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LIMES, RIVISTA ITALIANA DI GEOPOLITICA
pubblicato il 17/1/ 2008 su http://www.limesonline.com
SAHEL, UN'ALTRA FRONTIERA
MILITARE PER GLI STATI UNIITI
di Alessandro Massacesi
La Pan Sahel Initiative e la Trans Saharan Counter Terrorism Initiative, volute da
Washington contro il terrorismo islamico, sono sfruttate dagli Stati della regione per
combattere i ribelli antigovernativi. I tanti gruppi armati rivendicano soprattutto
democrazia ed equità, l’Occidente invece vuole sfruttare le materie prime dell’Africa.
N
el 2002 il dipartimento di Stato americano,
in seguito alla proclamazione della lotta al terrorismo su scala globale promossa dalla nuova
amministrazione Bush, ha istituito la Pan Sahel Initiative1, un accordo militare con Niger,
Mali, Mauritania e Ciad nell'Africa Occidentale, per limitare l'espansione dei gruppi
terroristi islamici nel deserto sahariano e rafforzare i governi dell'area nel controllo dei propri
confini.
Sullo stesso territorio la Francia ha sempre giocato un ruolo economico, politico e
militare dominante. L’accordo francese di sostegno e cooperazione militare sottoscritto con i
paesi dell’ex Africa Occidentale Francese (AOF) stabilisce lo scambio informativo e tecnico
e l’assistenza alla formazione militare. Tale accordo è precedente ad ogni altra iniziativa
militare nell’area saheliana e sahariana. Apparentemente, l’ingresso dell’organizzazione
militare statunitense all’interno di un’area geo-politica prevalentemente orbitante attorno a
Parigi è un’operazione dagli obiettivi funzionali alla lotta al terrorismo: in realtà, già negli
anni Ottanta la presenza statunitense in Ciad rappresentava l’idea della politica di
contenimento dell’iniziativa sovietica e libica nella regione. Attualmente l’iniziativa francese
e quella statunitense non sembrano competere tra loro, anzi dai risultati ottenuti le iniziative
sembrano strumentali e complementari, finalizzate comunque al mantenimento dell’influenza
occidentale nell’Africa del nord e occidentale; nuova è però la presenza dell’esercito inglese
1 L’ iniziativa Pan-saheliana è un accordo di cooperazione militare tra Stati Uniti, Mauritania, Mali e Niger per il
controllo delle frontiere, la sicurezza interna e la lotta al terrorismo, rientrante nel quadro della Guerra Globale al
Terrorismo voluta dall’amministrazione Bush e realizzata dal Dipartimento della Difesa e dal Comando Militare
Americano per l’Africa con sede in Europa.
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che opera al fianco delle truppe statunitensi. Gli obiettivi della Pan Sahel Initiative (PSI)
sono la lotta al terrorismo, il controllo diretto del territorio e quello delle risorse presenti
nell'area; sono gli stessi obiettivi e gli stessi strumenti utilizzati nel resto del mondo dalle
forze anglo-americane per sedare rivolte e reprimere il terrorismo.
Nella PSI è presente però l’idea di rafforzare, più che di capovolgere, i governi della
regione per ergere un muro contro il proselitismo di agguerriti gruppi terroristi e sostenere la
cooperazione economica e umanitaria a favore dei regimi vigenti. L’iniziativa americana si
inquadra nella lotta ai conflitti asimmetrici e al terrorismo, e si realizza con interventi
operativi diretti e con l’addestramento e il sostegno militare agli eserciti regolari da parte
delle truppe militari statunitensi guidate dal comando americano per l’Africa con sede in
Europa.
La lotta al terrorismo salafita e ai conflitti asimmetrici è stata ribadita nella successiva
iniziativa chiamata TSCTI2, ampliata e rivisitata nel 2004: questa rappresenta una continuità
con l’iniziativa precedente e mette in relazione una serie di attività illecite promosse da
bande armate e gruppi di ribelli locali con il terrorismo. L’iniziativa francese ha l’obiettivo
di mantenere sotto la propria influenza alcuni dei principali paesi dell'area facendo leva su
iniziative di cooperazione post-coloniale e sostenendo il maggior sforzo economico per la
regione in seno alle Organizzazioni Internazionali. L’impegno militare di Parigi è stato messo
in discussione dall’escalation dei conflitti locali e da una sorta di rifiuto da parte di alcuni
governi di ricevere sostegno dall’ex-potenza coloniale: la Francia è stata accusata da più
parti di negare la strada e l’opportunità di una vera indipendenza politica ed economica ad
alcune ex-colonie dell’area e di avere agevolato alcuni regimi militari, favorendo per i propri
interessi molti colpi di Stato. L’attuale presenza militare francese in Burkina Faso e
soprattutto in Costa d’Avorio, inoltre, assieme alle precedenti esperienze negative in Ciad ed
Algeria, hanno impedito negli ultimi anni un rafforzamento negli altri paesi della regione. Da
qui l'esigenza dei governi saheliani di colmare quel vuoto, stabilendo nuove alleanze globali
2 TCTI – La Trans Saharan Counter Terrorism Initiative. E’ un accordo politico militare sottoscritto nel 2004, che
allarga lo spazio d’azione geografico della precedente PSI includendo oltre alla Mauritania, Mali e Niger, anche Ciad,
Algeria e Nigeria, aumentando le regole d’ ingaggio delle truppe statunitensi, ma mantenendo sostanzialmente gli stessi
obiettivi dell’Iniziativa precedente.
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che non entrino nel merito della politica domestica e non giochino sul dissenso interno al
fine di premere sulle iniziative governative; il terrorismo rappresenta il pericolo più
importante per ampia parte dell'Africa, oltre che per gli stessi Stati Uniti.
Gli attentati degli ultimi anni in Algeria e Marocco sono stati attribuiti alle cellule
salafite del GSPC, che dall’Algeria3 si sono infiltrate nella regione al confine tra Algeria,
Mauritania, Mali e Niger, tra deserti e montagne.
Le popolazioni del deserto che vivono tra Algeria, Niger e Mali
Nel Sahel molti fattori concorrono all’instabilità: su tutti, il conflitto generato dalla
mobilità dei popoli nomadi del deserto contrapposta alla rigidità dei confini stabiliti dalle
vecchie amministrazioni coloniali e dai successivi Stati indipendenti. Esempio lampante il
popolo Saharawi, che lotta per l’indipendenza dal Marocco, e quello delle altre componenti
arabe dei Saharawi come i Reguibat - presenti in Algeria e Mauritania - che dagli anni
Sessanta ad oggi costituiscono il maggior numero di profughi presenti nell’area tra la
Mauritania, l’Algeria ed il Sahara Occidentale. Oasi una volta poco abitate e sperdute nelle
dune del deserto come Tindouf si sono trasformate in distese di tende a perdita d’occhio. I
campi profughi sono immense tendopoli organizzate dalle Nazioni Unite che ospitano in
condizioni disagiate migliaia di Saharawi, limitandone lo spostamento. I paesi circostanti li
hanno sradicati dalla loro economia di sussistenza ed attualmente la maggioranza di essi vive
solo degli aiuti umanitari.
Altri campi profughi sono quelli dei popoli berberi dei Tuareg, sorti in Burkina Faso e
Mali successivamente alla rivolta Tuareg degli anni Ottanta e Novanta, dove pare abbiano
trovato rifugio quasi seicentomila Tuareg. Il problema dei profughi fu reso oltremodo
difficile dall’assenza di cittadinanza dei profughi stessi. Dopo il 1986
l’Algeria (circa
quindicimila Tuareg furono espulsi dal Paese), il Mali e il Niger, non concedendo i dovuti
documenti per identificare i profughi, negarono loro il diritto di cittadinanza e di
3 In seguito alla politica di pacificazione nazionale voluta dal Presidente algerino molti terroristi sono stati liberati
grazie all’ indulto. Tra questi molti estremisti vicini al GIA invece di rifugiarsi nelle loro roccaforti del nord-est del
Paese, hanno scelto di rimanere nel sud, dove erano rinchiusi nei campi di prigionia.
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conseguenza contribuirono a svilupparne l’identità nazionale, identificata nelle terre di
origine del deserto ora divise dai confini degli Stati.
Uomini senza cittadinanza nell’epoca contemporanea che si riconoscevano in una sola
Patria abitata dai loro padri: il deserto da cui dovevano fuggire. Il sovraffollamento nei
campi e la migrazione interna verso le periferie urbane hanno provocato un’emarginazione e
una povertà senza precedenti tra i popoli del Sahara, i quali nella maggior parte dei casi
hanno mantenuto un legame nostalgico con l’epoca pre-coloniale della libertà, senza
identificarsi nei nuovi Stati indipendenti. Queste popolazioni non hanno beneficiato delle
richieste di autonomia amministrativa e, in molti casi, del rimpatrio verso le terre di origine.
La mancanza di assistenza medica ed alimentare, necessaria per far fronte alle
emergenze provocate dalla siccità, dalla guerra e dallo sfollamento ha generato un malessere
diffuso e la costituzione di gruppi della resistenza armata, i quali nei primi anni Novanta
hanno iniziato un'offensiva contro i governi nazionali, che li accusano di non riconoscere i
confini, di non volersi adeguare alla modernità e di essere nostalgicamente legati ad una
cultura radicata al di là del tempo, condita di velleità indipendentiste. Tutto questo ha
provocato una lunga guerra che è terminata nell’accordo di Algeri nel 1995 per il Mali ed in
quello di Ouagadougou per il Niger.
Ma le problematiche interne alla regione non sono state risolte definitivamente, e
molti movimenti armati non hanno mai ceduto le armi, ritenendo disattesi gli accordi
precedentemente stabiliti che prospettavano un maggior decentramento amministrativo, una
maggiore rappresentanza dei popoli del deserto nei governi locali e nazionali ed il sostegno
economico necessario per far fronte alla dura vita del deserto attraverso una più equa
distribuzione dei proventi delle risorse minerarie presenti nell’Air (Niger) e nell’Adrar des
Iforhas (Mali).
La povertà diffusa rappresenta nei Paesi del Sahel uno degli ostacoli allo sviluppo
democratico. L’assenza di una reale rappresentanza dei popoli - in special modo delle
minoranze - in seno ai governi, il ruolo determinante dell’esercito e la presenza di élite
radicate negli alti vertici dello Stato hanno prodotto instabilità, corruzione e regimi autoritari.
Le popolazioni civili già stremate dalla fame e sottoposte ad un cambio delle abitudini
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sociali in cui la pastorizia, l’allevamento e il nomadismo (una volta risorse economiche oltre
che culturali di molti popoli dell’area) sono state abbandonate dai più giovani nel tentativo di
emigrare in Europa, hanno abbandonato l’economia tradizionale infoltendo la nuova classe di
emarginati urbani.
La consistente presenza di alcune minoranze, ancora fortemente legate al proprio
territorio e alla preservazione dei propri usi e costumi, ha determinato in alcune aree un
arroccamento culturale e politico più forte. E’ il caso delle popolazioni Tuareg del nord del
Niger, concentrate nel massiccio montuoso dell’Air e nella vasta pianura dell’Azawagh oltre
che dei Tuareg del Mali presenti nell’Adrar des Iforhas.
L’attività politica e militare di alcune organizzazioni concentrate in queste aree ha
determinato negli anni passati una forte resistenza contro i regimi di Bamako e di Njamey,
mettendo in pericolo la pace e le popolazioni civili. Le prime attività della Pan Sahel
Initiative e della successiva Trans Saharan Counter Terrorism Initiative hanno riguardato
proprio queste aree.
Il motivo, denunciano le autorità statunitensi, è la presenza nelle aree desertiche e
montuose al confine tra Mauritania, Mali, Algeria e Niger, delle cellule terroriste legate al
GSPC: obiettivo prioritario è dunque la caccia agli integralisti islamici che compiono
attentati nelle grandi città del nord Africa e operano per destabilizzare la regione sahariana.
L'operato di PSI e TSCTI segue due direttrici che hanno in comune l’obiettivo di reprimere
ogni iniziativa operante contro l’azione militare americana e governativa, al fine di
riaffermare la stabilità in un’area non facilmente controllabile, date le dimensioni e le
caratteristiche del territorio.
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Fig. 1 – Accordi militari tra Stati Uniti e Paesi dell’area saheliana
Le due linee di sostegno concordate all’interno della PSI e della TSCTI si concretano
in una presenza militare statunitense nell’area (apertura di basi militari e dei servizi segreti) e
in finanziamenti ai governi locali finalizzati all’addestramento delle truppe e al rafforzamento
della sicurezza interna. L’iniziativa saheliana si spinge ben oltre i confini stabiliti
dall’operatività antiterroristica, occupandosi del diritto alla sicurezza interna degli Stati Uniti
e dei Paesi coinvolti. Ogni questione riguardante la sicurezza e la stabilità è stata risolta
politico-militarmente all’interno della PSI e della TSCTI.
I governi del Mali e del Niger, da sempre alle prese con le componenti agguerrite dei
popoli del deserto e con un complesso sistema etnico, composto da numerose minoranze
vessate dalla povertà e da un sistema politico che sembra non rispondere mai alle esigenze
locali, hanno colto l’opportunità per appropriarsi delle risorse finanziarie opportune al fine di
far cessare - in molti casi reprimendole - le istanze di gruppi di ribelli presenti al loro interno.
Grazie all’intervento di alcuni capi tradizionali - personalità simbolo del dialogo e
della società civile ma anche rappresentanti autorevoli delle minoranze (come Mano Dayak
tra i Tuareg, successivamente morto in un sospetto incidente aereo) - con l’impegno di
Algeria e Libia (dove i popoli del deserto hanno goduto di una relativa rappresentanza ed
autonomia a differenza di quelli di Niger e Mali) e con il sostegno delle Nazioni Unite, si
arrivò ad un accordo di pace che prevedeva una serie di iniziative (sostegno per la lotta alla
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povertà, autonomia amministrativa ed economica oltre al rispetto dei diritti umani da parte
delle forze armate e all’integrazione al proprio interno dei gruppi di ribelli armati) a favore
delle popolazioni civili e delle minoranze, che fu siglato nel 1995. Poco del contenuto di
quegli accordi è stato realizzato, fornendo ai gruppi più oltranzisti un sicuro supporto alla
ripresa dei combattimenti. Dopo l’11 settembre, gli strumenti per ristabilire la pace sono del
tutto cambiati: la lotta al terrorismo ha sostituito ogni approccio alternativo nei confronti dei
conflitti locali sia in Africa che in Medio Oriente, soprattutto quando le insurrezioni armate e
l’irredentismo di alcuni popoli mettono a repentaglio il complesso sistema di equilibri locali
e globali.
Valutare con chiarezza i risultati della PSI e della TSCTI non è quindi facile.
La situazione in Mali e Niger
Gli obiettivi della Trans Counter Terrorism Initiative spostano l’iniziativa militare
non più solo contro la lotta al terrorismo ma, appellandosi all’applicazione dei contenuti
previsti dalla PSI, si rivolgono anche alla lotta al banditismo, alle ribellioni armate e al
traffico clandestino, offrendo uno strumento di controllo e di maggiore sicurezza interna ai
governi della regione. Il problema rimane però l’inconsistente tessuto democratico di alcuni
di questi paesi, i quali aggiungeranno alla loro ricerca di stabilità una buona dose di
autoritarismo, cogliendo l’opportunità di sedare ogni conflitto pregresso. Le forze della
resistenza Tuareg e altri movimenti politici e organizzazioni militari antigovernative non
intendono però lasciare spazio a questa offensiva.
La preponderante preferenza accordata dall’amministrazione Bush all’azione militare
ha annullato ogni attività diplomatica e diminuito di molto la presenza delle organizzazioni
umanitarie. Proprio per questo i risultati positivi che portarono agli accordi di pace sono oggi
assolutamente lontani: l’assistenza umanitaria internazionale delle ONG è stata allontanata a
causa dell’inasprirsi dei conflitti e sostituita nel suo operato addirittura dal Dipartimento
militare americano che, per attirarsi simpatie tra le popolazioni civili, ricopre il ruolo allo
stesso tempo di forza operatrice militare e di assistenza umanitaria, qualcosa di molto simile
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a quanto accade in Afghanistan e Iraq.
L’assenza di clausole che stabiliscano nella PSI e nella TSCTI l’attuazione di
politiche democratiche da parte dei governi locali attesta il carattere meramente militare delle
stesse. Il problema è rappresentato bene dalla scelta del governo nigerino di non riconoscere
sul proprio territorio l’attività di gruppi ribelli come l’MNJ (il Movimento del Niger per la
Giustizia composto prevalentemente da Tuareg e da altre minoranze del nord e dell’est del
paese) che vengono invece definiti come “banditi dediti al contrabbando di armi e di
droghe”, oltre che ricevere spesso l’accusa - infamante ma ormai ricorrente - di essere
coinvolti nel traffico di esseri umani che attraversa le rotte trans-sahariane.
L’amministrazione americana si è però presto accorta che almeno in Mali il controllo
militare nell’area saheliana è molto difficile senza il supporto di alcuni capi tradizionali
Tuareg che abitano da millenni questo territorio e che ne conoscono ogni luogo; sono stati
quindi coinvolti i reparti militari Tuareg, rimasti all’interno dei ranghi dell’esercito regolare e
sono stati re-inquadrati alcuni gruppi di ribelli, promettendo un reinserimento nell’esercito e
una sorta di indulto per la precedente diserzione 4. Attraverso questa strategia i vertici militari
statunitensi hanno cercato di stabilire un confine tra coloro che supportano l’iniziativa
militare contro il terrorismo e chi continua ad operare senza inquadrarsi nei ranghi militari
regolari, ergendo di fatto un muro tra coloro che collaborano alle azioni militari e coloro che
si rifiutano.
La stretta politica nei confronti delle organizzazioni di ribelli mira all’accusa di
complicità con i gruppi di terroristi del GSPC; molte testate giornalistiche anglosassoni ed i
report delle organizzazioni militari sostengono che sia utile, per sconfiggere il terrorismo,
un’indistinta repressione militare contro i ribelli Tuareg “non allineati”, fornendo le prove di
una collaborazione tra le organizzazioni della resistenza Tuareg e le cellule dei terroristi del
GSPC nei traffici di armi, droghe ed esseri umani al confine tra Mali, Algeria e Niger. Le
agenzie di informazione internazionali presenti nella regione come l’IRIN e Reporters Sans
Frontières sono invece piene di notizie su ciò che è accaduto dal 2002.
In particolare si parla di scontri sia nel nord del Niger che del Mali, in cui le
G. Olimpio, "Arruolati tremila Tuareg, daranno la caccia ad Al Queda", Corriere della Sera,
25.02.2007
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organizzazioni della resistenza Tuareg si sono trovate più volte in conflitto sia con i terroristi
salafiti del GSPC che con le truppe governative. Nello scorso mese alcuni reporter
indipendenti sono stati oggetto di arresti arbitrari da parte delle autorità nigerine mentre
erano nell’area di Agadez; molti turisti che si recano sull’Air o si avventurano nel Tenerè
vengono rapiti dall'MNJ.
Fig.2 Popoli nomadi, Movimenti di ribellione, campi del GSPC, profughi e basi militari.
Infiltrazioni misteriose, sequestri guidati, controllo del territorio
La morsa stretta attorno all’MNJ in Niger e all’MPLA in Mali (oggi composto da una
rete di organizzazioni combattenti e politiche che vanno sotto il nome di Unione dell’Azawad
la cui rappresentanza politica è delegata all’Alliance Democratique pour le Changement)
pare essere stata controproducente nell’operazione di liberazione dei 32 turisti rapiti nel
corso del 2003 dai terroristi del GSPC nel sud dell’Algeria sulle montagne del Tassili
Ahaggar. I “soliti noti” del terrorismo islamico salafita nordafricano erano riusciti, in più di
un’operazione di sequestro a rapire gruppi di turisti. Le autorità avevano accusato dei
sequestri anonimi criminali. Tutti europei (tedeschi, austriaci e olandesi), i turisti erano caduti
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nelle mani di un gruppo di appartenenti al GSPC guidato da Hassan Hattab. Si tratta di
estremisti islamici algerini, arruolati da vari paesi del Nord Africa, che hanno rotto anche con
il GIA. In quella che oggi viene definita agli esperti militari “zona grigia”, si susseguono
sequestri e traffici da parte di organizzazioni che vagano nel deserto e che si proteggono
passando i confini da una parte all’altra o nascondendosi in un ambiente ostile. Certamente
molte di queste organizzazioni sono collegate al GSPC, che in questo spazio ha deciso di
stabilirsi per supportare attentati e compiere l’addestramento dei propri proseliti. Le basi
delle organizzazioni armate autonomiste della Regione (MNJ e FAR in Niger, MPLA e
Union de L’Azawad, MJDT in Ciad) si trovano nello stesso territorio.
Le grandi organizzazioni criminali (da quelle nord africane a quelle con sede in
Nigeria), inoltre, si appoggiano a gruppi di trafficanti locali che conoscendo il territorio
guidano sulle rotte transahariane i traffici di droga, armi ed esseri umani. Queste numerose
presenze che si aggirano come fantasmi nelle aree meno abitate del pianeta fanno apparire il
Sahara una bomba ad orologeria, pronta ad esplodere e pervasa di un’aurea misteriosa. E’
possibile che questi fenomeni abbiano destato l’interesse occidentale in special modo dopo
l’11 Settembre?
Tutto ebbe inizio nel febbraio del 2003, quando un gruppo di turisti era stato dato per
disperso nell’area tra Tamanrasset e Djanet5; in quell’occasione per circa tre mesi l’esercito
algerino, coadiuvato dai servizi segreti americani, francesi e tedeschi, non era riuscito a
ritrovare i rapiti. Durante un intervento armato dell’esercito che portò alla liberazione del
primo gruppo di turisti, le autorità algerine denunciarono che il rapimento era stato realizzato
da cellule terroriste del GSPC. Nonostante la rete satellitare, l’immensità del deserto e delle
montagne a cavallo tra Algeria, Libia, Niger e Ciad non permetteva di liberare altri turisti
rimasti nelle mani dei terroristi; quando, seguendo il buon senso, sono state avviate le
trattative con alcuni capi tradizionali e notabili Tuareg per permettere un sostegno alle
ricerche in un territorio sicuramente molto conosciuto da loro e sono intervenuti alcuni
gruppi della resistenza armata Tuareg, i convogli dei restanti rapiti sono stati individuati. Da
questo momento in poi le dichiarazioni ufficiali e le supposizioni fatte dagli organi di
5 “Algeria Blitz dell’esercito liberati 17 turisti”, La Repubblica,
14 maggio 2003.
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informazione divergono. Alcuni affermano che i terroristi salafiti guidati da Ammari Saifi,
conosciuto come "Abderrazak El Parà”, una vecchia conoscenza dei servizi segreti algerini,
dopo aver liberato i turisti in Mali nelle mani dei Tuareg, si sono diretti verso il Niger, ma
sono caduti in un’imboscata dei ribelli del MJDT nel nord del Ciad, che li hanno consegnati
al governo libico. Saifi, secondo i servizi segreti algerini autore di tutti i rapimenti nella
regione e capo del GSPC, è in realtà un ex colonnello dell’esercito algerino, considerato
l’anello di congiunzione tra il GSPC ed Al Qaida. Un'altra versione afferma che “El Parà”
potrebbe rappresentare la lunga mano dei servizi segreti di Algeri nel Sahara, e che in realtà
egli era autore del rapimento di un gruppo di turisti e non di tutti i turisti rapiti tra il febbraio
ed il marzo 2003.
Attualmente nelle carceri algerine, “El Parà” afferma che sua intenzione era operare
contro l’esercito regolare a vantaggio dei movimenti islamisti algerini, facendo leva sul
supporto di popolazioni locali molto povere e pianificando matrimoni tra i suoi uomini e le
donne Tuareg, prendendo per fame i Tuareg stessi offrendo loro denaro in cambio di
informazioni sulle piste del deserto. I turisti da parte loro hanno rilasciato dichiarazioni
contrastanti. per alcuni il capo dei rapitori sembrava non conoscere neanche il francese tanto
da rivolgersi agli altri terroristi solo in arabo, secondo altri questo era sicuramente
Abderrazak El Parà. E' quasi impossibile sapere con certezza la verità: certamente Algeri
prima ha dichiarato che il capo dei terroristi era morto in un conflitto a fuoco con l’esercito,
poi (a fine 2003) di averlo nelle proprie mani. Un’ultima versione denuncia il pagamento di
un riscatto per la liberazione dei turisti nelle mani dei terroristi da parte del governo tedesco
per il valore di circa un milione di dollari per ogni turista rilasciato. A chi è andato tutto quel
denaro? I servizi segreti affermano che potrebbe servire a El parà e ai suoi uomini per recarsi
nel nord del Niger ad acquistare armi di ogni sorta, financo quelle di distruzione di massa.
Tutto questo mentre i guerriglieri Tubu e Teda dell’MJDT (Movimento per la Giustizia e la
Democrazia nel Tchad) dichiaravano di aver catturato El Parà ed alcuni suoi uomini nel
nord del Ciad, dove altri affermavano che invece El Parà era caduto in un’imboscata
dell’esercito regolare maliano. In un reportage della televisione France 2, il giornalista
Patrick Forestier dimostrava come i rappresentanti dell’ MJDT nelle cui mani era caduto
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Abderrazak, tra il giugno 2003 e il maggio 2004, chiedessero alle autorità ciadiane il
riconoscimento della guerriglia della resistenza antigovernativa in Ciad, minacciando il
governo e l’Algeria di rendere noto il contenuto di un’agenda di numeri e contatti
internazionali in loro possesso e di proprietà di “El Parà”6.
Da quel momento l’amministrazione Bush, i think tank e gli analisti hanno
moltiplicato i loro sforzi per dimostrare che il legame tra i terroristi salafiti del GSPC e Al
Qaida sia avvenuto tramite mandanti locali. E’ risaputo che dietro ai movimenti della
guerriglia del deserto sin dagli anni Settanta c'è Gheddafii: i ribelli infatti, coadiuvati dalla
resistenza Tuareg messasi anch’essa alla ricerca di “El parà”, hanno pensato di consegnare
alla Libia l’ingombrante e misterioso Saifi.
L’accusa che alcuni media indipendenti locali fanno ai giornalisti e alle autorità
europee, statunitensi e algerine è quella di aver speculato sull’identità de rapitori, sul riscatto
e sulle localizzazioni degli stessi, oltre che sulle operazioni militari, in quanto una certa
disinformazione
o
enfatizzazione
degli
accadimenti
avrebbe
attirato
l’attenzione
dell’opinione pubblica, facendo la sponda a operazioni per assicurarsi il controllo militare
dell'area, a scapito della ricerca della verità. Gli esperti di terrorismo hanno così continuato a
denunciare la minaccia integralista e l’infiltrazione di Al Queda, ma né le autorità giudiziarie
algerine né quelle europee hanno avviato indagini serie sull’accaduto: il sospetto è che i due
gruppi di turisti siano caduti nelle mani di due gruppi differenti di rapitori e che per questo
siano stati sequestrati e liberati in due momenti diversi ed in aree differenti. Uno dei due
gruppi era probabilmente riconducibile alla cellula di Abderrazak El Parà, mentre un altro
rimane ancora misterioso. In entrambe le ipotesi però appare evidente che i ribelli nigeriani,
maliani e ciadiani siano del tutto estranei a queste operazioni e che evidentemente trovatisi
nel centro delle speculazioni e delle azioni militari dell’una e dell’altra parte, abbiano
ricoperto un ruolo di mediazione o di collaborazione al fine di scollarsi dalle accuse di
connivenza con gli integralisti e di far scendere a patti i governi.
La Libia è un altro tassello mancante: Gheddafi, ritenuto a torto o a ragione un
protettore del popolo Tuareg (negli anni Ottanta ha ospitato molti rifugiati Tuareg provenienti
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Salima Tlemcani, “Le casse-tete El Parà”, El Watan, 11 settembre 2004.
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dal Niger e dal Mali, ma li ha anche inseriti nella legione islamica mandandoli a combattere
in Afghanistan e in Libano) ha più volte dichiarato la sua stima e la sua protezione nei
confronti di questo popolo, il quale pare esserne riconoscente. Nel caso delle trattative
intraprese nel 2006 e 2007 con il meno intransigente governo maliano, il colonnello ha
realizzato l’unica iniziativa diplomatica per il cessate il fuoco: una delegazione di capi
tradizionali Tuareg libici ha trattato con il capo di Stato maliano Amadou Toumani Touarè.
Nel giugno del 2006 una riunione di capi tradizionali Tuareg maliani ha
espressamente concesso il titolo di Anastafidet al leader libico, che si è recato
successivamente ad un incontro con il Touarè per parlare della regione di Kidal e dei gruppi
armati di Tuareg. In Mali vivono circa quattrocentomila civili Tuareg (pari al 6% della
popolazione) concentrati nelle tre regioni del nord: Gao, Timbuctù e Kidal. Le negoziazioni
hanno portato ottimi risultati a detta dei leader delle organizzazioni armate Tuareg presenti
attualmente in Mali, composte da tutti vecchi comandanti dell’ultima ribellione degli anni
Novanta, come il colonnello Fagaga, vecchio leader del Mouvement populaire de Liberation
de l’Azawagh, Ibrahim Bahanga, anche lui anziano combattente dell’MPLA e secondo Bah
Moussa, un vecchio comandante del battaglione militare di Menaka.
Tutti erano stati reintegrati nell’esercito maliano alla fine degli anni Novanta ma a
causa dell’emarginazione e dei disattesi accordi con il governo maliano hanno ripreso le
armi. La questione è in realtà più complessa dal momento in cui la stretta governativa e
l’iniziativa americana hanno posto in essere un sistematico controllo dei confini e dei territori
circostanti. Molti gruppi armati di ribelli Tuareg non hanno accettato che sul loro territorio si
stabilisse un numero superiore di militari e si operasse per limitare le attività transfrontaliere
lecite ed illecite in un’area dove essi hanno vissuto isolati sul loro territorio e godendo, nella
prassi, di una certa libertà di spostamento. I ribelli non accettano il mancato riconoscimento
dell'autonomia politica ed economica e l’assenza di un adeguato sostegno per far fronte alle
siccità.
La sollevazione degli anni Novanta ha portato alcuni di loro al controllo del territorio
ed è proprio attraverso questo controllo del territorio che si sono saldate la rivendicazione
politica e un’autonomia economica derivata dal controllo dei traffici nelle aree di confine.
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La conoscenza delle rotte del deserto e la loro presenza millenaria hanno certamente
favorito questi traffici clandestini in quella che i Tuareg chiamano la loro Patria,dove
l’alternativa era l’emigrazione o la fame. Ma la strategia della PSI e della TSCTI ha mirato
ad appianare le differenze tra chi opera nei traffici illeciti e chi sostiene una resistenza armata
contro i governi oltre che accusare questi movimenti di connivenza e collaborazione con i
terroristi salafiti del GSPC.
Molti movimenti Tuareg non hanno mai voluto riconoscere i confini esistenti che
dividono la loro nazione e vivono in continuo contatto tra loro nell’area compresa tra i
confini di Algeria, Libia e Niger. Questo ha sempre facilitato la collaborazione tra di loro e
agevolato il passaggio di informazioni e l’integrazione tra i vari gruppi della lotta armata.
Le rotte transfrontaliere di questi paesi sono dunque state attraversate e conosciute
esclusivamente dai Tuareg, e questa è oggi una colpa che sembra cadere loro addosso.
Identica è la situazione nel territorio dei Tubu e dei Teda a nord del Ciad. Non si nega
l’operato attivo di alcuni gruppi armati di banditi che operano d'accordo con le grandi
organizzazioni criminali - in primis quelle di Kano e Katsina in Nigeria - ma è da dimostrare
che queste organizzazioni siano sostenute e partecipate da guerriglieri Tuareg; è più facile
che esse abbiano colto l’occasione di utilizzare in un territorio insicuro guide Tuareg protette
dai movimenti della guerriglia o da semplici gruppi armati per attraversare il deserto in
cambio di denaro.
Lo scopo degli Stati Uniti sembra quello di costituire una rete congiunta con i paesi
alleati della regione, sul modello proposto a molti paesi dell’est europeo (Romania, Polonia,
Slovacchia) per la detenzione e il fermo di persone sospette che si spingono nel Sahara
meridionale o nel Sahel. Il vantaggio geo-politico per Washington è notevole: da una parte si
introduce in un’area da sempre orbitante attorno alla Francia, dall’altra cerca di premere sul
Sudan e sulla Libia in tema di lotta al terrorismo e applicare un sistema di controllo, per
stabilire le basi e porre radici su un territorio ricco di risorse, fino ad oggi sconosciuto ai
comandi americani. Inoltre questa iniziativa regionale mira a limitare l’espansione della
diplomazia cinese, la quale ha iniziato a vendere armamenti in Niger e in Sudan e ha messo
le mani negli affari della regione, a vantaggio del proprio approvvigionamento energetico
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(petrolio dal Sudan e dalla Libia, uranio e petrolio dal Niger).
Sono proprio le risorse energetiche presenti nell’area la grande posta in palio.
Legenda:
O
---
Città centrali per il traffico di armi droghe ed esseri umani
Principali rotte per il traffico di esseri umani
Fig. 3 - Tuareg e altri popoli del deserto che abitano la regione saheliana
Le risorse energetiche: il petrolio del Tenerè
La capacità satellitare americana è superiore a quella di molte altre potenze; la ricerca
delle risorse minerarie avviene proprio dall’alto dei cieli. Le ricerche dei giacimenti
petroliferi sono continue nel sud dell’Algeria (a sud del noto giacimento di Hassi Messaoud)
e si spingono verso le montagne dell’Haggar. Ma le scoperte più interessanti per gli operatori
sono state quelle realizzate pochi anni fa nel Tenerè, uno dei luoghi incontaminati del mondo,
il deserto di dune di sabbia che i Tuareg ed i nomadi Teda rispettano e venerano come una
delle più alte espressioni dell’immenso silenzio di Dio. Le esplorazioni sono state avviate da
compagnie cinesi come la CNPC International Tenerè (CNPCIT) del gruppo China National
Petroleum Corporation che ha raggiunto il successo sperato nell’estate del 2006 nel sito
denominato Saha-1.
La spartizione delle risorse petrolifere appartiene al governo di Niamey, che ha
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lottizzato le varie esplorazioni sul proprio territorio concedendo alle società straniere quella
che tecnicamente viene chiamata Upstream production, cioè la possibilità esclusiva di
estrarre e distribuire da un sito minerario le risorse energetiche. La Repubblica del Niger ha
dato concessioni di questo tipo anche alla PETRONAS Carigali Niger Exploration &
Production (PCNEPL).
Nel consorzio di questa società sono presenti ESSO Exploration and production Niger
Inc. ed Esso Deutschland GmBh che sono riconducibili al gruppo Exxon Mobile, la più
grande società di produzione e distribuzione di gas e petrolio del mondo. Quest’ultima ha in
attivo la sua prima concessione denominata Agadem Block-1 nell’area del Termit (un’area
geologicamente rilevante caratterizzata da un gruppo montuoso di natura vulcanica che si
trova in direzione sud-est di Agadez verso la parte meridionale del Tenerè abitato solo pochi
mesi l’anno da qualche decina di gruppi nomadi Teda e Tuareg) con una produzione di circa
2.540 barili al giorno. Le concessioni sono state affidate anche ad alcune compagnie algerine
che attraverso le società di proprietà dello Stato hanno acquisito il diritto di estrarre il
petrolio nell’area della falesia di Kafra a nord del Tenerè, vicino al confine algerino a
Tafassesset e nell’area a sud del deserto del Tenerè.
Le risorse minerarie: l’Uranio dell’Air
Un’altra risorsa abbondantemente presente in Niger è l’uranio: il massiccio montuoso
dell’Air (che si estende per circa 400 km nord-sud e 220 km est-ovest) situato a nord est ne è
pieno. L’estrazione è stata concessa ad alcune compagnie cinesi e alla compagnia francese
AREVA; le miniere sono concentrate nella zona di Arlit, il loro impatto ambientale è
devastante. I Tuareg della zona accusano le compagnie di estrazione di aver inquinato le
falde acquifere dei pozzi che scendono verso l’Azawak (ad est di Arlit) con conseguenze
tragiche per i civili e il loro bestiame. La questione è grave; l’uranio - presente anche in
catene montuose europee - può essere estratto solo in condizioni ambientali particolari e con
delle prevenzioni (per i lavoratori e per il territorio circostante); l'estrazione nella stessa
Europa non sarebbe possibile per i costi e per la giusta contrapposizione di gruppi
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ambientalisti. Ma Arlit, Niger, è Africa, e l’uranio è un bene prezioso per chi produce armi o
energie atomiche: ed è proprio sull’Air che le potenze del mondo cercano di limitare la
presenza di gruppi terroristi che si dice potrebbero approvvigionarsi dell’uranio per la
costruzione di armi di distruzione di massa. Fu questa infatti la falsa accusa rivolta dagli Stati
Uniti a Saddam Hussein per giustificare la guerra in Iraq. In molti si ricorderanno un
documento (poi definito falso) prodotto dai servizi segreti italiani e passato per le mani dei
servizi britannici e americani che era stato prodotto proprio in Niger e che attribuiva all’Iraq
l’acquisto di uranio. I Tuareg della zona non conoscono le questioni internazionali, sanno di
morire -come i loro animali - di malattie misteriose e che la colpa è di quel materiale estratto
dalle loro montagne da multinazionali straniere protette dall’esercito nazionale del Niger. Un
tempo paradiso incontaminato, divenuto parco nazionale con il sostegno di molte università
francesi e belghe per proteggere le ultime specie di gazzelle e ghepardi del Sahara, oggi
l’Air pare si avvii verso un disastro ambientale e civile.
Contraddizioni europee che si ripercuotono in Africa: mentre la cultura nomade o
sedentaria delle genti del deserto cerca di difendere la propria storia e la propria esistenza
dall’“Occidente invasore” - ma soprattutto chiede di applicare i principi di democrazia e
rappresentanza dei popoli - i governi corrotti e accentratori, che dispongono del sostegno
economico occidentale senza distribuirne il beneficio alle popolazioni civili, sostengono la
lotta al terrorismo e appaltano - su richiesta delle potenze occidentali tradizionali e di quelle
orientali emergenti - le risorse minerarie. Inoltre con la guerra per il controllo militare del
territorio da una parte (truppe regolari e statunitensi) e dall’altra (gruppi armati di ribelli) si
realizza una stretta repressiva anti-democratica di cui le vittime sono per lo più civili (campi
minati, rapimenti, omicidi, devastazioni di villaggi e insicurezza) e contemporaneamente una
restrizione economica attorno alle uniche risorse dei popoli del deserto: il turismo soprattutto
(le strade sono interrotte, le vie di comunicazioni insicure, le forze armate limitano l’accesso
di turisti e giornalisti nell’area che non possono così fornire notizie sicure sugli avvenimenti),
le carovane del sale (azalai), il nomadismo degli allevatori e l’assenza di necessari aiuti
umanitari. Quando il Niamey ha avuto l’opportunità di inserirsi nella Pan Sahel Iniziative,
ha venduto le risorse del proprio paese sapendo che dagli aiuti economici per il controllo del
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territorio e dalla definitiva repressione di ogni sorta di ribellione interna sarebbe scaturito un
vantaggio.
L’MNJ tiene a precisare che questi problemi non sono fonte di tensione per una
guerra tra minoranze nel Sahara (popoli nomadi e maggioranze urbane di Derma e Songhai),
per loro non fanno differenza. Essi sentono di rappresentare il popolo che vuole democrazia e
giustizia contro un governo accentratore e corrotto e vuole una più equa distribuzione dei
proventi delle risorse naturali, concentrate nell’Air e nel Tenerè, per favorire gli investimenti
e limitare l’impatto ambientale ed economico sulle popolazioni del deserto.
Attualmente il governo del Niger non riconosce neanche l’esistenza di movimenti di
ribellione nel nord del paese, ritenendo banditi tutti coloro che oggi lo accusano, armi alla
mano, di non rappresentare il popolo ed uno Stato democratico. Così Niamey non deve
spiegare al mondo l’attività repressiva e la mancata concessione di veri diritti ai suoi
cittadini, tra i più poveri del mondo; gli Stati Uniti, la Francia e la Cina, in questa fase di
esplorazione ed estrazione dei nuovi giacimenti di petrolio e uranio, non avranno nulla da
obiettare.
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Fig. 4 Risorse minerarie nel Sahel e nel Sahara
Conclusioni
Il Niger è uno Stato lontano, dimenticato, a cavallo tra il deserto del Sahara e le
pianure saheliane, un luogo affascinante, abitato da numerosi popoli. L’equazione compiuta
dalla PSI e dalla TSCTI, che ha parificato le cellule terroriste salafite del GSPC - che pure
esistono e rappresentano un pericolo - con i gruppi di ribelli Tuareg (MPLA, FIA, FLAA in
Mali e MNJ in Niger) e con le bande dedite al traffico illecito, ha impedito la democrazia e
una più equa distribuzione delle risorse. Dall’11 settembre il “Grande Medio Oriente”
rappresenta per gli Stati Uniti lo spazio principale su cui estendere la propria potenza
militare: risorse petrolifere, posizione strategica, presenza di Israele, progressivo
allontanamento di Gran Bretagna e Francia, hanno costretto Washington a ripensare i propri
interessi nel mondo7. L’America Latina, dai tempi della dottrina Monroe cortile di casa degli
Affari esteri statunitensi, è stata sostituita dal Grande Medio Oriente. Nuovi e vecchi conflitti
mediorientali (Libano, Palestina, Iraq, Pakistan, Kurdistan, Afghanistan) si estendono in
Africa (Somalia, Eritrea, Darfour, Niger, Algeria, Ciad) e vengono combattuti con le stesse
logiche della lotta al terrorismo. Ma in realtà il controllo militare del territorio (nella
geopolitica la prima risorsa di una potenza che intende espandere i propri interessi) e il
conseguente controllo delle risorse energetiche rappresentano i veri interessi ed il profilo
7 Alain Gresh“Le tante frontiere sconvolte dalla guerra americana”, Le Monde Diplomatique, novembre 2007.
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espansionistico dell’amministrazione statunitense. Il problema dunque non è l’espandersi
dell’islamismo radicale (che pure è sempre esistito all’interno del mondo musulmano) quanto
la manovalanza asservita alla fame e alla povertà che generano l’integralismo islamico, il
quale tende a riprodursi e ampliarsi sulla base di conflitti che sorgono in nome della lotta al
terrorismo.
Il ricorrente problema dell’Africa, “popoli contro confini”, è nell’Africa occidentale ed in particolar modo in Niger, Mali e Ciad- irrisolto. A poco è servito l’impegno
nazionalistico dei regimi militari, che si è sovrapposto ad una delicata struttura composta da
capi tradizionali e religiosi. La sedentarizzazione seguita al naturale nomadismo ha costretto i
popoli nomadi ad una marginalizzazione nelle periferie urbane, trasformando piccoli villaggi
in città di baracche sottoposte all’emigrazione interna e ad un accatastamento territoriale e
culturale. Pheul, Tuareg, Teda, Tubu, Bororo ed altri popoli dediti al nomadismo nel Sahara e
nel Sahel appaiono chiusi in spazi circoscritti da confini artificiali che tagliano il deserto
come linee orizzontali e che in molti non riconoscono.
La Pan Sahel Initiative e la Trans Counter Saharan Terrorism Initiative sono state
introdotte in questo contesto considerando i governi locali ed i confini stabiliti
dall’Occidente, ciò che più contrasta con l’idea per cui “lo spazio nel deserto non ha confini
ed ha una sola patria: il deserto appunto” come da sempre affermano i popoli nomadi che vi
abitano.
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Fig 5 - Campi minati, popoli nomadi, profughi e ribellioni
Le figure 2,3,4,5, sono opera dell’autore.
*Alessandro Massacesi
Si laurea in Scienze Politiche all’Università di Bologna, frequenta il Master in Medio Oriente
all’Università di Teramo ed il Master Simest in Internazionalizzazione nel Mediterraneo
presso l’Università per Stranieri di Perugia. E’ stato Cultore della materia presso l’’Università
di Teramo in Storia dei Paesi dell’Africa, collabora con Osservatorio Mediterraneo, Green
Planet e Africagens.
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