Excursus dottrinale e giurisprudenziale in merito alla tassa di

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Excursus dottrinale e giurisprudenziale in merito alla tassa di
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Excursus dottrinale e giurisprudenziale in merito alla tassa di soggiorno e sullo scalo
turistico:
“Velate” discriminazioni alla luce del nuovo “federalismo fiscale”
A CURA DI VALENTINA ZIRAFA
La Tassa di soggiorno nonché sullo scalo turistico è argomento attualissimo, reo di “aver acceso”,
negli ultimi mesi, vivo ed acceso dibattito, con ovvio risvolto di carattere economico, oggetto anche di
“vivaci scontri”, dal sapore più che altro politico, in diversi Comuni d’Italia ad alta “densità
turistica”, come ad esempio la Sicilia.
Invero, v’é da dire, che nonostante gli animi delle locali istituzioni si siano infervorati e ripetute siano
state le manifestazioni della volontà di applicazione della menzionata tassa, ferme sono state le
proteste e le opposizioni di cittadini,imprenditori, forze politiche locali.
Orbene, in una prospettiva del tutto scevra da ogni considerazione di carattere politico ma che si
propone altresì di analizzare il punto di vista prettamente giuridico, fiscale e tributario, occorre
evidenziare alcuni aspetti essenziali circa la natura(presunta o reale)della suddetta tassa nonché la sua
coerenza rispetto ai principi fondamentali sanciti nei Trattati e dalla giurisprudenza comunitaria. A tal
proposito la seguente premessa è doverosa: Attraverso la creazione del cd. “Mercato interno”, è ben
noto, nel TCE vengono tutelate le libertà riguardanti oltre alla circolazione delle persone anche quella
delle merci(dunque dell’attività di impresa), dei servizi, dei capitali. In questo contesto, non si è mai
trascurata l’importante funzione assolta dal fattore fiscale, il quale influenza ampiamente le manovre
economiche interne e la sovranità delle Nazioni.
Attualmente, gli Stati membri dell’Unione presentano sistemi tributari, parzialmente armonizzati e
basati su svariati livelli di imposizione, suscettibili di ostacolare la concreta attuazione della quattro
libertà fondamentali.
Da indagini correntemente effettuate, si rileva come i primi soggetti interessati al fenomeno distorsivo
della discriminazione fiscale, siano le imprese. In alcuni paesi, ed in primis l’Italia, i costi di
adeguamento gravano principalmente sulle piccole e medie imprese.
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Ai fini dell’imposizione fiscale,gli Stati membri hanno mantenuto, anche dopo l’instaurazione del
Mercato Unico, regimi di tassazione per le imprese simili a quelli preesistenti.
L’ovvio risultato di tale “squilibrio” è stato ed è quello di penalizzare tutte le attività transfrontaliere.
Preme innanzitutto evidenziare come nel più recente Trattato di Lisbona non sia stata riproposta (in
quanto considerata superata dall’evoluzione del diritto comunitario)l’unica disposizione che contiene
un espresso riferimento all’imposizione diretta, prevedendo l’attribuzione agli Stati della facoltà di
avviare negoziati «intesi a garantire (…) l’eliminazione della doppia imposizione fiscale all’interno
della Comunità» (art. 293 TCE).
Le uniche modifiche, oltre a quelle di carattere procedurale o sistematico, come lo spostamento
dell’attuale art. 94 TCE tra le nuove disposizioni sul ravvicinamento delle legislazioni (art. 115
TFUE), hanno addirittura un effetto apparentemente riduttivo rispetto alla normativa vigente.
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Pertanto, la materia fiscale è rimasta ancorata alle originarie disposizioni, dettate per la creazione di
un’area di libero scambio, salvaguardando in sostanza la potestà statale nel settore delle imposte
(dirette). Si è perduta così l’occasione per un complessivo ripensamento della natura e del ruolo della
fiscalità nell’ordinamento comunitario 2.
Non v è dubbio che, oltre alla svariata serie di provvedimenti legislativi, il concreto abbattimento degli
impedimenti alla libera circolazione dei fattori produttivi sia stato favorito dalla incessante opera della
CGE la quale ha consentito di pervenire ad una evoluzione interpretativa di alcuni concetti come
quello di “ostacolo”, quale genesi del principio di non discriminazione, fino all’impiego oggi
prevalente del divieto di non restrizione. Lo sforzo effettuato dalla CGE è stato orientato verso la
creazione di una situazione di sostanziale equilibrio tra libertà e sovranità degli Stati nel porre in essere
interventi autoritativi che tutelino i propri cittadini .
Al contempo l’imposizione (per gli stessi) del divieto di emanare provvedimenti che, nonostante
l’apparente finalità volta a perseguire “interessi legittimi”, in realtà sottendano una vera ma celata
discriminazione fiscale (determinando un effetto protezionistico sulla produzione nazionale)
imponendo ostacoli alle quattro libertà fondamentali.
A fronte degli interventi giurisprudenziali volti all’eliminazione delle asimmetrie fiscali tra i vari
mercati dei singoli Stati, resta la discrasia tra il contenuto estremamente limitato delle disposizioni del
trattato CE e l’applicazione che ne ha fatto la Corte.
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Cafari Panico, La cittadinanza dell’Unione Europea e il federalismo fiscale, Atti del convegno Identità europea e
cittadinanza dell’Unione” (Verona 7 novembre 2008)
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Così G. BIZIOLI, Imposizione e Costituzione europea,in Riv. dir. trib., 2005, I, pp. 233-259, spec 234
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In assenza di un quadro normativo ben definito, si spiega l’evoluzione nel tempo della giurisprudenza
della Corte, chiamata a confrontarsi con fenomeni nuovi, tra cui il progressivo affermarsi di
competenze fiscali anche a livello sub statale3 .
Proprio in tale ambito è venuta in considerazione la compatibilità dei sistemi fiscali regionali con
l’ordinamento comunitario.
A tal uopo, risulta necessario qualche accenno di carattere normativo: l’art. 117 della Costituzione,
così come novellato, nel riparto delle competenze assegna alle regioni la potestà in materia di tributi
regionali, riconoscendo loro una potestà d’imposizione («potere di istituire ed applicare tributi
propri»), distinta dall’autonomia finanziaria (di cui all’art. 119), che persegue la mera sufficienza delle
entrate rispetto ai bisogni dell’ente .
L’art. 119, 2° c., dispone infatti che le regioni (così come i comuni, le province e le città
metropolitane) «hanno risorse proprie» e «stabiliscono e applicano tributi ed entrate proprie in
armonia con la costituzione e secondo i princìpi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario», ferma restando la loro «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» in virtù del primo
comma dello stesso art. 119.
Tale disposizione va letta congiuntamente con l’art. 117. In base ad esso lo Stato ha competenza
legislativa esclusiva in materia di «sistema tributario» e di «determinazione dei principi fondamentali»
della legislazione concorrente delle regioni (art. 117, rispettivamente 1° c. e 2° c.), che, a sua volta, ha
per oggetto, da un lato, il coordinamento del sistema tributario, in base ai principi fondamentali
determinati, appunto, dalla legge statale, e, dall’altro, la possibilità di stabilire e fissare quei tributi ed
entrate propri di cui all’accennato secondo comma dell’art. 119.
Infine, le Regioni hanno potestà legislativa esclusiva nella materia tributaria non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato con riguardo ai presupposti d’imposta collegati al territorio di
ciascuna regione, e sempre che l’esercizio di tale facoltà non si traduca in un dazio o in un ostacolo
alla libera circolazione delle persone e delle cose tra le regioni (art. 117, 4° c., e 120, 1° c.,
Costituzione).
La Regione ha quindi una autonomia normativa primaria in un quadro fissato delle disposizioni
nazionali, in primis, costituzionali e da quelle comunitarie.
Va peraltro evidenziato che, anche a seguito del mutato assetto costituzionale, l’autonomia tributaria
delle Regioni può risultare più ampia nel caso si tratti di regioni a statuto speciale.
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G. PETRILLO, Nuovi modelli di governance e criteri di ripartizione territoriale del potere impositivo nel rispetto dei
vincoli comunitari, in Dir. prat. trib.,2007, I, pp. 703-723
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Il sistema tributario della Regione Sicilia rappresenta, ad esempio, con i suoi articoli 36 e 37 dello
Statuto regionale, nonché con le norme di attuazione contenute nel D.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, «un
modello ante litteram di federalismo fiscale, per molti versi precursore delle recenti riforme al Titolo
V della Costituzione introdotte con la novella del 18 ottobre 2001, n. 3» 4.
Ma torniamo alla attualissima “querelle” circa l’introduzione della tassa di soggiorno, poiché sulla
base di quanto anzidetto, è possibile fare alcune debite considerazioni e trarne le dovute conclusioni.
La Tassa di soggiorno è stata introdotta in Italia, tramite l’approvazione da parte del Governo della
legge sul federalismo fiscale municipale del 03/03/2011, come previsto dall’art. 4 del Decreto
Legislativo n. 23 del 14 marzo 2011, che ha disposto per i Comuni turistici la possibilità di applicare
una tassa ai turisti che soggiornano nelle strutture alberghiere, hotel, bad and breakfast, campeggi delle
città d’arte e nei Comuni d’Italia ad alta affluenza turistica.
Il contributo per la tassa di soggiorno viene prelevato direttamente dalla struttura ricettiva che ospita il
turista, a prescindere dalla durata del viaggio, è corrisposto per ogni giorno in cui si soggiorna nella
località di mare, montagna, lago o città d’arte, sia nel periodo estivo che invernale, alta o bassa
stagione.
Il costo della tassa di soggiorno non è fisso, ma viene calcolata a seconda della tariffa deliberata dai
singoli Comuni d’Italia. Tale calcolo viene effettuato tenendo conto delle potenzialità storico/artistiche
che il comune può offrire ai turisti.
Si stima che siano già circa 495 i Comuni italiani che hanno deliberato l’applicazione della suddetta
tassa, suscitando ovvie polemiche.
Negli ultimi mesi, in Italia, ci si é soffermati su considerazioni di carattere più che altro di carattere
economico/politico ovvero sull’impatto che questa potrà avere sull’economia di un paese ancora
segnato da un profondo periodo di crisi e regressione, sulla elevata probabilità che tale forma di
tassazione possa in qualche modo rallentare la ripresa, in specie del settore turistico.
Non v’è dubbio, l’Italia è uno dei pochi paesi ricchi di patrimonio artistico, naturale, culturale, con
oltre 9 mila luoghi di interesse, tra monumenti, musei, siti alcuni dei quali dichiarati Patrimonio
Mondiale dell’Unesco. Difatti, il Turismo è la principale industria italiana e rappresenta circa l’11%
del PIL nazionale.
L’introduzione della Tassa di soggiorno a ben vedere sembrerebbe paradossalmente una discrasia con
il recente “Patto per il Turismo” e gli interventi varati in materia dal Governo proprio in favore delle
Regioni, nonostante il tributo stesso sia destinato a finanziare interventi in materia di turismo, fruizione
e recupero dei beni culturali e ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.
4
LA SCALA Il divieto di aiuti di Stato e le agevolazioni fiscali nella Regione Siciliana, Rass. Trib., 2005, pp.15031532, a p.1503.
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Eppure, in un contesto oramai fortemente influenzato dal Diritto Comunitario, in così tanto fermento
poco ancora ci si è interrogati sulla vera natura di tal forma di imposizione e sull’impatto distorsivo e
lesivo di quei principi fondamentali, per l’affermazione dei quali la CGE ha negli anni strenuamente
lottato, garantendo il rispetto di un mercato globalizzato ed armonizzato, nel comune interesse di tutti
gli Stati membri.
Ad una attenta analisi, difatti, la tassa di soggiorno costituisce un obbligo di imposizione tributaria
posto in essere da parte di un paese che potrebbe valere nel caso in cui il soggetto effettivamente
risieda in esso.
Lo straniero che vi pernotta o rimane per un breve periodo di tempo relativo alla propria vacanza, non
rientrerebbe nella fattispecie in questione.
L’imposta di soggiorno non è dovuta dai soggetti residenti nel Comune, lavoratori, studenti pendolari,
componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria e
che sono parificati ai residenti.
Gioverebbe a tal proposito chiedersi: non darebbe, tutto ciò,
luogo ad una “velata” forma di
discriminazione fiscale, giustificata (ad ampio raggio) con i nuovi paradigmi del federalismo fiscale,
autonomia,indipendenza e motivata al contempo con l’esigenza di “rimpinguare” le casse dello Stato e
delle Regioni a favore di una presunta ripresa economica locale e nazionale?
L’imposta in questione è un tributo del tutto nuovo che trova la propria fonte normativa solo
nell’articolo 4 del Dlgs 23/2011, disposizione che a sua volta individua alcuni parametri, rinviando ad
un regolamento statale la “disciplina generale di attuazione”.
Il D.L n. 16/2012, convertito in L. 44/2012 introduce, invece, una nuova fattispecie dell’imposta,
alternativa a quella lacunosamente normata relativa all’imposta di soggiorno, che si configura come un
nuovo tributo sul traffico passeggeri delle compagnie di navigazione (applicabile dai Comuni siti in
isole minori o comprendenti isole minori nei propri territori ovvero ai Comuni che hanno sede
giuridica nelle isole minori e i Comuni su cui insistono isole minori, possono, con apposito
regolamento, in alternativa all’imposta di soggiorno, applicare un’imposta di sbarco).
Gli aspetti applicativi dell’imposta, con vasti margini di discrezionalità, dovranno essere disciplinati
dagli stessi Comuni (ad esempio gli obblighi dichiarativi e di versamento da parte delle strutture
ricettive).
Appare lecito porsi il seguente interrogativo: l’ampia autonomia, attribuita ai Comuni, ancora priva di
confini ben definiti, non potrebbe generare a sua volta una sleale concorrenza tra le stesse imprese???
La materia, è chiaro, si presterà a facili elusioni ed a “svariate e variopinte” interpretazioni; purtuttavia
nella prospettiva e nello sviluppo futuro della stessa L. 44/2012 (che ha riconfermato la tassa di
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soggiorno ed altresì introdotto quella sullo sbarco/scalo turistico), appare evidente come su tale strada,
il percorso tracciato dalla menzionata legge, sia ancora incompleto e tortuoso.
Occorrerebbe una disciplina più dettagliata in ordine ad alcuni aspetti dei tributi in questione;
considerato che gran parte dei contenziosi attualmente scaturiscono da “definizioni”, “normative
sostanziali e procedurali” non condivisi in modo unanime (soggetto responsabile, sanzioni tributarie,
rinvio alla legge finanziaria 2007 etc).
Sarebbe, altresì, opportuno soffermarsi su una visione “costituzionalmente orientata” dei tributi in
oggetto, sia in senso nazionale che europeo.
L’attuale contesto giurisprudenziale italiano, ad esempio, sembra appoggiare gli Enti locali
nell’introduzione della Tassa di soggiorno e/o scalo turistico; spesso riscontrando una scarsa attenzione
nei confronti dello stesso presupposto impositivo, ancorato in alcuni casi a veri “pseudo principi
tributari” che nascondono ben volentieri solo l’esigenza del pareggio di bilancio.
La Corte di Giustizia Europea ha avuto modo di affrontare l’argomento in svariati casi ed invero,
anche i TAR italiani, interpellati sulla “vexata quaestio”, hanno manifestato il loro orientamento.
Nel 2009 vennero sottoposte all’attenzione due nuove fattispecie tra loro affini ma distinte 5:
1) un tributo riscosso del 1°giugno al 30 settembre, sullo scalo, negli aerodromi del territorio
regionale, degli aeromobili dell’aviazione generale adibiti al trasporto privato;
2) un tributo riscosso sempre dal 1° giugno al 30 settembre sullo scalo nei orti,negli approdi, nei punti
di ormeggio ubicati nel territorio regionale, delle unità da diporto. Da ricordare come, anteriormente al
2008 i menzionati tributi fossero posti unicamente a carico di persone e soggetti aventi domicilio
fiscale fuori dal territorio regionale.
Orbene, su tale questione si pronunciò per prima la Corte costituzionale.
La Consulta ritenne incompatibili entrambe le forme di tassazione sia con la libera prestazione di
servizi di cui all’art. 49CE (art. 56 TFUE), sia con il divieto di aiuti di stato ai sensi dell’art. 87 CE
(art. 107 TFUE) 6.
Successivamente si è espressa la Corte di Giustizia, che ha analizzato, in primis, l’eventuale violazione
del principio di libera prestazione di servizi.
La CGE, pertanto, nell’esaminare la sussistenza di eventuali restrizioni alla libera prestazione di servizi
ha evidenziato in primo luogo il principio applicabile: ovvero la materia delle imposte dirette pur non
rientrando, in quanto tale, nella competenza dell’Unione, deve essere esercitata dagli Stati membri nel
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Sentenza CGE,17 novembre 2009,proced. N. C- 169/08, rinvio pregiudiziale della L. Regione Sardegna n. 4/2006
CARBONI La Corte riconosce la più ampia autonomia finanziaria delle regioni speciali e detta le regole
per la costruzione del sistema tributario della Repubblica, in Federalismi..it, n. 14/2008.
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rispetto del diritto della Stessa, senza che a tal fine sia rilevante che il provvedimento fiscale emani
dallo Stato ovvero da un ente locale 7.
Prelievi e tasse, tuttavia, secondo la CGE, non comportano automaticamente una restrizione alla libera
prestazione di servizi, per il fatto di rincarare la prestazione di un servizio.
Altresì, la suddetta situazione si verifica, per converso, proprio quando essi abbiano l’effetto di rendere
la prestazione di servizi tra Stati membri, più difficile e complessa rispetto alla prestazione meramente
interna ad uno Stato membro.
La Corte mette in rilievo come la situazione che si verifica allorquando la tassa non venga applicata
indistintamente a cittadini ed a stranieri laddove già la stessa distinzione operata a carico dei soggetti
passivi sia la manifestazione palese di quanto anzidetto comportando, con tutta evidenza e senza
alcuna ombra di dubbio una restrizione.
Già in passato, nella ben nota sentenza C-388/2001 Commissione/Italia, la Corte aveva già dichiarato
incompatibili sia con il principio di libera prestazione dei servizi che con quello di non
discriminazione, tutte quelle agevolazioni concesse da una serie di enti locali italiani a propri residenti,
con le quali veniva riservato l’accesso a musei, monumenti etc.
L’orientamento attuale della CGE, è dirimente e non mostra alcun tentennamento, nè cambiamento di
rotta rispetto al passato.
Ora, appare ben chiaro come lo scopo del diritto comunitario non è e non sia mai stato quello di
proporsi come un “antisovrano”, avente la finalità di ostacolare le normative nazionali o locali che
creino oneri in maniera specifica per i turisti o per le imprese operanti nel settore turistico (per esempio
i provvedimenti relativi ad appartamenti per vacanze, residenze secondarie, tasse di soggiorno) 8.
Ciò che rileva, ai fini del Diritto dell’Unione, secondo la Corte, è tutt’altro: ovvero la configurazione
concreta della rispettiva misura, imposta o prelievo.
Imposte regionali come quelle poste al cospetto della CGE, sono suscettibili di generare un fattore di
costo supplementare, al quale non sono soggetti i loro concorrenti che hanno il proprio
domicilio fiscale nel territorio regionale, con la conseguenza di rendere loro più oneroso il servizio 9.
Con un ovvio scoraggiamento dei turisti!
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Cafari Panico, La cittadinanza dell’Unione Europea e il federalismo fiscale, Atti del convegno Identità europea e
cittadinanza dell’Unione” (Verona 7 novembre 2008)
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P. BORIA: L’antisovrano, Milano 2004
DARIO IMMORDINO, La sentenza CGE sulla tassa sullo scalo turistico della Regione Sardegna nel contesto dei
rapporti tra autonomia regionale tributaria e regole comunitarie,15/09/2009, reperibile anche sul sito internet
www.forumcostituzionale.it
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Nella prospettiva comunitaria imposizioni del genere non sarebbero censurabili laddove si limitassero
ad interessare la circolazione nazionale dei servizi fra una regione e l’altra in Italia, in quanto le regole
di matrice UE non si applicano a fattispecie puramente interne.
Tributi come quelli in questione, che esplicano effetto sulla circolazione transfrontaliera dei servizi
rendono più difficile la prestazione fra gli Stati membri rispetto a quella svolta all’interno del territorio
nazionale e di conseguenza, anche qualora una siffatta disparità di trattamento sotto il profilo fiscale
non comporti una discriminazione basata sulla cittadinanza, la stessa pregiudica tuttavia la libera
prestazione dei servizi garantita nell’art.49 CE e deve pertanto essere considerata come una illegittima
restrizione.
La CGE, va oltre la definizione del concetto di restrizione, analizzando anche altri aspetti:
1) la “rule of reason” ,
2) la compatibilità con il divieto di aiuti di Stato.
In ordine al primo profilo viene data una interpretazione ancora più restrittiva.
La “rule of reason”, è una ipotesi ammessa solo in pochi ed eccezionali casi: essa permette, infatti,
alcune restrizioni alle libertà fondamentali, da parte delle norme tributarie interne, purché giustificate
in relazione a interessi pubblici nazionali la cui rilevanza viene espressamente riconosciuta dal
Trattato, o a motivi imperativi di interesse generale.
L’accertamento, da parte della CGE, riguardo alla sussistenza di cause di giustificazione poste a
fondamento delle restrizioni si articola su livelli: il primo concerne la valutazione della ragionevolezza
e proporzionalità della deroga alle regole comunitarie e si sostanzia nella individuazione degli interessi
nazionali e nella valutazione del grado di compressione dei divieti di restrizione e discriminazione, il
secondo attiene all’accertamento della funzionalità e proporzionalità della disciplina derogatoria
rispetto alla realizzazione degli interessi nazionali 10.
Ebbene, con riguardo alla tassa sullo scalo turistico e tassa di soggiorno, nella fattispecie posta al
vaglio della Corte di giustizia, del tutto irrilevanti sono apparse le giustificazioni attraverso le quali il
tributo veniva motivato, cioè tramite esigenze di tutela ambientale e di sanità pubblica, risanamento
economico locale.
In ogni caso, qualora qualcuna di queste motivazioni fosse stata valida e persuasiva, nulla toglieva
secondo (i giudici europei) la evidente discriminazione che comunque il tributo poneva in essere a
carico dei non residenti.
Neppure ragioni di coerenza fiscale, sono apparse sufficienti a giustificare suddette tipologie di
imposizione, in quanto, con riferimento all’intero ordinamento fiscale, il termine coerenza acquista il
10
Cfr P. BORIA , L’antisovrano, 66 - 70
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significato di coordinamento fra i diversi tributi che compongono il sistema in funzione
dell’eliminazione di lacune o sovrapposizioni.
In tal senso la Regione coinvolta (Sardegna) aveva infatti motivato il non assoggettamento a prelievo
dei residenti, facendo valere la circostanza che costoro versano già altre imposte contribuendo così a
sostenere l’erario regionale.
In merito la Corte rileva che l’imposta regionale sullo scalo, strutturata come un tributo di scopo a
finalità ambientale, non persegue gli stessi obiettivi dei tributi versati dai soggetti passivi residenti , i
quali mirano ad alimentare in generale il bilancio pubblico e quindi a finanziare l’insieme delle azioni
della regione, sicché il non assoggettamento a tale imposta di detti residenti non può essere considerato
come una compensazione delle altre imposte cui questi sono soggetti.
Di conseguenza la restrizione alla libera prestazione dei servizi che ne deriva non può neanche essere
giustificata da motivi relativi alla coerenza del sistema tributario regionale.
Riguardo al secondo profilo, ovvero agli aiuti di Stato (la nozione di aiuto è più ampia di quella di
sovvenzione, dato che essa vale a designare non soltanto prestazioni positive del genere delle
erogazioni di somme, ma anche interventi i quali, in varie forme, alleviano gli oneri che normalmente
gravano sul bilancio di un’impresa), l’art. 87, n. 1, CE stabilisce che, salvo deroghe contemplate dal
Trattato, sono incompatibili con il corretto funzionamento del mercato comune, e come tali vietati
“nella misura in cui incidano sugli scambi”, gli aiuti in qualsiasi forma concessi dagli Stati allorché
"favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza"11.
Secondo la CGE, nel caso dalla tassa sullo scalo e tassa di soggiorno, non sussistono motivi per
dubitare in merito al fatto che essi rappresentino aiuti di natura pubblica, e questa natura deriverebbe
proprio dalla esclusione di soggettività passiva di alcuni operatori, con una conseguente contrazione di
risorse a carico dell’erario regionale; situazione del tutto assimilabile alla erogazione di una
sovvenzione.
La strutturazione della disciplina del prelievo, nel caso delle suddette tipologie di tassazione, a parere
della Corte, determinerebbe, pertanto, una irragionevole discriminazione tra soggetti aventi le stesse
caratteristiche di soggettività passiva(soggetti residenti e non residenti che si trovano nella stessa
situazione).
Nello scenario nazionale, purtroppo, la prospettiva muta radicalmente poiché si assiste allo
smantellamento dei principi e delle regole sancite dai Trattati e dalla giurisprudenza comunitaria: le
prime pronunce dei TAR italiani, seppur limitate alla sola fase cautelare del giudizio, videro vittoriosi
gli enti locali per due ragioni fondamentali. La prima, costituita dalla mancanza di «interesse» delle
11
sentt. 15 marzo 1994, Causa C-387/92 , Banco Exterior de Espana, 8 maggio 2003, C-328/99, Italia
e SIM 2 Multimedia, 14 settembre 2004, Causa C-276/02 , Spagna v. Commissione, 23 febbraio 1961, C30/59 , Gezamenlijke Steenkolenmijnen in L
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categorie ricorrenti, in quanto non destinatarie ultime dell'imposizione, di fatto rivolta ai turisti; la
seconda, costituita dalla natura meramente patrimoniale del danno posto a fondamento dell'istanza di
sospensiva, e quindi privo dei requisiti di gravità ed irreparabilità invece indispensa bili per
l'ottenimento della sospensiva 12.
I giudici amministrativi, erodendo il lavoro della CGE, hanno infatti ritenuto legittima l’imposta di
soggiorno introdotta dai comuni, in base al federalismo fiscale municipale, per finanziare la
manutenzione dei beni comunali, non ravvisando nessuna lesione dei principi costituzionali, nè dei
principi sanciti dai Trattati, per la nuova imposizione fiscale a carico dei turisti.
Nella fattispecie, spiace constatare, come sin dal 2011 il TAR abbia rigettato tutte le doglianze
avanzate, non lasciando neppur minimamente un margine che possa far intravedere o lasci spazio ad
una eventuale presenza di discriminazione fiscale tra soggetti residenti e non residenti: - “Parte
ricorrente lamenta che l’imposta di soggiorno determinerebbe una situazione di discriminazione e
penalizzazione per gli operatori comunali rispetto ai concorrenti fuori Comune, che limiterebbe la
libertà d’iniziativa economica e comunque determinerebbe una distorsione del mercato. La tutela
della parità di trattamento e della concorrenza imporrebbe una dimensione nazionale o almeno
regionale. Invece la dimensione locale dell’imposta di soggiorno prevista dal D. Lgs. n° 23 del 2011
ne comporterebbe l’illegittimità costituzionale in relazione alle discriminazioni e distorsioni
provocate.
La doglianza è infondata. Infatti il legislatore ha previsto un tetto massimo d’imposta di 5 Euro per
notte, proprio con l’obbiettivo di evitare le discriminazioni e distorsioni lamentate. -“.13
Il TAR sembra dunque non considerare che, anche se con la nota sentenza “Azzorre” 14 si è avuto il
completo superamento della “teoria dell’incompatibilità”(tra l’esigenza di assicurare l’osservanza delle
regole di concorrenza e del mercato contro le misure elusive di carattere fiscale e quella di consentire
alle Regioni l’esercizio delle prerogative di autonomia normativa in materia), la tassa di scalo e di
soggiorno costituiscano, altresì, tributi propri, laddove il potere dei legislatori regionali si sostanzia
proprio nella istituzione e disciplina di tributi che non hanno alcun rapporto con il regime fiscale
nazionale15.
Ragion per cui, appare evidente come, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici amministrativi,
la tutela della parità di trattamento e della concorrenza e, dunque, il parametro di tassazione
12
(TAR firenze 779/2011; TAR Catanzaro 413/2011; TAR Lecce 535/2011)
(TAR Venezia, Sez.III, n. 653/2012)
14
Causa C-88/03, Azzorre cit., punto 64 della sentenza e punti 52 e 53 delle conclusioni.
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Cafari Panico, La cittadinanza dell’Unione Europea e il federalismo fiscale, Atti del convegno Identità europea e
cittadinanza dell’Unione” (Verona 7 novembre 2008)
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“normale” ai fini della valutazione della specificità dell’agevolazione, sia ristretto al solo ambito
locale e regionale16.
Nelle altre pronunce TAR del 2011 si arriva addirittura ad escludere l’incompatibilità dei
menzionati tributi con la coerenza del sistema fiscale; ma soprattutto si accolgono, superficialmente,
generiche motivazioni quali l’esigenza di finalizzazione del relativo gettito al finanziamento di
interventi che abbiano come ragion d’essere il mantenimento ed il miglioramento del patrimonio e
del decoro urbano e dei servizi offerti ai cittadini ed ai turisti.
In questo momento storico, anche a seguito delle modifiche apportate con il D.L n. 16/2012
convertite nella L. n.44/2012, il panorama in materia si manifesta quasi a “macchia di leopardo”,
laddove a fronte della molteplicità dei ricorsi e delle doglianze avanzate, un po’ per volta, da quasi
tutti i Comuni Italiani, abbiamo un orientamento giurisprudenziale ancora confuso ed altalenante,
che appare esplicitamente segnare anche le più recenti pronunce del giudice amministrativo. Gli
interessi degli albergatori e degli operatori del settore, nonché lo stesso “Turismo” in quanto tale,
vengono a contrapporsi, quasi frustrati e piegati alle necessità erariali degli Enti Locali.
Nel 2012, ad esempio, il TAR Puglia ha ritenuto infondata la doglianza avanzata dalle ricorrenti
strutture alberghiere, ritenendo che l’introduzione della Tassa di soggiorno altro non fosse che un
espediente per consentire all’Ente il pareggio di bilancio.
Nel caso di specie il giudice amministrativo, ha affermato che gli interventi finanziati dal Comune
(con gli introiti del tributo) avessero carattere del tutto circoscritto ed una “seppur indiretta
funzione di promozione del turismo locale”; pertanto, che fossero coerenti con il vincolo di
destinazione imposto dalla legge.
Ancora, il TAR Puglia, in modo
quasi “aberrante” ha asserito: “priva di pregio l’ulteriore
doglianza relativa alla violazione in base al criterio della gradualità, imposta dall’art. 4 del del
D.lgs del 2011, ritenendo non manifestamente illogico o irrazionale apportare l’entità del tributo
alla tipologia classificatoria delle strutture ricettive, in quanto, ordinariamente, alla categoria
alberghiera superiore, corrisponde il pagamento di un prezzo più elevato. Risulta, quindi
rispettata, la finalità perseguita dal legislatore che è quella di graduare l’entità del tributo in
relazione alla capacità contributiva del soggetto passivo, desumibile indirettamente dalla categoria
del soggetto passivo.” (TAR PUGLIA, Lecce, Sez. II, n. 748 del 30 aprile 2012).
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Cfr Decisione 2003/442 della Commissione e sent. C-88/03 CGE
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Risulta, quindi, davvero imperscrutabile la motivazione che ha spinto, il TAR suddetto a ritenere, al
di là del caso di specie, sempre agevole e possibile effettuare questa presunzione per così dire …
“indiretta”, o comprendere sulla base di quali criteri applicativi essa sia stata fatta.
Sempre nello stesso anno il TAR Veneto, ha sostenuto che:” il parametro che individua i gestori
delle strutture ricettive quali titolari di obblighi ausiliari ai fini della riscossione dell’imposta di
soggiorno è semplice, logico e non censurabile. Tale logicità si ricava anche dalla circostanza che
tali compiti ausiliari dei gestori delle strutture ricettive sono di supporto agli ospiti alloggiati in
relazione ad un necessario adempimento connesso all’alloggio nella struttura(e quindi
strumentali)”
Riferendosi a quanto anzidetto, in suddetta pronuncia, il TAR VENETO, esordisce con
un’affermazione, che appare frutto di una giurisprudenza piuttosto “creativa” : “Tale attività è il
frutto di una libera scelta del gestore, non è imposta. Il gestore non riscuote per interesse proprio
connesso ad un possibile guadagno ricavabile dall’attività di riscossione, ma riscuote per
agevolare il proprio interesse di gestore della struttura ricettiva e senza che da tali attività
strumentali egli possa ricavare un beneficio economico” (TAR VENETO, SEZIONE III, n. 653 del
12 maggio 2012).
E’ proprio questa constatazione, a ben vedere, a lasciare alquanto “perplessi” , poiché in tal modo i
giudici amministrativi affermano che la tassa di soggiorno non colpisce i principi costituzionali
dell’imposizione fiscale, ma il gestore della struttura ricettiva, che non può essere indicato come il
soggetto passivo del tributo, né come sostituto di imposta.
Nel corrente anno, sempre il TAR VENETO, non muta per nulla indirizzo e con un provvedimento
cautelare, emanato a seguito del ricorso presentato dalle associazioni di categoria del turismo, ha
giudicato. legittimi tutti gli atti adottati dal Comune ed in particolare la delibera di consiglio
comunale di istituzione dell'imposta di soggiorno e di approvazione del relativo regolamento, la
delibera di giunta comunale di approvazione delle tariffe dell'imposta, la delibera di consiglio
comunale e la successiva determina dirigenziale di affidamento della gestione delle attività di
controllo, liquidazione, accertamento e riscossione dell'imposta. Nella motivazione dell'ordinanza,
ha infine ritenuto che l'affidamento della gestione dell'imposta di soggiorno (all’ente già
concessionario di altre entrate comunali) consente di agevolare i titolari delle strutture ricettive
riducendo di fatto gli obblighi strumentali posti a loro carico.
In poche parole, il TAR VENETO ha riconfermato l’orientamento ed ha semplicemente rinviato
l’applicazione del tributo.
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Sempre lo stesso TAR, nell’agosto del 2012, ha manifestato alcuni segni di “apertura” a ccogliendo,
parzialmente, il ricorso di alcuni albergatori della città lagunare, sentenziando “l’illegittimità
dell’utilizzo delle espressioni “responsabile degli obblighi tributari” e di “responsabile della
riscossione” perché si richiamano alla figura del “sostituto d’imposta” o del “responsabile
d’imposta” di cui all’art. 64 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, che individuano quanti sono tenuti
al pagamento dell’imposta in luogo di altri o insieme ad altri, e lamentano altresì che tale
formulazione rende incerta ed indeterminata l’esatta individuazione degli obblighi che gravano sui
gestori e conseguentemente le responsabilità che sugli stessi incombono in caso di mancato
pagamento dell’imposta da parte del cliente della struttura” (TAR VENEZIA n. 1165 del 21 agosto
2012).
Come ben evidente, il TAR Veneto ha accolto le doglianze limitatamente ai concetti di “ sostituto e
responsabile d’imposta.
Attualmente, si riscontrano solo pochi orientamenti volti a censurare la “legittimità in sè” dei tributi
in questione, i presupposti e le modalità applicative
Una delle prime pronunce, in tal senso, ad esempio è stata fornita dal TAR Palermo che, nel ricorso
proposto da alcuni albergatori nei confronti dell’Ente (Comune), in modo abbastanza eloquente
specifica che: “seppur sia vero che l’art. 32, c. 2, lett. g) l. n. 142/90 attribuisce al Consiglio
Comunale la competenza in materia di istituzione e ordinamento dei tributi e di disciplina generale
delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi, è altrettanto vero che l’art. 4 d.lgs. n. 23/2011,
stabilisce che i Comuni possano istituire l’imposta di soggiorno (a carico di coloro che alloggiano
nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio), ma stabilisce anche che detta imposta, ove
istituita, sia applicata secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo (sino a 5 euro per
notte di soggiorno” (TAR SICILIA, PALERMO, Sez. III, n. 2174/2012).
Il TAR Siciliano, nel caso di specie, ha “stigmatizzato” la mancata concertazione con le
associazioni di categoria del provvedimento, ha ritenuto illegittimo il regolamento che ha istituito
l’imposta di soggiorno retroattivamente e che ha obbligato al versamento il gestore dell’attivita’ .
Si spera, pertanto, che suddetta sentenza faccia strada a nuovi indirizzi giurisprudenziali che vaglino
realmente la vera natura dei due tributi e mostrino la via “costituzionalmente orientata”.
Interessante sarebbe, a questo punto, spingere verso una pronuncia degli “Ermellini”, considerate le
forti perplessità manifestate dagli operatori giuridici e del settore turistico, ma soprattutto data
l’enorme mole di contenzioso che la vexata quaestio sta suscitando in Italia.
Appare ben chiaro, concludendo, il nodo centrale della “querelle” oggi dibattuta: a fronte di una
integrazione europea
in stato già avanzato, troviamo ancora una differente concezione della
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funzione tributaria e la potestà che ne consegue rimane ancora un vero “baluardo” cui nessuno Stato,
pur membro dell’Unione, ha intenzione di abdicare.
Autorevole dottrina ha affermato che il rischio, a questo punto, sia quello di creare un modello di
integrazione negativa che “ortopedizza” gli ordinamenti fiscali nazionali, espungendo le norme che
potrebbero pregiudicare le finalità di neutralizzazione della leva fiscale, nei confronti del mercato e
della concorrenza – da sempre, valori fondanti dell’U.E 17.
Non v’è dubbio che il rapporto tra forme di esercizio dell’autonomia tributaria regionale e regole
comunitarie sia stato notevolmente influenzato da una sostanziale diffidenza verso il “federalismo
fiscale” e, in generale, verso ogni forma di decentramento istituzionale, considerati come strumenti di
abilitazione formale all’esercizio di determinate competenze, funzionali ad eludere le regole
comunitarie in materia di tutela del mercato e delle libertà fondamentali 18.
E’ altrettanto vero, però, che alla luce dello stesso “federalismo fiscale”, tasse come quello di scalo
turistico e di soggiorno appaiano un controsenso con le misure attuate a sostegno del Paese: tributi
“volti a rivoltarsi” contro se stessi, o meglio a rivoltarsi contro quegli stessi principi fondamentali che
ogni Stato membro dell’Unione si è impegnato a rispettare, contro l’economia di un mercato ormai
globalizzato, l’economia ed il turismo di una Nazione, come l’Italia, ancora in lenta e graduale ripresa.
Le normative locali in materia di tassazione possono dare luogo ad una violazione del principio di non
discriminazione nel caso in cui i tributi imposti costituiscano un ostacolo all’esercizio, da parte di un
cittadino appartenente ad un altro Stato, delle libertà fondamentali.
La decisione in merito ad eventuali discriminazioni a rovescio, in tal modo, viene rimessa alla
valutazione da parte dell’ordinamento interno dello Stato interessato, sulla base degli strumenti da esso
previsti e della considerazione che il relativo divieto non opera in relazione a situazioni che siano
qualificate come puramente interne 19.
Concludendo, duole altresì notare, come in tanto fermento, ciascun Ente Locale (nelle più o meno
accese polemiche) appaia unicamente focalizzato sull’esigenza di rimpinguare le proprie casse, di
risollevare le proprie sorti e come, altresì, la coscienza sociale di cittadini e imprenditori non lamenti
17
P. BORIA, Diritto tributario europeo, Il sole 24 Ore, 2005, 27
Cfr AVV. GEN. SAGGIO nelle Cause riunite C-400, C-401 e C-402/97, punto 37, COMMISSIONE:
Decisione, 7. 08. 2003, n. 442 cit, punto 30
19
V. C. RITTER, Purely internal situations, reverse discrimination, Guimont, Dzodzi and Article 234, in E.L.Rev.,
2006, pp. 690-710, spec. p. 710
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piuttosto una profonda, paradossale, discrasia con quanto disposto dal Diritto Comunitario, nonché la
distorsione dei principi base che regolano il Mercato Interno.
Distorsione “velatamente” giustificata tramite concetti e ideologie di nuova generazione (come il
“federalismo fiscale”, le misure a sostegno dell’economia e del turismo o presunte esigenze di carattere
ambientale, di sanità pubblica) che, di per sè, potrebbero avere una valenza ed un significato del tutto
positivo nel contesto locale, ma che strumentalizzati diventano solo vero e proprio un mezzo di
elusione, contrastante del tutto con i principi dell’UE e delle moderne democrazie.
Sulla base di una interpretazione estensiva dei diritti collegati alla cittadinanza dell’Unione, ai cittadini
europei, si attribuisce non solo il diritto di circolare, ma anche di soggiornare liberamente nel territorio
dell’Unione. In questo senso e, quale nota di chiusura e di conseguente riflessione, merita di esser
menzionata una conclusione dell’Avvocato Generale Kokott:“le libertà fondamentali devono essere
osservate anche dove il diritto comunitario non prevede (ancora) una disciplina e gli Stati membri
conservano le rispettive competenze-, come, ad esempio, nel settore della fiscalità diretta. La
cittadinanza dell’Unione, se non serve ad estendere le competenze, di certo finisce per ampliare i
diritti di cui godono tutti i cittadini europei-“20.
20
Conclusioni relative alla causa K. Tas-Hagen, decisa dalla Corte di giustizia il 26 ottobre 2006, causa C-192/05,
punto 37, in Raccolta 2006, p. I-10451ss.
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