allacciamento delle sorgenti

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allacciamento delle sorgenti
Napoli possiede in sé stessa condizioni ed elementi favorevolissimi per essere una fra le
più fiorenti e rigogliose città; bellezze naturali splendide, impareggiabili; mitezza, di clima
ed amenità di dintorni incantevoli, che la rendono soggiorno deliziosissimo e ricercato;
circondata inoltre da regioni di proverbiale fertilità, e di fronte al più ampio e sicuro golfo
naturale del mezzogiorno, ha posizione geografica indicatissima a diventare uno dei più
potenti centri industriali e commerciali. Ma al quadro di tanti vantaggi preziosissimi ed
inestimabili, dei quali la natura volle mostrarsi cosi larga e benigna, fanno ombra le tristi
condizioni igieniche, nelle quali oggidì versa la città.
L'agglomeramento di tanta popolazione in uno spazio tanto relativamente ristretto, la
conformazione e struttura d'una gran parte della città, nella quale a stento circola un' aria
viziata e dalla respirazione animale stessa, e dalle esalazioni e miasmi d'un sottosuolo
corrotto ed inquinato per mancanza di fognature razionalmente sistemate, e sovratutto la
scarsissima e mal regolata dotazione d'acqua potabile, e l'uso assai limitato che è concesso
di farne non solo per le industrie o per le esigenze dell'agiatezza e del lusso, ma pur
anco per quelle ben più imperiose della vita e dell' igiene individuale, riassumono le
principali cause di uno stato di cose, che necessariamente si doveva migliorare.
Di quanti danni questo triste complesso di circostanze sia origine, e di quale ostacolo
al benessere della città, a ciascuno ormai è noto. La recente epidemia colerica, dalla quale
tante e tante piaghe furono aperte e non ancora rimarginate, abbastanza chiaro ha mostrato
quanto abbiano contribuito al suo sviluppo terribilmente rapido ed esteso queste condizioni
infelici. Di fronte a tanto disastro ed a tante vittime urgente s'impose la necessità di energici
e radicali provvedimenti, i quali all'onere gravoso ed ai sacrifici, che saranno per costare, un
incalcolabile compenso offriranno, quello cioè d'aver rigenerata e ridonata l'esistenza alla
più grande città italiana.
Parte vitale e fondamento del grande problema della bonifica di Napoli è senza
dubbio l'approvvigionamento di buone e sane acque potabili in abbondante quantità, tale
da soddisfare a tutti i bisogni dell'economia domestica, ed a quelli importantissimi della
pubblica igiene, condizione indispensabile per la vitalità e sviluppo progressivo d'un
grande centro di popolazione. Ora questa parte, problema per sé stesso arduo e grandioso, è
finalmente risolta e nel modo il più completo colla condotta delle acque di Serino.
L'ingresso di queste acque in Napoli, che oggi solennemente si inaugura e si festeggia,
segna dunque un avvenimento, la cui alta importanza e significato a nessuno possono
sfuggire.
In generale non solo il gruppo montuoso delle colline Partenopee, sul versante delle
quali scendendo a mare e disposta ad anfiteatro siede ridente la città, ma propriamente
anche tutta la parte settentrionale dell'antico regno di Napoli, offrono poca ricchezza di
acque. Gli estesi ed ubertosi piani d'Acerra e del Sarno, le vallate dell' Isclero e del
Sabato, e buona parte dell' antico Sannio medesimo, costituiscono dei bacini idrografici ben
poveri, ove si consideri la loro vastità e l'importanza dei sistemi montuosi, che li originano ed
alimentano; la spiegazione di questo fatto in gran parte riposa sulla natura e costituzione
assai disgregata dei terreni, che formano il soprasuolo, per il che il fondo di questi bacini è in
generale eminentemente permeabile, e prontamente favorisce la dispersione delle acque
superficiali.
Di qui la necessità d'approvvigionare con costruzioni enormi e dispendiose i centri
popolati di queste regioni; necessità che fin dai più remoti tempi spinse per esempio i
Sanniti, e probabilmente in seguito i Romani, ad incanalare le acque di sorgente dell'alta
vallata del Sabato, le sole forse che entro questo largo perimetro anche attualmente si
prestino a tale ufficio, e condurle per mezzo di lunghi canali, i primi alla loro città capitale di
Benevento, i secondi a Napoli ed alle altre città vicine, a quei tempi fiorentissime.
Dell'acquedotto Sannitico poco si sa; alcuni gli contestano perfino questa origine
antichissima, negando che abbia potuto essere prodotto dalla civiltà semi-barbara di quelle
feroci popolazioni, ed attribuendolo ad un'epoca molto posteriore. Comunque sia, dagli avanzi
scoperti in passato, e durante la costruzione dell'attuale acquedotto, è agevole rifarne per
così dire, e seguirne la traccia. Pare assodato che il punto di partenza del canale fosse dalle
attuali sorgenti d'Urciuoli, e poi costeggiando la destra del Sabato fino a Prata, passasse
alla sua sinistra in quelle vicinanze, e, toccando Altavilla Irpina, continuasse a seguirne
l'andamento fino di fronte a Ceppaloni, dove le vestigia di alcune pile mostrano ancora il
grandioso ponte sopra il quale doveva ripassarlo per continuare poi sempre alla sua destra
sino a Benevento. La sezione libera, con poche variazioni, si riscontra in media della
larghezza di m. 0,60 per m. i ,60 d'altezza, formata da una platea piana, piedritti verticali e
copertura a volta od a piovente con pianelloni laterizi, e sulle pareti, sotto alle incrostazioni
frequenti, si rilevano ancora le tracce dell' intonaco resistente del quale erano rivestite.
L'acquedotto romano, conosciuto sotto il nome di Claudio dall'imperatore Claudio
Augusto, secondo alcuni, o Claudio Nerone, secondo altri, per le sue proporzioni ha
un'importanza molto maggiore; con esso infatti venivano fornite molte fra le principali città
della Campania Felix, come Pompei, Nola, Atelea, Napoli, Pozzuoli ecc., nonché le numerose
ville di Posilipo, Nisida e Baia, nelle quali le agiatezze e le delizie erano disseminate collo
sfarzo e profusione proverbiali della vita patrizia sotto l'Impero. Dalle investigazioni del
Lettieri, ingegnere del viceré Pietro di Toledo, e da quelle più diligenti fatte nei nostri
tempi dall'Abate, il percorso di quest'opera è ormai nettamente precisato. La presa aveva
luogo dalle sorgenti alte di Serino, e propriamente un duecento metri sotto l'attuale bocca
di scarico d'Acquare, la principale di questo gruppo; da questo punto, situato sulla sponda
sinistra del Sabato, partiva l'acquedotto, che, sviluppandosi a costa dei monti di
Cesinale e d'Ajello, usciva dal territorio di Serino, e, passando in profonde gallerie sotto
i monti di Forino, attraversava il piano di Montoro, toccando i casali Petruro e Lanzara;
discendeva con pendenza assai ripida la montagna della Laura, e, forata quella di Paterno,
entrava nel vasto piano di Sarno; toccava pure questa contrada, e, lambendo sempre le
falde dei monti, passava per Palma e al nord di Somma, ed arrivava nei pressi di
Pomigliano d'Arco, dove ancora si ammirano i ruderi del grandioso ponte, lungo quasi 4
chilometri, sul quale l'acquedotto superava quelle basse pianure; quindi per Casalnuovo e S.
Pietro a Patierno giungeva ai famosi Ponti Rossi, gettati attraverso al Vallone di Miano, e
s'internava poscia nella collina del Vomero con tre cunicoli, che tuttora si vedono sul margine
destro della strada di Capodimonte; indi, rasentando l'attuale Orto Botanico ed il Largo delle
Pigne, e sottopassando l'antica Porta di Costantinopoli, arrivava al piede del colle di S.
Erasmo, presso il monastero della Trinità, dove in un'enorme piscina, o castello di distribuzione,
che al tempo di Carlo V ancora esisteva, versava parte delle sue acque, le quali poi in
diverse direzioni si diramavano per la città. La lunghezza di questo primo tronco
d'acquedotto era di circa 80 chilometri, e la sezione, variabile come dimensioni, ma
ordinariamente assai più ampia del Sannitico, presenta presso a poco le stesse forme, e la
stessa struttura.
Dal castello anzidetto il canale continuava costeggiando il resto della collina del
Vomero, attraversava la grotta di Pozzuoli, e proseguendo verso il colle, che sovrasta il lago
di Agnano, dopo aver forato i basalti del monte Olibano, giungeva alla floridissima città di
Pozzuoli, che abbondantemente forniva a mezzo di numerose piscine; agli estremi della
grotta di Pozzuoli si diramavano due cunicoli secondari, che, scendendo a mare, andavano uno
all'estrema punta di Posillipo, e 1'altro nell'isola di Nisida, varcando lo stretto, che la separa
dalla costa, con un ponte ardimentoso fondato sul letto del mare.
L'acquedotto intanto, passato Pozzuoli, procedeva secondando l'andamento sinuoso di
quella bella costiera sino a Capo Miseno, dove finalmente sboccava e versava tutto il
contingente delle acque, che gli rimanevano, in un ampio serbatoio scavato nel monte, e
destinato al solo scopo d'approvvigionare la formidabile flotta dell'Impero, che in
quell'importante stazione navale si custodiva. Gli avanzi di questo imponente manufatto,
chiamato la Piscina Mirabile, ancora esistono e comprovano l'immensità della potenza
Romana, la quale sola poteva concepire e condurre a termine opere così altamente civili e
grandiose nell'idea, quanto ardite nella esecuzione.
Un altro acquedotto, che merita d'esser qui ricordato accanto al Sannitico ed al
Romano, benché di data molto posteriore, è quello di Caserta, opera veramente
ammirabile, costruita nel secolo scorso sotto il regno di Carlo III dall' illustre Vanvitelli.
L'acquedotto Carolino attinge le sue acque dalle sorgenti del Pizzo, poste ai piedi del
Taburno nella vallata di Montesarchio, attraversa nella sua parte alta quella d'Airola, passa
sopra S. Agata dei Goti, quindi a ridosso del monte Longano s'addentra nella stretta chiusa
di Valle, che supera con un superbo ponte-canale a più ordini d'arcate sovrapposte, d'altezza
e proporzioni imponenti; continua poscia costeggiando con conveniente elevazione il
versante meridionale di quelle colline sino di fronte a Caserta, dove riversa tutte le sue
acque per la famosa cascata artificiale, che forma uno degli adornamenti i più caratteristici e
sontuosi di quelle delizie reali; le eccedenti acque sono poi condotte a scaricare nel canale
Carmignano sotto Maddaloni.
Abbiamo voluto far qui breve cenno di queste opere, testimoni delle passate civiltà, e per
il grande valore storico e reale, che è a loro inerente, e per quell’intima e stretta correlazione
d'argomento che hanno coll’attuale di Serino, il quale, tenuto conto della diversità di
condizioni, di tempi e di mezzi, per elevatezza di concetto cui è ispirato, e per importanza
ed imponenza di costruzione, nulla perde nel confronto, in nulla è ad esse inferiore.
Presentemente la città di Napoli viene alimentata dagli acquedotti comunaali denominati
della Bolla e del Carmignano, ed in proporzione affatto insignificante e trascurabile da sorgive
locali.
La Bolla, la cui origine, non bene assodata, secondo alcuni si farebbe risalire ai tempi
di Costantino il Grande (328 d.C.), attinge le acque di sorgenti situate nella pianura in
vicinanza di Pomigliano d'Arco, ed entrando in Napoli per la via di Poggioreale a Porta
Capuana ad una quota di poco elevata sul livello del mare, le dispensa alle parti basse,
che si estendono ad oriente della città, cioè ai rioni Mercato, Porto e Pendino.
Il fiumicello Isclero, che dopo aver raccolto tutti i tributari del bacino di
Montesarchio e Cervinara, entra nell'alta vallata d'Airola girando alle falde del Taburno, due
chilometri circa sopra S. Agata dei Goti, da origine al canale Carmignano costruito nel 1629
dal patrizio Cesare Carmignano; questo canale, in alcuni tratti rivestito di muratura e coperto,
in altri semplicemente arginato in terra, percorre il territorio di S. Agata, e con giri assai
tortuosi, toccando successivamente Maddaloni e Cancello, e attraversando quella estesa pianura,
arriva nelle vicinanze di Licignano,.dove si divide in due rami, che separati entrano in
Napoli; il più importante porta l'acqua solamente destinata a mettere in movimento i molini
municipali, e quindi si scarica subito a mare; l'altro fa capo al partitore a S. Carlo
all'Arena a 25 m. sul mare, quota abbastanza elevata per poter fornire i medi, ed in
minima proporzione gli alti rioni della città.
La ripartizione di queste acque viene poi effettuata per mezzo d'una rete
complicatissima di cunicoli, sovente a considerevole profondità sotto al suolo, ora murati
ed ora semplicemente cavati nel tufo, le cui diramazioni estreme immettono direttamente nei
pozzi privati. La quantità d'acqua giornaliera che questi acquedotti somministrano alla città
per gli usi potabili è assai variabile nel corso dell’anno; in media dalle statistiche municipali
risulterebbe da 12 a 15 mila m3 per la Bolla, e 5 a 10 mila per il Carmignano, cioè una totalità
di 17 a 25 mila m3 al giorno, i quali ripartiti sulla numerosa popolazione di Napoli, che, stando
all'ultimo censimento 1881, si può ritenere in cifra tonda di 500 mila anime, danno una
dotazione per abitante assai meschina paragonata a quella delle altre città, e insufficiente
anche per i primi bisogni individuali. A questo conviene aggiungere ancora come la
distribuzione, che in tali condizioni è concesso di fare, non potendo mai essere
convenientemente regolata e sistemata, riesce assai imperfetta, mal proporzionata, sempre
onerosa all’economia domestica, e punto adattata alle esigenze ogn'ora crescenti della vita
moderna. Da queste ragioni è facile comprendere come la questione delle acque potabili sia
stata presa seriamente in considerazione in questi ultimi tempi, e come l'aspettativa del
risultato felicemente oggi ottenuto sia stata sempre vivissima.
Fino dal 1560 il Lettieri, che abbiamo più sopra menzionato, aveva notata la gravita di
queste circostanze, e formulato una specie di progetto tendente a convogliare le acque di
Serino, forse per la stessa via dell'acquedotto Claudio; ma l'idea generosa di quest'uomo
intelligente ed erudito doveva rimanere allo stato di vana aspirazione per parecchi secoli
ancora. Il primo progetto, che veramente la concretò informandola a caratteri di pratica
attuabilità, fu presentato al Comune di Napoli verso il 1862 dall'ingegnere Felice Abate,
e fu appunto quello che gettò le basi e fissò, si può dire, il punto di partenza di tutti gli studi
tecnici e pratiche amministrative, che susseguirono, e condussero attraverso a varie fasi alla
soluzione definitiva. Questo distinto ingegnere, che con pazienti ed accurate ricerche iniziate
sino dal 1841, come altrove abbiamo avvertito, aveva studiato profondamente l'acquedotto
Claudio, e rilevate e constatate sul terreno le condizioni a suo avviso relativamente buone,
nelle quali in generale ancora si trovava, propose di trame partito per utilizzarlo; però, allo
scopo di ricavare una portata maggiore e tale che effettivamente rispondesse ai bisogni della
città, suggerì per il primo di collegare le sorgenti superiori a quelle inferiori di Serino,
derivarne le acque così unite, e mediante un canale in muratura di nuova costruzione,
condurle fino al piano di Monterò; là immetterle parte in una conduttura forzata metallica,
che direttamente le avrebbe portate a Napoli con un percorso di forse 53 chilometri, e parte
introdurle nell'acquedotto Romano, opportunamente restaurato e completato per tutta la sua
lunghezza. In città poi stabiliva due grandi serbatoi, uno per la distribuzione nelle parti
alte, al quale faceva capo la conduttura forzata, l'altro all’arrivo del canale per il servizio
basso.
Tale ardito progetto interessò vivamente e suscitò una quantità di discussioni, alle quali
non mancarono uomini competentissimi, come il Paleocapa, ed altri; ma subito dopo alle
discussioni astratte subentrarono delle proposte concrete, e progetti più o meno pratici. Troppo
lungo sarebbe il descriverli qui minutamente ed il commentarli; in sostanza a due principali si
riducevano i punti discordanti, intorno ai quali s'aggiravano tutte le versioni;
approvvigionare la città per mezzo degli acquedotti già esistenti, perfezionandoli e facendoli
capaci d'una potenzialità equivalente ai bisogni, o costruire addirittura un nuovo acquedotto,
ed introdurre per esso nuove acque.
I sostenitori del primo, a suffragio del loro assunto, opponevano principalmente il costo
d'una nuova costruzione, in ogni caso troppo gravoso per le forze economicamente ristrette
del Comune; nel campo tecnico poi l'espediente stesso dell'Abate, d'approfittare dell'
acquedotto Claudio, si giudicava troppo ideale, basato troppo leggermente sopra pure
induzioni archeologiche, e quindi poco serio; invece ritenevano più semplice e pratico, e più
conciliante coi bisogni e condizioni della città, il partito di sistemare il Carmignano,
regolarne il suo corso, ed accrescerne nella misura conveniente i suoi prodotti, suggerendo
all'uopo mezzi numerosi e svariati. A ciò miravano i progetti avanzati e sostenuti dal
Cangiano, dal Carrelli, dal Firrao, dal Laurenzano, ecc.
D'altra parte l'Abate ed i suoi sostenitori trovavano insufficienti e viziosi di per sé
stessi i mezzi tecnici proposti dagli avversari, e li consideravano poi assolutamente inaccettabili
nel loro complesso, perché, ragione principalissima d'opposizione, per essi il grande problema
veniva cosi strozzato con una risoluzione troppo meschinamente incompleta, mentre, e non
a torto, le strettezze, nelle quali languiva la città, esigevano ed imponevano un completo e
radicale provvedimento; in questo ordine d'idee poi tutti, meno pochissime eccezioni, si
trovavano concordi nell'indicare le acque di Serino come le sole, che entro quella vasta zona
rispondessero allo scopo voluto sotto tutti gli aspetti, sia per le loro proprietà
eminentemente potabili, comprovate dalle moltissime analisi chimiche istituite, sia per la loro
quantità accertata di gran lunga esuberante per sopperire a tutte le esigenze della città di
Napoli.
Intanto una Commissione, incaricata dal Consiglio Comunale fin dal 1866 di studiare
in generale la questione e proporne uno scioglimento, sia sotto l'aspetto tecnico, che
economico, rispondeva dopo circa un anno al difficile mandato affidatole con un progetto
a grandi linee, nel quale anzi tutto si dava e si giustificava con sode ragioni la
preferenza alle acque di Serino, ma si riteneva però più conveniente d'abbandonare in
massima parte l'acquedotto Romano, sostituendovi opere nuove. Il grande concetto quindi
dell'Abate, modificato solo nei particolari, veniva in tal maniera ufficialmente accettato. Riguardo
poi alla parte economica la Commissione esponeva largamente le sue idee ed i suoi calcoli
nella doppia versione della costruzione ed esercizio fatti direttamente dal Municipio per
proprio conto, od accordati in concessione all’industria privata. Così troncate tutte le
questioni e polemiche, nelle quali s'era vagato fino allora, il problema nella sua generalità
veniva di molto semplificato, e determinatissimo; infatti, stabilita con questo l'acqua da
derivarsi, i punti di partenza e d'arrivo restavano nettamente individuati; non rimaneva più
che studiarne e fissarne il tracciato.
Dalla grande catena degli Appennini, che si stende fra i due Principati, si distacca ad
occidente un contrafforte, che forma il nodo del monte Terminio, alle cui falde giace la valle di
Serino; il contrafforte prosegue, abbraccia il gruppo dei Monti Partenii o d'Avella da una
parte ed il Taburno dall'altra, dando così origine alla storica Valle Caudina, ed estende le
sue estreme linee di displuvio fino ai colli di Vitulano, di Caserta, di Cancello in direzione
di Napoli, di Noia e di Palma nel bacino del Sarno. Queste ultime tre cime, come quelle
che, protendendosi molto addentro nella pianura circostante la città, si trovano più
direttamente d'ogni altra sul cammino da percorrersi colla condotta da Serino a Napoli, furono
principalmente prese di mira nei diversi tracciati proposti dopo il 1866 dalla Commissione
Municipale sopradetta, dal Petito, dal Tessitore, dal Mendia, dal Laurenzano, dal Verneau,
dallo Scalabrini ecc. ecc. Da tutti questi progetti, dei principali fra i quali il Verneau stesso
in un suo studio comparativo con fino processo analitico e molta competenza raffrontò e
discusse le conclusioni, una cosa risultava come a priori assodata, ed implicitamente ammessa; la
convenienza cioè, imposta evidentemente nei riguardi dell’economia dalle condizioni
altimetriche dei terreni, sui quali dovea svilupparsi l'opera, di dividere l'intera conduttura da
Serino a Napoli in due parti essenzialmente distinte; la prima a sezione libera, fin dove la
conformazione montuosa permetteva di conservare la necessaria elevazione; l’altra forzata, per
poter superare la depressione delle pianure, che immediatamente precedono la città. Le
differenze più salienti consistevano poi quasi unicamente nella lunghezza relativa di queste due
parti, il che naturalmente dipendeva dalla diversità di viste e di criteri particolari, ai quali
ciascun progettista aveva subordinato il proprio tracciato.
Ogni dilazione ormai tornava inutile, se non dannosa, giacché il problema era stato si
può dire sviscerato in tutte le sue parti le più intime, il terreno scrutato e solcato da
tracciati più o meno possibili in tutti i sensi, in tutte le direzioni; non restava più che
scegliere e coordinare gli elementi migliori, ed entrare risolutamente nel campo dell'azione.
Compresa di questo la Rappresentanza Comunale, in base ad un Capitolato, approvato
nel gennaio 1872, bandiva un concorso per asta pubblica ed a schede segrete, per la
costruzione ed esercizio della conduttura delle acque di Serino, revocando con ciò una
concessione già precedentemente e per l’identico scopo accordata per trattative private alla
Società di Credito Provinciale e Comunale, concessione alla quale il Governo aveva negata
l'approvazione. La vittoria nel concorso restò ai signori Mamby e Roberti, ai quali, in base al
progetto di massima del chiarissimo Ing. Bateman, e per deliberazione consigliare del giugno
1873, venne aggiudicata la concessione.
Una lunga serie di vicende e trattative di carattere puramente amministrativo, e che
stimiamo inutile di ricordare, seguirono qui; questo tempo però non andò perduto, che fu dal
Municipio efficacemente impiegato a superare le serie difficoltà, che si frapponevano alla
dichiarazione di pubblica utilità dell' opera, dichiarazione della quale non fu promulgato il
decreto se non nell'agosto 1877. Intanto, succeduta alla ditta Mamby e Roberti la General
Credit and Discount Company Limited, ed introdotte e concordate importanti modifiche alle
condizioni precedentemente pattuite, si divenne alla stipulazione del contratto 3 aprile 1878,
il quale regola e determina in modo definitivo l'intera concessione.
Il progetto Bateman, studiato sul terreno e sviluppato dall' Ing.Giacomo Profumo1,
segue il versante settentrionale dei monti Partenii, passando cioè per Valle Caudina e
facendo capo alla cima estrema di Cancello, dove ha termine la conduttura libera ed
incomincia quella forzata. Di tutte le linee proposte questa evidentemente è la più razionale,
inquantochè risolve il problema nel modo praticamente migliore sotto moltissimi aspetti.
Infatti la conformazione superficiale dei terreni attraversati per tal modo dalla condotta
libera presentando poche accidentalità comparativamente alle altre zone studiate, la
lunghezza parziale e totale dei diversi trafori in galleria naturale viene ridotta in misura
assai sensibile, mantenendosi d'altra parte eguale, od aumentando di ben poco, il
complessivo sviluppo dell'opera. Inoltre la collina di Cancello fra tutti i punti alti della catena
d'Avella, è il più vicino alla città di Napoli, dimodoché, passando per esso, si ha il minimo
percorso possibile di conduttura forzata. Questi considerevoli vantaggi ed altri minori ancora
che per brevità si omettono, realizzano certo un'ingente economia nelle spese di primo
impianto, ed in quelle della manutenzione, e nello stesso tempo agevolano e rendono
notevolmente più sicuro il funzionamento dell’acquedotto.
Il signor Bateman nel suo piano di massima si propone innanzi tutto l'allacciamento
delle sorgenti superiori a quelle inferiori di Serino, fissando a queste ultime l'origine
dell'acquedotto a sezione libera, il quale, sottopassando immediatamente il fiume Sabato, si
svolge alla sua sinistra, e toccando successivamente i territori di Cesinale, Atripalda,
Avallino e Prata, ne segue quasi sempre parallelamente il suo andamento, ad un livello
però molto superiore, fin sotto Altavilla Irpina; là il fiume piega a nord verso Benevento, mentre
il canale continua a sera, e forando il contrafforte di Ciardelli, sbocca nel tenimento di
Pannarano, e poscia toccando San Martino entra nell'alto piano di Cervinara, mantenendosi
quivi sempre fra la montagna e l'abitato; attraversa in tal modo le adiacenze di Rotondi,
Paolisi e Arpaia, quindi, girando e seguendo le sinuosità del monte, tocca Forchia, e prosegue
poi, sempre a mezzacosta ed a considerevole altezza sopra le borgate di Talanico, Arienzo e
S. Felice, fin sopra Cancello sul versante della collina, che prospetta la pianura di Acerra in
direzione di Napoli. Il profilo longitudinale stabilito in questo progetto è diviso in tre
tronchi, con differenti pendenze; la prima livelletta, del 0,33 per mille, comprende la parte
intercetta fra le sorgenti di Urciuoli e lo sbocco del grande traforo Ciardelli; frammezzo, e
precisamente ad Atripalda, è preventivato un salto o caduta di m. 6,25 da utilizzarsi per
forza motrice; la seconda livelletta, del 0,50 per mille, arriva fino alla sella d'Arpaia, sul
versante della quale è ugualmente fissata un'altra caduta di m. 41,80; infine la terza, con
una pendenza dell'uno per mille, s'estende per tutto il resto del canale. Oltreché dalle due
1
II signor Ingegnere cav. Profumo, preposto poi alla Direzione tecnica del lavori dell'acquedotto, mancò prematuramente ai vivi
nel giorno 9 maggio 1884, senza la soddisfazione di vedere compiuta un'opera, alla quale aveva consacrato parecchi anni della
sua esistenza.
cadute nominate, la linea del profilo è ancora interrotta da ben 16 sifoni metallici, che il
signor Bateman aveva suggerito per facilitare l'attraversamento dei valloni intersecati dal
tracciato. L'ampiezza della sezione assegnata al canale, progettato in muratura, e costantemente
sepolto sotto alla superficie del suolo, varia secondo le pendenze relative, ma è tale da
renderla in ogni suo punto capace di una portata di 2 m 3 al secondo; e la lunghezza
complessiva, quale risulta da questo studio approssimativo, è di circa 56,500 m.
Sul colle, che sovrasta Cancello, s’accenna ad una vasca scoperta, che ricevendo le
acque dal canale, le introduce nella conduttura forzata, costituita da due sifoni rovesci in ferro
fuso del diametro interno di 61 o mm. l'uno, e 760 mm. l'altro, i quali, con una potenzialità di
deflusso complessiva di 100 mila m 3 al giorno, come prescrivono i contratti, e posati
l'uno accanto all'altro, vanno attraverso la pianura d'Acerra direttamente a Napoli. Quivi,
stante la conformazione della città e le sensibili differenze di livello dei vari punti da
alimentarsi, il servizio è diviso in tre zone, ciascuna fornita da apposito serbatoio, posto ad
altezza, opportuna. Il sifone da 610 mm., con un percorso di circa 18 chilometri, s’arresta
al Campo di Marte, e defluisce nel serbatoio del servizio medio, quivi stabilito con una
capacità di 40,000 m3 ed all’altezza, di m. 90 sul livello marino. L'altro sifone in Campo di
Marte si divide in due rami del diametro di 610 mm. ciascuno, dei quali uno va ad
alimentare il serbatoio del basso servizio a S. Eframo, capace anche questo di oltre
40,000 m 3 ed alla quota di 45 m. sul mare, e l'altro prosegue fino sotto il parco di
Villa Gallo, a 180 m. sul mare, nove sarebbe fissato il serbatoio dell’alto servizio della
capacità di 20 mira m3 .
La General Credit frattanto, dopo avere impiegato parecchio tempo nelle ricerche e
pratiche relative alla risoluzione economica, certamente non facile trattandosi d'un' opera di
tanto momento, arrivava finalmente a costituire la Società denominata THE NAPLES WATER
WORKS COMPANY LIMITED , che giusta le disposizioni contrattuali doveva assumere la
concessione, subentrando in tal maniera in tutti i diritti ed obblighi ad essa inerenti.
Questa nuova Compagnia, formata dagli azionisti principali della antica COMPAGNIE
GENERALE DES EAUX di Parigi, i quali sono anche i fondatori della COMPAGNIE GENERALE DES
EAUX POUR L' ETRANGER, già favorevolmente conosciuta in Italia come assuntrice di altri
importanti acquedotti, ad esempio quello di Venezia, Spezia, Bergamo, ecc., fu abilitata ad
operare nel Regno in base ai suoi Statuti, già precedentemente approvati dal Municipio di
Napoli, con decreto Reale 30 gennaio 1881, e riconosciuta dallo stesso Municipio con
istrumento pubblico 28 maggio dello stesso anno.
Il Direttore Generale di tutte queste Compagnie, l’illustre e compianto Ingegnere in
capo di Ponti e Strade cav. Gustavo Marchant, la cui morte prematura fu propriamente
una perdita dolorosa e gravissima per la Scienza, dopo aver visitato di persona il terreno e
studiato il problema coll’autorità e competenza, che a lui davano le estese e profonde
cognizioni tecniche e la larghissima pratica in queste costruzioni, volle rifatto un progetto
definitivo e particolareggiato, col quale fosse possibile procedere immediatamente
all’esecuzione. L'incarico, certamente non facile ove si ponga mente alla natura dello studio,
ed alla brevità del tempo per ciò disponibile, venne commesso al distinto Ingegnere signor
Schnaebelé, che completò e presentò il suo piano esecutivo all'approvazione Municipale il
4 febbraio 1882.
Solo qualche mese innanzi, e precisamente verso la fine del 1881, cominciarono i primi
lavori, la cui esecuzione, meno la grande galleria di Ciardelli, sotto l'immediata sorveglianza
della Compagnia, fu affidata alla Società Veneta per Imprese e Costruzioni pubbliche, ormai
tanto conosciuta e stimata in Italia per molti lavori grandiosi e di vario genere negli ultimi
anni da essa compiuti, fra i quali vuoisi qui ricordare il difficile ed importarle acquedotto di
Venezia.
Nel piano esecutivo della Compagnia sono naturalmente conservati i caratteri generali
del progetto di massima Bateman più sopra descritto; vi furono però introdotte modificazioni
ed innovazioni talmente considerevoli, che in molta parte si può ritenere sostanzialmente
riformato. L'andamento planimetrico dell'acquedotto in conduttura libera nella sua generalità è
quello stabilito dal Bateman; però certe tortuosità viziose di tracciato furono rettificate secondo
i casi, o con gallerie naturali, o con ponti-canali. Slmilmente, i sifoni metallici, in abbondanza
intercalati per il passaggio dei valloni, furono in massima tutti soppressi, eccezione fatta di
due, e ciò col girare la costa dei monti, o con opportune opere d'arte di struttura muraria,
secondo le circostanze locali; questa misura porta conseguenze vantaggiose e nei riguardi del
funzionamento, fatto così più semplice e sicuro, ed in quelli della manutenzione durante
1’esercizio, ridotta indubbiamente meno onerosa. Il profilo longitudinale poi è affatto diverso,
giacché la pendenza del canale è mantenuta costante, e quindi anche l'ampiezza della sezione
è conservata tale per tutta la sua lunghezza da Serino a Cancello; ed essendo questa
pendenza assai mite, cioè del mezzo per mille, la velocità, che ne risulta per la portata
stabilita di 2 m" al secondo, è convenientissima allo scopo ed alla buona conservazione del
canale, e permette nello stesso tempo di utilizzare per forza motrice una cadente complessiva
molto maggiore, come vedremo.
La parte poi del progetto, nella quale le innovazioni introdotte acquistano per i loro
effetti vantaggiosi un'importanza veramente considerevole, si è la distribuzione nella città.
Infatti i servizi stabiliti a tre, alimentabili quindi da tre canalizzazioni distinte, furono
ridotti a due soli, colla soppressione del serbatoio basso; la ragione, che condusse a questo,
si è che la alimentazione separata delle due zone bassa e media, che unite comprendono oltre i 5/a
della popolazione, quale veniva proposta, risultava affatto sproporzionata, perché il serbatoio
basso, stabilito, come altrove si è detto, alla quota di 45 metri sul mare, non poteva
abbracciare nella sua sfera d’azione, tenuto conto delle perdite di carico dovute
all'attrito, e delle altezze degli edifici da approvvigionarsi, che una zona .assai limitata e per
superficie e per popolazione in confronto di quella del medio servizio, la zona cioè compresa
presso a poco fra 0 m. e 15 m. sul mare. Invece, comprendendo il basso e medio servizio in
un solo serbatoio di capacità ed altimetria adattate, non solo si ottiene una ripartizione
più equa, ma si realizza ancora un' ingente economia nelle spese di primo impianto,
risparmiando la terza canalizzazione speciale, ed ottenendo una diminuzione sui diametri delle
.diramazioni nelle parti basse, giacché a parità di portata vengono alimentate con una carica
maggiore, senza che perciò debbano aumentarsi gli spessori, trattandosi sempre di pressioni
limitate; infine poi il servizio in generale viene per tal maniera molto semplificato ed
agevolato. A questi vantaggi ancora conviene aggiungere l’altro proveniente dalla scelta
felicissima della località, nella quale venne stabilito questo serbatoio; infatti la posizione di
Capodimonte è talmente simmetrica rispetto alla parte bassa e media della città, che lo
sviluppo della rete tubulare, che vi si dirama, riesce perciò il minimo possibile.
Anche per quanto riguarda l'acquedotto principale in conduttura forzata da Cancello a
Napoli, la Compagnia variò le disposizioni precedentemente progettate. Stabiliti e fissati a due
i servizi della città, in due parti pure si ritenne conveniente di dividere la condotta, che li
fornisce, ognuna delle quali partendo a Cancello da punti distinti, conduce separatamente
l’acqua al rispettivo serbatoio; il numero poi dei sifoni fu portato a tre invece di due, e
precisamente uno per l'alto servizio, e due per il basso e medio. I singoli diametri furono
ancora sensibilmente aumentati, il che, per la stessa potenzialità, richiese una carica minore, e
permise d'abbassare conseguentemente i punti di partenza a Cancello. Da tutto questo
s’ottenne una indipendenza assoluta nell’alimentazione dei due serbatoi, e una riduzione
notevole nelle già forti pressioni, alle quali sono tuttora cimentati i sifoni; le spese di primo
impianto per queste innovazioni risultarono certo maggiori, ma il risparmio anche qui realizzato
nella manutenzione, e sopratutto la maggior sicurezza e regolarità di servizio in tal maniera
ottenute, largamente le compensano.
Premesse queste notizie e considerazioni, passiamo ora a descrivere le varie parti, che nel
loro complesso costituiscono quest’opera veramente colossale, con tutti quei particolari
riguardanti la costruzione ed il modo di funzionare, che i limiti assegnati alla presente
relazione consentono. La divisione naturale di queste parti, ordinata secondo gli speciali
uffici a loro affidati, sarebbe:
a) Allacciamento delle sorgenti;
b) Acquedotto principale in conduttura libera;
e) Acquedotto principale in conduttura forzata;
d) Serbatoi;
e) Canalizzazione in città.
ALLACCIAMENTO DELLE SORGENTI
Lungo tutta la piccola valle di Serino, che, cominciando dalle falde del Terminio e
Velizzano, si protende sempre rinserrata fra i monti in direzione d'Avellino, numerose ed
abbondanti sorgenti scaturiscono alla superficie, raccogliendo le loro limpide acque in piccoli
stagni e rigagnoli, e scaricandole quindi nel fiumicello Sabato, che corre appunto la valle
per tutta la sua lunghezza. Due gruppi di queste sorgenti, distanti fra loro appena tre
chilometri, furono prescelti per servire all’approvvigionamento della città di Napoli; il
gruppo superiore, che prende il nome di Acquaro e Pelosi, e giace a circa 373 metri sul
mare, e quello inferiore o d' Urciuoli alla quota di circa 330.
I lavori d'allacciamento, che furono compiuti nelle sorgenti d'Urciuoli, diedero ormai
dei risultati eccellenti, superiori ad ogni previsione, giacché la portata, che da esse sole si
ricava, nei tempi di massima magra sale già a circa 2 m3 al secondo, il che corrisponde
precisamente al quantitativo giornaliero dei 170,000 m3 da derivarsi coll’acquedotto, come
impongono i contratti.
La plaga dove sgorgano queste sorgenti sta sulla riva destra del Sabato, dilungandosi
per circa 350 metri in direzione nord-est, ed è appunto attraversata in questo senso da un
piccolo corso d'acqua formato dai due torrentelli S. Stefano e Quercia Grande, che
solamente poco a monte si uniscono.
Prima di progettare le opere di allacciamento, la Compagnia volle studiare e rendersi un
esatto conto delle condizioni geologiche di quel sottosuolo, facendo praticare su larga scala
delle terebrazioni a distanze e profondità più o meno grandi, operazione questa oltremodo
delicata e nella quale si richiese moltissima oculatezza, per non esporsi con essa al pericolo
di forare il banco impermeabile e disperdere con ciò, o se non altro alterare il regime
interno delle sorgenti. Nella sezione geologica ordinaria, della quale diamo un tipo nella Tav.
2, come risultò dal complesso di tutti questi saggi, lo strato impermeabile trovasi ad una
media profondità di m. 12.00 sotto la superficie del suolo; la vena acquifera, che segue
immediatamente, ha uno spessore variabilissimo, ma in media devesi ritenere di m. 3 a 4,
ed è sempre costituita da sabbia, ghiaia e trovanti calcari di diverse grandezze; questo strato
permeabilissimo, attraverso il quale filtrano le acque, che scendendo dalle lontane regioni
montuose si raccolgono qui per zampillare a fior di terra, è costantemente coperto e
protetto da un tetto di tufo nero abbastanza resistente e di spessore anch'esso variabilissimo, sopra il quale adagiasi infine la terra vegetale, ghiaia, limo ed altri prodotti delle
successive alluvioni.
Prima cosa presa di mira in questa costruzione, fu d'isolare nettamente le acque
sotterranee, che sole sono destinate ad alimentare l'acquedotto, da tutte quelle superficiali.
Per i corsi d'acqua, e precisamente per i torrentelli S. Stefano e Quercia Grande sopra
ricordati, si costruì un apposito letto limitato da robuste sponde in muratura, di ampiezza
esuberante per poterne contenere le acque nelle piene eventuali.
Il sistema di allacciamento, secondo il quale si procedette, è per fognatura o drenaggio
sotterraneo; divisa la plaga in tre zone, a seconda della posizione ed importanza della varie
sorgive, che in essa si manifestavano, furono costruiti tre canali coperti, destinati a
raccoglierne e convogliarne le acque, ed al principale fra questi, come quello che attraversava
la zona più ricca, furono attribuite dimensioni maggiori che agli altri due. La struttura murale
è in calcare cementato con buona malta idraulica, e dove la presènza d’abbondanti acque
invadenti le trincee non lo consentiva, con calcestruzzo a getto subacqueo, contenuto da
apposite paratie in legname e battuto a regola d'arte; la volta, sempre in mattoni e di spessori
variabili secondo l'altezza, di terreno sotto il quale sta sepolta, è difesa all’estradosso da
una cappa resistente ed impermeabile.
La profondità, alla quale sono collocati questi collettori, varia secondo la configurazione
del soprasuolo; però in generale, rispetto alla struttura geologica, si trovano superiori alla vena
acquifera, di maniera che dove essi giacciono incassati nel tufo non venne fatta alcuna platea,
dove no, furono robustati con catene trasversali in.beton di dimensioni sufficienti e a
convenienti distanze, e per avere sempre sgombra la sezione dei collettori, e nello stesso
tempo per favorire in modo efficace le infiltrazioni sotterranee, si pavimentò in quei luoghi
con platea a secco.
Le polle immediatamente laterali al percorso del collettore versano in esso le loro
acque per apposite luci lasciate nel piedritto corrispondente, d’apertura proporzionata
all’importanza delle medesime; per raccogliere le altre più discoste od eventuali, si ebbe
cura di praticare in tutti e due i piedritti, e a distanze opportune, delle piccole feritoie a
sezione quadrata del lato di m. 0.20 circa.
All’esterno, e lateralmente ai piedritti, lo scavo si aprì per una certa larghezza in più, e lo
si riempì sino al livello della cappa di ciottoli calcari con tutta accuratezza puliti e lavati;
in tal maniera si avvolse il collettore in una incamiciatura permeabilissima, attraverso la
quale anche le sorgive elevate possono trovare facile e comoda via, per defluire ed unirvi i
loro prodotti alle altre; sopra a questo drenaggio, per tutta la larghezza della trincea, si
distesero due strati di pura argilla fortemente battuta, cementatile loro da un frapposto velo di
calce idraulica in polvere, quindi sopra il riempimento in terra; con ciò si ha una crosta
artificiale impenetrabile, che protegge le sorgive dall’influenza delle acque di pioggia scorrenti sulla superficie.
Questi tre collettori, la cui azione si estende sopra una zona di oltre 30000 hr, con una
pendenza del 2 per 1000, portano ed uniscono i loro prodotti in un fabbricato, che
passeremo subito a descrivere. Il collettore principale, con una lunghezza di circa 90 metri,
sottopassa il tronco di nuova inalveazione dei torrentelli sopra detti, ed entra nel fabbricato
sull’asse della sua facciata rivolta a sud; nel mezzo di quella ad ovest sbocca il collettore
secondario detto appunto ovest, della lunghezza di metri 155; in quella finalmente a nord, e
precisamente nell’angolo verso mattina, entra l'altro collettore detto nord, dopo un
percorso di metri 270.
La raccolta di queste acque avviene in un fabbricato di pianta quadrata del lato di
metri 12.50 all'esterno; in alzato è diviso in tre piani; quello superiore trovasi al livello
del suolo, gli altri due sono sotterranei, e precisamente quello di mezzo ha il suo pavimento
all’altezza della platea dei collettori, che in esso mettono capo (323 m. sul mare), e l'inferiore
alla quota di m. 321, colla quale ha origine l’acquedotto in conduttura libera che da qui
appunto si diparte. L’acqua, raccolta dai collettori, arriva a quest’ultima camera mediante
un salto, che per quanto si è detto risulta di m. 2.00, salto che si è stimato prudente di
dividere in due ripiani, per diminuire la velocità dell’acqua per esso acquisita, e l’urto
conseguente della sua caduta sulla platea sottoposta. Delle paratoie, piazzate di fronte allo
sbocco dei collettori, servono opportunamente manovrate a moderare o ad intercettare
completamente, a seconda dei bisogni, l'introduzione dell’acqua nella vasca inferiore e per
conseguenza nell’acquedotto. In tali casi l'acqua eccedente, che trovasi tutta raccolta nella
camera dei collettori, si scarica per mezzo di un canale avente appunto la soglia in
corrispondenza a questo piano; la sua sezione è un semicerchio del diametro di m. 3.00, ed è
formata da una volta in tufo impostata direttamente sopra una robusta platea di
calcestruzzo, e rivestita all’interno di buon intonaco; questo canale colla pendenza dell’uno per
mille, e con un percorso di oltre 400 metri, defluisce nel Sabato.
Il lato poi, che guarda a mattina, nella camera di raccolta è destinato all’immissione di
nuovi collettori, ove se ne presentasse il bisogno, od all’introduzione dell’acque provenienti
dalle sorgive superiori, quando le esigenze del consumo ne imporranno il collegamento. Il piano
superiore del fabbricato, elle serve alle manovre delle paratoie, per mezzo di una comoda scala
da l'accesso alle due vasche sottostanti, facilitandone in tal maniera tutte le ispezioni e
riparazioni, che potranno rendersi necessarie durante 1’esercizio.
L'ingresso a questo fabbricato, decorato all’esterno con buona architettura, s’apre nella
facciata a mattina, preceduto da un atrio ad ampie arcate, sotto il quale due eleganti
fontanette offrono il saggio dell'acqua destinata all’alimentazione della grande Città.
Finalmente un alto muro di cinta, isolando tutta la vasta zona di terreno espropriata,
concentra e facilita con ciò la sorveglianza di questo importantissimo manufatto, che forma
per così dire la chiave di tutta l'opera.
ACQUEDOTTO PRINCIPALE IN CONDUTTURA LIBERA
La lunghezza complessiva di questa condotta, che dalle sorgenti d’Urciuoli va alla
collSto di Cancello, misura esattamente m. 59.551,75. Lungo questo percorso considerevole,
parte a mezza-costa, parte in galleria naturale nell’interno dei monti, parte in pianura, secondo la
configurazione superficiale della zona attraversata, il profilo geologico, dalle rocce le più
compatte, le più dure, alle argille le più plastiche, le più scorrevoli, presenta tutte le varietà
e gradazioni; in generale però la natura dei terreni, dove ha sede l'acquedotto, è assai
buona e favorevole all’impianto di un così importante manufatto; e nei pochi luoghi, nei quali
questo non apparve, venne studiato l'impiego di tutti quei mezzi, che l'arte tecnica
suggerisce per raggiungere la necessaria stabilità ed assicurare all’opera la voluta durata.
Dell’andamento
topografico
abbiamo
già
fatto
parola
a
proposito
del progetto Bateman, accennando ai principali luoghi e paesi abitati, per
i quali passa; per darne però un’idea più completa presentiamo alla Tav. 1
la planimetria generale di tutta l’opera. Come tracciato fu detto ancora
delle modificazioni più salienti introdotte, onde su tale argomento altro non
resterebbe a notare qui se non che, all’'atto dell’esecuzione, compatibilmente
colle condizioni particolari del terreno, la poligonale fu rettificata raccordando
a curve dolci gli angoli inevitabili, per modo da rendere meno bruschi i
cambiamenti di direzione. Così, per quanto riguarda il profilo longitudinale
(Tav. 3), aggiungeremo che la linea fu scelta in maniera, che l’acquedotto
trovasi sempre sepolto completamente sotto al livello del suolo; lo spessore
minimo del terreno, che lo ricopre, è di un metro, la qual cosa induce a
credere, che in questo lungo tragitto l’acqua conserverà tutta la freschezza
della quale è dotata 2.
La sezione normale ordinariamente adottata, che in forza della pendenza costante fu pure
mantenuta eguale per tutta la lunghezza, è formata da una platea ad arco rovescio a tre
centri, raccordata a due piedritti a faccia piana, sopra i quali s’imposta una volta cilindrica a
tutto sesto; le dimensioni principali dello speco sono m. 1.60 in larghezza per m. 2.00
d’altezza. Ragioni di stabilità od altro, dipendenti da condizioni tutto affatto locali, indussero
qualche volta a variare nella forma questa sezione, mantenendone però sempre equivalente la
luce libera. In via di esempio, nel rivestimento di alcune gallerie, e particolarmente in tutte
quelle comprese fra le sorgenti ed il contrafforte Ciardelli, si scelse un tipo più resistente,
affatto simile a questo normale descritto, ma coi piedritti profilati a curva leggermente sentita.
Così in qualche tratto delle gallerie l ° Pannarano e Franco, per controbilanciare le potenti
spinte esercitate da quei terreni, la prudenza consigliò d’assegnare alla prima una sezione
interna perfettamente circolare del diametro di m. 2.00, e all'altra una ovoidale a 4 centri.
Cosi ancora nei grandi ogiviti-canali d’Avelline, per un ragionevole risparmio nel volume della
massa murale, l'ampiezza dello speco venne ristretta a m. 1.45, e in proporzione aumentata
l'altezza a m. 2,25. Finalmente in certi sottopassaggi di alvei-strade nell’alto piano di
Cervinara, nei quali ragioni particolari di pendenza impedivano d’innalzare oltre un certo
limite il fondo, e di alterarne in qualsiasi modo il regime idraulico, si trovò ottima la sostituzione di un tipo speciale a forma schiacciata, che si ottenne facilmente invertendo le
dimensioni di quello normale. Tutte queste diverse sezioni sono raccolte nelle tavole 3 e 4.
La struttura murale, come qualità di materiali, varia secondo le condizioni particolari delle
località attraversate.
Nel 1° tronco dell' acquedotto fino a Ciardelli, dove le cave di buona pietra calcare fanno
difetto, si impiegò il tufo vulcanico di eccellente qualità e convenientemente lavorato; nel
rivestimento delle gallerie però, e in tutti quei siti, nei quali le esigenze della stabilità lo
imposero, ai corsi di tufo si intercalarono filari di mattoni, ed in alcune località anzi si usarono soli
mattoni. Da Ciardelli a Forchia, presso Arpaia, predomina il calcare, in ispecie nelle gallerie,
muratura solidissima ed in vero assai adattata per quei terreni in qualche parte difficili; non
mancano però il tufo ed anche il mattone, che anzi furono adoperati quasi esclusivamente in
tutto quel tratto attraverso il territorio di Cervinara. Da Forchia a Cancello poi, dove il canale è
incassato per la massima parte nella roccia, fu unicamente impiegato il tufo. Nei singoli casi la
muratura è sempre a corsi regolari orizzontali, formati da pietrelle (bolognini) più o meno
grossolanamente lavorate nella faccia vista ad accetta, se in tufo, ed a martello, se in calcare,
2
La temperatura dell'acqua alle sorgenti d'Urciuoli, che si può considerare costante, tanto poco varia nel corso dell'anno,
raggiunge appena i II" della scala centigrada.
e con riempimento a muratura incerta nella sottoplatea, dietro i piedritti e nei rinfianchi; la volta
è formata da cunei regolarmente profilati secondo il raggio, ed è ricoperta da una cappa in
pietrisco o lapillo, battuta a conveniente rifiuto. Calce, pozzolana e sabbia sono le materie, che,
in proporzioni di volume eguali, compongono le malte, proporzioni che, sia per la presa, come
per la consistenza, diedero ottimi risultati.
Anche per quanto concerne gli spessori, la struttura murale è variabilissima ed in relazione
sempre alle condizioni più o meno favorevoli di solidità, che presentavano i terreni; le grossezze,
date come norma nei terreni ordinari, sarebbero m. 0.40 per la platea e piedritti, e m. 0.30 per la
volta; nei cavi poi in roccia consistente la muratura si limita ad un puro rivestimento dello spessore medio di m. 0.20.
Tutta la superficie interna del canale fu rivestita d'intonaco, al doppio scopo di favorire
l’efflusso dell’acqua, col diminuirne l’attrito sulle pareti, e di impedire le infiltrazioni dall’esterno
e le dispersioni dall’interno. Questo intonaco, composto con eccellente cemento di Grenoble,
venne applicato in due strati, aventi proporzioni diverse di cemento e sabbia, con uno spessore
medio complessivo di 15 mm; in via ordinaria venne impiegato cemento naturale a resa lenta;
ma in tutti quei luoghi, dove le infiltrazioni ne rendevano difficile l’applicazione, e incerta la
riuscita, si dovette adoperare quello a rapida presa.
La sezione normale ha una superficie libera di m 2.80 circa, superficie, la quale, colla
pendenza stabilita del 0,50 per mille, è più che sufficiente a fornire la voluta quantità
d’acqua. Infatti, in base alla nota formula di Darcy e Bazin, supponendo l'acqua arrivi
all’imposta della volta, con un’altezza cioè sulla platea di m. 1,20, si avrà:
S superficie bagnata = m 1,81. P perimetro bagnato = m. 3,58. R raggio medio =
0,506. i pendenza unitaria = m. 0,0005
per cui, assumendo il coefficiente relativo a pareti semplicemente lisce, per tener conto con
ciò dei depositi e piccole incrostazioni, che in avvenire vi si potrebbero formare, la velocità
risulta:
O 500X0.0005
quindi la portata per minuto secondo:
O- 1,81 X 1,081 = m 3 1,950
cioè 2 m3 in cifra tonda, portata appunto equivalente a quella prescritta dal contratto di
concessione, e che si può ancora aumentare, entro dati limiti, elevando di poco l'altezza del
pelo d’acqua sulla platea del canale.
La parte in tutta questa grandiosa costruzione, che sovra tutte preoccupò e presentò
realmente maggiori difficoltà, fu il perforamento delle numerose gallerie naturali, che,
intercalate lungo la linea del tracciato, danno uno sviluppo complessivo di 14,500 m. all’incirca.
Fra queste la più importante e la più lunga (3200 m.) è quella di Ciardelli, che la
Compagnia, come altrove abbiamo detto, costruì direttamente da sé; seri ostacoli d’ogni
maniera furono superati in questo traforo, in gran parte causati dalla pessima qualità di
terreno, che forma l’'interna struttura del monte; argille umide, che, tendendo a gonfiarsi,
davano luogo a spinte enormi; sorgive copiose d’acqua, e sviluppo ed esplosioni di gas
infiammabili, che più volte minacciarono la vita degli operai e degli agenti della Compagnia.
Difficoltà analoghe, ma forse in proporzioni minori, s’incontrarono ancora nelle gallerie
Selitti, Pannarano, Franco, S. Martino, Valle, Arpaja, ecc., in alcune delle quali, in causa delle
forti pressioni dei terreni, si dovette perfino modificare la sezione del canale, come abbiamo
già avvertito.
Rimarchevole poi fu la galleria d’Altavilla, la più lunga dopo quella di Ciardelli (1500
m. circa), per la durezza della sua puddinga, talché in alcuni punti si ritenne inutile di rivestire di
volta la parte superiore del canale.
In causa della limitata ampiezza, della sezione, e della brevità del tempo assegnato al
compimento dei lavori, le operazioni di scarico pel materiale scavato, e d’approvigionamento di
quello necessario per le murature, riuscivano assai malagevoli, cosicché nelle gallerie più lunghe
si dovette ricorrere a pozzi di servizio, scavati alcuni a notevoli profondità; nel tunnel
Ciardelli ne furono aperti sei; sei pure in quello di Altavilla, nel 2° Pannarano quattro, ecc. ecc.,
ed il servizio vi veniva fatto per mezzo di burbere a mano od a cavalli; ad opera compiuta alcuni
di questi pozzi furono lasciati per l’aereazione durante il funzionamento.
Le opere d’arte e le costruzioni speciali, fatte per la continuità del canale hanno per sé
stesse un'importanza considerevole; si possono classificare nelle tre specie: ponti-canali, sifoni e
cadute.
I ponti-canali sono oltre 20, e danno uno sviluppo complessivo di circa 1800 m; più
importanti fra questi per proporzioni sono i due d’Atripalda, dei quali uno, con una
lunghezza di oltre 300 m. e con 18 luci, taglia la strada provinciale di Melfi; l’altro, lungo
163 m. e con 12 arcate, attraversa la nazionale delle Puglie, ed i due di Montevergine, uno che
con 25 luci e più di 350 m. di lunghezza supera il vallone di Rio Vergine, e finalmente
l’altro, che passa sopra al Rio Noci con 31 arcate e quasi 500 m. di lunghezza.
Il prospetto visto di questi manufatti, che per la loro mole sono veramente imponenti, è
decorato da linee severe e semplici, ma altrettanto eleganti; il tipo è comune per tutti e quattro;
ogni arcata è a tutto sesto col diametro di m. 8.00, tranne quelle sottopassate direttamente dalle
strade, alle quali si dovette dare un'ampiezza maggiore, cioè di m. 13,50, profilandovi la
volta con una curva a 3 centri; gli ulteriori dettagli poi si possono vedere nella Tav. 4, dove
diamo il prospetto ed una sezione del ponte sul Rio Noci.
Come solidità di costruzione nulla di più v’è a chiedere; le fondazioni delle testate e delle
pile, formate in calcestruzzo, sono basate direttamente sul banco sodo, per lo più costituito da
argilla compatta, raggiungendolo molte volte a considerevoli profondità. La struttura murale
è in tufo e mattoni, a corsi intercalati, eccezione fatta per le arcate corrispondenti ai passaggi
delle strade e corsi d’acqua, nelle quali le pile per tutta l’altezza, dello zoccolo, e le armille della
volta, sono in calcare. Per ordine di proporzioni verrebbero subito dopo questi i ponti Fellinola,
Cangio, Pannarano, ecc., e quindi tutti gli altri.
I profondi e scoscesi valloni dei Tronti e dei Gruidi sotto Altavilla
Irpina,
separati fra loro dallo sperone di Crastelli, furono attraversati dal
l’acquedotto mediante due sifoni metallici, i soli che, dei molti progettati dal
Bateman lungo. Condotta in muratura, si siano conservati. La convenienza di questa misura
dipese dalle condizioni poco felici di solidità, che quei terreni offrivano per l'impianto delle
opere murali, che s’avrebbero dovuto sostituire, e che d'altra parte sarebbero riuscite sempre
enormi come proporzioni ed esageratamente dispendiose.
Il sifone dei Tronti, con uno sviluppo di m. 588 e con un'altezza di
carica utile di m. 1.50, data dal dislivello fra il suo punto di partenza e quello di arrivo, per lo
smaltimento dei 2 m3 al secondo portati dal canale, richiese l’impiego di quattro file di tubi
del diametro interno di 800 mm., mentre per quello dei Gruidi, che sviluppa m. 526 e
dispone di una carica di m. 2,50, furono sufficienti tre file di tubi di questo stesso diametro.
I tubi sono a bicchiere e cordone con le giunzioni fatte a piombo fuso ribattuto; le file
sono
disposte
l’una
accanto
all’altra,
e
la
posa
fu
regolata
in
maniera, che sulla groppa, a lavoro compiuto, insiste una copertura di terra di
almeno un metro di spessore.
Come profilo si dovette naturalmente seguire l’andamento di quelle ripide pendici; dove
però il suolo non offriva la voluta consistenza, s’ebbe cura di appoggiare il sifone sopra
solide catene in muratura, distribuite a giuste distanze e con dimensioni convenienti.
II passaggio del torrente al fondo della vallata fu eseguito sopra ponti di struttura murale
appositamente
costruiti;
quello
dei
Tronti
è
ad
una
arcata
a sesto ribassato colla corda di m. 15,00 e la monta di '/ 5 , quello dei Gruidi
invece ha 4 luci semicircolari dell' ampiezza di m. 10,00 ognuna.
Tutto è disposto e previsto perché il funzionamento di questi sifoni avvenga nel modo il
più regolare e sicuro possibile. All’origine l’alimentazione ha luogo in una vasca in muratura,
nella quale defluisce direttamente l’acquedotto; la presa in ciascuna fila è resa affatto
indipendente e regolata da paratoie opportunamente disposte, il cui piano di manovra è
stabilito in una camera superiore in corrispondenza alla vasca. Analogamente alla fine il sifone
sbocca in un’altra vasca del tutto simile, dalla quale si diparte il canale; ed anche qui
ciascuna canna ha la sua erogazione separata e regolata da speciali valvole, manovrabili pur
esse da una camera superiore.
La messa in carica avviene per mezzo di una conduttura speciale del diametro di 150 mm.,
che attingendo l’acqua all’origine del sifone la porta e ve la introduce nel punto più depresso
del suo profilo, al fondo cioè della valle; questa disposizione raggiunge lo scopo di eliminare
completamente Taria, costringendola in tal maniera ad uscire man mano che l’acqua, così
introdotta, s’eleva nelle due braccia delle canne fino al completo loro riempimento.
Così pure il vuotamento, nell’eventualità di riparazioni od altro, si effettua nel punto più
basso del sifone, mediante apposite bocche comandate da rubinetti di chiusura; tale operazione
però deve essere naturalmente preceduta dalle opportune manovre nelle paratoie all’origine, per
impedire un’ulteriore introduzione d’acqua proveniente dal canale, che in tali casi si farà
defluire per le discariche a ciò stabilite, e delle quali parleremo più avanti, e dalla chiusura delle
valvole nella vasca d’arrivo, perché l’acqua, già smaltita dal sifone ed introdotta
nell’acquedotto, non retroceda e si riversi nel braccio ascendente dello stesso; indi si aprono i
rubinetti di scarico del sifone, che versano l’acqua nel vicino torrente.
La disposizione di questi apparecchi è così fatta, che tanto l'operazione di messa in
carica, come quella di vuotamento, possono eseguirsi parzialmente e separatamente nelle
singole canne, a seconda dei bisogni e senza interrompere il servizio delle altre, e questi
apparecchi, come pure i "trous d’homme„ collocati sopra ogni canna per le ispezioni interne, che
fossero per abbisognare, sono tutti custoditi in una camera in muratura costruita in fondo al
vallone. La Tav. 4, nella quale sono rappresentati i particolari del sifone dei Tronti, può dare
un’idea più completa di quanto abbiamo qui accennato su queste importanti ed interessanti
opere.
Il carico disponibile, dato dalla differenza di altezza, dell’acquedotto all’origine alle
sorgenti d'Urciuoli, ed alla sua fine a Cancello, dove è stabilito il punto di partenza della
condotta forzata, paragonato col carico strettamente necessario per la richiesta erogazione nelle
condizioni fissate di pendenza, sezione bagnata e lunghezza, risulta maggiore di m. 78,43.
Questa caduta considerevole, per la configurazione della zona attraversata, fu suddivisa in
tre salti; uno di 5 m. d’altezza stabilito alla testa del grande ponte-canale attraverso la strada di
Melfi, presso Atripalda, l’altro di 36 m. sulla discesa della sella d’Arpaia, che chiude a sera la
valle Caudina, e l’ultimo di m. 37,43 sul versante della collina di Cancello verso Napoli, col
quale appunto ha termine la condotta libera.
In queste cadute il canale conserva la stessa sezione, solo che la platea è profilata a gradoni
di pedata ed alzata più o meno grandi secondo l’inclinazione naturale del suolo; all’intento
d’attenuare per quanto è possibile gli urti, e le conseguenze della velocità acquistata dall’acqua
nel suo passaggio lungo questi gradoni, ai loro ripiani si diede una sensibile contropendenza.
Nella stessa Tav. 4 si trovano raccolti i particolari della caduta d’Arpaia, sul cui tipo
furono.costruite tutte le altre.
Allo scopo poi di poter in seguito utilizzare come motrice la forza sviluppata da tutta o da
una porzione dell’acqua in tali salti, si è stabilita all'origine della caduta una camera, nel fondo
della quale avrà luogo la presa parziale o totale mediante condotte metalliche forzate, le cui teste
attualmente si trovano già messe a posto, e col sussidio di paratoie, che opportunamente
manovrate intercetteranno in tali occasioni la discesa dell'acqua lungo la caduta. L’acqua cosi
derivata, dopo aver esercitato la sua azione attraverso ai motori, arriverà per un canale coperto
ad una vasca già costruita ai piedi della caduta, e continuerà quindi il suo cammino
nell’acquedotto.
Con tali disposizioni nulla viene turbato nel regime della condotta, giacché il suo prodotto
le viene integralmente restituito e in quanto riguarda quantità, e in quanto riguarda qualità, mentre
invece sarà possibile, creando in quei luoghi dei centri manifatturieri, favorire su larga scala lo
svolgimento industriale, che indubbiamente apporterà a quei paesi prosperità e ricchezza.
Oltre a queste descritte, sono anche da notarsi le opere accessorie fatte per preservare e
difendere l’acquedotto in tutti quei punti, nei quali anche lontanamente potrebbe risultarne
minacciata in qualche modo la stabilità; tali sarebbero, in via d’esempio, i rialzamenti e relativi
raccordi di strade ed alvei sottopassati, per portare il loro fondo a conveniente altezza sopra la
volta, gli scivoloni ed altre opere murarie costruite in corrispondenza, per garantire il canale da
possibili scalzamenti nelle alluvioni, ecc. ecc.
Opere speciali poi ed importanti sono attuate allo scopo di ben sistemare e regolare il
funzionamento durante 1’esercizio.
Su tutta la lunghezza dell’acquedotto, ed a distanze pressoché uniformi, sono stabilite 14
camere di scarico munite dei relativi apparecchi di chiusura, alle quali mettono capo altrettanti
canali, che defluiscono nei torrenti vicini. Tutte queste discariche sono totali, cioè ognuna può
smaltire l’intera portata del canale, ad eccezione delle 4, che giacciono nel piano di Cervinara, le
quali, per le condizioni idrauliche poco favorevoli di quei corsi d’acqua, furono costruite parziali,
cioè suscettibili di dar esito ad una sola parte dell’intera portata, e precisamente ad '/4 per ognuna;
sono però legate in sistema, dimodoché la loro azione cumulativa equivale a quella di un’unica
discarica totale.
Con ciò tutto l'acquedotto resta diviso in 12 tronchi, della lunghezza media di 5 chilometri
ognuno, a ciascuno dei quali si può arrestare il corso dell’acqua, e produrre un asciugamento
parziale o totale negli altri sottocorrente, per tutte quelle riparazioni, che potranno farsi
necessarie nel periodo di manutenzione.
A 200 m. in media di distanza, dove il canale non è in galleria, e in tutti gl’imbocchi e
sbocchi di queste, sono praticate delle luci o pozzetti, di sezione quadrata di un metro di lato, i
quali si aprono alla superficie del suolo mediante opportuno sigillo di pietra, e permettono con
una scala fissa a grappe di ferro l'ingresso e l’ispezione in ogni punto dell’acquedotto; in
corrispondenza poi a questi pozzetti nella platea sono inviate delle fosse a forma di vaschetta,
ufficio delle quali sarà d’arrestare e mantenere in deposito tutte le materie solide, che
accidentalmente potranno essere cadute e convogliate coll’acqua.
Finalmente lungo tutto il percorso dell’acquedotto, e in corrispondenza al suo asse, è
riservata nel soprasuolo una zona di terreno di sufficiente larghezza, per essere ridotta a strada
di servizio, e sopra le gallerie similmente è sviluppata una rampa mulattiera, che ne mette in
comunicazione l’estremità. Con questi savi provvedimenti sono di molto facilitati gli eventuali
lavori di riparazione od altro, che potessero occorrere in avvenire, e nello stesso tempo si è reso
praticabile il servizio di sorveglianza, che verrà attivato durante l’esercizio; apposite case
cantoniere, distribuite opportunamente sulla linea, serviranno all’abitazione del personale addetto
a questo ufficio.
ACQUEDOTTO PRINCIPALE IN CONDUTTURA FORZATA
II consumo della città di Napoli, calcolato sulla base di 200 litri per abitante, sale ad un
quantitativo giornaliero di 100,000 m3; l’acquedotto principale in condotta libera, or ora
descritto, defluisce sulla collina di Cancello con una portata di 2 m3 al secondo, corrispondente a
i 72,800 m3 .al giorno; rimangono cosi 72,800 m3, che attualmente vengono scaricati nel modo
che più avanti si dirà, ma dei quali si potrà sempre disporre sia per condottarli a sopperire alle
ulteriori esigenze della città o dei suoi dintorni, sia per impiegarli come forza motrice,
utilizzandone la considerevole caduta.
Il problema di fornire giornalmente alla città di Napoli i 100,000 m3 è efficacemente
risolto da una conduttura forzata metallica, la quale, come abbiamo altrove notato, è composta di
tre grandi sifoni rovesci, uno col diametro interno di 700 mm. destinato all’alimentazione del
serbatoio alto, e gli altri due, ciascuno col diametro interno di 800 mm., destinati a quella del serbatoio pel servizio medio e basso della città.
L’origine dei sifoni ha luogo in due vasche o crediti di presa, posti a differente altezza sul
versante del colle di Cancello verso Napoli, dei quali la Tav. 5 offre tutti i particolari necessari a
comprenderne la disposizione ed il rispettivo modo di funzionare.
La vasca superiore è divisa in tre camere; una riceve l’acqua, che proviene dal canale in
muratura, precipitando per la caduta, colla quale esso ha termine, ed al cui piede è situata
appunto la vasca; l’altra serve alla presa del sifone da 700, e la terza, posta in mezzo alle due, da
esito all’acqua non ricevuta dal sifone, la quale, scendendo per una nuova caduta3, giunge
alla vasca inferiore.
Volendo ora qui calcolare la forza motrice complessiva, che si può utilmente impiegare
false manovre, sempre possibili durante l’esercizio, non possa mai introdursi aria nel sifone, ed
in ogni caso nella parte più alta della curva per buona misura di precauzione si è collocato
un rubinetto sfiatatoio.
Questi due castelli di presa, per compierne la descrizione, sono costruiti con solida
muratura, e profondamente incassati nella roccia; le porzioni, che sporgono dal suolo,
corrispondenti alle camere di manovra sopra alle vasche, sono assai propriamente decorate nei
loro prospetti con semplicità ed eleganza, e dai terrazzi che le ricoprono, graziosamente
limitati da parapetti a balaustrata, splendida si presenta allo sguardo la vasta pianura
d’Acerra, ed in fondo all’orizzonte la grande Città, all’alimentazione della quale questi
fabbricati prendono una parte cosi importante.
I tre sifoni, lasciate le vasche di presa, camminano sempre paralleli, calando dapprima
rapidamente fino al piede del colle, e quindi più dolcemente fino ai Regi Lagni, donde con
lieve acclività rimontano all’altipiano di Capodichino, segnando in tal maniera un tracciato
perfettamente rettilineo di oltre 18 chilometri.
La mutua posizione assegnata loro in questo percorso, della quale diamo il tipo nella
Tav. 6, oltreché di facilitarne i lavori di posa, raggiunge
10
scopo d’isolare quello da 700, cimentato a pressioni maggiori, e di
impedire che, nei casi di rottura, poco probabili ma pur sempre possibili, non abbiano a
risentirne alcuna influenza gli altri due assai più importanti, perché destinati
all’alimentazione della parte più grande e più popolata di Napoli.
Al piazzale di Capodichino termina il braccio ascendente del grande sifone, e ne
incomincia un altro assai minore, sviluppato attraverso il profondo vallone di Miano,
superato il quale i due da 800 si arrestano, e scaricano le loro acque in una camera in
muratura affatto analoga a quelle d’arrivo nei due sifoni dei Trenti e dei Gruidi.
A questa camera mette capo un canale murato in conduttura libera, il quale con una
sezione simile, come forma, a quella normale dell’acque dotto principale in muratura, ma
con dimensioni minori (largh. m. 1 x 2 d’altezza), e con una pendenza di 0.50 per mille,
porta e versa 1’acqua ricevuta direttamente nel grande serbatoio di Capodimonte;
la
lunghezza di questo canale, costruito parte in trincea, parte in galleria naturale,è di oltre 2
chilometri; notevoli per le loro ardite e svelte proporzioni sono i ponti sopra i quali esso
valica a considerevole altezza il vallone Amendola, e quello dei Cervi ai Ponti Rossi.
Così la sostituzione di questo tronco di condotta a sezione libera, resa solo possibile
dalla scelta felice del tracciato e del punto di arrivo dei due sifoni, permise d’abbreviarne in
3
Questa caduta, di costruzione analoga alle altre già descritte, meno naturalmente le due camere sostituite qui dalle due
vasche, misura un’altezza utilizzabile di m. 72,65.
misura notevole lo sviluppo, realizzando con ciò dei vantaggi economici non indifferenti, sia nei
riguardi della costruzione che in quelli della manutenzione.
Il sifone invece da 700 continua sotto la strada di S. Maria dei Monti, attraversa,
entro galleria artificiale in muratura della lunghezza di m. 1320, il parco reale di
Capodimonte, e, dopo un’altra galleria naturale di 350 m., taglia la strada provinciale di
Miano, e, per Vico Lieti entra nella Villa Del Balzo, ove attraversa i due valloni calando
lentamente per una galleria di m. 386, e quindi passando per una seconda di oltre 500 m., e
cavalcato con un ponte in muratura il profondo vallone della Catena, ascende e con due altre
piccole gallerie raggiunge finalmente il serbatoio alto; tutte queste gallerie, scavate
ordinariamente nel tufo e rivestite di muratura, in forza delle dimensioni loro assegnate rendono
nel loro interno attuabile qualunque lavoro di riparazione alla condotta.
La fusione della maggior parte dei tubi e pezzi speciali necessari per questi sifoni, e
di quelli ancora per le condotte componenti tutta la vasta rete di distribuzione nella città,
come pure la loro posa in opera, vennero affidate alla Società degli Alti Forni Acciaieria e
Fonderia di Terni, la quale ha saputo allargare in tal maniera la base di produzione del grandioso suo Stabilimento, e condurre con tale attività e solerzia i lavori, da potere nel brevissimo
tempo accordatole rispondere puntualmente al difficile compito assunto.In generale tutte le
condutture forzate, e per le condizioni particolari nelle quali sono destinate a funzionare, e
per la natura dei materiali che le compongono, esigono sempre grande accuratezza e
diligenza nella loro costruzione per prevenire gli accidenti di qualunque sorta, che, originati
sovente da cause insignificanti per sé stesse, possono dar luogo a conseguenze dannosissime
pel servizio. Ora per questi sifoni, veramente grandiosi e superiori forse a quanti finora vennero
costruiti, sia per le loro proporzioni, come per le enormi pressioni alle quali si trovano
continuamente cimentati, la Compagnia prese tutte le misure, tutte le precauzioni, per dar
loro la massima solidità possibile, e nello stesso tempo per metterli in condizioni di
funzionare in modo sicuro e perfettamente regolare.
Dall’andamento del profilo, Tav. 6, appare chiaro come in forza delle grandissime
differenze di livello, che si riscontrano fra i diversi punti del terreno lungo la traccia, molto
diversamente sollecitate rispetto alla pressione debbano trovarsi le condotte nelle varie loro
parti; quindi da ciò la convenienza economica di determinare per i tubi differenti spessori
proporzionati al carico idrostatico rispettivo.
A questo intento, diviso il profilo in zone di varia lunghezza, secondo le
condizioni di pendenza del terreno, in ciascuna zona si attribuì alle condotte uno
spessore costante e corrispondente al massimo carico in essa effettivamente sopportato.
Questi spessori vennero calcolati colla formula teorica
HD= 2R
nella quale, avendo voluto esagerare in favore della solidità, il coefficiente R di
resistenza della ghisa alla trazione si ritenne eguale a Kg. 1,75 per mm, mentre che,
valutandosi a Kg. 7,50 per mm il limite d’elasticità, tutti i costruttori assumono come
carico di sicurezza nelle ordinarie condizioni il valore di 3 Kg. per mm. Con tale savia
e prudente misura si vollero largamente compensare i piccoli ed inevitabili difetti di
fusione, e quell’ordinario aumento di spessore, che la buona pratica consiglia sempre di
preventivare per gli eventuali colpi d’ariete.
Come si può rilevare dal diagramma inserito nella Tav. 6 sopra citata, che servi
appunto a stabilire ed a distribuire per zone questi spessori, pel sifone da 700 si
ebbe:
Zona N.
1
» » 2 »
»
90 »
» » 3 ».
»
125 »
» » 4 »
»
140 »
» » 5 »
» ~155 »
» » 6 »
»
170 »
lunghezza totale del sifone
e per
Zona
» »
» »
» »
» »
carico daspessore
m. O a m. lunghezza
0 mra, 19
m. 3256
»
»
.
»*
25 25
2772
»
»
»
»
40 29
1908
T>
»
» m. 22720
55 »
31
1388
quelli da mm. 800:
»
»
»
»
70 34
1496
N. 1carico da m.
O» a m. 90spessore
»
» mm. 20
» lunghezza m. 12168
2
»
» 90 » 100
»
»
23
»
»
1950
87 37
11900
3
»
» 100 » 105
»
» 24
»
» 3240
4
»
» 105 » 110
»
» 25
»
»10896
5
»
» 110 » 115
»
s> 26
»
» 9200
lunghezza totale dei due sifoni m. 37454
II collegamento dei vari pezzi è fatto anche qui a bicchiere e cordone, con piombo a
caldo ben ribattuto; in vista però delle potenti pressioni, alle quali i sifoni sono soggetti, la
Fonderia di Terni trovò opportuno d’introdurre un’importantissima quanto semplice
modificazione nella forma dei pezzi alle loro estremità, mercé la quale fu possibile ottenere
delle giunzioni, che con tutta sicurezza resistettero oltre le 20 atmosfere; questa modificazione
consiste nell’aver ristretto alcun poco la periferia del bicchiere alla bocca superiore, e in forma
analoga adattato il cordone, dando con ciò una giunzione leggermente conica, nella quale il
piombo, che per la tensione dei vari pezzi collegati, causata dall’ interna pressione, tenderebbe
ad uscire, ne è impossibilitato non solo, ma anzi per questo fatto acquista ed oppone una
resistenza maggiore.
I tubi, in ghisa grigia di seconda fusione della miglior qualità, furono gettati
verticalmente, e vennero tutti provati alla Fonderia ad una pressione doppia di quella, che
devono sopportare in pratica, purché non eccedente le 2 5 atmosfere; dopo posti in opera, le
varie zone vennero ancora sottoposte a novello esperimento con pressione statica di 5 atmosfere
superiore a quella loro inerente; per eseguire quest’ultima prova, la quale più che altro
veniva praticata a garanzia delle giunzioni, si stabilì una conduttura ausiliaria di piccolo
diametro, che metteva in comunicazione il tratto da provarsi con una vasca in muratura
collocata all’alto della collina di Cancello, e precisamente a 50 m. circa sopra il rispettivo
castello di presa ; mediante un’ installazione meccanica di pompe mosse a vapore, stabilite
al piede del colle presso il canale Carmignano, venivano alimentate le vasche e riempite le
varie condotte.
In tutto il lungo percorso di questi sifoni numerose risultano le opere d’arte resesi
necessarie, sia per il sottopassaggio delle strade e corsi d’acqua, sia per valicare i profondi
valloni tagliati dal tracciato. Tra le più importanti noteremo le gallerie a 2 luci sotto a
ciascuna delle tre linee ferroviarie Cancello-Avellino, Napoli-Roma e Napoli-Foggia; il
sottopassante il canale Monto, il ponte obliquo a tre luci sopra i Regni Lagni, l’altro pure
obliquo ad una luce nel vallone di Miano, e finalmente quello nel vallone della Catena.
Il letto di posa nelle trincee è talmente disposto, rispetto alla configurazione del terreno
superficiale, che la groppa superiore delle condotte ne resta sempre depressa di almeno
1,25, e non mancano i punti dove tale copertura raggiunge ed oltrepassa anche i 4 m. di
spessore.
La rilevante quantità di tubi impiegati, ed il loro peso considerevole, che in media si
può ritenere di 2 tonn. per ciascuno, presentarono serie difficoltà per il trasporto sui vari
cantieri, e per il maneggio necessario nella posa.
Dall’ incontro del tracciato colle due linee Napoli-Roma, nelle vicinanze di Cancello, e
Napoli-Foggia a Casoria si trasse partito per collegare queste stazioni con un binario disposto
fra le due trincee, sul quale direttamente i carri ferroviari in arrivo portavano
all’avanzamento i tubi, che con apposite gru venivano quindi scaricati e calati a posto;
con ciò fu risolto il problema per circa 12,500 m. di sifone, e per il resto si approfittò delle
strade carreggiabili, e di binati a scartamento ridotto, sistema Decouville, posati entro i cavi, sui
quali speciali carrelli e gru facevano il servizio.
Veniamo ora alle disposizioni principali tendenti ad assicurare all’opera il perfetto suo
funzionamento.
La messa in carica, operazione sempre delicata e gelosa, viene praticata anche qui, come
nei due sifoni intercalati nel canale, mediante una speciale condotta del diametro di 200 mm.,
che, caricandosi alla quota di presa del sifone da 700, discende sempre accanto ad esso
fino al punto più basso del profilo, cioè ai Regi Lagni, sviluppando così un percorso
totale di 8420 m. L’introduzione dell’acqua avviene egualmente al disotto, ed è pure
sistemata in maniera da potersi effettuare indipendentemente nell’uno o nell’altro dei tre
sifoni; l’aria, che al graduato riempirsi delle due braccia, viene spinta in avanti, trova la sua
uscita per numerosi rubinetti sfiatatoi opportunamente collocati su tutti i punti alti, e nelle
lunghe livellette distribuiti in media ad ogni 500 m. di distanza.
La necessità, nei casi di riparazione, di vuotare il più sollecitamente possibile le tre
condotte della enorme quantità d’acqua contenuta, determinò la Compagnia ad adottare nei
punti più depressi opportuni apparecchi di scarico; dal tipo, che di essi diamo nella Tav. 6, è
agevole comprendere la disposizione e la maniera assai semplice e sicura, nella quale possono
agire. Di queste discariche le principali sono stabilite in prossimità della Stazione di NolaCancello, del canale Mofito, presso i Regi Lagni, nel vallone di Miano, e in quello Del
Balzo.
Tutti questi apparecchi sono rispettivamente custoditi in apposite camere di struttura
murale, con dimensioni sufficienti a facilitarne la manovra e qualsiasi lavoro di riparazione; e
finalmente lungo tutta la traccia dei sifoni viene stabilita una linea telefonica, che permetterà di
trasmettere istantaneamente da un’estremità all’altra, ed a tutti i punti principali del suo
percorso, gli ordini occorrenti per le manovre degli apparecchi medesimi.
SERBATOI
In tutte le grandi distribuzioni forzate il serbatoio occupa un posto importantissimo, perché,
oltre a costituire un buon approvvigionamento d’acqua, che in circostanze speciali può tornare
assai vantaggioso pel servizio, giova principalmente a regolarizzare ed a dare un uniforme
equilibrio alle pressioni inegualmente distribuite nelle diverse condotte, e durante le varie fasi
del consumo.
Interessantissimi poi sopra tutti i manufatti di questa specie sono i due serbatoi di
Napoli per le grandi proporzioni, che fu necessario d’assegnar loro, ed anche per il genere di
costruzione affatto speciale in essi praticata. Infatti, approfittando della natura geologica del
sottosuolo di Napoli, esclusivamente formato di materie vulcaniche, fra le quali ad estesi
banchi primeggia la roccia tufo, alla struttura murale sempre difficile, lunga ed enormemente
dispendiosa per opere cosi grandiose, furono sostituite delle ampie gallerie scavate totalmente
nel tufo e profilate direttamente in esso senza alcun rivestimento di muratura, tranne nei pochi
casi isolati in cui circostanze eccezionali lo consigliarono, come si dirà più avanti.
Con ciò oltre alla solidità massima, e ad una certa semplicità di costruzione, un altro
vantaggio si raggiunge, quello cioè di sottrarre la considerevole massa d’acqua a tutte le
influenze esterne di temperatura od altro, essendo perciò possibile di stabilire il recipiente
destinato a contenerla e conservarla ad una grande profondità sotto alla superficie del suolo.
Tra i due serbatoi, dei quali le Tav. 7 ed 8 raccolgono le disposizioni principali ed i
particolari maggiormente interessanti, il più importante è quello destinato al servizio basso e
medio della città, stabilito nella collina di Capodimonte, e precisamente nel sottosuolo della
proprietà Garzilli, posta tra il rione S. Antonio di Capodimonte e la strada Pirozzoli.
È formato da cinque grandi gallerie scavate parallelamente in direzione nord-ovest ad
una media profondità sotto il suolo di m. 50; la sezione ha la forma di un’ovoidale a cinque
centri alquanto ristretta alla sommità, conterminata alla base da una platea piana disposta a
leggero compluvio lungo l’asse, e raccordata agli angoli da due archi di piccolo raggio,
sezione di grande resistenza consigliata da studi istituiti sopra simili opere sotterranee scavate
nel tufo; le dimensioni sono m. 10.80 in altezza. e m. 9.25 in larghezza massima, e la
distanza fra asse ed asse delle gallerie è di m. 18.50, dimodoché lo spessore del solido
ad esse frapposto è ancora di m. 9.25.
L’altezza, d’acqua sul fondo, a serbatoio pieno, è fissata a m. 8.00, di maniera che la
sezione bagnata presenta una superficie di circa 69 m, e la quota altimetrica rispetto al
mare, alla quale così arriva il pelo d’acqua, è di m. 92.50. Delle cinque vasche poi, la prima
colla seconda, e la quarta colla quinta sono in comunicazione tra loro con due braccia
trasversali della stessa sezione, cosicché propriamente si hanno tre serbatoi o bacini isolati e
completamente indipendenti, la cui capacità complessiva ascende a 80 mila m3, capacità invero
enorme, e che ben pochi dei grandi serbatoi fino ad ora costruiti possono vantare.
In progetto le vasche erano state ideate di eguale lunghezza fra loro, e colle braccia
trasversali simmetricamente disposte ad una distanza dalle loro estremità equivalente al quarto
della totale lunghezza; ma poscia in corso d’esecuzione, essendosi incontrato nel traforo
della quarta un’antica cava abbandonata di dimensioni piuttosto grandi, e posta a differente
livello, e nella quinta un filone abbastanza esteso di pozzolana, per la qualcosa sarebbero
state necessarie delle murature di riempimento e consolidamento non indifferenti, si preferì in
quella vece interromperne la continuità, e dare al bacino da esse formato la disposizione, che
si può veder disegnata nella Tav. 7; conseguentemente, per non perdere in capacità, furono
allungate le altre tre vasche protendendole alquanto sotto il parco reale di Capodimonte.
Abbiamo avuto altrove occasione di rilevare il vantaggio derivante dalla posizione di
questo serbatoio rispetto a quelle parti della città, alla cui alimentazione è chiamato.
Un’altra circostanza favorevole, pure inerente alla località da esso occupata, venne offerta
dalla presenza di grandi ed antiche cave, denominate Caflisch, formate da una rete
complicatissima ed estesissima di grotte a profilo informe e svariato, delle quali alcune
braccia si spingono in prossimità delle vasche; queste cave infatti si prestarono assai
vantaggiosamente allo scarico e deposito in rifiuto dell’ingente quantità di materiale, che
provenne dal traforo, agevolandone in tal maniera l’esecuzione.
Le fenditure naturali nella roccia, che numerose si presentarono, e che dai tagliamonti
sono conosciute sotto il nome di „scarpine”, vennero scassate completamente, e riempiti i vani
con solida muratura di spessori variabili, e sovente considerevoli, secondo l’importanza dei
singoli casi.
Tutta quella parte delle pareti, che deve essere bagnata dall’acqua, fino a m. 0.50
sopra la massima altezza, alla quale può arrivare, fu rivestita d’intonaco in cemento di
Grenoble con spessore gradatamente variabile da m. 0.05 al fondo a m. 0.013 in sommità;
questo intonaco venne applicato in due strati, dei quali l’inferiore, o l’abbozzo, è
formato con 2 / 5 in volume di pozzolana, ‘/ 5 di sabbia, l / 5 di calce ed l / 5 di cemento, ed il
secondo strato di sabbia e cemento in proporzioni eguali.
Finalmente l’aereazione necessaria in queste vasche è praticata con sette pozzi
convenientemente distribuiti ed adattati, i quali colla loro bocca superiore riparata e bene
protetta s’aprono all’esterno.
La sistemazione idraulica di questi serbatoi è stabilita in modo assai semplice col mezzo di
tre gallerie scavate a differenti altezze, e presso a poco coi loro assi nello stesso piano
verticale, le quali, separate da un solido di conveniente spessore, corrono sulla fronte delle
vasche rivolta a mezzogiorno, e in direzione a queste normale.
Nella prima galleria superiore, o d’immissione, arriva 1’acqua proveniente dalla condotta
libera, nella quale, come abbiamo visto, sboccano i due sifoni da 800 mm., ed arriva entro
una cunetta scoperta e solcata nella platea della galleria con sezione rettangolare di 1.00
m. di base per 2.00 m. d’altezza, cioè colle stesse dimensioni della condotta libera, e col
fondo a m. 92.50 sul mare, altezza dello specchio d’acqua nei serbatoi. L’introduzione
nei tre bacini, e precisamente nella IIa , IIP e IVa vasca, ha luogo mediante tre diramazioni
delle stesse dimensioni della cunetta, dalla quale si staccano, e l’acqua si versa nelle vasche
rispettive per uno scivolone rivestito con buona muratura, e profilato verso il fondo a curva
parabolica, per attenuare gli effetti della sua caduta sulla platea nei primi momenti del
riempimento. Una paratoia, collocata in ciascuna delle tre diramazioni, regola l’immissione
proporzionatamente ai bisogni.
La seconda galleria, che chiameremo di distribuzione, e che trovasi in corrispondenza
alla platea dei serbatoi, serve appunto alla presa dell’acqua, che a mezzo della rete di
canalizzazione viene quindi portata e diramata nella città ai diversi punti di consumo. A
questo scopo due condotte tubolari in ghisa, del diametro interno una di 800 mm. e l’altra
di 600 mm., mettono capo e percorrono posate sul fondo tutta la galleria; ognuna di queste
è alimentata con tre tubi di corrispondente diametro innestati a T, i quali, penetrando attraverso
il masso, sboccano all’altezza della platea nei tre serbatoi, e precisamente in questo caso
nella P, IIP e V a vasca; altrettante saracinesche, manovrabili nella galleria medesima,
regolano la presa, che può per tale disposizione esser fatta indipendentemente e
separatamente in una o nell’ altra condotta, e da ciascuno dei tre bacini.
Nel caso poco probabile in vero, nel quale tutte le vasche si trovassero in istato di
riparazione, e non fosse quindi possibile con esse alimentare le due condotte maestre, la presa
s’effettuerà direttamente dalla cunetta d’arrivo mediante due tubi che, partendo dal fondo di
essa, scendono verticalmente attraverso il masso, ed entrati nella sottoposta galleria di
distribuzione, si innestano alle condotte rispettive, i quali tubi di speciale alimentazione
nelle ordinarie circostanze dell’esercizio rimarranno liberi, e funzioneranno da sfiatatoi.
L’ultima galleria, praticata ad un piano inferiore a quello del fondo dei bacini, venne
stabilita allo scopo di raccogliere e scaricare tutte le acque, che per qualsiasi ragione ed in
modi differenti voglionsi mettere in rifiuto. Il vuotamente dei singoli bacini, nei casi di restauri
puliture od altro, viene operato in ciascuna delle tre vasche di .mezzo lungo un tubo verticale
in ghisa di grande diametro robustamente murato nella roccia, la bocca del quale s’apre sul
fondo di esse in prossimità alla caduta d’immissione, e per maggiormente agevolare il completo
scolo dell’ acqua verso questa parte, la linea di compluvio della platea è appunto dotata
d’una leggera pendenza in tale direzione; giunto a conveniente profondità questo tubo si
piega in avanti con una curva in quarto, e giunge a sboccare con un braccio orizzontale nella
galleria in discorso; tre saracinesche collocate all’uscita di questi tubi, e comandate dalla
galleria superiore di distribuzione, impediscono a volontà l’uscita dell’acqua per questa
via dai rispettivi bacini.
In ciascun serbatoio, ed ancora nelle tre vasche di mezzo, sulla parete corrispondente sono
praticate due luci semicircolari del diametro di m. 4.00, aventi la soglia 8 m. sopraelevata
sulla platea, cioè per quanto s’è detto alla quota 92.50; queste luci a sfioratore fissano il
livello massimo dell’acqua nelle vasche, ricevendo l’eccedente e versandola in un pozzo
verticale del diametro di m. 2.00 scavato nella mezzeria del solido interposto fra le vasche,
e rivestito di pietrarsa, il quale la immette in un cunicolo di convenienti dimensioni e
pendenza, e la porta così in rifiuto nella stessa galleria di scarico; due sono i pozzi, giacché
la loro posizione è tale, che in uno solo possono sfiorare le acque di due bacini adiacenti,
mentre l’altro serve al terzo bacino.
In corrispondenza all’uscita delle cinque bocche, che in tal maniera vengono a defluire in
questa galleria, (tre per il vuotamente e due per lo sfioramento dei bacini) e nel suo fondo
sono praticati dei pozzetti a vaschetta, scopo dei quali è d’attutire l’urto dell’acqua, che
sgorga da esse.
In questa galleria si raccoglie ancora l’acqua, che arriva in eccesso in quella d’immissione,
e non è ricevuta dai serbatoi, mediante un pozzo a sfioratore, al quale giunge l’estremità
della cunetta, come pure mediante un altro pozzo vi si versa quella, che in conseguenza di
guasti accidentali od altro fosse sfuggita dalle condotte maestre, e minacciasse d’allagare
la galleria di distribuzione.
Tutta l’acqua, raccolta nei vari modi e per le diverse vie descritte, da questa galleria
passa in un canale, che parte alla sua estremità a sera, e con un forte dislivello superato per
mezzo di salti convenientemente distribuiti nella platea, attraversa sempre coperto le cave
Caflisch, e dopo un percorso considerevole mette foce nel traforo dei Vergini presso alla
Sanità.
Il profilo di queste tre gallerie, le quali in maniera così completa e perfetta
regolano i serbatoi, prevedendo e provvedendo a tutti i casi che possono presentarsi
nell’esercizio, è sagomato con piedritti verticali a volta cilindrica; le prime due, con una
sezione larga ed alta m. 4, sono naturalmente praticabili in tutta la loro lunghezza, potendosi
percorrerle sempre in asciutto e direttamente sulla platea all’uopo pavimentata in pietrarsa,
mentre l’inferiore di scarico, larga m. 2.00 ed alta m. 3.00, che ordinariamente sarà invasa
dall’acqua, è praticabile mediante un passeggiatoio largo m. 0.50 e m. 0.70 elevato sul
fondo, che corre per tutta la sua lunghezza.
Le quote altimetriche della platea in esse sono rispettivamente m. 94.50, m. 84.50
e m. 74.20 sul livello del mare, e le distanze dei loro assi dalla testa delle vasche sono m.
8.50, m. 10.50 e m. 11.50.
Finalmente, per completare la descrizione di questi serbatoi, 1’accesso alle tre gallerie è
reso possibile da una comoda ed elegante scala ad elica sviluppata in un pozzo circolare del
diametro di m. 4.00, il cui ingresso, racchiuso in apposito fabbricato, giace in prossimità alla
salita di Capodimonte; questo pozzo cade in asse alla galleria d’immissione, procacciandole,
insieme ad altri due, la ventilazione necessaria; la scala invece s’arresta ad una certa
altezza, e deviando con un cunicolo di ripiano, prosegue la sua discesa in un altro pozzo
cieco, dal quale poi alle rispettive altezze si partono i cunicoli, che danno 1’accesso alle
singole gallerie.
L’ingresso nelle vasche è dato dalla galleria d’immissione, e la discesa al fondo ne è
agevolata da una scala convenientemente sviluppata lungo le pareti. Per mezzo di cunicoli
ancora, perforati nel solido di divisione fra le vasche, è permessa l’entrata nelle camere
superiori di raccolta delle luci a sfioratore.
II serbatoio dell’alto servizio occupa il sottosuolo d’una porzione della proprietà
Savino, compresa fra la via di Mezzo ed il vallone delle Fontanelle nella contrada
denominata lo Scudillo.
Tre ampie gallerie lo compongono, scavate pur esse nella roccia tufo in direzione da
oriente ad occidente, e depresse in media di m. 30 sotto la superficie del terreno. La loro
sezione è formata da una platea piana leggermente profilata a compluvio lungo l’asse,
raccordata da piccoli archi a due piedritti verticali alti m. 3.00, e conterminata nella parte
superiore da una policentrica a tre centri alcun poco schiacciata ai lati; la sua larghezza
massima è di m. io per m. 9.50 d’altezza alla chiave.
Il pelo d’acqua, a completo riempimento, raggiunge la quota di m. 183 sul mare,
avendo un’altezza sul fondo di m. 6.00; le tre vasche, assolutamente isolate ed indipendenti,
sono divise fra loro da un solido nella roccia di spessore equivalente alla loro larghezza; ed
avendo ciascuna la lunghezza di m. 114, sono suscettibili d’una capacità complessiva di
20.000 m3.
La roccia, di natura qui più compatta e resistentissima, presentò assai poche fenditure
(scarpine) e tutte affatto superficiali, dimodoché limitate e come quantità e come importanza
furono le murature di consolidamento. Il piano della platea e le pareti sono ancora qui rivestite
da un’incamiciatura d’intonaco del tutto eguale come lavorazione, spessori, e proporzioni a
quello applicato nei serbatoi del basso e medio servizio. In ognuno dei tre bacini infine
l’aereazione viene praticata per mezzo di un pozzo circolare, la cui bocca superiore s’apre
all’esterno convenientemente conterminata e custodita.
La sistemazione idraulica è molto semplificata; due sole gallerie, scavate a diversa
altezza in testa alle vasche e in direzione a loro normale, sono sufficienti a raggiungere
perfettamente l’intento ; nella superiore, posta in corrispondenza alla calotta dei bacini,
avviene l’immissione, e nell’inferiore, in corrispondenza al fondo, la distribuzione e lo
scarico.
Il sifone da 700 mm. defluisce direttamente in una cunetta scoperta, solcata lungo la
platea della galleria superiore, e l’acqua si versa nelle vasche anche qui per tre diramazioni,
che da questa cunetta si distaccano; l’introduzione è regolata da una paratoia opportunamente
adattata in ciascuna diramazione. L’acqua in eccesso, mediante un cunicolo con platea a
gradoni, dall’estremità della cunetta passa nella galleria sottoposta di scarico, e all’origine
questo cunicolo è provvisto d’una soglia a sfioratore, la quale mantiene il livello dell’acqua
alla quota voluta tanto nella cunetta d’arrivo, quanto in ciascuno dei tre bacini.
La presa ha luogo colle stesse disposizioni adottate a Capodimonte; sono tre in questo
caso le condotte principali da alimentarsi, ed ognuna, munita all’uopo di saracinesche, può
attingere indipendentemente da ciascuna vasca, come pure la presa può anche effettuarsi
direttamente dalla cunetta d’arrivo nell’ identico modo, che si pratica negli altri serbatoi già
descritti.
Per operare il vuotamente un tubo parte dal fondo di ciascuna vasca alla sua testa, e,
passando attraverso il solido di divisione, immette in un collettore scoperto, cavato tutto
lungo la seconda galleria inferiore, ed in questo defluisce pure lo sfioratore, di cui più sopra
abbiamo fatto parola; naturalmente delle saracinesche, poste sopra ognuno di questi tubi,
regolano od intercettano a volontà l’uscita dell’acqua dai singoli bacini. Dal collettore poi
l’acqua passa in un canale di scarico scoperto, che a grandi salti, distribuiti a convenienti
distanze, scende la ripida china e versa nel sottoposto vallone delle Fontanelle.
Le dimensioni di queste gallerie di sistemazione, ambedue praticabili, e pavimentate
perciò in pietrarsa, sono per la prima d’immissione m. 2.00 in larghezza per m. 2,00
d’altezza, e per la sottoposta di distribuzione e scarico m. 4.00 di larghézza su m. 3.00
d’altezza.
L’accesso ai singoli bacini è praticato superiormente nella galleria d’immissione, ed un’
apposita scala permette in ognuno la discesa al fondo. L’ingresso poi dall’esterno è dato
mediante una scala ad elica sviluppata in un pozzo a sezione circolare, che immette nelle
gallerie di sistemazione, e la bocca di questo pozzo s’apre entro un fabbricato costruito nel
soprasuolo ad uso d’abitazione pel custode manovratore del serbatoio.
CANALIZZAZIONE IN CITTÀ
Nelle zone, nelle quali rispetto al servizio fu divisa la città, vennero sviluppate due reti
tubulari di canalizzazione, affatto indipendenti ed a sé, ufficio e scopo delle quali si è
unicamente di collegare ed allacciare ai rispettivi serbatoi tutte le varie parti popolate, di
guisa che in ogni loro punto riesca possibile l'approvigionamento proporzionato ai bisogni.
Il tracciare un piano distributivo ben regolato e sistemato è pel tecnico problema
ognora difficile e complesso, l'equa risoluzione del quale richiede sempre il concorso di molte
e svariate considerazioni di natura diversa e spesso anche opposta, fra le quali, e certamente
non ultime, quelle di carattere economico.
Le reti tubulari sono quivi stabilite per ramificazione da condotte principali, o maestre, e
per circolazione continua in quelle d' ordine inferiore, sistema che, consigliato come il più
opportuno dalla conformazione e condizioni locali della città, è d' altra parte assai usitato, e
preferito ad altri pei notevoli suoi vantaggi, in quasi tutte le grandi distribuzioni di acqua
potabile. La parte più delicata, e che quasi sola risponde della convenienza di questo sistema, è
l'individuazione e tracciamento delle condotte maestre, le quali devono avere posizioni,
diametri e sviluppo tali, da soddisfare nel modo il più completo a tutte le esigenze presenti e
probabilità future di consumo relative alle varie località, ed alle condizioni dei loro abitanti.
Ora da quali e quanto sani criteri sia stato indettato il percorso di queste grandi
arterie principali, e quanto equa e proporzionata debba seguirne la ripartizione dell'acqua,
per chi è pratico di Napoli certo molto più di un' arida esposizione a parole riescirà dimostrativo
e convincente uno sguardo al piano visuale, che presentiamo nella Tav. 9.
Dal serbatoio alto, come s'è detto, partono tre condotte principali, delle quali la più
importante, che gli sottrae 162 litri al secondo, esce a sezione libera in una galleria
scavata nel tufo, e, dopo un percorso di m. 1955, arriva ad Antignano, dove si dirama in
due forzate; una in ghisa della portata di 90 litri e col diametro interno di 400 mm., che
costituisce l'arteria principale che ha termine al Corso Vittorio Emanuele, "e precisamente ali'
Arco Mirelli, e l'altra in beton a cemento di Grenoble, la quale con una pressione relativa ad
-un massimo carico di 15 m., e con una portata di 72 litri al secondo, percorre il ciglio
della collina fino al villaggio di Posilipo.
La seconda condotta maestra, del diametro di 250 mm., e suscettibile di fornire 50 litri al
secondo, esce dal serbatoio retrocedendo sulla linea camminata dal sifone che lo alimenta;
giunta poi al villaggio di Capodi-monte, si biforca per scendere con un ramo in città, e
coli'altro al villaggio di Miano.
La terza condotta finalmente, col diametro di 150 mm. ed un'erogazione di 20 litri, fa
capo alla calata delle Fontanelle, e quivi si dirama.
La rete del basso e medio servizio è alimentata da due condotte forzate, che, come
abbiamo già precedentemente indicato, partono dal grande serbatoio di Capodimonte; la portata
di queste condotte, benché abbiano diametri differenti, è uguale, cioè di 464 litri al secondo
per ognuna. La maggiore di 800 mm. attraversa le cave Caflisch, sbocca sulla Strada
Nuova di Capodimonte, e, passando pel ponte della Sanità, scende giù fino al Museo ; qui si
suddivide per costituire propriamente la rete di distribuzione, la cui arteria principale attraversa
via Roma, Ghiaia e la Riviera spingendosi fino a Piedigrotta. L'altra condotta, del diametro di
600 mm., lascia il serbatoio custodita in una galleria, e passando attraverso le cave dette
Comin a mezzogiorno delle vasche, scende fino all'origine a monte della strada dei
Cristallini, dove si spartisce in due rami principali, dei quali il maggiore percorre tutta la
nuova via del Duomo fino alla Marina, e l'altro per strada Fona arriva al Tiro a Segno
Provinciale, e prosegue per la via Arenaccia.
A queste condotte, che formano l'ossatura di tutta la canalizzazione, s'innestano e si
diramano in tutti i sensi quelle secondarie, con diametri proporzionati alle loro portate, le
quali, percorrendo le vie più adatte a meglio compiere la giusta ripartizione richiesta, formano
nel loro complesso una vera e propria rete ad anelli chiusi, in cui l'acqua ha libera e continua circolazione. Egli è su queste condotte secondarie appunto che, in generale, verranno
eseguite le singole prese per tutti i diversi servizi particolari; a questo scopo, e per rendere
più semplice e speditiva l'operazione, lungo queste diramazioni, e di fronte a tutte le
porte d'ingresso delle case vennero, ancora in corso di lavoro, intercalati dei manicotti a T col
braccio normale di 40 mm. di diametro ; a questi faranno capo le condutture private, che,
entrando nelle abitazioni, si uniranno alle colonne montanti collocate verticalmente nei cortili
fino alla massima elevazione degli edifizi; da queste, ed alle altezze opportune, partiranno le
ultime tubulazioni destinate ad alimentare i robineti sparsi nell' interno degli appartamenti.
La canalizzazione dell'alto servizio, la quale distribuisce per quanto si è detto 20 mila
m3 al giorno, abbraccia una popolazione di 60 mila anime, il che da una dotazione per abitante
molto superiore alla stabilita di 200 litri. La quantità d'acqua, che da ciò risulta eccedente,
potrà venire utilmente impiegata sia per l'alimentazione dei villaggi non ancora allacciati dalla
rete tubulare, e delle numerose ville in quella zona esistenti; sia a rinforzare le condutture del
basso e medio servizio in tutti quei punti, nei quali le esigenze sempre crescenti del consumo lo
potranno richiedere. A quest' ultimo scopo si è già provvisto con apparecchi speciali consistenti
in vaschette alimentate direttamente dalle condotte del servizio alto per mezzo di robineti
automatici a galleggiante, i quali regolano l'erogazione in maniera, che l'acqua vi si trovi
sempre all'altezza di m. 92.50 sul mare, quota del grande serbatoio di Capodimonte ; apposite
diramazioni le uniscono in seguito alle condotte del basso e medio servizio, che si vogliono
rinforzare.
Sinora in tre punti della conduttura di 200 mm. dell'alto servizio, che percorre il Corso
Vittorio Emanuele, e precisamente a S. Nicola dei Tolentini, nei pressi di S. Teresa, e ali'
Arco Mirelli, furono collocati di questi apparecchi, i quali cosi rinforzano la sottoposta rete
del basso servizio.
La lunghezza di sviluppo di tutte le condutture, che formano le due reti di
canalizzazione, ascende alla cifra di 100 chilometri, cioè 26 circa per l'alto servizio, e 74
pel basso e medio; evidentemente questa lunghezza già enorme non rappresenta che quella
per così dire di primo impianto, poiché col progressivo sviluppo del consumo è destinata
certamente ad aumentare. I vari diametri adottati, le lunghezze relative a ciascun diametro ed
a ciascun servizio, insieme ad altri dati pure interessanti, sono raccolti in una apposita
Tabella nella Tav. 9 ; qui ci limitiamo a dire che il diametro medio per la rete del servizio
alto risulta di 151 mm. e per l'altro di 171 mm.
È superfluo l'avvertire che anche nell' esecuzione di questa parte importantissima, come
quella che, destinata a raccogliere e distribuire i frutti benefici dell' intera opera, coi suoi effetti
direttamente ne risponde dell' utilità, la Compagnia volle assicurarsi con tutti i mezzi suggeriti
dall'arte e dalla pratica della sua perfetta costruzione, sia nei riguardi della solidità e durata,
come in quelli del funzionamento.
Tutti i pezzi costituenti le numerose condotte e ramificazioni, fusi e lavorati colle stesse
norme di quelli impiegati nei grandi sifoni di Cancello, furono assoggettati alle stesse prove
di resistenza tanto alla Fonderia di Terni, quanto dopo posti in opera. Per agevolare quest'
ultima prova nella rete del basso e medio servizio, in forza del suo grande sviluppo, l'Impresa
costruttrice trovò conveniente di stabilire al Largo del Reclusorio, nel modo analogo praticato a
Cancello, delle pompe a vapore, le quali, assorbendo l'acqua dal Carmignano sottoposto, la
mandavano con apposita condotta entro una vasca in muratura costruita nei giardini dell'
Osservatorio Astronomico a 145 m. sul mare; con questa vasca quindi comunicavano i diversi
tronchi da esperimentarsi. Nella rete dell' alto servizio questi saggi vennero fatti direttamente
con pompe a mano.
Come condizioni di posa tutte le condotte sono esuberantemente difese sia dagli
scuotimenti prodotti nel suolo dal passaggio dei pesanti veicoli, sia dalle influenze esterne di
temperatura, in quantochè la profondità minima alla quale si trovano costantemente sepolte
sotto alle strade è di un metro; le eccezioni a questa misura rigorosamente applicata,
causate da circostanze affatto locali, sono così rare, che nessun valore significante può loro
attribuirsi.
Nei casi di guasti, relative riparazioni ed altri lavori provvisionali, che le circostanze
potranno imporre nei periodo d'esercizio, allo scopo di localizzare entro i limiti i più ristretti
possibili le conseguenti interruzioni di servizio, tutte le condotte, sieno maestre, che
secondarie, furono divise in tronchi di maggiore o minore lunghezza, secondo le particolari
condizioni delle località; questi tronchi sono resi affatto indipendenti da saracinesche collocate
nei punti più favorevoli, le quali ne permettono il completo isolamento, senza perciò
minimamente arrestare o turbare l'attività degli altri adiacenti, giacché, come abbiamo già
fatto notare, tutte le condotte formano una serie continua e numerosa di circuiti chiusi. Al
vuotamente di ogni tronco poi è provvisto con robineti di scarico collocati in tutte le parti
basse del suo profilo, i quali defluiscono direttamente, od indirettamente a mezzo di
condotti, nelle fogne vicine. Così pure, per dar esito all'aria nel periodo di riempimento e
messa in carica, tutti i punti alti della canalizzazione in generale, ed almeno uno in ciascun
tronco, sono prudentemente forniti di robineti sfiatatoi. Così costruito e perfettamente
completato in tutte le sue parti, l'Acquedotto di Napoli inizia oggi il suo funzionamento.
Quest' opera risponde vittoriosamente a tre grandi problemi, che i nostri padri invano si
erano proposti, e intorno ai quali parimenti indarno s' affaticarono i filantropi e gli
economisti di quasi tre secoli : il tecnico, l'igienico e l'economico. Alla generazione, che ha
redento la patria, era ancora riserbata la gloria di questa triplice soluzione, che ne
rafforza e ne assicura 1' esistenza.
Quanto v' ha di più eletto in Napoli, Governo, Municipio, Intelligenza, Lavoro, tutti hanno una
parte di merito in quest' opera, e la Compagnia, che ha chiesto e largamente ottenuto la
cooperazione di tutti, sente il dovere di farne qui pubblica testimonianza. Superba d'aver
legato il proprio nome a questo monumento imperituro di civiltà, essa non rivendica per sé
che la soddisfazione e l'onore d'aver in tal maniera contribuito a compiere uno dei voti i più
fervidi, i più leggittimi di questa cospicua Città, che è la gemma più splendida della
Corona d'Italia.