Untitled - Rizzoli Libri

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Untitled - Rizzoli Libri
Lincoln Child
Progetto Peccato
Traduzione di Seba Pezzani
Proprietà letteraria riservata
© 2015 by Lincoln Child
This translation published by arrangement with
The Knopf Doubleday Publishing Group,
a division of Penguin Random House LLC.
© 2016 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-17-08690-5
Titolo originale dell’opera:
THE FORGOTTEN ROOM
Prima edizione: febbraio 2016
Per la citazione di p. 302: © William Shakespeare, La dodicesima notte, trad.
it. di Gabriele Baldini, bur-Corriere della Sera, Milano 2012, i, 1, p. 51.
Questo libro è il prodotto dell’immaginazione dell’Autore. Nomi, personaggi,
luoghi e avvenimenti sono fittizi. Ogni riferimento a fatti o a persone reali,
viventi o scomparse, è puramente casuale.
Realizzazione editoriale: NetPhilo, Milano
Progetto Peccato
Per Veronica
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Fu forse la scena più insolita mai osservata nei solenni e
maestosi ambienti dell’Istituto delle scienze di Glasgow, fon­
dato nel 1761 su concessione di Giorgio iii. Un ampio leggio,
costellato di microfoni, era stato allestito sul Great Lawn, esat­
tamente di fronte all’edificio dell’amministrazione. In prece­
denza, erano state sistemate circa tre dozzine di sedie pieghe­
voli su cui sedevano giornalisti di quotidiani locali, del «Times»
di Londra, delle riviste «Nature», «Oceanography», «Time» e
di parecchie altre testate. Alla destra del leggio si trovavano due
telecamere, una della Bbc e l’altra della Cnn. Alla sinistra del
leggio c’era un grosso ponteggio di legno sulla cui sommità
poggiava una grande macchina di metallo scuro, dall’aspetto
strano: un incrocio tra un tubo per sigari e un portaspilli, lunga
circa nove metri, con un voluminoso accessorio che sporgeva
dalla superficie superiore.
Il chiacchiericcio incessante tra i giornalisti si attenuò quando
le porte principali dell’edificio dell’amministrazione si aprirono
e due uomini uscirono nella luce del sole di quel pomeriggio di
settembre. Uno era grassoccio e basso, con una capigliatura
bianca arruffata e una giacca pesante di tweed. L’altro era alto
e piuttosto magro, con lineamenti decisamente austeri, capelli
castano chiaro e occhi grigi vigili. A differenza del primo uomo,
indossava un abito scuro classico.
I due si avvicinarono al leggio e il più anziano dei due si schiarì
la gola. «Signore e signori della stampa» esordì, «grazie per essere
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venuti. Io sono Colin Reed, rettore dell’Istituto delle scienze di
Glasgow, e la persona alla mia destra è Jeremy Logan.»
Reed bevve un sorso da un bicchiere d’acqua che si trovava
su un lato del leggio e si schiarì nuovamente la gola. «È probabile
che conosciate il lavoro del dottor Logan. È forse l’unico, e cer­
tamente il più importante, enigmatologo al mondo attualmente
in attività. Il suo lavoro consiste nell’indagare, interpretare e spie­
gare – in mancanza di un termine migliore, diciamo – l’inspiega­
bile. Fa luce su certi enigmi della storia; distingue il mito dalla
verità e il naturale dal sovrannaturale.»
Jeremy Logan, accanto a Reed, si accigliò leggermente, come
se quella sorta di panegirico lo avesse messo in imbarazzo.
«Più o meno due mesi fa, contattammo il dottor Logan nella
sua sede dell’università di Yale e gli chiedemmo di assumere un
incarico per noi. L’incarico può essere illustrato brevemente:
dimostrare, o confutare, in via definitiva l’esistenza della creatura
comunemente chiamata mostro di Loch Ness. Il dottor Logan
ha trascorso le ultime sei settimane a Inverness, dove ha fatto
esattamente quello. Ora gli chiederò di esporvi le sue scoperte.»
Reed si ritrasse dai microfoni e Logan si avvicinò. Studiò per
un istante la folla di reporter e poi iniziò a parlare. La sua voce
era relativamente bassa e delicata e il suo accento del New
England strideva con la pronuncia scozzese di Reed.
«Il mostro di Loch Ness» esordì «è il più noto tra gli ipotetici
mostri dei laghi scozzesi, forse il più noto tra tutti i criptidi. Lo
scopo dell’istituto nell’avvalersi del sottoscritto per questo par­
ticolare incarico non è stato limitare l’industria turistica locale o
far fallire i venditori dell’iconografia di Loch Ness. Al contrario,
è stato mettere fine ai tentativi amatoriali e malaccorti di cercare
quella creatura, tentativi che ultimamente si sono mostrati in
aumento e che, in almeno due occasioni nell’ultimo anno, hanno
provocato decessi per annegamento.»
Bevve un sorso d’acqua dal suo bicchiere. «Mi sono presto
reso conto che per dimostrare l’esistenza della creatura serviva
una sola cosa: osservarla nel suo elemento. Dimostrare che la
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creatura non esiste, tuttavia, avrebbe richiesto una mole di
lavoro decisamente superiore. La tecnologia sarebbe stata la mia
principale alleata. Pertanto, ho convinto la marina degli Stati
Uniti, di cui un tempo ho fatto parte, a prestarmi questo som­
mergibile monoposto.» Logan indicò la strana macchina siste­
mata sull’impalcatura di legno alla sua destra. «Questo sommer­
gibile è dotato di radar a onda continua, sonar ad apertura sin­
tetica, strumenti per l’ecolocalizzazione a compressione dell’im­
pulso e numerose altre tecnologie per la mappatura sottomarina
e l’acquisizione di obbiettivi.
«C’erano altri due importanti fattori da considerare. Prima di
tutto, il Loch è piuttosto lungo e insolitamente profondo, due­
centotrenta metri in determinati punti. In secondo luogo, i cosid­
detti avvistamenti della creatura indicavano una morfologia
simile a quella del plesiosauro, il che la collocherebbe grosso
modo tra una lunghezza di sei e dodici metri. Naturalmente, vi
erano diverse variabili ignote da affrontare, come l’ampiezza
degli spostamenti della creatura e le sue preferenze ambientali,
ma sarebbe stato impossibile determinarle finché non la si fosse
individuata.
«Ho iniziato acquisendo dimestichezza con le caratteristiche
del sommergibile e la configurazione del lago, sia sopra che sotto
la superficie. Il servizio in marina ha reso relativamente semplice
il primo compito. Questa fase di collaudo, durante la quale non
ho scoperto alcuna traccia della creatura, è durata una settimana.
«Dopodiché, ho chiesto all’istituto di procurarmi della rete.
Anzi, un bel po’ di rete. Grazie a bobine di maglia di nylon di
tipo militare abbiamo creato una rete di tremila metri per due­
centoquaranta metri.»
L’informazione suscitò mormorii di sorpresa.
«Ciò che è avvenuto subito dopo è stato piuttosto noioso,
ma – dopo i primi tentativi – alquanto semplice. Sono stato for­
tunato perché il lago, malgrado sia lungo trentadue chilometri,
non è molto largo: solo tre chilometri nel punto maggiormente
ampio. Abbiamo iniziato nel punto più a nord del lago e abbiamo
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proceduto verso sud. Nel mio lavoro sono stato assistito da due
ricercatori a contratto dell’istituto e da due motolance giunte da
Inverness. Ogni giorno, utilizzando il sommergibile, ho battuto
a tappeto un’area del lago di poco più di un chilometro e mezzo
in direzione sud. Una porzione da un chilometro e mezzo di lago,
per così dire, lungo gli assi x, y e z. Ho effettuato tre diversi pas­
saggi, a tre profondità differenti, in ciascuna di tali porzioni
distinte, utilizzando il movimento e le tecnologie di puntamento
del sommergibile per individuare qualsiasi oggetto delle dimen­
sioni della creatura. Questa attrezzatura ha notevole portata e
precisione: se un oggetto della dimensione richiesta si fosse tro­
vato all’interno della porzione, lo avrei individuato. Al termine
di ogni giornata, con l’aiuto dei ricercatori – uno su entrambe le
sponde del lago – e delle due barche sul lago stesso, spostavo la
rete di un chilometro e mezzo, nel punto estremo della mia ricerca
per quella giornata. Questa ampia maglia di rete copriva l’intero
lago lateralmente, come una rete antisommergibile. La maglia era
abbastanza larga da consentire a qualsiasi pesce normale di
uscirne senza difficoltà, ma abbastanza stretta da impedire il pas­
saggio di qualsiasi cosa più larga di quaranta centimetri. I natanti
venivano analizzati uno a uno.
«Ogni giorno, esploravo una ulteriore porzione di lago di un
chilometro e mezzo alla ricerca della creatura. Alla fine di ogni
giornata, come detto, spostavamo la rete di un altro chilometro
e mezzo. Dopo una ventina di giorni, abbiamo raggiunto l’estre­
mità meridionale del lago, senza risultati. E così, signore e signori,
potete prendere per certe le tre parole che sto per pronunciare,
per quanto stia per pronunciarle con rimpianto, dato che le leg­
gende criptozoologiche a me piacciono quanto piacciono a
chiunque altro: Nessie non esiste.»
Parole che vennero accolte da uno scroscio di applausi e da
qualche risata.
Si udì un suono grave in lontananza: un rumore sordo, mono­
tono, ripetitivo. A mano a mano che si avvicinava, il rumore fu
identificabile come quello delle pale di un elicottero che fende­
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vano l’aria. Poi, un grosso elicottero dalle insegne militari apparve
sopra una collina vicina su cui si stagliavano delle case a schiera
in mattoni rossi. Si avvicinò rapidamente – era un velivolo della
marina americana – e poi scese, restando in stallo esattamente
sopra il Great Lawn e il sommergibile grigio scuro. L’erba si
appiattì tutt’intorno e i giornalisti furono costretti a stringere
cappelli e fogli per evitare che volassero via. Un tecnico in tuta
uscì a passo spedito da una porticina dell’edificio dell’ammini­
strazione, si arrampicò sull’impalcatura di legno e fissò due
enormi uncini calati dalla pancia dell’elicottero a ganci posti sulla
superficie superiore del sommergibile. Scese lentamente sul ter­
reno e con i pollici diede l’okay all’elicottero, che iniziò ad alzarsi
con cautela, mentre il natante gli oscillava sotto. Salì sempre più
in alto e poi virò leggermente e iniziò a puntare a est, trascinan­
dosi appresso il suo strano carico grazie ai due cavi di recupero.
Sparì nel giro di una sessantina di secondi. L’intera operazione
era durata meno di cinque minuti.
Logan restò a osservare l’orizzonte lontano per un istante,
dopodiché tornò a rivolgersi alla stampa. «E ora» disse «sarò
felice di rispondere alle vostre domande nel modo più esauriente
possibile.»
Tre ore dopo, nell’accogliente bar d’epoca edoardiana all’in­
terno dell’albergo più opulento di Glasgow, le stesse due per­
sone – Colin Reed e Jeremy Logan – brindarono con un bicchiere
di scotch torbato single malt, servito liscio.
«Performance eccellente» disse Reed. «E non mi riferisco sol­
tanto alla conferenza stampa di oggi: una performance eccellente
dall’inizio alla fine.»
«La recitazione è una cosa nuova per me» rispose Logan. «Ma
è bello sapere che, se il business della caccia ai fantasmi dovesse
mai esaurirsi, potrei pur sempre integrare il mio stipendio di Yale
calcando le scene.»
«“Sarò felice di rispondere alle vostre domande nel modo più
esauriente possibile”» disse Reed, ridacchiando al ricordo. «Non
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