Leggi la newsletter di Storia in Rete n° 7 2002

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La newsletter di “Storia In Rete”
Anno II - n. 7 – 30 agosto 2002
A cura di Fabio Andriola ([email protected])
Sommario: 1) Falsi scoop (made in USA) su Fidel – 2) Berlino 1945, Stalin vince la
corsa all’atomica – 3) Germania - Repubblica Ceca: ancora polemiche per i Sudeti
– 4) Fiction tv: polemiche per due serial su Hitler – 5) Due tonnellate d’oro nazista
sono ancora in Spagna? – 6) Anni ‘70: per far pace con Pechino Nixon era pronto a
“mollare” Taiwan - 7) Eminenze grigie: il caso del dottor Ménétrel – 8) Ascari e
dubat: una vita – dimenticata – per l’Italia - 9) «La Brigata»: la storia segreta della
vendetta degli ebrei nel ‘45 - 10) Donne in guerra: due libri le raccontano sul fronte
interno –
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dalla stampa nazionale – su quanto si scopre e si dibatte nel mondo sui tanti temi del XX secolo. Quindici
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1) Falsi scoop (made in USA) su Fidel Castro
■ Ex comunista, stretto collaboratore di Gian Giacomo Feltrinelli, amico di Fidel Castro e profondo
conoscitore del regime castrista, ora Valerio Riva, editorialista de "Il Giornale", è passato da tempo
dall'altra parte della barricata. E non perde occasione per puntualizzare, rettificare, polemizzare con
quanti sono restati sul fronte opposto o, comunque, si interessano alla storia del comunismo, soprattutto
quello in versione sudamericana. Particolarmente interessante il commento di Riva alla recente
pubblicazione di "Inside the Cuban Revolution", un dotto e documentato saggio pubblicato dalla storica
statunitense Julia Sweig per i tipi della Harvard University Press e ampiamente annunciato dal quotidiano
"La Stampa" il 10 agosto scorso. Per l'opera della Sweig, Riva ha parlato di "revisionismo a comando,
verso il quale è lecito nutrire la più grande diffidenza". Parole dure che si spiegherebbero così: non è che
la Sweig abbia raccontato cose non vere ma semplicemente - ridimensionando il ruolo di Fidel Castro
come leader della rivoluzione contro il dittatore filo-Usa Batista - ha detto cose che già si sapevano da
oltre trent'anni. Infatti, i documenti che la Sweig dice di aver avuto in visione esclusiva direttamente dal
governo cubano, desideroso di mostrare in Occidente un volto più aperto, erano già disponibili da decenni
e non solo presso la "Oficina de asuntos historicos", fondata a Cuba dal futuro dissidente Carlos Franqui
con cui Riva, per conto di Feltrinelli e l'assenso dello stesso Castro, aveva progettato negli anni Sessanta
di scrivere "l'autobiografia" del leader di Cuba. Il progetto, poi abortito perché Castro cambiò idea,
produsse solo una imponente raccolta di documenti che Franqui provvide ad arricchire anche dall'esilio,
che dura a tutt'oggi, e che riuscì a riprodurre e a portare in Europa quando scappò da Cuba. Nel 1976
Franqui ha pubblicato in Francia, Spagna e Italia il suo "Diario della Rivoluzione cubana" dove molte
cose sgradite a Castro erano già scritte e documentate. Conclusione: «Franqui è stato il primo a portar via
da un Paese comunista un intero archivio di documenti, persuaso (a ragione) che il comunismo è il
peggior nemico della storia e del fare la storia - ha scritto Riva su "Il Giornale" del 14 agosto scorso -.
Venticinque anni più tardi un'impresa simile, ma molto meno sistematica, l'avrebbe tentata il signor
Vassilij Mitrokhin, archivista del KGB. Perché si aprisse (ma solo a un'allieva di Harvard molto
raccomandata) l'archivio che Franqui aveva creato all'Avana ci sono voluti 34 anni».
2) Berlino 1945, Stalin vince la corsa all’atomica
■ La volontà del presidente Usa F.D. Roosevelt di lasciare ai sovietici l’onore di entrare per primi a
Berlino alla fine della guerra mondiale potrebbe aver avuto risvolti non solo politici ma anche scientifici,
tutti a vantaggio di Stalin. E' quanto sostiene lo storico inglese Antony Beevor in un libro sulla conquista
della capitale tedesca da parte dell'Armata Rossa (pubblicato in Italia di Rizzoli), anticipato dal mensile
spagnolo "La aventura de la historia" nel suo numero di agosto. Pur dedicando molte pagine alla
ricostruzione documentaria delle sistematiche violenze sessuali inferte dai soldati di Mosca alle donne
tedesce, Beevor rivela anche che Stalin aveva altre ragioni, oltre a quelle della vendetta, per pretendere di
arrivare per primo a Berlino. Tra queste ragioni ci sarebbe stata anche la volontà di impadronirsi del
materiale radioattivo e degli studi avanzati che gli scienziati tedeschi avevano realizzato nel tentativo di
costruire, in tempo utile per capovolgere le sorti della guerra, la bomba atomica di Hitler. Secondo Beevor
esistono gli elementi per concludere sia che Mosca sapeva più di quanto in genere si pensi sul progetto
atomico statunitense (da qui la fretta di Stalin di appropriarsi di dati, materiale e "cervelli" tedeschi) sia
che i servizi segreti di Mosca sapevano molte più cose degli anglo-americani sullo stato avanzato della
ricerca atomica portata avanti dai nazisti.
3) Germania-Repubblica Ceca: ancora polemiche per i Sudeti
■ La questione dei Sudeti, la regione della Boemia-Moravia da cui furono espulsi tre milioni di tedeschi
alla fine degli anni Trenta e che offrì il destro a Hitler per invadere la Cecoslovacchia nel 1938, avvelena
ancora i rapporti tra Praga e Berlino. Nelle scorse settimane il ministro degli Esteri tedesco Otto Schily ha
chiesto al governo di Praga di annullare i cosiddetti "Decreti Benes" che, nel 1945, con l'aperto sostegno
delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, decisero la definitiva espulsione dal territorio
cecoslovacco e il sequestro dei beni della minoranza di lingua tedesca. L'atto di Schily è stato seguito da
un secondo intervento del presidente del Parlamento tedesco, Johannes Rau, che in visita a Praga ha
affrontato il problema col presidente ceco Vaclav Havel. Poi, la comune sventura dell'alluvione di agosto,
ha rimandato per il momento il problema. Che tornerà sicuramente ad affacciarsi nei prossimi mesi.
4) Fiction tv: polemiche per due serial su Hitler
■ Mentre in Italia RAI e Mediaset fanno a gara a chi metterà in onda per prima un serial su Papa Woytila,
la gara analoga tra l'inglese BBC e la statunitense CBS sta suscitando un vespaio di polemiche sulle due
sponde dell'Oceano Atlantico per via del soggetto scelto: Adolf Hitler. Per il prossimo novembre la CBS
prepara una miniserie dal titolo "Il giovane Hitler" con Ewan McGregor nei panni del futuro dittatore
nazista. La BBC ha invece optato per Robert Downey junior - da poco uscito dal carcere e disintossicato
dalla droga - per il suo "Max", una ricostruzione degli anni austriaci di Hitler dove l'attore John Cusack
farà la parte di un mercante d'arte ebreo che fu amico dell'aspirante pittore Adolf. Particolarmente critici
verso la doppia iniziativa i leader della comunità ebraica statunitense, supportati dalla critica televisiva
del "New York Times", Maureen Dowd.
5) Due tonnellate d’oro nazista sono ancora in Spagna?
■ Il Simon Wiesenthal Center di Los Angeles ha rilanciato la questione dell'oro che i nazisti avrebbero
fatto giungere segretamente in Spagna (come documentato da un lungo articolo del quotidiano “La
Stampa” e attualmente in home su «Storia In Rete» nella sezione “Enigmi del XX secolo”) durante la
Seconda guerra mondiale e che probabilmente era il frutto di furti e saccheggi perpetrati nell'Europa
occupata. Secondo gli esperti del Simon Wiesenthal Center la Spagna non era la destinazione finale dell’
oro e del denaro che i nazisti vi facevano pervenire e che invece erano diretti di preferenza verso il Sud
America. Ma nel caso di un carico d'oro di circa due tonnellate il viaggio si sarebbe bloccato tra
l'ambasciata tedesca a Madrid e il ministero dell'Economia del governo di Francisco Franco, retto nel
1945 da Emilio de Navasques. Ma il regista dell'operazione sarebbe stato lo stesso dittatore spagnolo, in
accordo col governo inglese cui però - stando ad una inchiesta del quotidiano madrileno "El Pais" sarebbero stati consegnati solo poco più di 50 chili d'oro. Il resto, secondo quanto emerso dalle indagini,
sarebbe rimasto in Spagna.
6) Anni 70: per far pace con Pechino Nixon era pronto a “mollare” Taiwan
■ Il tradizionale appoggio offerto dagli Usa alla Cina nazionalista di Taiwan avrebbe corso seri rischi di
essere bruscamente interrotto all'inizio degli anni Settanta durante la presidenza di Richard Nixon. Infatti,
da alcuni documenti recentemente desecretati negli Stati Uniti, è emerso che Washington era pronta a
sostenere le pretese della Cina comunista di Mao contro l'indipendenza di Taiwan. In particolare,
l'amministrazione Nixon si era impegnata col primo ministro di Pechino, Zhou Enlai, a ritirare dalla Cina
nazionalista i diplomatici che avevano mostrato una qualunque propensione a favorire e a sostenere
l'indipendenza di Taiwan. Il tutto serviva a preparare al meglio la visita di storica di Nixon a Pechino nel
1972.
In libreria:
7) Eminenze grigie: il caso del dottor Ménétrel
■ Il nome di Bernard Ménétrel dice poco anche agli storici, a meno che non siano degli esperti della
Francia durante l’occupazione nazista durante la Seconda guerra mondiale. E non c’è da stupirsi perché
questo giovane medico di neanche quarant’anni (era nato il 22 giugno 1906), medico personale e poi
anche segretario particolare di un monumento vivente della Francia della Terza Repubblica, il Maresciallo
Philippe Pétain, eroe della Grande Guerra, è a tutti gli effetti quella che si dice un’ “eminenza grigia”.
Ruolo – a metà tra il confidente, il factotum e il consigliere – che divenne assolutamente strategico
durante gli oscuri anni di Vichy, quando l’anziano Pétain venne chiamato a reggere le sorti della Francia
non occupata ma costretta a collaborare con i nazisti. Un passato che ancora imbarazza e appassiona la
Francia, che ebbe come protagonista la corte di Pétain all’interno della quale Ménétrel svolse un ruolo
fondamentale anche dopo la cattura da parte dei tedeschi dell’anziano maresciallo di Francia, confinato
nel castello tedesco di Sigmaringen, fino alla fine della guerra. Eppure l’americano Robert Paxyon, autore
della più nota storia di Vichy («Vichy – 1940-1944. Il regime del disonore», Il Sagggiatore, 1999) cita
Ménétrel solo due volte in oltre 400 pagine. Ora, a rimettere le cose a posto, ci prova il francese Bénédicte
Vergez-Chaignon che pubblica da Perrin «Le docteur Ménétrel. Eminence grise et confident du maréchal
Pétain» (pp. 410, € 22.70), uno studio che si basa su testimonianze e documenti inediti e che ricostruisce
il modo in cui Ménétrel, a differenza di altri, passò quasi indenne la bufera dell’epurazione per morire – a
soli 41 anni - comunque, improvvisamente, nel 1947 in un incidente d’auto. Una fine che ha fatto molto
chiacchierare e ipotizzare scenari in linea con l’ambiguità del personaggio ma a cui Vergez-Chaignon non
mostra di credere troppo.
8) Ascari e dubat: una vita – dimenticata – per l’Italia
■ Sarà in libreria a fine settembre, edito da Mondadori, il libro "Squadrone bianco" di Domenico Quirico
(17 euro), la storia affascinante e rimossa delle decine di migliaia di arabi e africani che tra la fine
dell'Ottocento e la Seconda guerra mondiale combatterono nelle fila del Regio Esercito, sotto la bandiera
italiana. I soldati indigeni, raggruppati per lo più nelle formazioni degli ascari (eritrei) e dei dubai
(somali) rappresentarono una realtà sostanziosa per le forze armate italiane: nel 1940 il Regio Corpo
Truppe d'Africa inquadrava circa 100 mila ascari. Addirittura, sottolinea Quirico, Mussolini pensava ad
un "esercito nero" che in un futuro avrebbe dovuto incaricarsi da solo della difesa dell'impero coloniale di
Roma. Non andò così. Anzi, il silenzio ha coperto il sacrificio di migliaia e migliaia di libici, somali,
eritrei, yemeniti, sudanesi che morirono, da Adua a Cheren, per l'Italia.
9) «La Brigata»: la storia segreta della vendetta degli ebrei nel ‘45
■ Prima di dar la caccia ai nazisti in tutto il mondo, alcuni ebrei che avevano militato nella brigata di
volontari della Palestina, inquadrata nelle forze inglesi impegnate nella campagna d'Italia tra il 1943 e il
1945, pensarono di farsi giustizia rapidamente, soprattutto dopo aver appreso degli orrori che si erano
consumati nei lager nazisti. Il giornalista e saggista statunitense Howard Blum ha dedicato a questa
vicenda il suo ultimo libro che "Il Saggiatore" manderà in libreria a partire dal prossimo 10 settembre:
"La Brigata" (pp. 288, € 17,50). Le tragiche vicende della vendetta ebraica sui tedeschi nell'immediato
dopoguerra non sono una verità assoluta: ne hanno già parlato John Sack in «Occhio per occhio»
(Baldini&Castoldi, 1995) e Rich Cohen nel mai tradotto in italiano «The avengers» (cioé "I vendicatori"),
pubblicato nel 2000 dall’editore inglese Jonathan Cape. Sempre nel 2000 la tv statunitense PBS aveva
trasmesso il documentario «In our own hands: the hidden story of the Jewish Brigade» ("Nelle nostre
mani: la storia segreta della Brigata Ebraica") in cui si documentava l'esecuzione sommaria di almeno 125
ex appartenenti a SS e Gestapo da parte di uomini della Brigata sciolta dal ministero della Guerra di
Londra nel 1946. Si è sempre saputo che molti di quegli uomini parteciparono attivamente alla
costituzione dello Stato di Israele e alle guerre contro gli arabi. Quello che Blum - che si è basato su
interviste e memorie dei protagonisti - aggiunge nel suo libro è che gli ex soldati si organizzarono anche
per raccogliere gli orfani ebrei trovati in Europa e a trasportarli in Palestina.
10) Donne in guerra: due libri le raccontano sul fronte interno
■ Molte donne americane furono contrarie all’ingresso degli USA nella Seconda Guerra Mondiale,
arrivando a protestare a migliaia davanti alla Casa Bianca. Ma altre madri, compagne, sorelle e figlie di
potenziali soldati la pensavano diversamente: in «Our War Too – American Women Against the Axis»
(University Press of Kansas, pp. 248, $ 35, in uscita a fine settembre 2002) la storica Margaret PatonWalsh, docente presso l’università di Washington, concentra su questa fetta di opinione pubblica
statunitense la propria attenzione, ricostruendo le vicende di alcune donne convinte che l’intervento
americano in guerra fosse assolutamente necessario. E per esserlo non attesero l’attacco giapponese di
Pearl Harbour nel dicembre 1941: già nel 1935, con l’ascesa del nazismo in Germania e di altri
movimenti fascisti in Europa, parte dell’opinione pubblica USA iniziò a guardare con preoccupazione a
quanto accadeva dall’altra parte dell’Oceano Atlantico. La ricerca della Paton-Walsh copre infatti il
periodo che va dal 1935 al 1941, un periodo che vide una grande attività di gruppi femminili, più o meno
informali e più o meno organizzati, decisi a “difendere la libertà” ovunque e comunque. Al centro del
dibattito c’erano quindi sia la polemica col movimento isolazionista sia verso alcune leggi come il
“Neutrality Act”. Un saggio decisamente in controtendenza quello della Paton-Walsh visto che in genere
la storiografia si è concentrata soprattutto sullo studio del pacifismo femminile in quegli anni.
In «Wartime Women» (appena pubblicato in Gran Bretagna da Dorothy Sheridan, pp. 288, £. 8.99) invece
si ricostruisce l’atteggiamento delle donne inglesi negli anni del secondo conflitto mondiale attraverso
un’antologia di scritti e interviste raccolte nell’ambito di un mega progetto sociologico e storico messo a
punto fin dal 1937 con lo scopo iniziale di registrare la vita quotidiana in Gran Bretagna. In pochi anni,
con l’evolversi della situazione politico-militare, il progetto mutò in parte ragione sociale ma non si
fermò: ed è negli archivi del “The Mass-Observation organization” che la Sheridan ha attinto a piene
mani per scrivere questo libro esaltato dalla stampa inglese.
La frase: «Ecco le tentazioni della storia. Vorremmo sapere se quella gente ha amato con la nostra intensità
e che differenza c’era tra le loro e le nostre passioni»
Gustave Flaubert
(da «Attraverso i campi e lungo i greti»)
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