GIAPPONE. DAI SAMURAI A MAZINGA Treviso - relata

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GIAPPONE. DAI SAMURAI A MAZINGA Treviso - relata
GIAPPONE. DAI SAMURAI A MAZINGA
Treviso, Casa dei Carraresi
11 ottobre 2014 – 22 febbraio 2015
NOTA INFORMATIVA
Tutta giocata sull’affascinante contrasto tra fasti antichi e sogni futuristi, tra Samurai e Robot, la mostra
GIAPPONE. DAI SAMURAI A MAZINGA allestita a Casa dei Carraresi dall’11 ottobre 2014 al 22 febbraio 2015,
offre una visione a tutto tondo della storia, della cultura, dei costumi di questo antico ed enigmatico paese, rimasto
in un voluto isolamento dagli inizi della sua storia sino alle soglie del Novecento. Fu quindi una affascinante
rivelazione quando l’Impero del Sol Levante si aprì all’Occidente concedendo le meraviglie e la raffinatezza della
sua civiltà ad una società occidentale avida di novità e pronta al grande balzo, anche tecnologico, che compì nel
XX secolo.
Il percorso espositivo studiato dai curatori, Adriano Màdaro e Francesco Morena, e allestito dagli architetti Marco
Sala e Giovanna Colombo, racconta, attraverso gli oltre 500 reperti esposti, la storia millenaria del misterioso
Giappone ed il grande impatto che ebbe la sua scoperta nell’Occidente del Novecento, per giungere sino ai sogni
futuristici che seppero conquistare l’immaginazione occidentale, tributando al Giappone un primato nella tecnologia
scientifica ancora indiscusso.
Non si poteva quindi non iniziare questo cammino nella storia del Giappone se non dai Samurai
I Samurai
La figura del guerriero - bushi o più comunemente samurai - ha avuto nella storia del Giappone il ruolo di
protagonista assoluto. La classe militare ha infatti effettivamente governato il paese dal XII al XIX secolo, lasciando
all'Imperatore, solo il compito di guida spirituale. Gli shōgun (“generalissimo”) e le numerose altre casate sparse
sull'arcipelago avevano a disposizione eserciti di guerrieri addestratissimi nell'arte del combattimento. I samurai
giuravano ai loro signori eterna fedeltà, e non pochi sono gli episodi noti in cui i guerrieri sacrificavano la propria
vita per proteggere o vendicare il proprio superiore.
Essere un samurai significava coltivare fin da bambini, e poi quotidianamente, le doti del perfetto guerriero:
imparare a tirare di spada e di arco, eccellere nel corpo a corpo, saper cavalcare e, soprattutto, nutrire lo spirito per
plasmare una volontà di ferro e ideali sublimi.
Tra l'equipaggiamento dei samurai la spada era l'oggetto più importante, nel quale si incarnava la sacralità di
questa figura ormai mitologica. La spada giapponese è l'arma perfetta, letale eppure bellissima, forgiata nell'acciaio
più puro da Maestri venerati quali demiurghi della guerra. In mostra esposte una ventina di armature complete,
corredate da elmi; due spade accompagnate da else di altre spade appartenute a famosi guerrieri e
suddivise in clan, e alcune maschere da combattimento.
I drammi e le storie di guerra rivisitati attraverso la raffinata arte del Teatro
Nō, il teatro dell'anima
Il Nō è la più sofisticata forma di teatro giapponese. Fortemente imbevuto dei principii del Buddhismo Zen, fu
messo a punto tra il XIV e il XV secolo rielaborando tipologie di teatro più antiche e beneficiando della protezione
dello shōgun e dell'aristocrazia militare. I drammi - messi in scena da soli attori maschi che impersonano anche i
ruoli femminili - hanno come trame storie di divinità, di battaglie, di spiriti vendicativi; il palcoscenico è sobrio, e la
recitazione è una miscela di danza e canto con ritmi cadenzati e i movimenti lenti e iconici. I costumi sono lussuosi
e raffinatissimi. Il più importante strumento a disposizione dell'attore di teatro Nō, quasi oggetto di venerazione, è la
maschera (men). Ne esistono numerose tipologie, tante quanti i ruoli che formano il repertorio tradizionale.
Realizzate da intagliatori specializzati, hanno la capacità di assorbire e di riflettere le variazioni della luce,
catalizzando emozioni per divenire specchio di sentimenti e passioni, divine e terrene. Preziose le dieci maschere
esposte, tutte appartenenti al Teatro Nō.
Dall’arte della guerra all’arte di raggiungere la perfezione anche nell’esecuzione di un unico gesto.
Ecco quindi l’importanza di sublimare attività come la Scrittura o la Cerimonia del Tè, esposte nelle sale
dedicate a queste arti.
La “Via della scrittura”
In tutta l'Asia estremo-orientale, in Cina come in Corea e Giappone, scrivere non è solamente un mezzo per
comunicare, ma è un processo artistico, proprio come la pittura e la musica. Il sistema di scrittura giapponese
combina caratteri cinesi con un alfabeto che si tramanda sia stato inventato da Kōbō Daishi (774-835), il monaco
che diffuse nell'arcipelago i precetti del Buddhismo esoterico. Il gesto del pennello che, imbevuto di inchiostro
precedentemente sciolto con acqua sulla pietra imprime il tratto sulla carta, non è che atto finale di un processo
mentale complesso, che coinvolge studio, meditazione, preghiera, affinché il risultato sia armonico, ispirato, degno
della trascendenza.
La Cerimonia del Tè
La Cerimonia del Tè (Chanoyu) è la quintessenza dell'estetica giapponese. Messa a punto nelle sue norme
principali nel XV-XVI secolo da intellettuali affiliati al Buddhismo Zen, la “Via del Tè” (Chadō) si impose come
pratica soprattutto nei circoli dell'aristocrazia militare. Il rituale prevedeva la partecipazione di un numero
ristretto di convitati che possedessero le capacità per comprendere i suoi sofisticati rimandi filosofici. I principii che
ne governavano lo svolgimento erano ispirati a concetti quali il wabi e il sabi, termini di difficile traduzione che
abbracciano caratteristiche quali semplicità, rusticità, la patina che il tempo imprime sugli oggetti,
asimmetria, austerità, modestia. Un approccio estetico che pervade per intero la Cerimonia del Tè. Dal
comportamento dei convitati all'abbigliamento più idoneo che debbono indossare, dalla gestualità connessa con la
preparazione del tè al luogo in cui si svolge il rito, dagli strumenti utilizzati alle opere d'arte che si ammirano
durante l'evento, dalla composizione del giardino nei pressi della sala al rispetto per le mutazioni stagionali. In
mostra è ricostruita una antica sala da tè con i suoi semplici arredi e tutti gli oggetti di rito.
Raccontare la natura ed i suoi cicli immutabili e sempre nuovi di rinnovamento, di morte e di vita attraverso
le immagini: il mondo delle Ukiyo-e, le immagini del Mondo Fluttuante.
Shunga, le immagini della primavera
Le shunga (“Immagini della Primavera”, intesa come rinascita) non si può descriverle in maniera diversa, sono
immagini dall'esplicito contenuto erotico. Se, infatti, nell'accezione comune l'erotismo prevede che l'atto sessuale
sia suggerito piuttosto che esibito, nelle shunga si vedono sostanzialmente accoppiamenti. Tuttavia, prima che
erotiche o pornografiche che si voglia, le shunga sono opere notevoli della storia della grafica giapponese.
Esse furono realizzate da artisti di prim'ordine dell'Ukiyo-e, le “immagini del Mondo Fluttuante”, da Maestri della
xilografia, come Hokusai e Utamaro, ai quali il mercato richiedeva, per svago degli acquirenti, immagini di questo
tipo. E così, con la medesima genialità con cui furono concepiti capolavori quali la “Grande Onda”, furono stampate
le shunga, con una concezione del sesso radicalmente diversa da quella occidentale. Col sesso si procrea e
procreando si entra virtuosamente nel ciclo vitale della Natura: l'uomo è parte integrante della Natura, così come gli
alberi e le montagne, ad esempio. In mostra esposta una selezione di 34 shunga, custodite in una sala
destinata ad occhi adulti e vietata ai minori di 18 anni.
Ukiyo-e, le immagini del Mondo Fluttuante
L'ukiyo-e, letteralmente le “immagini del Mondo Fluttuante”, è il genere artistico che meglio ha descritto una parte
della società giapponese del periodo Edo (1603-1868). Le sue immagini raccontano la vita degli abitanti delle
più importanti e popolose città di quei tempi, soprattutto Edo (l'attuale Tokyo), Kyoto e Osaka.
Già sul finire del XVII secolo, gli artisti affiliati all'Ukiyo-e cominciarono a sperimentare l'uso della stampa per le
proprie invenzioni grafiche, così da soddisfare la crescente richiesta di immagini da parte della borghesia cittadina.
Gli editori immettevano sul mercato grandi quantità di pubblicazioni tra libri (illustrati e non) e stampe sciolte di
diverso formato, grazie alle quali è possibile farsi un'idea di quel mondo in cui i piaceri effimeri occupavano un
ruolo centrale.
Le stampe dell'Ukiyo-e sono capolavori della stampa xilografica. Il processo di realizzazione delle incisioni
coinvolgeva diverse professionalità: l'artista, che concepiva e disegnava l'opera; l'incisore, che trasferiva il
disegno sulla matrice in legno; lo stampatore, che la riproduceva utilizzando una policromia raffinata; l'editore,
che si assumeva il rischio di produrre certe opere piuttosto che altre. Un centinaio le stampe esposte in mostra,
tra opere di Hokusai, Utamaro, Hiroshige, Eisen e di altri artisti tra il XVIII ed il XIX secolo.
Ancora oggi la moda guarda al Giappone e ai costumi dalla storia millenaria, sofisticati nella purezza delle
linee, attualissimi nella raffinatezza di accessori e ornamenti. Ma all’epoca delle Gheishe e dei Samurai,
l’alta moda era declinata anche al maschile
Inrō, netsuke, ojime: vezzi per uomini elegantoni
Durante il periodo Edo divenne di gran moda tra gli uomini giapponesi portare con sé ovunque si recassero un
contenitore dove conservare piccoli oggetti di diversa natura, dal sigillo personale alle pillole, dalle monete al
tabacco. In origine si trattava perciò di soddisfare una necessità: non potendo fare affidamento sulle tasche poiché
l'abito tradizionale non ne aveva, l'unica soluzione era quella di legare la scatolina alla fascia obi che cinge la
vita. Il contenitore era perciò annodato ad un cordoncino il quale passava sotto la cintura; non cadeva poiché
all'altro estremo si agganciava un fermaglio che fungeva da contrappeso. Inoltre, per mettere in tensione il
cordoncino si usava un anellino.
Le scatoline inrō, i fermagli netsuke e gli anellini ojime divennero col tempo accessori prediletti dagli
uomini più eleganti del Giappone. Oltre ad assolvere ad una funzione, questi 'ninnoli' sono raffinati capolavori di
laccatura e intaglio, realizzati con materiali di grandissimo pregio e straordinari per la infinita varietà dei soggetti
che raffigurano.
In questa seziono si possono ammirare tre kimono (uno femminile, uno maschile e uno del Teatro Nō), tre
obi oltre a raffinati oggetti da toeletta, assieme ad una dozzina di bellissime lacche (scatole, portavivande,
servizi da scrittura) e due preziosi strumenti musicali, i famosi samisen e koto, fondamentali per la musica
giapponese. Non vi sono gioielli, poiché le donne giapponesi, comprese quelle nobili e quelle appartenenti
alla famiglia imperiale non indossavano alcun gioiello, ma ponevano particolare cura solo alla capigliatura.
Dei piaceri effimeri nel Giappone del periodo Edo
Nel periodo Edo (o Tokugawa, dal nome della famiglia cui appartennero gli shōgun che governarono il paese in
quel lasso di tempo) il Giappone scelse autonomamente di isolarsi dal resto del mondo: a tutti i giapponesi
era fatto divieto di abbandonare l'arcipelago così come agli stranieri era proibito l'ingresso; solo a Nagasaki
era concesso che risiedessero una comunità cinese e gli olandesi della Compagnia delle Indie Orientali
(VOC), ma si trattava di una specie di reclusione poiché questi forestieri vivevano sotto lo stretto controllo delle
autorità governative.
Il fenomeno sociale più importante di quell'epoca è stato sicuramente l'inedito sviluppo delle città. Edo
soprattutto, l'attuale Tokyo, sede dello shogunato, da piccolo borgo in qualche decennio si trasformò in una
metropoli con oltre un milione di abitanti. La pace Tokugawa significò per i militari l'inizio dell'inevitabile declino
economico: disoccupati, gravavano sull'erario e sulle altre classi produttive del paese. Ne approfittarono i mercanti
e gli artigiani che formarono una nuova borghesia, ricca e prosperosa. Le città pullulavano di attività ricreative per i
nuovi facoltosi: teatri, arene di sumō e, soprattutto, le cosiddette Case Verdi. Il governo cercava di limitare la
visibilità delle attività licenziose, confinandole in una sorta di 'quartiere a luci rosse', a Edo denominato Yoshiwara,
ma non poté vietarle del tutto anche perché i samurai, attratti fatalmente da quel Mondo Fluttuante (Ukiyo) in cui
regola era abbandonarsi ai piaceri effimeri, vi si intrufolavano spesso in incognito, finendo per dilapidare
completamente le proprie rendite.
Dopo secoli di isolamento il Giappone conquista l’Occidente con la raffinatezza dei suoi gusti e la
precisione tecnologica. Dagli antichi Samurai ai futuristici Super Robots: si chiude un antico cerchio per
diventare modello di modernità nella produzione di sofisticati giocattoli. E per la prima volta sono visibili
alcuni preziosissimi reperti di una insospettata e bellissima collezione di bambole giapponesi di proprietà
dell’Università di Padova.
Hasshin! Il grande viaggio nell'universo dei Super Robots
Tradizionalmente dediti alla perfezione meccanica e alla cura dei dettagli, i produttori di giocattoli nipponici
realizzarono per una buona parte del ‘900 pregevoli articoli in latta con movimenti a carica, affiancati ai caratteristici
sofubi (contrazione di soft vinyl), personaggi in vinile morbido verniciati a mano. Il mercato cambiò nel 1972 con
l’avvento di Mazinger Z, il Super Robot che introdusse gli standards del nuovo genere fantascientifico, ancora oggi
celebrati ed utilizzati. Per adeguare al meglio la versione giocattolo all’eroe sullo schermo, la Popy inventò un
modello semisnodato composto da zama, una lega metallica resistente ed economica e lo dotò di pugni sparanti
tramite meccanismo a molla: era nato il primo Chōgōkin, la “Super Lega”. Da questo momento in poi i produttori
giapponesi si adeguarono al nuovo formato, dando vita a gioielli di precisione che sono entrati a far parte della
storia del collezionismo. Stesso successo per i Jumbo Machinders, robots in plastica di grande formato, oggi
rarissimi e in molti casi mai esportati al di fuori del Giappone.
Disseminati lungo tutto il percorso espositivo, i Robot, giunti in Italia negli anni Settanta grazie ai primi fumetti e
video animati, come Mazinga Z, Goldrake, Jeeg Robot d’Acciaio, veglieranno sui visitatori, quasi come Samurai
di un futuro che per molti oggi è nostalgico ed appassionato ricordo di gioventù. Le opere qui selezionate – 190
esemplari di misure diverse fino ai 60 cm di altezza –, databili tra il 1972 ed il 1984 - rappresentano quindi
un patrimonio di cultura pop, eredità di un’epoca che sognava un futuro con occhi ingenui e che ha instillato ad
almeno due generazioni il rispetto e l’ammirazione per la creatività giapponese.
La collezione di arte giapponese del Museo di Antropologia dell'Università di Padova
La Collezione di arte giapponese del Museo di Antropologia di Padova proviene dal Museo di Arte Orientale
di Venezia. Anch'essa faceva parte in origine della collezione di circa 36.000 pezzi raccolta da Enrico di Borbone
(1851-1906), conte di Bardi, e dalla moglie Aldegonda di Braganza, i quali l'avevano formata durante il viaggio in
Oriente iniziato nel 1887. Alla morte del conte, la moglie cedette la collezione all’antiquario austriaco Trau, al quale
fu sequestrata dal governo italiano in seguito alle vicende belliche (1918). La maggior parte della raccolta trovò
sistemazione a Ca’ Pesaro, attuale sede del Museo di Arte Orientale di Venezia. In seguito (1935 e 1942) parte
delle collezioni venne depositata presso l’Università di Padova. Il primo gruppo di oggetti (860), definiti di “piccolo
valore venale”, furono scelti da Raffaello Battaglia per il Museo dell’Istituto di Antropologia da lui diretto. Solo più
tardi fu richiesta la cessione del secondo lotto (1309 pezzi) per completare la precedente rassegna.
La collezione depositata a Padova comprende armature da parata del periodo Edo, armi, kimono e
indumenti di seta, oggetti d’arredamento, servizi da tè in lacca, ceramiche e porcellane, vasi rituali e
oggetti in bronzo, pannelli dipinti e intarsiati, una raccolta di statuette di ceramica raffiguranti arti e
mestieri, strumenti musicali, giocattoli e una preziosa collezione di bambole. Quella selezionata è perciò in
realtà solo una piccola parte di una raccolta molto più consistente, notevole per numero, varietà e qualità dei
reperti. Eccezionalmente esposte, e restaurate proprio per la mostra, una decina di bambole, di misura
ragguardevole, tutte vestite secondo gli antichi costumi (con armature, kimono, ecc).
Il Giappone nel Castello di Miramare a Trieste
Esposti in questa sezione oggetti che provengono dalla residenza di Massimiliano d’Asburgo (1832-1867) a
Trieste, il Castello di Miramare, oggi Museo Storico. Massimiliano d’Asburgo fu appassionato cultore d’arte ed il
Castello con il Parco, da lui voluti e creati, sono lo specchio della sua personalità e dei suoi interessi. Le passioni
artistiche e gli interessi culturali vengono qui ricordati grazie all’esposizione di nove oggetti, facenti parte
dell’arredo del Castello, come espressamente voluti da Massimiliano e oggi visibili nel percorso di visita. Si tratta di
opere provenienti dalle raccolte asburgiche o frutto di acquisti effettuati da Massimiliano a Trieste, a Vienna o
durante i suoi viaggi. Oggetti di rara qualità e bellezza, tra i quali lo stipo in legno con intarsi in madreperla di
epoca Momoyama o il piatto in porcellana risalente alla metà del XVII secolo che riflettono l’adesione al
gusto esotico, imperante nella cultura europea del XIX secolo.
I raffinati maestri d’arte nipponica ispirano i grandi maestri della pittura europea.
Giapponismo. Il Paese del Sol Levante ispira gli artisti
Il Giapponismo (dal francese Japonisme) è un fenomeno artistico che si è sviluppato tra la seconda metà
dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento in Europa e negli Stati Uniti. Quando verso la metà del XIX
secolo l'arcipelago asiatico fu costretto a uscire dal consapevole isolamento in cui si era rinchiuso per oltre due
secoli, gli occidentali scoprirono un paese straordinariamente ricco di cultura, fiorente nelle tradizioni come
nell'arte. In brevissimo tempo il Giappone divenne il paese più 'alla moda': le signore più chic portavano con sé il
ventaglio o indossavano abiti in stile kimono, mentre proliferavano negozi specializzati nella vendita di chincaglierie
nipponiche. Alle Esposizioni Universali che si tenevano allora periodicamente in tutto il mondo, il Padiglione
Giappone riscuoteva sempre grandissimo successo.
Gli artisti si resero subito conto di quanto nuova e diversa fosse l'arte giapponese e ne trassero ispirazione per
realizzare opere d'arte di stile e gusto innovativo. Monet, Van Gogh, Whistler, solo per citarne alcuni, furono
ferventi ammiratori del Giappone e in molti dei loro capolavori compare evidente un'impronta giapponista. Anche in
Italia il Giapponismo ebbe i suoi seguaci, nella pittura e nelle arti applicate, come nella musica, nel teatro e nella
letteratura. In mostra vi sono anche le due stampe di Hiroshige che furono modello per Van Gogh, il quale le
copiò a testimonianza del suo apprezzamento per l’arte giapponese. Accanto a queste opere vi saranno anche
le riproduzioni degli originali custoditi al Museo Van Gogh di Amsterdam.
Henry Arnold Savage Landor, un pittore esploratore in Giappone
Nato a Firenze in una famiglia di origini inglesi (suo nonno, il poeta Walter Savage Landor, 1775-1864, si era
trasferito in Toscana nel 1821), Henry Arnold Savage Landor (1865-1924) fu uomo dai molteplici interessi e dai
numerosi talenti. Fu pittore, inventore, fotografo, scrittore, antropologo, esploratore: nel corso di una vita ricca di
successi, riuscì a visitare tutti i continenti. Di queste sue avventure avrebbe lasciato testimonianze di vario genere:
libri, conferenze, fotografie, disegni e dipinti. Venti le opere di Landor qui esposte, tutti olii provenienti da un’unica
collezione privata toscana.
I Manga di Hokusai, alle origini del fumetto giapponese
Nella cultura contemporanea di tutto il mondo il termine manga identifica i fumetti giapponesi. Il fenomeno, così
com'è oggi conosciuto, si originò negli anni '50 del Novecento, pochi anni dopo la fine della Guerra, e da allora il
successo è stato inarrestabile, coinvolgendo un numero sempre crescente di appassionati, con il proliferare di
generi e sottogeneri di ogni tipo.
Tuttavia, il termine manga ha una storia che risale a molto tempo prima, per lo meno alla fine del Settecento,
utilizzato allora nell'ambito dell'editoria per identificare un certo tipo di libro illustrato. Traducibile all'incirca come
“pittura in libertà” o “immagini sparse”, questo vocabolo si associa soprattutto ad uno dei maggiori capolavori
dell'arte giapponese di tutti i tempi, ovvero i quindici volumi di Katsushika Hokusai (1760-1849) intitolati per
l'appunto Hokusai Manga, pubblicati tra il 1814 e il 1878, gli ultimi tre volumi quando il Maestro era già morto.
I Manga di Hokusai sono un'opera straordinaria che rappresenta un immenso repertorio di immagini che ancora
oggi conservano il loro fascino, contribuendo a rinnovare la fama di questo artista. La serie ebbe molte riedizioni, e
anche quella esposta in questa occasione non è omogenea. Sono 15 i volumi originali di manga con disegni
che si possono considerare i precursori dei fumetti, opera di Hokusai.
Info e prenotazioni: Tel. 0422 513150
Sito internet della mostra: www.laviadellaseta.info
Organizzazione e Segreteria SIGILLUM: Via Fonderia, 49 - 31100 Treviso. Tel. 0422.424390; mail:[email protected]