendere il brevetto del reggiseno per 1500 dollari alla Warner Brothers Corset Company di Bridgport, Connecticut, che di lì a pochi anni fatturò l’astronomica cifra di 15 milioni, sancendo definitivamente la fine del corsetto e la diffusione del modern bra. Dal modello a fascia avvolgente preferito dalle Flappers dei “ruggenti anni Venti”, gli anni di inizio dell’emancipazione femminile, del look alla “maschietta” in cui si abbandonano gradualmente i bustini per essere più libere nei movimenti, allo strumento di seduzione per eccellenza delle giunoniche dive degli anni ‘30, ‘40 e ‘50, come Marlene Dietrich, Ginger Rogers, Ingrid Bergman, Marilyn Monroe, Anita Ekberg, Brigitte Bardot, e le nostre Gina Lollobrigida e Sophia Loren, periodo in cui l’avvenenza e il sex appeal esibiti conquistano l’immaginario collettivo maschile. Bruciato in piazza dalle femministe degli anni ‘70, durante la rivoluzione sessuale, viene rivalutato nel corso degli anni ‘80 e ‘90 con le icone pop, dalla maggiorata Pamela Anderson alla irriverente Madonna. Proprio negli anni ‘90 fa la sua prima apparizione il Wonderbra, ovvero il reggiseno imbottito o push-up, che regala prodigiosamente una taglia in più alle sfortunate con cui la natura è stata poco generosa. E allora, buon anniversario, intramontabile reggiseno, amato da chi lo indossa, ma anche da chi lo ammira… ■ 21 SCHEDA Il mercato mondiale dell'intimo vale circa 50 miliardi di euro all'anno, e quello europeo 13,9 mld. Secondo l'IFM (Institut Français de la Mode), nei primi nove mesi del 2013, la Francia era il Paese dell'UE che spendeva di più per questi capi, 2,7 mld di euro, seguita da Germania (2,57 mld), Regno Unito (2,4 mld), Italia (2 mld) e Spagna (1 mld). Una pubblicità degli anni '50 Pizzi e merletti sono protagonisti. Il modello bandeau mette in risalto le curve. 2,4mld REGNO UNITO 2,57 mld 2,7 mld FRANCIA 1 mld SPAGNA ITALIA Un feticcio dell'epoca contemporanea DI CIPRIANA DALL'ORTO* M@cipriana_dm DI DANIELE LETTIG << Il primo reggiseno è un'iniziazione: entri nel mondo adulto e ti appropri dei misteri DELLA FEMMINILITà Che ti rendono una donna >> un tiro incrociato di esigenze pratiche, gusti estetici, messaggi erotici e altro. Io appartengo alla generazione che negli anni '70 bruciava i reggiseni in piazza, in segno di liberazione dagli stereotipi. Francamente, pur essendo femminista, guardavo un po' perplessa questo gesto dimostrativo. A me il reggiseno piaceva, perché privarmi di un capo che nessuno mi aveva imposto e che anzi, essendo poco "dotata", mi aiutava a valorizzarmi? Ma la cosa interessante è che proprio poco tempo prima di quell'epoca, esattamente nel 1961, nasceva, ad opera della stilista canadese Louise Poirer, il reggiseno delle meraviglie, il Wonderbra: un modello che avrebbe regalato un décolleté da urlo a tutte noi ma che avrebbe sfondato molti anni dopo, comparendo sul mercato americano soltanto negli anni '90, indossato per la prima volta in passerella da una maliziosa Eva Herzigova. Oggi non conosco donna, di ogni età, che non indossi il reggiseno. Sportivo o sexy, castigato o audace, ti fa sentire come vuoi. E resta uno dei segreti più potenti della femminilità. ■ Madonna in concerto Il reggiseno a cono disegnato da Jean Paul Gaultier. Lo indossò durante il tour del 1990. 2 mld Sexy o casto: un segreto della femminilità Non credo che esista, nel guardaroba maschile, un capo così carico di significati simbolici come lo è il reggiseno per una donna. Il primo reggiseno è una vera e propria iniziazione: sei legittimata a fare il tuo ingresso nel mondo adulto e, quindi, ad appropriarti dei misteri della femminilità. Altrettanto importante che metterlo è toglierlo, al momento giusto e con la persona giusta. Questi due piccoli grandi riti personali si inseriscono non solo in un contesto sociale, ma entrano nel girone infernale del fashion system, così il rapporto tra una donna e il suo reggiseno sarà per buona parte della vita Sophia Loren indimenticabile Una scena del film "Ieri, oggi, domani", del 1963. La pellicola vinse l'Oscar nel 1965. GERMANIA *Giornalista, già condirettore di Donna Moderna «I capi di vestiario sono un sintomo delle tendenze culturali dell’epoca a cui appartengono, e il reggiseno lo è in maniera esemplare», dice Nello Barile, docente di Sociologia dei processi culturali all’Università IULM di Milano. «Quest’indumento infatti rappresenta un’emancipazione strutturale dall’oggetto che lo precedeva, cioè il corsetto, simbolo di un potere patriarcale che tende a inguainare il corpo femminile nell’immagine desiderata dall’uomo: il reggiseno, invece, indica lo slancio di liberazione della donna all’interno dello sviluppo della società industriale». In un saggio lei ha delineato un parallelo tra reggiseno e cravatta. Ce lo illustra? «La società capitalistica si è sviluppata secondo questa dicotomia: il maschile è produttivo, il femminile dissipativo, ovvero l’uomo produce e la donna consuma. La cravatta e l’abito sono il segno di questa funzione produttiva mentre il reggiseno era un simbolo del consumo, ed è questo il motivo principale per cui le femministe lo bruciavano, più ancora della discriminazione che era stata in parte superata». Oggi questa divisione non è più così netta. «È vero. Nel caso della cravatta, l’obiettivo di mettere in discussione questo capo come simbolo di potere è stato in certo modo raggiunto: in molti ambienti essa non è più un obbligo formale. Per quanto riguarda invece il reggiseno, c’è stata solo la preparazione di un suo rilancio ulteriore: esso non scompare, anzi viene esibito sempre più. Ciò avviene massicciamente soprattutto negli anni ‘90, un periodo decisivo nell’ambito della rappresentazione del corpo. L’esempio più celebre è il reggiseno a cono fatto da Jean Paul Gaultier per Madonna, che non a caso inaugura una fase totalmente nuova della sua carriera. A partire da quest’epoca il reggiseno viene caricato di un significato molto più ampio rispetto alla sola dimensione funzionale: diventa un vero e proprio feticcio lungi dall’essere fuori moda». ■ IULM news Il campus apre alla città U no spazio nuovo, dedicato non solo alla comunità degli studenti ma a tutti i cittadini di Milano, che mira a diventare un punto di riferimento nella vita culturale della città: con quest’idea è stato concepito il nuovo edificio del campus dell’università IULM, il grande complesso che si aggiunge ai precedenti edifici sede dell’Ateneo. I lavori iniziati nel 2008 sono ormai giunti alle battute finali, e l’inaugurazione ufficiale dovrebbe essere prossima. Lo scopo principale della nuova struttura – provvisoriamente identificata come Iulm 6 - è coniugare i servizi agli studenti con un ambi- I zioso piano di iniziative culturali. Per quanto riguarda il primo punto, sono due le novità principali che riguardano direttamente gli studenti dell’Ateneo: la prima è la nuova mensa, che sorgerà nella parte sinistra dell’edificio entrando dall’ingresso principale di via Carlo Bo. La seconda è il trasferimento della sede del Master in Giornalismo, che comprende un nuovo locale attrezzato a studio per le riprese televisive e uno studio radiofonico. Il palazzo segna, poi, un ulteriore passo in avanti nella collaborazione tra l’Università IULM e la Scuola Politecnica di Design (SPD), iniziata nel 2011: i primi sette piani dell’ala destra, la torre, ospite- CREATIVITA INIZIATIVE Al via il nuovo laboratorio di teatro dello Iulm Universiday: a Milano eventi e incontri per gli studenti l laboratorio di teatro dello Iulm torna anche per l’anno accademico in corso. L’appuntamento, per i venti studenti dell’ateneo selezionati, è per gennaio 2015. Al corso possono partecipare gli studenti iscritti a tutti i corsi di laurea triennale e al corso di laurea magistrale in Televisione, cinema e new media. Durante gli incontri, che andranno avanti fino a marzo, si avrà la possibilità di approfondire la propria formazione in un settore che punta tutto sulla creatività. Un docente responsabile e un tutor di riferimento accompagneranno gli studenti durante il percorso. Diverse le tematiche che saranno affrontate: i ragazzi impareranno a sviluppare uno spirito di osservazione delle proprie emozioni, a improvvisare e svilupperanno un’abilità all’ascolto. L’obiettivo finale del laboratorio è portare sul palcoscenico un testo o una performance. [m.l.] C oinvolgere gli studenti nella vita milanese, con un occhio di riguardo ai 16 mila studenti stranieri che hanno scelto la città per la propria formazione. È con questo obiettivo che è nato Universiday, il progetto promosso dal Corriere della Sera, insieme a dodici istituti del capoluogo lombardo, e a cui ha aderito anche lo Iulm. L’iniziativa durerà sei mesi e saranno organizzate conferenze, incontri informali, contest in cui i ragazzi potranno mettere alla prova la propria creatività, partecipando a gare di scrittura, fotografia, urban art, video e musica, accompagnati da “tutor” famosi, come giornalisti del Corriere e personaggi dello spettacoli. Gli studenti potranno anche raccontare la loro esperienza di universitari a Milano attraverso testi, foto e video, da condividere sui social network (l’hashtag da usare è #universiday e #lovemy per gli stranieri). [m.l.] FOCUS ranno infatti gli studenti che la scuola di disegno industriale e grafica richiama da tutto il mondo, rafforzando in questo modo il legame tra essa e la IULM, e rendendo possibili nuove occasioni di partnership. Le realizzazioni più importanti del nuovo complesso, tuttavia, sono gli spazi culturali, che ospiteranno non solo iniziative legate alla vita dell’università, ma aperte a tutto il pubblico, milanese ma non solo. Ecco spiegato il perché dei due auditorium, uno più grande da 600 posti e uno più piccolo da circa 146, e del grande spazio espositivo da 800 metri quadrati cui si potrà accedere anche da via Russoli. I due auditorium, quello piccolo e quello grande, saranno abilitati alla proiezione di filmati in 4k, ultima frontiera in fatto di definizione delle immagini, e si gioveranno di una gestione coordinata dei sistemi di audio, video, luci e regia. Particolare attenzione, inoltre, è stata posta nell’allestimento acustico delle due sale. Ci saranno anche due cabine per la traduzione simultanea, per convegni e conferenze con relatori stranieri. Lo spazio espositivo accessibile da via Russoli è progettato come destinazione ottimale per mostre e performance di arte contemporanea, comprese installazioni di grandi dimensioni grazie alla considerevole altezza interna. Una novità assoluta per le Università milanesi. A questi spazi si accompagnano poi un ristorante, che sarà aperto all’ottavo piano della torre, e uno “sky bar” che occuperà la terrazza del nono piano. Un altro bar, infine, verrà allestito nel foyer del grande teatro, al piano interrato, dove sono state previste anche due ampie gradinate, in un ambiente adibito a con- Uno spazio nuovo per gli studenti, ma non solo: Oltre alla mensa, due auditorium e un ristorante. e poi lo sky-bar sulla terrazza del nono piano, per creare un polo culturale per tutta Milano ferenze e spettacoli da tenersi in particolare nel periodo estivo. Sono tutti luoghi che avranno vita propria anche in termini di orari, saranno aperti anche al di là della normale attività universitaria e verranno animati da un cartellone di eventi che affolleranno le nuove sale. Saranno previste proiezioni cinematografiche, spettacoli teatrali di prosa e opera, concerti, conferenze e convegni di studio, che saranno organizzati anche in collaborazione con enti esterni sia italiani che internazionali, con lo scopo di migliorare il network di relazioni dell’università e accrescere il ritorno d’immagine del nuovo polo culturale. Tra gli enti coinvolti, un posto particolare lo ricoprirà la Triennale di Milano, con cui l’Università IULM già collabora attivamente. [d.l.] Architettura dell'Informazione: a gennaio il master Iulm P rodurre contenuti non basta più, la vera sfida del futuro è gestirli. Per farlo, nasce la figura dell’architetto dell’informazione, un professionista che si occupa di affiancare aziende, giornali, associazioni e persino start-up nell’attività di comunicazione digitale. L’obiettivo è quello di sviluppare progetti di editoria digitale e diversificare le attività di business, coordinando la presenza sui social network e sfruttando al meglio interattività e partecipazione. Altro aspetto sul quale si concentra l’architetto dell’informazione è quello dell’user experience design, ovvero l’attività di orientare la presenza digitale delle aziende, mettendo a fuoco soprattutto l’utente e i suoi interessi. Tante competenze, insomma, riunite in un’unica figura, che da gennaio, per la prima volta in Italia, trova la sua formazione professionale nel Master executive in Architettura dell’Informazione e User Experience Design, all’Università IULM. Coordinatore didattico sarà Federico Badaloni, una sorta di pioniere dell’architettura dell’informazione. Infatti, mentre nei paesi anglosassoni e nel nord Europa questa è una figura centrale nel mondo della comunicazione, in Italia l’unico grande gruppo editoriale che ha un team di architetti dell’informazione è il gruppo L’Espresso, all’interno del quale Badaloni lavora. Il piano didattico prevede 216 ore di formazione, che comprendono lezioni frontali, workshop e laboratori. È stato suddiviso in due fasi: una prima, necessaria a formare le basi per la professione, una successiva, nella quale si apprenderanno competenze specifiche dell’architetto dell’informazione. Il corso tiene conto del fatto che gli studenti possano provenire da percorsi di apprendimento differenti, ma saranno avvantaggiati coloro che arrivano professioni e studi legati alla comunicazione, all’antropologia culturale, alla sociologia, ma anche alla grafica, al marketing e all’informatica. Il Master, realizzato in collaborazione con Architecta, società italiana dell’Architettura dell’Informazione, presieduta dallo stesso Badaloni, partirà il 23 gennaio e terminerà l’8 giugno. Per informazioni: www.iulm.it; telefono: 02 891412311. [b.m.] JOBS HELPING Nasce l’incubatore per le idee creative e le imprese sociali Tutor alla pari in aiuto delle matricole sperdute L e migliori idee imprenditoriali degli studenti dello Iulm potranno diventare progetti concreti. Questo sarà possibile grazie all’Incubatore per le idee creative e le imprese sociali, il progetto che l’ateneo ha pensato per valorizzare il talento giovanile. Lo scopo è selezionare le migliori idee e supportarne la crescita e lo sviluppo. Gli studenti saranno seguiti durante tutte le fasi del pro- getto da mentor, tutor e manager, con competenze specifiche, che fanno parte del network Alium, ovvero l’Associazione Laureati dell’Università Iulm. Durante le fasi operative, potranno partecipare anche altri studenti che ritengono quelle attività affini con il loro corso di studi. Obiettivo: entrare in contatto con il mondo lavorativo e acquisire delle capacità richieste quando si esce dall’università. [m.l.] T utor alla pari, è questa la novità introdotta allo Iulm da quest’anno. Ai docenti universitari, che svolgono il classico tutorato didattico, si affianca un servizio di tutor peer to peer, attivato in via sperimentale. A venire in soccorso delle matricole sono gli studenti all’ultimo anno dei corsi di laurea magistrale e i neo laureati, che hanno frequentato l’università, selezionati questa estate. L’idea è quella di facilitare il pro- cesso di apprendimento e l’inserimento delle matricole nel percorso accademico, così da promuovere la partecipazione attiva alla vita accademica. I tutor possono fornire informazioni su come funzionano i corsi, dove reperire le informazioni sul sito oppure su come pianificare la sessione di esami. I tutor alla pari sono disponibili un giorno alla settimana, il mercoledì dalle 13 alle 17, al IV piano dell’edificio IULM 1, presso l’Info-Point. [m.l.] 23 24 L’Italia è un paese giunto alle soglie di una povertà inaspettata e carica di sofferenza sociale La ricetta anticrisi è fare il proprio dovere dalla prima pagina Contemporaneamente assistiamo ad uno scontro culturale senza precedenti fra territori, non più divisi dalla linea gotica, ma selvaggiamente e trasversalmente lacerati da contrapposizioni campanilistiche. Tutto ciò accompagnato da una imbarazzante guerra tra poveri, categoria questa sempre più estesa, i quali si combattono per una casa, anche se di una sola stanza, per un filone di pane o per giaciglio sotto un ponte. Scambiando spesso la diversità culturale come una caratteristica che separa, invece che come fattore di ricchezza che unisce. Dire che l'Italia non c'è più sarebbe fare un regalo agli sfascisti, sempre in agguato di questo Paese, quindi credo che sia più giusto parlare di...liquefazione. In sostanza ci troviamo davanti ad una situazione magmatica drammatica: un Governo che sostanzialmente annaspa in un mare di insicurezza sociale e politica; un sindacato – tutte le sigle sindacali, proprio tutte – il quale svicola dai veri problemi dell'occupazione e del lavoro, strangolato dalla disperata politica di non perdere tessere e contributi; un sistema di autonomie territoriali ( Regioni, Comuni e quel che resta delle cosiddette Provincie) stretto tra i bisogni quotidiani della propria gente e le regole a strozzo delle varie leggi di stabilità, che sono ispirate a Roma solo dal bisogno di tirare a campare, senza testa e senza cuore. Rimane sullo sfondo, e paradossalmente insieme in primo piano, l'Italia dei più umili, quella che in silenzio deve arrivare alla fine del mese: l'Italia degli anziani, quella che non ha di come mangiare, che non si può curare, che spesso non sa neppure come morire; l'Italia dei marginali, espressioni variegate di quella diversità che ci affanniamo a definire una "ricchezza", ma che in realtà è un fastidio insopportabile per tutti, amici e nemici, sodali e avversari. È diventato sempre più il Paese dei "nascosti", degli invisibili: gli ex-detenuti, i disoccupati e gli inoccupati, è il Paese degli omosessuali, delle vittime della mafia, degli esodati; l'Italia dei giovani, quel leit-motiv della politica salottiera italiana che usa gli under 25 per coniare slogan politici, per gridare allo scandalo della fuga dei cervelli, per darsi vicendevolmente addosso di insipienza e miopia, ma avendo chiaro che la strumentalità politica di questa posizione non è mai e comunque verificabile, perché mancano le condizioni alternative della differenza speculare in tempi ragionevolmente accettabili. Quest'Italia – come ha detto bene Papa Francesco – non vuole elemosine, ma chiede attenzione politica e sociale, rivendica dignità, urla il rispetto dei diritti, a partire da quelli elementari dell'uomo. È un'Italia spesso ricca di umanità e di dignità, giunta alle soglie di una povertà inaspettata e carica di sofferenza sociale: è quell'Italia che ogni mattina vedo in fila lungo le mura del "Pane quotidiano" di via Toscana a Milano, silenziosa e dignitosa, estate ed inverno, caldo e freddo, sole e pioggia che attende con scorrere lento, si direbbe stanco e rassegnato, il proprio turno per portare a casa quel poco che viene a lei donato, perché spesso non riesce ad averlo più come risultante di una vita di lavoro. E per ogni persona di queste che ha il coraggio – sì, il coraggio, giacché per alcuni di loro di coraggio si tratta – di mettersi in fila davanti all'uscio dell'organizzazione umanitaria, ce n'è almeno un'altra che International University of Languages and Media preferisce morire di inedia per non avere l'onta di andare da postulante dove un tempo sarebbe forse passato da donatore. È possibile uscire da questa situazione? È pensabile che il nostro Paese alzi la testa e torni a fronte alta nel concerto delle nazioni, come la sua storia e la sua dignità politica imporrebbero? Occorrerebbe che si recuperasse quell'orgoglio nazionale, che, mettendo da parte la partigianeria dei clan, desse alla politica del Paese il senso del valore, prima che la spinta del potere. È un'Italia che solo gli italiani possono scegliersi, andando al voto in modo cosciente e critico, non già in modo routiniere e distratto. Occorrerebbe anche trovare il coraggio di Francesco, Francesco d'Assisi, che si spogliò di tutti i suoi beni terrestri, per conquistare la ricchezza assoluta della dignità: questa volta basterebbe che chi guida la barca si spogliasse dell'arroganza del potere e dall'ingordigia della ricchezza. Giacché non è però più epoca di santi, basterebbe che ciascuno facesse il proprio dovere per dare una spinta definitiva alla attualizzazione dell'antica parabola evangelica delle beatitudini: gli ultimi saranno i primi nel regno dei Cieli. Accorgersi in Italia oggi degli “ultimi” sarebbe da solo sufficiente per fare ripartire il Paese, per lo meno per ridargli la forza della dignità e l'orgoglio dell'identità, senza guardare al censo, al colore della pelle o agli orientamenti sessuali o religiosi. Non diventerebbe così certo l'Italia dei primi, ma non sarebbe sicuramente più quella degli ultimi, fermando la sua liquefazione e ricominciando la sua ricostruzione. Giovanni Puglisi